Blitzkrieg Punk Sopravvivere Ai Ramones
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2006, Agenzia X Nell’impossibilità di stabilire la proprietà dei diritti, l’editore si dichiara disponibile a sanare ogni eventuale controversia. Titolo originale: Poison Heart. Surviving the Ramones Traduzione dall’inglese di: Caterina Grimaldi Supervisione: Fabio Zucchella Inserto fotografico a cura di: Marco Philopat Ringraziamenti: Claudio Sorge, Franz del Surfer’s Den, Gerard Yongue Copertina e progetto grafico: Antonio Boni Contatti: Agenzia X, via Pietro Custodi 12, 20136 Milano tel. + fax 02/89401966 www.agenziax.it e-mail: [email protected] Stampa: Bianca e Volta, Truccazzano (MI) ISBN 88-95029-00-3 Dee Dee Ramone con Veronica Kofman book blitzkrieg punk sopravvivere ai ramones Prefazione Dice James Sallis che siamo le cose che ci accadono, la gente che ab- biamo conosciuto e niente più. Questo vale ovviamente anche per i Ramones, come mostra la storia del gruppo raccontata da Dee Dee Ramone nel libro che vi accingete a leggere. Ma vale anche per me che li ho conosciuti, quando sono entrati a far parte della mia vita e della mia formazione culturale in modo indelebile. È vero: i Ramo- nes mi hanno cambiato la vita. Era la primavera del 1976. Non so perché ma era da tanto tempo che non compravo più riviste straniere. Per caso mi capitò di acqui- stare all’edicola della stazione una copia di “Melody Maker”, così, quasi per disperazione, tanto ne avevo piene le palle di roba preten- ziosa e intellettualoide come “Gong” e, usiamo pure questa parola, disgusto per riviste pop come “Ciao 2001”. A quel tempo avevo ve- ramente bisogno di nuova informazione, di notizie originali dalla fonte del rock: l’America e l’Inghilterra. Ne avevo abbastanza di cantautori e di prog rock. Non sapevo ancora nulla del punk; anche perché Malcom McLaren non aveva ancora messo piede fuori dalla sua boutique di Kings’ Road. In realtà ce l’aveva messo, eccome se ce l’aveva messo: nientemeno che a New York, per convincere i New York Dolls a diventare parte attiva e principale del suo progetto di Rock and Roll Swindle – ma questo non potevo ancora saperlo. Diciamo che avevo oscuramente intuito che qualcosa fuori dal nostro Stivale Rock si stava muovendo. Nelle pagine centrali di quel numero di “Melody Maker”, campeggiava un reportage di Chris Welch sulle nuove scene musicali. In quel caso si parlava di ciò che stava avvenendo a New York. Anche in Francia stavano spingendo su questa nuova scena, come avrei scoperto di lì a poco. La foto più importante del servizio di Welch ritraeva in full live action un grup- po di ragazzi molto giovani chiamato The Ramones. Giubbotti neri di pelle, jeans strappati e capelli a caschetto. Una specie di heavy me- tal kids dei mid sixties in un momento di tardo hippismo, kaftani e 5 lunghe suite strumentali. Nell’articolo si diceva che suonavano una sorta di beat grezzo e veloce, ma soprattutto che erano l’iceberg di una nuova scena che rivalutava la garage punk raccontata da Lenny Kaye in Nuggets, e mischiava i riferimenti ai sixties con una nuova verve metropolitana certamente non estranea all’anfetamina rumo- rosa dei Velvet Underground. Non sapevo chi erano i Ramones ma ne fui subito irresistibilmen- te attratto. Finalmente un gruppo che prometteva di essere duro e puro! Finalmente qualcosa di nuovo ed eccitante, dopo anni di la- gne e roba pretenziosa. In quel momento i gruppi di successo in Ita- lia – Pink Floyd, Genesis, Kansas, De Gregori, Emerson Lake And Palmer – erano l’epitome del tronfio e della grandeur in musica. Gli stadi e le arene erano i luoghi dove si celebrava un rito ormai vuoto di senso. Una cosa da superstar. Il rock’n’roll aveva definitivamente perso il suo destabilizzante significato originario. Ed era proprio questo il concetto chiave: origine. Alfieri di que- sta nuova scena che si stava raccogliendo attorno a club degradati come Max’s Kansas e soprattutto CBGB’s erano i Ramones. Ma non solo loro. Television, Blondie, Milk’n’Cookies, Wayne County, Brats, Suicide. Band tipicamente suburbane, rock’n’roll fino al mi- dollo, violente e minacciose. Il rock ritornava al cuore pulsante della metropoli e i Ramones promettevano di esserne i nuovi messia. Con il tempo, si sarebbero introdotte molte distinzioni su questo fatto dell’origine. Un grande dibattito su cosa era punk e su cosa non lo era. Da una parte, i Ramones rappresentavano la “rottura”, anche generazionale, con il passato; dall’altra la continuità del rock’n’roll. In loro convivevano spirito anarchico ribelle e conservazione. Johnny Ramone, il chitarrista del gruppo – all’anagrafe Cummings – voleva suonare una musica teen ager, come quella con la quale era cresciuto, all’inizio degli anni sessanta; solamente, molto più veloce ed energica; alimentata dal culto decadente degli Stooges (Johnny era un fanatico collezionista di registrazioni bootleg degli Stooges), coloro che il punk l’avevano inventato prima di tutti, negli anni ses- santa, ma questa è un’altra storia. E lo stesso vale per Joey, il cantan- te, che fece le sue prime esperienze in un gruppo glam chiamato Sni- per. E soprattutto lo fu per Dee Dee, fin dalla sua infanzia berlinese attratto dal rock’n’roll come pura forma di inferno e redenzione. L’anno-clou per il punk e per i Ramones fu il 1977, dopo l’incisio- ne del primo album per la Sire (1976), in concomitanza con l’uscita 6 del secondo, “Leave Home”, e del terzo, “Rocket To Russia”, quan- do sbarcarono in Inghilterra per la seconda volta, in pieno furore no- future. I Ramones suonarono con i Saints al Marquee, di nuovo alla Roundhouse, e conclusero quell’anno incredibile al Rainbow, in un memorabile concerto di Capodanno insieme ai Generation X. Io ero là e non credevo ai miei occhi. E alle mie orecchie. Ecco ciò che scrissi sul primo numero di “Teenage Lobotomy”, la fanzine che diedi alle stampe alla fine di quell’anno cruciale. Per la cronaca, a quei pochissimi che non lo sanno dirò che Teenage Lobo- tomy è il titolo di una canzone dei Ramones. “Coda ordinatissima fuori dal Rainbow. Non uno sghignazzo, non una prepotenza. Ma dov’è finita la famosa prepotenza dei punks (mi riferisco alla campagna mediatica di alcuni giornali italiani che tendevano a dare del punk un’immagine negativa, N.d.A.)? [...] Al- l’improvviso il buio, due urla roche e selvagge. Flash. Prima sequen- za accecante. Il simbolo dell’aquila: Ramones. One Two Three Four e si comincia! Il primo pezzo è Rockaway Beach, poi segue Teenage Lobotomy, poi un’ingenua Blitzkrieg Bop, tutto di seguito, come un torrente graffiante, una pulsazione irrefrenabile. Ormai siamo den- tro. Nel cuore della performance, nella quale si alternano tutti i loro hits: I Dont Want Walk Around With You, Glad To See You Go, Gim- me Gimme Shock Treatment, Pinhead e altre. Siamo quasi al termine di Pinhead e anche il 1977 sta tirando gli ultimi respiri sotto i calci dei Ramones e mentre Joey esibisce un gigantesco cartello double fa- ce “Gabba Gabba Hey” e “Happy New Year” provo dentro di me un’emozione strana, ripensando per un attimo a questo splendido e selvaggio 1977. Forse un sottile rimpianto, chissà. I Wanna Be a Good Boy inaugura il 1978, come la filastrocca senza senso che si re- citava da bambini, voglio essere più buono, le antiche cazzate che le ombre oppressive dei genitori proiettavano dentro il tuo io indife- so... Uno sguardo al fisico dei quattro. Joey è goffo e sgusciante, Johnny e Dee Dee atletici e sfrenati, Tommy perfettamente immobi- le e sorridente a scatti, allucinante... Tre bis vengono concessi agli scatenati danzatori di pogo: uno lo ricordo con nostalgia, Do You Wanna Dance, spaccato struggente di vita americana anni sessanta... Quando il rock era dei teen ager... L’emozione di guardare e di senti- re i Ramones è una cosa troppo grande per essere comunicata ver- balmente: è un’esperienza del corpo.” 7 Tre anni dopo, i Ramones arrivarono finalmente per la prima vol- ta in Italia. Il movimento punk aveva fatto significativi passi in avanti da quando Francesco D’Abramo aveva organizzato il primo festival Italiano Punk alla Palazzina Liberty di Milano, caratterizzato da contestazioni di autonomi e kompagni. Fu in quella speciale occasione che conobbi Dee Dee, il più di- sponibile dei quattro Ramones. Mi parlò della sua infanzia a Berlino, che avrebbe per sempre influenzato la sua vita. Fu il classico incon- tro tra il fan adorante e la rockstar, anche se lui non lo era. Ricordo che era molto gasato per quello che prometteva essere il suo concer- to più importante, almeno fino a quel momento. Pensate. Un grup- po abituato a suonare nei piccoli club catapultato in una platea di circa diecimila persone urlanti. Un ragazzo cresciuto da solo e ben presto avviato alla carriera del tossico, perdente ancor prima di ren- dersene conto, davanti a un pubblico da non credersi. Erano tutti lì per loro! Come quando ricordava insieme a Johnny quel ragazzo del Queens che sapeva suonare a memoria tutta Dazed and Confused dei Led Zeppelin, e si vantava per questo, e non sarebbe mai finito da nessuna parte, mentre lui, che a stento era capace di suonare No Fun degli Stooges era diventato ricco e famoso. Inutile dire che il concerto si concluse con un trionfo. Aprirono gli Uk Subs che ad alcuni punk piacquero persino più dei Ramones, ma l’impatto dei quattro del Queens fu devastante. Ci furono rica- dute anche sulla stampa nazionale. Critici più o meno paludati li de- finirono testualmente “una provocazione nazista”. Nientemeno. Quattro consunti giubbotti neri di pelle bastavano ad alimentare la sinistra fama che il punk si era già guadagnato sui media nostrani con le sue provocazioni.