Leggi, Scrivi E Condividi Le Tue 10 Righe Dai Libri
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leggi, scrivi e condividi le tue 10 righe dai libri http://www.10righedailibri.it 1. GLI ESORDI Le prime diecimila lire che Lucio ha guadagnato, suonando ai giar- dini Margherita, le ha divise con me. La mamma gli ha cucito la camicia con cui è andato per la prima volta al Festival di Sanremo, però poi aveva aggiunto: «peccato la indossi Lucio, è troppo brutto». Stefano Bonaga Il Reno è il fi ume che attraversa l’Emilia. Ha lo stesso nome del suo ben più lungo omologo che bagna diversi Stati europei del Nord. È tradizione che le città fl uviali stabiliscano un rapporto molto signifi cativo con la musica, a cominciare da New Orleans, ed è dunque comprensibile che sia stato il maggior corso d’acqua sul lato est della pianura Padana a dare il nome a uno dei più co- nosciuti ensemble jazz italiani fi n dagli anni Cinquanta: la Rehno Dixeland Band. Fondata nel 1952 da Nardo Giardina e Gherar- do Casaglia all’interno dell’Università di Bologna come Superior Magistratus Ragtime Band, nel 1956 diventa Panigal Jazz Band – altro riferimento alla toponomastica felsinea – e quindi Rehno Dixieland Band nel 1959 fi no al 1972, quando cambiò ancora nome in Doctor Dixie Jazz Band. Per i ladri e le puttane sono Gesùbambino Bologna in effetti è la città più jazz d’Italia, sede di un festival dove si esibiscono tra gli altri Thelonius Monk e Chet Baker, con cui un giovane Lucio Dalla ha occasione di dividere il palco. Que- sto «combo» aperto a sempre diverse collaborazioni viene ricorda- to perché tra 1959 e 1962 vi suonano il clarinetto due personaggi destinati di lì a breve a passare alla storia: il futuro regista cine- matografi co Pupi Avati e il protagonista di questo libro, appunto Lucio Dalla. Anzi, sarà proprio Avati che più tardi racconterà le vicende del gruppo di musicisti in tre fi lm, Jazz Band, Dancing Paradise e Accadde a Bologna, l’ultimo girato in parte nella cantina dove ogni venerdì era solita riunirsi la Doctor Dixie. Nel 1960 la Rheno Dixieland Band, con Avati e Dalla in for- mazione, vince il primo festival europeo di jazz ad Antibes-Juan les Pins. In quell’occasione è proprio Dalla a farsi notare da un’or- chestra di professionisti del Lazio, la Second Roman New Orleans Jazz Band, con cui ha la prima esperienza in sala d’incisione: nel brano strumentale Telstar, pubblicato dalla RCA in 45 giri, accom- pagnato dal fedele clarinetto. Avati e Dalla sono colleghi, non esattamente amici, anche se si sono conosciuti a sei anni quando Lucio, bambino, suonava la fi - sarmonica e ballava il tip tap in formazioni locali. Tra di loro, anzi, nasce in fretta una forte rivalità. Prima dell’arrivo di Lucio nella band era Pupi, di cinque anni più vecchio, a essere considerato il clarinettista di riferimento, poi il talento del nuovo arrivato man- da in crisi il collega. Avati ha raccontato questa storia più volte e nel 2005 vi ha persino dedicato un fi lm, Ma quando arrivano le ragazze?, dove i protagonisti sono Gianca (cioè lui), interpreta- to da Paolo Briguglia, e Nick (Lucio Dalla) il cui volto è quello Gli esordi di Claudio Santamaria. «Gianca», dice Pupi Avati, «alla fi ne deve prendere atto della propria mancanza di talento. Cosa di cui Nick, Lucio Dalla, è invece misteriosamente dotato.» In un’intervista di Michele Brambilla uscita su «La Stampa» del 2 marzo 2013 il regista ha confessato la sua frustrazione: «Dalla era veramente toccato da una grazia speciale. Io mi applicavo, ascoltavo dischi, studiavo. E mi illudevo. Lui non aveva bisogno di impegnarsi, e infatti non si impegnava. Era genialità pura». Per smontarne il talento dice agli amici che non sa suonare, e per anni ha avuto un rapporto davvero problematico con lui, e qualche tratto di odio. Confesserà più tardi: «Il suo successo nella musica era lo specchio del mio insuccesso, e quindi una ferita aperta. Una volta a Barcellona, sul tetto della Sagrada Familia, ebbi la tentazione di buttarlo giù». I due si riconciliano solo col tempo, quando Avati si imporrà nel cinema: «È l’uomo che ha cambiato la mia vita», dice, «senza l’incontro con lui, senza il confronto per me umiliante con la sua bravura, non avrei smesso di suonare e non sarei diventato un regista.» Anche Nardo Giardina, decano della Band tuttora in attività e libero docente di ostetricia e ginecologia, ricorda a Davide Turri- ni de «Il Fatto Quotidiano» l’episodio di Barcellona e l’acerrima rivalità: «Pupi suonava in modo scolastico, faceva le sue scale al clarinetto, s’impegnava. Ma quando arrivò Lucio fece tre note e ce lo prendemmo subito». La pace defi nitiva tra Avati e Dalla avverrà diversi anni più tardi negli studi televisivi di Che tempo che fa. Davanti a Fabio Fazio il regista confessa di aver provato una forte ostilità e in qualche modo si pente di aver osteggiato una persona così dotata solo a Per i ladri e le puttane sono Gesùbambino causa della propria invidia. Ne nasce un divertente siparietto e l’incidente, seppur con decenni di ritardo, sembra chiuso. Un tempo si chiamavano complessi, soprattutto quando si proponevano con atteggiamenti e look sopra le righe rispetto ai costumi castigati e formali della musica italiana dei primi anni Sessanta, aspettando che il beat giungesse prorompente a cambia- re tutto. Nel 1962 Lucio Dalla entra a far parte dei Flippers, in origine formati da Jimmy Polosa al pianoforte, poi sostituito da Franco Bracardi, Massimo Catalano alla tromba, Maurizio Cata- lano al contrabbasso, Romolo Forlai al vibrafono e percussioni, Fabrizio Zampa alla batteria. Lucio è voce solista e suona il sax e il clarinetto. Davvero un’altra era, dominata dall’entusiasmo per la nuova musica giovane. Sembra incredibile ma i Flippers vendono oltre quattro milioni di dischi, uno soltanto con I Watussi insieme a Edoardo Vianello che spesso accompagnano dal vivo e in studio. Suonano nei locali storici del boom economico del dopoguerra: la Bussola e la Capannina in Versilia, il Barracuda di Santa Mar- gherita Ligure, l’Hotel Excelsior al Lido di Venezia. Nel loro re- pertorio brani e standard jazz tradotti in versione cha cha cha, twist, surf, hully gully. Uno dei primi successi è Jada, il cha cha cha dell’impiccato, dal testo pressoché demenziale. Con I Watussi arrivano secondi al Cantagiro. Lavorano nel cinema con Totò e in uno dei tanti musicarelli di allora, Questo pazzo, pazzo mondo della canzone (1965) diretto da Bruno Corbucci e Gianni Grimaldi. Lucio Dalla rappresenta certamente il valore aggiunto di questo complesso. Fin dall’inizio ha una gran presenza scenica, nono- Gli esordi stante sia giovane, di piccola statura e con pochi capelli. Canta in inglese, anzi in una lingua inventata con parole che perlopiù non esistono, divertendosi a storpiare le hit di Ray Charles. Fabrizio Zampa, suo compagno nei The Flippers poi apprezzato giornali- sta musicale, racconta di una sera in cui qualcuno dal pubblico chiede loro di cantare Georgia on My Mind: Dalla inventa tutte le parole, tranne il titolo, eppure riceve molti applausi anche se la gente non lo capisce. La sua vera passione si chiama però James Brown, il nuovo re del soul americano, e senz’altro il modo di usare la voce con estem- poranei gorgheggi in stile scat è ispirato a quello che considera il suo maestro. Il brano Hey You, raccolto nell’antologia «At Full Tilt», è il primo esempio di un registro che di fatto non lascerà mai. «Dalla», racconta Michele Monina, «ama svisare con la voce, abbandonare momentaneamente la linea melodica principale, alla maniera dei soulman d’oltreoceano, andando poi a ritrovarsi sul canone a fi ne giro armonico.» Ha il vizio di esibirsi a piedi nudi, e ciò non piace per esempio ai proprietari de Le Roi Lutrario, una nota sala da ballo torinese progettata dall’architetto Carlo Mollino – ma fonti diverse cita- no un’altro locale in città, l’Arlecchino – dove Dalla è di scena: lo disapprovano affi bbiandogli l’etichetta di «disadattato senza calzini». Per ovviare all’inconveniente l’ironico Lucio si pittura i piedi, così in pochi se ne accorgono. Il successo dei Flippers va al di là del mondo discografi co: sono simpatici, scanzonati e hanno in Dalla un ottimo frontman. Vengono chiamati per il Carosello pubblicitario della camicia Dinamic, girato da Paolo e Vittorio Taviani nel traffi co di Roma: suonano e cantano un motivo ac- Per i ladri e le puttane sono Gesùbambino cattivante a bordo di un’auto d’epoca, vestiti tutti uguali in puro stile dixieland. Queste prime performance gli portano fortuna, la personalità è già prorompente e se ne accorge Gino Paoli, arrivato al succes- so con La gatta, Il cielo in una stanza e Senza fi ne. È proprio il cantautore genovese che suggerisce a Lucio di lasciare i Flippers per intraprendere la carriera solista. Paoli ne ammira la capacità performativa, la voce, il polistrumentismo da autodidatta e ne ap- prezza al contempo il suo fare da gigione. Lo convince a staccarsi dal clarino e provare a cantare. Gli altri del gruppo non la prendo- no affatto bene. Negli stessi mesi conosce anche Gianni Moran- di, già affermatissimo, al Teatro Greco di Taormina durante uno show televisivo per l’estate. Nel 1964 Lucio Dalla pubblica il suo primo 45 giri con l’eti- chetta ARC distribuita da RCA. Entrambe le canzoni sono cover di brani americani, Lei (non è per me), nell’originale Careless Love cantata da Bessie Smith e in seguito da Ray Charles, tradotta in italiano da Sergio Bardotti e Gino Paoli; sul lato B c’è invece Ma questa sera, cover di Hey Little Girl, interpretata da Major Lance e scritta da Curtis Mayfi eld.