Nulla Insegna Quanto Il Tradurre”: Vittorio Alfieri Traduttore Dell'eneide
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UNIVERSITÀ DI PISA Scuola di dottorato in Discipline Umanistiche Dottorato di ricerca in Studi Italianistici CICLO XXV TESI DOTTORATO (L-FIL-LET/10 LETTERATURA ITALIANA) “Nulla insegna quanto il tradurre”: Vittorio Alfieri traduttore dell'Eneide Presidente del corso di dottorato: Prof.ssa Maria Cristina Cabani Tutor: Candidato: Prof. Guido Paduano Damiano Moscatelli A Chiara, compagna di vita e impareggiabile latinista e alla mia famiglia, allargata agli amici di sempre. Senza di loro questo lavoro non ci sarebbe. 1 Indice generale Introduzione....................................................................................................................3 Capitolo I.......................................................................................................................... Alfieri e la traduzione: l'immersione nella classicità......................................................7 Dai primi esercizi scolastici alla traduzione di se stesso...........................................9 La maturità letteraria, “l'inestricabile labirinto”, i classici e l'originalità.................26 Capitolo II......................................................................................................................... Alfieri e Virgilio............................................................................................................72 Virgilio poeta di corte...............................................................................................75 L'ammirazione per Virgilio...................................................................................... 89 Capitolo III........................................................................................................................ L'Eneide di Vittorio Alfieri........................................................................................... 98 Manoscritti e date di composizione......................................................................... 99 La versione alfieriana presso la critica................................................................... 111 Caratteristiche della versione alfieriana.................................................................120 Fedeltà retorica.................................................................................................. 120 Slittamenti......................................................................................................... 145 Brevitas..............................................................................................................150 Aggiunte ........................................................................................................... 160 Trasformazioni drammatizzanti.........................................................................174 Interpretazioni enfatizzanti................................................................................181 Una versione sostenuta......................................................................................200 La versione alfieriana nel dibattito teorico settecentesco.......................................211 Capitolo IV ...................................................................................................................... Intertestualità.............................................................................................................. 218 Intertestualità esplicita........................................................................................... 220 Intertestualità interna..............................................................................................223 Intertestualità propriamente detta...........................................................................229 Conclusioni................................................................................................................. 248 Bibliografia................................................................................................................. 251 2 Introduzione “Nulla insegna quanto il tradurre”: come dire che quella del vertere è un'operazione che costringe il traduttore a entrare in profondità nel testo originale e che gli permette di conoscerlo a fondo, nei suoi meccanismi di significazione e nelle sue logiche interne. E poi, certo, costituisce un esercizio utile ai fini dell'apprendimento della lingua dalla quale si traduce e anche di quella nella quale si traduce. Ma si tratta, prima di tutto, di un atto conoscitivo vero e proprio, di immersione, indagine e ricostruzione di un universo semantico alieno sotto il profilo linguistico e culturale. In questo senso più alto va intesa la versione alfieriana dell'Eneide, benché essa abbia goduto di scarsa visibilità presso la critica. Gli studi interamente dedicati all'argomento sono, infatti, esigui numericamente e, almeno fino alla metà del XX secolo, di scarso valore euristico e dominati da atteggiamenti dogmatici. I risultati conseguiti nella seconda metà del secolo e, più in particolare, dagli anni '80 in poi, grazie soprattutto ai contributi di Carla Doni e Tina Coppola, benché parziali e non sempre condivisibili, appaiono finalmente scevri dai pregiudizi estetizzanti dei predecessori e dalle critiche formulate da autori illustri quali Manzoni, Foscolo e Monti. Il presente lavoro si propone di rilevare ed enucleare i tratti distintivi e le caratteristiche peculiari della traduzione alfieriana, inquadrandola non come esercizio meramente stilistico, privo di qualsivoglia aspirazione letteraria o finanche portato avanti freddamente, ma come tappa di un percorso che trae origine nell'inabissamento nella classicità italiana e latina compiuto dall'autore in età giovanile e che sfocia nell'apprendimento del greco durante la maturità. In questo contesto lo strumento della traduzione è perciò da intendersi, oltre che come veicolo di affinamento linguistico di impareggiabile efficacia, come scandaglio gnoseologico capace di restituire vitalità a un mondo indicato come sede privilegiata di positività valoriale, in netto contrasto con il presente. A tal fine si è scelto di prendere in esame, per prima cosa, lo statuto della pratica 3 traduttiva di per sé nell'attività letteraria dell'Alfieri: che ruolo essa svolga all'interno della sua formazione, che significato abbia rispetto alle competenze linguistiche da acquisire e come si inserisca nel processo di immersione nell'universo paradigmatico della classicità; ciò ricorrendo in primis alla Vita alfieriana, ma non solo, e ripercorrendo le tappe che allo sguardo posteriore dell'autobiografo paiono significative, tentando di motivare esaustivamente la persistenza del fenomeno, che, certo, è animato da ragioni concrete, ma affonda altresì le sue radici in dinamiche che si possono definire esistenziali. In secondo luogo il lavoro passa ad affrontare un aspetto più particolare, vale a dire la questione della dicotomia tra il giudizio profondamente critico su Virgilio come poeta cortigiano, che Alfieri formula nel trattato Del principe e delle lettere, e sulla stima più volte dichiarata per l'autore augusteo, sempre considerato maestro di stile, con l'obiettivo di comprendere la ragione per cui il traduttore, legatissimo alla concezione della letteratura come prodotto di un ideale civile, scelga di rendere in italiano i versi di uno scrittore di cui, relativamente all'aspetto etico, mostra di avere la massima disistima. Nel capitolo successivo, quindi, alla luce delle considerazioni esposte nelle parti precedenti, lo studio si sposta sulla versione dell'Eneide, l'analisi della quale viene condotta sul piano retorico e formale e su quello contenutistico insieme, data la natura interdipendente dei due aspetti, e categorizzando le caratteristiche più evidenti del tradurre alfieriano. A ciò si aggiungono la rassegna dei manoscritti contenenti la traduzione, con resoconto e interpretazione delle note autografe, una breve indagine sullo stile e sulla metrica impiegati nel corso dell'opera e la messa a sistema delle osservazioni sulla natura dell'impresa alfieriana rispetto al dibattito teorico settecentesco, che, pur non vedendo lo scrittore piemontese tra i protagonisti, solleva problemi e questioni a cui egli, mediante la pratica, dà risposta. L'ultimo capitolo consiste in una panoramica sull'ampio e articolato tema dell'intertestualità nella versione e chiude, per così dire, il cerchio rispetto a quanto si osserva nel primo capitolo in merito all'apprendistato poetico del traduttore e al suo rapporto con i classici, sia antichi che italiani. Le dinamiche interne ai processi allusivi si definiscono in uno spettro di possibilità che va dalla citazione esplicita, al 4 rimando interno al complesso delle opere alfieriane, fino a quello ad altri autori, in un campo in cui la fedeltà del traduttore a se stesso e la fedeltà a Virgilio convivono in un rapporto dialettico ondivago e comunque funzionale alla resa più conservativa possibile dell'originale. Si è ritenuto, infine, preferibile non addentrarsi nel fiorente dibattito contemporaneo sui problemi teorici della traduzione, che ha generato una vera e propria dilatazione della bibliografia a disposizione. Il presente lavoro non si propone infatti di aggiungere una tessera nel movimentato campo della traduttologia ma, semmai, in quello della critica letteraria. Per questa ragione la maggior parte dei concetti e dei termini impiegati dai teorici risulta inapplicabile ai nostri fini. Ciò che è bene sottolineare in questa sede è che la traduzione, a maggior ragione, come si vedrà, per un autore come Alfieri, implica un rapporto