SCUOLA SUPERIORE PER MEDIATORI LINGUISTICI (Decreto Ministero dell’Università 31/07/2003)

Via P. S. Mancini, 2 – 00196 - Roma

TESI DI DIPLOMA DI MEDIATORE LINGUISTICO

(Curriculum Interprete e Traduttore)

Equipollente ai Diplomi di Laurea rilasciati dalle Università al termine dei Corsi afferenti alla classe delle

LAUREE UNIVERSITARIE IN SCIENZE DELLA MEDIAZIONE LINGUISTICA

La mitologia di Tolkien: storie di anelli ed eroi.

RELATORI: CORRELATORI: prof.ssa Adriana Bisirri prof.ssa Anna Rita Gerardi prof.ssa Olga Colorado Camuñas prof.ssa Claudia Piemonte

CANDIDATA:

Sveva Germani

ANNO ACCADEMICO 2012/2013

La mitologia di Tolkien: storie di anelli ed eroi Sommario

SEZIONE ITALIANA ...... 5 Introduzione ...... 7 Capitolo 1: La genesi di una mitologia ...... 9 1.1 L’uomo dietro il mito ...... 10 1.2 Un’occupazione così pazza! ...... 11 1.3 Una mitologia per l’Inghilterra ...... 12 1.4 Le fonti ...... 15 2. I Popoli di Tolkien ...... 21 2.1 La genesi di Arda e la venuta dei Figli di Ilúvatar ...... 21 2.2 I Primogeniti di Ilúvatar: gli Elfi...... 25 2.2.1 Prima e dopo Tolkien ...... 25 2.2.2 Le fonti ...... 25 2.2.3 Descrizione ...... 27 2.2. I Nani ...... 31 2.2.1 Le fonti ...... 31 2.2.2 Descrizione ...... 32 2.2.3 I figli di Aulë ...... 33 2.3 Gli Uomini...... 36 2.3.1 La tradizione ...... 36 2.3.2 Descrizione ...... 38 2.3.4 Il secondo popolo ...... 39 2.4 Gli hobbit ...... 41 2.4.1 L’ideazione ...... 41 2.4.2 Descrizione ...... 42 2.4.3 Gli hobbit nella Terra di Mezzo ...... 44 2.4.4 Gli hobbit come gli inglesi ...... 44 2.4.5 Bilbo: un mediatore tra antico e moderno ...... 45 2.5 Altre creature ...... 46 3. Le lingue di Arda ...... 49

1 3.1 Un vizio tutt’altro che segreto...... 49 3.2 Alcune regole generali di scrittura e pronuncia ...... 53 3.3 Le lingue elfiche ...... 57 3.4 Il khuzdul ...... 58 3.5 Il linguaggio nero di Mordor ...... 59 3.6 Alcuni esempi dell’uso di lingue e alfabeti nelle opere di Tolkien ...... 60 Conclusione ...... 69 ENGLISH SECTION ...... 71 Introduction ...... 73 Chapter 1: The genesis of a mythology ...... 75 1.1 The man behind the myth ...... 75 1.2 Such a mad hobby! ...... 76 1.3 A mythology for England ...... 77 Chapter 2: The Peoples of Middle-earth ...... 83 2.1 The genesis of Arda and the awakening of the Children of Ilúvatar ...... 83 2.2 Elves ...... 84 2.2.1 Inspiration and references ...... 84 2.2.2 Description ...... 86 2.2.4 The Coming of the elves as narrated in The Silmarillion ...... 86 2.3.1 Inspiration and references ...... 87 2.3.2 Description ...... 88 2.3.3 The Children of Aulë ...... 89 2.4 Men ...... 90 2.4.1 Tradition ...... 90 2.4.2 Description ...... 91 2.4.3 The Second People ...... 91 2.5 Hobbits ...... 93 2.5.1 Creation ...... 93 2.5.2 Description ...... 93 2.5.3 The hobbits of Middle-earth ...... 95 2.5.4 Bilbo: a mediator between ancient and modern times ...... 95 2.5 Other creatures ...... 96 3 The languages of Arda ...... 97

2 3.1 A far from secret vice ...... 97 3.2 General rules of writing and spelling...... 98 3.3 Elvish tongues ...... 101 3.4 Khuzdul ...... 102 3.5 The Black Speech ...... 103 Conclusion ...... 111 PARTE ESPAÑOLA ...... 113 Introducción ...... 115 1. La génesis de una mitología ...... 117 1.1 El hombre detrás del mito ...... 117 1.2 ¡Una afición tan enloquecida! ...... 118 1.3 Una mitología para Inglaterra ...... 119 Capítulo 2: Los Pueblos de la Tierra Media...... 123 2.2 Los Primeros Nacidos: los elfos...... 124 2.2.1 Los elfos antes y después de Tolkien ...... 124 2.2.2 Las fuentes ...... 125 2.2.3 Descripción ...... 126 2.2.4 La llegada de los elfos a Arda ...... 126 2.2 Los enanos ...... 127 2.2.1 Las fuentes ...... 127 2.2.2 Descripción ...... 128 2.2.3 Los hijos de Aulë ...... 129 2.3. Los hombres ...... 130 2.3.1 La tradición ...... 130 2.3.2 Descripción ...... 131 2.3.4 El segundo pueblo ...... 132 2.4 Los Hobbits ...... 133 2.4.1 La ideación ...... 133 2.4.2 Descripción ...... 134 2.4.3 Los Hobbits en la Tierra Media ...... 134 2.4.4. Bilbo: mediador entre antiguo y moderno...... 135 2.5 Otras criaturas ...... 136 Capítulo 3: Las lenguas de Arda ...... 137

3 3.1 Un vicio para nada secreto ...... 137 3.2 Reglas generales de escritura y pronunciación ...... 138 3.3 Las lenguas élficas ...... 142 3.4 El khuzdul...... 143 3.5 La lengua negra de Mordor ...... 144 3.6 Algunos ejemplos de las lenguas y los alfabetos de Tolkien ...... 144 Conclusión ...... 151 Bibliografia ...... 153 Sitografia ...... 155

4 SEZIONE ITALIANA

5

6 Introduzione

Durante tutta la sua vita, John Ronald Reuel Tolkien è stato molte cose: filologo, linguista, storico, professore, poeta, scrittore, artista, marito affettuoso e padre amorevole. Tutti questi aspetti della sua personalità si sono manifestati, in un modo o nell’altro, nella sua più grande creazione: la sua mitologia, il mondo a cui si è dedicato per la prima volta da ragazzo e che ha continuato ad elaborare fino ai suoi ultimi giorni. Il suo ciclo di leggende include gli scritti su Arda e la Terra di Mezzo e si compone di centinaia di storie che l’autore ha più volte revisionato, o addirittura riscritto, nel tentativo di raggiungere la perfezione. A causa del suo atteggiamento critico nei confronti di quanto prodotto nel corso degli anni e dello scetticismo degli editori riguardo il suo immenso lavoro, solo una piccolissima parte del suo vasto Legendarium è stata pubblicata prima della morte dell’autore. La maggior parte dei suoi scritti, incluso Il Silmarillion che rappresenta il fulcro della sua mitologia, è stata revisionata e pubblicata postuma dal figlio Christopher, vicino al padre in ogni passaggio del suo processo creativo.

La mitologia di Tolkien nasce, si sviluppa e cresce attorno alla filologia; è da questa che sono germogliate le sue opere. L’interesse per le lingue e i rapporti che intercorrono tra di esse si era manifestato in lui sin da quando era bambino; questo lo porterà, in età adulta, a comprendere e in alcuni casi a parlare fluentemente numerose lingue di cui non solo aveva studiato le regole grammaticali e di fonetica, ma anche l’evoluzione storica nel contesto dei miti e delle leggende appartenenti a quei popoli. L’elemento linguistico e il successivo interesse per le mitologie antiche gli hanno fornito gli elementi necessari alla creazione di una mitologia originale. In una lettera ha scritto «Cominciai con il linguaggio, mi trovai impegnato ad inventare “leggende” della stessa “atmosfera”».1 Questo acceso interesse per le lingue non poteva che far scaturire in Tolkien il desiderio di crearne di nuove; sono state proprio le sue lingue inventate a far crescere in lui il bisogno di elaborare leggende

1 J.R.R. Tolkien, La realtà in trasparenza: lettere 1914 - 1973, lettera 180.

7 che potessero eguagliare quelle degli antichi popoli scandinavi, che tanto aveva apprezzato. Attorno alle sue lingue, egli ha costruito personaggi, luoghi ed eventi, ricreando quella che, secondo lui, poteva essere l’origine del mondo in cui viviamo. Era fermamente convinto che in ogni mito si nascondesse un fondo di verità. Solo se un autore, nel processo di sub- creazione, riesce a creare un mondo fittizio e allo stesso tempo coerente che esiste in base alle sue leggi, l’incredulità del lettore (non importa se adulto o bambino) sarà sospesa. È questo il processo che l’autore stesso ha definito “l’intima consistenza della realtà”.

8 Capitolo 1: La genesi di una mitologia

Oggi, John Ronald Reuel Tolkien è un autore conosciuto e apprezzato. I suoi libri sono stati tradotti in tutto il mondo e continuano a vendere milioni di copie ogni anno. Sono stati anche trasposti in film di successo che hanno contribuito ad accrescere la fortuna di questo genere a lungo sottovalutato. Ciò nonostante, quando cominciò a scrivere racconti, Tolkien non aspirava al successo: al contrario, la crescente fama sembrava infastidirlo non poco. Ciò che aveva in mente quando per la prima volta scrisse della Terra di Mezzo, era creare una serie di miti e leggende in cui il popolo inglese potesse riconoscersi e che fossero all’altezza delle mitologie di altri Paesi. Nonostante lo scetticismo dei suoi contemporanei nei confronti di un proposito tanto azzardato, continuò a lavorare alla sua mitologia per tutta la vita, creando un mondo e i popoli che lo abitano, scrivendo su di loro centinaia di storie, la maggior parte delle quali pubblicate solo dopo la sua morte. Il mondo di Tolkien rappresenta senza dubbio una delle più complesse e dettagliate creazioni della letteratura contemporanea. Se sia riuscito o meno a donare all’Inghilterra una mitologia non spetta a noi dirlo. Sicuramente, però, è lecito affermare che il suo contributo è stato fondamentale per il genere fantasy, altrimenti considerato letteratura di serie b. Il XX secolo ha rappresentato una svolta nella fortuna di questo genere e indubbiamente Tolkien è stato uno dei suoi rappresentanti più prolifici.

9 1.1 L’uomo dietro il mito

Ronald Tolkien, come lo chiamavano i suoi amici, era un uomo semplice che conduceva una vita tranquilla. Nato in Africa, si trasferì in Inghilterra con la madre e il fratello dopo la morte del padre, avvenuta quando era appena un bambino. Da adulto, ricordando la sua infanzia trascorsa nella campagna inglese di Birmingham, affermò in più occasioni che in quel periodo della sua vita era venuto in contatto con tutti quegli elementi che avrebbero rappresentato la base della sua mitologia. Da bambino, infatti, si era innamorato della natura e aveva cominciato ad interessarsi allo studio delle lingue grazie agli insegnamenti di sua madre. Questi due elementi lo segneranno a vita, influenzando tutte le sue successive scelte e credenze.

Decise quindi di coltivare il suo talento per le lingue e scoprì così di poterne apprendere di nuove con molta facilità. Cominciò anche ad interessarsi alle antiche leggende che in futuro sarebbero state le principali fonti delle sue storie: Beowulf, la Volsungasaga, il Kalevala e molte altre. Allo stesso tempo rimpiangeva enormemente la perdita dell’antica cultura britannica, dimenticata nel tempo e rimpiazzata da tradizioni di altri Paesi. A proposito di queste antiche leggende disse: «Queste ballate mitologiche sono piene di quel primitivo sottobosco che la letteratura europea ha tagliato, ridotto e ridisposto con diversa qualità e pienezza per molti secoli e attraverso differenti popoli. Vorrei che ci fosse restato più materiale a disposizione, e qualcosa, almeno che potesse attribuirsi alla cultura inglese».2 Il desiderio che il suo Paese avesse infine una mitologia propria è stato uno dei principali motivi che lo hanno spinto a scrivere la mitologia che l’Inghilterra non ha mai avuto.

2 H. Carpenter, J.R.R. Tolkien: La biografia, p.93.

10 1.2 Un’occupazione così pazza!

Dopo diversi anni di studi linguistici, il giovane Tolkien cominciò a dedicarsi a quella che più tardi definì: «un’occupazione così pazza!»3. Era rimasto così affascinato da alcune lingue e dal loro suono che voleva crearne una di suo pugno. In quel periodo aveva appena scoperto la lingua finlandese e più tardi descrisse questo evento «come scoprire una cantina ben rifornita, piena di bottiglie di un vino meraviglioso, di qualità e sapore mai assaggiati prima. Quasi mi intossicò».4 Nel 1912, sotto l’influenza di questa lingua appena conosciuta, iniziò a lavorare alla sua lingua inventata che divenne, parafrasando le sue parole, molto simile al Finlandese per la fonetica e la struttura. Molti anni dopo questa lingua sarà conosciuta come , o Alto Elfico.

Negli anni successivi cominciò a scrivere poesie ma i suoi primi lavori non furono così brillanti come ci si sarebbe aspettato, al contrario furono piuttosto deludenti. L’unico componimento degno di nota è una breve poesia intitolata Il viaggio di Eärendel, la stella della sera (in originale The Voyage of Eärendel the Evening Star). Il nome di Eärendel lo aveva trovato per la prima volta all’interno del Crist di Cynewulf e gli era rimasto impresso per la sua «grande bellezza».5 Nella sua poesia, Eärendel era un marinaio che viaggiava per il mondo e Tolkien decise che la lingua che aveva inventato poteva essere la lingua parlata dagli elfi incontrati da Eärendel durante i suoi viaggi. Aveva già scritto diverse poesie in questa lingua inventata e più ci lavorava più si rendeva conto che nessuna lingua può esistere se non vi sono persone che la parlano. Decise di continuare a lavorare sulla sua poesia e di espanderla nel Lay of Eärendel (Lai di Earendel), un’opera composta da diverse poesie che narravano la storia del marinaio e di come, con la sua barca, fosse stato trasformato in una stella. Si può dire che questo

3 J.R.R. Tolkien, La realtà in trasparenza: lettere 1914 - 1973, lettera 4. 4 J.R.R. Tolkien, op. cit., lettera 163. 5 J.R.R. Tolkien, op cit, lettera 297.

11 fu il principio della sua mitologia, il punto in cui la sua passione per le lingue e le leggende antiche si fusero per la prima volta in un’unica composizione.

1.3 Una mitologia per l’Inghilterra

Negli anni successivi il processo creativo di Tolkien fu interrotto dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Si arruolò nell’esercito e fu continuamente trasferito da una base all’altra in attesa di essere spedito al fronte. Dopo alcuni mesi fu mandato in trincea e prese parte a quella che successivamente sarà conosciuta come la battaglia della Somme. Quando cominciava a perdere le speranze in un possibile rimpatrio, fu colpito della febbre da trincea e, dal momento che i sintomi non accennavano a diminuire, fu rimpatriato in Inghilterra senza indugi. Qui venne a sapere che due dei suoi più cari amici erano morti nella stessa battaglia a cui aveva preso parte.

Nonostante tutte le perdite che aveva subito a causa della guerra, sembrava motivato da una nuova forza e soprattutto si sentiva in dovere di onorare l’ultima volontà di G.B. Smith, il suo amico deceduto in guerra, che nella sua ultima lettera gli aveva scritto: «Possa Dio proteggerti e benedirti, mio caro John Ronald, e possa tu raccontare le cose che ho cercato di dire, anche dopo che io non sarò più qui per raccontarle, se questo sarà il mio destino».6 Tolkien avvertiva queste parole come riferite al grande progetto che concepiva da un po’: la creazione di un’intera mitologia, un’impresa che non avrebbe conosciuto eguali nella storia della letteratura. Nonostante le difficoltà comportate da un’impresa simile, era determinato ad andare avanti. Sentiva il bisogno di creare delle storie che gli dessero la possibilità di sviluppare più a fondo le sue lingue e inoltre desiderava dare sfogo alla sua vena poetica, emersa gradualmente già dai primi incontri del TCBS7. Inoltre, era motivato dall’idea di donare all’Inghilterra la mitologia che

6 H. Carpenter, J.R.R. Tolkien: La biografia, p.126. 7 Abbreviazione usata da Tolkien e i suoi amici che stava per Tea Club and Barrovian Society, il nome che avevano dato al loro gruppo fondato ai tempi della King Edward’s school. I membri del TCBS erano soliti incontrarsi periodicamente per condividere tra loro i propri interessi e fu a loro che Tolkien lesse le sue prime poesie.

12 questa terra non aveva mai posseduto. Molti anni dopo scrisse in una lettera al suo editore Milton Waldman: «Non ridere! Ma tanto tempo fa (la mia cresta è avvizzita, da allora) avevo pensato di creare un corpo di leggende più o meno legate che spaziasse dalla vastità di una cosmogonia alla piccola fiaba romantica - le più ampie basate sulle minori in una sfera terrena, le minori rese splendide dallo scenario generale - che io potessi dedicare con semplicità: all'Inghilterra, al mio Paese».8 Di ritorno dalla Francia sentì che era arrivato il momento giusto: si era finalmente riunito con la sua adorata Edith ed era nuovamente circondato dalla campagna inglese che tanto adorava. Persino il suo amico Christopher Wiseman, impegnato ancora al fronte, sentì che si stava preparando a qualcosa di grande, tanto da scrivergli: «Devi cominciare l’epica». E così cominciò. Prese un vecchio quaderno e sulla copertina scrisse, in bella calligrafia, il titolo che aveva scelto per la sua mitologia: Il libro dei racconti perduti. In questo quaderno cominciò a scrivere le storie che in futuro verranno raccolte ne Il Silmarillion. Questa prima bozza raccontava le avventure di Eriol, un marinaio che, esplorando una terra misteriosa, ascolta dai suoi abitanti le antiche leggende che li riguardavano.

La prima storia del Legendarium di Tolkien è la leggenda delle origini dell’universo e la creazione del mondo. Le sue leggende sono ambientate in una terra che chiamò Terra di Mezzo (Middle-earth), quasi una traduzione del nome Midgard, il mondo della mitologia germanica e uno dei nove mondi della mitologia norrena. Alcuni lettori pensavano che si riferisse ad un altro pianeta ma Tolkien affermò più volte che la Terra di Mezzo era la nostra Terra in un periodo immaginario del passato. Le leggende successive si riferiscono alla creazione dei Silmaril, i tre gioielli elfici che danno il nome al libro, il loro furto da parte di Morgoth e le guerre generate dai tentativi di recuperarli.

8 J.R.R. Tolkien, Il Silmarillion, introduzione.

13 Durante tutta la sua vita Tolkien non riuscì a completare Il Silmarillion, dal momento che continuava a revisionarlo e ad aggiungere nuovi elementi alle storie. Ciò nonostante riuscì a pubblicare altre storie ambientate nella Terra di Mezzo, ossia i suoi due romanzi più famosi, Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli. Aveva scritto Lo Hobbit per i suoi figli, perché pensava che avrebbero trovato divertenti le avventure di un personaggio bizzarro come Bilbo Baggins, ma quando il libro fu infine pubblicato ottenne un tale e inaspettato successo che i suoi editori chiesero a Tolkien un seguito delle avventure di Bilbo. Egli provò a presentare per la pubblicazione altre storie che aveva scritto ma nessuna di esse aveva a che fare con gli hobbit, mentre gli editori avevano richiesto specificatamente nuove vicende degli hobbit, dal momento che il pubblico aveva apprezzato così tanto il suo primo romanzo. Quando cominciò a scrivere Il Signore degli Anelli, nel 1937, non aveva idea dell’aspetto finale che avrebbe avuto il suo romanzo. Continuava a scrivere nuovi capitoli fin quando non realizzò che, nella forma definitiva, il libro avrebbe contenuto più di mezzo milione di parole. Quando terminò, nel 1949, fu molto difficile convincere gli editori a prendere in considerazione il suo romanzo per la pubblicazione. La carta in quel periodo era molto costosa e nessuno desiderava rischiare una tale somma di denaro per un libro che era così particolare e insolito. Nonostante l’iniziale riluttanza di Tolkien, gli editori della Allen & Unwin lo convinsero a pubblicare il libro in tre volumi distinti. Sebbene fosse piuttosto costoso per quei tempi, il libro fu un grande successo. Fu tradotto in molte lingue e Tolkien fu spesso invitato a visitare altri Paesi per promuoverlo anche all’estero. Tuttavia raramente accettò gli inviti in quanto, ora che era diventato uno scrittore affermato e di successo, la Allen & Unwin sembrava finalmente intenzionata a pubblicare la sua mitologia ed egli non aveva ancora completato Il Silmarillion.

La vecchiaia e gli acciacchi, sommati ai numerosi saggi di filologia che aveva promesso di scrivere, rallentarono ulteriormente la conclusione e la revisione de Il Silmarillion e, quando sentì di non poter riuscire a completare il lavoro

14 da solo, Tolkien istruì suo figlio Christopher affinché fosse in grado di revisionare il libro e pubblicarlo dopo la sua morte. Tra i figli di Tolkien, Christopher fu senza dubbio quello più attento e interessato al lavoro del Professore: lo aveva sempre aiutato a disegnare le mappe per il suo complesso mondo e ascoltava sempre ogni pagina scritta dal padre prima che fosse pubblicata. Dopo la morte di Tolkien, Christopher riuscì a pubblicare Il Silmarillion (nel 1977) e raccolse il resto delle storie di suo padre sulla Terra di Mezzo nel volume Racconti incompiuti di Númenor e la Terra di Mezzo, pubblicato nel 1980, e nei dodici volumi de la History of Middle-earth (Storia della Terra di Mezzo), pubblicati tra il 1983 e il 1996. Altri lavori furono revisionati e pubblicati negli anni successivi.

Grazie al lavoro di suoi figlio, la mitologia di Tolkien fu finalmente completata e pubblicata. Il successo delle sue opere fu imprevedibile e oggi è considerato uno degli scrittori più importanti del XX secolo. Egli riuscì dove nessun altro scrittore aveva osato avventurarsi: creò un mondo fittizio con una complessa e intricata rete di leggende, completo di popoli fantastici e lingue originali che lo rendono verosimile sotto ogni aspetto. È certo che le sue storie saranno ancora lette e apprezzate per molti anni a venire.

1.4 Le fonti

Analizzando alcuni degli episodi mitologici già menzionati come principali fonti di ispirazione nel processo creativo di Tolkien, anche il lettore meno esperto sarà in grado di notare numerose somiglianze, più o meno velate, tra il corpus di leggende tolkeniano e questi più antichi racconti. Ad esempio nella mitologia norrena, che Tolkien aveva molto apprezzato da ragazzo, sono presenti numerosi elementi che il Professore ha rivisitato e rimodellato adattandoli alle esigenze dei suoi personaggi. Innanzitutto, è fondamentale sottolineare come, nelle leggende vichinghe, traspaia l’importanza che questi popoli attribuivano al simbolo dell’anello. Il culto dell’anello era già molto diffuso in culture più antiche ma furono proprio i popoli scandinavi a farne il

15 centro della loro identità culturale. Tutti i successivi racconti incentrati sulla ricerca dell’anello, tra cui gli stessi romanzi di Tolkien, devono molto a questa mitologia. Gli anelli della mitologia norrena, come successivamente lo saranno quelli di Tolkien, sono oggetti magici forgiati dagli elfi, simboli di forza, di gloria e di potere per antonomasia e finiscono spesso per segnare inesorabilmente il destino dei loro portatori. Non a caso nella mitologia norrena il dōmhring (letteralmente “anello del destino”) era il circolo di pietre che delimitava le corti di giustizia e nella mitologia di Tolkien appare un elemento simile, il Máhanaxar (anche in questo caso “anello del destino”) il luogo dove i Valar, le potenze del Mondo, si riunivano in consiglio. Per quanto riguarda l’aspetto cosmogonico, sebbene il mondo di Tolkien sia meno complesso dell’universo norreno e differisca da esso dal punto di vista morale e filosofico, presenta con questo delle somiglianze sostanziali e ne racchiude le caratteristiche principali. L’universo della mitologia norrena è composto da nove mondi, uno dei quali è Midgard, corrispondente al nostro mondo, parola che Tolkien ha tradotto letteralmente in

inglese creando la sua Middle- Yggdrasill, l’albero che sorregge i nove mondi della mitologia norrena. earth (Terra di Mezzo). Si può dire che gli altri mondi della mitologia norrena siano stati trasposti da Tolkien in altre zone di Arda, il Mondo. Sia nella mitologia norrena sia nel Legendarium tolkeniano, gli dei (nel caso di Tolkien i Valar) vivono in aree remote e separate dalle terre dei mortali: nella mitologia norrena vivono su un altro dei nove pianeti, Asgard; in quella tolkeniana risiedono ad Aman, il continente che ospita il Reame Beato. In entrambi i casi, questi regni non

16 sono raggiungibili dai mortali se non attraverso un unico passaggio: il Bifrost, il ponte dell’arcobaleno, che collega Midgard ad Asgard nella mitologia norrena, e la Strada Dritta che collega Arda ad Aman nell’universo inventato da Tolkien. Nella mitologia norrena, gli dei di potenza inferiore, i Vani, abitano in un mondo chiamato Vanaheim e hanno caratteristiche simili ai Valar di Tolkien nelle loro prime manifestazioni come spiriti originari. I mondi di Álfheimr e Svartálfaheimr nell’universo norreno sono abitati rispettivamente da elfi chiari ed elfi scuri, creature presenti anche nel mondo di Tolkien, mentre il mondo di Nidavellir è il regno sotterraneo dei nani, a cui Tolkien si ispirerà per i suoi nani e i loro reami sotterranei. Altri due mondi della mitologia norrena sono Jötunheimr, dimora dei giganti di pietra e di ghiaccio, con caratteristiche simili ai troll delle pietre e ai troll delle nevi di Arda, e Múspellsheimr, dimora dei giganti di fuoco, personificazioni delle forze vulcaniche sotterranee e apparentemente inarrestabili, molto simili ai balrog, demoni di fuoco causa di rovina e distruzione nella Terra di Mezzo. L’ultimo dei mondi della mitologia norrena è Niflheimr, il regno dei morti, dimora di Hel, dea degli inferi e figlia del dio Loki, il cui ingresso è custodito dal terribile segugio Garm. Le caratteristiche di questo regno sono molto simili al regno di Melkor, la cui fortezza era vigilata dal temibile lupo Carcharoth.

Una figura importante nella mitologia norrena, a cui certamente Tolkien si è ispirato per i suoi personaggi, è Odino, il padre di tutti gli dei. Egli è il perfetto rappresentante della cultura norrena, priva di quella moralità che invece caratterizza il mondo di Tolkien e i suoi personaggi. Il personaggio di Odino è di per sé ambivalente: egli racchiude in sé aspetti moralmente conflittuali che rispecchiano le caratteristiche del suo mondo. Nel mondo di Tolkien, in cui le forze del bene e del male sono sempre inequivocabilmente opposte, un personaggio simile non trova posto. Tuttavia è interessante notare come gli aspetti conflittuali della personalità di Odino si riflettano nei personaggi che rappresentano questi due estremi, il mago Gandalf e Sauron, il Signore Oscuro. Come Odino, Gandalf è caratterizzato da una profonda saggezza.

17 Anch’egli come il dio asgardiano è sottoposto ad una serie di prove che riuscirà a superare solo grazie alla sua enorme forza di volontà. Entrambi sono in grado di leggere le rune e sono dotati di capacità curative. Allo stesso tempo, però, Odino può essere paragonato a Sauron, in quanto si può definire un vero e proprio “Signore degli Anelli”. Infatti, secondo le leggende, Odino era ossessionato dalla ricerca di un anello, Draupnir, che gli avrebbe garantito il dominio sui nove mondi. Questo incredibile gioiello, il cui nome significa “che gocciola”, era in grado di generare ogni nove giorni altri otto anelli e rappresentava una fonte di ricchezza assoluta. Grazie agli anelli generati da Draupnir, che Odino aveva donato agli altri otto mondi, questi era in grado di governarli. In questo caso non è difficile notare l’analogia con l’Anello Unico di Sauron e gli anelli che questi donò ad elfi, uomini e nani col fine di assoggettare e governare i loro popoli.

Anche gli eroi della Terra di Mezzo hanno degli antenati nelle antiche mitologie. In particolare, l’analogia che risulta più evidente è quella tra Aragorn, tra i protagonisti de Il Signore degli Anelli, Sigurd il Volsungo e Artù del Ciclo arturiano. Questi personaggi, seppur appartenenti a culture del tutto differenti, presentano schemi narrativi simili. I tre eroi sono orfani ed eredi legittimi di re periti in battaglia. Essi sono discendenti di nobili stirpi ma sono stati privati dei loro reami che dovranno riconquistare. Costretti ad allontanarsi dalla loro terra d’origine, tutti e tre vengono allevati segretamente da un genitore adottivo: Aragorn viene allevato da Re Elrond a Gran Burrone, Sigurd cresce nella corte di Re Hjalprek e Artù nel castello di Sir Ector. Le grandiose imprese, richiedenti forza e abilità, che questi tre eroi compiono fin da giovani, lasciano presagire il loro glorioso futuro. Aragorn, Sigurd e Artù si innamorano in gioventù di bellissime fanciulle e dovranno superare numerose sfide prima di riuscire a ricongiungersi con loro. Arwen, Brunilde e Ginevra rappresentano il modello dell’eroina tragica: infatti, prima della conclusione delle loro avventure, Arwen rinuncia alla sua immortalità per amore di Aragorn, Brunilde perde i suoi poteri di valchiria e si suicida, Ginevra si ritira in un convento dove muore. Un altro punto di contatto tra le

18 vicende dei tre eroi è l’eredità della spada, cruciale per i loro destini. Sia Aragorn sia Sigurd ricevono in eredità una spada possente che è però spezzata: Andúril, la spada di Aragorn, fu spezzata durante il duello finale tra il suo antenato Elendil, e Sauron; Gram, la lama di Sigurd, si frantumò in un duello tra suo padre Sigmund e Odino. Entrambi gli eroi non potranno riconquistare i loro regni perduti finché le loro spade non saranno state riforgiate. Anche la spada di Artù, descritta come apparentemente indistruttibile, finirà col frantumarsi.

I frammenti della spada di Aragorn nella trilogia cinematografica di Peter Jackson.

Questi sono solo alcuni degli aspetti che accomunano il mondo creato da Tolkien alle antiche leggende tanto apprezzate in gioventù. Non va dimenticato, però, che l’universo tolkeniano nel suo complesso è dotato di una struttura del tutto originale e appare governato da regole proprie, frutto delle credenze e delle esperienze maturate dall’autore in età adulta, le quali hanno trovato libero sfogo nella sua vena creativa.

19

20 2. I Popoli di Tolkien

2.1 La genesi di Arda e la venuta dei Figli di Ilúvatar

Il mondo di Tolkien è caratterizzato da una moltitudine di razze diverse, ognuna con la propria storia e la propria cultura, che si trovano ad interagire nei due romanzi principali dell’autore (Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli). La genesi di questi popoli è narrata per lo più all’interno de Il Silmarillion, il quale raccoglie il frutto di sessant’anni di lavoro sulla Terra di Mezzo, iniziato molto prima della pubblicazione de Lo Hobbit. Tolkien rifiutò sempre la pubblicazione di quest’opera, ritenendola incompleta, e vi continuò a lavorare fino a poco prima della sua morte. I racconti a cui per tutta la vita aveva dedicato tempo ed energie furono quindi selezionati dal figlio Christopher e raccolti ne Il Silmarillion (pubblicato postumo nel 1977) e nei dodici volumi che compongono la History of Middle-earth. Il Silmarillion e i racconti ad esso correlati volevano essere una narrazione della genesi del Mondo e della nascita delle razze che lo popolano, nonché delle prime due ere del Mondo che precedono gli eventi narrati ne Lo Hobbit e ne Il Signore degli Anelli, ambientati entrambi alla Terza Era.

In questo capitolo analizzerò nello specifico queste razze, la loro genesi e il loro ruolo nelle vicende della Terra di Mezzo. Tuttavia, prima di scendere nei dettagli della loro creazione, è necessario aprire una breve parentesi circa gli eventi che hanno caratterizzato la genesi di Arda (il Mondo) da parte di Ilúvatar.

«Esisteva Eru, l’Unico, che in Arda è chiamato Ilúvatar; ed egli creò per primi gli Ainur, Coloro che sono santi, progenie del proprio pensiero, ed essi erano con lui prima che ogni altra cosa fosse creata.»

Con questo incipit dal tono biblico si apre la prima sezione de Il Silmarillion : La Musica degli Ainur (in elfico Quenya: Ainulindalë). Questo primo episodio

21 rappresenta il fulcro della cosmogonia tolkeniana, la cui eco è percepibile attraverso l’opera omnia dell’autore. Esso rappresenta il mito della creazione di Arda per volontà di Eru Ilúvatar, il Creatore. Questi compone un tema da cui gli Ainur, i primi spiriti immortali, dovranno trarre una «Grande Musica». Da questa musica celestiale gli Ainur generano il Mondo, e Ilúvatar mostra loro una visione di ciò che sarà e della venuta dei suoi Figli. Incantati da questa visione, gli Ainur decidono di lasciare Ilúvatar e discendere in Arda, dedicando la loro potenza e la loro intera esistenza al Mondo. Da questo momento assumono il nome di Valar, le Potenze del Mondo. Ma ciò che si presenta ai loro occhi è ben diverso da ciò che avevano veduto nelle Aule senza Tempo di Ilúvatar: il Mondo infatti non era che al suo principio. I Valar capiscono che devono adoperarsi per realizzare la visione di Ilúvatar, in attesa della venuta dei suoi Figli. Quindi assumono «forma e colore», imitando le fattezze dei Figli di Ilúvatar, poiché erano stati attratti nel Mondo dall’amore per essi. I Valar creano le stelle, innalzano i monti, modellano le rocce e creano tutte le materie di cui è composto il Mondo. Melkor, che tra loro spicca per potenza e ambizione, vorrebbe discostarsi dal disegno di Ilúvatar e fare di Arda il proprio regno, ponendosi sullo stesso piano di Ilúvatar. Per questo verrà allontanato dal resto dei Valar e si rifugerà nelle zone più remote di Arda. Da questo evento avrà inizio il lungo conflitto tra i Valar e Melkor, il quale tenterà di distruggere ogni cosa da loro creata al fine di assoggettare i Figli di Ilúvatar.

22 Varda e Manwe impegnati nella creazione del mondo.

La genesi di Arda è forse l’unico riferimento esplicito alla religione Cattolica all’interno delle opere di Tolkien. Infatti, è molto facile identificare Eru Ilúvatar con il Dio cristiano e associare gli Ainur ad una sorta di creature angeliche incaricate di realizzare la volontà del creatore. Altrettanto evidente è l’analogia tra Melkor e Lucifero, entrambi rei di volersi ergere al di sopra del creatore e per questo puniti con la cacciata rispettivamente da Aman, il Paese Beato dove risiedono i Valar, e dal Paradiso.

I Valar discesi in Arda sono sette, e altrettante sono le Valier, le Regine dei Valar. In Arda discesero anche numerosi spiriti minori che presero il nome di Maiar. È facile dedurre che per la caratterizzazione di alcuni di loro Tolkien si sia basato sulle divinità della mitologia greca. Il più potente dei Valar è Manwë, fratello di Melkor, che al pari del suo corrispettivo greco (Zeus) è il sovrano dei Valar e il «signore del dominio di Arda». Egli dimora inizialmente sul Taniquetil, il monte più alto di Arda, paragonabile al monte Olimpo. Altri Valar che possono essere accomunati alle divinità greche sono: Ulmo, «Signore delle Acque», come per i greci lo era Poseidone; Aulë, signore di tutte le sostanze e fabbro dei Valar, paragonabile ad Efesto; Mandos, il «custode delle Case dei Morti», compito che nella mitologia greca spetta ad Ade.

23 Tuttavia, contrariamente a quanto avviene nella mitologia greca in cui gli dei sostanzialmente non rispondono ad una forza maggiore, i Valar sono sottoposti ad Ilúvatar, il Padre di Tutto. Seppur potenti e maestosi, essi non agiscono secondo la propria volontà ma sono meri esecutori del disegno divino di Eru. Inoltre, a differenza delle divinità greche, i Valar, con l’eccezione di Melkor, appaiono incorruttibili e al di sopra delle vicende degli elfi e degli uomini, in cui si immischiano raramente.

Abbiamo visto come Tolkien abbia preso spunto dalla religione Cattolica per descrivere il mito della creazione di Arda e dalla mitologia greca per la caratterizzazione dei Valar e dei Maiar. Parleremo ora delle razze che popolano la Terra di Mezzo, analizzando le fonti che l’autore aveva a disposizione e il meticoloso processo creativo che ha portato alla loro completa maturazione. Affronteremo questo percorso con l’ausilio delle parole dell’autore e i disegni di Alan Lee, suo illustratore ufficiale, nonché delle immagini dei film di Peter Jackson tratti dalle opere di Tolkien.

24 2.2 I Primogeniti di Ilúvatar: gli Elfi.

2.2.1 Prima e dopo Tolkien

Oggi il genere fantasy è un genere affermato e molto popolare. Per questo, quando si parla di elfi, quasi tutti tendiamo ad immaginare creature di statura e bellezza superiori alla media, dotate di straordinarie capacità, che vivono principalmente a contatto con la natura. Quello che non tutti sanno, però, è che questa immagine degli elfi, ormai ricorrente nell’immaginario collettivo, deriva proprio dalle opere di Tolkien e da quelle che sono state le sue fonti principali. Molto spesso in passato gli elfi venivano erroneamente confusi con gnomi, nani, folletti e altre creature di ogni tipo. Nel suo saggio Sulle Fiabe (On Fairy-Stories) Tolkien analizza l’etimologia e l’uso delle parole fata ed elfo (nella letteratura moderna usate come sinonimi) e nota con dispiacere che questi due nomi venivano spesso e volentieri accostati a creature sovrannaturali e di minuscola statura. Per Tolkien questa definizione è poco convincente in quanto difficilmente il termine sovrannaturale può essere applicato a creature fatate: l’uomo potrebbe essere definito sovrannaturale, ma non certo gli elfi o le fate che «sono naturali, molto più naturali di lui». La minuscola statura, invece, sarebbe secondo Tolkien una mera invenzione letteraria, probabilmente causata dall’interesse innato del popolo britannico nei confronti di tutto ciò che è delicato o grazioso. Dal canto suo afferma di aver sempre detestato «quella lunga sequela di fatine dei fiori e di spiritelli svolazzanti dotati di antenne» che annovera i protagonisti di Sogno di Una Notte di Mezza Estate di William Shakespeare e del poema Nymphidia di Michael Drayton.

2.2.2 Le fonti

Per dare vita ai suoi elfi, Tolkien, grande conoscitore della storia britannica antica e delle culture nordiche, aveva a disposizione numerose fonti tra cui

25 ricercarne la vera natura. Innanzitutto notò che la parola ælf era già presente nell’inglese antico ed era riconducibile alla parola norrena álfr, all’alto tedesco antico alp e, se fosse giunta ai giorni nostri, al gotico *albs. È importante notare la diffusione della parola nello spazio e nel tempo, a testimoniare quanto queste misteriose creature fossero radicate all’interno di ogni cultura, tanto da risalire alle epoche in cui gli antenati dei britannici, dei tedeschi e dei norvegesi parlavano la stessa lingua. All’interno della cultura anglosassone si trovano riferimenti agli elfi nel poema epico Beowulf e nel romanzo allitterativo Sir Gawain e il Cavaliere Verde, entrambi ben noti a Tolkien in quanto autore di un saggio critico sul primo e di una traduzione in inglese moderno del secondo. Nel poema di Beowulf gli elfi (ylfe) vengono fatti discendere dalla stirpe di Caino, invece nel romanzo di Sir Gawain il gigantesco cavaliere verde armato di ascia viene descritto come un aluish mon, una creatura misteriosa. Anche da ciò si deduce quanto poco si conoscessero gli elfi: da queste descrizioni è chiaro che non si sapeva se classificarli come creature benigne o maligne. L’autore di Beowulf li fa discendere da Caino, il primo assassino, mentre in Sir Gawain alla fine il gigante si rivela essere innocuo. Affiancata al timore nei confronti di queste creature vi è anche una certa attrazione. Infatti un comune aggettivo per una donna anglosassone era ælfscýne, ‘dalla bellezza elfica’, mentre gli islandesi erano soliti dire fríð sem álfkona, ‘bella come un elfo’. Testimonianze del fascino degli elfi si possono riscontrare nella Ballata di Tommaso il Rimatore e nel lai bretone Sir Launfal; i protagonisti di entrambe le storie, infatti, si infatuano perdutamente di due donne “della Terra degli Elfi”. Gli elfi di Tolkien non appartengono in senso stretto a nessuna delle due categorie: in essi le forze del bene e del male si equilibrano, sicché solo in questo modo possono acquisire una vera profondità letteraria. Non va dimenticato un fattore di particolare rilevanza all’interno del processo creativo di Tolkien, ovvero la potenza evocativa delle immagini letterarie. Tra le innumerevoli fonti che aveva a disposizione, teneva in gran considerazione quei racconti, poesie, frammenti, singole frasi, capaci di evocare nella sua

26 mente quelle visioni che rappresenteranno poi la fonte di ispirazione principale per la creazione dei suoi personaggi. Nel caso degli elfi, la scintilla che ha messo in moto il processo creativo è rappresentata dall’emblematica descrizione del Re degli Elfi durante la caccia nel poema narrativo del XIV secolo Sir Orfeo. Il poema è una rivisitazione della leggenda di Orfeo e Euridice, ma il suo autore ha apportato due modifiche sostanziali alla leggenda classica: il regno dei morti in cui Orfeo si avventura per salvare Euridice nel Sir Orfeo viene trasformato nella Terra degli Elfi e la vicenda, che nella storia originale ha un esito negativo, nel poema del XIV secolo si conclude con un lieto fine, in quanto Sir Orfeo riesce ad avere ragione del Re degli Elfi, rimasto affascinato dalla sua musica. Le scena di questo poema che più ha colpito Tolkien è quella del Re degli Elfi che si reca a caccia nei boschi, accompagnato dal suono dei corni del suo esercito e da numerose dame dotate di un passo leggero ed elegante. L’eco dei corni, il passo delicato attraverso i boschi, l’amore per la musica: sono tutte caratteristiche attribuite da Tolkien ai suoi elfi, insistendo soprattutto sul rapporto con la natura, un’idea che ha preso forma nella mente del Professore grazie alle numerose parole presenti nella lingua anglosassone che accostavano gli elfi alle foreste, al mare e all’acqua in generale.

2.2.3 Descrizione

Gli elfi sono descritti come creature di bell’aspetto e, come già detto, superano gli uomini in altezza e in forza fisica. Essi inoltre sono dotati di sensi molto acuti che permettono loro di muoversi agilmente e di percepire con largo anticipo l’avvicinarsi dei nemici. La caratteristica propria di questa razza è l’immortalità (da non confondersi con la longevità dei nani e dei Dúnedain). Gli Eldar, come verranno chiamati in seguito, non subiscono gli effetti della vecchiaia ma possono morire di morte violenta o se decidono di rinunciare alla propria immortalità per amore di un umano.

27 Gli elfi sono amanti della musica e delle arti e molti di loro si dedicano con passione alla creazione di manufatti di ogni sorta. Ciò nonostante sono anche abili combattenti (fanno uso soprattutto di archi e di spade) e guaritori.

Una scena de Il Signore degli Anelli illustrata da Alan Lee.

28 2.2.4 La venuta degli elfi

I primi elfi si destarono in Arda proprio nei pressi del lago Cuiviénen, ‘l’ Acqua del Risveglio’, e qui furono trovati da Oromë, il Vala signore della caccia. La leggenda narra che gli elfi si destarono proprio mentre Varda, la maggiore delle Valier (successivamente chiamata Elentári, Regina delle Stelle) sospendeva in aria la costellazione della Valacirca, la Falce dei Valar. I loro occhi videro per prima cosa le stelle del cielo e per questo hanno sempre amato la luce delle stelle e venerato Varda Elentári sopra tutti i Valar. Essi dimorarono a lungo presso le sponde del lago Cuiviénen e da lì cominciarono ad esplorare il mondo, dando un nome a tutto ciò che incontrarono. Chiamarono loro stessi Quendi, coloro che parlano con voci, poiché fino all’arrivo di Oromë non avevano incontrato altre creature in grado di parlare. Oromë annunciò agli altri Valar la venuta dei Primogeniti di Ilúvatar e gli elfi furono così convocati al cospetto dei Valar. Ma molti di loro erano restii a mettersi in marcia, in quanto avevano conosciuto i Valar solo nella collera, durante la lunga battaglia con Melkor. Quindi Oromë scelse tra loro degli ambasciatori (Ingwë, Finwë ed Elwë che in seguito divennero re) e li condusse a Valinor. Quando vi giunsero furono colmi di gioia e meraviglia di fronte alla grandezza dei Valar. Tornati sulle sponde del Cuiviénen, convinsero il proprio popolo a trasferirsi a Valinor. Non tutti gli elfi però vollero trasferirsi a Valinor. Ebbe così luogo la prima scissione degli elfi: coloro che decisero di intraprendere la lunga marcia vennero conosciuti per sempre con il nome di Eldar, il Popolo delle Stelle, mentre coloro che rimasero presero il nome di Avari, i Riluttanti. La prima schiera di elfi a mettersi in marcia fu il popolo di Ingwë, il signore supremo di tutti gli elfi. Costoro erano i Vanyar, gli elfi chiari, dal colore dei loro capelli. La seconda schiera fu quella del popolo di Finwë, i Noldor, detti gli Elfi Profondi, il cui nome significa i Sapienti. Infine si mosse la schiera più numerosa, quella dei Teleri, guidati da Elwë Singollo e da suo fratello Olwë. La schiera dei Teleri si scisse nuovamente in tre gruppi: i Falmari, gli Elfi del

29 Mare, che infine lasciarono la Terra di Mezzo e giunsero nell’Occidente; i Sindar, gli Elfi Grigi, i quali si stabilirono nella regione del Beleriand; i Nandor, coloro che tornano sui propri passi, che si rifiutarono di completare il viaggio verso Valinor.

Questa è la narrazione degli eventi immediatamente successivi al risveglio degli elfi nella Prima Era del Mondo. Nelle Ere successive le loro vicende si intersecheranno con le vicende delle altre razze della Terra di Mezzo. Tuttavia, col passare del tempo, la maggior parte degli elfi si trasferirà ad Aman e durante la Terza Era (il periodo in cui è ambientato Il Signore degli Anelli) e la Quarta Era gli insediamenti degli elfi nella Terra di Mezzo diminuiranno ulteriormente lasciando spazio ai regni degli uomini.

30 2.2. I Nani

2.2.1 Le fonti

Nel periodo in cui scrisse Tolkien i nani erano stati già protagonisti di numerosi episodi della mitologia di altri popoli (ad esempio la mitologia norrena o la mitologia germanica) e in alcune fiabe, soprattutto dei fratelli Grimm. La parola inglese dwarves9, nani, era presente con la stessa accezione in inglese antico (dweorth), in lingua norrena (dvergr), in alto tedesco antico (twerg) e in gotico (dvairgs). Si può quindi affermare che nel delineare le caratteristiche di questa razza Tolkien si sia ispirato soprattutto alle fonti sopracitate. I nani di queste leggende erano associati soprattutto ai luoghi sotterranei e all’estrazione di pietre e metalli10. Non va dimenticato che le armi e i monili più potenti appartenuti alle divinità nordiche sono opera dei nani: basti pensare a Mjöllnir, l’invincibile martello di Thor, alla lancia Gungnir e all’anello Drupnir, appartenenti al sovrano degli dei, Odino. Il più celebre tra i nani della mitologia norrena è Andvari, costretto dal dio Loki a cedergli tutto il suo oro, incluso un potentissimo anello. Il nano getta una maledizione sull’anello e su chiunque lo possederà; da questa maledizione si sviluppano le vicende della Völsungasaga, saga islandese del XIII secolo, e della versione germanica dello stesso periodo, il Nibelungenlied. Da queste leggende emergono altre caratteristiche che diventeranno proprie dei nani nei secoli successivi, riportate anche nelle fiabe dei fratelli Grimm (si veda soprattutto Biancaneve e Rosarossa): il loro carattere scontroso e tendente alle dispute, la loro avarizia (soprattutto quando si parla di oro e altri metalli preziosi) e la loro ingratitudine.

9 Tolkien specificò che il suo utilizzo di questa forma del plurale piuttosto che la forma corretta dwarfs era da considerarsi una pessima svista grammaticale, soprattutto per un filologo. Tuttavia preferì questa forma a quella ufficiale e fece ristampare le prime copie dei suoi libri in cui questa ed altre parole erano state modificate dai revisori. 10 Il legame con la pietra è stato menzionato per la prima volta nel poema norreno Völuspá mentre il primo riferimento all’abitudine di vivere in luoghi sotterranei si ha nell’Edda di Snorri.

31 Terminata l’epoca vichinga i nani, così come gli elfi, cessarono di avere un ruolo centrale all’interno della mitologia e sopravvissero per lo più all’interno del folklore e delle fiabe. In questo contesto persero molte di quelle che erano le caratteristiche della propria specie, venendo spesso sostituiti da gnomi e folletti dal carattere capriccioso. Si può dire che grazie a Tolkien e alla ripresa del genere fantasy nel XX secolo, i nani tornarono a rivestire ruoli importanti nella letteratura di questo filone. Egli ha conferito ai suoi nani una nuova rispettabilità e soprattutto, cosa che come già detto gli stava particolarmente a cuore, una certa profondità, data dall’insieme di storia, tradizioni, cultura e linguaggio. I suoi nani tornarono a dedicarsi all’estrazione di pietre e metalli e alla forgiatura di armi, armature e monili di grandissimo pregio. Molti di essi, ad esempio i tredici nani che si presentano a casa di Bilbo nel primo capitolo de Lo Hobbit, prendono il nome da un’importante raccolta di miti norreni, l’Edda poetica, che dedica un’intera sezione all’elencazione dei nomi dei nani. Da questa derivano i nomi di Dwalin, Kili, Fili, Dori, Nori, Ori, Oin, Gloin, Bifur, Bofur, Bombur e Thorin (nell’Edda Dvalinn, Kili, Fili, Dóri, Nóri, Óri, Óinn, Glóinn, Bífurr, Báfurr, Bömburr e Þorinn). L’unico nome che Tokien inventò in questa occasione è quello di Balin. Anche nell’appellativo di Thorin, “Scudodiquercia”, c’è un chiaro riferimento all’Edda: infatti il nome di uno dei nani di questo poema, Eikinskjaldi, è la traduzione letterale dell’appellativo di Thorin. Ciò nonostante vi è un’importante differenza tra le antiche leggende e i nani che popolano la Terra di Mezzo: questi ultimi infatti sono privi dell’aspetto sovrannaturale che caratterizzava i nani delle leggende nordiche e sono alla pari delle altre razze.

2.2.2 Descrizione

Fisicamente i nani si presentano come creature umanoidi. Tuttavia sono più bassi degli uomini (con un’altezza media che oscilla tra i 140 e i 160 cm) ma più tozzi, tanto che possono arrivare a pesare anche più di un uomo adulto. Tutti i nani sono caratterizzati da una folta barba di cui vanno molto fieri.

32 Come gli uomini e gli hobbit, sono creature mortali, ma coloro che non periscono sui campi di battaglia possono vivere molto a lungo, quasi fino a trecento anni. Il più longevo tra i nani fu il leggendario Durin, detto il Senza- morte, il più anziano dei Sette Padri dei nani. La razza dei nani si riproduce molto lentamente; solo un terzo della sua popolazione è composto da nani femmina: queste erano solite avere una lunga barba, fatto che ha portato molti uomini a pensare che non ci fossero femmine tra i nani. Oltre all’arte della guerra, in cui sono molto abili e sempre si sono distinti, i nani, come da tradizione, dedicano in tempi di pace gran parte delle loro vite alla lavorazione di minerali e metalli preziosi, dai quali ricavano oggetti di grande valore. Essi sono anche ottimi artigiani e costruttori. Ai nani di Tolkien però non mancano le caratteristiche che furono sempre proprie di questa razza: l’avarizia e, in alcuni casi, l’opportunismo. Sono infatti molto permalosi e tendono a covare rancore per lunghissimo tempo. Per questo motivo storicamente i nani non andarono mai molto d’accordo con gli elfi, mentre intrattennero sempre ottimi rapporti, soprattutto di natura commerciale, con gli uomini. Nonostante ciò non si possono definire creature malvagie e nelle numerose battaglie combattute contro Morgoth e i suoi servi si sono sempre schierati dalla parte del bene.

2.2.3 I figli di Aulë

I nani non fanno parte dei figli di Ilúvatar e non erano presenti nel disegno del mondo che egli aveva immaginato. Essi infatti furono creati di nascosto da Aulë, il Vala, impaziente per l’arrivo dei figli di Ilúvatar e desideroso di insegnare la sua arte di fabbro a creature in grado di apprenderla. Accadde però che Ilúvatar lo scoprì e lo rimproverò in quanto ai Valar era concesso solo il potere di ordinare quanto creato da Ilúvatar e non di creare a loro volta. Ciò nonostante Ilúvatar concesse ad Aulë di lasciar vivere le sue creature, a patto che esse cadessero in un sonno profondo per poi risvegliarsi dopo la venuta dei suoi Primogeniti.

33 Non si sa molto di come si svegliarono i nani e in che luogo essi furono rinvenuti. I primi testimoni della loro presenza furono gli Elfi Grigi, guidati da Elu Thingol, che li chiamarono, nella loro lingua, Naugrim, il Popolo Rachitico. I primi rapporti tra questi due popoli furono pacifici e molto prolifici. Entrambi avevano molto da imparare l’uno dall’altro: gli elfi appresero dai nani l’arte di lavorare il metallo e la pietra ed edificarono, congiuntamente, la possente dimora di re Thingol, Menegroth; i nani, d’altro canto, appresero dagli elfi le rune e ricevettero numerosi doni. Essi appresero anche il , l’idioma degli Elfi Grigi, e lo parlavano fluentemente, mentre furono sempre restii ad insegnare la propria lingua agli elfi e addirittura a parlarla in loro presenza.

Una scena de Lo Hobbit illustrata da Alan Lee. 34 Sappiamo che Aulë creò i Sette Padri dei nani ma soltanto di una stirpe derivata da questi abbiamo notizia: la stirpe di Durin. Come già detto egli visse tanto a lungo da essere soprannominato il Senza-morte e per altre cinque volte nacque nella sua discendenza un erede talmente simile a lui da meritare il suo nome. Durante la Prima Era, Durin e la sua stirpe fondarono Khazad-dûm, la dimora dei nani sulle Montagne Nebbiose, conosciuta successivamente come Moria, che prosperò fino a diventare il più importante regno dei nani. Durante la loro permanenza a Moria i nani scavarono a lungo alla ricerca del mithril, un metallo dal valore inestimabile da cui essi ricavavano delle cotte di maglia imperforabili. Con la Terza Era cominciò il declino di Khazad-dûm. Scavando nelle profondità delle montagne i nani risvegliarono un demone di fuoco, un Balrog di Morgoth, fuggito precedentemente dalla sua dimora, Thangorodrim, e rifugiatosi nelle viscere della terra. Il Balrog uccise Durin e l’anno seguente suo figlio Nain I, segnando così la caduta di Moria e costringendo il resto dei nani a fuggire. Molti fuggirono nelle viscere di Erebor, la Montagna Solitaria, al limitare di Bosco Atro, e fondarono la città di Dale. Qui radunarono un grande tesoro e rinvennero un potente gioiello, l’Arkengemma. Quella zona era abitata anche dai draghi, che ben presto cominciarono a depredare e saccheggiare le terre dei nani, costringendoli nuovamente alla fuga. Il nuovo signore di Erebor divenne così Smaug il Dorato, il più potente dei draghi della sua epoca, le cui vicende sono narrate anche all’interno de Lo Hobbit. Questi sono gli eventi che segnarono la storia dei nani fino alla Terza Era. Il regno di Moria resterà sotto il controllo di orchi e balrog fino alla fine della Guerra dell’Anello e sarà riconquistato dai nani solo nella Quarta Era.

35 2.3 Gli Uomini

2.3.1 La tradizione

Non si può dire, come nel caso degli elfi e dei nani, che Tolkien abbia attinto a fonti precise quando delineò le caratteristiche di questa razza. Difatti le attribuì le caratteristiche comuni di tutti gli esseri umani. Tuttavia, nelle gesta di alcuni dei suoi protagonisti appartenenti a questo popolo, si possono individuare ancora una volta i riflessi delle imprese eroiche della tradizione nordica. Beren, Turin, Isildur, Bard, Aragorn sono solo alcuni dei nomi di grandi uomini che, nel bene o nel male, compirono grandi imprese nella Terra di Mezzo nel corso delle quattro Ere di storia che ci narra Tolkien.

Secondo lo stesso Tolkien, il fulcro del suo ciclo di leggende è il racconto di Beren e Lúthien. Si tratta della narrazione riguardante la prima unione in Arda tra un uomo e un elfo, ostacolata però dal padre di lei e dalla missione impossibile che questi aveva affidato all’umano Beren in cambio della mano della figlia. Tolkien ha affermato più volte di aver avuto l’idea per questo racconto osservando la moglie, Edith Bratt, che danzava su un prato.11 In effetti si può affermare che Tolkien ebbe sempre un legame particolare con questa storia e in un certo senso la rassomigliava al suo rapporto con Edith.12 Innanzitutto bisogna notare come il nome del protagonista, Beren, sia quasi una traduzione in elfico Sindarin del cognome di Tolkien: in una delle sue numerosi analisi filologiche egli risalì alle radici del suo cognome, derivato dal tedesco, nello specifico dal lemma Toll-Khün, da lui tradotto con foolishly brave, sconsideratamente impavido. Analizzando il significato del nome di Beren in Sindarin si scopre che anche in questo caso il suo nome è traducibile come impavido. Inoltre, nella riluttanza del re degli Elfi Grigi, Elu Thingol, a voler cedere la figlia in matrimonio a Beren, si può leggere il

11 Nel racconto il primo incontro tra Beren e Lúthien avviene in modo analogo. 12 Le tombe di Tolkien e di Edith riportano, oltre ai loro nomi, quelli di Beren e Lúthien.

36 malcontento dei genitori di Edith Bratt, di religione protestante, nei confronti della fede cattolica di Tolkien. In questa vicenda sono presenti anche molti richiami alla mitologia di diverse culture. È il caso, ad esempio, del padre che si oppone al pretendente della figlia, promettendogli la mano di lei solo dopo che questi avrà superato una serie di prove apparentemente impossibili. In questa vicenda Thingol impone a Beren di recuperare uno dei preziosi Silmaril dalla corona di Morgoth, ma lo stesso motivo era già presente nella leggenda medievale gallese di Culhwch e Olwen. Un altro elemento facilmente riconducibile ad un noto episodio della mitologia è il viaggio che Lúthien compie, dopo la morte di Beren, nelle Aule di Mandos, per implorare quest’ultimo, custode della casa dei morti, di restituirle Beren. È qui piuttosto esplicito il riferimento alla leggenda di Orfeo ed Euridice; tuttavia in questo caso Lúthien riesce nella sua impresa ottenendo di vivere il resto della vita con Beren, anche se come donna mortale.

Un altro episodio centrale de Il Silmarillion e in generale del ciclo di leggende tolkeniano è dato dalle vicende di Túrin Turambar. Rappresenta forse uno degli episodi più drammatici del Legendarium Tolkeniano ed è narrato più ampiamente in un romanzo, riveduto e pubblicato recentemente dal figlio di Tolkien, I Figli di Húrin. È il racconto dei fatti che videro protagonista Túrin, che chiamò se stesso Turambar, Dominatore della Sorte, ma infine turun ambartanen (dalla sorte dominato). Infatti, nonostante sia stato successivamente ricordato come un grande guerriero nonché come il responsabile della morte del drago Glaurung, egli morì in preda alla follia, uccidendosi con la sua stessa spada. Anche in questa vicenda sono presenti numerosi riferimenti, soprattutto alla mitologia norrena. Nella già citata Saga dei Volsunghi è presente un episodio di incesto tra fratello e sorella ma soprattutto uno degli eroi principali è Sigurd, lo sterminatore di draghi, molto simile nell’atteggiamento a Túrin. Forse ancora più esplicito è il riferimento al Kalevala, il principale poema epico finlandese, e al personaggio di Kullervo. Questi, come Túrin, si trovò

37 inconsapevolmente a sedurre sua sorella, la quale, in preda alla disperazione, si suicidò. Entrambi gli eroi chiedono quindi alle rispettive spade di troncare le loro vite e vi si gettano sopra.

La morte di Túrin illustrata da John Howe.

2.3.2 Descrizione

Gli uomini della Terra di Mezzo sono molto simili a noi. Essi sono infatti meno alti e belli degli elfi, anche se la differenza più importante con questi ultimi è che gli uomini godono del Dono di Ilúvatar, la mortalità, di cui spesso gli elfi furono invidiosi. Alcuni degli uomini, i discendenti di Elros, il mezzelfo che decise di vivere la sua vita come mortale, ricevettero dai Valar il dono della longevità, arrivando a vivere quasi tre volte più degli uomini comuni. Nella Terra di Mezzo dimorano uomini di diverse razze e dalle diverse caratteristiche fisiche. Con il nome in elfico Edain, Il Secondo Popolo, ci si

38 riferisce unicamente a quegli uomini che strinsero rapporti di amicizia con gli elfi. La razza umana fu forse quella che più facilmente cadde preda degli inganni di Morgoth e, successivamente, di Sauron. Durante le numerose battaglie combattute tra le schiere di Morgoth e le forze del bene, essi si schierarono ora da una parte ora dall’altra, a seconda dei propri interessi.

2.3.4 Il secondo popolo

In un primo momento gli elfi, così come i Valar, non si avvidero del risveglio dei secondogeniti di Ilúvatar. Il momento e il luogo del loro risveglio era noto infatti solo a quest’ultimo. Essi furono trovati da Finrod Felagund, re degli elfi del Nargothrond, che subito ne divenne amico. Gli uomini furono sempre i benvenuti nei suoi territori anche se non si può dire lo stesso per altri sovrani degli elfi, come ad esempio Elu Thingol, signore dei Sindar, che sempre ne fu diffidente, almeno fin quando Beren non recuperò per lui uno dei Silmaril. L’alleanza tra elfi e uomini vacillò per la prima volta quando alcuni di questi ultimi (della razza degli Esterling) tradirono i loro compagni nella Nirnaeth Arnoediad, la battaglia delle Innumerevoli Lacrime, quinta nelle terre del Beleriand.

Come già detto, gli uomini erano suddivisi in diverse razze. Le più rilevanti erano: i Númenoreani; i Rohirrim, il popolo dei cavalli e gli Esterling, che combatterono al fianco di Sauron. I Númenoreani, o Dúnedain, erano una delle stirpi più importanti. In cambio della loro fedeltà nei confronti degli elfi sul campo di battaglia, ricevettero in dono dai Valar l’isola di Númenor e la possibilità di vivere una vita fino a tre volte più lunga rispetto a quella degli altri umani. Essi erano differenti dagli altri umani anche nell’aspetto: erano infatti più alti e più possenti, tanto da poter competere con gli elfi; spesso da chi non li conosceva venivano scambiati per Valar. Questi ultimi imposero ai Dúnedain un unico divieto: non potevano salpare dall’isola per recarsi nelle terre immortali degli elfi in quanto non potevano privarsi della loro mortalità, dono di Ilúvatar. Col tempo, però, Saruman riuscì a corrompere anche i cuori

39 degli imperturbabili Dúnedain, i quali decisero perciò di ribellarsi. Alcuni di loro rimasero fedeli alla volontà dei Valar e si allontanarono da Númenor; gli altri perirono insieme alla loro isola, inabissatasi a seguito di una violenta onda inviata dai Valar. I Dúnedain che si salvarono vissero come esuli nella Terra di Mezzo e fondarono i regni di Arnor e di Gondor. I due regni caddero in rovina nel periodo del dominio di Sauron e furono riconquistati e riunificati da Aragorn, discendente dei Re Númenoreani, dopo la Battaglia dell’Anello.

40 2.4 Gli hobbit

2.4.1 L’ideazione

Fra tutte le razze della Terra di Mezzo, gli hobbit meritano un’attenzione particolare, se non altro perché sono l’unica razza di Arda ad essere completamente frutto della fantasia dell’autore. Infatti, contrariamente a quanto è avvenuto per la creazione degli elfi, dei nani e degli uomini di Arda, nel caso degli hobbit, Tolkien non ha attinto a fonti particolari. Humphrey Carpenter, il suo biografo, riporta l’episodio della creazione di queste creature, risalente ad un pomeriggio estivo che il Professore aveva dedicato alla correzione degli esami dei suoi studenti. Uno di questi aveva lasciato un foglio in bianco ed egli vi scrisse sopra: “In un buco del terreno viveva uno hobbit”. I nomi facevano sempre nascere delle storie nella sua testa e così decise che avrebbe fatto meglio a scoprire chi o cosa fossero questi hobbit.

E fu proprio questa l’origine della razza degli hobbit, origine che diede a Tolkien non poco filo da torcere. La lettera di un lettore giuntagli pochi mesi dopo la pubblicazione de Lo Hobbit gli offrì un ottimo spunto per chiarire l’origine dei suoi personaggi. Il lettore in questione (cfr. La realtà in trasparenza, lettera 25) evidenzia delle somiglianze tra le creature descritte dal Professore e i “piccoli omini pelosi” descritti dal biologo Julian Huxley durante uno dei suoi viaggi in Africa; inoltre paragona gli hobbit di Tolkien agli omonimi personaggi di una storia del 1904. In risposta, Tolkien afferma di non aver mai letto o sentito parlare di “pigmei pelosi” in Africa né di essersi ispirato per le sue creature ai protagonisti della storia citata dal lettore. «Sospetto che i due hobbit siano omofoni per un caso e sono contento che non siano, sembra, sinonimi. E ribadisco che il mio hobbit non viveva in Africa e non era peloso, eccetto che per i piedi. […] Era piuttosto un agiato, ben nutrito giovane scapolo con mezzi propri». Nella stessa lettera, Tolkien afferma di non ricordare come gli sia venuta l’idea che l’ha portato alla creazione degli hobbit, rendendo vano ogni sforzo da parte dei ricercatori di

41 trovarvi un’origine in qualche antico racconto, come era avvenuto ad esempio per gli elfi.

Risolta la questione dell’origine dei suoi hobbit, si trovò ad affrontare il problema filologico legato a questo nome. Come si può dedurre dai precedenti paragrafi in cui è stata analizzata l’ideazione delle altre razze di Arda, un elemento fondamentale del processo creativo di Tolkien è costituito dall’aspetto filologico. Tom Shippey, uno tra i più prolifici studiosi dei suoi scritti, ha riassunto perfettamente l’ideologia del Professore nella frase “la parola autentica l’oggetto”. In base a questa affermazione, come si possono definire gli hobbit? Quale origine antica si può celare dietro una parola, di fatto, inventata? Tolkien risolse il problema appellandosi ad una teoria del professor August Schleicher, risalente alla seconda metà dell’Ottocento, secondo cui era possibile ricostruire una lingua morta a partire dalle lingue che ne sono derivate. Grazie a questo metodo “ricostruì” la parola in inglese antico *hol-bytla13, con il significato di “abitante dei buchi” o “costruttore di buchi”. Attribuendo al neologismo questo significato, la frase sopracitata, che poi divenne l’incipit de Lo Hobbit, diventa addirittura una tautologia (“In un buco del terreno viveva un abitante di buchi”) ed è proprio a partire da questa loro particolarità che Tolkien inizia a delineare le caratteristiche degli hobbit.

2.4.2 Descrizione

Consapevole delle difficoltà da parte del lettore moderno nell’immaginare l’aspetto fisico di una creatura nuova e così peculiare, Tolkien fornì numerose descrizioni dell’aspetto fisico e della personalità dei suoi hobbit. Essi vengono ampiamente descritti sia nelle prime pagine de Lo Hobbit che de Il Signore degli Anelli, nonché in una lettera che Tolkien inviò ad una casa editrice americana nel 1938. In quest’ultima egli scrisse: «Io di solito disegno una figura quasi umana, non una specie di coniglio “fatato” come alcuni dei miei recensori inglesi pensano: con un po’ di pancia e le gambe corte. Una

13 L’asterisco sta a significare che la parola è ricostruita piuttosto che storicamente attestata.

42 faccia rotonda e gioviale; orecchie leggermente appuntite ed “elfiche”; capelli corti e ricci (bruni). I piedi, dalla caviglia in giù, coperti di peli bruni. Vestiti: calzoni di velluto verde; panciotto rosso o giallo, giacchetta marrone o verde; bottoni dorati (o d’ottone); un cappuccio verde scuro con il mantello (appartenente ad un nano)»14. L’elemento caratteristico degli hobbit è senza dubbio la loro altezza. Interrogato in merito, Tolkien rispose di immaginarli di un’altezza variabile tra i 90 e i 110 cm, così da essere le creature più minute della Terra di Mezzo. Nonostante siano grassocci e piuttosto pigri, sono anche particolarmente agili e svelti nei movimenti e sono noti per la loro capacità di camminare silenziosamente e nascondersi quando non vogliono essere visti. Come era accaduto per gli elfi, anche in questo caso il Professore sottolineò più volte che, nonostante la piccola statura, il lettore non avrebbe dovuto immaginarsi gli hobbit come delle creature tenere e pelose, bensì come una razza dotata di una propria storia e cultura non inferiore per importanza a quella di elfi, uomini e nani.

Gli hobbit si possono definire un popolo discreto e modesto, amante della tranquillità, della terra coltivata e della compagnia, soprattutto in occasioni di feste in cui non mancano mai regali, cibo ed erba pipa a volontà. Si dice che siano stati proprio loro ad introdurre nella Terra di Mezzo l’abitudine di aspirare o inalare da pipe di legno o di argilla il fumo proveniente da quest’erba, probabilmente simile alla nostra nicotina. Essi vivono in caverne scavate nelle colline arredate in maniera semplice ma dotate di ogni comfort. Bilbo Baggins in un disegno di J.R.R. Tolkien

14 J.R.R. Tolkien, La realtà in trasparenza, lettera 27.

43 2.4.3 Gli hobbit nella Terra di Mezzo

Ben poco si sa sulle origini degli hobbit e sugli eventi legati a questo popolo precedenti alla Terza Era, il periodo in cui vissero Bilbo e Frodo. Stando ai loro primi racconti vissero a lungo nelle vallate del fiume Anduin, a est delle Montagne Nebbiose. Ancor prima di valicare le montagne essi erano suddivisi in tre gruppi: i Pelopiedi, più scuri, bassi e minuti; gli Sturoi, tozzi e ben piantati; i Paloidi, la stirpe meno numerosa, chiari di pelle e di capelli, particolarmente alti e magri. I Pelopiedi furono i primi a varcare le Montagne Nebbiose e a stabilirsi presso Colle Vento, seguiti più tardi dagli Sturoi e dai Paloidi. A ovest delle montagne si mescolarono con elfi e uomini; da quest’ultimi appresero la lingua corrente, l’ovestron, e la predilessero ad ogni altra lingua che avevano parlato fino ad allora. All’incirca in questa stessa epoca cominciarono a contare gli anni, ponendo fine alle leggende e dando inizio alla vera storia degli hobbit. Nell’anno 1601 della Terza Era, i due fratelli Marcho e Blanco partirono dal villaggio di Brea e attraversarono il fiume Brandivino stabilendosi definitivamente nella Contea.

2.4.4 Gli hobbit come gli inglesi

In più occasioni Tolkien ha rimarcato la somiglianza dei suoi hobbit con gli umani: essi infatti condividono il dono di Ilúvatar, la mortalità, nonché la lingua. Esistono anche dei villaggi in cui hobbit e uomini convivono pacificamente, ad esempio il sopracitato villaggio di Brea. I critici più attenti hanno voluto addirittura identificare il popolo degli hobbit con il popolo inglese. Effettivamente vi sono alcune somiglianze abbastanza evidenti nella storia dei due popoli: gli hobbit vivono nella Contea e gli inglesi in Inghilterra, nessuno dei due popoli è originario del posto in cui si è stabilito, in quanto gli inglesi provengono dall’Anglia, gli hobbit arrivano da un territorio chiamato l’Angolo (la somiglianza dei nomi è stata molto probabilmente voluta). I due popoli erano inizialmente divisi in tre stirpi: gli Angli, i Sassoni e gli Juti da una parte; i Pelopiedi, gli Sturoi e i Paloidi dall’altra. Soltanto in un secondo

44 momento essi hanno avviato i rispettivi processi di unificazione. Sia gli inglesi sia i primi hobbit erano guidati da due fratelli, rispettivamente da Hengest e Horsa e dai già citati Marcho e Blanco (tutti e quattro i nomi hanno un significato che rimanda al mondo dei cavalli). Inoltre nella semplicità e a volte avarizia degli hobbit, in unione alla loro almeno iniziale sfiducia nei confronti di altri popoli, si può facilmente riconoscere il carattere del popolo inglese del secolo scorso.

2.4.5 Bilbo: un mediatore tra antico e moderno

Lo scopo di Tolkien, come si è detto in precedenza, è sempre stato quello di ricreare il fascino dell’antico mondo delle leggende nordiche. C’è un chiaro ostacolo al tentativo di ricreare il mondo degli antichi eroi agli occhi dei moderni e questo è costituito dalla natura degli eroi stessi. Al giorno d’oggi gli eroi delle antiche leggende tendono ad essere visti con ironia e Tolkien non voleva che ciò accadesse con i suoi personaggi. La sua risposta a questa difficoltà è la figura di Bilbo Baggins, il cui ruolo iniziale è quello del mediatore. Spesso e volentieri egli rappresenta le incapacità e contraddizioni del mondo moderno, dando voce alle opinioni e valutazioni che da questo provengono. Bilbo non è mosso da volontà di vendetta o da eroismo fine a se stesso; non è capace di fare «due volte il verso della civetta e una volta quello del gufo» come gli viene richiesto dai nani; ignora cosa siano le Terre Selvagge e non sa nemmeno scuoiare un coniglio. Per questi motivi, già dalle prime pagine de Lo Hobbit, il lettore riesce subito ad identificarsi con il personaggio di Bilbo e insieme a lui viene ben presto catapultato in una realtà fatta di leggende di eroi, di mostri e di antichi tesori. Ne Il Signore degli Anelli questo ruolo passa a Frodo, nipote di Bilbo. In base a questa analisi è facile capire come mai la lettura de Il Silmarillion e dei volumi della History of Middle-Earth possa risultare più difficoltosa: in queste narrazioni manca infatti la figura de lo hobbit, innegabile aiuto per il lettore che voglia muovere i primi passi in un racconto di Tolkien.

45 2.5 Altre creature

Gli . Gli ent15 sono creature a metà tra uomini e alberi. Furono creati da Yavanna perché svolgessero il ruolo di protettori delle foreste contro i nani e gli orchi, intenzionati ad utilizzarne gli alberi per le loro costruzioni. Essi sono in grado di muoversi e di parlare, anche se la loro lingua è così antica e complessa che pronunciare anche una sola frase richiede loro molto tempo. Durante la Terza Era essi vivevano per lo più nella foresta di Fangorn. In questo luogo, nelle vicende narrate all’interno de Il Signore degli Anelli, vengono convinti dai due hobbit Merry e Pipino a prendere parte al rovesciamento di Isengard, la torre da cui Saruman dominava le terre vicine per volere di Sauron.

Le Aquile. Si presentano come animali simili alle nostre aquile ma molto più grandi e possenti. Furono create da Manwë e sono per questo note anche come le Aquile di Manwë. Queste ebbero un ruolo fondamentale nello svolgimento degli eventi della Terra di Mezzo, intervenendo spesso a favore di elfi, uomini e hobbit. Esse aiutarono Fingon a liberare Maedhros, figlio di Fëanor, il quale era prigioniero di Morgoth. Thorondor, Re delle Aquile, ferì Morgoth e riportò il corpo del defunto Fingolfin, Re degli Elfi del Beleriand, nella sua terra. Gwaihir liberò Gandalf il Grigio e ricondusse Frodo e Sam al sicuro dopo la distruzione dell’Unico Anello.

Le creature di Morgoth. Dopo aver abbandonato il resto dei Valar e aver ramingato in lungo e in largo nella Terra di Mezzo, Morgoth assoggettò al suo volere numerose creature e altrettante sorsero sotto forma di spiriti nelle profondità delle sue fortezze. La più numerosa tra le sue schiere è composta dagli Orchi16. Questi non sono altro che elfi che Morgoth torturò e corruppe fino a renderli creature grottesche e deformi. Gli orchi sono creature crudeli, che obbediscono ciecamente al volere di Sauron il quale non esita a

15 La parola ent deriva dall’anglosassone o dalla parola norrena jötunn che significa gigante. 16 La parola orco deriva probabilmente da orcnéas, i demoni di Beowulf, e dalla parola in inglese antico orcþyrs, orchi giganti.

46 sacrificarne un gran numero per i suoi scopi malvagi. Molto meno numerosi ma più letali sono i Balrog, Maiar originariamente corrotti dalle menzogne di Melkor. Ne il Silmarillion e Il Signore degli Anelli appaiono come temibili creature di fuoco, spesso dotate di una frusta e apparentemente invincibili. Nelle vicende de La Compagnia dell’Anello Gandalf il Grigio si trova a dover fronteggiare il balrog di Moria e riesce a sconfiggerlo, risorgendo come Gandalf il Bianco.

47

48 3. Le lingue di Arda

3.1 Un vizio tutt’altro che segreto

In diverse occasioni nei capitoli precedenti è emerso l’interesse quasi maniacale di Tolkien nei confronti delle lingue e della filologia. È una passione che sviluppò fin da quando era bambino, mostrando uno spiccato interesse nei confronti delle lingue che gli insegnava sua madre (il latino, il francese e il tedesco), nonché una particolare predilezione al loro apprendimento. Tutto ciò che riguardava le lingue lo incuriosiva e lo affascinava ma, più che dal significato delle parole che leggeva, era ammaliato dal loro suono. Fu così che, leggendo dei nomi, per lui senza senso, sulla fiancata di un camion, si innamorò del suono del gallese,. Dopo la morte della madre, forse anche in ricordo della donna che lo aveva iniziato al loro studio, decise di dedicarsi con più serietà e dedizione alle lingue. Supportato dai suoi professori che ne avevano riconosciuto il talento innato, iniziò a studiare l’anglosassone e il medio inglese, analizzando minuziosamente i maggiori poemi conosciuti in queste due lingue, rispettivamente Beowulf e Sir Gawain e il Cavaliere Verde. Quindi volse la sua attenzione al norvegese, per poter finalmente apprezzare in lingua originale la storia di Sigurd il Volsungo, che era solito leggere da bambino. Fu questo il periodo in cui cominciò a concentrarsi su quella che dopo definirà glossopoeia, un neologismo da lui coniato per definire l’invenzione di lingue artificiali per fini puramente artistici. Era un passatempo a cui dedicò gran parte del suo tempo libero, arrivando a creare un gran numero di linguaggi, più o meno complessi. Molti di questi si possono ritrovare oggi nelle sue opere. Come racconta nel suo saggio Un vizio segreto, il primo approccio che ebbe nei confronti delle lingue artificiali fu quando ascoltò le sue cugine parlare in una lingua da loro inventata, l’animalese. In questa lingua qualsiasi concetto può essere espresso attraverso nomi di animali, di modo che la frase «cane usignolo picchio quaranta» può essere tradotta come «sei proprio un

49 somaro». È solo un esempio molto infantile e rudimentale di un complesso processo che tuttavia suscitò prima e stimolò dopo in Tolkien un interesse circa questo “vizio” a cui, a parer suo, molti si dedicavano in segreto. Come c’era da aspettarsi, ben presto cominciò anche lui a destreggiarsi in quest’arte. Il primo tentativo è rappresentato da una sua collaborazione ad un progetto di sua cugina Mary, avviato con lo scopo di perfezionare l’ortografia e arricchire il vocabolario di una nuova lingua da lei inventata, il nevbosh, il «nuovo nonsense». Questa era più complessa dell’animalese, tuttavia in un’analisi successiva Tolkien non la considerò ancora abbastanza evoluta da poter costituire elemento di interesse per uno studio sulle lingue artificiali. Senza scendere nei dettagli, analizziamo brevemente l’unico frammento di nevbosh sopravvissuto, con l’intento di capire in cosa differisce dalle lingue create successivamente da Tolkien.

Dar fys ma vel gom co palt «hoc Pys go iskili far maino woc? Pro si go fys do roc de Do cat ym maino bocte De volt fac soc ma taimful gyróc!»17

L’aspetto di questa lingua che sorprese maggiormente Tolkien è che, pur essendo molto giovani, i suoi creatori erano già ben consapevoli delle principali regole di fonetica, tanto da far corrispondere termini in nevbosh a parole in lingua inglese con le stesse caratteristiche fonetiche. È il caso ad esempio di Dar = there (là); do = to (ad indicare l’infinito di un verbo); cat = get (prendere); volt = would (ausiliare del condizionale). Purtroppo questa forse rappresenta anche la pecca sostanziale del nevbosh: non è possibile riscontrare nella sua struttura un distacco netto dall’inglese, lingua madre dei suoi creatori, (di cui vengono mantenuti i concetti, la sintassi e, come si è

17 Nella traduzione inglese del biografo di Tolkien: There was an old man who said «how / can I possibly carry my cow? / For if I was to ask it / to get in my basket / it would make such a fearful row.» (in questa versione basket ha sostituito la traduzione più corretta pocket per mantenere la rima). In italiano: Disse una volta un vecchierello «come / posso trasportare il mio vitello?»/ Se lo ficco in un cesto / vedrai che dissesto.

50 visto, alcuni suoni) e dalle lingue da loro apprese in età scolare (latino, francese ecc.). Altri esempi di questi riferimenti si trovano ad esempio nelle parole roc, dal latino rogo, chiedere e vel, dal francese vieil, vecchio mentre in altre parole si può riscontrare una commistione tra più lingue (fys = fui + was, c’era; co = qui + who, il quale ecc.).

Il passo successivo è rappresentato dal naffarin, una nuova lingua a cui il giovane Tolkien lavorò da solo non condividendola mai con nessuno («non certo per mancanza di volontà»). Il Tolkien autore del naffarin era linguisticamente più maturo del Tolkien del nevbosh; nel lasso di tempo trascorso, egli aveva infatti avuto modo di conoscere e apprezzare la lingua spagnola (lingua d’origine del suo tutore, Padre Francis), della quale aveva a disposizione numerosi libri. Fu proprio sulla base dello spagnolo e del latino che nacque il naffarin. Questa lingua rappresenta un primo tentativo da parte di Tolkien di distaccarsi dalla sua lingua madre, di cui abbandona alcune sonorità caratteristiche come w, th, sh. Nel saggio summenzionato, egli afferma che ogni testimonianza di questa lingua è andata ormai stupidamente distrutta. L’unico frammento sopravvissuto è il seguente:

O Naffarínos cutá vu navru cangor luttos ca vúna tiéranar, dana maga tíer ce vru encá vún’ farta once ya merúta vúna maxt’ amámen.

Egli non fornì mai una traduzione di questo breve componimento. L’unica traduzione che ci è nota è quella della parola vru, “sempre”, a cui si sentiva particolarmente legato, tanto da riproporla successivamente con una leggera variazione nelle sue lingue elfiche.

Le lingue che creò per il suo mondo fittizio sono innumerevoli e alcune si possono definire notevolmente sviluppate, come il quenya e il sindarin, di cui sappiamo che creò migliaia di vocaboli nonché diverse grammatiche

51 (sebbene molto materiale relativo a queste lingue tuttora non sia stato reso pubblico). Esistono poi quei linguaggi dei quali si registrano al massimo poche centinaia di vocaboli o addirittura pochi, brevi frammenti. È il caso di altre lingue elfiche (l’ilkorin/doriathrin, il telerin e il nandorin) che egli aveva sviluppato ancor prima di aver definito chiaramente come si sarebbero stabiliti gli elfi nel Beleriand e che lingue avrebbero utilizzato. Anche le lingue parlate prevalentemente dagli uomini (l’adûnaico e l’ovestron), dai nani (il khuzdul) e il linguaggio nero sopravvivono solamente nei pochi riferimenti che si trovano all’interno dei romanzi. Ma è corretto affermare che Tolkien creò delle lingue per arricchire la cultura dei popoli del suo mondo? In realtà nella sua mente accadde l’esatto contrario. Sebbene non si possa certo datare con precisione l’ideazione di Arda, in quanto egli stesso ha sempre sostenuto di non ricordare un momento in cui questo pensiero non fosse in qualche modo presente nella sua mente, la creazione di un mondo fittizio non è mai stato il suo fine ultimo. Ciò che aspirava a creare era piuttosto un mondo in cui le sue lingue potessero essere parlate e una mitologia che ne arricchisse il valore. Durante un discorso asserì: «Mi permetterei di azzardare l’idea che per la costruzione di una lingua artistica veramente perfetta sia necessario elaborare, quantomeno a grandi linee, una mitologia ad essa concomitante. Non solo perché certi frammenti poetici finiranno inevitabilmente per far parte della sua struttura, più o meno completa che sia, ma anche perché creazione della lingua e creazione della mitologia sono funzione correlate».18 Per questo motivo è corretto sostenere che le sue lingue non ricoprono un ruolo secondario rispetto alla sua mitologia, non sono solo un mezzo tramite cui è possibile conferire profondità alle vicende narrate. Al contrario, esse rappresentano il cuore pulsante di Arda, il principio irrinunciabile su cui è fondata la mitologia tolkeniana. Egli stesso scrisse in una lettera in riferimento a : «Nessuno mi crede quando dico che il mio lungo libro è un

18 J.R.R. Tolkien, Il medioevo e il fantastico, Un vizio segreto.

52 tentativo di creare un mondo nel quale una forma di linguaggio che vada d’accordo con i miei principi estetici sembri reale».19

3.2 Alcune regole generali di scrittura e pronuncia

Prima di addentrarsi nell’analisi di queste complesse lingue è necessaria una piccola premessa linguistica sulla forma in cui queste lingue appaiono nei romanzi di Tolkien. Nelle appendici de Il Signore degli Anelli, l’autore spiega in che modo ha tradotto le lingue della Terra di Mezzo per rendere il romanzo più fruibile al lettore. Innanzitutto, tutte le lingue appaiono, nella maggior parte dei casi, trascritte in caratteri latini e non nei loro caratteri originali; pochissime le eccezioni, tra cui le incisioni presenti sulle Porte di Durin, sulla tomba di Balin e sull’Anello di Sauron. La lingua comune, l’ovestron, è stata resa da Tolkien con la lingua inglese; il rohirric, l’idioma della stirpe di uomini Rohirrim, con l’anglosassone. Tutto ciò al fine di aiutare il lettore a districarsi nel complesso mondo linguistico da lui creato.

Durante la Terza Era, in cui si svolgono gli eventi narrati ne Lo Hobbit e ne Il Signore degli Anelli, erano in uso nella Terra di Mezzo due tipi di alfabeti: il e il . Questi alfabeti erano utilizzati per lo più in tutte le lingue di Arda20, con opportune variazioni di cui parleremo in seguito.

Le lettere tengwar furono create dai Noldor ed erano adatte alla scrittura con penna o pennello. Le lettere che venivano comunemente usate erano le tengwar di Fëanor che egli elaborò ispirandosi al più antico alfabeto di Rúmil, a quel tempo caduto in disuso. Questa scrittura in origine non rappresentava propriamente un alfabeto, piuttosto un sistema di segni che potevano venire adattati a piacere per rappresentare le consonanti dei vari linguaggi elfici. Inizialmente non avevano valore fisso ma col tempo si evidenziarono alcune relazioni tra di esse. Sebbene si faccia un più ampio uso di questi caratteri ne

19 J.R.R. Tolkien, La realtà in trasparenza, lettera 205. 20 In realtà Tolkien era solito utilizzare i suoi alfabeti anche per trascrivere la lingua inglese.

53 Il Signore degli Anelli, essi sono apparsi per la prima volta in un’illustrazione dello stesso Tolkien ne Lo Hobbit. La Tabella 1 riporta tutte le lettere utilizzate nella Terza Era.

Tabella 1

54 Questo sistema di scrittura è composto da ventiquattro lettere principali, organizzate in quattro témar (serie), ognuna con sei tyeller (gradi). Le lettere 25-36 sono lettere aggiuntive, per lo più modificazioni delle lettere originali con l’eccezione della 27 e la 29 che hanno significato proprio. Le lettere principali sono composte da un telco (gambo), che può essere accorciato o allungato (nel caso di consonanti aspirate), rivolto verso l’alto o verso il basso, e da un lúva (arco) che può essere aperto, chiuso o raddoppiato nel caso di un aggiunta di voce. Nonostante la libertà di applicazione delle varie serie a diversi suoni, nella Terza Era si era giunti ad applicare la Serie I alle consonanti dentali e la Serie II alle consonanti labiali. L’applicazioni delle Serie III e IV variava in base alle esigenze delle diverse lingue. In generale esistono le seguenti relazioni tra i gradi: le lettere di Grado 1 vengono applicate alle consonanti mute tenui t, p, ch, k; di conseguenza, dato che il raddoppiamento dell’arco sta ad indicare un’aggiunta di voce, il Grado 2 corrisponde a d, b, j, g; il gambo rivolto verso l’alto indica consonanti aspirate quindi il Grado 3 rappresenta le lettere th, f, sh, ch e il Grado 4 le lettere dh, v, zh, gh; il Grado 5 è generalmente applicato alle consonanti nasali (i caratteri 17 e 18 sono i più comuni per n e m) mentre il Grado 6 viene utilizzato per le consonanti più deboli di ogni serie (il 21 si utilizza solitamente per la r e il 22 per la w). Dei caratteri aggiuntivi, il 27 si usa per indicare la l e il 29 per indicare la s. La rappresentazioni delle vocali varia in base al “modo” e in base alla lingua. Nel “modo classico” sono rappresentate dai tehtar, segni aggiuntivi posti solitamente sopra una consonante. Quando non ci sono consonanti su cui apporre il tehtar viene collocato su una base molto simile ad una i senza il puntino. I tehtar più comuni e le vocali che rappresentano sono riportati nella Tabella 2.

Tabella 2

55 Le rune cirth sono molto simili alle antiche rune sebbene alcune di esse sono state aggiunte da Tolkien per rappresentare suoni altrimenti assenti. In Arda, esse furono ideate dai Sindar del Beleriand ed erano adatte alle iscrizioni su pietra o su legno. Questi caratteri erano conosciuti come Alfabeto di Daeron, poiché la tradizione elfica li fa risalire a Daeron, menestrello della corte di Re Thingol. Successivamente questo alfabeto venne adottato anche dai nani che lo rinominarono Anghertas. Nella Tabella 3 la forma definitiva di questi caratteri e il suono che rappresentano, con le aggiunte che vi apportarono i nani basate sull’alfabeto fëanoriano21.

Tabella 3

21 Alcune di queste modifiche includevano l’aggiunta di un’asta a un ramo per indicare un’aggiunta di voce (come per il doppio arco delle tengwar) e l’inversione di un carattere per indicare un suono aspirato.

56 3.3 Le lingue elfiche

Il quenya, o alto elfico, è la più nobile e antica delle lingue elfiche, nonché la lingua da cui derivano tutte le altre. È anche la prima lingua elfica a cui si dedicò Tolkien, che vi lavorò a partire dal 1912 senza mai smettere di revisionarla e aggiornarla. Come affermò suo figlio Christopher in un’intervista, era in un certo senso «la lingua del suo cuore». Riguardo alle sue fonti, Tolkien scrisse: «Il linguaggio arcaico della tradizione è stato concepito come una specie di “elfico-latino” […] In realtà si potrebbe dire che è stato creato su basi latine con altri due (principali) ingredienti che mi piacevano dal punto di vista “fono-estetico”: finnico e greco».22 Il quenya era la lingua degli elfi di Valinor e fu portata nella Terra di Mezzo dai Noldor, mentre gli Elfi Grigi, rimasti nel Beleriand, avevano sviluppato una lingua differente, sebbene con le stesse radici: il sindarin. Dopo che re Thingol ebbe appreso dello sterminio dei Teleri da parte dei Noldor, bandì la loro lingua dal suo regno. Di conseguenza la lingua più parlata dagli elfi del Beleriand e successivamente dalle altre razze divenne il sindarin. Riguardo al Sindarin Tolkien scrisse: «È quello che si incontra di solito, specie nei nomi. Ha un’origine comune con il Quenya; ma modifiche sono state deliberatamente apportate per dargli un carattere linguistico molto simile (benché non identico) al gallese: perché quel carattere a me risulta, sotto alcuni aspetti, molto attraente; e perché mi sembra che ben si adatti al tipo “celtico” di leggende e storie narrate da chi lo parla».23

Da buon filologo Tolkien non inventò di sana pianta le parole delle sue lingue ma costruì attorno ad esse una vera e propria storia. Sia i vocaboli in quenya sia quelli in sindarin discendono infatti da una radice comune (l’elfico primitivo o eldarin comune) e così anche le altre lingue elfiche minori. Sintatticamente e foneticamente le due lingue possono sembrare simili, tuttavia esse differiscono notevolmente. La principale differenza tra di esse non riguarda l’aspetto strettamente linguistico, bensì l’uso che ne viene fatto

22 J.R.R. Tolkien, La Realtà in Trasparenza, lettera 144. 23 J.R.R. Tolkien, op. cit., lettera 144.

57 nella Terra di Mezzo. Ai tempi de Lo Hobbit e de Il Signore degli Anelli il quenya aveva completamente ceduto il posto al sindarin come mezzo principale di comunicazione tra i popoli elfici e nei rapporti con gli altri popoli. In questo stesso periodo, il quenya era considerata la lingua della cultura e della sapienza in quanto era sopravvissuta per lo più all’interno di canti e leggende o in antiche formule di saluto come quella utilizzata da Frodo: Elen síla lúmenn’ omentielvo, “una stella brilla sull’ora del nostro incontro”. Un’altra differenza tra le due lingue è il “modo” dell’alfabeto tengwar di cui fanno uso: il quenya utilizza il “modo classico” con le sue sonorità e l’utilizzo dei tehtar per esprimere le vocali; il sindarin fa uso di uno dei “modi pieni”, il “modo del Beleriand”, e spesso rappresenta le vocali con caratteri indipendenti.

Purtroppo la maggior parte del materiale che Tolkien produsse in queste lingue è tuttora inedito, così come lo sono le grammatiche e i dizionari da lui stesso redatti. Tutto il materiale a disposizione circa queste lingue e la loro struttura è frutto di un minuzioso lavoro di ricostruzione da parte di studiosi di linguistica di tutto il mondo, i quali analizzano i pochi frammenti di queste lingue pubblicati postumi dal figlio dell’autore.

3.4 Il khuzdul

Il khuzdul è la cosiddetta lingua segreta dei nani che purtroppo conosciamo solo grazie a pochissimi, brevi frammenti. Lo stesso Tolkien ammise di averne concepito un vocabolario molto scarno anche se, come per le lingue elfiche, si suppone che molto del materiale esistente non sia stato pubblicato. La struttura del khuzdul è molto simile alla struttura delle lingue semitiche: i suoi vocaboli sono composti da radici, di per sé non pronunciabili, composte solamente da consonanti. Sostantivi, verbi e aggettivi si formano non solo aggiungendo prefissi e suffissi ma anche interponendo delle vocali a queste consonanti. Ad esempio le radici Kh-Z-D compongono tutti i vocaboli che hanno a che fare con i nani: Khuzd, “nano”; Khazâd, “nani”; Khuzdul,

58 “nanesco” (la lingua dei nani); Khazad-dûm, “Nanosterro” (altro nome di Moria); Nulukkhizdîn, antico nome della fortezza di Nargothrond. Il khuzdul è poco presente nelle vicende della Terra di Mezzo. Ne Il Silmarillion si narra di come Aulë, terminata la loro creazione, «già iniziava a insegnare ai nani il linguaggio che aveva immaginato per loro». Col tempo comincia a trasparire la reticenza dei nani nel voler trasmettere la propria lingua ad individui che non fossero della loro razza. Per comunicare con popoli stranieri, soprattutto a scopi commerciali, preferivano apprendere lingue altrui piuttosto che divulgare la propria. Ciò nonostante i nani, tra di loro, continuavano a parlare il khuzdul, custodendolo gelosamente come un prezioso tesoro del passato. Tale era diventata la segretezza di questa lingua che nella Terza Era veniva utilizzata solo per designare nomi di luoghi, mentre i nomi propri degli stessi nani sono di origine settentrionale, derivati dai linguaggi degli uomini. Parallelamente al khuzdul, i nani utilizzavano un linguaggio gestuale che avevano inventato loro stessi, l’iglishmêk.

3.5 Il linguaggio nero di Mordor

È questa una delle lingue meno sviluppate da Tolkien e tuttavia riveste un ruolo fondamentale ne Il Signore degli Anelli in quanto è la lingua della celebre iscrizione dell’Unico Anello. Lo stesso autore ammise di averla creata in modo che suonasse sgradevole e per questo non gli piaceva usarla. All’interno della sua mitologia, fu creata da Sauron come lingua per i suoi servi, i quali fino ad allora avevano preso in prestito parole da altre lingue storpiandole affinché suonassero sgradevoli. Alcune delle poche parole note in questa lingua sono: uruk, “orco”, probabilmente derivante dal sindarin orch; snaga, “schiavi”; ghâsh, “fuoco”, nazgûl, “spettri dell’anello” (composto di nazg, “anello” e gûl, “spettro/i”).

59 3.6 Alcuni esempi dell’uso di lingue e alfabeti nelle opere di Tolkien

 Il vaso nella Montagna Solitaria

L’iscrizione su questo vaso rappresenta la prima testimonianza dell’alfabeto tengwar. L’immagine è un particolare di un’illustrazione che Tolkien fece per Lo Hobbit. Nella parte visibile dell’iscrizione si legge, in lingua inglese: «Gold th*** Thrain, accursed ***the thief». Si può ipotizzare, ricostruendo le lettere mancanti, che il messaggio fosse in realtà: «Oro di Thrain, chi ne prenderà sarà maledetto». È possibile che nella prima riga, coperto dalla scala, si legga anche il nome di Thror.

60  Il frontespizio de Il Signore degli Anelli

Il frontespizio dell’edizione inglese de Il Signore degli Anelli presenta una frase in cirth e una in tengwar; anche in questo caso entrambe rappresentano la lingua inglese. Nella frase in cirth si legge: «The Lord of the Rings translated from the Red Book» (Il Signore degli Anelli tradotto dal Libro Rosso), mentre in quella in tengwar si legge: «of Westmarch by John Ronald Reuel Tolkien. Herein is set forth the history of the War of the Ring and the return of the King as seen by the Hobbits» (dei Confini Occidentali da John

61 Ronald Reuel Tolkien. È qui presentata la storia della Guerra dell’Anello e del ritorno del Re come la vissero gli hobbit). Il Libro Rosso dei Confini Occidentali è un libro immaginario redatto dagli hobbit che Tolkien utilizza come artificio narrativo per giustificare la fonte delle sue conoscenze sugli eventi della Terra di Mezzo.

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 L’iscrizione dell’Anello

Questo è l’unico esempio scritto del linguaggio nero di Mordor. L’iscrizione, che sull’Anello è visibile solo quando questo viene riscaldato, è composta da due frasi in alfabeto tengwar. Una trascrizione in caratteri latini potrebbe essere: «Ash nazg durbatulûk, ash nazg gimbatul, ash nazg thrakatulûk agh burzum-ishi krimpatul» traducibile come «Un anello per domarli, un anello per trovarli, un anello per ghermirli e nel buio incatenarli». Questo frammento rappresenta le ultime due frasi di un antichissimo poema della tradizione elfica che per intero recita:

« Tre Anelli ai Re degli Elfi sotto il cielo che risplende, Sette ai Principi dei Nani nelle lor rocche di pietra, Nove agli Uomini Mortali che la triste morte attende, Uno per l'Oscuro Sire chiuso nella reggia tetra, Nella Terra di Mordor, dove l'Ombra nera scende. Un Anello per domarli, un Anello per trovarli, Un Anello per ghermirli e nel buio incatenarli. Nella Terra di Mordor, dove l'Ombra cupa scende.»

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 Le Porte di Durin

Questa è l’illustrazione delle Porte di Durin così come si presentarono ai membri della Compagnia dell’Anello che si apprestavano ad entrare a Moria. La didascalia recita: «Qui è scritto in caratteri Fëanoriani, secondo la maniera del Beleriand: Ennyn Durin Aran Moria: pedo mellon a minno. Im Narvi hain echant: Celebrimbor o Eregion teithant i thiw hin». La linqua qui rappresentata è il sindarin, facilmente riconoscibile dal momento che non rappresenta le vocali con i tehtar. La frase in sindarin si può tradurre come:

64 «Le Porte di Durin, Signore di Moria. Di’ amico ed entra. Io, Narvi, le feci. Celebrimbor dell’Agrifogliere tracciò questi segni». Questo cancello risale alla Seconda Era, quando l’amicizia tra elfi e nani era ancora molto forte. Infatti, fu realizzato da Narvi, il più capace artigiano dei nani, e inciso da Celebrimbor, il più grande fabbro dell’Eregion, artefice degli Anelli del Potere.

 La tomba di Balin

L’iscrizione sulla tomba di Balin è uno dei pochissimi esempi di khuzdul che abbiamo a disposizione. L’incisione è composta da una frase in khuzdul e dalla sua traduzione nella lingua corrente e recita: «Balin Fundinul Uzbad Khazaddûmu. Balin son of Fundin Lord of Moria» (Balin figlio di Fundin Signore di Moria). È interessante notare come, anche nelle iscrizioni tombali, i nani si rifiutassero di scrivere i loro nomi in lingua khuzdul preferendo piuttosto tradurli nella lingua corrente.

65  Il giuramento di Elendil

« Et Eärello Endorenna utúlien. Sinome maruvan ar Hildinyar tenn' Ambar-Metta!»

«Giungo dal Grande Mare nella Terra di Mezzo. Sarà questa la mia dimora e quella dei miei eredi sino alla fine del mondo».

Elendil era uno dei Númenoreani che fuggirono dall’isola prima che i Valar la distruggessero. Giunto nella Terra di Mezzo, dove fondò i reami di Arnor e Gondor, egli pronunciò queste parole in quenya e vengono citate ne Il Signore degli Anelli da Aragorn, suo lontano discendente, nel momento della sua incoronazione.

L’incoronazione di Aragorn (interpretato da Viggo Mortensen) nel film di Peter Jackson.

Da questo breve frammento si possono dedurre alcuni elementi della grammatica quenya. Et è una particella che seguita dall’ablativo indica la provenienza. La desinenza –llo è tipica dell’ablativo (moto da luogo, eär = “mare”; Eärello = “dal mare”) mentre la desinenza –nna indica l’allativo (moto verso luogo, Endor = “Terra di Mezzo”, Endorenna = “nella Terra di Mezzo”). Il verbo utúlien è composto dal verbo utúlië, “giungere”, con l’aggiunta della - n che indica la prima persona singolare. L’avverbio di luogo sinomë è composto da si = “qui” e nómë = “luogo” sta a significare “in questo luogo”. Il

66 verbo maruvan deriva da mar = “abitare, risiedere” con l’aggiunta della desinenza del futuro (-uva) e della prima persona singolare (-n). Ar rappresenta la congiunzione “e”. Hildinyar è una parola composta da: hildi, traducibile come “successivi” (in questo caso può essere interpretata come “eredi”), –nya, la desinenza che indica il possessivo alla prima persona singolare, e –r, la desinenza del plurale. La parola tenn’ presenta un elisione; sarebbe in realtà la preposizione tenna = “fino a”. Ambar (derivato da mar = “casa”) indica il mondo abitato; metta = “fine” (anche in mettarë = “ultimo giorno dell’anno”).

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68 Conclusione

L’ obiettivo di questa tesi è stato analizzare alcuni aspetti fondamentali del processo creativo di Tolkien per facilitare al potenziale lettore la comprensione del complesso mondo creato dall’autore. Questa analisi prende in considerazione tre aspetti ugualmente importanti dell’opera di Tolkien: l’essenza mitologica delle sue storie, i popoli che vivono nel suo mondo e, forse il più importante, le lingue intorno a cui si è originato il tutto.

Essendo principalmente un filologo, le lingue occupavano la maggior parte dei suoi pensieri, ma solo quando cominciò ad inventarne una sentì il bisogno di creare un mondo intorno ad essa. La mente di Tolkien procedeva facendosi delle domande e cercando le risposte: da dove arriva questa lingua? Chi la parla? Qual è la sua storia? Cominciò a scrivere i suoi racconti con lo scopo di trovare risposte a queste domande. Tutte queste leggende si riferivano a quella che, secondo l’autore, poteva essere l’origine del nostro mondo e si ispiravano ai miti che il giovane Tolkien aveva apprezzato durante i suoi studi: nel suo ciclo di leggende ci sono riferimenti ai temi della mitologia nordica e germanica nonché riferimenti alle leggende greche e al ciclo arturiano. Il risultato è stato la creazione di un mondo nuovo e originale caratterizzato da un’atmosfera antica.

Tolkien lavorò alla sua mitologia per tutta la vita ma riuscì a pubblicare solo una piccola parte di quello che aveva scritto, dal momento che continuava a revisionare le sue storie e ad aggiungervi nuovi elementi. Oggi, grazie al contributo di suo figlio Christopher, la maggior parte delle sue opere sono state pubblicate e il suo Legendarium è composto da centinaia di racconti. I suoi romanzi e racconti hanno avuto un enorme successo nel ventesimo secolo e rappresentano oggi la pietra miliare della letteratura fantasy in tutto il mondo.

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70 ENGLISH SECTION

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72 Introduction

During all his life, John Ronald Reuel Tolkien was many things: philologist, linguist, historian, professor, poet, writer, artist, caring husband and loving father. All these aspects of his personality somehow reflected on his greatest creation: his mythology, the world he began working on as a young student and kept developing until his last days. His Legendarium, including all his works on Arda and the Middle-earth, is made up of hundreds of stories which he kept revising or rewriting seeking for perfection. Due to his critical attitude towards his works and the skepticism of editors regarding his mythology, he only managed to publish a small part of his stories while he was alive. The majority of his works, including The Silmarillion that was supposed to be the very heart of his mythology, were published posthumously by his son Christopher, who assisted his father in every aspect of his creative process.

One of Tolkien’s greatest inspirations was philology; it was from this that he created his works of fiction. In a letter he wrote: «I began with language, I found myself involved in inventing “legends” of the same “taste”».24 This aspect, combined with his everlasting interest for Nordic mythologies, gave him the instruments to create a mythology of his own. Tolkien’s creative mind did all the rest: he built characters, places and circumstances around his languages and recreated what, in his opinion, could have been the origin of today’s world. He was firmly convinced that every myth had a kernel of truth and if an author, in the process of sub-creation, could create a fictitious but, at the same time, consistent secondary world that exists within its own laws, the reader’s disbelief could be suspended, whether they be adult or child. This is what he defined the “inner consistency of reality”.

24 H. Carpenter and C. Tolkien, The Letters of J.R.R. Tolkien: A Selection. Letter 180.

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74 Chapter 1: The genesis of a mythology

John Ronald Reuel Tolkien is today a worldwide famous author. His books have been translated in almost every language and keep selling millions of copies all around the world. They have also been adapted into successful movies that contributed to increase the fortune of this long underestimated genre. Nevertheless, when he first started writing his tales, he was not aiming for success, on the contrary he was quite bothered by his growing fame. What he had in mind was to create a series of myths and legends for his country that could measure up to the mythologies of other cultures. Despite the skepticism of his contemporaries, he kept working on his personal mythology: he created a world and the peoples living in it and wrote hundreds of tales about them, most of which were only published after his death. Tolkien’s world represents beyond any doubt, one of the most complex and detailed creations of contemporary literature. Whether he has succeeded or not in giving England a mythology is not for us to say but he certainly gave a great contribution to a literary genre otherwise considered second class. The XX century marked the upswing of fantasy and Tolkien was one of its most prolific contributors along with his friend and colleague C.S. Lewis and several other writers who followed their success.

1.1 The man behind the myth

Ronald Tolkien, as his friends and family used to call him, was a simple man who led a simple life. He was born in Africa and, after his father’s death, he and his brother were raised in Birmingham by their mother. As an adult, when recalling his childhood, he claimed that it gave him all he needed in his adult life, including those elements at the basis of his mythology. In this period he grew fond of nature and, thanks to his mother, became interested in the study of languages. These two elements marked him forever and influenced all his future beliefs and choices.

75 He pursued his talent for languages and found that he could learn many of them very easily. He also approached other cultures and was fascinated by their mythologies. In this moment of his life he became familiar with all those ancient legends that will represent the main references for his own stories: Beowulf, the Saga of the Volsungs, the Kalevala and many others. At the same time he deeply regretted that so much of the original British culture had been lost or replaced by imported traditions. About these ancient legends he said: «These mythological ballads are full of that very primitive undergrowth that the literature of Europe has on the whole been steadily cutting and reducing for many centuries with different and earlier completeness among different people… I would that we had more of it left – something of the same sort that belonged to the English».25 This was one of the main reasons that pushed him towards writing the mythology that England had never had.

1.2 Such a mad hobby!

After several years of linguistic studies, young Tolkien engaged in what he later called «such a mad hobby!». He was so fascinated by specific languages and their sound that he wanted to create a language of his own. He had just discovered the and he later described this event «like discovering a complete wine-cellar filled with bottles of an amazing wine of a kind and flavour never tasted before. It quite intoxicated me».26 In 1912, under the influence of this newly discovered language, he started working on his «nonsense fairy language» that became, to use his words, «heavily Finnicized in phonetic pattern and structure». Many years later this language will be known as Quenya, or High-elven.

In the following years he started writing poems but his first works were not as brilliant as one may imagine, on the contrary they were rather disappointing. The only noteworthy composition is a brief poem entitled The Voyage of

25 H. Carpenter, J.R.R. Tolkien: A Biography. 26 H. Carpenter and C. Tolkien, The Letters of J.R.R. Tolkien: A Selection. Letter 163.

76 Eärendel the Evening Star. Eärendel was originally a name he had found in Cynewulf’s Crist and had struck him for its «great beauty».27 In his poem, Eärendel was a sailor who travelled the world and Tolkien decided that his «nonsense fairy language» could be the language spoken by the elves that Eärendel met during his journeys. He had already been writing poems in his invented language and the more he worked on it the more he thought that no language could exist without people who spoke it. He decided to continue working on his poem and expanded it into the Lay of Eärendel, a work composed of several poems that narrated the story of the mariner and how his ship was turned into a star. This was the very beginning of his personal mythology, the point in which his passion for languages and for ancient legends merged in a single composition.

1.3 A mythology for England

During the following years, Tolkien’s creative process was interrupted by the outbreak of World War I. He enrolled in the army and was constantly moved from one base to another. He was eventually sent to the trenches and took part in what was later known as the Battle of the Somme. When he was beginning to lose faith in a possible repatriation, he was struck by the so- called “trench fever” and, since after a few days the fever showed no sign of decreasing, he was soon sent back to England. Here he learnt that two of his dearest friends had died in that same battle.

Despite all he had lost in the war, he appeared to be motivated by a new strength and felt obliged to honor the last will of his dead friend G.B. Smith who in his last letter had written: «May God bless you, my dear John Ronald, and may you say the things I have tried to say long after I am not there to say them, if such be my lot.»28 He felt that these words referred to the big project

27 H. Carpenter and C. Tolkien, The Letters of J.R.R. Tolkien: A Selection. Letter 297. 28 H. Carpenter, J.R.R. Tolkien: A Biography.

77 he had been conceiving for a while: creating a whole new mythology, an endeavor that knows no equals in the history of literature. In spite of the difficulties that such an enterprise could bring about, he was determined to go on. He felt the need to create a story that would give him the chance to further develop his languages and moreover he wished to pursue his poetic streak that had been gradually emerging since the first meetings with the TCBS.29 Furthermore, he was still devoted to the idea of giving England its long forgotten mythology. Many years later he wrote to his editor Milton Waldman: «Do not laugh! But once upon a time (my crest has long since fallen) I had a mind to make a body of more or less connected legend, ranging from the large and cosmogonic, to the level of romantic fairy- story-the larger founded on the lesser in contact with the earth, the lesser drawing splendour from the vast backcloths – which I could dedicate simply to: to England; to my country».30 When he came back from France he felt the time was right: he was reunited with his beloved Edith and surrounded by the English countryside that he was so fond of. Even his friend Christopher Wiseman who was still in France felt that something big was about to happen and wrote him: «You ought to start the epic». And start he did. He took an old notebook and on its cover wrote the title he had chosen for his mythology: The Book of Lost Tales. In this notebook he started writing the stories that will form part of the collection later known as The Silmarillion. In the first draft of his book he narrated the story of Eriol, a mariner who explores a mysterious land and listens to its many legends.

The first story of Tolkien’s Legendarium was the legend of the origin of the universe and the creation of the world. He set his stories in a land called Middle-earth, a clear reference to Midgard, the name of the world in early Germanic cosmology and one of the nine worlds in Norse mythology. Some readers thought that he was referring to another planet but he insisted that

29 T.C.B.S. stands for Tea Club and Barrovian Society, a semi-secret society Tolkien and his friends founded at King Edward’s School. They held regular meetings in which they discussed their interests. 30 H. Carpenter and C. Tolkien, The Letters of J.R.R. Tolkien: A Selection. Letter 131.

78 Middle-earth was our Earth in an imaginary period of the past. The following legends refer to the creation of the Silmarils, the three elvish jewels after which the book is titled, their theft by Morgoth and the fights in the attempt to recuperate them.

During his life, Tolkien never finished writing The Silmarillion since he kept revising the stories and adding new elements. Nevertheless, he had the chance of publishing other stories set in Middle-earth, his two most famous novels: The Hobbit and The Lord of the Rings. He had started writing The Hobbit for his children, because he thought that they could enjoy reading the improbable adventure of a peculiar fellow of Bilbo’s kind. When the book was eventually published it reached an unpredictable success and Tolkien was asked by his editors to write a sequel to the adventures of Bilbo Baggins. He tried to propose them several works

79 he had written but none of them had anything to do with hobbits and editors had specifically asked for more stories about them since the general public had appreciated his first book so much.

When he started writing The Lord of the Rings, in 1937, he had no idea whatsoever on the final structure his novel would have. He kept writing new chapters until he realised that, in its final form, his book would consist of almost half a million words. When he finished, in 1949, it was very hard to convince any editor to consider his novel for publication. Paper was very expensive in those days and no-one was willing to risk losing such an amount of money for a book that was so peculiar and unprecedented. Despite his initial reluctance, editors from the Allen & Unwin persuaded him to publish the book in three volumes. Though expensive for that times, the book was a huge success. It was translated all over the world and Tolkien was asked to visit other countries to promote his book abroad. Nevertheless he seldom accepted to travel, since that, now that he was a major writer, Allen & Unwin had accepted to publish his mythology and he had not yet completed The Silmarillion.

Aging and illnesses, along with the several philological essays that he had committed to write, further slowed the conclusion and revision of The Silmarillion and when he felt that he could not complete the work on his own, instructed his son Christopher to revise it after his death. Among Tolkien’s children, Christopher had always been interested in his works: he helped his father drawing the maps for his complex world and listened to every word of he ever wrote long before his books were published. After Tolkien’s death Christopher finally managed to get The Silmarillion published in 1977 and organized the rest of his works on Middle-earth in the volume Unfinished Tales of Númenor and Middle-earth, published in 1980, and in the twelve volumes of The History of Middle-earth, released between 1983 and 1996. Other works were revised and published in the following years.

80 Thanks to his son’s work, Tolkien’s mythology was finally completed and published. The success of Tolkien’s works was unpredictable and today he is considered one of the major writers of the XX century. He succeeded where no writer ever dared to venture: he created a fictitious world with a complex mythology, complete with fantastic peoples and original languages that make it truthful under every aspect. It is not unlikely that his stories will still be read and appreciated for times to come.

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82 Chapter 2: The Peoples of Middle-earth

2.1 The genesis of Arda and the awakening of the Children of Ilúvatar

The genesis of Tolkien’s world is narrated, along with the genesis of its peoples, in The Silmarillion. Tolkien began working on this collection of stories long before The Hobbit was even issued but he always refused to publish it since it was, according to him, incomplete. After his death, his son Christopher gathered his works and published them in several volumes. These books narrate the first two ages of the world preceding the events occurring in The Hobbit and The Lord of the Rings.

This chapter focuses on the races of Middle-earth, including their genesis and their role in Tolkien’s works. Before going into detail, a brief summary of the genesis of the world is needed.

«There was Eru, the One, who in Arda is called Ilúvatar; and he made first the Ainur, the Holy Ones, that were the offspring of his thought, and they were with him before aught else was made».31

This passage represent the very heart of Tolkien’s cosmogony. It is the creation myth of Arda, the world, by Eru Ilúvatar, the Creator. He had composed a theme for the Ainur so that they could produce a «Great Music». From this music the Ainur create the world and Ilúvatar shows them what it will look like once his Children awake. Fascinated by this vision, some of them decide to leave Ilúvatar and go to Arda, to dedicate their life to this new world. From now on they will be known as the Valar, the “Powers of the World”.

31 J.R.R. Tolkien, The Silmarillon, The Music of the Aiunur.

83 Ulmo, The Lord of Waters, by John Howe.

Once they are in Arda, they realise that what Ilúvatar had shown them was a prediction, a project that they had to carry out on their own. Then they create stars, raise mountains, shape rocks and originate all the matters that make up the world. Among them, Melkor, who stands out for his cleverness and ambition, aims at making Arda his own realm despite Ilúvatar’s design. For this reason he the other Valar expel him and he is forced to retire in the remotest zones of Arda. From now on he will always try to undermine everything the Valar create in a bid to subjugate the Children of Ilúvatar.

2.2 Elves

2.2.1 Inspiration and references

In the past, elves where often mixed up with gnomes, dwarves, imps and other creatures of all sorts. Tolkien was well aware of that and he knew exactly how he wanted his elves to be. He despised those authors of the past who had described elves and fairies as «supernatural beings of diminutive

84 size» such as Shakespeare (in A Midsummer Night’s Dream) and Michael Drayton (in Nymphidia). In his essay On Fairy-stories he alleges that elves and fairies cannot be defined as “supernatural beings” since they are far more natural than men. Regarding the “diminutive size” he affirms that is merely a product of literary fancy and, perhaps, due to the interest of English people for everything that is delicate and fine. His elves are everything but small and supernatural: on the contrary, they are the tallest people of Middle- earth and mainly live in contact with nature.

Tolkien knew that the word already existed in Ancient English (ælf), Norse (álfr), High Old German (alp) and Gothic (*albs). In the Anglo-Saxon culture, elves are mentioned in the famous epic poem Beowulf and in the alliterative romance Sir Gawain and the Green Knight and Tolkien had read and studied both works during his youth. In these works elves appear to be mysterious creatures to be feared and avoided. On the other hand, in other works such as the ballad of Thomas the Rhymer and Sir Launfal, elves are described as fascinating creatures; in fact, in both these stories the male protagonists fall in love with women from “Elfland”. Nevertheless, the main reference for Tolkien’s portrayal of the elves is the description of the hunting king in the narrative poem Sir Orfeo. This poem is a mixture of the old Greek myth and Celtic folklore. In fact, in the poem the ancient land of the dead has become elf-land from which the elf-king comes to seize Heurodis who is then rescued by Orfeo who succeeds over the king by enchanting him with his music. The most famous passage is the image of the elves in the wilderness seen by Orfeo as he wanders looking for his wife. In this passage he sees the elf-king hunting and his army surrounded by the blowing of horns and accompanied by elegant maidens. All these features took root in Tolkien’s mind and influenced the creation of his elves who appear to have inherited both the mystery and fascination of the protagonists of these stories.

85 2.2.2 Description

Elves are good looking, humanoid creatures, taller and stronger than the average man. They have extremely acute senses thanks to which they can move swiftly and sense enemies approaching long before they arrive. The main characteristic of this people is immortality, not to be confused with the longevity of dwarves and Dúnedains. They don’t experience aging and can only die if they are killed or if they give up their immortality for the love of a mortal. Elves love music and arts and their songs are known all over Middle-earth. They are also skilled warriors (they use both bows and swords) and healers.

2.2.4 The Coming of the elves as narrated in The Silmarillion

The first elves awoke on the banks of lake Cuiviénen, later known as the “Water of Awakening”. From here they started exploring the world around them and naming everything they came across. They called themselves Quendi, “those that speak with voices”, since they hadn’t met other creatures

86 capable of talking. Here they were found by the Oromë, the Huntsman of the Valar, who soon announced their coming to the rest of them. Then Manwë, the King of the Valar, summoned the Quendi to Valinor, their realm. At first they were unwilling to go, then Oromë chose three ambassadors who should go to Valinor with him and then report to the rest of the elves. As soon as Ingwë, Finwë and Elwë reached Valinor they were «filled with awe by the glory and majesty of the Valar». When they returned to Cuiviénen they told their people about the beauty of Valinor and many among the elves were willing to leave Cuiviénen and go live under the light of the Trees. Yet not all the elves accepted the summons and this marked the first sundering of the elves: those who decided to take the journey to Valinor were latern known as the Eldar, “the People of the Stars”, those who didn’t were known as the Avari, “the Unwilling”. The Eldar were divided into three hosts: the Vanyar, the Noldor and the Teleri. The Vanyar, guided by Ingwë, were the first to move to Valinor and never returned to Middle-earth. Then followed the Noldor, guided by Finwë, and the Teleri, whose leaders were Elwë and his brother Olwë. Before reaching Valinor, the Teleri further sundered: the Falmari, the Sea-elves, who finally reached the West; the Sindar, the Grey Elves, who settled in Beleriand and the Nandor, who abandoned the journey (Nandor means “those who turned back”). These last two hosts never reached Valinor.

32 2.3 Dwarves

2.3.1 Inspiration and references

By the time Tolkien began writing his mythology, dwarves had already been the protagonists of several myths and legends of Norse and German mythology and of some fairy tales by the Brothers Grimm. The English word

32 Tolkien said he hadn’t realised he had used the incorrect form of plural throughout the whole story until revision. He added that he would rather use this form than the correct dwarfs because it was closer to the real historical plural of dwarf, dwarrovs.

87 dwarves was also used in Old English (dweorth), in (dvergr), Old High German (twergh) and Gothic (*dvairgs). In the above mentioned legends, dwarves were associated with underground caves and the manufacturing of stones and metals. In fact, the most powerful weapons and jewels were created by dwarves; it is the case of Mjöllnir, Thor’s mighty hammer, and Drupnir, Odin’s ring. The dwarves in the Saga of the Völsungs, in the Nibelugenlied and in some fairy tales by the Brothers Grimm (i.e. Snow-White and Rose-Red) represent the prototypes of dwarves: they were known to be quarrelsome, greedy, especially when talking about gold and other precious metals, and ungrateful.

After the Viking era, dwarves were relegated exclusively to fairy tales and folklore where they were often replaced by gnomes or naughty imps. It was not until the XX century and the upswing of this genre that they regained importance, and this was mainly thanks to Tolkien’s success. He had imagined for his dwarves a historical, cultural and linguistic background that provided them with a certain depth. He also gave to his dwarves the names of the dwarves of the Poetic Edda in an attempt to associate them with old mythology rather than more recent fairy stories.

2.3.2 Description

Dwarves are described as humanoid creatures, shorter and stockier than the average man (being from 140 to 160 cm tall). Both male and female dwarves have long, thick beards and for this reason some men believed there were no females among the dwarves. Actually, female dwarves only account for one third of their population, that’s why they reproduce so slowly. Like man and hobbits, dwarves are mortal, but those who don’t fall on the battlefield can live up to three hundred years. Beside war, in which they are especially talented, they are excellent artisans and builders and dedicate their time to the manufacturing of precious stones and metals, producing items of priceless value. Just like their ancestors in Norse and German mythology,

88 they are sometimes greedy, opportunistic and touchy. Nevertheless they are not evil and always fought against Morgoth and his servants.

2.3.3 The Children of Aulë

Ilúvatar had not included dwarves in his original design for Arda. They were secretly created by Aulë, the blacksmith of the Valar, impatient for the Children of Ilúvatar to come and willing to teach someone his crafts. When Ilúvatar found out what he was up to, he reprimanded him because the Valar were not allowed to create creatures of their own. Nevertheless he let the dwarves live on the condition that they slept until the coming of the Firstborn.

It is not known when and where the dwarves awoke. They were first found by the Grey Elves, guided by their king, Elu Thingol. At the beginning these peoples lived peacefully together and learnt everything they could from one another: the elves learnt metalworking and stone manufacturing while the dwarves adopted their runes and the elvish tongue Sindarin.

The only dwarvish descent we know of is Durin’s folk. He was the eldest of the Seven Fathers of their race and was known as Durin the Deathless since he lived longer than any other dwarf. During the first age, Durin and his descendants founded, on the Misty Mountains, what became the greatest kingdom of the dwarves, Khazad-dûm, later known as Moria. In Moria the dwarves began digging deep, seeking for mithril, a priceless metal from which they crafted strong coat of mails and other valuable items. The Third Thorin Oakenshield by Alan Lee.

89 Age brought about the downfall of Moria. In fact, the dwarves delved so deep that they awakened a balrog, a fire demon, who was living under the mountains. The balrog killed Durin and his son Nain marking the beginning of the end for the dwarfish realm of Moria. The rest of the dwarves fled and sought refuge in the depths of Erebor, the Lonely Mountain. Here they gathered a great treasure and found a precious gem, the Arkenstone. What they didn’t know was that the area was also inhabited by dragons that soon started plundering their possessions and finally forced them to flee once more. The story of the recovery of the Arkenstone and the reconquest of Erebor is narrated in The Hobbit.

2.4 Men

2.4.1 Tradition

When he created his Men, Tolkien didn’t have in mind specific characteristics for them. Nevertheless some of their feats closely mirror analogous episodes of existing mythologies. Tolkien himself affirmed that the cornerstone of his Legendarium is The Tale of Beren and Lúthien, the first love story ever between a Man and a elf. This tale was very special to him since, in certain aspects, it resembled his love story with his wife Edith. The name of the protagonist, Beren, is almost a translation in the Sindarin tongue of Tolkien: in one of his studies he had found out that his surname came from the German word Toll-Khün, “foolhardy”, and Beren’s name has the same meaning in Sindarin. Also, Lúthien’s father was reluctant to let her marry Beren in the same way that Edith’s family was regarded her marriage with Tolkien who converted her to Catholicism. In this tale there are numerous references to other mythologies. The most evident is the allusion to the legend of Orpheus and Eurydice but in this case it is Lúthien who travels to the Halls of Mandos, the Judge of the Dead, to beg him to let Beren live. Unlike what happens in the original legend, Lúthien

90 is successful and Mandos lets her and Beren live the rest of their lives as mortals on Middle-earth.

The tale of Túrin Turambar, also part of The Silmarillion, closely resembles an episode of the Kalevala, the main Finnish work of epic poetry. Túrin is a valiant warrior, known for his abilities on the battlefield. He falls in love with a girl and eventually marries her. When she finds out they are brother and sister, she kills herself and, after killing Glaurung the dragon, Túrin commits suicide too by casting himself on his sword. The reference to the Kalevala is clear: in this poem, Kullervo, one of the protagonists, ends up marrying his sister who, having realised he was his brother, commits suicide. Kullervo then begs his sword to take his life. This passage is almost paraphrased by Tolkien when he narrates the last moments of Túrin Turambar.

2.4.2 Description

The Men of Middle-earth are not as beautiful and tall as the elves but the main difference between these two races is the mortality that Ilúvatar gave Men, often envied by the elves. The descendants of Elros, the half-elven who decided to become a mortal Man, were given longevity by the Valar and lived almost three times the life of an average Man. The name Edain, “the Second People”, only refers to those Men who were friendly to the elves. During the first ages of the world men were easily corrupted by Morgoth and Sauron and during the numerous wars between good and evil often sided with one or the other party.

2.4.3 The Second People

Men were first sighted by Finrod Felagund, King of Nargothrond, who soon became their friend. They were always welcome in his land but not the same can be said about other elf-kings. The alliance between Men and elves first wavered during the Nirnaeth Arnoediad, the battle of “Unnumbered Tears”,

91 when some Men (of the race of Easterlings) betrayed their allies and joined Morgoth’s army. Men are divided into many races with a common origin. Among those the most noteworthy are: the Númenóreans, the Rohirrim (the People of the Horse-lords) and the Easterlings, who fought in the armies of Morgoth and Sauron. The Númenóreans, or Dúnedain, are worth mentioning for their role in the history of Middle-earth. In return for their loyalty to the elves during numerous battles, the Valar gave them the island of Númenor and lives three times longer than those of average Men. Nevertheless they were forbidden by the Valar to leave the island to go to the Undying Lands of the elves because they could not give up their mortality. Eventually, Sauron managed to corrupt the hearts of the Númenóreans who decided to turn against the will of the Valar. Those who remained loyal to the Valar left Númenor and moved to Middle-earth where they founded the kingdoms of Arnor and Gondor. The remaining Númenóreans perished when the island was drowned by the Valar. The kingdoms of Arnor and Gondor fell into ruin during the Sauron’s supremacy and were later restored and reunited under King Elessar (Aragorn) after the War of the Ring.

The Drowning of Númenor by John Howe. 92 2.5 Hobbits

2.5.1 Creation

Contrary to elves, dwarves and men, the genesis of hobbits has nothing to do with ancient poems and forgotten mythologies; it was rather the result of pure inspiration on a dull summer’s day. The moment of the word’s arrival is indeed unusual and has been recorded by Tolkien’s biographer.

«It was on a summer’s day, and he was sitting by the window in the study at Northmoor Road, laboriously marking School Cerfiticate exam papers. Years later he recalled: “One of the candidates had mercifully left one of the pages with no writing on it […] and I wrote on it: In a hole in the ground there lived a hobbit. Names always generate a story in my mind. Eventually I thought I’d better find out what hobbits were like. But that’s only the beginning».33

The problem with these hobbits was that their name had no etymology whatsoever and for a philologist this was unacceptable. Tolkien couldn’t rest until he found a decent etymology for the word and finally managed to solve this problem thanks to a XIX century theory elaborated by professor August Schleicher. According to this theory it was possible to reconstruct a dead language from the languages deriving from it. Thanks to this method, he reconstructed the Old English word *hol-bytla, meaning “hole-dweller” or “hole-builder”. This definition further strengthens the original sentence (In a hole in the ground there lived a hole-dweller) and it is from this very sentence that he worked out the characteristics of these peculiar folk.

2.5.2 Description

When asked about what his hobbit would look like, Tolkien replied that he imagined a human figure «fattish in the stomach, shortish in the leg. A round,

33 H. Carpenter, J.R.R. Tolkien: A Biography.

93 jovial face; ears only slightly pointed and 'elvish'; hair short and curling (brown). The feet from the ankles down, covered with brown hairy fur. Clothing: green velvet breeches; red or yellow waistcoat; brown or green jacket; gold (or brass) buttons; a dark green hood and cloak».34 However, the most peculiar feature of hobbits is their height: they are the tiniest people in Middle-earth, measuring from 90 to 110 cm. Although they tend to be fat and remarkably lazy, they are also quite nimble and deft in movement and are known for their ability to move unseen and unheard when they don’t feel like talking to others. Hobbits are discreet and unobtrusive; on the one hand they love peace and quiet, on the other they enjoy the company of their fellows especially when there is food and drink to lighten up their parties. In fact, if they can, they eat six meals a day. They live in hobbit-holes, their traditional dwellings that are usually found on hillsides. Their furnishing is plain and basic, providing at the same time all the comfort hobbits need.

Bilbo Baggins (played by Ian Holm) in The Lord of the Rings film trilogy.

34 H. Carpenter and C. Tolkien, The Letters of J.R.R. Tolkien: A Selection. Letter 27.

94 2.5.3 The hobbits of Middle-earth

Little or nothing is known about the origins of hobbits and the events concerning this people before the Third Age. They appear to have originated along the river Anduin, east of the Misty Mountains. They were originally subdivided into three groups: Harfoots, Stoors and Fallohides. The Harfoots were the first to cross the Misty Mountains, followed by the Stoors and the Fallohides. Then they moved to the human settlement of Bree, where they merged with men and learnt the Common Speech, Westron. In 1601 brothers Marcho and Blanco crossed the river Brandywine and, along with other hobbits who followed them, settled in the territory that was later to be known as the Shire.

2.5.4 Bilbo: a mediator between ancient and modern times

By conceiving a new mythology for England, Tolkien aimed at recreating the atmosphere of Norse legends. But there is a very evident obstacle in recreating the ancient world of heroes for modern readers and that is the nature of heroes themselves. Today they tend to be treated with irony and Tolkien didn’t want to be ironic about his heroes, yet he couldn’t simply ignore the reaction of his readers. His solution to this difficulty is the character of Bilbo Baggins whose role is that of mediator. He often represents and voices modern opinions and attitudes: he is not driven by revenge or heroism, he can’t «hoot twice like a barn-owl and once like a screech-owl» as the dwarves ask him, he ignores the existence of Wilderland and cannot even skin a rabbit on his own. For this reason, readers tend to identify themselves with Bilbo and, in The Lord of the Rings, with Frodo. On the contrary, reading The Silmarillion or the twelve volumes of The History of Middle-earth it is much more difficult due to the absence of a mediator between the ancient world of legends and modern world.

95 2.5 Other creatures

Ents. They are humanoid creatures who closely resemble trees. In Middle- earth, they were created by Yavanna to serve as Shepherds of the Trees and prevent and dwarves from chopping them down. They can move and talk but their language is so complex and ancient that saying a few words takes them a lot of time. During the Third Age they mainly lived in the forest of Fangorn where they met Merry and Pippin who convinced them to join the war against Saruman.

Eagles. They are similar to average eagles but much bigger and mightier. They often help the protagonists of the stories when they seem not to stand a chance. In The Silmarillion, among other things, they helped Fingon to rescue Maedhros, son of Fëanor and Thorondor, the Lord of the Eagles, wounded Morgoth and recovered the body of Fingolfin, High King of the Noldor in Beleriand, who had died in the fight.

Morgoth’s creatures. After leaving the rest of the Valar and wandering alone across Middle-earth, Morgoth corrupted many creatures and created others in the depths of his fortresses. Orcs make up the most of Morgoth and Sauron’s army. They are said to be elves whose bodies and minds were corrupted and distorted by Morgoth. They are merciless creatures who hate everyone, including themselves and their masters, but still serve them blindly. Balrogs are smaller in number but more dreadful. They were originally Maiar who were later corrupted by Morgoth. They are described as terrible fire creatures usually armed with a whip "of many thongs". In The Fellowship of the Ring, Gandalf faces the Balrog in Moria and manages to defeat it.

96 3 The languages of Arda

3.1 A far from secret vice

Tolkien’s favorite hobby as a young man was, as one may well imagine, creating languages. He was so interested in learning new languages that he couldn’t resist the temptation of creating some of his own. By the time he created the languages of Arda, he already had a deep knowledge of Ancient and Middle English, Norse, Gothic, Old Norwegian, Welsh, Finnish, German, Old High German, French, Spanish and Italian as well as Ancient Greek and . In his constructed languages, he borrowed elements from all these languages but always tried to give a unique structure to his linguistic creations.

In his essay A Secret Vice, he explains how he first approached fictional languages as a child and gives a few examples of the languages he invented, Nevbosh and Naffarin. By confronting these texts with the first poem in Quenya, also commented in the essay, it is possible to follow at least the first steps that led him to the creation of fictional languages. In both Nevbosh and, to a minor extent, Naffarin, the influence of what he called “learnt languages” is too prominent and for this reason they are not worth a deep, philological analysis. On the other hand, Quenya and Sindarin have an authentic structure and a complete grammar that make them the most complete among the languages that he ever created.

Nevertheless, readers should not think that he created these languages to enrich the culture of his peoples. On the contrary, he created a mythology around his languages, a world in which they could be spoken. During a lecture he said: «I might fling out the view that for a perfect construction of an art-language it is found necessary to construct at least in outline a mythology concomitant. Not solely because some pieces of verse will inevitably be part of the (more or less) completed structure, but because the making of

97 language and mythology are related functions».35 For this reason, it is necessary to underline that, in his Legendarium, languages are not of secondary importance, they are rather the heart and soul of his world, the cornerstone of his mythology. When asked about the function of The Lord of the Rings he said: «Nobody believes me when I say that my long book is an attempt to create a world in which a form of language agreeable to my personal aesthetic might seem real. But it is true».36

In his Legendarium there are references to over a dozen fictional languages. Some of them can be considered complete like the two elvish tongues Quenya and Sindarin. Other languages only survive in a few, brief fragments. This is the case of other elvish tongues such as Ilkorin/Doriathrin, Telerin and Nandorin; the language of the dwarves, Khuzdul; the languages of men, Adûnaic and Westron and the Black Speech of Mordor.

3.2 General rules of writing and spelling

During the Third Age there were two alphabets: the Tengwar and the Cirth. These alphabets were used, with specific variations, to represent all the languages of Arda.37

The Tengwar alphabet was developed by the Noldor and was devised for writing with brush or pen. The most common letters were Fëanorian Tengwar, conceived by Fëanor and derived from the most ancient Rúmil Tengwar, by that time fallen into disuse. At the beginning, these letters didn’t have a fixed value; the alphabet was rather a system of signs that could be adapted at convenience to represent the sounds of the various elvish languages. Certain relations between signs and sounds were gradually recognized.

35 J.R.R. Tolkien, A Secret Vice, in The Monsters and the Critics. 36 H. Carpenter and C. Tolkien, The Letters of J.R.R. Tolkien: A Selection. Letter 205. 37 Actually, Tolkien used the Tengwar alphabet to write in English as well.

98 In table 1 the letters used in the Third Age.

Table 1.

99 This system contains twenty-four primary letters, organized in four témar (series), each one with six tyeller (grades). Letters 25-36 are additional letters, mainly modifications of the primary letters, except for letters 25 and 29 that had a sound of their own. The primary letters are made up of a telco (stem), that can be raised or reduced, and a lúva (bow), that can be open or closed and, in each case, redoubled when voice is added. Despite the freedom of application of each series, in the Third Age Series I was generally applied to dental consonants and Series II to labial consonants. The application of Series III and IV varied from language to language. In general, these are the relations between the various grades: Grade 1 letters are applied to “voiceless stops”, t, p, ch, k; as a consequence, being the redoubling of the bow an addition of voice, Grade 2 indicates b, d, j, g; raised stems indicate spirant consonants, therefore Grade 3 represents th, f, sh, ch and Grade 4 dh, v, zh, gh; Grade 5 is generally used for nasal consonants (letters 17 and 18 indicate letters n and m) while Grade 6 is used for the weakest consonant of each series (eg. letter 21 is an r and 22 is a w). Among additional letters, letter 27 is used for an l while letter 29 indicates a s. The representation of vowels varied according to the “mode” and the language. In the “classic mode” they were represented with tehtar, additional signs usually placed above consonants.

Table 2 shows the most common tehtar.

Table 2.

The Cirth alphabet was conceived by the Grey Elves to represent their tongue, Sindarin. It was mainly used for inscriptions on wood or stone. This alphabet was later adopted by the dwarves who introduced several changes and named it Anghertas Moria.

100

Table 3 shows the runes and sounds of Anghertas.

Table 3.

3.3 Elvish tongues

Tolkien began working on Quenya, or High-elven, in 1912 and never stopped during his entire life. In an interview, his son Christopher said it was «the language of his heart». When asked about his references, Tolkien said: «The archaic language of lore is meant to be a kind of 'Elven-latin’ […] Actually it might be said to be composed on a Latin basis with two other (main)

101 ingredients that happen to give me 'phonaesthetic' pleasure: Finnish and Greek».38 Quenya was the language of the Elves of Valinor and was brought to Middle- earth by the Noldor. The Grey Elves who had remained in Beleriand, had developed a different language: Sindarin. Regarding Sindarin, Tolkien wrote: «[it] is the one usually met, especially in names. This is derived from an origin common to it and Quenya; but the changes have been deliberately devised to give it a linguistic character very like (though not identical with) British-Welsh: because that character is one that I find, in some linguistic moods, very attractive; and because it seems to fit the rather 'Celtic' type of legends and stories told of its speakers».39 Both Quenya and Sindarin derive from a common root, Primitive Elvish. The two languages may seem similar but actually they are quite different. The main difference between the two languages is their use; by the Third Age, Quenya had given way to Sindarin and was only used in ancient songs and poems or in old salutations such as Elen síla lúmenn’ omentielvo, “a star shines on the hour of our meeting”. The two languages also differ in their “mode”: Quenya adopts the “classic mode” and uses tehtar to indicate vowels while Sindarin adopts the “mode of Beleriand” and vowels are indicated with independent letters. Unfortunately the majority of Tolkien’s writings in these tongues remains unpublished, as well as his grammars and dictionaries.

3.4 Khuzdul

It is the secret language of the dwarves that only survived in a few, brief fragments; Tolkien admitted he had not created a wide vocabulary for this language. The structure of Khuzdul is similar to that of Semitic languages: its words are based on root consonants; nouns, adjectives and verbs are formed by adding prefixes and suffixes and by interposing vowels to these

38 H. Carpenter and C. Tolkien, The Letters of J.R.R. Tolkien: A Selection. Letter 144. 39 H. Carpenter and C. Tolkien, The Letters of J.R.R. Tolkien: A Selection. Letter 144.

102 consonants. For example, the radicals Kh-Z-D make up all the words related to dwarves: Khuzd, “dwarf”; Khazâd, “dwarves”; Khuzdul, “dwarvish” (tongue); Khazad-dûm, “Dwarrowdelf” (other name for Moria), Nulukkhizdîn, ancient name for Nargothrond. In Tolkien’s Legendarium there are very few examples of Khuzdul since the dwarves were always very secretive about their language; they would speak elvish languages rather than let the elves speak their own. Even dwarf names were “translated” in the Common Speech and Khuzdul was only used to refer to dwarvish realms. Dwarves had also devised a gesture-language called Iglishmêk.

3.5 The Black Speech

There is only one fragment in this language but it is of primary importance for the unrolling of events in The Lord of The Rings: the inscription on the One Ring. It is said that this language was devised by Sauron himself for his servants, so that they would cease borrowing words from other languages. Some of the few known words in this tongue are: uruk, “”, probably derived from Sindarin orch; snaga “slave”: ghâsh, “fire”; nazgûl, “ringwraiths” (derived from nazg, “ring”, and gûl, “wraith”)

103 3.6 A few examples of Tolkien’s tongues and alphabets

 The Lonely Mountain Jar

The inscription on this jar represents the first example of the Tengwar alphabet. The image is a detail of a bigger picture drawn by Tolkien himself for The Hobbit. The inscription is in English and its visible part reads: «Gold [Thror?] Thrain, accursed [be?] the thief».

 The Lord of the Rings title page

104

The title page displays two sentences, both in English, transcribed respectively in Cirth and in Tengwar (classic mode). The Cirth sentence reads: «The Lord of the Rings translated from the Red Book» while the Tengwar one reads: «of Westmarch by John Ronald Reuel Tolkien. Herein is set forth the history of the War of the Ring and the return of the King as seen by the Hobbits». The Red Book of Westmarch is a fictional book written by the hobbits in which they narrate the events of the Third Age beginning with Bilbo’s journey to the Lonely Mountain. Tolkien used it to explain the source of his knowledge on the events of Middle-earth.

 The One Ring inscription

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This is the only written example of the Black Speech of Mordor. The inscription is visible only when the Ring is heated and it is made up of two sentences in tengwar (classic mode). It reads: «Ash nazg durbatulûk, ash nazg gimbatul, ash nazg thrakatulûk agh burzum-ishi krimpatul» that can be translated as: «One Ring to rule them all, One Ring to find them, One Ring to bring them all, and in the darkness bind them». This fragment is part of an ancient elvish poem. Here is the complete poem.

«Three Rings for the Elven-kings under the sky, Seven for the Dwarf-lords in their halls of stone, Nine for Mortal Men doomed to die, One for the Dark Lord on his dark throne In the Land of Mordor where the Shadows lie. One Ring to rule them all, One Ring to find them, One Ring to bring them all and in the darkness bind them In the Land of Mordor where the Shadows lie.»

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 The Doors of Durin

These are the Doors of Durin as seen by the Fellowship of the Ring during their journey to Moria. The caption reads: «Here is written in the Fëanorian characters according to the mode of Beleriand: Ennyn DUrin Aran Moria: pedo mellon a minno. Im Narvi hain echant: Celebrimbor o Eregion teithant i thiw hin». The tongue here represented is Sindarin, easily recognizable since

107 there are no tehtar to indicate vowels. The caption can be translated as: «The Doors of Durin, Lord of Moria. Speak friend and enter. I, Narvi, made them. Celebrimbor of Hollin drew these signs». This gate dates back to the Second Age, when the friendship between dwarves and elves was particularly strong. It was made by Narvi, the greatest artisan among dwarves, and inscribed by Celebrimbor, famous jewelsmith among the elves, who made the Rings of Power.

 The inscription on Balin’s tomb

The inscription on Balin’s tomb is one of the few examples of Khuzdul available. The inscription is made up of a sentence in Khuzdul and its translation in the Common Speech says: «Balin Fundinul Uzbad Khazaddûmu. Balin son of Fundin Lord of Moria». It is worth mentioning that dwarves refused to use their own names even in their epitaphs, they would rather translate them in the Common Speech.

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 Elendil’s oath

« Et Eärello Endorenna utúlien. Sinome maruvan ar Hildinyar tenn' Ambar-Metta!»

«Out of the Great Sea to Middle-earth I am come. In this place I will abide, and my heirs, unto the ending of the world».

Elendil was one of the Númenóreans who fled the island before the Valar drowned it. When he arrived to Middle-earth, where he founded the realms of Arnor and Gondor, he said these words in Quenya. They are cited by Aragorn, one of his descendents, in The Return of the King during his coronation. From this fragment and its translation given by Tolkien several elements of elvish grammar can be deduced.

Et is a preposition meaning “out” and, when followed by an ablative, “out of”. The suffix –llo indicates ablative so that if eär = “sea” as a consequence eärello = “from the sea”. The suffix –nna indicates the allative case and Endorenna means “to Middle-earth” (Endor is the elvish name for Middle- earth). The verb utúlien is made up of the verb utúlië, “to come” and the suffix –n that indicates the first person. The adverb sinome is made up of si = “here” and nóme = “place”, meaning “in this place”. The verb maruvan derives from mar = “to abide” to which the suffixes for the future (-uva) and the first person (-n) are added. Ar means “and”. Hildinyar is a word composed of hildi, that can be transated as “followers” (in this case “heirs”), - nya, the suffix for the possessive, and –r the suffix for the plural. The word tenn’ is an elision from the word tenna “until, up to, as far as”. Ambar derives from mar = “home, house, dwelling” (also in the sense of Earth); metta = “end” (also in mettarë = “end-day”, New Year’s Eve in the Númenórean calendar).

109

110 Conclusion

The aim of this dissertation has been to analyse certain aspects of Tolkien’s creative process in order to give a basic grasp of the complex world he created. The analysis focuses on three equally important aspects of his works: the mythological nature of his tales, the peoples that live in his world and, maybe the most important aspect, the languages around which everything originated.

As a philologist, languages made up most of his life but it was not until he started developing one that he felt the need to build a world around it. Tolkien’s mind proceeded mostly by asking questions and giving answers: what is this language? Who speaks it? What is their history? In a bid to find the answers to these questions he started writing tales about what, according to him, could have been the genesis of our world. All these legends were clearly inspired by the myths Tolkien appreciated during his youth: in his Legendarium there are plenty of references to the motifs of long forgotten Norse and Germanic tales as well as references to Greek legends and the Arthurian cycle. The result of this combination is a new and original world characterized by legends of ancient taste.

Tolkien worked on his mythology for all is life but managed to publish very little since he kept rewriting much of his tales and adding new elements. Today, thanks to his son Christopher, the majority of his works have been published and his Legendarium is made up of hundreds of stories. His novels and collections of stories reached an enormous success during the XX century and represent the cornerstone of fantasy literature all over the world.

111

112 PARTE ESPAÑOLA

113

114 Introducción

Durante toda la vida, John Ronald Reuel Tolkien fue muchas cosas: filólogo, lingüista, historiador, profesor, poeta, escritor, artista, marido y padre amoroso. Todos estos aspectos de su personalidad se pusieron de manifiesto en su creación más audaz: su mitología, el mundo en el que empezó a trabajar ya desde que era estudiante y que siguió desarrollando hasta sus últimos días. Su Legendarium, que incluye todas las historias ambientadas en Arda y en la Tierra Media, lo integran cientos de historias en las que trabajó toda la vida, intentando llevarlas a la perfección. La propia actitud crítica con sus historias y el escepticismo de los editores hacia su mitología, fueron la causa de que sólo consiguiera publicar una parte de su inmenso trabajo en vida. La mayoría de sus escritos, incluso El Silmarillion que era el corazón y la génesis de su mitología, se publicaron a título póstumo gracias a su hijo Christopher, que siempre ayudó al padre en su proceso creativo.

La principal fuente de inspiración de Tolkien fue la filología; gracias a ella creó todo su mundo. En una carta escribió: «Empecé con el lenguaje, [...] y me descubrí empeñado en la tarea de inventar leyendas del mismo sabor».40 Este aspecto, junto a la pasión por la mitología, le proporcionaron los instrumentos necesarios para crear una mitología propia. La mente creativa de Tolkien hizo el resto: construyó personajes, lugares y acontecimientos en torno a sus lenguas y creó lo que el, según su parecer, podría haber sido el origen del mundo. Estaba convencido de que cada mito tiene un fondo de verdad y si un autor, en el proceso de subcreación, consigue crear un mundo secundario ficticio y, al mismo tiempo, coherente, se vencerá la incredulidad de los lectores, ya sean niños o adultos. Eso es lo que definió la “consistencia interna de la realidad”.

40 H.Carpenter, Las cartas de J. R. R. Tolkien, carta 180.

115

116 1. La génesis de una mitología

Hoy John Ronald Reuel Tolkien es un escritor famoso en todo el mundo. Sus libros se han traducido a casi todos los idiomas y se siguen vendiendo millones de copias. También se han rodado películas que han contribuido a aumentar el éxito de ese género, por mucho tiempo subestimado. Sin embargo, cuando empezó a escribir sus cuentos, su objetivo no era alcanzar el éxito, sino escribir una serie de mitos y leyendas para su país que pudiera estar a la altura de las mitologías de otras culturas. A pesar del escepticismo de sus contemporáneos, siguió trabajando en su mitología personal: creó un mundo, los pueblos que en él viven y escribió cientos de historias sobre ellos. El mundo de Tolkien es, sin duda alguna, una de las más complejas y detalladas creaciones de la literatura contemporánea. Si consiguió o no crear una mitología para Inglaterra no nos toca a nosotros juzgarlo, pero sin duda contribuyó enormemente al desarrollo de un género que, de lo contrario, se habría considerado de segunda clase. El siglo XX representó el auge del género fantástico sobre todo gracias a Tolkien y a otros autores, entre ellos su amigo y colega, el escritor norirlandés Clive Staples Lewis.

1.1 El hombre detrás del mito

Ronald Tolkien, como lo llamaban sus amigos, fue un hombre sencillo que llevó una vida tranquila. Nació en Sudáfrica y, tras la muerte de su padre, se trasladó con su madre y su hermano a Birmingham, en Inglaterra. De adulto, cuando recordaba su infancia, siempre afirmaba que en ese periodo entró en contacto con todos los elementos que eran la base de su mitología: el amor por la naturaleza y las lenguas. Esos elementos influyeron toda su vida y sus creencias. Cultivó su pasión por las lenguas y descubrió que tenía gran facilidad para aprenderlas. También se interesó en otras culturas y quedó fascinado por sus mitologías. En ese periodo de su vida se familiarizó con aquellas

117 leyendas antiguas en que se basaría para escribir sus historias: el Beowulf, la Saga Volsunga, el Kalevala y muchas más. Al mismo tiempo se lamentaba de que todo lo que pertenecía a la cultura británica originaria se hubiera perdido en los siglos o hubiera sido reemplazado por tradiciones importadas. Esa fue una de las razones principales que lo llevó a escribir la mitología que Inglaterra nunca tuvo.

1.2 ¡Una afición tan enloquecida!

Tras unos años estudiando lenguas, Tolkien empezó a dedicarse a la que él mismo llamó «¡una afición tan enloquecida!». Estaba tan interesado en algunas lenguas y su fonética que quería inventar una él mismo. En aquel periodo, acababa de descubrir el finlandés y para él fue como si hubiera encontrado una bodega llena de un vino asombroso, jamás degustado y que le embriagó. En 1912, bajo la influencia de esa lengua, empezó a trabajar en su «disparatada lengua de las hadas» que se hizo, utilizando sus palabras, «densamente finlandesa, tanto en su estructura como en su fonética»41. Esa lengua se conocerá como el quenya, o alto élfico.

En los años siguientes empezó a escribir poesías aunque sus primeras obras fueron más bien decepcionantes. La única composición notable fue una breve poesía titulada El viaje de Eärendel, la estrella vespertina (The Voyage of Eärendel the Evening Star). Originariamente, el nombre Eärendel lo había encontrado en el Christ de Cynewulf. En su poesía, Eärendel es un marinero que viaja por el mundo y Tolkien decidió que su «disparatada lengua de las hadas» podía ser la lengua hablada por los elfos que Eärendel encuentra durante sus viajes. Él ya había escrito poesías en esta lengua y cuanto más trabajaba en ella más se daba cuenta de que una lengua no puede existir sin alguien que la hable. Siguió trabajando en la poesía y su ampliación se convirtió en el Lay of Eärendel (Lai de Eärendel)42 un poema

41 H.Carpenter, Las cartas de J. R. R. Tolkien, carta 163. 42 Traducción a cargo del candidato.

118 compuesto por diferentes poesías que narra la historia del marinero y de su barco que fueron convertidos en estrella. Este fue el principio de su mitología, cuando su pasión por las lenguas y las leyendas se fundieron.

1.3 Una mitología para Inglaterra

En los años siguientes el proceso creativo de Tolkien se vio interrumpido por el estallido de la Primera Guerra Mundial. Se enroló en el Ejército y fue continuamente trasladado de una base a otra; por último fue enviado al frente y participó en la batalla del Somme. Cuando empezaba a perder la fe en una posible repatriación, sufrió la fiebre de las trincheras y, al ver que tras unos días su salud no mejoraba, lo repatriaron a Inglaterra. Allí descubrió que dos de sus mejores amigos habían muerto en la guerra. A pesar de todo lo que había perdido en el conflicto, parecía estimulado por una fuerza nueva y se veía obligado a respetar la última voluntad de su amigo G. B. Smith que en su última carta le había escrito: «Que Dios te bendiga, querido John Ronald, y que digas las cosas que yo intentaba decir cuando yo no esté para decirlas, si ésa es mi suerte».43 Pensó que esas palabras se referían al proyecto que estaba concibiendo desde hacía algún tiempo: crear una mitología, una hazaña que no tuviera igual en la historia de la Literatura. Pese a las dificultades que ese intento podía traer consigo, estaba determinado a continuar. Sentía la necesidad de crear una historia para desarrollar más a fondo sus lenguas y quería cultivar su vena poética que ya había emergido desde los encuentros del TCBS.44 Además, aún estaba dedicado a la idea de escribir la mitología que su país nunca tuvo. Muchos años después escribió en una carta a su editor: «¡No se ría! Pero una vez (mi cresta hace mucho que ha bajado) tenía intención de crear un cuerpo de leyendas más o menos relacionadas, desde las amplias cosmogonías hasta el nivel del cuento de hadas romántico –lo más amplio fundado en lo menor

43 H. Carpenter, J.R.R. Tolkien, una biografía. 44 El Tea Club and Barrovian Society era un grupo semi-secreto que Tolkien y sus amigos fundaron en el la King Edward’s School donde solían encontrarse para hablar de sus intereses comunes.

119 en contacto con la tierra, al tiempo que lo menor obtiene esplendor de los vastos telones de fondo–, que podría dedicar simplemente a Inglaterra, a mi patria».45 Cuando volvió de Francia sintió que era el momento justo para empezar: estaba reunido con su amada esposa Edith y sumergido por la campiña inglesa que tanto le gustaba. Así tomó un viejo cuaderno y en el forro escribió el título que había elegido para la recopilación de sus leyendas: El libro de los cuentos perdidos. En este cuaderno empezó a escribir las historias que muchos años después se publicarían con el título El Silmarillion. En el primer borrador de su libro, el protagonista de la historia era Eriol, un marinero que explora una tierra misteriosa y aprende sus leyendas. La primera historia del Legendarium de Tolkien era el origen del universo y la creación del mundo. Él ambientó sus historias en un lugar que llamó Tierra Media, una clara referencia a Midgard, el mundo de la mitología germánica y nórdica. Algunos lectores pensaron que se refería a otro planeta pero él afirmó que la Tierra Media era nuestra Tierra en un periodo imaginario del pasado. Otras leyendas se refieren a la creación de los Silmarils, las joyas élficas que dan el nombre al libro, su robo por Morgoth y las luchas para recuperarlas.

Tolkien, durante toda su vida, nunca completó El Silmarillion ya que seguía revisando las historias y añadiendo nuevos elementos. Sin embargo, publicó otras historias que tenían lugar en la Tierra Media, sus novelas más famosas: El Hobbit y El Señor de los Anillos. Tolkien había escrito El Hobbit para sus hijos pero, cuando el libro se publicó, tuvo un éxito tan inesperado que sus editores le pidieron que escribiera la continuación de las aventuras de Bilbo Bolsón. Él intentó proponerles otras historias que había escrito, pero ellos sólo querían publicar historias relacionadas con los hobbits.

45 H.Carpenter, Las cartas de J. R. R. Tolkien, carta 131.

120 En 1937, cuando empezó a escribir El Señor de los Anillos, no tenía idea alguna de cuál habría sido la estructura final de la novela. Siguió escribiendo nuevos capítulos hasta cuando descubrió que su novela habría contenido casi medio millón de palabras. En 1949, cuando acabó, fue muy difícil convencer a un editor para que publicara su novela. El papel era muy caro en aquel periodo y nadie quería arriesgar tanto dinero para publicar una novela tan peculiar e inaudita. Pese a la reluctancia inicial del autor, los editores de la Allen & Unwin convencieron a Tolkien para que publicara su novela en tres volúmenes. Aunque el precio del libro era bastante caro para la época, tuvo un éxito enorme. Fue traducido en todo el mundo y Tolkien fue invitado a visitar muchos países para promoverlo. Sin embargo, no aceptó muchas de las invitaciones ya que, ahora que era un escritor de éxito, Allen & Unwin había aceptado publicar su mitología que aún no había completado.

Gandalf en una ilustración de John Howe.

121 La vejez y las enfermedades, junto a los ensayos de filología que había prometido escribir, ralentizaron la conclusión y la revisión de El Silmarillion y, cuando se dio cuenta de que nunca habría completado el trabajo sin ayuda, dio todas las instrucciones a su hijo Christopher para que publicara el libro tras su muerte. De sus cuatro hijos, Christopher siempre fue el que más se interesó en las obras del padre, lo ayudó y aconsejó. Después de la muerte de Tolkien, Christopher consiguió finalmente publicar El Silmarillion (1977) y organizó el resto de sus cuentos en los Cuentos inconclusos de Númenor y la Tierra Media (1980) y en los doce volúmenes de la Historia de la Tierra Media (1983-1996). Otras historias fueron revisadas y publicadas en los años siguientes. Gracias al trabajo de su hijo, la mitología de Tolkien fue finalmente completada y publicada. El éxito de sus obras fue sorprendente y hoy día se le considera uno de los escritores más importantes del siglo XX.

122 Capítulo 2: Los Pueblos de la Tierra Media.

2.1 La génesis de Arda y la llegada de los Hijos de Ilúvatar

En el mundo de Tolkien viven una multitud de razas diferentes, cada una con su propia historia y cultura. La génesis de estos pueblos se narra en El Silmarillion, a cuya redacción Tolkien dedicó sesenta años. A pesar de ello, toda su vida rechazó publicar su obra porque la consideraba incompleta. Después de su muerte, su hijo Christopher hizo una recopilación de sus cuentos en El Silmarillion (que se publicó póstumamente en 1977) y en los doce volúmenes de la Historia de la Tierra Media. En esos libros no sólo se cuenta la historia de la génesis del Mundo y de las razas que viven en él, también se narran los hechos de las primeras dos Edades que preceden los acontecimientos de El Hobbit y de El Señor de los Anillos, ambientados en la Tercera Edad. En este capítulo se analizarán esas razas, su génesis y el papel que desempeñan en la Tierra Media. Sin embargo, antes de entrar en detalle, hace falta explicar cómo Ilúvatar creó el Mundo. Las primeras líneas del primer capítulo de El Silmarillon (La Música de los Ainur) representan el eje de la cosmogonía de Tolkien y su influencia se aprecia a lo largo de todas sus obras:

«En el principio estaba Eru, el Único, que en Arda es llamado Ilúvatar; y primero hizo a los Ainur, los Sagrados, que eran vástagos de su pensamiento, y estuvieron con él antes que se hiciera alguna otra cosa.»

Este fragmento narra la creación de Arda por Eru Ilúvatar, el Creador, quien compone un tema para que los Ainur produzcan una música de donde nacerá el Mundo. Ilúvatar les muestra una visión de lo que pasará y de la llegada de sus Hijos y por tanto algunos de los Ainur deciden marcharse e ir a Arda para ayudar a su desarrollo. Allí siempre los llamaron Valar que significa los Poderes del Mundo.

123 Tan pronto como llegan a Arda se dan cuenta de que el mundo todavía está en sus principios; lo que Ilúvatar les ha enseñado sólo era una visión y su tarea es la de convertirla en realidad. Para ello crean estrellas, levantan montañas, modelan rocas y crean todas las substancias que constituyen el mundo. Entre los Valar, Melkor es el más poderoso y ambicioso. Él quiere ignorar la visión de Ilúvatar y convertir Arda en su propio reino, poniéndose al mismo nivel que Ilúvatar. Por eso los demás Valar lo alejan y él va a esconderse a las zonas más remotas de Arda. Este es el principio del enfrentamiento entre los Valar y Melkor (de ahora en adelante conocido como Morgoth) que siempre intentará destruir todo lo que ellos crean.

2.2 Los Primeros Nacidos: los elfos.

2.2.1 Los elfos antes y después de Tolkien

Hoy el género fantástico es conocido y apreciado en todo el mundo. Por eso, cuando se habla de los elfos, por lo general, nos imaginamos a unas criaturas más altas y hermosas que los hombres que viven en contacto con la naturaleza. Pero no todos saben que esa imagen de los elfos la dio por primera vez el propio Tolkien. En pasado los elfos se confundían a menudo con gnomos, enanos, imps y otras criaturas. En su ensayo Sobre los Cuentos de Hadas (On Fairy-Stories) el autor analiza los términos hada y elfo, tiempo atrás asociadas con criaturas sobrenaturales y menudas. Según

Los elfos en las películas de Peter Jackson. 124 Tolkien es incorrecto definir como sobrenaturales a criaturas como los elfos y las hadas ya que son quienes más viven en contacto con la naturaleza. Por lo que se refiere a su estatura menuda, afirma que es una invención literaria de los ingleses que aprecian todo aquello que es menudo y gracioso.

2.2.2 Las fuentes

En el momento de crear a sus elfos, Tolkien tenía a disposición numerosas fuentes. Antes de nada, él descubrió que la palabra ælf ya se utilizaba en la lengua anglosajona y derivaba del nórdico antiguo álfr, del alto alemán antiguo alp y, si la lengua hubiera sobrevivido hasta nuestros días, del gótico *albs. En la cultura anglosajona se encuentran referencias a los elfos en el poema épico Beowulf y en el romance métrico Sir Gawain y el Caballero Verde, ambos medievales. En Beowulf los elfos (llamados ylfe) descienden de Caín, mientras que en Sir Gawain, al caballero verde se le llama aluish mon, “criatura misteriosa”. Se podría deducir que no se sabía si considerar a los elfos como criaturas benignas o malignas. Si en algunas obras se subrayaba el temor respecto a los elfos, en otras se hablaba de su atractivo. Este es el caso de la balada escocesa Thomas el Rimador y del lay bretón46 Sir Launfal. El protagonista de cada una, estas historias se enamora de una mujer de la Tierra de los Elfos. Los elfos de Tolkien no pertenecen exactamente a ninguna de las dos categorías: en ellos el bien y el mal se equilibran. La obra que constituyó su principal fuente de inspiración fue el poema narrativo del siglo XIV Sir Orfeo. Ese es una nueva versión del mito de Orfeo y Eurídice pero, en esta, Orfeo tiene que rescatar a Eurídice, prisionera del Rey de los Elfos. La escena que más inspiró a Tolkien es aquella en que el Rey de los Elfos caza en el bosque, rodeado por su ejército con sus trompetas de caza y por una multitud de damas que se mueven con ligereza y elegancia. El eco de las trompetas, la vida en la naturaleza y la pasión por

46 Lay bretón (o narrativo): breve romance literario de época medieval en inglés o francés.

125 la música son todas ellas características que también Tolkien atribuirá a sus elfos.

2.2.3 Descripción

Los elfos son humanoides de buen aspecto y son más altos y fuertes que los hombres. Su característica más evidente es la inmortalidad; no sufren los efectos del envejecimiento y sólo pueden morir si los matan o si deciden renunciar a su inmortalidad por amor de un humano. Los elfos son amantes de la música y las bellas artes, muchos de ellos también se dedican a la creación de todo tipo de objetos (joyas, armas, etc.). Son hábiles curanderos y guerreros (dominan, sobre todo, espadas y arcos).

2.2.4 La llegada de los elfos a Arda

Los elfos se despertaron junto a la laguna de Cuiviénen y empezaron a explorar el mundo y a dar un nombre a todo lo que veían. Se llamaron a sí mismos Quendi, “los que hablan con voces”, ya que no habían encontrado a ninguna otra criatura capaz de hablar. En dicha laguna los encontró Oromë, el Vala señor de la caza, que pronto anunció a los demás Valar que los Primeros Nacidos habían llegado. Los Valar pidieron a los elfos que se fueran a su reino. Entonces Oromë escogió a unos embajadores (Ingwë, Finwë y Elwë) para que lo acompañaran a Valinor. Cuando llegaron, vieron la majestad de los Valar y sintieron el deseo de trasladarse a su morada, Valinor, pero cuando volvieron a Cuiviénen y comunicaron su intención a los demás elfos, pero no todos estaban de acuerdo. Así fue como tuvo lugar la primera división de los elfos: a los que se trasladaron a Valinor se les conoció como los Eldar, mientras que los que desoyeron el llamamiento fueron llamados los Avari, los Renuentes.

Estos son acontecimientos de los elfos tras su llegada a Arda en la Primera Edad del Mundo. En las Edades siguientes ellos interactúan con las demás

126 razas hasta llegar a la Tercera Edad. En la Cuarta Edad, los elfos de la Tierra Media se irán marchando y comienza la era del dominio de los hombres.

2.2 Los enanos

2.2.1 Las fuentes

En la época de Tolkien los enanos ya habían aparecido en muchas páginas de la mitología de otros países (como la nórdica y la germánica) y en algunos cuentos de hadas, sobre todo de los hermanos Grimm. La palabra inglesa dwarves47, enanos, tenía el mismo significado en anglosajón (dweorth), en nórdico antiguo (dvergr), en alto alemán antiguo (twerg) y en gótico (dvairgs). Para la creación de sus enanos, Tolkien se inspiró principalmente en esas fuentes. En esas leyendas los enanos estaban asociados sobre todo a lugares subterráneos y a la manufactura de piedras y metales. El enano más célebre de la mitología nórdica es Andvari a quien el dios del fuego, Loki, obligó a entregarle todo su oro, incluso el valioso anillo mágico Andvarinaut. Entonces el enano maldijo el anillo y a sus poseedores. Esa maldición influenciará los acontecimientos de la Saga Volsunga y del Cantar de los Nibelungos, dos sagas germánicas del siglo XIII. En ellas aparecen por primera vez algunas de las características típicas de los enanos que más tarde se encontrarán también en los enanos de los cuentos de los hermanos Grimm (véase en especial Blancanieves y Rosarroja): su carácter adusto y tendente a las disputas, su avaricia, sobre todo cuando se habla de oro y de metales preciosos, y su ingratitud. Tras la época vikinga, los enanos siguieron existiendo sólo en las tradiciones y en los cuentos de hadas donde a menudo fueron sustituidos con gnomos y duendes. Gracias a Tolkien, y al éxito que tuvo el género fantástico en el

47 Tolkien prefirió utilizar la forma incorrecta del plural en lugar de la forma correcta dwarfs.

127 siglo XX, los enanos volvieron a desempeñar papeles importantes en la literatura fantástica. Él creó para sus enanos una historia, una cultura y un lenguaje, atribuyéndoles una nueva respetabilidad. Muchos de sus enanos (por ejemplo los protagonistas de El Hobbit) toman nombre de una importante colección de poemas nórdicos medievales, la Edda Poética, en laque se dedica una sección a la lista de nombres de enanos. Sin embargo, existe una importante diferencia entre los enanos de la mitología y los de la Tierra Media tolkiana: los segundos, de hecho, no poseen el aspecto sobrenatural de los enanos de las leyendas nórdicas.

2.2.2 Descripción

Los enanos son criaturas humanoides, pero son más bajos que los hombres (entre 140 y 160 centímetros) y más corpulentos. Todos los enanos tienen barba, incluso las mujeres; por eso los hombres tolkiano creían que no existían mujeres enanas y que simplemente salían a la superficie a través de agujeros. Al igual que los hombres y los hobbits, son criaturas mortales pero, los que no mueren en el campo de batalla, pueden vivir hasta trescientos años. Los enanos son hábiles guerreros pero, en tiempos de paz, también se dedican a la manufactura de minerales y metales preciosos con la que obtienen objetos de gran valor. Son también artesanos y constructores. A ellos no les faltan las características típicas de los enanos: avaricia y, a veces, oportunismo. Son muy susceptibles y suelen guardar rencor por mucho tiempo. A pesar de eso, no son criaturas malignas y en las numerosas batallas de la Tierra Media siempre toman partido en contra de Morgoth.

128 2.2.3 Los hijos de Aulë

En principio los enanos no formaban parte del proyecto de Ilúvatar. Su creador fue Aulë, el Herrero de los Valar, impaciente por la llegada de los Primeros Nacidos, ya que deseaba enseñar su arte a alguien capaz de aprenderlo. Pero Ilúvatar lo descubrió y lo recriminó, ya que los Valar no podían crear algo que no perteneciera a su proyecto. A pesar de eso, no le ordenó que matara a sus criaturas, pero sí que las dejara dormir para que se despertaran después de la llegada de los Primeros Nacidos. No se conoce muy bien el cómo y dónde se despertaron los enanos. Los primeros que los encontraron fueron los Elfos Grises, el pueblo de Elu Thingol. En principio esos pueblos se llevaban bien, de hecho ambos tenían mucho que aprender los unos de los otros. Los enanos aprendieron el Sindarin, el idioma de los Elfos Grises, pero ellos nunca quisieron enseñar su propia lengua a los elfos y raramente la hablaban en su presencia.

Erebor, la Montaña Solitaria

El más conocido entre los Padres Enanos fue Durin, conocido como el Inmortal. Durante la Primera Edad, él y su descendientes fundaron Khazad- dûm (también conocido como Moria), el reino de los enanos en las Montañas Nubladas. Durante su estancia en Moria ellos excavaron bajo las montañas en búsqueda del mithril, un metal de inmenso valor y resistencia. Pero en las profundidades despertaron a un Balrog, un demonio de fuego, que mató a Durin, marcando el principio de la decadencia de Moria. Los demás enanos

129 huyeron y se refugiaron en Erebor, la Montaña Solitaria. Allí guardaban su inmenso tesoro y la Piedra del Arca, de valor incalculable. Pero ellos no sabían que en aquella zona también vivían dragones que pronto empezaron a saquear el tesoro de los enanos que huyeron de Erebor. Los acontecimientos de cómo el tesoro de Erebor fue recuperado se narran en El Hobbit.

2.3. Los hombres

2.3.1 La tradición

Junto a elfos, enanos y hobbits, también la raza humana forma parte de los pueblos de la Tierra Media. Los hombres de Arda pertenecen a grupos étnicos diferentes aunque tuvieron el mismo origen. Es posible que estén emparentados con los hobbits ya que ambas razas tienen muchas características en común.

En el caso de los hombres, Tolkien no se inspiró en fuentes precisas, de hecho les atribuyó las características típicas de la raza humana. Sin embargo, en las hazañas de algunos de sus protagonistas se pueden encontrar referencias a las gestas heroicas de la tradición nórdica. Beren, Turin, Isildur, Bard y Aragorn son sólo algunos de los hombres que destacan a lo largo de las cuatro edades de la Tierra Media.

El mismo Tolkien afirmó que el eje de su mitología era La Canción de Beren y Lúthien. Desde el punto de vista personal, fue un relato muy importante para el autor porque, en algunos aspectos, le recordaba su historia de amor con su mujer, Edith Bratt. El nombre del protagonista, Beren, es casi una traducción del apellido de Tolkien; durante sus estudios descubrió que su apellido era de origen germánico, deriva de la palabra Toll-Khün, que él tradujo como foolhardy, “estúpidamente valiente”. También el nombre de Beren se puede traducir en la lengua Sindarin como “valiente”. Además, el

130 descontento del rey de los Elfos Grises, Elu Thingol, con respeto al hombre Beren, tiene analogías con el descontento de la familia de Edith, protestante, con respeto a la fe católica de Tolkien. En ese cuento aparecen algunas referencias a la mitología de otras culturas. La más evidente es la relativa al mito de Orfeo y Eurídice. Al final del cuento, Lúthien se va a las Estancias de Mandos, el Vala encargado de cuidar las almas de los muertos, para pedirle que le restituya Beren. La diferencia con el mito clásico es que, en este caso, Lúthien logra su intento y Mandos le permite vivir el resto de su vida con Beren pero como mujer mortal.

Túrin es el protagonista de otro cuento fundamental de El Silmarillion. Es la historia del hombre que se llamó a sí mismo Turambar, Amo del Destino, pero, que acabaría viéndose turum ambartanen, dominado por el destino. De hecho, a pesar de ser recordado como un valiente guerrero y como quien mató al dragón Glaurung, se abandonó a la locura y se suicidó arrojándose sobre su espada. En su historia hay muchas referencias a la mitología nórdica. La más evidente es el parecido entre Túrin y Kullervo, protagonista del Kalevala, el poema épico finlandés más importante. Del mismo modo que Túrin, Kullervo seduce a una muchacha que resulta ser su hermana, motivo por el que ella se suicidará, mientras que él, desesperado, le pregunta a su espada si está dispuesta a quitarle la vida y, ante su respuesta afirmativa, se da muerte.

2.3.2 Descripción

Los hombres de la Tierra Media se parecen mucho a nosotros. Son más bajos y feos que los elfos y, a diferencia de ellos, no son inmortales. En la Tierra Media viven hombres de diferentes razas. Con el nombre élfico Edain se indica sólo a aquellos hombres que fueron amigos de los elfos. La raza humana fue la que, tal vez, en toda la historia de la Tierra Media, estuvo más a la merced de Morgoth y de Sauron; durante las numerosas batallas que

131 tuvieron lugar entre las fuerzas del bien y del mal, algunos de ellos combatieron en una u otra facción según sus intereses.

2.3.4 El segundo pueblo

La ciudad de Minas Tirith

En un primer momento los elfos y los Valar no se dieron cuenta del despertar de los hombres. Los encontró Finrod Felagund, rey de los elfos de Nargothrond, y entre ellos nació amistad. La alianza entre elfos y hombres vaciló por primera vez durante la batalla Nirnaeth Arnoediad, “de las Lágrimas Innumerables”, cuando por primera vez algunos hombres (de la raza de los Esterlings) traicionaron a los elfos, sus aliados, y lucharon a lado de Morgoth. Una de las razas de hombres más importante fue la de los Dúnedain (o Númenoreanos). A cambio de su lealtad hacia los elfos en el campo de batalla, los Valar les donaron la isla de Númenor y una vida tres veces más larga que la de los demás hombres. Sin embargo, les prohibieron irse a los reinos inmortales de los elfos, porque no podían, de ninguna manera, obtener la inmortalidad. Con el tiempo, Saruman logró corromperlos y les

132 sugirió que se rebelaran contra los Valar. Los que les fueron fieles, se marcharon de Númenor mientras que los que se quedaron en la isla murieron cuando los Valar provocaron su hundimiento. Los Dúnedain que se salvaron vivieron como desterrados en la Tierra Media y fundaron los reinos de Arnor y Gondor que, tras el dominio de Sauron, fueron reunificados bajo Rey Elessar (Aragorn).

2.4 Los Hobbits

2.4.1 La ideación

Los hobbits son la única raza que es completamente inventada. Humphrey Carpenter, su biógrafo, cuenta cómo Tolkien inventó a los hobbits. Era una tarde estiva y Tolkien estaba corrigiendo los exámenes de sus alumnos. Uno de ellos había dejado un papel en blanco y Tolkien escribió: «En un agujero en el suelo, vivía un hobbit». Fue así que nacieron sus personajes más célebres. Tras la publicación de El Hobbit un lector preguntó a Tolkien si, para la características de sus hobbits, se hubiera inspirado a la descripción de los “hombrecitos peludos” que el biólogo Julian Huxley había visto en África o a los homónimos personajes de un cuento de 1904.48 Tolkien le contestó que él había vivido en África y nunca había visto u oído de esos “pigmeos peludos” y dijo que no conocía el cuento que el lector nombraba. Añadió que su hobbit no era peludo, salvo los pies y era «un próspero y joven soltero bien alimentado, con medios económicos que le permitían la independencia». En la misma carta Tolkien afirma no recordar cómo creó a sus hobbits, entonces era imposible buscar en ellos alguna referencia a otros relatos del pasado.

48 Humphrey Carpenter, Las cartas de J.R.R. Tolkien, carta 25.

133 El problema de sus hobbits era que esta palabra no tenía un origen filológico y ya hemos visto como la filología era fundamental para cualquier proceso creativo de Tolkien. Él solucionó el problema gracias a una teoría de la mitad del siglo XIX del profesor August Schleicher que afirmaba que se podía reconstruir una lengua muerta de las lenguas que derivan de ella. Gracias a ese método, él reconstruyó la palabra en anglosajón *hol-bytla, que significa “morador de agujeros” o “constructor de agujeros”. Pero como se dice en el íncipit de El Hobbit, no era un cualquier agujero, «era un agujero-hobbit, y eso significa comodidad.»

2.4.2 Descripción

Tolkien imaginó que para sus lectores hubiera sido difícil figurarse a esos hobbits. Entonces los describió con todo lujo de detalles tanto en El Hobbit como en el prólogo de El Señor de los Anillos y en algunas cartas. Los describió como criaturas humanoides, con vientre abultado y piernas cortas, una cara redonda y jovial y orejas sólo ligeramente puntiagudas, pelo corto y rizado, pies cubiertos de pelo desde las tobillas hacia abajo. Ellos visten con pantalones de terciopelo verde; chalecos rojos o amarillos; chaqueta verde o castaña. A pesar de su estatura menuda (entre 90 y 110 centímetros) y regordeta y su pereza, ellos son muy ágiles y saben como moverse silenciosamente por los bosques. Los hobbits son un pueblo reservado y modesto. Ellos aprecian la tranquilidad y la compañía y son amantes del buen beber y del buen yantar. Se dice que fueron ellos los que introdujeron por primera vez la costumbre de fumar hierba para pipa en la Tierra Media.

2.4.3 Los Hobbits en la Tierra Media

No se sabe mucho de cómo los hobbits llegaron a la Tierra Media. Según sus primeros relatos, ellos vivieron por mucho tiempo a orillas del río Anduin, al este de las Montañas Nubladas. En ese periodo estaban divididos en tres

134 subrazas: los Pelosos, más menudos y con piel oscura; los Fuertes, de constitución más sólida y los Albos, los menos numerosos, con piel y pelo claros. Los Pelosos fueron el primer grupo que traspasó las Montañas Nubladas estableciéndose en la Cima de los Vientos. Al oeste de las montañas se mezclaron con elfos y hombres que les enseñaron la lengua común, el oestron. En el año 1601 de la Tercera Edad, los hermanos Marcho y Blanco se fueron de la aldea de Brea y se establecieron en la Comarca, donde el pueblo de los hobbits siguió viviendo.

Bilbo y los enanos.

2.4.4. Bilbo: mediador entre antiguo y moderno

El objetivo de Tolkien siempre fue el de recrear la atmósfera de las antiguas leyendas nórdicas. Pero hoy en día a menudo los antiguos héroes se consideran con ironía y Tolkien no quería que pasara lo mismo a sus héroes. La solución a este problema es el personaje de Bilbo Bolsón que desempeña el papel de mediator entre el mundo antiguo que quería describir Tolkien y el lector moderno. De hecho, Bilbo representa las opiniones y la incapacidad modernas: el no actúa por venganza o por heroísmo, no sabe gritar «dos veces como lechuza de granero y una como lechuza de campo» como le piden los enanos, no conoce las Tierras Ásperas y tampoco sabe despellejar un conejo. Por eso ya desde las primeras páginas de El Hobbit el lector

135 consigue identificarse con Bilbo y juntos empiezan ese viaje en una tierra hecha de leyendas de héroes, de monstruos y de antiguos tesoros.

2.5 Otras criaturas

Los . Ellos son criaturas de forma arbórea pero con características humanas creados por Yavanna para que protegieran los árboles y los bosques. Ellos pueden marchar y parlar. Durante la Tercera Edad Vivian sobre todo en Fangorn donde los hobbits Merry y Pippin los encontraron y los convencieron a tomar parte en la guerra contra Sauron.

Las Águilas. Son animales similares a nuestras águilas pero mucho más grandes y poderosas. Siempre fueron de gran ayuda para los héroes de Tolkien en los momentos de dificultad. Entre otras cosas, ellas ayudaron a Fingon que quería liberar a Maedhros, hijo de Fëanor, liberaron a Gandalf el Gris y salvaron Frodo y Sam tras la destrucción del Anillo.

Las criaturas de Morgoth. Tras errar solo en la Tierra Media, Morgoth sometió muchas criaturas y otras las creó en las profundidades de sus fortalezas. Los más numerosos entre sus siervos eran los Orcos. Ellos se originaron a partir de elfos que Morgoth cautivó y corrompió. Son criaturas grotescas, deformes y crueles. Obedecen ciegamente a los órdenes de Sauron que sacrifica muchos de ellos para alcanzar sus objetivos. Menos numeroso pero más poderosos son los Balrogs. Estos eran en principio Maias que se dejaron corromper por las mentiras de Melkor. Son espíritus de fuego que suelen estar armados con látigos ígneos y son aparentemente invencibles. En El Señor de los Anillos Gandalf se enfrenta a un balrog y lo derrota.

136 Capítulo 3: Las lenguas de Arda

3.1 Un vicio para nada secreto

Como bien se puede uno imaginar, cuando Tolkien era niño, su pasatiempo favorito era inventar lenguas. Estaba tan interesado en las lenguas que no podía resistir la tentación de crear las suyas propias. Cuando empezó a crear las lenguas de Arda ya conocía el inglés antiguo y medio, el nórdico antiguo, el gótico, el noruego antiguo, el galés, el finlandés, el alemán, el alto alemán antiguo, el francés, el español y el italiano además del griego clásico y el latín. De todos ellos tomó elementos prestados para “construir” sus lenguas, pero siempre atribuyendo una estructura lógica a sus creaciones lingüísticas. En su ensayo Un vicio secreto, explica cómo, desde niño, se acercó por primera vez a las lenguas artificiales y da algunos ejemplos de las lenguas que inventó, el nevbosh y el naffarin. Si se comparan ambas y el primer fragmento escrito en lengua quenya, que también aparece en el texto, se hace evidente la evolución de su proceso creativo. Tanto en el nevbosh como, en menor medida, en el naffarin, la influencia de las lenguas que él conocía es indiscutible, por ello no merecen un detallado análisis filológico. Por otro lado, el quenya y el sindarin tienen una auténtica estructura y gramática y, de hecho, son las lenguas más completas que creó. No hay que pensar que Tolkien creó las lenguas para enriquecer la cultura de sus pueblos, sino todo lo contrario, proyectó su mitología entorno a las lenguas y concibió un mundo para que se pudieran hablar. Cuando le preguntaron cuál era el significado de El Señor de los Anillos contestó: «Nadie me cree cuando digo que mi extenso libro es un intento de crear un mundo en el que una lengua no sólo es de mi gusto sino que además parece real. Pero es cierto».49

49 Humphrey Carpenter, Las cartas de J. R. R. Tolkien, carta 205.

137 En el ciclo de sus leyendas aparecen más de una docena de lenguas ficticias. Algunas se pueden considerar completas (dos de los idiomas élficos quenya y sindarin), otras sólo aparecen en algunos breves fragmentos, es el caso de otros idiomas élficos (ilkorin/doriathrin, telerin y nandorin), la lengua de los enanos (khuzdul), las lenguas de los hombres (adûnaico y oestron) y la lengua negra de Mordor.

3.2 Reglas generales de escritura y pronunciación

Antes de analizar esas lenguas se necesita una breve premisa lingüística sobre el papel que desempeñan a lo largo de la obra. En los apéndices de El Señor de los Anillos, el autor explica que, en la mayoría de los casos, sus lenguas aparecen en caracteres latinos y no en sus alfabetos originarios. Además explica que la lengua común, el oestron, y la lengua de los hombres Rohirrim, el rohirric, se han representado respectivamente con el inglés y con el anglosajón. Todo ello para ayudar al lector a familiarizarse con su complejo mundo lingüístico.

En la Tercera Edad, en la Tierra Media, se utilizaban dos alfabetos: el tengwar y el cirth que se utilizaban en todas las lenguas de Arda50 con algunas variaciones. El tengwar fue inventado por los Noldor y se escribía con pluma o pincel. Las letras que se utilizaban en la Tercera Edad eran las tengwar de Fëanor que él creó inspirándose en el alfabeto tengwar de Rúmil, que era más antiguo. El tengwar al principio era un alfabeto sin una fonética fija, era un conjunto de signos que se podían adaptar según conviniera a los diferentes idiomas élficos.

50 En realidad, Tolkien también solía utilizar esos alfabetos para escribir en inglés.

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Tabla 1: Las tengwar de Fëanor.

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Ese sistema se compone de veinticuatro letras principales, organizadas en cuatro témar (series), cada una con seis tyeller (grados). Las letras 25-36 son letras adicionales, casi siempre resultado de una modificación de las principales. Estas últimas se componen de un telco (tallo), que puede ser alzado (en el caso consonantes aspiradas) o reducido, y un lúva (arco) que puede ser abierto, cerrado o duplicado cuando se añade la intensidad. En la Tercera Edad, a pesar de la libertad de aplicación de las series a diferentes sonidos, se aplicaba la Serie I a las consonantes dentales y la Serie II a las consonantes labiales. Las Series III y IV se aplicaban según las reglas de las diferentes lenguas. Por lo general, las letras del Grado 1 se aplican a las oclusivas sordas t, p, ch, k; en consecuencia, ya que el arco redoblado añade intensidad, el Grado 2 indica los fonemas d, b, j, g; el tallo alzado indica sonidos aspirados, en consecuencia el Grado 3 indica los fonemas th, g, sh, ch y el Grado 4 los fonemas dh, v, zh, gh; el Grado 5 se aplica generalmente a los fonemas nasales (los 17 y 18 se utilizan para indicar n y m), mientras el Grado 6 se utiliza para los más débiles de cada serie (el 21 es r y el 22 w). Entre las letras adicionales, sólo dos tienen un valor propio y son la 27 que indica l y la 29 que indica s. La representación de las vocales varia según el “modo” de escritura y la lengua. En el “modo clásico” se representan con los tehtar, signos que se colocan sobre la letra consonántica.

Tabla 2: Los tehtar más comunes y las vocales que representan.

Las runas del alfabeto cirth son muy parecidas a las runas antiguas aunque algunas las añadió Tolkien para representar nuevos sonidos. Esas runas fueron inventadas por los Sindar del Beleriand y se utilizaban para las inscripciones hechas en la piedra y la madera. Esas runas formaban el

140 Alfabeto de Daeron, ya que, según la tradición élfica, las había inventado Daeron, el juglar de la corte de Rey Thingol. Luego ese alfabeto fue adoptado también por los enanos que le dieron un nuevo nombre: Anghertas.

Tabla 3: Las runas cirth y los sonidos que representan.

141 3.3 Las lenguas élficas

El quenya, o alto élfico, es la más noble y antigua entre las lenguas élficas. Tolkien empezó trabajar en ella en 1912; en una entrevista, su hijo Christopher dijo que era «la lengua de su corazón». Por lo que se refiere a sus fuentes, Tolkien afirmaba que la lengua arcaica del folklore se había creado para ser una especie de “latín élfico” pero, en realidad, se podría decir que la compuso basándose en el latín, con dos ingredientes principales que, en palabras del autor «...me producen placer “fonoestético”: el finlandés y el griego».51 El quenya era el idioma de los elfos de Valinor que los Noldor llevaron a la Tierra Media. Mientras tanto, los Elfos Grises, que se habían quedado en Beleriand, habían desarrollado un idioma diferente partiendo de las mismas raíces: el sindarin. Cuando el rey Thingol supo que los Noldor habían exterminado a los elfos Teleri, prohibió que se hablara la lengua de los Noldor en su reino así que el sindarin se convirtió en la lengua más hablada por los elfos del Beleriand y, más tarde, también por otros pueblos. Con respecto al sindarin, Tolkien explicaba que era la que se encontraba habitualmente, en especial en los nombres. Tiene un origen en común con el quenya, pero se realizaron cambios deliberadamente para darle un carácter lingüístico muy semejante (aunque no idéntico) al británico-galés y porque le parecía que se adaptaba al tipo de leyendas e historias de estilo céltico que se narraban. Según el autor el carácter galés era «...muy atractivo en algunos temples lingüísticos».52

Las lenguas quenya y sindarin (así como otros idiomas élficos) derivan de la misma raíz: el élfico primitivo. Las dos lenguas pueden parecer similares desde un punto de vista fonético y sintáctico pero, a pesar de eso, son muy diferentes. La diferencia principal entre las dos es su uso. En la Tercera Edad el quenya casi había cedido completamente el paso al sindarin como medio de comunicación. En ese mismo periodo, el quenya era considerada

51 Humphrey Carpenter, Las cartas de J. R. R. Tolkien, carta 144. 52 Humphrey Carpenter, Las cartas de J. R. R. Tolkien, carta 144.

142 la lengua de la cultura y de la sabiduría, y se utilizaba sobre todo en cantos y leyendas o en antiguos saludos como el que utiliza Frodo en La Comunidad del Anillo: Elen síla lúmenn’ omentielvo, “una estrella brilla en la hora de nuestro encuentro”.

Desgraciadamente la mayor parte del material que Tolkien escribió en esas lenguas no se ha publicado, incluso las gramáticas y los diccionarios. Todo lo que sabemos de esas lenguas es el resultado de los estudios de muchos lingüistas que se han dedicado a reconstruirlas partiendo de los fragmentos que el hijo del autor publicó tras su muerte.

3.4 El khuzdul

El khuzdul es la lengua secreta de los enanos que aparece sólo en pocos breves fragmentos. La estructura del khuzdul se parece mucho a la de las lenguas semíticas: los términos se componen de una raíz compuesta por consonantes. Los sustantivos, verbos y adjetivos se forman añadiendo las vocales a esas raíces consonánticas. Por ejemplo, las raíces Kh-Z-D forman todas las palabras que se refieren a los enanos: Khuzd, “enano”; Khazâd, “enanos”; Khuzdul, la lengua de los enanos; Khazad-dûm, otro nombre de Moria. El khuzdul no es muy hablado en las novelas de Tolkien. En El Silmarillon se narra como Aulë, tan pronto como acabó de crear a los enanos, empezó a instruirlos en la lengua que había inventado para ellos. Con el tiempo, los enanos empezaron utilizar otras lenguas para comunicar con los demás pueblos y hablaban su lengua secreta únicamente entre ellos. En la Tercera Edad, esa lengua era tan secreta que sólo se utilizaba para indicar lugares, mientras que los enanos, para su propio nombre, utilizaban los que derivaban de las lenguas de los hombres. Junto al khuzdul, los enanos utilizaban el iglishmêk, un lenguaje gestual que habían inventado.

143 3.5 La lengua negra de Mordor

Es una de las lenguas menos desarrolladas por Tolkien pero es fundamental para los acontecimientos de El Señor de los Anillos, ya que es la lengua de la inscripción del Anillo Único. En las novelas se dice que la inventó el mismo Sauron para que sus siervos utilizaran una lengua propia y no las de los demás pueblos. Algunas de las pocas palabras que se conocen de ella son: uruk, “orco”, probablemente una derivación del sindarin orch; snaga, “esclavos”; ghâsh, “fuego”; nazgûl, “espectros del Anillo” (compuesta por nazg, “anillo” y gûl, “espectro/s”).

3.6 Algunos ejemplos de las lenguas y los alfabetos de Tolkien

 El tarro en la Montaña Solitaria

La inscripción de este tarro es el primer uso que Tolkien hace del alfabeto tengwar en sus novelas. Esa imagen es un detalle de una ilustración que el autor hizo para El Hobbit. La frase está en inglés y se pueden distinguir las

144 siguientes palabras: «Gold th*** Thrain, accursed ***the thief». La hipótesis sería que la frase originaria era: «Oro de Thrain, sea maldito el ladrón». Es posible que en la primera línea se entrevea también el nombre de Thror.

 El frontispicio de El Señor de los Anillos

145 En el frontispicio de la edición inglesa de El Señor de los Anillos hay dos frases en inglés escritas en alfabetos tengwar y cirth. La primera frase en cirth significa: «The Lord of the Rings translated from the Red Book…» (El Señor de los Anillos traducido del Libro Rojo...), mientras que la frase en tengwar dice: «...of Westmarch by John Ronald Reuel Tolkien. Herein is set forth the history of the War of the Ring and the return of the King as seen by the Hobbits» (…de la Frontera del Oeste por John Ronald Reuel Tolkien. Aquí se narra la historia de la Guerra del Anillo y del retorno del Rey desde el punto de vista de los hobbits). El Libro Rojo de la Frontera del Oeste es un libro ficticio escrito por los hobbits que Tolkien finge utilizar como fuente para escribir su historia.

 La inscripción del Anillo

Este es el único ejemplo escrito de la lengua negra de Mordor. La inscripción del Anillo está compuesta por dos frases escritas en tengwar y se ve solo cuando el Anillo se somete a un calor intenso y. En caracteres latinos la frase sería: «Ash nazg durbatulûk, ash nazg gimbatul, ash nazg thrakatulûk agh burzum-ishi krimpatul» (Un Anillo para gobernarlos a todos, un Anillo para encontrarlos, un Anillo para atraerlos a todos y atarlos en las tinieblas). Este fragmento representa las últimas dos frases de un antiguo poema élfico que decía:

146 «Tres anillos para los Reyes Elfos bajo el cielo. Siete para los Señores Enanos en casas de piedra. Nueve para los Hombres Mortales condenados a morir. Uno para el Señor Oscuro, sobre el trono oscuro Un Anillo para gobernarlos a todos. Un anillo para encontrarlos, Un Anillo para atraerlos a todos y atarlos en las tinieblas En la Tierra de Mordor donde se extienden las Sombras».

 Las Puertas de Durin

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Esta es la ilustración de las Puertas de Durin, tal y como las vieron los miembros de la Comunidad del Anillo. Al pie está escrito: «Aquí está escrito en caracteres Fëanorianos según el modo de Beleriand: Ennyn Durin Aran Moria: pedo mellon a minno. Im Narvi hain echant: Celebrimbor o Eregion teithant i thiw hin». La frase es en sindarin (se puede reconocer porque no utiliza los tehtar para indicar las vocales). La frase se puede traducir así: «Las Puertas de Durin, Señor de Moria. Habla, amigo y entra. Yo, Narvi, construí estas puertas. Celebrimbor de Acebeda grabó estos signos». Esas puertas remontan a la Segunda Edad, cuando la amistad entre elfos y enanos era muy fuerte. De hecho fueron realizadas por Narvi, el más hábil artesano enano, y Celebrimbor, el más famoso herrero de los elfos.

 La tumba de Balin

La tumba de Balin es un ejemplo de lengua khuzdul escrita en cirth. La inscripción se compone de una frase en khuzdul y su traducción en la lengua común. Dice así: «Balin Fundinul Uzbad Khazaddûmu. Balin son of Fundin Lord of Moria» (Balin hijo de Fundin Señor de Moria). Los enanos no solían

148 escribir sus nombres en khuzdul ni siquiera en las tumbas y preferían traducir siempre sus nombres a la lengua común.

 El juramento de Elendil

«Et Eärello Endorenna utúlien. Sinome maruvan ar Hildinyar tenn' Ambar- Metta!»

«Del Gran Mar he llegado a la Tierra Media y ésta será mi morada y la de mis descendientes hasta el fin del mundo».

Elendil era uno de los Númenóreanos que huyeron de la isla antes que los

149 Valar la hundieran. Tan pronto como llegó a la Tierra Media, donde fundaría los reinos de Arnor y Gondor, dijo esas palabras en quenya que más tarde también pronunciaría Aragorn, su descendiente en El Señor de los Anillos. De este breve fragmento se pueden deducir algunos elementos de gramática quenya.

Et es una partícula, que seguida por el ablativo, indica la procedencia. La desinencia –llo es típica del ablativo que indica la procedencia (eär “mar”; eärello “del mar”) mientras que la desinencia –nna indica un uso del acusativo, es decir el destino (Endor “Tierra Media”, Endorenna “a la Tierra Media”). El verbo utúlien se compone del verbo utúlië, “llegar”, y la desinencia –n que indica la primera persona singular. El adverbio de lugar sinomë se compone de si (aquí) y nóme (lugar) y significa “en este lugar”. El verbo maruvan deriva de mar (vivir, residir) al que se añade la desinencia del futuro (-uva) y de la primera persona singular (-n). Ar representa la conjunción “y”. Hildinyar es una palabra compuesta por hildi, que se puede traducir como “seguidores” (en este caso “descendientes”), -nya, la desinencia que indica el posesivo en primera persona singular, y –r, la desinencia del plural. La palabra tenn’ es la elisión de la preposición tenna (hasta). Ambar (derivado de mar, “hogar”) indica el mundo habitado; metta (fin) se encuentra también en mettarë (último día del año).

150 Conclusión

El objetivo de esa tesis ha sido analizar algunos aspectos del proceso creativo de Tolkien para que el lector comprenda la estructura del complejo mundo que creó el autor. Este análisis se centra en tres aspectos igualmente importantes: la esencia mitológica de sus historias, los pueblos que viven en su mundo y, quizás el aspecto más importante, las lenguas alrededor de las que todo se originó.

Como filólogo, las lenguas ocupaban la mayor parte de su vida; sólo cuando empezó a inventar una sintió la necesidad de crear un mundo a su alrededor. La mente de Tolkien progresaba planteándose preguntas y buscando respuestas: ¿de dónde procede esa lengua? ¿quién la habla? ¿cuál es su historia? Empezó a escribir sus cuentos con el fin de encontrar respuestas a estas preguntas. Todas estas leyendas se referían a lo que, según el autor, podría ser el origen de nuestro mundo y se inspiraban en los mitos que Tolkien había apreciado cuando era estudiante: en su Legendarium hay referencias a los temas de las mitologías nórdica y germánica, y también a las leyendas griegas y al ciclo artúrico. El resultado fue la creación un mundo nuevo y original caracterizado por una atmósfera antigua.

Tolkien trabajó en su mitología durante toda su vida pero sólo consiguió publicar una pequeña parte de lo que había escrito ya que revisaba continuamente sus historias y añadía nuevos elementos. Hoy, gracias a la intervención de su hijo Christopher, se ha publicado la mayoría de sus obras y su Legendarium se compone de cientos de cuentos. Sus novelas y recopilaciones de cuentos tuvieron un éxito enorme durante el siglo XX y representan la piedra angular de la literatura fantástica en todo el mundo.

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152 Bibliografia

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