00 Proporzioni 2010 2011 Testo Pdf.Qxp Principi
Total Page:16
File Type:pdf, Size:1020Kb
MAURO VINCENZO FONTANA GIOVANNI BALDUCCI E IL DISEGNO: NOVITÀ PER IL PERIODO FIORENTINO E UNA PROPOSTA PER IL PALAZZO REALE A NAPOLI (FIGURE 89-118) a Si. B. e Bi. B. llevato in casa di un tal Raffaello Cosci suo zio materno”1, il fiorentino Gio- “A vanni Balducci condusse una carriera lunga e fortunata che, in oltre mezzo secolo di attività, conobbe assai di rado significativi momenti di flessione. Solo negli ultimi anni della sua longeva esistenza, infatti, la notorietà e il successo che per molto tempo gli arrisero andarono lentamente eclissandosi. Con quel marcato spirito di intraprendenza e quell’invidiabile capacità di inserimento propri della mentalità degli artisti toscani più dinamici, egli seguì un percorso che, in costante ascesa, lo vide conquistare una ribalta crescente in tre delle piazze più competitive dell’Italia postridentina. Firenze, dove, potendo contare sulle preziose entrature offertegli dal- l’affermato Giovan Battista Naldini, di cui prima fu valente allievo e poi valido col- laboratore, mosse i primi passi come pittore autonomo guadagnandosi non senza merito il favore dell’influentissimo cardinale Alessandro de’Medici. Roma, in cui, nello spazio di un paio di anni, seppe ritagliarsi un ruolo di tutto rispetto nel co- smopolita ambiente artistico locale, avvantaggiandosi della reputazione in cui erano tenuti i pittori fiorentini negli anni del pontificato di Clemente VIII Aldobrandini. E, infine, Napoli. Qui, trasferitosi nella primavera del 1596 dopo avere ceduto alle allettanti lusinghe del cardinale Alfonso Gesualdo, fresco di nomina sulla cattedra partenopea, riscosse un successo immediato nella più altolocata committenza citta- dina, recitando per buona parte dei rimanenti quattro decenni di attività un ruolo tutt’altro che secondario nel variegato scenario culturale vicereale. Eppure, la figura dell’artista attende ancora oggi un’adeguata riabilitazione cri- tica. Allo stato attuale degli studi, infatti, sono diversi gli interrogativi che ostacolano il pieno recupero di questa personalità, nonostante i progressi compiuti negli ultimi cinquant’anni nella conoscenza della pittura toscana e romana del secondo Cinque- cento e le acquisizioni — in verità assai più recenti — sull’ambiente artistico parte- nopeo che fece da sfondo all’ultima parte della vita del pittore2. GIOVANNI BALDUCCI E IL DISEGNO 93 Della produzione del Balducci, che tra Firenze, Roma e Napoli seppe farsi ap- prezzare per le proprie doti di frescante e per la propria versatilità nel genere della pala d’altare e in quello del quadro da cavalletto, l’attività grafica rappresenta senza dubbio uno degli aspetti più affascinanti, per quanto ancora sostanzialmente misco- nosciuto. Infatti, a fronte di un catalogo di disegni che può vantare un numero di pezzi sicuri tutt’altro che esiguo3, sono davvero pochi i punti fermi su cui gli studi odierni possono realmente contare. Basterà far osservare, d’altronde, come la carenza di appigli cronologici certi continui a rendere problematica una seriazione convin- cente dei fogli noti, ripercuotendosi, di conseguenza, sui tentativi di lettura del per- corso stilistico del pittore. Provando oggi a muovere nuove considerazioni sull’attività grafica del Balducci, sarà bene risalire sino agli anni della formazione che, grazie al rinvenimento della data di nascita, riconducibile su basi documentarie al 24 giugno del 15604, sembra ragionevole collocare nell’ottavo decennio del Cinquecento. Come già viene indicato dal Baldinucci5, il Cosci condusse il proprio discepolato nell’atelier di Giovan Battista Naldini, un artista ben inserito nelle dinamiche del mercato artistico fiorentino e che, anche in virtù di un rapporto privilegiato con Giorgio Vasari e con Vincenzio Borghini, poteva offrire a un allievo ben dotato buone probabilità di affermazione tra la capitale e i centri minori del granducato mediceo6. Nel solco della tradizione accademica fiorentina, il tirocinio formativo nello studio naldiniano dovette significare, in primo luogo, l’esercizio quotidiano della pratica disegnativa. Un’esperienza, quest’ultima, che risultò fondamentale nella maturazione artistica del Cosci e che avrebbe lasciato una traccia profondissima nella sua attività grafica. La frequentazione negli anni Settanta dell’atelier del Nal- dini, inoltre, dovette consentire al Balducci di meditare sugli orientamenti seguiti dal maestro che, non estranea la presenza a Firenze di Federico Zuccari, era intento a distillare la propria cultura tardomanierista di impronta vasariana sui principi di “convenienza” e di “naturale” cari alle più moderne istanze della pittura riformata. Sebbene gli anni del discepolato rimangano del tutto privi di attestazioni docu- mentarie utili a tratteggiare la fisionomia del giovane apprendista, la critica tende condivisibilmente a riconoscere nel disegno raffigurante il Compianto su Cristo morto del British Museum (Fig. 89)7 una delle più antiche testimonianze lasciate dal Bal- ducci, e non solo nel campo della grafica8. Il foglio fu donato al museo inglese da Robert Frank nel 1950 e ricalca senza varianti significative la celebre Deposizione che, nel 1572, il Naldini licenziò per l’altare Minerbetti in Santa Maria Novella a Firenze9. Contrassegnato da una grafia mobile e filamentosa che, in particolare nelle svelte figurette che animano lo sfondo, si fa apprezzare per un’efficace economia di mezzi espressivi, il disegno emana uno schietto sentore naldiniano, evidente tanto sul piano compositivo quanto sotto il profilo tecnico e stilistico. Si osservi, infatti, come nell’impiego esteso della biacca — che, con precipui intenti luministici, con- ferisce una corposità quasi pittorica alla superficie del foglio —, nella resa caricata e puntuta delle fisionomie e nelle eleganti inflessioni salviatesche dei nudi appaia 94 MAURO VINCENZO FONTANA manifesto il debito nei confronti degli esiti conseguiti dal Naldini negli anni della piena maturità. Tuttavia, rispetto ai disegni naldiniani collocabili nella seconda metà degli anni Settanta — tra cui la pregevole Presentazione di Maria al tempio di Chicago (Fig. 90)10 — il foglio del Balducci evidenzia un segno meno energico e un chiaro- scuro più macchiato e sfrangiato che, mediante il ricorso ad acquerellature più li- quide, pare ammorbidire appena la linea di contorno. È lecito credere che questo genere di esercitazioni, tra le quali andrà annoverata anche la più matura Resurrezione di Lazzaro del Louvre11, fosse sollecitata in prima persona dal maestro secondo una prassi ricorrente nelle botteghe fiorentine del se- dicesimo secolo12. Com’è noto, infatti, l’esercizio della copia rivestiva un ruolo ca- pitale nella formazione dei giovani artisti toscani del Cinquecento, una pratica che venne fortemente incoraggiata da Vasari e di cui anche Baldinucci, proprio nella vita intestata al Naldini, si soffermò a elencare gli indiscussi pregi: Talvolta disegnavano ancora essi scolari l’opere finite de’ maestri loro, essendo questo l’unico lor vantaggio, a distinzione degli altri, per lo stare che e’ facevano in casa il maestro, il veder l’opere finite, e poter da quelle studiare prima che fusser mandate a’ destinati luoghi”13. Nel 1582, un anno dopo aver partecipato sotto la regia di Alessandro Allori alla decorazione del Corridoio di levante degli Uffizi14, Giovanni ottenne l’immatri- colazione all’Accademia del Disegno15. È logico credere che non molto più tardi di questa circostanza, che dovette se- gnare l’emancipazione dalla bottega del Naldini, Giovanni abbia cominciato a calcare la scena artistica fiorentina come un pittore autonomo. Tuttavia, i punti di riferimento accertati a nostra disposizione non risalgono più indietro del 1587, anno a cui si lega per via documentaria l’esecuzione della Madonna del rosario conservata nella propositura dei Santi Ippolito e Cassiano a Laterina16. Una pala, quest’ultima, che presuppone un’attività in proprio precedente — a queste date, infatti, Giovanni aveva già ventisette anni — che, allo stato attuale degli studi, è possibile ricostruire solo in modo molto frammentario. Rimanendo in cerca di conferme l’ipotesi di Cristina Acidini Luchinat, che, sulla scorta di un passo del Baldinucci17, ha proposto di accostare al Cosci gli Angeli e gli Evangelisti affrescati nella cappella della residenza fiorentina in Borgo Pinti del cardinale Alessandro de’ Medici18, una delle testimonianze più antiche sugli inizi del pittore potrebbe forse riconoscersi nell’Annunciazione della propositura di Sant’Ippolito Martire a Bibbiena. Probabilmente da collocare qualche tempo prima rispetto all’opinione corrente negli studi, dove si propende per una datazione intorno alla metà degli anni Ottanta19, la pala si configura come uno dei primi, pre- coci tentativi di rivisitare il portato delle esperienze condotte sul Naldini attraverso il ricorso a un tono narrativo più piano e misurato e mediante l’adozione di un rea- lismo più castigato e devoto che pare allinearsi al nuovo sentire della religiosità po- stridentina. A una data non molto discosta dal dipinto di Bibbiena, e comunque non oltre la metà del nono decennio, andrà fatta risalire l’esecuzione di due disegni molto GIOVANNI BALDUCCI E IL DISEGNO 95 vicini tra loro per tecnica e stile, l’Adorazione dei pastori oggi conservata al Prado (Fig. 91)20, e la meno nota Adorazione dei magi nel Musée des Beaux-Arts a Lille21. Sebbene rimanga serrata la dipendenza dai modi del Naldini, evidente in particolare nell’aria ancora vagamente vasariana delle teste, nella marcata definizione dei contorni e nel