62 n. 15 (1996), pp. 63-80.

La Tavola di Polcevera e l’occupazione del Genovesato in epoca tardorepubblicana

Ettore Bianchi Gruppo Archeologico Ligure

La valle del Polcevera solca la robusta dorsale appenninica che si erge alle spalle di Genova; nella sua porzione più alta essa comprende a ovest il bacino idrografico del torrente Verde e a est quello degli immissari Secca e Riccò. La testata valliva, a netta configurazione collinare e montana, è sempre stata oggetto di studi approfonditi. A essa infatti si riferisce una celebre epigrafe che fu trovata nel 1506 presso il greto del Secca e che perciò è universalmente chiamata «Tavola di Polcevera» (titolo che d’ora innanzi sarà abbreviato con la sigla TP). Si tratta di una laminetta di bronzo spessa cm 0,2, alta cm 37,5 e larga cm 47,5, recante una scrittura latina disposta su 46 righe; l’oscura anticaglia, ceduta dallo scopritore a un calderaio, fu segnalata al governo della Repubbli- ca di Genova che l’acquistò senza indugio; la prima pubblicazione fu curata a Parigi nel 1520 dal Bracelli e poco dopo, nel 1537, A. Giustiniani tradusse il testo in italiano (Pastorino 1995); dal Ritschl in avanti, la dottrina ha classificato in vario modo l’iscrizio- ne (come CIL I 2, 584 = CIL, V, 7749 = ILS, 5946 = ILLRP, 517); numerosi sono stati i commenti critici, dal momento che la TP è la più completa testimonianza circa gli usi agrari antichi dopo i Gromatici Veteres; attualmente il prezioso cimelio ha una cornice espositiva degna e permanente nel Museo Civico di Archeologia Ligure di Genova Pegli (tav. 1). Il testo contiene la sentenza che due arbitri imposti dal Senato romano, i fratelli Minuci Rufi, pronunciarono nel 117 a.C. allo scopo di dirimere una questione insorta tra i Ge- nuates, gli abitanti di Genova, e i Viturii Langenses, un popolo dell’interno. Nel II secolo Genova era una civitas peregrina, libera e immune e aveva limitati poteri sui montanari che politicamente erano fermi a un livello di sviluppo pre-chiefdom; infatti essi non conoscevano gerarchie politiche fisse, con reguli o magistrati, ma solo delegati eletti dall’assemblea dei capifamiglia (Foraboschi 1992, p. 59). Dai sensi del contenzioso si ricava la giustapposizione tra ager privatus, una riserva particolare dei Vituri, immune da gravami, alienabile e trasmissibile per via ereditaria e ager publicus, un’areale che i Vituri possedevano, lavoravano e regolavano, ma del quale non avevano la proprietà; i 64 Bianchi La Tavola di Polcevera 65 montanari volevano appunto confermare e ampliare la loro presenza su tali terre pubbli- Il problema storico che qui si intende risolvere è il seguente: ammesso che i giudici che ma i Genuati li contrastavano, facendo ricorso anche a mezzi giudiziari (Ghio 1994). romani tentassero di accomodare la faccenda in modo equo per entrambi i contendenti, Peraltro, nella misura in cui l’assemblea popolare dei Vituri - i subalterni - aveva una chi uscì in ultima istanza vincitore dalla disputa: i Vituri o i Genuati? Dalla semplice certa autonomia amministrativa, senza ingerenze dalla parte della città egemone, l’aggre- lettura della TP non si comprende se, nel 117 a.C., i Vituri erano gente solidale, che gazione dei Vituri a Genova ancora non si configurava come adtributio (Laffi 1966, pp. aveva ottenuto la certezza di posidere fruique le terre demaniali, sostenuta dalla benevo- 55 ss.). L’oscurità di alcuni passaggi a proposito dell’agro pubblico ha consentito a taluni lenza dei fratelli Minuci; oppure se, alla stessa epoca, i Vituri erano divisi, contestati storici locali (C. Desimoni, G. Poggi, G. Carretto, U. Formentini) di discettare su un nell’appoderamento dell’agro pubblico, sempre più sulla difensiva di fronte all’incalzare immaginario ager publicus conciliabuli inter Genuates et Viturios e di enfatizzare la pre- di uomini, economie e usanze di matrice urbana. senza in di una sorta di collettivismo per quanto riguarda boschi e pascoli (Sereni L’archeologia di superficie può dare il suo modico contributo alla soluzione di questo 1955). In realtà, se si vuol riconoscere al contenuto legale dell’arbitrato una plausibilità genere di dilemmi: si è fatto un inventario dei reperti dal V al III secolo a.C. e di quelli logica, bisogna leggerlo in conformità allo spirito della giurisprudenza dell’età graccana, dal II sec. a.C. al I sec. d.C.; per i due periodi si sono considerate un numero quasi pari molto attenta alle usurpazioni di terre demaniali (Moatti 1993, pp. 105 ss.); e allora non di località, nel medesimo areale geografico, in un arco di tempo pressoché identico. Se si può che concordare con l’opinione dei maggiori storici del diritto romano, dal Rudorff i Vituri avessero avuto la forza, nonostante la sconfitta, la resa e la retrocessione parziale al Mommsen, dal Bognetti al Lamboglia, dal Sereni al Tibiletti, che si figurano un ager del territorio, di continuare a fare le stesse cose dei loro avi, la distribuzione dei siti publicus Populi Romani Genuatibus adtributus quem Viturii possident. Secondo questa archeologici, passando dall’età del ferro alla romanizzazione, manifesterà sovrapposizio- linea interpretativa, la terra contesa non era nell’alto dominio né dei Genuati né dei Vitu- ne di abitati e aspetti di lenta modifica degli indirizzi agrari. In alternativa, se i Vituri, ri, bensì apparteneva allo Stato romano per diritto di conquista. Le fonti letterarie ci informano che dopo la Guerra Annibalica, nel 203 a.C., il Senato si era preso cura di Ge- nova, vittima di un disastroso sacco punico effettuato due anni prima; il propretore Spu- rio Lucrezio aveva restaurato e ripopolato il centro urbano (Liv., XXX, 1, 10), verso il quale Roma era impegnata da un foedus aequum, stipulato forse verso il 236; mentre in precedenza la città era stata dominata da una ristretta oligarchia di mercanti nord-etru- schi, interessati più ai traffici internazionali che ai contatti con le campagne circostanti, il nuovo corpo civico doveva comprendere numerosi elementi indigeni, di necessità invischiati nei problemi economici e istituzionali dell’entroterra. In qualche oscura congiun- tura politica, i montanari erano entrati in contrasto col rinato centro urbano; i fatti erano avvenuti molto probabilmente nel 197 a.C., quando il console Q. Minucio Rufo aveva guerreggiato contro decine di popoli barbari stanziati tra Genova e Casteggio (Liv., XXXII, 29, 5); ma certo i Vituri non si erano comportati da indomiti ribelli come gli Apuani o i Boi; inoltre, determinate casate senatorie, prima di tutte quella dello stesso Rufo, si erano atteggiate subito a protettrici dei dediticii, impetrando per essi un mite trat- tamento, in cambio di fedeltà politiche trasversali per le lotte di potere nell’Urbe; quindi i vincitori non avevano punito i nemici con la vendita in schiavitù e con la cacciata in massa dalle terre confiscate bensì, una volta circoscritta una riserva tribale per i Vituri, avevano diviso il restante ager ex hostis captus: una parte fu iscritta al patrimonio fondia- rio inalienabile della Res publica Genuatium, un’altra porzione fu retrocessa a titolo pre- cario a un segmento dei Vituri stessi, i Langati (Gabba 1987); costoro dovevano sottosta- re alla giurisdizione dei magistrati genovesi e versare regolarmente una lieve corrisposta in natura o in moneta, il vectigal, al Tesoro di Genova, che raccoglieva e disponeva delle entrate in nome di Roma; lo stesso computo del tributo in nummi vittoriati, moneta un tempo usata per pagare i mercenari ma ormai desueta allo scadere del II secolo, dimostra una certa anteriorità del patto di dedizione rispetto alla TP (Foraboschi 1992, pp. 56 ss.). Tavola 1. La Tavola di Polcevera. 66 Bianchi La Tavola di Polcevera 67 indeboliti per la confisca delle loro terre migliori e la sottomissione a Genova, non oggi guastata da cave di pietra (Boccaleri 1989); uscendo dal territorio di avessero potuto tirare avanti come in precedenza, i resti materiali comporteranno un’in- si incontrano dispersioni di ceramica grezza alla Caffarella, nel territorio di terruzione nel popolamento d’altura e un distacco dalle attività economiche tradizionali. (Ibidem) e a Vigo d’Orero, nel comune di Serra Riccò (Garibaldi 1985); un fondo di ciotola a impasto buccheroide è stata trovata alla Costa Bottuin di Trensasco, nel comune LE PREESISTENZE LIGURI DAL 450 AL 200 AVANTI CRISTO di S. Olcese (Davite et al. 1992a). Infine, si ricorda la coppia di tombe a cremazione dalla Camiaschetta di , attribuita alla metà del secolo IV, per le urne «a stralucido», Da sempre gli studiosi locali hanno disputato aspramente per riconoscere sul terreno il i vasi accompagnanti e una fibula della Certosa, che si inquadrano nell’orizzonte Golasecca circuito limitaneo che la TP descriveva: negli anni Cinquanta, G. Petracco Sicardi ha II; nei corredi erano comprese anche due lance, un’ascia e una spada di ambito La Tène compreso tutto lo spazio occupato dai Vituri nell’Alta Valpolcevera, al di qua dello iniziale (Venturino Gambari et al. 1987); propriamente le sepolture sono una testimo- spartiacque appenninico, mentre oggi E. Boccaleri, l’ultimo che si è sobbarcato il mala- nianza off-site, nel senso che non sono un luogo abitato, ma comunque denunciano la gevole incarico di far tornare la topografia degli agri, preferisce spostare alcuni termini presenza di un sito nelle immediate vicinanze. nelle contigue valli del Lemme e dello Scrivia (Boccaleri 1989). Sarebbe opportuno riprendere, per molti aspetti, la vecchia ricostruzione topografica di N. Lamboglia, che IL POPOLAMENTO DAL 200 AVANTI CRISTO AL 50 DOPO CRISTO dilatava al massimo le terre private e le communiones; per tale motivo, nel presente articolo si intendono considerare i siti archeologici posti negli odierni territori polceveraschi La definizione di sito archeologico non è intuitiva neppure per i due ritrovamenti di età di S. Olcese (GE), Serra Riccò (GE), (GE), Campomorone (GE) e Ceranesi romana più prestigiosi del Genovesato. Ci si riferisce anzitutto alla TP stessa: prima di (GE), nonché quelli scoperti nei comuni oltreappenninici di Fraconalto (AL), essere una fonte scritta è pure un reperto, che fu inciso a Roma allo scadere del II sec. (GE) e Savignone (GE) (tav. 2); dunque, questa selezione geografica lascia fuori località a.C. e venne alla luce a Isola di Pedemonte, in comune di Serra Riccò (Boccaleri 1993); molto importanti (quali M. Pennello, C. Lischeo, Cian de Veeja, , Cerviasca, certo la Tavola non è stata raccolta in giacitura primaria, perché riesce difficile pensare Campu Antigu, Geminiano, etc.), che tuttavia, a un sommario riscontro precauzionale, che un documento di quella importanza, vuoi esposto al pubblico in un’edicola, vuoi non contraddicono quanto si dirà più sotto. custodito in una sorta di tabularium, meritasse collocazione sulle rive insicure del Per la media età del ferro, il ritrovamento più importante di cui si ha conoscenza è un torrente Secca; è altresì vero che, al momento della scoperta, la lamina non recava i segni complesso capannicolo, eroso, sulla vetta di Monte Carlo a fianco di Pietralavezzara, di una lunga fluitazione, né era corrosa in profondità, e neppure risultava accartocciata o frazione del comune di Campomorone; il contesto presenta ceramica grezza, anfore smembrata come suol accadere ai bronzi destinati al riciclaggio; è lecito ipotizzare che la puniche Mana B 2, fusaiole e una fibula della Certosa in variante ticinese e si data alla TP fosse caduta a valle con un unico smottamento terroso dalla prossima dorsale che fine del IV sec. e all’inizio del III (Melli 1985). Inoltre dodici siti sono molto probabili: culmina nel Pizzo di Pernecco, ove si ergeva in antico un centro di un qualche rango; non si tratta, secondo la «soglia di Foley», di parcelle di terreno isolate su cui affiorano necessariamente il capoluogo dei Vituri, ma un santuario federale oppure un posto di almeno cinque frammenti fittili dello stesso periodo per ettaro di estensione; la ceramica incontro e di scambio tra più tribù. Analogo, ma se possibile più sottile, è il significato che si raccoglie ha superficie opaca, di colore prevalentemente rosso o bruno; non è insediativo che si può dare al famoso tesoretto di Niusci, ancora nei dintorni di Serra decorata; è fatta con impasti circumlocali, senza uso di tornio da vasaio; le forme Riccò: qualcuno, forse un mercante attivo sulle piazze insubri nel primo quarto del I sec. prevalenti sono olle ovoidali con labbro verticale, scodelle troncoconiche e recipienti tipo a.C., dovette occultare oltre 700 monete d’argento in un ripostiglio segreto, dentro un dolium, che trovano tutte generiche consonanze sub-golasecchiane; soprattutto, il mate- anfratto tra due massi (Dettori 1985); è logico che il proprietario agisse fuori della portata riale non è frammisto a manufatti di importazione, come il vasellame da mensa a vernice di occhi indiscreti e anche che si tenesse allo scarto di un centro abitato; ma, proprio nera, le tegole o le anfore. Quindi, si può ritenere un indice affidabile di frequentazione perché non si trattava di una moneta erratica, persa da qualche distratto viandante, è da antropica il cocciame preromano che è venuto in luce alla frazione Tegli di Fraconalto ritenersi che nessuno avrebbe lasciato una grossa somma di denaro nascosta in mezzo a (schede Museo S. Bartolomeo di Savignone); a Camarza e al Castellaro di Isorelle, nel un bosco, per di più lungo una pista di transito, se non avesse contato di trovare territorio di Busalla (Pastorino 1981); a Migliarina e a Fumeri, nel comune di Mignanego temporaneo ricovero nel più vicino gruppo di case per poi tornare a prendere il suo (Mannoni 1995, p. 158, fig. 18); in varie località del comune di Campomorone e gruzzolo. È possibile quindi che il tesoretto denunci indirettamente l’esistenza di un precisamente: sul M. Poggio del Telegrafo, presso l’odierno passo della Bocchetta nucleo demico stabile o stagionale nei dintorni, diciamo entro un’ora di cammino da (Garibaldi 1985); sulla sommità del Monte Larvego e subito sotto la quota 824 a nord del Niusci. M. Baracche (Pasquinucci 1992); sulla quota 297 poco sotto il M. Passeise, sui fianchi Per quanto riguarda l’archeologia di superficie vera e propria, l’alta Val Polcevera e le del Bric Bastia e alle prime pendici settentrionali del M. Carmelo di Isoverde, in una zona aree limitrofe sono state oggetto nel tempo di parecchie indagini, ma le tracce sono 68 Bianchi La Tavola di Polcevera 69

rimaste labili e molte anche inedite. Dal confronto con le non remote stazioni fittili di superficie di Traso, in comune di (GE), nell’alta Val Bisagno (Milanese 1977) e di Geminiano, frazione di Genova, nella media Val Polcevera (D’Ambrosio 1985b), si suggerisce di attribuire all’epoca della romanizzazione una dozzina di località, dove si sono recuperate associazioni di materiali quali la ceramica grezza di ascendenza lateniana, rappresentata da olle globose con labbro estroflesso, ciotole a calotta emisferica e reci- pienti situliformi; il pentolame nudo romano-ligure, a impasto semidepurato e foggiato al tornio (strumento che si diffonde in Liguria solo nel I secolo a.C.); i recipienti in terracotta comune romana, di fabbricazione industriale; il vasellame da mensa, quali

Siti abitati dal 450 al 200 a.C. Altimetria Pedologia e capacità d’uso 1 Savignone (GE), loc. Camiaschetta 400-600 m s.l.m. Suoli bruni calcarei (IV) 2 Busalla (GE), loc. Camarza 400-600 m s.l.m. Suoli bruni lisciviati (V-VI) 3 Busalla (GE), loc. Isorelle 400-600 m s.l.m. Suoli bruni subacidi (III-IV) 4 Fraconalto (AL), loc. Tegli 600-800 m s.l.m. Suoli bruni lisciviati (V-VI) 5 Ceranesi (GE), loc. Caffarella 400-600 m s.l.m. Litosuoli (VII) 6 Campomorone (GE), M. Passeise 200-400 m s.l.m. Suoli bruni subacidi (III-IV) 7 Campomorone (GE), loc. Isoverde 200-400 m s.l.m. Litosuoli (VII) 8 Campomorone (GE), M. Larvego 400-600 m s.l.m. Suoli bruni lisciviati (V-VI) 9 Campomorone (GE), M. Carlo 400-600 m s.l.m. Suoli rendziniformi (VI-VII) 10 Campomorone (GE), Bric Bastia 600-800 m s.l.m. Suoli bruni calcarei (IV) 11 Campomorone (GE), P. Telegrafo 800-1000 m s.l.m Suoli rendziniformi (VI-VII) 12 Campomorone (GE), M. Baracche 800-1000 m s.l.m Suoli rendziniformi (VI-VII) 13 Mignanego (GE), loc. Fumeri 200-400 m s.l.m. Suoli bruni subacidi (III-IV) 14 Mignanego (GE), loc. Migliarina 400-600 m s.l.m. Suoli rendziniformi (VI-VII) 15 Serra Riccò (GE), loc. Vigo d’ Orero 400-600 m s.l.m. Suoli bruni subacidi (III-IV) 16 S. Olcese (GE), Costa Bottuin 200-400 m s.l.m. Suoli bruni calcarei (IV) Siti abitati dal 200 a.C. al 50 d.C. Altimetria Pedologia e capacità d’uso 17 Savignone (GE), loc. Cian da Pilla 200-400 m s.l.m. Suoli bruni lisciviati (V-VI) 18 Savignone (GE), loc. Refundou 400-600 m s.l.m. Suoli bruni lisciviati (V-VI) 19 Savignone (GE), loc. Castellorosso 400-600 m s.l.m. Suoli bruni calcarei (IV) 20 Ceranesi (GE), loc. Gaiazza 200-400 m s.l.m. Suoli bruni calcarei (IV) 21 Campomorone (GE), loc. Bocchetta 600-800 m s.l.m. Suoli rendziniformi (VI-VII) 22 Mignanego (GE), loc. Montanesi 200-400 m s.l.m. Suoli bruni lisciviati (V-VI) 23 Serra Riccò (GE), loc. Pedemonte 0-200 m s.l.m. Suoli bruni subacidi (III-IV) 24 Serra Riccò (GE), loc. s. Cipriano 200-400 m s.l.m. Suoli bruni subacidi (III-IV) 25 Serra Riccò (GE), loc. Magnerri 200-400 m s.l.m. Suoli bruni subacidi (III-IV) 26 Serra Riccò (GE), loc. Campora 400-600 m s.l.m. Suoli bruni lisciviati (V-VI) 27 Serra Riccò (GE), loc. Niusci 400-600 m s.l.m. Suoli bruni calcarei (IV) 28 S. Olcese (GE), loc. Costa Bastia 200-400 m s.l.m. Suoli bruni calcarei (IV) 29 S. Olcese (GE), loc. Costa Bottuin 200-400 m s.l.m. Suoli bruni calcarei (IV) 30 S. Olcese (GE), loc. Vicomorasso 200-400 m s.l.m. Suoli bruni subacidi (III-IV)

Tavola 2. I numeri corrispondono ai siti riportati nella tabella 1 (a fianco). Tabella 1. 70 Bianchi La Tavola di Polcevera 71 coppe e patere in Vernice Nera; le anfore greco-italiche e poi Dressel 1. Inoltre, nei di Savignone (Pastorino, Pedemonte 1982); la loro cronologia resta necessariamente nel sopralluoghi è facile osservare, visibili come sono, dei rottami di tegulae in terracotta con vago, ma non si esita a ritenerli a grandi tratti coevi di tutti quelli sin qui menzionati. È corpo piano ad alette. vero che in passato, sulla scorta di alcuni scavi archeologici parziali, si dava alle tegole In effetti, tre siti presunti recano in superficie una o più classi di instrumentum domesticum romane del Genovesato una generica collocazione nei secoli IV-VI d.C., supponendo che ma non tegoloni: così, a lato dell’odierno valico della Bocchetta, in comune di servissero per compiti di bonifica dei fondi di capanna e per delimitare i focolari, oltre Campomorone, si è trovato uno sporadico frammento di patera in terra sigillata italica, che per sepolture alla cappuccina; riusi che in effetti sono altamente probabili laddove si forse di età augusteo-tiberiana (T. Mannoni, comun. pers.). Scendendo verso il fondovalle esaminino dei preferred sites, dei siti pluristratificati. In realtà, già si sapeva che nei del Polcevera, terracotta comune romana del I sec. a.C. o della prima metà del I sec. d.C. limitrofi territori libarnese, tortonese, piacentino e veleiate, oltre l’80% delle stazioni a proviene dalla Gaiazza di Ceranesi (Mannoni 1995, p. 95 ss.). Risalendo sulla Costa tegoloni è da riferirsi a edifici con finalità agricole in funzione per lo più tra l’età giulio- Bastia, nel comune di S. Olcese, si sono trovate olle grezze, poche imitazioni della claudia e il regno di Marco Aurelio; le tegole restanti potevano appartenere a necropoli, vernice nera, abbondante terracotta comune romana, molti anforacei in uso nel I secolo a mansiones stradali, a fornaci, a sacelli campestri. Solo di recente alcuni scavi (non a.C. (Davite et al. 1992 b). ancora pubblicati) hanno confermato che il nesso tra tegole sparse e dimore rurali era I siti certi, in numero di sei, rivelano invece una compresenza di frammenti vascolari e stretto anche nelle riviere liguri: ad esempio a Porciletto di Mezzanego (GE), un affiora- di tegole, ma non è evidente il collegamento tra le due classi di materiale: numerosi pezzi mento di tegole del diametro di 100-150 m ha permesso di scoprire una fattoria romana. di ceramica grossolana e vernice nera sono stati scavati sotto un gruppo di misere Nella fase tardorepubblicana (I sec. a.C.), la più consistente, le tegole per lo più erano capanne del Basso Impero, in località Rufundou di Savignone; il materiale si data destinate alla copertura della casa e di qualcuno degli edifici annessi: una di esse recava approssimativamente ai secoli II-I a.C., con termine non oltre l’età di Augusto; si noti che un foro appositamente aperto per lasciare uscire dal tetto il fumo emesso da un focolare alla base delle capanne e senza apparente significato costruttivo si trovava un abbondante interno. Molti erano anche i coppi di giunzione; le tegole erano embricate tra loro e rette tritume di tegoloni e di embrici: probabilmente essi erano in fase con i reperti ceramici da un telaio di legno, a sua volta sospeso mediante pali, dei quali si sono trovate le buche tardorepublicani ma la stratigrafia è stata sconvolta nel tempo (Fossati et al. 1976). nel pavimento (schede nel Museo della Fontanabuona, a ). A questo punto è Sempre in prossimità di Savignone, tegole insieme a ceramica grezza, pentolame comune lecito arguire che anche alle spalle di Genova romana fosse costume di coprire, almeno romano, fusaiole, anfore vinarie, vernice nera e terra sigillata si recuperano di continuo in parte, le dimore rurali con elementi fittili; semplicemente, questa pratica trovò sviluppi a Cian da Pilla, di fianco al ponte di S. Bartolomeo; l’abitato, ampio circa un ettaro, deve prima che altrove, già negli ultimi secoli della Repubblica. essersi sviluppato dagli inizi del I secolo a.C. alla prima metà del I sec. d.C. (Pastorino 1981). Dal Castellaro di S. Cipriano, in comune di Serra Riccò, ancora sotto un cospicuo LE STRUTTURE INSEDIATIVE E I RAPPORTI DI PRODUZIONE deposito tardoantico e ancora in giacitura secondaria, vengono le prove di una frequen- tazione antropica dall’inizio del II sec. a.C. alla prima età augustea: ceramica povera La consuetudine primitiva in merito alla copertura degli edifici adottava gli intrecci di locale, kylikes in vernice nera di produzione volterrana, primi esemplari di terra sigillata, frasche e paglia, come a Noceto di Cassine, sulle colline della val Bormida, nel II secolo anfore greco-italiche e Dressel 1, laterizi; una parte delle tegole crollate nel corso a.C. (Venturino Gambari et al. 1987), o al Colle S. Elena di Bergeggi (SV) (Del Lucchese dell’Alto Impero fu ripresa in età teodosiana per delimitare il focolare di una casupola et al. 1992); talvolta il tetto stramineo recava una trave di colmo ed era stabilizzato con (D’Ambrosio 1985a). Per analogia con S. Cipriano, non si dovrebbe sbagliare nell’asse- lastre litiche, come al M. Borgo di , nel IV secolo a.C. (Maggi, Melli 1990) e a gnare al I sec. a.C. e ai primi decenni dell’era volgare due affioramenti di pentolame nudo Montaldo di Mondovì, nel III sec. a.C. (Venturino Gambari 1991a). Al contrario, nella romano-ligure e di tegoloni che si incontrano a Montanesi, nel comune di Mignanego, e zona di pertinenza degli antichi Vituri, oltre la metà dei siti del periodo 200 a.C.-50 d.C. a Campora di Serra Riccò, dove si nota anche della ceramica grezza di tradizione ha restituito delle tegulae; e Tamara Lewit (Forni 1994, fig. 7) ha mostrato che, ad protostorica (Mannoni 1995, pp. 95 ss.). Cospicui depositi di tegole, ceramica grezza, esempio nella Gallia settentrionale, oltre 2/3 delle fattorie romane si associano a tegole, vernice nera (di importazione o d’imitazione volterrana), anfore Dressel 1 e un poco di mentre meno di 1/10 delle abitazioni celtiche tradizionali ne presenta e a debole densità. terra sigillata italica sono stati scavati alla Costa Bottuin di Trensasco, in comune di S. In un primo momento si è accarezzata l’idea che l’impiego, ancorché parziale, di elemen- Olcese; la frequentazione si estende su un arco di tempo piuttosto lungo, dalla seconda ti fittili per i tetti fosse indizio di una mutazione etnica entro la popolazione rurale, e metà del secolo II a.C. fino all’età claudio-neroniana; anche lì si evidenzia un successivo precisamente dell’invio di coltivatori diretti di stirpe italica, che avrebbero protetto le riuso nella tarda antichità (Davite et al.,1992a). Altri tre luoghi sono noti solo per la loro abitazioni secondo il costume del loro paese di nascita. A parte il fatto che, nei restituzione di tegole: tali sono Vicomorasso, in comune di S. Olcese (Garibaldi 1985); confronti di alleati preziosi come i Genuati, Roma si sarebbe guardata dal compiere atti Magnerri, nel comune di Serra Riccò (Mannoni 1995, p. 190); Castellorosso, in comune così provocatori come la sistemazione parcellare di schiere di immigrati italici, è possi- 72 Bianchi La Tavola di Polcevera 73 bile che eventuali coloni, anche cittadini genovesi poveri, avrebbero appoderato il terri- mare una vivace corrente di esportazione di vino (Plinio, N.H., XIV, 6, 68); non si fatica torio, cioè si sarebbero disposti a distanze più o meno regolari, isolati, soli con la propria a immaginare ricchi cittadini genovesi o agenti di latifondisti romani che investivano famiglia nucleare; più o meno quel che accadeva, negli stessi anni della TP, nella regione denaro nella viticoltura; ma se il sistema villatico avesse davvero preso piede nelle valli tortonese, sottoposta a centuriazione, dopo l’evacuazione degli Iriates che l’avevano del Polcevera, del Lemme e dello Scrivia, ivi si sarebbero incontrate numerose aziende abitata (Gabba 1987). Ebbene, per quanto la deperibilità dei materiali e l’incessante urbano-rustiche, ciascuna circondata da tre o quattro casupole satelliti; orbene, si vede dilavamento delle alture consente la lettura del costruito, nell’Alta Polcevera e nelle valli una costellazione di dimore rurali, ma non gli ipotetici edifici padronali ai quali avrebbe- limitrofe mancavano le casae (fattorie individuali autosufficienti), tipo Villanova di ro dovuto far corona; questi avrebbero dovuto lasciare in superficie tegole e coppi, ma Castenaso (BO), Pianello in Val Tidone (PC), Costa del Sole (SP) o Pieve di Filattiera anche resti dei quali non c’è traccia: pietre squadrate, mattoni e macerie, tubuli, pilae e (MS); tutti edifici che presentavano uno spazio costruito compreso tra 50 e 400 m2 altri elementi di ipocausto, brani di intonaco parietale colorato, tessere musive, lacerti (media di 100 m2) e una rudimentale articolazione in vani. Piuttosto, esaminando le aree pavimentali; almeno questo è successo a Brignano Frascata, in Val Curone, o a Bussana, di affioramento dei reperti fittili e i miseri resti di Costa Bottuin e di S. Cipriano, e presso Sanremo. confrontandoli con i fondi di capanna dei principali castellieri preromani (Montaldo di Per esclusione, si ritiene che la produzione agraria in Alta Polcevera e dintorni, nel II-I Mondovì, M. Bignone, M. Colma, , Uscio, Castelfermo, Pignone, Vezzola, sec. a.C., fosse affidata in larghissima parte a piccoli proprietari celtoliguri; ma costoro, Pieve S. Lorenzo, etc.), emerge che la gente di campagna, nei secoli II-I a.C., continuava e qui sta la novità, avevano rapporti sistematici con Genova: qualcuno sul piano econo- a vivere in semplici baracche da 10-30 m2 (aedificia): una tipica casupola aveva pianta mico, dedicandosi agli scambi di merci e all’assistenza ai viandanti sulla via Postumia; quadrangolare, uno zoccolo perimetrale di pietre unite da legante terroso e un alzato in i più sul piano politico, a causa della frequentazione obbligatoria di tribunali e templi materiale deperibile non impermeabilizzato; all’interno non c’era alcuna divisione in della città o per il comune apporto agli sforzi bellici di Roma. Non si spiega altrimenti vani e i pavimenti erano in terra battuta; la copertura era di materiale stramineo, l’esigenza che i Liguri avvertivano, di dare mediante le tegole un tocco di raffinatezza impreziosito da qualche filare di tegole; forse queste aggettavano dal tetto in corrispon- alle loro squallide abitazioni. denza del focolare, che era di norma esterno all’edificio, e che necessitava di protezione dalle intemperie. La formula di Raoul Narroll, relativa alle esigenze standard di spazio LE ANTICHE SEDI NEL LORO AMBIENTE NATURALE abitativo, assegna alle capanne preistoriche isolate una disponibilità di 10 m2/abitante (Renfrew, Bahn 1991, pp. 399 ss.): nel nostro caso, ogni edificio era dimensionato per un A questo punto, come si è preannunciato, è bene affrontare il test che dovrebbe conva- paio di residenti fissi, ma probabilmente la gran parte degli abitati era formata da 2-5 lidare una delle due interpretazioni possibili circa i rapporti di forza tra Vituri e Genuati: tuguri accostati; quindi ogni sito doveva ospitare una famiglia patriarcale di meno di 10 quella «continuista», favorevole ai primi, e quella «mutazionista», favorevole ai secondi. persone; in pratica sotto lo stesso tetto dormiva una frazione di lignaggio. È possibile Sulla base delle tracce antropiche del passato, ci si propone di confrontare le «unità dunque parlare per la facies a tegole, non già di romanità, ma di grado di romanizzazione; fisiche di paesaggio» più frequentate e di individuare analogie e differenze tra le opzioni si intende che questo grado è tutto da discutere e da quantificare, ma la presenza di alcuni manifestate dalla popolazione in ciascuna epoca (Leveau 1993). In qualche misura, manufatti industriali non appare tale da obliterare il substrato autoctono, che si manifesta questo tentativo di collocazione spaziale si pone sulla scia delle analisi di site catchement; nella tipologia edilizia «povera»; come del resto le civilissime lastre di terracotta, ancora il metodo à la Higgs richiederebbe d’individuare le risorse sfruttabili in modo ottimale piane e non ad alette, che coprivano i pozzetti funerari di alcune necropoli indigene del entro il raggio di 5 km da una certa località (Renfrew, Bahn 1991, pp. 224 ss.), ma poiché Basso Piemonte nel II sec. a.C., quali Casalcermelli, Roccagrimalda e Rio della Pieve di in territori montuosi sono improponibili rigidi «guinzagli» di interazione, ci si limita a Libarna, denotano un processo di acculturazione, ma non bastano a indicare apporti etnici considerare l’intorno immediato, puntuale, di ciascun sito, postulando che sia un campio- dalla penisola (Venturino Gambari 1991b). ne altamente indicativo di tutto il suo più vasto circolo di afferenza tecnico-economica Si impone però una nuova distinzione: dei pastori e dei coltivatori legati in qualche modo (cfr. tabella 1). al vecchio mondo gentilizio avrebbero potuto operare sia entro rapporti sociali fondati Dovendo valutare le qualità dell’ambiente naturale, non si è data molta importanza sulla piccola proprietà contadina sia come affittuari in un orizzonte gestionale dominato all’orientamento: tanto prima quanto dopo, nei limiti del possibile, le dimore stavano sui dalla villa: non si pensi tanto alle piantagioni intensive di stile columelliano, quanto alle versanti rivolti a sud, a sud-est e a est, per avere protezione dai venti freddi e umidi aziende di media taglia di Catone o dei Saserna, nelle quali gli schiavi cooperavano con provenienti dalla Padanìa e ricevere più luce e calore durante il giorno; né sembra che ci famiglie di fittavoli, dislocate attorno alla riserva dominica (Kuziscin 1984, pp. 68 ss.). fosse qualcosa di imprevedibile nella collocazione rispetto all’area di approvvigionamen- Qualche villa, nell’immediato suburbio di Genova, sulla costa, ci sarà pur stata: infatti to idrico: tutti i siti che si sono potuti ispezionare direttamente (in numero di undici) c’è una notizia letteraria secondo cui da Genova, agli esordi dell’Impero, partiva per hanno oggi una fonte di acqua nel raggio di 100 m o distano meno di 300 m dal corso di 74 Bianchi La Tavola di Polcevera 75 un ruscello. Piuttosto, si sono scelti l’altimetria e il terreno come fattori discriminanti vamente sabbiosa che causa un drenaggio idrico troppo rapido e di conseguenza una certa perché essi suggeriscono il maggior numero di differenze nella botanica e nel potenziale aridità; si inquadrano alcuni nella III e altri nella IV classe USDA. Vi insistevano 4 siti agricolo della zone in esame; dove il concetto di «potenziale» vuol mettere in guardia da su 16 nel periodo 450-200 a.C. (il 25%) e sempre 4 siti su 14 nel periodo 200 a.C.-50 d.C. qualsiasi tentazione di fare del determinismo geografico (Marchetti, Dall’Aglio 1990). (il 29%). 2) Suoli bruni calcarei, neutri o subalcalini (gruppo dei calcic cambisols): si La quota di un insediamento sul livello del mare è un indice sintetico, se non della qualità sono formati sui conglomerati e le arenarie che coprono i calcari marnosi del «flysch ad morfologica della giacitura, dato che ci possono essere pianori in altura ed erti pendii helmintoidi del M. Antola»; sono terreni leggeri, facili da rompere con la zappa, ma la molto in basso, sicuramente delle preferenze climatico-vegetazionali degli antichi scelta delle colture si restringe a prati ritagliati nella foresta e avvicendati a campi di habitatores e come tale essa merita un esame approfondito. Elaborando la colonna cereali, perché sussistono più limitazioni che in precedenza; si inquadrano nella IV classe «altimetria» della tabella, si osserva che sulle fasce da 0 a 400 m s.l.m. insistevano 4 siti USDA. Vi insistevano 3 siti su 16 nel periodo 450-200 a.C. (il 19%) e 5 siti su 14 nel su 16 nel periodo 450-200 a.C. (il 25%) e 9 siti su 14 nel periodo 200 a.C.-50 d.C. (il periodo 200 a.C.-50 d.C. (il 36%). 3) Suoli bruni più o meno lisciviati, neutri o subalcalini, 65%); in corrispondenza, su quote superiori ai 400 m s.l.m. insistevano 12 siti su 16 nel cioè suoli che hanno subito un debole «lavaggio» delle particelle colloidali - materiale periodo 450-200 a.C. (il 75%) contro 5 soli siti su 14 nel periodo 200 a.C.-50 d.C. (il argilloso e sostanze edafiche - a opera della circolazione idrica interna (gruppo dei 35%). Evidentemente, nei secoli II-I a.C., si verificò uno slittamento verso il basso, chromic cambisols): si sono formati sugli argilloscisti a livelli calcareo-marnosi del diciamo dai crinali più alti e dalle vette montane alle spianate di mezzacosta; fenomeno «flysch di Busalla»; sono terreni prevalentemente coperti da boschi di latifoglie che di che è stato più volte evocato, anche da chi scrive (Bianchi, Cappa 1989). rado si prestano a colture erbacee; si inquadrano per lo più nella V classe USDA. Vi Prima di passare all’altra colonna, quella della «pedologia», si deve sottolineare il grande insistevano 3 siti su 16 nel periodo 450-200 a.C. (il 19%) e 4 siti su 14 nel periodo 200 interesse che ha prodotto la graduatoria in otto classi delle capacità d’uso agricolo dei a.C.-50 d.C. (il 29%). 4) Suoli rendziniformi (gruppo delle rendzinas): si sono formati sui suoli, uno strumento di pianificazione territoriale codificato dall’U.S. Department of detriti calcarei intercalati a scisti filladici del «flysch di Busalla», nonché sui calcari Agriculture (USDA) negli anni Sessanta: in linea di massima, i suoli migliori (I classe) cristallini quarzoso-micacei inglobati nelle masse ofiolitifere dell’«Unità di Cravasco- sarebbero quelli più versatili, tali da consentire l’applicazione di uno spettro ragionevol- Voltaggio»; sono adatti a praterie d’altura e a faggete, perché hanno limitazioni forti, mente largo di possibilità colturali; i peggiori (VIII classe) quelli fitologicamente anche di carattere stazionale; si inquadrano nella V e VI classe USDA. Vi insistevano 4 improduttivi (Rasio, Vianello 1990, pp. 57 ss.). Certamente i procedimenti di valutazione siti su 16 nel periodo 450-200 a.C. (il 25%) e 1 sito su 14 nel periodo 200 a.C.-50 d.C. dei suoli implicano la conoscenza di una quantità di aspetti di ciascuno di essi: compo- (il 7%). 5) Litosuoli (gruppo dei rankers): si sono formati sui metagabbri con filoni sizione, pH, tessitura, tenore di sostanze organiche, angolo di pendenza, ritenuta idrica, basaltici della «Unità di Cravasco-Voltaggio», nonché sulle componenti di una formazio- etc.; insomma, richiedono un lavoro enorme di rilevamento sperimentale, impossibile per ne eterogenea, la cosiddetta «Unità triassico-liassica»; hanno limitazioni molto forti, chi non è «addetto ai lavori». In attesa che la Provincia di Genova o la Regione Liguria, dipendenti dalla natura della roccia, dalle accentuate pendenze e anche dalle rigidità seguendo l’esempio del Piemonte, della Lombardia e dell’Emilia, allestiscano una carta climatiche tipiche delle sommità montane; sono terreni sottili, poco sviluppati nel profi- a scala provinciale della capacità d’uso dei suoli, ci si permette di valutare in modo lo; sono adatti solo a una brulla vegetazione arbustiva e a manti arborei discontinui. Si sintetico l’attitudine produttiva dei terreni del comprensorio occupato dagli antichi Vituri, inquadrano nella VI classe USDA e persino nella VII, che raccoglie i suoli sterili. Vi interpretando le grandi Unità Pedologiche 17, 21 e 22 della Carta dei Suoli d’Italia insistevano 2 siti su 16 nel periodo 450-200 a.C. (il 12%) e nessuno nel periodo 200 a.C.- (Mancini 1966), in relazione ai substrati desumibili dallo schema strutturale della zona 50 d.C. In sintesi, i suoli coltivabili dell’Alta Polcevera e delle valli limitrofe (classi Sestri-Voltaggio di Cortesogno e Palenzoma (1986); molto utili, per scendere nel detta- USDA III e IV) avevano ricevuto il 44% degli insediamenti documentati nella seconda glio locale, sono state le disparate informazioni contenute in vecchie monografie di taglio Età del Ferro, e ospitavano il 64 % delle sedi nell’epoca della romanizzazione; analoga- specificamente agrario (Bottini 1962). A scanso di critiche preconcette, si sottolinea che mente, la frequentazione dei suoli di utilità silvopastorale (classi USDA da V a VII) le condizioni climatiche prevalenti dal II sec. a. C al III sec. d.C. non erano molto diverse diminuì sensibilmente ma non venne meno con l’avvento di Roma in zona: 56% dei siti dalle attuali, tanto nel Mediterraneo Occidentale (Foraboschi 1992, pp. 13 ss.) quanto a prima, 36% dopo. Tutto ciò conferma l’impressione di rottura derivante dall’analisi livello locale (Boccaleri 1989). altimetrica e suggerisce un nuovo modo di occupazione delle campagne. Sul territorio dei comuni considerati si trovano, per lo più in associazione, cinque gruppi Presso i Liguri più antichi, la preferenza relativa accordata alle quote superiori e ai terreni di suoli: 1) suoli bruni neutri o subacidi (gruppo dei dystric cambisols della classificazio- meno fertili rifletteva una certa impellenza delle pratiche zootecniche (Giannichedda, ne FAO-UNESCO): si sono formati sugli argilloscisti a laminiti siltose del «flysch di Mannoni 1990): nel V-III secolo, stando buona parte dell’anno su promontori come Busalla»; sono terreni adatti alla policoltura: vigne, consociate in subordine a prati stabili quello di M. Carlo, i pastori vigilavano sulle greggi in movimento o sulle vacche al e avvicendati, orti e campi di grano; una limitazione è costituita dalla tessitura eccessi- pascolo o sul buon uso delle comunaglie da parte di vicini e parenti; l’allevamento era 76 Bianchi La Tavola di Polcevera 77 integrato dall’«orticoltura alla zappa» sui suoli un po’ più fertili; questa economia nuove bestie da carne e da fatica; molti contadini poveri incominciarono, magari un po’ agricola promiscua, in Liguria come in tutta la Cisalpina, doveva garantire l’autosufficienza surrettiziamente, a cercare spazio vitale nel distretto adiacente, ager publicus Populi domestica ai piccoli proprietari autoctoni (Forni 1994). Romani, sul quale la tribù aveva conservato, per intercessione di influenti patroni, dei Dal II secolo in avanti una certa disaffezione colpì le vette e i crinali più impervi: precari diritti d’uso. Così facendo, la spinta demografica dei Vituri traboccò letteralmente evidentemente il cuore degli interessi dei piccoli proprietari si stava spostando nettamen- fuori dei confini privati andando a disturbare le mire economiche della Respublica te verso le colture, soprattutto grano, foraggio e vite, che si effettuavano sulle pendici Genuatium nei confronti dell’entroterra; infatti, in città, ci dovevano essere certi mercan- inferiori dei monti, come a S. Cipriano. Il convergente bilancio delle comparazioni ti-imprenditori del ramo silvopastorale, probabilmente apparentati lontanamente a qual- pedologiche e altimetriche conforta l’idea che, passando dalla protostoria all’epoca che lignaggio dell’interno, che avevano interesse a organizzare la transumanza periodica storica, presso i Vituri rimanesse in vigore una produzione a carattere promiscuo, agro- delle greggi tra alpeggi e basi litoranee, in cui si tosavano le pecore; o a promuovere il pastorale; ma al contempo evoca una chiara transizione degli indigeni verso forme taglio degli abeti e dei faggi sulle alture e il trasferimento dei tronchi nei cantieri navali economiche più evolute e verso più civili relazioni di convivenza; come se la conquista ed edili; essi, nei loro giochi speculativi, trovavano sponda in un pugno di Vituri, che, per romana avesse spezzato secolari consuetudini e spostato equilibri delicatissimi, a vantag- marginalità di zona di stanziamento o per impegni debitori incautamente presi verso gli gio del centro urbano emergente di Genova. stessi notabili genovesi, non potevano rinunciare alla monticazione periodica degli armenti. Nell’alternativa tra attrazione commerciale e sviluppo demografico insostenibile, l’ar- I VITURI NEL DECOLLO DI GENOVA ROMANA cheologia non può dare risposte definitive, tuttavia è la TP stessa a falsificare chiaramen- te la prima ipotesi: seguendola, ci si aspetterebbe di vedere da una parte i Vituri, Per spiegare la discesa dai monti e le nuove preferenze pedologiche dei Vituri vengono tradizionalisti, attaccati ai loro diritti di pascolo e di legnatico, inesperti e recalcitranti in mente due spiegazioni alternative, entrambe storicamente accettabili. coltivatori, e dall’altra i Genuati, più dinamici, intenti a proporre un’agricoltura commer- La prima chiave di lettura è fornita dal concetto di «gravitazione commerciale»: forse il ciale moderna; ma, per paradosso, erano i Vituri, o almeno alcuni di essi, ad allargare lo fenomeno va interpretato come se, eccitati dalla domanda di viveri proveniente da spazio destinato alla coltura dei cereali, alle vigne, alla fienagione; mentre, contro di loro, Genova, i Liguri si fossero spontaneamente trasferiti intorno allo scalo marittimo, dove i Genuati rivendicavano una simultanea partecipazione, se non altro viritana, allo sfrut- maggiori erano le opportunità di guadagno. Una variante un po’ meno modernista di tamento del medesimo agro pubblico, ma soprattutto appetivano le praterie d’altura e le questa ipotesi è che ci sia stato un interessamento di Genova, bisognosa di vino e cereali, pendici boscose dei monti; infatti rimarcavano che gli incolti produttivi erano da consi- per inserire i Vituri in un un meccanismo di marca hopkinsiana: l’imposta fondiaria, che derarsi ager compascuus di stretta pertinenza loro, genovese, a differenza di altre terre i Vituri dovevano ai Romani per il tramite dei Genuati, li costrinse a racimolare denaro, che erano sempre loca publica della città, ma erano affittate ai Vituri; inoltre facevano per di più straniero; allora i rudi montanari di un tempo dovettero affannarsi a vendere sul divieto agli ospiti di intensificare le recinzioni e di danneggiare con rotazioni arbitrarie mercato le loro misere eccedenze e a spostare le loro sedi per accorciare le distanze con e con tagli indiscriminati gli appezzamenti da loro presi in concessione; infine gli stessi la città; le proteste di parte vituria raccolte nella sententia Minuciorum sarebbero null’altro Genuati esitavano a incamerare il censo dovuto dai loro antagonisti; si ha l’impressione che patetici tentativi di arrestare l’imminente dissoluzione di ciò che restava del comu- che l’avvenuto pagamento di un indennizzo simbolico, di significato solo ricognitivo, nismo agrario, quando già le cose andavano nella direzione di un crescente predominio potesse legittimare i Vituri a gestire in piena autonomia le terre demaniali, a dispetto dei del centro urbano sulle campagne (Foraboschi 1992, pp. 59 ss.). circoli dirigenti della città, che avrebbero preferito non incassare alcun canone, ma La seconda ricostruzione, più complicata, si basa sulla nozione di equilibrio tra popola- tenersi le mani libere. La prima tesi, quella di un’attrazione commerciale dei Vituri verso zione e risorse ambientali: si ricorda che le terre rimesse ai Vituri, dopo le confische il litorale, è smentita anche da un noto passo letterario che si riferisce a Genova augustea, operate da Roma, costituivano l’agro privato della tribù, sul quale si piantavano cereali, e ne parla come emporion regionale, al quale affluivano regolarmente legname, miele, legumi e qualche vite, per la quotidiana sopravvivenza; le zone incolte dette compascua, pellami e latticini dall’entroterra (Strab., IV, 6, 1-2); la notizia rende conto di una che si utilizzavano nella bella stagione per la pastura dei caprovini e la raccolta, forniva- circostanza importante, e cioè che sulla piazza urbana si vendevano bene i prodotti no il resto della sussistenza; ma il suolo dell’agro privato non doveva essere di buona silvopastorali, non quegli stessi grani, vini e foraggi in nome dei quali i Vituri della TP qualità, perché altrimenti i Romani non lo avrebbero restituito formalmente e quindi la lottavano per garantirsi la sopravvivenza. Infine, una critica nasce dagli sviluppi ulteriori riserva avrà avuto una bassa carrying-capacity in termini di potenziale demografico; col del paesaggio agrario: se si fosse verificata una massiccia diffusione dell’agricoltura naturale incremento della popolazione, la maggioranza dei Vituri accantonò le pratiche mercantile attorno a Genova, man mano che le piccole aziende avessero chiuso, le forze pastorali miste all’orticoltura e sentì la necessità di avere campi di grano supplementari, produttive si sarebbero concentrate in poche medie villae, ed esse, col tempo, avrebbero più vigne per le proprie squallide mense, e soprattutto altri prati per foraggiare i bovini, lasciato un numero ristrettissimo di grandi praetoria; questa almeno è stata, un po’ 78 Bianchi La Tavola di Polcevera 79 dovunque, la linea maestra dello sviluppo agrario antico (Forni 1994). In realtà, come si Davite et al. 1992a C. Davite, N. Campana, S.P. Evans, E. Franceschi, A. Murru, B. è detto, nel retroterra di Genova è saltato lo stadio della villa urbano-rustica: ai tuguri tipo Peripimeno, G. Predieri, R. Prosperi, Costa Bottuin di Trensasco, in a cura di R. Maggi, Archeologia preventiva lungo il pecorso di S. Cipriano hanno fatto seguito direttamente le lande desolate dei saltus silvopastorali; un metanodotto, Genova, Soprintendenza Archeologica della Li- dall’età flavia fino almeno a Diocleziano, l’Alta Polcevera e dintorni restarono pratica- guria, pp. 53 ss. mente loca deserta (Mannoni 1995, pp. ss.). Si deve considerare che, con l’età sillana, Davite et al. 1992b C. Davite, E. Torre, S. Sfrecola, G. Predieri, Costa Bastia, in a cura Roma riconobbe a Genova la condizione di oppidum di diritto latino e le conferì pieni di R. Maggi, Archeologia preventiva lungo il pecorso di un poteri di comando sulle comunità dei dintorni; l’assemblea dei Vituri fu sciolta o le sue metanodotto, Genova, Soprintendenza Archeologica della Liguria, pp. 87 ss. competenze furono ridotte, di modo che essa non fu più d’ostacolo per l’onda dell’espan- Del Lucchese et al. 1992 A. Del Lucchese, C. Davite, R. Ridella, E. Torre, Il castellaro di sione genovese nell’entroterra, di stampo latifondistico; nel corso del I sec. a.C., le Bergeggi: campagne di scavo 1982-85, in «Rivista Ingauna e In- prevaricazioni dei pastori e boscaioli collegati alla città, nonché gli effetti perversi temelia», n. 46-47, pp. 62 ss. dell’economia monetaria in mezzo a una massa di contadini poveri, gettarono i Vituri nel Dettori 1985 M. Dettori, Ritrovamenti archeologici di epoca storica, in a cura di caos. Nel 49 o al più tardi nel 13 a.C., Genova ottennne la cittadinanza romana e i confini A. Galli, Tra centro e periferia: Campomorone e la Val Verde, della sua pertica si fissarono al limitare del vecchio agro privato dei Vituri; il comprensorio Genova, Comune di Campomorone, pp. 25 ss. che era già stato ager publicus Populi Romani venne annesso e inserito nell’ordinamento Foraboschi 1992 D. Foraboschi, Lineamenti di storia della Cisalpina romana, Roma, cantonale del municipio, come pagus Langensis; ma questo aveva solo un ruolo formale, Nuova Italia Scientifica perché molti giovani abbandonarono i campi per fare il servizio militare negli auxilia, Forni 1994 G. Forni, Le colture agrarie padane e la loro produttività all’epo- ca della romanizzazione, in «Rivista archeologica dell’antica pro- nelle legioni e poi anche nelle coorti pretorie, in cerca di una possibile promozione vincia e diocesi di Como», n. 176, pp. 17 ss. sociale; anche i grandi lavori pubblici promossi da Agrippa nel porto di Genova contri- Fossati et al. 1976 S. Fossati, S. Bazzurro, O. Pizzolo, Campagna di scavo nel villag- buirono a svuotare di uomini le campagne. Nel mezzo secolo seguente, le ultime aziende gio tardoantico di Savignone, in «Archeologia Medievale», n. 3, contadine chiusero una dopo l’altra e la popolazione rurale declassata si inurbò, per pp. 308 ss. trovare impiego nel commercio al dettaglio, nell’artigianato e nella cantieristica. Parafra- Gabba 1987 E. Gabba, Le fonti storiche, la romanizzazione e l’età imperiale, in sando Tommaso Moro, si potrebbe dire che, nel giro di due secoli, «le pecore avevano a cura di S. Finocchi, Libarna, Torino, Cassa di Risparmio di Alessandria, pp. 27 ss. divorato gli uomini» nei dintorni di Genova romana. Garibaldi 1985 P. Garibaldi, Lineamenti storici ed archeologici dell’Alta Val Polcevera, in «Studi e Ricerche. Cultura del Territorio», n. 2, pp. BIBLIOGRAFIA 19 ss. Ghio 1994 A. Ghio, La tavola di Polcevera. Un nuovo restauro per la prezio- Bianchi, Cappa 1989 E. Bianchi, M. 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Mancini 1966 F. Mancini (a cura di), Carta dei suoli d’Italia alla scala 1:1˙000˙000, Firenze, Società Geografica Italiana, foglio unico. Rinvenimenti di superficie Mannoni 1995 T. Mannoni, Venticinque anni di Archeologia Globale. 2. Insedia- menti Abbandonati, Genova, Studi di Cultura Materiale. Marchetti, Dall’Aglio 1990 G. Marchetti, P.L. Dall’Aglio, Geomorfologia e popolamento an- nell’area dei Camaldoli (Napoli) tico del territorio piacentino, in a cura di F. Ghizzoni, Storia di Piacenza. Dalle origini all’anno Mille, Piacenza, Cassa di Rispar- mio di Piacenza e Vigevano, pp. 543 ss. Melli 1985 P. Melli, L’insediamento di Monte Carlo, in «Studi e Ricerche. Cultura del Territorio», n. 2, pp. 39 ss. Ernesto De Carolis, Marco Giglio, Rosario Serafino Milanese 1977 M. Milanese, Archeologia di superficie e lettura storica del terri- Gruppo Archeologico Napoletano torio: il caso di Traso (Genova), in «Archeologia Medievale», n. 4, pp. 314 ss. Moatti 1993 C. Moatti, Archives et partage de la terre dans le monde romaine, Roma, École Française de Rome. 1 Pasquinucci 1992 M. Pasquinucci, Ricerche topografico-archeologiche in aree Tra il 1989 e il 1990 il Gruppo Archeologico Napoletano ha portato a termine una dell’Italia settentrionale e centrale, in a cura di M. Bernardi, campagna di ricognizione nell’area del Parco Urbano dei Camaldoli, a nord di Napoli Archeologia del Paesaggio, Firenze, All’Insegna del Giglio, pp. (tav. 1). Si tratta di un’area collinare, solcata da profondi canaloni, che è stata completa- 525 ss. mente alterata nei primi anni Ottanta, quando si è iniziata la costruzione di un parco Pastorino 1981 M.V. Pastorino, Recenti acquisizioni archeologiche in Valle Scrivia pubblico urbano: la realizzazione di strade interne, con il conseguente sviluppo edilizio in appendice a L. Tacchella, Busalla e la Valle Scrivia nella storia, abusivo, nonché la costruzione di vialetti e di altre infrastrutture, senza tener conto della Verona, ed. in propr., pp. 468 ss. rete di sentieri preesistenti, ha profondamente compromesso il paesaggio, rendendo Pastorino 1995 A.M. Pastorino, La Tavola di Polcevera dal ritrovamento ad oggi, in a cura di A.M. Pastorino, La Tavola di Polcevera. Una sentenza problematico qualunque tentativo di identificazione della conformazione del territorio incisa nel bronzo 2100 anni fa, Genova, Comune di Genova. nell’antichità. L’attività di ricognizione, ove possibile, è stata perciò effettuata «a tappe- Pastorino, Pedemonte 1982 M.V. Pastorino, S. Pedemonte, Tre nuove stazioni a tegoloni nel to» utilizzando carte in scala 1:4000. Per un inquadramento storico dell’area, ancora Libarnese Montano, in appendice a L. Tacchella, Cantalupo Ligure attribuibile nei Campi Flegrei, si vedano Amalfitano et al. (1990). Inoltre si rimanda agli e i Malaspina di Val Borbera, Verona, ed. in propr., pp. 157 ss. articoli riguardanti i rinvenimenti effettuati nell’area della Contessa - Cinquecercole Rasio, Vianello 1990 R. Rasio, G. Vianello, Cartografia pedologica nella pianificazione (Boenzi et al. 1994) e di Faragnano - Salandra (Boenzi et al. 1995), in quanto le zone in e gestione del territorio, Milano, F. Angeli. esame potrebbero essere considerate un complesso piuttosto omogeneo, ma ormai non Renfrew, Bahn 1991 C. Renfrew, P. Bahn, Archaeology. Theories, Methods and Practice, London, Thames & Hudson. più comunicante a causa dello straordinario sviluppo edilizio. Sereni 1955 E. Sereni, Comunità rurali dell’Italia Antica, Roma, Rinascita, pp. 441 ss. SITO N. 1: AREA DI AFFIORAMENTO DI REPERTI CERAMICI Venturino Gambari, 1991a M. Venturino Gambari, Il contesto protostorico, in a cura di E. Micheletto, M. Venturino Gambari, Montaldo di Mondovì. Un Località Parco Urbano dei Camaldoli, quota 360-375 m s.l.m., Rif. I.G.M. VF 32952372 insediamento protostorico. Un castello, Roma, Leonardo-De Luca, L’area della presenza archeologica è localizzata sul declivio di una collina e si estende pp. 105 ss. per svariati metri, con una ragguardevole presenza di materiali in sezione. Nel corso delle Venturino Gambari, 1991b M. Venturino Gambari, La tomba di Libarna-rio della Pieve e l’età del ferro della valle Scrivia, in a cura di A.M. Pastorino, La ricognizioni non è stata trovata alcuna traccia di strutture in superficie, a eccezione di tomba preromana di Libarna, Genova, Museo Civico di Archeolo- alcuni tufelli (9,5x8x15 cm) affioranti dal terreno, alcuni dei quali in probabile allinea- gia Ligure, pp. 7 ss. mento in una depressione sulla sommità della collina. Venturino Gambari et al. 1987 M. Venturino Gambari, D. Arobba, R. Nisbet, F.M. Gambari, Contributi per una definizione archeologica della seconda età del Terra Sigillata Italica ferro nella Liguria interna, in «Rivista di Studi Liguri», n. 53, pp. 1) 1 fr. di parete pertinente a forma non identificabile. (Inv. Cam 1.14) 77 ss.