VAL DI NON. SGUARDI SULLA GRANDE GUERRA Arte, storia, cinematografia, archeologia, propaganda e testimonianze a cento anni dalla fine della Prima guerra mondiale Kaiserjäger rotaliani, nonesi e solandri del IV Reggimento, II Battaglione, VII Compagina, prima della partenza per il fronte (collezione Famiglia Nebl) VAL DI NON. SGUARDI SULLA GRANDE GUERRA Arte, storia, cinematografia, archeologia, propaganda e testimonianze a cento anni dalla fine della Prima guerra mondiale 3 novembre 2018 - 20 gennaio 2019 COMUNITÀ DELLA VAL DI NON FONDAZIONE MUSEO STORICO DEL COMUNI DI -DON, LIVO, , REVÓ, ,

Supervisione scientifica Comunicazione Musei ed enti Fondazione Museo Storico del Trentino Lucia Barison per il Centro Culturale d’Anaunia Museo Rudolf Stolz, Sesto (Bz) Francesca Rocchetti per la FMST MAG Museo Alto Garda Ente promotore Museo di Forte Strino, (Tn) Comunità della Val di Non Videointerviste Fondazione Museo storico del Trentino Assessorato alla cultura - Servizio istruzione Marco Rauzi, Ananas Video Museo Storico Italiano della Guerra, e attività culturali Cineteca di Bologna Con il patrocinio ed il sostegno di Soprintendenza ai Beni Culturali di Bolzano, Comitato scientifico Regione Autonoma Ufficio Beni Archeologici Lucia Barison Trentino - Alto Adige/Südtirol Michele Bellio Provincia autonoma di Gallerie d’arte Alessandro Bezzi Comunità della Val di Non Studio d’Arte Raffaelli, Trento Luca Bezzi Consorzio BIM dell’Adige Cellar Contemporary, Trento Alessandro de Bertolini di Amblar-Don Buonanno Arte Contemporanea, Trento Marcello Graiff Comune di Livo Marcello Nebl Comune di Predaia Collezioni private Nadia Simoncelli Comune di Revò Ferruccio Mascotti - Comune di Sanzeno Fabrizio Zenoniani - Salter Curatela percorso storico Comune di Sarnonico Michele Gasperetti - Ville d’Anaunia Nadia Simoncelli Centro Culturale d’Anaunia Casa De Gentili Christian Stringari - Ville d’Anaunia Apt Val di Non Alessandro Branz - Sanzeno Curatela percorso artistico Casse Rurali Val di Non Costantino Pellegrini - Cavareno Lucia Barison don Fortunato Turrini - Cles Marcello Nebl Si ringraziano per la preziosa collaborazione Gianni Marchesi - Rumo Comune di Cles, Ufficio Attività Culturali Marcello Graiff - Cles Progetto grafico e percorso espositivo Istituto Tecnico C.A. Pilati, Cles Famiglia Nebl - Cles Lucia Barison, Marcello Nebl Liceo Scientifico B. Russell, Cles Camillo Bezzi MPLC - Roma Elio Bugna - Segreteria organizzativa Hermann Rogger - Direttore Museo R. Stolz Tiziano Camagna - Cles Centro Culturale d’Anaunia Casa De Gentili Egarter Fritz - Sindaco di Sesto Pusteria Associazione Ortler-Sammlerverein Erster Giovanni Pellegrini – MAG Museo Alto Garda Weltkrieg, Stelvio (Bz) Testi catalogo e pannelli in mostra Claudia Gelmi – MAG Museo Alto Garda Lucia Barison Andrea Peraro - Cineteca di Bologna Un grazie anche ai prestatori privati che hanno Michele Bellio Gianluca Fondriest - Centro Culturale d’Anaunia preferito l’anonimato Alessandro Bezzi Camilla Nacci - Studio d’Arte Raffaelli Luca Bezzi Per l’aiuto che hanno voluto offrire a vario titolo Camilla Nacci Un ringraziamento particolare va ai musei, alla mostra si ringraziano Marcello Nebl alle gallerie d’arte, alle associazioni ed ai Fausto Garbato, Michele Corradini, Davide Marco Odorizzi collezionisti che hanno messo a disposizione Odorizzi, Diego Pilati, Luca Zini, Luigi Nadia Simoncelli competenze, materiali e preziosi prestiti per Marchesi, Caterina Tomasi, Quinto Antonelli, l’esposizione e per il catalogo Felice Longhi, Giovanni Damaggio, Michele Scandella, Giulio Mendini

CENTRO CULTURALE Comune di Comune di Comune di D’ANAUNIA Amblar - Don Livo Predaia CASA DE GENTILI

Comune di Comune di Comune di Revò Sanzeno Sarnonico In occasione del Centenario della Grande Guerra, la Comunità della Val di Non, con la collaborazione ed il sostegno dei Comuni interessati, nonché della Provincia Autonoma di Trento, della Regione Trentino Alto Adige/Südtirol, del Consorzio Bim dell’Adige, con la supervisione scientifica della Fondazione Museo Storico del Trentino e la generosità di molti prestatori privati ed istituzionali, propone una mostra diffusa in sei dimore e palazzi storici della Valle (Palazzo Morenberg, Palazzo Endrici, Casa Campia, Casa de Gentili, Casa da Marta, Palazzo Laifenthurn).

La mostra si snoda attraverso un unico percorso espositivo suddiviso in tematiche che spaziano dal cinema, alla propaganda, all’archeologia di guerra con il coinvolgimento anche degli studenti dell’Istituto Tecnico Economico e Tecnologico Carlo Antonio Pilati di Cles, alle testimonianze nonese e trentine, al ruolo del clero durante il conflitto, con particolare attenzione alla figura del Vescovo Endrici.

Visitare la mostra e partecipare agli eventi collaterali della stessa, fermandosi a ricordare e riflettere su un conflitto brutale e sanguinoso che, anche se non ha trascinato la nostra Valle in una guerra sul campo, ha tuttavia determinato forti privazioni economiche con perdite e sofferenze umane che hanno colpito i nostri avi, può aiutare a prendere coscienza di quale fortuna si abbia nel poter continuare a vivere in un periodo di pace e libertà, nonché a formare o rinsaldare una cultura che rigetti con forza le ideologie legate ai totalitarismi e allo scontro fra popoli o nazioni.

L’assessore alla cultura Il Sindaco L’assessore alla cultura della Comunità della Val di Non del Comune di Sarnonico del Comune di Predaia Fabrizio Borzaga Emanuela Abram Elisa Chini

L’assessore alla cultura L’assessore alla cultura L’assessore alla cultura del Comune di Sanzeno del Comune di Revò del Comune di Amblar-Don Serena Cicolini Alessandro Rigatti Bruna Pellegrini

L’assessore alla cultura del Comune di Livo Lycia Bendetti PER UNA MEMORIA EUROPEA

La Grande Guerra fu la prima guerra di massa, un conflitto voluto da pochi e combattuto da molti. Una tragedia immensa, un’immane catastrofe, un momento di cesura a cui tradizionalmente ci si riferisce come al punto di inizio dell’età contemporanea. Su scala nazionale e sovranazionale, gli eventi del passato sono la risultanza di molteplici aspetti legati a ragioni storiche, economiche, politiche e sociali di portata internazionale. Su scala locale, gli stessi eventi si misurano più direttamente con le vicende delle comunità che abitano e hanno abitato il territorio. Per tali motivi, i grandi eventi della storia vanno sempre guardati anche con le lenti della storia locale, se si vuole comprenderne fino in il significato e la portata. Ben venga, allora, un percorso di riflessione sul tema della Grande Guerra, come quello proposto dalla Comunità della Valle di Non assieme a numerose amministrazioni comunali e associazioni culturali del territorio in occasione del centenario del 1918. Momenti come questi servono per tenere viva la memoria di quegli eventi, che concorrono in maniera decisiva alla costruzione dell’identità di un popolo, e per proseguire una riflessione, che non deve mai interrompersi, sulle modalità attraverso cui la popolazione locale ha vissuto, percepito, compreso e ricordato la guerra. Fortunatamente la Valle di Non, a differenza di molte altre aree del Trentino, non ha conosciuto sul proprio territorio l’esperienza sconvolgente del campo di battaglia e quella miserabile della trincea. Ma ha sperimentato il mondo delle retrovie, ha accolto migliaia di profughi e ha patito il dramma e lo sradicamento delle partenze: migliaia di giovani costretti alla leva militare. In quegli anni, in un Trentino già profondamente diviso e segnato da eventi catastrofici, come la prima grande ondata emigratoria, si andò consumando un conflitto di portata internazionale le cui conseguenze si misuravano in ambito locale e nazionale. Quali segni profondi ha lasciato tutto questo sul territorio? E quali cicatrici ha prodotto nella vita della comunità? Nella dialettica tra la “grande storia”, quella degli eventi narrati nel loro quadro più generale su un piano geopolitico globale, e la “storia minore”, quella delle comunità locali, emergono senza dubbio i risultati più efficaci della ricerca e i contributi migliori delle attività volte alla divulgazione e al ricordo. Giunti al termine del Centenario – dopo una lunga stagione di studi sul tema della Grande Guerra, iniziata peraltro molto prima della ricorrenza del 2014/2018 – sappiamo che l’alternativa non è più tra la memoria e l’oblio ma tra diversi tipi di ricostruzione storica, diversi modi di valorizzazione del passato, diversi linguaggi, diverse memorie, diverse forme di divulgazione di quei fatti. In questa prospettiva, per dare un senso forte a questo Centenario dobbiamo sempre riferirci ai fatti della Grande Guerra come a una storia e a una memoria transfrontaliera, internazionale, inter-comunitaria. In una parola, una storia e una memoria europea. Solo così, pensando alla costruzione di un nuovo senso di “cittadinanza europea”, possiamo ricordare, non celebrare, i fatti di cento anni fa, le vittime e protagonisti di quella stagione. Non si dimentichi che il raggiungimento della Pace come bene ultimo e primario fu tra gli scopi principali dei padri fondatori dell’Europa Unita, rappresentandone di fatto il principio ispiratore. Per questi motivi, rivolgo il mio ringraziamento agli organizzatori del percorso espositivo ed editoriale “Val di Non. Sguardi sulla Grande Guerra” e a tutti coloro che hanno collaborato al gruppo di lavoro per ottenere questo importante risultato, un ulteriore tassello nel panorama degli studi sul primo conflitto mondiale.

Il Presidente della Fondazione Museo storico del Trentino Giorgio Postal Indice

6 La Grande Guerra e il cinema. pag. 8

Illusioni, orizzonti e prati. Il Cinema e la Grande Guerra Michele Bellio pag. 9

Archeologia della Grande Guerra. pag. 14

Archeologia del Conflitto Dai principi generali della disciplina al contesto particolare della Valle di Non Luca Bezzi, Alessandro Bezzi, Rupert Gietl, Kathrin Feistmantl, Giuseppe Naponiello (Arc-Team) pag. 15

Le trincee del Monte Peller Istituto Tecnico C.A. Pilati, Cles pag. 38

Il clero e la Grande Guerra: il caso del vescovo Endrici. pag.4 0

Celestino Endrici. Vescovo di Trento nella Grande Guerra Marco Odorizzi pag. 41

La Val di Non nella Grande Guerra. pag. 46

La Val di Non nella Grande Guerra. Esperienze, memorie, immagini Nadia Simoncelli pag. 47

Comunicare la Grande Guerra. pag. 82

Comunicare la Grande Guerra. Stampa, corrispondenza e propaganda Nadia Simoncelli pag. 83

Quell’elettrica scossa. Arte e Grande Guerra. pag.102

Theodor Wacyk: un pittore dell’esercito austroungarico in Val di Non durante la Grande Guerra Marcello Nebl pag.104

Albert e Rudolf Stolz: fratelli e pittori al fronte Lucia Barison pag.116

Notti d’estate per un concerto di Natale Camilla Nacci pag.132

7 La Grande Guerra e il cinema.

A cura di Michele Bellio Casa da Marta, Coredo

8 Illusioni, orizzonti e prati Il Cinema e la Grande Guerra Michele Bellio

La Prima Guerra Mondiale è un soggetto nuovamente il Capitano von Rauffenstein (un storico inevitabilmente affrontato da differenti superbo ed indimenticabile Erich von Stroheim), cinematografie, a partire dagli anni del conflitto l’ufficiale tedesco che li aveva abbattuti. Il rapporto (possiamo considerare Maciste alpino di Luigi tra quest’ultimo ed il Capitano de Boëldieu è Maggi e Romano Luigi Borgnetto il primo film a qualcosa di incredibile ed inaspettato. Ultimi citarne il contesto nel lontano 1916), fino ai giorni baluardi di una nobiltà europea in via di estinzione, nostri. i due uomini seguono un codice d’onore ed un Riassumere in poche righe l’apporto di tutte queste insieme di regole cavalleresche che permettono riflessioni è compito ingrato, pertanto si è optato loro di trascendere la diversa nazionalità ed per concentrare il ragionamento su tre pellicole il momento di conflitto per giungere ad una specifiche, le stesse che accompagneranno con sincera e profonda amicizia, che avrà i suoi vertici proiezioni pubbliche l’esposizione nel cui catalogo nell’inevitabile sviluppo drammatico della vicenda: questo breve testo è racchiuso. La scelta delle opere è dettata dalla necessità «[...] il film suggerisce che i legami di classe di trovare un filo conduttore comune in film possano essere più importanti della fedeltà alla estremamente distanti, sotto il profilo storico e propria nazione: l’ufficiale francese protagonista culturale, ma anche e soprattutto visivo e narrativo. si capisce più con l’aristocratico comandante del Ciò che accomuna i film selezionati è in definitiva campo tedesco che con i suoi stessi uomini [...]»2. l’approccio di condanna del conflitto, un tema che, come vedremo, si delinea in tre modalità distinte e L’amicizia come esempio dei valori umani più nobili; ben definite. la scelta di descrivere due nemici semplicemente La prima tappa del nostro percorso è una come due grandi uomini, consci e rispettosi pellicola francese, considerata una delle pietre dei doveri morali e delle virtù dell’avversario. miliari dell’intera storia del cinema mondiale. La Basterebbero questi due aspetti a rendere il film Grande Illusion (titolo italiano La grande illusione), meritevole di essere analizzato. Per sua stessa capolavoro di Jean Renoir datato 1937, è il film dichiarazione, Renoir cercava di descrivere la realtà perfetto per iniziare il nostro ragionamento umana che faceva parte della quotidianità della tematico, «un grido pacifista lanciato in un’Europa guerra, puntando a qualcosa di più grande: che ormai sta fatalmente precipitando nella follia bellica»1. Ci troviamo sul fronte franco tedesco, il «Ne La grande illusione mi sono sforzato di capitano de Boëldieu (Pierre Fresnay) e il tenente mostrare che in Francia non si odiano i Tedeschi. Maréchal (Jean Gabin), il cui aereo è abbattuto [...] Ero ufficiale durante la grande guerra eho in missione, vengono rinchiusi nel campo di conservato un vivo ricordo dei miei compagni. detenzione di Hallbach. Qui, insieme a vari Nessun odio ci animava nei confronti dei nostri commilitoni, conducono una normale vita diurna nemici. Erano dei buoni Tedeschi come noi da prigionieri di guerra, mascherando con perizia eravamo dei buoni Francesi. Sono convinto lo scavo di un tunnel che prosegue lentamente nel che lavoro per un ideale di progresso umano corso delle varie notti. Il trasferimento in un altro presentando sullo schermo una verità non luogo impedisce la fuga tanto agognata, ma i due alterata. Attraverso la rappresentazione di uomini protagonisti non perdono tempo ad organizzare che compiono il loro dovere, secondo le leggi vari altri tentativi in altrettanti campi di prigionia, sociali, nel quadro delle istituzioni, credo di aver ottenendo, dopo numerosi fallimenti, di essere dato il mio umile contributo alla pace mondiale»3. condotti all’impenetrabile fortezza di Wintersborn. In questo luogo, antico e isolato, incontrano 2 Bordwell - Thompson 1994 1 Bragaglia 1995 3 Renoir 1974

9 Erich von Stroheim ne La grande illusion

Tale concetto si lega a numerosi altri temi, che forniscono una visione completa ed acuta del particolare momento storico (il cambiamento socioculturale dell’Europa di inizio secolo e la ridefinizione delle classi sociali, la Grande Guerra come spartiacque della Storia), ma al contempo proiettano il film nell’Olimpo delle opere in grado di definire e, se necessario, combattere la propria contemporaneità. Non bisogna dimenticare che il film esce nel 1937. Presentato tra gli applausi a Venezia, dove vince il premio della giuria, scatena le ire della critica fascista ed è proibito dal regime nazista in Germania. Incontra invece un successo straordinario in patria e negli Stati Uniti, dove è citato come modello da molti grandissimi registi, a cominciare da John Ford. Più lontano da questo aspetto nobile e più incentrato sulla critica ad un sistema militare che tende a dimenticare la dignità dell’Uomo, trasformandolo in semplice pedina di cui disporre a piacimento sulla scacchiera del campo di battaglia, è il secondo film di cui ci occupiamo. Paths of Glory (titolo italiano Orizzonti di gloria), capolavoro antimilitarista firmato dal genio britannico di Stanley Kubrick, è un perfetto esempio del massimo livello produttivo raggiunto da Hollywood sul finire del suo periodo d’oro. Siamo nel 1958 e il film è prodotto dalla United Artists, storica casa di produzione, fondata tra gli altri da Charles S. Chaplin. Ambientato nella Francia del 1916, il film, che si apre sobriamente con semplici titoli su sfondo nero accompagnati dalle note della Marsigliese, ci porta da subito a distinguere due piani della narrazione: quello che descrive le alte sfere dell’esercito francese e la loro crudeltà, mista ad ottusità, nel definire da un castello («[...] il cui lusso civilizzato fornisce un contrasto sorprendente con le carneficine della guerra nelle

10 trincee [...]»4) le mosse atte ad ottenere la vittoria in massacro («È l’istinto del gregge!»); la terrificante guerra, e quello della trincea vera, dove si muovono scena del processo marziale, palese momento in i soldati, gli uomini, le prime vittime sacrificali di cui il potere non è disposto ad ascoltare le ragioni di un conflitto enorme ed incomprensibile. Un luogo chi con la sua morte deve diventare uno strumento dove si respirano varie forme di paura (più quella militare («Poche cose sono più incoraggianti e del dolore che quella della morte, come recita uno stimolanti di vedere morire gli altri»); l’assurda splendido dialogo del film) e dove la presenza di un e lunghissima camminata e l’intera cerimonia ufficiale ed il suo supporto psicologico sono a volte dell’esecuzione, devastante carnevalata che lede capaci di modificare l’esito di una battaglia. la dignità dell’Uomo, soprattutto se in realtà ligio al Il fronte è quello francese. Il nemico è ovviamente suo dovere («Sono morti meravigliosamente»). tedesco, l’invasore, ormai alle porte. Ma nel Nel finale, oltrepassata con nuovi elementi la film lo percepiamo solamente. Escluso il vicenda dei tre soldati (centrale nel libro, più personaggio femminile dello splendido finale, nel simbolica nel film), la pellicola trova un superbo film praticamente non compaiono tedeschi, ne volo poetico che la ricollega, per atmosfera, al sentiamo solamente gli spari. capolavoro di Renoir. In un momento di svago Un’analisi della guerra impietosa e crudele è dopo i drammi degli ultimi giorni, una giovane riassunta in una trama esemplare, tratta dal prigioniera tedesca intona un canto popolare, al romanzo parzialmente autobiografico di Humphrey quale gradualmente si aggiungono anche le voci Cobb. Spinto da un collega, un ambizioso generale dei soldati francesi. Kubrick stringe sui loro primi francese (George Macready) ordina una complessa piani e ci rivela un universo in poche inquadrature: operazione militare, palesemente suicida. nostalgia di casa, perdita dell’innocenza, Dopo l’inevitabile fallimento, esige l’esecuzione incomprensibilità del conflitto, voglia di superare le per codardia di tre dei suoi soldati. All’umano divisioni e molto altro. Ancora una volta l’elemento colonnello Dax (un maiuscolo Kirk Douglas), umano va oltre le definizioni militari, sfiorando avvocato penalista prima della guerra, va l’ingrato l’infinito ed il sublime, elementi di cui tutti siamo compito di tentare una difesa inutile. almeno in parte composti. Magistralmente girato con un senso dello spazio Ed è proprio l’elemento umano, il più scarno e umile, unico ed una macchina da presa che si muove ad essere al centro del terzo film che prendiamo in in maniera incredibile lungo costanti geometrie esame. Stavolta restiamo in Italia e facciamo un formali (numerosi carrelli laterali scandiscono salto cronologico importante, arrivando al 2014. i ritmi militari, lunghe carrellate a precedere e a Torneranno i prati è l’ultimo lungometraggio diretto seguire attraversano la trincea con sconvolgente da Ermanno Olmi (1931 - 2018), uno dei registi senso della tensione, le inquadrature militari più significativi del nostro cinema, Palma d’oro a toccano vette di equilibrio e simmetria senza Cannes nel 1978 con L’albero degli zoccoli. mai scadere nella gratuità della descrizione), è Brevissimo, intenso ed incredibilmente sintetico, un film che andrebbe analizzato fotogramma per il film supera di poco i 70 minuti di durata edè fotogramma per carpirne a fondo la straordinaria interamente ambientato in un avamposto militare costruzione. italiano sull’Altipiano di Asiago (provincia di Sotto il profilo umano il messaggio arriva forte e Vicenza, al confine tra Veneto e Trentino - Alto potente e trascende il contesto storico per diventare Adige) sul finire del 1917. un universale grido di rabbia nei confronti della Fotografato da Fabio Olmi (figlio del regista) in guerra (anche se in Francia, data l’ambientazione, un’adeguata tonalità monocromatica, che elimina il film fu decisamente poco apprezzato e venne quasi completamente il colore, finendo per esaltare distribuito solamente nel 1975). Indimenticabili il terrificante biancore della neve, e musicato con molti elementi narrativi sotto questo aspetto: la perizia e pudore da Paolo Fresu, il film è liberamente descrizione del rapporto tra i soldati (piccoli giochi ispirato al racconto La Paura di Federico De Roberto di potere e ripicche, ma anche solidarietà e affetto); e deriva da tale testo una poetica voce narrante gli agghiaccianti dialoghi con cui vengono liquidati che accompagna saltuariamente l’azione. i comprensibili comportamenti dei soldati spinti al Riassumere gli eventi non è semplice e renderebbe poca giustizia alla freschezza della scrittura cinematografica. Ciò che Olmi mette in scena, 4 Ciment 1999

11 Jean Gabin e Pierre Fresnay ne La grande Illusion

come quasi sempre nei suoi film, è la quotidianità degli ultimi, la loro miseria, la loro disperazione di fronte ad un conflitto più grande di loro e ad ordini che non sono in grado di comprendere. Queste parole, scritte per L’albero degli zoccoli, funzionano anche in piccolo per Torneranno i prati:

«Quello che [Olmi] ha cercato di fare [...] è ricostruire il senso di una memoria, di una civiltà e di un mondo, di rappresentarne lo spazio e dentro a questo spazio le modalità di visione, di concezione della vita, di definizione di un sistema di rapporti»5.

Nell’avamposto ormai sommerso da oltre quattro metri di neve, dove il momento più atteso è l’arrivo del rancio e della posta (motivo per cui bisogna scavare un sentiero quasi quotidianamente), inizia a diffondersi il malcontento, insieme ad un’epidemia proveniente dai lontani Balcani. Giunto sul posto, un maggiore (Claudio Santamaria) chiede ai soldati di fornire in tempi brevissimi un nuovo punto di osservazione poco distante. Un’operazione suicida, dati i formidabili cecchini nemici appostati poco distante (un tema che, in piccolo, si ricollega al film di Kubrick), che non è salutata con entusiasmo dai soldati («È impossibile, questo è un ordine criminale!»). La paura e la stanchezza sono ormai la normalità per questi uomini, distrutti da anni di conflitto massacrante e spesso consci di essere solo carne da sacrificare al fronte (nel momento più drammatico, il tenente, contrario alle operazioni imposte, chiederà la conta dei caduti: «Niente numeri, voglio i nomi!»). Alcuni sceglieranno deliberatamente la morte, piuttosto che obbedire ad un comando assurdo, sebbene venga loro offerta una ricompensa («Io non voglio niente al mondo, solo voler bene ai miei figli»). La sconfitta si respira nell’aria ed è raggiunta poi dall’ordine di abbandonare la

5 Brunetta 1982

12 posizione, cui fa seguito l’ultimo brutale attacco del nemico. Olmi chiude la sua riflessione con due diverse, ma significative, scelte narrative. Dapprima sigilla il racconto di alcuni personaggi facendoli guardare in camera, sospendendo la narrazione in favore di una confessione diretta allo spettatore. In seguito inserisce nel montaggio una serie di immagini documentaristiche del conflitto, con l’intento di riportare la riflessione sul piano del reale, perché anche lo spettatore smaliziato di oggi possa rendersi davvero conto della drammaticità di quanto mostrato. L’umanesimo del regista raggiunge in questi minuti finali una delle vette della sua carriera artistica e ci dona un necessario sguardo di disgusto nei confronti di ogni conflitto, fonte di abbrutimento e disperazione per l’essere umano. La citazione con cui si chiude il film, concentrato di sapere popolare ed umiltà, ci sembra pertanto perfetta per siglare anche questa nostra breve riflessione sul tema: «La guerra è una brutta bestia che gira il mondo e non si ferma mai». Toni Lunardi, pastore.

Bibliografia

Bragaglia, Cristina 1995 Storia del cinema francese. Roma: Tascabili Economici Newton: 38.

Bordwell, David - Thompson, Kristin 1994 Film History: An Introduction. (trad. it: Storia del cinema e dei film. Milano: Il Castoro, 1998, vol. primo: 396).

Renoir, Jean 1974 Écrits (1926-1971). Paris: Pierre Belfont (trad. it: La vita è cinema. Tutti gli scritti 1926-1971. Milano: Longanesi, 1978: 326-327).

Ciment, Michel 1999 Kubrick. Paris: Calmann-Lévy (trad. it: Kubrick. Milano: RCS Libri S.p.A., 4. ed., 1999: 64).

Brunetta, Gian Piero 1982 Storia del cinema italiano. Roma: Editori Riuniti: 3. ed., 2001: IV, 206.

13 Archeologia della Grande Guerra.

A cura di Alessandro Bezzi e Luca Bezzi Palazzo Laifenthurn, Livo

14 Archeologia del Conflitto Dai principi generali della disciplina al contesto particolare della Valle di Non Luca Bezzi, Alessandro Bezzi, Rupert Gietl, Kathrin Feistmantl, Giuseppe Naponiello (Arc-Team)

PREMESSA

Il presente articolo ha per scopo principale quello di analizzare la Grande Guerra da un punto di vista archeologico, introducendo dunque il lettore al concetto fondamentale di Archeologia del Conflitto per poi passare a considerare la realtà della Valle di Non sotto l’aspetto di questa disciplina specialistica. Il primo capitolo sarà dunque dedicato ad una veloce disamina delle varie branche che in ambito archeologico si occupano dello studio degli scontri armati, soffermandosi su quella più generale e allo stesso tempo più speculativa (per l’appunto l’Archeologia del Conflitto), senza tralasciare un veloce accenno a quelle più tecniche e settoriali (come l’Archeologia dei Campi di Battaglia e l’Archeologia Militare). Nei capitoli successivi si illustreranno, invece, alcuni dei principali metodi di cui l’archeologia si serve sul campo per fare fronte alle diverse esigenze che le varie condizioni ambientali possono imporre (come nello studio dei siti della Prima Guerra Mondiale) e che hanno dato vita, nel corso del tempo, a vere e proprie specializzazioni. Si parlerà, dunque, dell’Archeologia Aerea, dell’Archeologia Glaciale, dell’Archeologia di Alta Montagna, dell’Archeologia Subacquea e della Speleoarcheologia. Un ulteriore accenno verrà inoltre fatto sull’Archeologia Orientale, quale esempio di un settore archeologico di stampo geografico in cui cominciano solo ora a definirsi delle linee di indagine legate al primo conflitto mondiale. Infine, come preannunciato, l’ultimo capitolo riguarderà la Valle di Non, con una breve panoramica dei principali siti riferibili alla Grande Guerra, considerando non solo le opere campali o le aree in qualche modo connesse alle esigenze belliche, ma anche i luoghi legati ad avvenimenti di carattere microstorico (che hanno coinvolto piccole comunità o addirittura singoli individui), molto importanti per approfondire gli aspetti sociali e psicologici della guerra, che (come si vedrà) sono parte integrante proprio dell’Archeologia del Conflitto.

L’ARCHEOLOGIA DEL CONFLITTO

Al giorno d’oggi l’archeologia è suddivisa in molte discipline interne che si differenziano soprattutto su base cronologica. Ne sono un esempio, in ambito europeo, l’Archeologia Preistorica e quella Protostorica, l’Archeologia Classica, l’Archeologia Medievale e Postmedievale, fino all’Archeologia Moderna. Oltre a queste suddivisioni temporali esistono, però, anche delle specializzazioni tematiche, che studiano un singolo aspetto della natura dell’uomo, analizzandolo da varie angolazioni. E’ questo il caso dell’Archeologia del Conflitto, il cui interesse principale è la comprensione del complicato tema dello scontro tra diversi gruppi umani, investigato da molteplici punti di vista (compresi quello culturale, sociale e persino psicologico). Questa speciale branca della disciplina è stata teorizzata soprattutto negli ambienti accademici del Regno Unito (in primis Bristol e Galsgow) ed è nota sotto il nome di Conflict Archaeology. Nonostante non la si possa considerare come l’unica specializzazione archeologica sul tema della guerra, è senz’altro quella di respiro più ampio, anche per un approccio che si potrebbe definire olistico (cioè impostato ad analizzare lo scontro nella sua totalità, non riducendolo alla mera sommatoria di singoli aspetti). Per questo motivo, ad esempio, nell’analisi complessiva di un conflitto, soprattutto se cronologicamente moderno, non vengono tralasciate nemmeno le considerazione più strettamente antropologiche, quali le possibili «motivazioni politiche e nazionalistiche» e le «nozioni di etnia e identità» (Saunders 2012). Ciononostante, come si è anticipato, l’Archeologia del Conflitto non è l’unica sottodisciplina archeologica ad occuparsi degli avvenimenti bellici. Esistono infatti ulteriori specializzazioni, caratterizzate da uno stampo più settoriale e da un approccio più tecnico e minimalista. Tra di esse vanno per lo meno citate

15 Fig. 1: scavo archeologico di una postazione di artiglieria presso Col Bechei - BZ l’Archeologia dei Campi di Battaglia e l’Archeologia Militare. La prima, nota soprattutto nell’accezione inglese di Battlefield Archaeology e «sviluppatasi a seguito delle ricerche dello statunitense Douglas D. Scott presso Little Bighorn (Scott- Fox 1987), si concentra sull’investigazione dei campi di battaglia attraverso la classica metodologia archeologica, ovvero attraverso indagini di survey (ricognizione) e di scavo stratigrafico. La seconda studia in maniera generica i siti militari, a prescindere che siano stati interessati da un conflitto armato o meno» (Bezzi et alii, 2018). In ogni caso, proprio perché oltremodo settoriali, sia la Battlefield Archaeology, sia l’Archeologia Militare possono essere ricondotte all’Archeologia del Conflitto, di cui rappresentano, in ultima analisi, delle estreme specializzazioni. Per comodità del lettore, dunque, all’interno del presente articolo si userà di preferenza il termine generico di Archeologia del Conflitto, dando per scontato che nella totalità dei casi riportati si dovrebbe parlare più propriamente di Archeologia del Conflitto Moderno (in quanto relativi alla Prima Guerra Mondiale). Si tralascerà quindi di specificare se un determinato intervento sia da classificare come Battlefield Archaeology (ad esempio una ricognizione o uno scavo su un campo di battaglia, Fig. 1), oppure come Archeologia Militare (nel caso di rilievi di postazioni fortificate) o, infine, con altri termini tecnici legati ad ulteriori sottodiscipline, cui non giova accennare. Ai fini della comprensione dell’approccio archeologico al tema della Grande Guerra sarà invece più utile illustrare, nei prossimi capitoli, le varie tecniche di cui gli studiosi si servono sul campo, dividendole secondo una classificazione basata sul metodo di indagine che, per necessità di cose, si deve adattare ai vari ambienti coinvolti dalle operazioni belliche. Per quanto possa apparire strana ai non addetti ai lavori, questa divisione interna rispecchia più fedelmente la professione dell’archeologo e, nonostante sia basata solo su semplici criteri logistici, comporta una discreta varietà, soprattutto se applicata alla Prima Guerra Mondiale. Infatti, anche solo considerando il Fronte Italiano, si può facilmente notare come il conflitto abbia interessato ambienti molto diversi tra loro, dagli immensi ghiacciai alpini alle alte vette rocciose, passando per laghi, fiumi e pianure, fino a raggiungere il mare. Tutto ciò si traduce in una serie di specializzazioni che, pur operando nell’ambito dell’Archeologia del Conflitto, hanno affinato le

16 proprie tecniche alle esigenze ambientali, recuperando quanto già esistente nel panorama delle discipline archeologiche. I prossimi capitoli, dunque, illustreranno velocemente queste discipline, seguendo una prospettiva, per così dire, dall’alto verso il basso, introducendo il lettore ai concetti di Archeologia Aerea, Archeologia Glaciale, Archeologia di Alta Montagna, Archeologia Subacquea e Speleoarcheologia.

ARCHEOLOGIA AEREA

Tra le discipline che in tempi recenti hanno rivoluzionato l’approccio archeologico alla Grande Guerra va sicuramente annoverata l’Archeologia Aerea. Questa branca non va confusa con la cosiddetta Archeologia dell’Aria, di recente formazione e dedicata allo studio dei vari aereomobili storici e all’analisi archeologica dei loro crash sites (luoghi interessati da un incidente aereo). L’Archeologia Aerea si occupa, invece, dello studio e dell’interpretazione dei siti dall’alto, utilizzando velivoli di vario tipo e, in anni recenti, ha vissuto un forte sviluppo grazie all’impiego dei droni radiocomandati (Bezzi et alii 2009), alcuni dei quali sviluppati per finalità prettamente archeologiche (una branca nota come Archeorobotica, Bezzi et alii 2018). Nello

Fig. 2: esempio di elaborato grafico di cartografia militare su base LIDAR riguardante l’area dellaVal Fiscalina/Fishleintal e del Monte Croce Comelico/Kreuzberg, BZ specifico dello studio della Prima Guerra Mondiale, l’Archeologia Aerea permette l’esplorazione di ampi territori tramite tecniche di telerilevamento (remote sensing), definendo delle Aree di Interesse (AOI,Areas Of Interest) che in seguito possono essere investigate da terra tramite ricognizioni mirate (survey). In questi casi l’osservazione del territorio da nuove prospettive a volo d’uccello e l’utilizzo di tecnologie laser (di tipo LIDAR, Light Detection And Ranging), in grado di scandagliare anche il terreno interessato da una fitta copertura boschiva, hanno permesso di scoprire le tracce della Prima Guerra Mondiale anchein alcuni zone in cui si era persa la memoria storica di un coinvolgimento diretto negli avvenimenti bellici.

17 18 Fig. 3 (nella pagina a fianco): lettura aerea e successiva interpretazione tramite survey della stessa area interessata da trincee e postazioni di vario tipo, individuata nel comune di Comelico Superiore - BL Fig. 4: fotografia aerea della postazione a nido d’aquila presso il forte Prato Piazza/Plätzwiese - BZ

A trarre i maggiori benefici da queste tecnologie, l’idea dell’apporto fondamentale che l’Archeologia dunque, è l’esplorazione archeologica sul campo Aerea ha fornito allo studio della Prima Guerra che, da una parte, può basarsi su nuovi e più precisi Mondiale. Per quanto riguarda l’utilizzo di dati elementi cartografici nel tentare di recuperare siti LIDAR per l’esplorazione archeologica di ampi un tempo noti, ma ormai nascosti dalle mutazioni territori, un caso di studio esemplare è il progetto paesaggistiche causate dallo scorrere del tempo europeo1 dedicato all’indagine dei siti della Grande (rimboschimento, smottamenti, frane, ecc...); Guerra nei comuni di Kartitsch (Ostirol), Comelico dall’altra, può usufruire di una vista privilegiata Superiore (Veneto) e Sesto/Sexten (Alto Adige/ (dall’alto) nel leggere le tracce degli avvenimenti Südtirol). Durante questa ricerca il modello 3D del bellici su ampi territori, per pianificare al meglio le terreno ricavato dal LIDAR (il cosiddetto DTM, Digital missioni a terra. Ad ogni modo, al di là dell’indagine a Terrain Model) è stato usato come cartografia piccola scala, un ulteriore supporto dell’Archeologia di base sulla quale sono state georiferite mappe Aerea allo studio generale della Grande Guerra militari di vario genere (compresi gli schizzi eseguiti è rappresentato dall’utilizzo di specifici droni a mano), consentendo un’accurata pianificazione radiocomandati al fine di documentare in tre dell’esplorazione archeologica del territorio (Fig. dimensioni (a grande scala) i singoli siti già noti e 2). Nell’ambito dello stesso studio, ulteriori aree di specialmente le postazioni militari più esposte e interesse sono state individuate grazie al sorvolo di difficilmente raggiungibili. Alcuni esempi pratici potranno forse rendere meglio 1 Programma INTERREG Italia-Österreich

19 Fig. 5: cassetta di munizioni per mitragliatrice da un recupero archeologico presso il Gran Zebrù/ Königsspitze - BZ ampi territori mediante droni radiocomandati, che hanno consentito l’individuazione di tracce ricollegabili alla Grande Guerra, in seguito analizzate più nel dettaglio tramite ricognizioni terrestri mirate (Fig. 3). Infine, un esempio dell’utilizzo di droni radiocomandati nella documentazione di siti militari di difficile accesso è rappresentato dalla mappatura della postazione a nido d’aquila situata presso il forte Prato Piazza/Plätzwiese (Fig. 4), operata durante un progetto di rilievo tridimensionale delle evidenze della Prima Guerra Mondiale presenti nel territorio dell’omonimo passo alpino (Bezzi et alii [s.d.]) . I casi di studio sopra riportati dovrebbero fornire un’idea su come, in definitiva, l’Archeologia Aerea abbia permesso di identificare nuove aree interessate dalle vestigia della Grande Guerra e di ottenere delle documentazioni più dettagliate delle strutture e dei baraccamenti più inaccessibili, migliorando nel complesso la nostra conoscenza del paesaggio bellico. A ben vedere, tutto questo è dovuto soprattutto al fatto, già ricordato, che essa si basa su una visuale privilegiata (dall’alto), in pratica applicabile a quasi tutti gli scenari archeologici, eccezion fatta, ovviamente, per quelli subacquei e per quelli sotterranei.

ARCHEOLOGIA GLACIALE

Nel procedere con la nostra panoramica sulle specializzazioni archeologiche dall’alto verso il basso, il secondo posto è sicuramente occupato dall’Archeologia Glaciale. Il Fronte Italiano, infatti, ha interessato contesti montani fino a raggiungere quote ragguardevoli, come i quasi 4000 metri del gruppo Ortles- Cevedale e gli oltre 3300 metri della Marmolada. Proprio in corrispondenza delle vette più alte il terreno di scontro ha dunque attraversato i grandi ghiacciai alpini, dai quali, ai giorni nostri, tornano ad emergere le testimonianze del conflitto. La peculiarità dell’Archeologia Glaciale consiste soprattutto nel metodo di scavo, che deve giocoforza adattarsi ad un contesto ambientale in cui le strutture ed i reperti risultano sepolti non da strati di terra, bensì da accumuli di ghiaccio e neve. Per questo motivo ci si serve di

20 strumenti particolari come i generatori di aria calda (soprattutto per liberare le strutture ostruite dal ghiaccio) o le pompe con getti di acqua direzionabili (per gli oggetti più piccoli). Nonostante le difficoltà logistiche imposte da un ambiente di lavoro estremo, per cui spesso è necessario approntare anche un bivacco di emergenza, le ricerche condotte con i metodi dell’Archeologia Glaciale sono in genere coronate da rinvenimenti eccezionali, dovuti soprattutto all’incredibile stato di conservazione dei reperti. Infatti le basse temperature, persistenti durante tutto l’arco dell’anno, favoriscono la preservazione anche dei materiali maggiormente deperibili, come quelli organici. Non sono rari, dunque, i ritrovamenti di oggetti e strumenti in legno (Fig. 5 ), di indumenti di vario genere (mantelli, giacche, calzature e cappelli) e persino di documenti (lettere, fogli di giornale e pagine di libri). Anche alcuni reperti metallici piuttosto comuni, come ad esempio gli elmetti, nei contesti glaciali sono spesso corredati da quelle parti deperibili che in genere non si conservano in altri ambienti, come, nel caso appena citato degli elmetti, i cinghiaggi in cuoio e talvolta le etichette riportanti i nomi dei soldati. Persino i resti antropologici, che altrove si riducono in genere al solo apparato scheletrico (quando non puramente a singoli frammenti ossei), si conservano in condizioni eccezionali, che ricordano quelle della mummificazione (anche se in genere sono da ricondurre più correttamente al fenomeno della saponificazione, ovvero a quel processo chimico

Fig. 6: baracca risalente alla Grande Guerra presso la cima del Gran Zebrù/ Königsspitze che porta dalla trasformazione dei grassi corporei nella cosiddetta adipocera). Lo scavo archeologico di contesti glaciali risulta dunque fondamentale nello studio della Prima Guerra Mondiale e questo soprattutto perché la grande abbondanza di reperti e la perfetta conservazione delle strutture consentono talvolta di analizzare delle situazioni pressoché intatte, di fatto cristallizzate al momento del loro improvviso seppellimento sotto cumuli di neve o del loro immediato abbandono (Fig. 6). Questa situazione, caratterizzata dall’assenza di fenomeni posteriori che ne abbiano turbato anche

21 Fig. 7: operazioni archeologiche presso la Croda dei Rondoi/Schwalbenkofel nelle Dolomiti di Sesto/ Sexten - BZ solo parzialmente l’assetto originario2, è definita alcune delle missioni più recenti operate nel in archeologia “capsula del tempo” ed è purtroppo territorio regionale, considerando il fatto che le tanto rara quanto potenzialmente informativa difficili condizioni di lavoro rendono questo genere (spesso relegata ai soli contesti glaciali o a quelli di operazioni piuttosto costose e dunque rare subacquei di naufragio). C’è però un altro motivo (anche per il frequente supporto aereo fornito dagli che fa dell’Archeologia Glaciale una miniera di elicotteri per il trasporto di persone, strumenti informazioni utili alla comprensione del periodo e reperti). Tra gli interventi effettuati dalla bellico nel suo complesso ed è sempre legato Soprintendenza per i Beni Culturali di Trento vanno alle estreme condizioni climatiche: l’alto livello di ricordati lo scavo e la musealizzazione del sito di conservazione di microrganismi (e di materiale Punta Linke nel gruppo Ortles-Cevedale (ad opera biologico di vario genere) all’interno dei ghiacci. dell’Ufficio Beni Archeologici; Bassi et alii 2016) e Queste informazioni sono di fondamentale le operazioni presso il Corno di Cavento nel gruppo importanza per lo sviluppo di analisi di stampo Adamello-Presanella (Ufficio Beni Architettonici). bioarcheologico e paleopatologico, legate dunque La Soprintendenza per i Beni Culturali di Bolzano a branche archeologiche che si dedicano allo (Ufficio Beni Archeologici) si è invece occupata della studio dei resti organogeni, nel primo caso, e a baracca riaffiorata dal ghiacciaio pensile presso la quello delle malattie, nel secondo (con particolare cima del Gran Zebrù/Königsspitze, attraverso un interesse per l’Influenza Spagnola, nel periodo della recupero di emergenza del materiale mobile ed il Grande Guerra). rilievo 3D della struttura. Prima di concludere questo veloce excursus sull’Archeologia Glaciale, vanno forse menzionate ARCHEOLOGIA DI ALTA MONTAGNA

Uno degli aspetti che hanno più colpito la fantasia 2 Se si eccettuano parziali dinamiche di deterioramento e di crollo per le strutture e alcune trasformazioni del grande pubblico sulla Prima Guerra Mondiale tafonomiche per i cadaveri. è stato quello legato ai combattimenti di alta

22 montagna, per cui questo tipo di conflitto è stato oggetti mobili metallici. I siti più difficilmente spesso definito con termini evocativi, come Guerra raggiungibili, come quelli di alta montagna, sono stati Verticale, Guerra d’Aquile o Guerra Bianca. In effetti dunque risparmiati dai danni di un recupero abusivo una natura spesso spettacolare ha fatto da scenario di reperti (selettivo, ma scientificamente acritico), a numerosi teatri di scontro in quota, basti pensare ma, soprattutto, sono sopravvissuti pressoché ad esempio al Fronte Dolomitico. L’aspra bellezza indenni anche a quella fase, ben più deleterea, di questi luoghi ha imposto la costruzione di arditi che nell’immediato dopoguerra e per vari anni a trinceramenti e di postazioni strategiche (spesso venire ha visto lo spoglio di numerose postazioni in posizione precaria, ma dominante). I ruderi di militari per il recupero di materiali utili in edilizia. questi particolari esempi di ingegneria militare, in Per questo motivo l’Archeologia di Alta Montagna guerra riforniti da innovativi sistemi di teleferiche, è ancora in grado di offrire nuove informazioni sono ancora ben visibili, anche se danneggiati dai utili alla comprensione delle dinamiche che hanno normali effetti del tempo e, talora, da azioni di spoglio interessato il fronte alpino della Grande Guerra, indiscriminato. La disciplina che si occupa dello soprattutto attraverso l’analisi di quei contesti in studio e del recupero di questi siti è l’Archeologia cui sono sopravvissuti i sistemi dei trinceramenti, di Alta Montagna, che utilizza tecniche in grado di delle postazioni di artiglieria e, almeno in parte, dei effettuare ricognizione ad ampio raggio in territori baraccamenti, con i relativi collegamenti costituiti non ancora noti, oppure di ottimizzare gli interventi da scale, passerelle e passaggi sospesi più o meno in aree già individuate. Tra le difficoltà maggiori di aerei, che rappresentano un interessante caso questa disciplina vi sono quelle logistiche, talvolta di adattamento dell’ingegneria militare a questo derivanti dalla necessità di allestire un campo base particolare contesto ambientale. In forza di ciò, per le missioni più lunghe, oppure dal bisogno di negli ultimi anni si sono moltiplicate le spedizioni raggiungere postazioni particolarmente esposte archeologiche volte a documentare lo stato attuale a causa del crollo dei sentieri, dei camminamenti delle evidenze relative alla Grande Guerra nei e delle scale lignee che le servivano durante il contesti di alta montagna, prima che l’inevitabile conflitto. Le soluzioni che permettono di effettuare degrado ne cancelli definitivamente le tracce. Un questo tipo di lavoro prevedono le tecniche tipiche esempio di questo tipo di lavoro è rappresentato dell’alpinismo (con corde, discensori, ecc…), ma dalle recenti iniziative avviate dalla Soprintendenza un aiuto non indifferente deriva, come si è visto, per i Beni Culturali di Bolzano presso la Croda dall’utilizzo dei droni di nuova generazione e dunque Rossa/Rotwand di (Ufficio Beni Archeologici) e dall’Archeologia Aerea. In ogni caso, nonostante le la Croda dei Rondoi/Schwalbenkofel (Ufficio Beni condizioni di conservazione delle strutture e dei Architettonici), nelle Dolomiti di Sesto/Sexten reperti siano sicuramente peggiori rispetto a quelle (Figg. 7 e 8). degli ambienti glaciali, la difficoltà di accedere a determinati siti ha spesso salvaguardato questi ARCHEOLOGIA SUBACQUEA luoghi dall’azione dei recuperanti abusivi e di tutte quelle persone, che prive dei necessari permessi, La maggior parte degli interventi di Archeologia sono soliti frequentare i campi di battaglia alla Subacquea riguardanti la Grande Guerra hanno ricerca di cimeli della Grande Guerra. I danni di una per oggetto relitti di navi, sommergibili e vascelli tale attività non riguardano soltanto la sottrazione di vario genere impiegati durante le operazioni di reperti da aree archeologiche, con una belliche nei principali teatri di scontro navale, conseguente decontestualizzazione dell’oggetto individuabili nel Mar Mediterraneo, nel Mare del in sé e quindi con una drastica riduzione del suo Nord, nel Mar Baltico e nel Mar Nero (anche potenziale informativo. Di fatto questo rappresenta se di fatto la guerra interessò pure gli oceani). il male minore, data anche l’abbondanza di certe Ciononostante, ancora al giorno d’oggi, molti classi di reperti nel panorama della Grande interventi si riducono ad una localizzazione del sito Guerra. Il danno peggiore è invece rappresentato di affondamento e ad un mappatura di massima dallo sconvolgimento della normale stratigrafia del relitto, senza vere e proprie missioni di scavo archeologica dovuta ad operazioni di scavo subacqueo, visto che spesso sono note la storia del abusivo e, soprattutto, dalla deliberata rimozione natante e le dinamiche del suo naufragio. A fianco o distruzione di strutture, in genere lignee, ancora degli interventi in mare aperto, però, l’archeologia sostanzialmente integre, al solo fine di recuperare subacquea si è specializzata anche in un settore

23 Fig. 8: operazioni archeologiche presso la Croda Rossa/Rotwand - BZ

24 25 Fig. 9: la Barca dei Diavoli, fotografata durante i rilievi del 2016 dedicato alle acque interne, ovvero ai laghi, ai fiumi meglio, anche da un punto di vista psicologico, il e alle lagune. Questo settore, nell’ambito del Fronte fenomeno della Prima Guerra Mondiale. Ne è un Italiano della Grande Guerra, coinvolge anche esempio il relitto della cosiddetta Barca dei Diavoli gli specchi d’acqua del Trentino. In particolare, (Fig. 9), attualmente sul fondo del Lago Mandrone. nella nostra provincia, le operazioni militari hanno Questa imbarcazione è stata costruita dagli Alpini interessato il Lago di Garda che, recentemente, è del battaglione Edolo (i Diavoli dell’Adamello) su stato oggetto di un approfondito studio riguardante iniziativa del Capitano Castelli, probabilmente per il suo fronte orientale. Proprio a questa ricerca (AA. tenere occupate le truppe durante i periodi più VV. 2018), condotta su iniziativa del Liceo Classico lunghi di inattività ed evitare così problemi legati Scipione Maffei di Verona, si rimandano quei all’insubordinazione (Viazzi 2014). Anche quando lettori interessati ad approfondire gli avvenimenti non celano rinvenimenti particolari, i laghi di alta che hanno coinvolto il più grande lago italiano montagna del Trentino custodiscono comunque durante la Prima Guerra Mondiale. In questa sede innumerevoli reperti bellici, in genere quasi intatti si vogliono invece ricordare quelle iniziative, tra e in quanto non ancora violati dai recuperanti abusivi le quali spiccano le missioni intraprese dal Liceo (vista la loro collocazione sotto il pelo dell’acqua) Scientifico Bertrand Russell di Cles (TN) sotto la e dunque potenzialmente altamente informativi. direzione del Professor Tiziano Camagna (Bezzi Molti di questi, però, si classificano come ordigni - Bezzi - Camagna [s.d]), che si sono dedicate inesplosi e dunque non sono stati al momento all’esplorazione dei laghi di alta montagna. Si studiati perché ancora potenzialmente pericolosi. tratta, infatti, di un ambiente subacqueo ancora Un esempio di questo genere di reperti sono le poco conosciuto, ma inaspettatamente ricco svariate granate e proiettili di artiglieria presenti di storia legata ai conflitti armati della Grande nel Lago del Monticello (Fig. 10), in un’area del Guerra. Le acque interne trentine nascondono resto ancora fortemente interessata da questo tipo talvolta delle sorprese, che aiutano a comprendere di resti, ovvero quella delle montagne attorno al

26 Fig. 10: granata tipo SIPE sul fondo del Lago del Monticello

Passo del Tonale. SPELEOARCHEOLOGIA Sebbene sia solo ai suoi albori, dunque, l’esplorazione delle acque interne interessate La Speleoarcheologia è una delle discipline più dalla Prima Guerra Mondiale ha già dato alcuni trasversali nell’ambito dello studio della Grande frutti interessanti. L’auspicio è che l’archeologia Guerra. Infatti la necessità di ripararsi dal tiro subacquea nella nostra regione continui ad delle artiglierie nemiche ha spinto gli opposti occuparsi anche delle evidenze lasciate da questo schieramenti a scavare ripari nella roccia e conflitto, per quanto le immersioni nelle acque nel sottosuolo, considerati più sicuri rispetto a trentine si dimostrino spesso più complessa strutture difensive approntate spesso nei periodi rispetto alle missioni svolte al livello del mare. prebellici e dimostratesi talvolta non adeguate Infatti le varietà ambientali che caratterizzano i alle mutate esigenze di una guerra che si evolveva laghi ed i corsi d’acqua in montagna prevedono rapidamente (soprattutto dal punto di vista degli scenari che mutano notevolmente, dimostrandosi armamenti). Tali ripari si trovano in quasi tutti gli spesso estremi. Si va infatti dai 346 metri di ambiti interessati dal conflitto, da quelli glaciali profondità massima del Lago di Garda agli oltre (con gallerie ricavate nella neve e nel permafrost), 2500 metri di altitudine dei numerosi laghi alpini. a quelli di alta montagna (dove le diverse Questa situazione non solo incrementa il livello di tipologie di roccia hanno spesso influenzato i difficoltà delle missioni subacquea, dovuto ad una lavori di scavo), fino a quelli di pianura (anche generica bassa visibilità e alle fredde temperature, con opere in terra). Per questo motivo le tecniche ma costringe anche i sub ad un’intera giornata di speleoarcheologiche sono spesso usate durante acclimatazione prima dell’immersione nei laghi le missioni che hanno per oggetto postazioni montani, a causa dell’elevata altitudine. militari della Grande Guerra. Durante questo tipo di interventi le operazioni più difficoltose riguardano la mappatura tridimensionale del sottosuolo,

27 Figg. 11 e 12: documentazione tridimensionale della galleria principale del Doss Alto e, nella pagina di destra, relativa mappa

28 visto che i soprastanti livelli di roccia o di terreno non consentono la copertura del segnale GPS, ostacolando di fatto la geolocalizzazione dei vari ambienti. Per ovviare a questi problemi viene spesso utilizzata la stazione totale per la penetrazione in ambienti ipogei, talvolta coadiuvata da tecniche mutuate dalla robotica (algoritmi SLAM, Simultaneous Localization And Mapping), che consentono di ottenere modelli tridimensionali in tempo reale e di verificare dunque la correttezza dei dati raccolti già durante la fase di acquisizione. Alternativamente, i classici sistemi fotogrammetrici vengono utilizzate per i rilievi dei tunnel più lunghi e complessi (Gietl - Steiner 2016), sebbene questa scelta imponga tempi di elaborazione notevolmente più lunghi. Una tale tecnica è stato utilizzato, ad esempio, in uno degli interventi più recenti di speleoarcheologia operati in territorio trentino, ovvero la mappatura e la relativa documentazione tridimensionale della galleria principale del Doss Alto, nel comune di Nago-Torbole (Bezzi et alii 2018). Questo sistema di cunicoli scavati nella roccia è un ottimo esempio di come le postazioni in caverna della Grande Guerra vadano studiate nella loro connessione con le strutture belliche dell’ambiente circostante. Nella fattispecie i tunnel del Doss Alto, un’area protagonista di alcune aspre battaglie sia nel 1915 che nel 1918, sono collegati al sovrastante sistema di trincee da un pozzo verticale alto circa 11 metri e fornivano un valido rifugio alle truppe che presidiavano questa altura naturale trasformata in una vera e propria fortezza (Figg. 11 e 12). L’esempio del Doss Alto, dunque, dovrebbe chiarire come la speleoarcheologia sia fondamentale per comprendere appieno le dinamiche belliche di una guerra di trincea, in cui non tutto avveniva alla luce del sole, ma anzi molte attività fondamentali, dal semplice rifornimento di armi, munizioni e vettovaglie, all’osservazione dei movimenti nemici, avvenivano al riparo di anfratti naturali o, più spesso, artificiali, quando non direttamente in tunnel sotterranei. La funzione difensiva non era però l’unica a spingere gli opposti eserciti a scavare nelle viscere delle montagne: un’intensa attività offensiva era infatti affidata allo scavo di gallerie di mina, con l’intento di far saltare in aria le postazioni avversarie. Spesso, per neutralizzare questo genere di attacchi, si intraprendevano ulteriori scavi per intercettare i tunnel nemici, dando così origine a veri e propri paesaggi sotterranei (il monte Pasubio ne è un tipico esempio), che solo le tecniche speleoarcheologiche possono documentare e studiare, secondo i dovuti criteri scientifici e con le necessarie cautele.

ARCHEOLOGIA ORIENTALE

Il nome stesso della Prima Guerra Mondiale ci ricorda l’estensione reale di questo conflitto, che di fatto ha interessato buona parte del globo. Prima di considerare, dunque, le sue tracce nel nostro specifico territorio (la Val di Non) sarà bene accennare brevemente al contesto effettivamente mondiale della guerra, introducendo un’ulteriore differenziazione della disciplina archeologica, questa volta su base geografica. Infatti, nonostante l’attenzione degli studiosi occidentali si concentri spesso sui campi di battaglia del Vecchio Continente, esistono molte altre aree interessate dalle azioni belliche. Tra di queste, alcune sono

29 Figg. 13 e 14: il palazzo dell’Apadana a Persepoli e il graffito lasciato dal Sergente Lucas comunque conosciute ai più, essendo legate a personalità di spicco che il cinema e la letteratura hanno saputo trasmettere anche anche al grande pubblico. Ne sono un esempio le aree del Vicino Oriente in cui si è svolta la Rivolta Araba, che vede le rocambolesche azioni del tenente colonnello Thomas Edward Lawrence, agente segreto, militare, archeologo e scrittore britannico, meglio noto come Lawrence d’Arabia. Meno conosciute sono invece le zone del Medio Oriente, tra cui l’odierno Iran, oggetto della cosiddetta Campagna Persiana, che vide contrapposte le forze anglo-russe a quelle dell’Impero Ottomano. In questo ambito si mosse anche il diplomatico Wilhelm Wassmuss (soprannominato Wassmuss di Persia), in un certo senso omologo tedesco di Lawrence d’Arabia. Lo stesso scenario ha anche visto le azioni della cosiddetta Dunsterforce, un distaccamento militare alleato formato da circa un migliaio di soldati delle forze di occupazione della Mesopotamia, provenienti da diversi paesi dell’Impero britannico. Sebbene l’Archeologia del Conflitto stia muovendo solo ora i primi passi nello studio di questi teatri bellici extraeuropei, non di rado le missioni di Archeologia Orientale sono incappate in tracce della Grande Guerra preservatesi nei luoghi più impensabili. Ne è un esempio il graffito inciso nel 1917 dal Sergente Lucas, del 21simo Lanceri (un reggimento inglese di cavalleria) all’interno del Palazzo dell’Apadana, eretto dal re Dario a Persepolis nella prima metà del VI secolo A.C (Figg. 13 e 14). Da rinvenimenti fortuiti di questo tipo, nonché dal crescente interesse per la Grande Guerra dovuto alla ricorrenza del centenario, sono nati, proprio negli ultimi anni, dei progetti di ricerca di Archeologia del Conflitto in seno a territori pertinenti a settori più ampi della disciplina, come appunto l’Archeologia Orientale (che si occupa, con varie specializzazioni, di Vicino e Medio Oriente). Un esempio su tutti può essere considerato il Great Arab Revolt Project, diretto da Neil Faulkner e da Nicholas Saunders, che si occupa proprio di indagare archeologicamente alcuni siti del sud della Giordania, che recano tracce dei conflitti armati legati alla Grande Guerra e, appunto, alla Rivolta Araba. Questo breve accenno all’Archeologia Orientale serve quindi non solo per ricordare che l’estensione della Grande Guerra ha toccato ambiti geografici molto distanti tra loro, soprattutto se si considera la guerra navale operata negli oceani, ma anche per portare all’attenzione del lettore uno dei settori più recenti (e promettenti) dell’Archeologia del Conflitto degli ultimi anni. Ad ogni modo, come si vedrà nel prossimo capitolo, la Prima Guerra Mondiale ha lasciato tracce anche nei territori che non hanno visto direttamente operazioni belliche di prima linea o veri e propri conflitti armati di ampie proporzioni. Ed è questo uno dei motivi principali per cui le sue vestigia sono ravvisabili anche in Val di Non.

LE EVIDENZE ARCHEOLOGICHE DELLA GRANDE GUERRA IN VAL DI NON

Da un punto di vista strettamente militare la Val di Non non può essere considerata come una delle aree di primaria importanza nell’economia generale della Grande Guerra. Infatti la valle distava dalla prime linee effettive, delle quali le più vicine, da un punto di vista logistico, risultavano essere le trincee e le postazioni del Tonale. Vista la sua posizione geografica, dunque, la Val di Non fu interessata da poche opere campali, approntate soprattutto con funzione difensiva in caso di sfondamento del fronte solandro. Tra di queste

30 si segnalano alcune semplici trincee sul Monte Peller e la Tagliata della Rocchetta (Straßensperre Rocchetta; Fig. 15), la cui importanza strategica, almeno prima dello scoppio delle ostilità, non era marginale. La fortificazione, infatti, era stata costruita tra il 1860 ed il 1864 a difesa della città di Trento, con l’intento di arrestare un’eventuale penetrazione italiana dalla Val di Sole, attraverso la Val di Non. Già verso la fine del 1915, però, gli alti comandi austroungarici si resero conto che tale possibilità era remota e la struttura venne disarmata e declassata a magazzino. Al di là delle opere campali propriamente dette e della Tagliata della Rocchetta, la Val di Non preserva ancora i resti di altre strutture in qualche modo connesse con il conflitto, anche se non pianificate per essere direttamente coinvolte negli scenari operativi. Ne sono un esempio le aree adibite all’addestramento delle truppe, tra cui i vari campi per le esercitazioni (übungsplatz), come quelli nei territori di Cles, e Cavareno (in genere dotati di vere e proprie trincee per istruire i soldati alle tecniche di questo tipo di guerra; Fig. 16). In questo scenario possono essere annoverati anche i casini di tiro al bersaglio (esemplare quello di Fig. 15: planimetria della Tagliata della Rocchetta - Cles; Fig. 17), considerando che Österreichisches Staatsarchiv allo scoppio delle ostilità l’attuale Trentino si trovava di fatto sguarnito dei reggimenti dei Kaiserjäger e dei Landesschützen, spediti sui campi di battaglia della Galizia e dei monti Carpazi. Per questo motivo l’organizzazione di una difesa territoriale fu impostata, almeno inizialmente, sul richiamo degli iscritti ai casini di bersaglio, giovani e anziani, ovvero sugli Standschützen. Ovviamente, come nella maggior parte dei paesi toccati, seppur indirettamente, dal conflitto, oltre a queste evidenze archeologiche concentrate in aree periferiche (in genere campestri o boschive), anche in Val di Non esistono edifici che all’epoca erano sede di caserme o dei comandi locali. Queste vestigia sono in genere riconducibili all’ambito di studio dell’Archeologia Urbana e spesso si preservano quasi intatte fino ai giorni nostri.

31 Fig. 16: le trincee dell’übungsplatz di Cavareno

Il territorio anaune preserva però anche altre microstorica, questa volta legata ad una comunità tipologie di siti, meno strutturati, ma di un e non ad un singolo individuo, si può citare il luogo certo interesse scientifico: i luoghi connessi a in cui sorgeva il cosiddetto “bàit dei Russi”, ovvero singoli eventi, in genere collegabili ad un ambito la baracca presso Cavareno, che nel 1917 ospitò microstorico (legato ad un villaggio, una comunità alcuni prigionieri di guerra russi, serbi e bosniaci, od un singolo individuo), che spesso conservano impiegati nella riparazione dell’acquedotto. la memoria di avvenimenti di piccola portata, Da un punto di vista archeologico, dunque, la Val ma fondamentali per comprendere al meglio gli di Non, seppur lontana dai campi di battaglia, anni del conflitto sotto aspetti per così dire più conserva una varietà di vestigia della Grande Guerra intimi. A questo proposito sono particolarmente di un certo interesse, soprattutto perché in grado interessanti, a titolo d’esempio, i luoghi legati di fornire informazioni nel campo, ancora poco alla vicenda di Narcisio Fondriest, detto “Bora”, investigato archeologicamente, delle zone limitrofe nascostosi sul Monte Peller dopo essere stato alle aree direttamente interessate dagli scontri ferito per ben due volte al fronte (Eccher 2017). armati. Qualora studiati in maniera sistematica, Purtroppo ad oggi non si ha ancora certezza infatti, questi territori potrebbero aprire nuovi sull’esatta ubicazione della grotta in cui trascorse scenari per approfondire la nostra conoscenza sulle gran parte dei suoi quasi tre anni da imboscato, dinamiche interne di un conflitto armato di queste sebbene se ne conoscano con relativa sicurezza proporzioni, dagli approvigionamenti a lungo gli spostamenti, dalla frazione di Caltron alla raggio di armi, munizioni e viveri, all’addestramento località “dei tre sasi”, fino alla cavità naturale che delle truppe (nei vari übungsplätze), fino agli elesse a suo rifugio, presso il monte Peller. Sempre scenari microstorici che, come abbiamo visto, a titolo d’esempio di un sito dalla connotazione aprono nuove prospettive per approfondire quegli

32 Fig. 17: le poste dietro cui si riparavano i marcatori presso il bersaglio di Cles aspetti sociali e psicologici della guerra, studiati un semplice sterro, cioè nella rimozione acritica dall’Archeologia del Conflitto. e simultanea di tutti gli strati archeologici che Al giorno d’oggi, però, il problema principale legato obliterano una struttura parzialmente o totalmente all’Archeologia del Conflitto in Val di Non non è sepolta, con grande danno per la comprensione rappresentato solo dalle scarse conoscenze in dei siti soggetti a questa pratica e per la nostra materia, dovute in gran parte all’assenza di un conoscenza collettiva. progetto univoco in grado di coordinare le azioni scientifiche sul campo, ma anche dalla mancanza stessa di interventi archeologici veri e propri. Ad oggi, infatti, non esistono missioni ufficiali di Archeologia del Conflitto nel territorio noneso, ovvero operazioni effettuate sotto la direzione scientifica degli organi competenti (la Soprintendenza per i Beni Culturali della Provincia Autonoma di Trento ed il suo l’Ufficio Beni Archeologici), o almeno condotte con le tecniche proprie del metodo archeologico. Ciononostante è auspicabile che nell’immediato futuro si attuino delle politiche volte ad investigare e salvaguardare i siti della Grande Guerra in questo contesto territoriale. Altrettanto fondamentale è evitare tutti quegli interventi che, pur avviati con le migliori intenzioni, si riducono in definitiva in

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34 Baracca risalente alla Grande Guerra presso la cima del Gran Zebrù/ Königsspitze foto Arc-Team

35 Ricostruzioni 3D del Forte della Rocchetta ad opera di Cicero Moraes (Arc-Team), 2018

36 37 Progetto trincee

LEGENDA RILIEVO TRINCEA percorso principale ingressi secondari MAPPA STORICA direzione fuoco tracciato trincea punto fiduciale Mt.Peller

TITOLO: PROGETTO TRINCEE CLASSE: 4CATA

38 NOME: Dalla Torre Francesco DATA: 21-03-2018 500 0 500 1000 1500 2000 m Moratti Damiano DESCRIZIONE: Mappa storica TAV: 4 Le trincee del Monte Peller Istituto Tecnico C.A. Pilati, Cles

Nel corso dell’anno scolastico 2017/18 le classi 3CATA e 4CATA dell’Istituto Tecnico C.A. Pilati di Cles, con la supervisione dei professori Giovanni Damaggio e Michele Scandella e la collaborazione di Odorizzi Davide, diplomato in Gestione Ambiente e Territorio presso la Fondazione Edmund Mach, hanno predisposto un progetto di tutela e valorizzazione dei siti storici della Prima Guerra Mondiale. Il progetto di ripristino, conservazione e valorizzazione dei siti della prima guerra mondiale prevedeva un risanamento a livello territoriale e la realizzazione di un percorso a sfondo storico che portasse il visitatore ad una riflessione sulla vita in trincea e a come i soldati passassero le giornate tramite documenti e testimonianze storiche. CATA hanno effettuato un rilievo in località «Dos Stimolati dall’iniziativa “Conosci le trincee del dela Pizza» nei pressi del monte Peller dove sono Monte Peller?”, promossa dal signor Giulio Mendini stati identificati tratti di trincee risalenti alla Prima della Scuola Ciclismo Fuoristrada Val di Non e Sole, Guerra Mondiale. gli studenti si sono focalizzati sulle trincee presenti Il rilievo è stato effettuato tramite strumentazione nei pressi del Peller le quali facevano parte, come GPS percorrendo i solchi fortificati partendo a quelle soprastanti al paese di Bozzana, della terza monte di essi fino a giungere nel loro punto più a linea di difesa «Mostizzolo». valle. La posizione del tratto di trincea in questione Durante l’attività di lavoro sono stati utilizzati serviva come postazione di ripiegamento in caso diversi software come QGIS, AutoCAD, e altri di di cedimento del fronte del Tonale e avanzata presentazione (Word e PowerPoint). Il software dell’esercito italiano verso la Val di Non. Uno dei QGIS permette di far confluire dati provenienti punti critici sotto osservazione era lo scollinamento da diverse fonti in un unico progetto di analisi del Monte Peller che l’esercito regio poteva territoriale. raggiungere attraverso il «Pian dela Nana» e che li poteva condurre direttamente in territorio austriaco Gli studenti hanno progettato inoltre dei pannelli senza dover effettuare l’arduo attraversamento del informativi con diversi argomenti e immagini ponte di Mostizzolo. riguardanti la Prima Guerra Mondiale da posizionare Il territorio del Trentino-Alto Adige, e perciò anche la lungo il percorso rendendolo così più appetibile. Le zona di difesa esaminata, furono in seguito cedute informazioni riportate su ogni bacheca sono state dall’Impero Austro-Ungarico agli italiani tramite tradotte in lingua tedesca e inglese per offrire la alcuni trattati e quindi la terza linea di difesa che stessa possibilità di apprendimento culturale rimase inutilizzata. anche a visitatori stranieri. Gli studenti sono stati impegnati in ricerche storiche e sulla morfologia del territorio, raffronti tra stato attuale del camminamento e quello evidenziato sulla mappa storica, progettazione di pannelli informativi ed esplicativi anche in lingua inglese e tedesca da posizionare lungo il percorso, video del tracciato dall’alto tramite l’utilizzo del software Google Earth con l’obiettivo finale di ottenere un elaborato progettuale del percorso tematico. Il giorno 30/10/2017 gli studenti della classe 4

39 Il clero e la Grande Guerra: il caso del vescovo Endrici

A cura di Marco Odorizzi Palazzo Endrici, Don

40 Celestino Endrici Vescovo di Trento nella Grande guerra Marco Odorizzi

La figura del vescovo di Trento Celestino Endrici San Vigilio nel 1904, a soli 37 anni, fu chiamato si staglia sul movimentato panorama trentino a guidarla tra le grandi sfide del secolo breve, del primo Novecento con il vigore e l’imponenza dispiegando un ambizioso progetto episcopale dei personaggi decisamente non ordinari1. Nato che seppe muoversi con fermezza e coraggio in Don il 14 marzo 1866, egli fu fin da giovanissimo un groviglio di problematiche identitarie e politiche, uno dei principali interpreti e dei più determinati prima ancora che pastorali. Costretto ad assistere animatori di quella «grande avventura»2 che a per ben due volte con desolante impotenza alla cavallo del 1900 porterà il movimento cattolico partenza dei suoi diocesani per i lontani teatri di trentino a mutare radicalmente il volto di questa una guerra mondiale, proprio scrutando questi umile terra di confine, imprimendovi alcuni tratti dolorosi scenari, all’età di 76 anni, si spense tanto profondi da divenire parte della sua stessa infine il 29 ottobre 1940, tra le promesse – in gran identità. Assurto alla cattedra episcopale di parte disattese – «che la sua opera lunga, vasta e molteplice […] sarà scritta a caratteri d’oro della 3 1 Sebbene una biografia scientifica di Celestino storia della nostra arcidiocesi» . Endrici attenda ancora di essere scritta, non mancano alcuni utili riferimenti bibliografici: M. Odorizzi, Per Se è spesso possibile rintracciare nella personale una cristianità nuova. Spiritualità e vita di Celestino vicenda biografica del Vescovo i tratti salienti della Endrici vescovo di Trento, in M. Odorizzi e P. Marangon vita collettiva della sua diocesi, è però in particolare (a cura di), Da Rosmini a De Gasperi. Spiritualità e nell’esperienza della prima guerra mondiale che il storia nel Trentino asburgico, Università degli Studi dramma comunitario dei trentini pare saldarsi a di Trento, Trento, 2017, pp. 223-246; S. Vareschi, quello individuale del suo Pastore. Ecco perché, L’episcopato trentino di mons. Celestino Endrici (1904- 1940). Progetto, realizzazioni, significato storico , in in un certo senso, sostare sulle pieghe di una “Studi trentini. Storia”, A. 96 (2017), n. 2, pp. 429-458; peculiare vicenda biografica sembra oggi una M. Odorizzi, Frangar non flectar: la guerra parallela di possibile chiave per spalancare le porte dello monsignor Celestino Endrici vescovo di Trento, in F. sguardo su quello che la Grande guerra significò Bianchi e G. Vecchio (a cura di), Chiese e popoli delle per la gente trentina, andando oltre gli stretti angoli Venezie nella Grande Guerra, Roma, Viella, 2016, pp. visuali proposti dalla propaganda nazionale. Una 319-342; B. Tomasi, Celestino Endrici, in A. Canavero, potenzialità a lungo disattesa, tanto più che, a A. Leonardi, G. Zorzi (a cura di.), Per il popolo trentino, fronte di una rapidissima opera di ricostruzione FMST, Trento 2014, pp. 207-226; M. Garbari, L’età di evenemenziale4, la figura del Vescovo in guerra Celestino Endrici, in “Studi trentini di scienze storiche”, Sezione prima, A. 83 (2004), n. 3, pp. 517-530; S. assurse presto a livello di simbolo della presunta Benvenuti, I principi vescovi di Trento fra Roma e Vienna lotta dei trentini per la liberazione dal giogo 1861-1918, Il Mulino, Bologna 1988, pp. 275-380; Id., asburgico, cristallizzando un’immagine “eroica” del La Chiesa trentina e la questione nazionale 1848-1918, prelato perseguitato dal governo imperiale perché Temi, Trento 1987, pp. italiano, se non proprio irredentista. Una lettura 177-282; I. Rogger, Endrici, Celestino, in Dizionario che ha dimostrato una capacità di sopravvivenza biografico degli italiani, Istituto dell’Enciclopedia italiana tale da trovare accoglimento fino oltre le soglie Treccani, Roma 1993, vol. 42, pp. 660-663. Restano utili del XXI secolo, impermeabile alla ricerca di inoltre gli atti del convegno interamente dedicato alla approfondimento chiaroscurale e incapace di figura del vescovo che si tenne a Trento il 23 maggio 1991: AA. VV., Celestino Endrici (1866-1940) Vescovo di afferrare la trama densa sottesa agli eventi. Trento, Centro di cultura Rosmini, Trento 1991. 3 Così recitava il necrologio su «Vita Trentina», 31 2 S. Vareschi, Il movimento cattolico trentino tra Otto- ottobre 1940. cento e Novecento, in M. Garbari e A. Leonardi (a cura di), Storia del Trentino, V, L’età contemporanea, Il Mulino, 4 V. Zanolini, Il vescovo di Trento e il Governo austriaco Bologna, 2000, pp. 817-838. durante la guerra europea, Milano, Vita e pensiero, 1919.

41 Solo negli ambienti religiosi si coltivò una narrazione differente, che coglieva negli attriti tra Vescovo e governo imperiale una battaglia per la libertas Ecclesiae, dove quindi l’oggetto della contesa non era il diritto all’autodeterminazione nazionale, ma l’autonomia della Chiesa dalle pretese cesaropapiste della Monarchia degli Asburgo. Un filone a cui non manca certo fondamento, ma incapace di entrare in dialogo con la vulgata e destinata a rimanere sostanzialmente parallelo ad essa.

Di fatto, impoverita da queste rimozioni memoriali, la vicenda ha progressivamente perso la sua urgenza iniziale, tanto che in molte delle trattazioni più recenti sulla Grande guerra del Trentino si parla solo transitoriamente del Vescovo. Quasi che la sorte toccatagli durante la guerra, quando egli fu strappato alla sua diocesi e recluso lontano dalla sua gente, torni a manifestarsi in una sorta di esilio memoriale. Ma cosa ha dunque da raccontare oggi la storia dell’esule di Heiligenkreuz?

Muovendosi a cavallo dell’assassinio di Sarajevo sulle abbondanti tracce documentarie lasciateci da Endrici, si nota innanzitutto il dispiegarsi al di sotto del livello epidermico degli eventi di un epocale confronto “di civiltà”, quasi che la guerra funga da acceleratore della crisi di un antico modello di christianitas, aggredito dall’inarrestabile processo di secolarizzazione e dai cosiddetti Kulturkämpfe. Le posizioni prebelliche sviluppate dal vescovo di Trento sono figlie di questa tensione e oscillano tra aperture alle logiche della “moderna” società del pluralismo e una sorta di sindrome d’accerchiamento, che testimonia lo spavento provocato nel clero dalla aggressiva concorrenza di due nuove ideologie – liberalismo e socialismo – e dalla dialettica confessionale. Così, ad esempio, all’istintivo volgersi verso l’autorità imperiale, il brachium saeculare cui le encicliche leonine – testi capitali nella formazione di Endrici - continuano ad assegnare un ruolo di tutore della vera religione, si affianca una timida ma non troppo accettazione della competizione democratica, che fa sì che il 1904, l’anno dell’elevazione vescovile di Endrici, coincida anche con l’istituzione dell’Unione politica popolare del Trentino, il primo esperimento di organizzazione partitica cattolica del mondo italiano. Oltre confine, infatti, la trama politica del Regno d’Italia restava vincolata al famoso non expedit di Pio IX, che fino al dopoguerra precluse ai cattolici la possibilità di prendere parte alla vita politica del paese.

Sospesa tra passato e futuro, questa fase di ambigue coesistenze finì per addensare sulla Chiesa trentina una duplice e contradditoria funzione: da un lato quella di collante sovranazionale della Monarchia, capace di rinsaldare dal pulpito il legame di lealtà dinastica tra gli Asburgo e i “loro popoli”; dall’altro quella di rappresentare le legittime istanze degli “italiani d’Austria”, pur senza mettere in discussione per questo la sopravvivenza del nesso imperiale. Un equilibrio instabile, a maggior ragione mentre il vento dei nazionalismi iniziava a gonfiare il mare della guerra europea.

Lo scoppio del conflitto rapidamente invalidò posizioni che, pur non senza qualche affanno, avevano fino ad allora retto. Mentre i cittadini erano resi dapprima soldati, poi anche profughi e prigionieri, l’ascesa verticale di un potere militare improntato al nazionalismo austrotedesco segnava la fine delVielvölkerstaat asburgico. La piccola minoranza trentina, per la cui “liberazione” l’Italia consumava il tradimento della Triplice alleanza, perdeva rapidamente la dignità di minoranza da tutelare e, sotto la spinta di una miope semplificazione, diveniva un mero problema da gestire. Di fatto, dopo un anno e mezzo di guerra,il panorama disarmante che Endrici partecipava direttamente a papa Benedetto XV era il seguente:

Narrare l’iliade di dolori, di repressioni inumane, di condanne spaventose a più anni di carcere per un lamento, per un’espressione qualunque magari di una povera donna – narrare il modo crudele ed inumano, col quale migliaia e migliaia di deboli donne, di bambini, di vecchi furono cacciati dai loro paesi e lanciati nelle più lontane regioni dell’interno, ove non comprendono la lingua, in un ambiente alle volte ostile […]– narrare gli insulti sanguinosi, che si lanciano ogni giorno contro i legittimi sentimenti del popolo coll’unico giornale esistente, fregiato dell’aquila austr(iaca) e sotto l’egida dell’autorità, il quale compie un nefasto apostolato di odio di razza e di classe in mezzo al popolo – narrare i maltrattamenti morali e materiali dei poveri soldati trentini, che fino all’età di 50 anni sudano, soffrono e sanguinano da mesi sotto le armi […]– B(eatissi)mo P(adre) è un compito per me troppo doloroso

42 e me ne sento impari, perché ho la sicurezza che l’inumanità, la barbarie, l’odio, la vendetta superano ogni umano sentire5.

Le scelte che Endrici assunse nei primi mesi di guerra segnano il prevalere dell’ottica pastorale su ogni definizione politica. Di fatto questo significava evitare di farsi trascinare sul terreno della Schuldfrage, sospendendo il giudizio su chi avesse ragione e chi torto nella guerra che si andava combattendo e risolvendo la questione in sintonia con gli indirizzi della Santa Sede, volti a leggere il conflitto in chiave metastorica come castigo per l’apostasia dell’umanità dalla religione cattolica. Equidistante da pacifismo e da bellicismo, da patriottismo e da irredentismo, la risposta endriciana all’evento restava vincolata a una dimensione religiosa e morale, che affermando il principio del “Reddite quae sunt Caesaris Caesari” avvalorava anche in guerra il principio dell’obbedienza all’autorità, ma non concedeva nulla alla retorica bellicista. Mentre il vicino vescovo di Bressanone, mons. Franz Egger, spingeva i suoi diocesani al fronte ricordando loro che «combattiamo per Dio e con Dio»6, Endrici si attestava sul principio secondo cui «il V(escov)o come tale non è né austriaco né italiano», ma semplicemente «cattolico»7. Su queste posizioni si apriva così un furente braccio di ferro tra le autorità militari ed il Vescovo, con quest’ultimo che si trovò ripetutamente oggetto di pressioni, volte a fargli produrre un documento pastorale che fugasse ogni dubbio circa la sua lealtà e condannasse l’aggressione italiana del confine meridionale della Monarchia. Pressioni che non condussero ai frutti sperati e convinsero i comandi militari a risolvere per altra via una questione che iniziava a divenire pericolosa: in questo contesto gli attriti prebellici di Endrici con settori della popolazione tedesco-tirolese, benché originati da questioni tanto nazionali quanto pastorali e confessionali, bastarono a imbastire una traballante imputazione e, a partire dal giugno 1916, a giustificare il confino del Vescovo nella abbazia di Heiligenkreuz, nella selva viennese.

Lontano dai fragori del fronte, la sua guerra personale proseguiva con l’opposizione strenua ad ogni tentativo di persuaderlo a rinunciare alla cattedra di San Vigilio o, quantomeno, a nominare un nuovo vicario generale gradito ai militari, che potesse governare la diocesi in sua assenza. È ancora al papa che Endrici rimette i suoi sfoghi e insieme la sua determinazione a non piegarsi a pretese che considera indebite, oltre che lesive della sua dignità episcopale:

5 Minuta della lettera di Endrici a papa Benedetto XV, Trento 28 dicembre 1915, Archivio Diocesano Tridentino, Acta Episcopi Endrici, Arresto e prigionia di S.A.Rev.ma Monsignor Endrici, 1915/3. 6 O meglio, «Wir kämpfen für Gott und mit Gott» come si legge nella lettera pastorale pubblicata sul “Brixener Diözesanblatt”, Nr. 2 (gennaio 1915), p. 12. 7 Lettera di Endrici al papa, Vienna, 9 giugno 1916, edita in A. Scottà (a cura di), Mons. Celestino Endrici vescovo di Trento, in Id., I vescovi veneti e la Santa Sede nella guerra 1915-1918, vol. 3, Roma, Storia e letteratura, 1991, doc. 8, pp. 40-65.

43 a questi circoli politici non basta che la chiesa Sono spunti tratti da Il dominio del gioseffinismo coll’esercizio della sua missione educhi clero e in Austria, un libello redatto da Endrici ad popolo alla fedeltà allo stato coll’osservanza delle Heiligenkreuz, in cui si completava la chiusura leggi e dei doveri, ma si vuole che il clero e seminario del cerchio: il nazionalismo tedesco che aveva siano una lancia spezzata di politica patriottica, trasfigurato il volto della Monarchia asburgica senza tener calcolo che con ciò travisano la lasciando i trentini come un popolo senza patria, natura della nostra missione e preparano la rovine non aveva solo rotto il patto dinastico che faceva dell’intera cura d’anime, aprendo la via a lupi rapaci. sì che i suoi diocesani potessero dirsi allo stesso A questo postulato la mia coscienza si ribella, tempo trentini, italiani e sudditi imperiali, ma perché contrario alla dottrina teologica, ai sacri aveva anche smascherato l’attitudine del governo canoni ed alla pastorale. Questo ministro è preso dal imperiale a fare della Chiesa uno strumento di pregiudizio gioseffino ed è inaccessibile a ragioni. governo. La difesa della religione e quella della Io gli feci comprendere che non posso accedere a nazione si incrociavano nella figura del vescovo, quelle massime: frangar non flectar8. fedele al suo popolo e al suo magistero. Non sarebbe corretto sostenere che nel tumulto La questione sarebbe stata destinata a protrarsi della guerra Endrici subisca una conversione fino alla fine del conflitto, coinvolgendo le relazioni all’irredentismo battistiano: una prospettiva che diplomatiche tra Monarchia e Santa Sede, con non sarà mai il suo orizzonte, così come non lo quest’ultima divisa tra l’esigenza di preservare sarà di lì a poco il nazionalismo fascista. Di fatto, le relazioni con l’ultima grande potenza cattolica quando il 13 novembre 1918 egli faceva infine europea e quella di difendere un suo innocente ritorno a Trento dopo oltre due anni d’assenza, un ministro. Dinnanzi a questo bivio, la diplomazia intreccio di zelo pastorale, di orgoglio ecclesiale, di vaticana cercò di differire la questione a tempi sentimento nazionale e di umiliazione personale e meno difficili, mostrando maggiore disponibilità collettiva lo avevano preparato alla nuova sfida che alla conciliazione rispetto al Vescovo, che l’attendeva. Quella di riprendere la sua missione all’opposto dal silenzio del suo internamento episcopale sotto un cielo ormai definitivamente sviluppava posizioni sempre più critiche su quel italiano, ma già velato dalle nubi di una nuova connubio di trono e altare che, se da un lato aveva stagione di violenza e intolleranza. garantito prosperità alla Chiesa entro i confini della Monarchia, dall’altro l’aveva resa, secondo una emblematica definizione di Angelo Gambasin, al contempo «protetta e incatenata»9. La guerra restituiva invece al vescovo di Trento il profumo di un nuovo inizio: infatti, le «bufere, che atterrano e schiantano, […] insieme purificano l’ambiente» e restituendo la comunità ecclesiale alle sue origini evangeliche, permettono una «restaurazione, che favorita dal cielo, ridà alla Chiesa giovinezza, libertà ed indipendenza»10.

8 Ibidem. 9 A. Gambasin, La Chiesa trentina e la visione pastorale di Celestino Endrici nei primi anni del Novecento, in A. Canavero e A. Moioli (a cura di), Degasperi e il Trentino tra la fine dell’800 e il primo dopoguerra, Reverdito, Trento, 1985, p. 378. 10 I brani citati sono tratti dal manoscritto del Vescovo intitolato Il dominio del gioseffinismo in Austria, edito in S. Benvenuti, Il gioseffinismo nel giudizio del vescovo di Trento Celestino Endrici, in “Studi trentini di scienze storiche”, Sezione prima, A. 73 (1994), pp. 37-102.

44 45 La Val di Non nella Grande Guerra. Esperienze, memorie, immagini

A cura di Nadia Simoncelli Palazzo Morenberg, Sarnonico

46 La Val di Non nella Grande Guerra. Esperienze, memorie, immagini Nadia Simoncelli

PREMESSA

“La Storia non è fatta soltanto di lunghe descrizioni testuali contenute nei libri, ma è un bacino inesauribile di storie e di immagini”

In occasione della fine del Centenario della Grande Guerra, nell’intento di colmare almeno in parte i vuoti lasciati da una storia ancora carica di silenzi, la Comunità della Val di Non con i Comuni di Sanzeno, Revò, Livo, Amblar-Don, Predaia e di Sarnonico, gli abitanti della Val di Non e la Fondazione Museo storico del Trentino, ha dato vita a un progetto di rete volto al recupero, alla divulgazione e alla valorizzazione di materiali fotografici, audiovisivi, propagandistici e documentari provenienti da archivi pubblici e privati, risalenti al 1914-1918 e legati al tema guerra. Particolare attenzione sarà rivolta alle memorie scritte e alle fotografie di coloro che furono coinvolti e travolti in prima persona dall’esperienza più sconvolgente della storia: la Grande Guerra.

La conclusione del Centenario è il momento giusto per fare un’ampia riflessione sulla portata della Grande Guerra in Val di Non e sugli effetti che il conflitto e la notizia dell’armistizio del 3 novembre 1918 hanno avuto sulla popolazione in armi e sui civili. Questa sezione della mostra servirà innanzitutto a ricordare che i nonesi, pur abitando in un territorio non direttamente coinvolto da interventi di natura specificatamente bellica negli anni del conflitto, hanno comunque partecipato attivamente a una guerra totale e ingiusta, subendone le dirette conseguenze. Su scala regionale e nazionale la Val di Non rappresenta un caso di studio interessante soprattutto per l’impatto specifico che l’evento bellico, solamente a poche decine di chilometri di distanza (il fronte del Tonale distava solo una cinquantina di chilometri) ebbe sulle condizioni materiali, psicofisiche e mentali dei suoi abitanti nonché per il retaggio culturale che la guerra ha lasciato dietro di sé nel 1918, dopo la fine delle ostilità, con il passaggio dall’Austria all’Italia. La metodologia adottata si rifà alla nuova storiografia sulla Grande Guerra che ha cominciato a prender piede nell’ultimo ventennio. Una metodologia che predilige la ricostruzione dell’evento bellico attraverso le storie individuali dei suoi protagonisti. La storia del conflitto verrà letta da più punti di vista e restituita ricorrendo all’utilizzo di linguaggi diversi (scrittura, immagini, testimonianze orali e audio-video). Le storie seguiranno, con andamento cronologico, i percorsi e le esperienze esistenziali dei protagonisti: uomini e donne, combattenti e civili, anziani e bambini coinvolti e travolti dalla guerra mondiale intesa sia come evento che influì profondamente sull’orizzonte sociale, economico e mentale delle masse europee che come spartiacque della modernità; in altre parole, la «cartina tornasole di un’epoca di forte cambiamento»1, la fine di un mondo e l’inizio di un altro. Scopo finale è restituire, attraverso l’approccio microstorico, condizioni e ambiti di un periodo storico che oggi, a distanza di 100 anni, è impresso nella nostra mente come un ricordo a tratti sfocato ma indelebile.

1914 - L’ELETTRICA SCOSSA

Dopo decenni di pace, che avevano favorito uno straordinario sviluppo economico e tecnologico nei paesi europei, la decisione dell’Austria-Ungheria di punire la Serbia dell’uccisione a Sarajevo dell’arciduca Francesco Ferdinando, sospinta dall’incubo dello sfaldamento del suo impero multinazionale sotto le spinte irredentistiche, diede inizio a un conflitto che portò allo sconvolgimento degli equilibri europei e mondiali. Oggi, a cent’anni dalla Grande Guerra, emergono ancora le storie e i ricordi di quell’epoca solo apparentemente così lontana. I protagonisti di queste storie sono gli abitanti della Val di Non che a partire

1 La citazione è di Don Fortunato Turrini.

47 dall’estate 1914 vennero coinvolti e travolti in una in realtà particolari manifestazioni di entusiasmo guerra che nel giro di pochi mesi assunse i caratteri collettivo. Al contrario, nei paesi cominciarono di totalità: entrò nelle valli, sconvolse interi paesi e a circolare sentimenti di sconforto, paura e impegnò in una prova drammatica e logorante sia incertezza. Con l’ordine di mobilitazione generale militari che civili, provocando enormi lacerazioni dell’esercito e della leva in massa, diramato il 31 nelle famiglie e nella società. luglio 1914, questi sentimenti si tramutarono subito in dolore e pena per i propri cari costretti a lasciare la patria e la casa per andare a combattere in luoghi sconosciuti2. Ecco cosa scriveva, con spirito quasi manzoniano, Romedio Endrizzi di Don rimembrando le ore precedenti alla sua partenza per la guerra:

«Era l’anno 1914 23 di luglio quando come elettrica scossa la notizia della guerra vibra traverso tutta la valle, penetrando in ogni borgata e paesello, perfino nelle pacifiche malghe affini. Erano quei immemorabili decretti firmati per mano dell’Augusto Sovrano onde approvava la chiamata alle armi della milizia. Non ancora spuntava l’alba del sabato 24 che nel paesello diletto come equamente nelle città tutte della Monarchia penetra[va] il doloroso manifesto di mobilitazione, chiamava alle armi tutti coloro i quali d’anni 21 fino all’età di 42 tenessero documenti militari. Come una lancia trafisse il detto manifesto i cuori di tutta la gente! Tutta una costernazione di dolore si mosse! […] Poi l’ora dell’addio terribile giunse! […] Patria addio! Genitori […] addio! Fratelli addio! Parenti amici addio, le Frontiere nemiche ci attendono, nei campi di Battaglia gli assalti nemici dobbiamo combattere!»3.

Tutti gli uomini dai 21 ai 42 anni (reclute, congedati e riservisti) mobilitati nell’esercito dell’Impero ebbero 24 ore di tempo per affluire alle rispettive caserme, dette allora depositi reggimentali, dove smisero gli abiti civili per essere inquadrati nei reggimenti 1914. L’attentato di Sarajevo - FMST delle truppe austro-ungariche: quattro reggimenti Kaiserjager dell’esercito comune (K.u.k Heer); tre Tutto ebbe inizio il 28 luglio 1914 con la reggimenti da montagna Landesschützen (dal dichiarazione di guerra dell’Impero austro-ungarico 1917 ribattezzati con il nome di Kaiserschützen) alla Serbia in risposta al clamoroso attentato di dell’esercito austriaco (K.k Landwehr) e due Sarajevo (28 giugno 1914), nel quale l’erede al reggimenti della milizia territoriale austriaca (Tiroler trono asburgico Francesco Ferdinando e la moglie Landsturm) che raccoglieva i sudditi richiamati con Sofia persero la vita per mano di Gavrilo Princip, la leva in massa4. nazionalista bosniaco di origine serba. Nell’Impero austro-ungarico l’inizio del conflitto fu accolto con manifestazioni di euforia inscenate dalle autorità militari per spingere la popolazione a 2 Isnenghi - Ceschin 2008: 688-689. combattere una guerra che si credeva sarebbe stata veloce e indolore. Nelle valli del Trentino, territorio 3 Trento, Fondazione Museo storico del Trentino, Asp, facente allora parte della Contea austriaca del Fondo Romedio Endrizzi di Don. Tirolo e Voralberg, la notizia della guerra non destò 4 Heiss 1997: 253-66.

48 TRA PIÙ DIVISE Alla fine di agosto le operazioni delle forze austro- ungariche si risolsero in una serie di successi Così, in agosto, gli abitanti della Val di Non si che portarono allo sfondamento della linea di trovarono arruolati tra i 55.000 trentini mobilitati difesa nemica verso la Volinia. Il contrattacco nei quattro reggimenti dei Cacciatori Imperiali russo e alcuni errori tattici austriaci portarono (Kaiserjäger) e nel 14° reggimento artiglieria da a un ribaltamento repentino della situazione, montagna che formavano, assieme alle truppe del costringendo gli austro-ungarici alla ritirata mentre Salisburghese e dell’Austria Superiore, il XIV Corpo i russi occupavano Leopoli, la capitale della Galizia. appartenente alla I° Armata. Ordinati e ubbidienti si Il 7 settembre, a 50 chilometri a nord-ovest dalla unirono ai 27.000 soldati mobilitati negli altri territori città, ebbe inizio la sanguinosa battaglia di Rawa dell’Impero, all’interno di un esercito formato da Ruska. La battaglia si concluse dopo quattro giorni ben 12 popoli con lingua e costumi diversi, tenuti di scontri devastanti con una nuova sconfitta assieme dall’aquila bicipite. Tra i circa mille trentini austriaca e decine di migliaia di morti: che invece optarono volontariamente per l’Italia c’erano anche gli irredentisti nonesi, arruolati nel «Appena fummo scorsi dal nemico pareva la finizione del Corpo degli alpini. mondo, cannonate e fucilate, arme a macchina sparavano a fuoco accellerato, le palle fichiavano da tutte le parti, i VITE IN GUERRA morti e i feriti erano una vicino all’altro chi senza gamba chi senza braccio chi spaccata la testa chi nel ventre che Il 15 agosto i soldati del 1°Reggimento k.k perdevano perfino le budelle, era una roba che non si può Landeschützen Trento/Trient e del 1°Reggimento nemmeno descrivere […], nella trincea era tutto sangue e Kaiserjäger, inquadrati nel XIV Corpo d’armata morti non si sapeva nemmeno dove mettere i piedi. Quella Edelweiss al comando dell’arciduca Giuseppe giornata la fu tremenda, la mia vita era appesa a un filo d’Asburgo, vennero inviati sul fronte orientale […]»6. a contrastare i reparti dell’esercito russo. Destinazione le fangose e desolate terre della Al massacro di Rawa Ruska seguirono una nuova Galizia, della Bucovina e della Volinia. ritirata verso ovest, il fallimento del tentativo di creare una linea difensiva lungo il fiume San e «Il 20 mattina eravamo in Galizia la sendemmo dal treno l’assedio della fortezza di Przemysl, a cui partecipò, facemmo un ora di marcia poi ci hanno fermati in un con le truppe del XIV Corpo d’armata, anche Matteo paesello per vedere quelle galuppe coi tetti di palia io restai Sembiati di Vervò: stupefatto […] c’era la cucina camera da letto e stalla tutto assieme la gente erano come orsi gente molto ignoranti e «Dopo circa tre ore di cammino ci fermarono e ci senza nessun sviluppo io mi spaventai nel vedere in che notificarono che i nostri avevano rotto il primo assedio paesi ero arrivato. […] Dopo giorni di marcia il 28 agosto […] della città di Przemyśl, che era stata assediata pochi ci fermarono in una grande prateria davanti ad una grande giorni prima. I russi avevano fatto un assalto di sorpresa boscalia la era tutto il giorno che c’era il combattimento per conquistare la città, ma, consci della fortificazione venne là il nostro colonnello e portò l’annuncio che nel che resisteva,dovettero ritirarsi con grandissime perdite fianco sinistro la nostra truppa è debile e che dobbiamo di soldati. Si discorreva nientemeno che di settanta mila andare a rinforzarlo, e a quella maniera dovemmo andare morti russi. La sera s’intraprese nuovamente la marcia nella linea di fuoco ognuno può immaginarsi che forza che durò tutta la notte. Il giorno dodici ottobre siamo e che coraggio che si poteva avere per andare contro al arrivati sul campo di combattimento come ultima Riserva nemico la si vedevano morti di qua e feriti da tutte le parti […]. Quanto sto per descrivere successe il giorno 14 il mio cuore palpitava dal timore e dalla paura. Le palle ottobre 1914, giorno che mai dimenticherò. Per quanti dei nemiche fischiavano attorno alli orecchi un momento si miei compagni della compagnia il giorno 14 fu l’ultimo di andava avanti poi a terra e in poi ancora un po’ avante sua vita! Si marciava da appena due ore quando, tutt’a un e di nuovo buttarsi a terra e in quel modo avvicinarsi tratto, nell’entrare in una vasta pianura si udì un attacco sempre più al nemico in quella sera era il primo mio combattimento ma fu terribile […]»5. Fondo Angelo Paoli di . 5 Trento, Fondazione Museo storico del Trentino, Asp, 6 Ibidem.

49 di fucilate e di mitragliatrici soprattutto, accompagnato […] se non si muore di palla nemica, si dovrà soccombere con salve di artiglieria. Lascio immaginare la carneficina per malattia»10. che ne segui. I russi abbandonarono l’assedio e il mio reggimento rimase a Przemyśl per i giorni seguenti, nella Giacinto e gli altri soldati nonesi inquadrati nel zona dei Carpazi»7. 1°Reggimento Kaiserjäger rimasero a combattere lungo il fiume San fino alla fine di ottobre: L’impatto con l’ambiente galiziano e la sua popolazione fu sconvolgente. Le memorie dei «Ci trovammo in vicinanza del Sann sulla linea di combattenti nonesi in Galizia non risparmiano battaglia. Le palle passano fischiando sopra il nostro critiche sugli usi e costumi dei russi. Carlo Busetti capo. Passiamo vicino all’artiglieria austriaca che spara di Rallo descrive nel suo diario il grado intollerabile sulla riva destra del San occupata dai Russi»11. di arretratezza nonché l’ostentazione della miseria dei galiziani8. Lo fa nel suo dialetto, con ironia, Poi la marcia verso Cracovia, incalzata dell’esercito quasi a rimarcare con più forza la distanza tra gli dello Zar. A gennaio, dopo un breve servizio nella abitanti di quelle lande desolate e quelli del suo riserva delle truppe austro-ungariche impegnate paese di origine. sui Carpazi, cambiarono di nuovo settore e, risalendo verso nord, si attestarono nelle trincee «Temp d’invern tuta sta zent scavate vicino alla città di Tarnow, lungo le rive indossa vestisi che fa spavent. del fiume Dunajec. Il 1 giugno, nel corso diun ‘Na volta mesi pu no li cava, conflitto a fuoco con i russi, alcune compagnie pu no li giusta, alzarono il fazzoletto della resa e si consegnarono pu no li lava. volontariamente al nemico. Francesco Gottardi di Onto e bisonto i ga el gaban Vervò fu tra i primi a consegnarsi ai Russi: Le pel de pegora e de cagn «Ho la certezza che i Russi stiano per assalirci […]. La stivai de tromba e bereta fucileria russa è fitta come il trillo del campanello elettrico, ‘n testa la nostra trincea percossa dalle palle solleva una nube di tant se i laora polvere. Ritirate i fucili dalle feritoie! C’è un po’ di panico; o se i fa festa […]. chi getta le munizioni, qualche altri le nasconde sotto la Ste donne sporche le ‘mpasta il pan paglia. Si attende che i Russi avanzino prima di esporre senza lavarse neppur le man. loro i segni della resa. Quando un fatto nuovo risolve d’un Omeni e done for che nei oci colpo la situazione. Verso la linea ferroviaria si odono I è dappertut pieni de pioci»9. grida di Hurrà! Hurrà!. E spari di fucili. Ci voltiamo indietro e vediamo tutto il bosco pullulare di Russi che avanzano Non dissimile la descrizione fornita da Giacinto su di noi con le baionette innestate, urlando e sparando Branz, maestro di Sanzeno: in aria. Fuori le pezze! Fuori le camicie! Alcuni gettano le armi e si nascondono nei ripari, altri gettano le armi «Solo quando è oscuro possiamo uscire dalle fosse incontro ai Russi, tutti alzano qualche segno di resa e con [trincee], ed allora si presenta al nostro occhio uno il gesto o con la parola fanno capire di non sparare, in una spettacolo miserevole e spaventoso. I villaggi circostanti parola si chiedeva la vita in cambio della resa. […] C’è un al campo di battaglia, composti tutti di case di legno soldato alto con un berrettone di pelle che viene verso di col tetto di paglia, bruciano mandando nelle tenebre me [….], giunto a pochi passi gli faccio cenno con le mani un sinistro baliore. Qui si soffre la fame e la sete. Le di fermarsi […] continuai a guardarlo benevolmente negli tribulazioni, gli stenti, le fatiche e le miserie sono tali che occhi […], solo quando non lo vidi più davanti, mi ritenni ancora vivo. […] Al comando [dei Russi] ci mettono per 7 Trento, Fondazione Museo storico del Trentino, Asp, quattro e i soldati Russi si alternano a contarci. […] Ci Fondo Matteo Sembiati di Vervò. hanno messi in squadre di 100 uomini, ci danno in scorta i

8 Antonelli 2014: 55-59. 10 Diario di Giacinto Branz di Sanzeno. Proprietà di Alessandro Branz. Il diario è inedito. 9 Trento, Fondazione Museo storico del Trentino, Asp, Fondo Carlo Busetti di Rallo. 11 Ibidem.

50 Galizia. Militari con donne e bambini in un villaggio – FMST

Cosacchi a cavallo e marsh….verso la Russia»12. «[a Cles] passano continui grossi camion carichi di armi e vetovaglie per il Tonale, e lunghe schiere di soldati a piedi Durante la guerra, su un totale complessivo di 8,5 e per Tramvia [Trento-Malè]. Si teme la rottura con l’Italia: milioni di prigionieri su tutti i fronti, ben 2,77 milioni qualcuno la desidera, ma in generale è deprecata»14. di soldati austro-ungarici caddero o si diedero in mani nemiche e vissero il dramma della prigionia13. Il 9 giugno 1915 si ebbe un primo grande scontro La Russia fu la prima tra le nazioni belligeranti sul Tonale, al passo Paradiso, dove gli austriaci a sfruttare a proprio vantaggio i prigionieri per catturarono diversi prigionieri. Nei giorni successivi incrinare la solidità del nemico e invitare i soldati l’attività delle artiglierie si intensificò tanto che la delle minoranze alla diserzione. notte tra il 14 e il 15 giugno, da alcuni paesi della Val di Non si riuscirono a scorgere, dietro ai monti 1915 – LA GUERRA DIETRO CASA rivolti verso la Val di Sole, i bagliori dei colpi e dei riflettori che proiettavano raggi sul fondo della valle. Nel 1915 il Trentino e i trentini vennero coinvolti in Assieme alle notizie delle battaglie che si modo massiccio in un conflitto mondiale che lasciò combattevano sul vicino fronte dell’alta Val di Sole, un segno tragico e profondo nella loro memoria. nell’estate 1915 arrivarono in Val di Non anche le Nelle Valli del Noce, la mobilitazione di uomini prime notizie dei caduti sul fronte orientale: nel e rifornimenti per la guerra con l’Italia cominciò primo anno di guerra l’Impero austro-ungarico ancor prima che il cannone iniziasse a rombare: aveva perso ben 1.268.000 uomini in battaglia, tra cui moltissimi Landesschützen e Kaiserjäger morti nel tentativo di contrastare le offensive russe: 12 Trento, Fondazione Museo storico del Trentino, Asp, Fondo Francesco Gottardi di Vervò. 13 Di Michele 2018: 105. 14 Turrini 2014: 12.

51 Fronte orientale. Ritratto di soldati – Fondo Famiglia Nebl

«Avanzammo per boschi e per strade che non avevamo i disertori imboscati in Val di Non ci fu anche chi, mai visto sempre con l’arma in caccia e il proiettile in dopo aver visto la morte in faccia per ben due canna […] Un colpo di fucile mi strappò lo zaino dalla volte, ritenne che «della guerra ne aveva avuto schiena ma nella foga della battaglia non me ne curai. abbastanza». È questo il caso di Narciso Fondriest Passammo la notte in un campo di segala, incapaci di di Caltron, frazione di Cles. Il “Bora” partì per la chiudere gli occhi per l’emozione e lo spavento di cui guerra come soldato dell’Impero austro-ungarico ancora oggi soggiaciamo»15. nell’agosto del 1914, con i richiamati della classe 1888. Rimase a combattere in Galizia fino a DISERTORI, SOSPETTI, CONFINATI novembre, dove venne ferito. In seguito alle lesioni fu ricoverato negli ospedali militari di Brno e di Il «trauma galiziano», ovvero la traumatica scoperta Trento. Guarito, fu di nuovo arruolato e inviato sui della realtà della guerra con le sue stragi fu un Carpazi. Lì, nel marzo 1915 si ferì una seconda fattore decisivo nell’accelerare forme di renitenza volta e a maggio ottenne trasferimento a Trento. militare diverse dall’agevolare con la diserzione e la Era il 10 maggio quando, commentando con altri resa volontaria la propria cattura al fronte. L’orrore soldati l’ordine di partire immediatamente per la della guerra combattuta in Galizia e l’istinto di Boemia nel piazzale della Caserma Madruzzo sopravvivenza indussero molti nonesi a disertare di Trento, sentì due uomini annunciare l’ormai in patria. Pietro Sandri di si nascose nei prossima entrata in guerra dell’Austria con l’Italia. boschi sopra casa fino al novembre 1918; lo stesso Decise subito di disertare pensando che il fronte fece Benvenuto Ruatti di Cles, rifugiato per tre anni italiano potesse diventare una delle sue prossime in una baita sotto Maso San Vito. Enrico Visintainer destinazioni. Grazie ad un amico solandro che rimase per un anno e mezzo nascosto sopra la aveva un’osteria in via del Fersina, si procurò degli Vergondola prima di partire per le Americhe. Tra abiti civili e un biglietto della tramvia Trento-Malè per tornare in Val di Non. Ma anziché scendere a Cles, 15 Diario di guerra di Costante Chini. Proprietà della scese alla fermata precedente, in località Santa Famiglia Chini di Segno. Giustina. Da lì, senza farsi riconoscere, raggiunse

52 Passo del Tonale. Soldati del Battaglione Cles a piedi, camminando di notte tra le campagne, la autorità militari procedettero all’arresto di circa 400 frazione di Caltron. Due giorni dopo due gendarmi trentini marchiati con la qualifica di «politicamente andarono presso la sua abitazione per arrestarlo. inaffidabili» perché sospettati di sentimenti Coperto dalla famiglia riuscì a fuggire. Per alcune filoitaliani. Anche don Giuseppe Maurina, originario settimane trovò rifugio alla caverna dei Tre Sassi, di Maurina (frazione di ), venne a tre quarti d’ora dal paese. Ma nemmeno lì si giudicato colpevole «di un’azione di vantaggio per sentiva al sicuro così alla fine di maggio del 1915 il nemico arrecante un importante danno alle forze salì sul Peller. Vi rimase stabilmente fino alla metà militari nazionali»: dell’ottobre 1918, quando scese in paese perché ammalato di spagnola16. Oltre alle motivazioni «Ho sentito sulla bocca di qualcheduno certe espressioni di tipo individuale e strettamente connesse alla troppo dure contro li italiani e in generale come per esempio sconvolgente esperienza di guerra, ad innescare se tutti li italiani meriterebbero di essere strangolati. Certo in molte circostanze il verificarsi di episodi di se scoppia la guerra coll’Italia, il nostro dover di sudditi tradimento nei confronti della Monarchia erano fedeli austriaci è quello di combattere anche contro li anche le convinzioni politiche17. Tra le autorità italiani, ma certe barbarie sono proibite da ogni legge militari austro-ungariche, la paura dei «nemici divina e umana. Anche la guerra va fatta secondo le politici» era esasperata da un’esagerata concezione buone regole di guerra e sarebbe una cattiveria incrudelire del pericolo proveniente dai movimenti irredentisti, contro il nemico ferito o che si arrenda. Del resto gli la quale portò le autorità militari a considerare italiani sono nostri fratelli sotto certi riguardi, cioè nella ogni espressione di sentimento nazionale italiano, lingua e nella religione e se verranno contro di noi, i poveri seppur garantita dalla Costituzione, come una soldati italiani verranno in buona fede coll’idea di venire latente forma di irredentismo. Nel corso del 1915 le a liberarci. Invece di arrabbiarvi contro tutti gli italiani in generale, arrabbiatevi piuttosto contro quelli che come il nostro Battisti vanno ad izzare l’Italia contro l’Austria»18. 16 Mosca 2016: 29.

17 Di Michele 2018: 93. 18 Trento, Fondazione Museo storico del Trentino, Asp,

53 Don Maurina scontò cinque anni di confino, trascorso a Salisburgo e in Boemia, nella prigione-fortezza di Teresienstadt. Nelle liste di confinati condannati al confino, anche l’ex socialista legatore di libri Enrico Moggio di Cles, il benestante Antonio Conci di Castel Mollaro e lo stesso Mons. Celestino Endrici, vescovo di Trento nativo di Don. Antonio Conci venne arrestato per aver offeso pubblicamente la bandiera austriaca con presunte esternazioni filoitaliane. Rimase internato a Katzenau assieme al fratello Mario fino all’autunno del 1915, quando cominciò il processo che lo vide imputato per reati politici. La stessa sorte la subì anche il padre Silvio (fratello di Enrico Conci deputato trentino al parlamento di Vienna). Anche lui fu arrestato nella sua casa di Mollaro durante una perquisizione di routine. Le autorità di polizia trovarono in un cassetto un fazzoletto su cui era ricamata la scritta “Poiché Verdi contiene le iniziali di Vittorio Emanuele Re Di Italia questo poeta è venerato con amore particolare dagli studenti italiani”. Mons. Celestino Endrici invece fu arrestato dal Comando supremo dell’esercito imperiale con l’accusa di fomentare tra i fedeli l’idea di un Trentino italiano. L’atteggiamento repressivo adottato dalle autorità austro-ungariche tra il 1914 e il 1915 fu certamente controproducente ai fini di arginare le tendenze dissolutrici della monarchia asburgica, dato che finì per corrodere la fedeltà nell’Imperatore di un gran numero di italiani d’Austria residenti in Trentino e in Val di Non. Guglielmo Bertagnolli, figlio di un militare di Sanzeno in carriera nell’esercito austro-ungarico, è ricordato come uno dei tanti «disillusi» che, di fronte a un Trentino sempre più sfaccettato in differenti realtà identitarie, scelse di espatriare nel Regno d’Italia per arruolarsi nel Regio esercito italiano e combattere per un Trentino “redento”. Traditori per gli austriaci, eroi per gli italiani, così i nomi di questi “nemici” politici furono strumentalizzati – soprattutto nel dopoguerra - per avvalorare l’idea di un Katzenau. Francesco Gottardi di Vervò (secondo a sinistra) sentire nazionale omogeneo tra gli abitanti con altri internati politici – FMST delle terre “redente”, oscurando totalmente la vicenda dei circa 60.000 compatrioti che avevano obbedito alla chiamata alle armi senza manifestare particolari desideri di redenzione nazionale. Tra i sudditi che fino alla fine della guerra rimasero fedeli all’Impero c’erano Giuseppe Stringari di e Celeste Paoli. Giuseppe Stringari partì per il fronte il 18 luglio 1915, arruolato con la leva in massa all’interno di una compagnia di lavoro che venne impiegata in Ungheria nella costruzione di trincee e scambi ferroviari19. Fu poi trasferito in Boemia, dopo un breve e fiero servizio svolto nella costruzione di impianti teleferici austro-ungarici a San Felice, nella valle del Fersina:

« Il 27 dicembre [1915] dalla Serbia siamo tornati in Ungheria […] poi è arrivato l’ordine di partire anche di là […] . Siamo arrivati a Trento verso mezzogiorno del 10 gennaio […] due giorni dopo viene l’ordine di andar via di nuovo di ritorno in un paese […] detto Fierozzo San Francesco. Là avevamo da fare un bel lavoro: un impianto di una funicolare […]. Si lavorava in cima a una montagna, due ore distanti dal quartiere»20.

Fondo Giuseppe Maurina di Spormaggiore. 19 Tra i nonesi impiegati in “compagnie di lavoro” nelle retrovie del fronte orientale c’era anche Amedeo Menapace di Rallo, di professione fabbro. Il suo compito era seguire le artiglierie pensanti austro-ungariche, aggiustare i carri militari e ferrare i cavalli. La sua memoria è conservata dal nipote Falvio Berti, assieme alla sua fotografia. 20 Diario di Giuseppe Stringari di Nanno. Proprietà di Christian Stringari. Il diario è inedito.

54 I bersaglieri! Nel riquadro a sinistra: 1915. Corrispondenza “proibita” di Enrico Moggio di Cles Il nostro Beppe presidente Bersagliere l’anno fatto, Il devoto Celeste Paoli fu invece inviato sulla Ed il grado di tenente Marmolada, dove si adoperò con fierezza e valore Gli darà certo il Padre Santo nella difesa dei confini meridionali dell’Impero:

Là sul ponte di Giustina «I nemici incominciarono a sbarare, non collo schioppo, A far la guardia con i suoi fidi ma coi canoni e per le sette spararno nella posizione dove Se ne stà con carabina eravamo noi altri trecento fra granate e srapsnel, e non Per salvar Trento e i suoi Trentini vi restò di tutti noi nemmeno un solo ferito, questo caso se lo può notare e dire, che fu proprio una grazia di Dio, Assorto in grave pensiero e in’oltre un castigo al nemico nostro traditore, che sono Perché pensò così fiero quelli che parlano la nostra lingua spero capirete, questi A quel giorno di Sanzeno non possono aver fortuna, ce l’han fatta bella questa volta Ove tutti si cantava ma fin a questo punto l’han purgata più loro che noi»21. Che la patria è il mondo intiero L’ENTRATA IN GUERRA DELL’ITALIA E L’APERTURA Proprio a lui rivoluzionario DEL FRONTE TRENTINO Questo caso dovea toccar Dell’Austria il grande Stato Con l’entrata in guerra dell’Italia, il 24 maggio 1915, Capre e cavoli a salvar! l’esercito austro-ungarico si trovò improvvisamente a dover presidiare il nuovo fronte difeso da 80 opere Presidente socialista fortificate e un campo trincerato lungo ben 300 km. Accanito antimilitarista Su questa nuova linea di scontro, in primavera si Fu scelto certo dallo Stato cominciò a combattere una «guerra d’aquile» in Perché dovea essere deputato cui la componente personale del singolo soldato Col Battisti che s’è andato diventò determinante nel contrastare non solo Così in fretta fuor di stato il nemico “umano”, costituito dall’artiglieria, ma anche quello “naturale”, la montagna: Deputati, socialisti, anarchici e leghisti Senza nemmen saper perché «Poco dopo l’ultimo di Settembre partiti la sera da Toblach Si son fatti militari (Dobbiacco) siamo arrivati al Monte Piana all’una di notte D’uno stato clericale e liberale non ci fu dormire, ma subito si dovè andare al servizio. Combattendo poi i fratelli Eravamo bagnati nevicava e tutta la notte di posto fino a Nell nome d’eguaglianza giorno sdraiato nella neve dunque fu tutto un tribulare, e Sconvolgendo la bilancia paura non ne mancava perché ero fuori dai reticolati circa 30 passi. Ai 12-13-14 di ottobre fu una tempesta di granate Maledetta questa guerra ma per grazia di Dio fui salvo. Ai 19 andai di [sentinella] Che sconvolge questa terra e la mattina per venir giorno spararono alcuni srapsnel e E degli scherzi a tutti quanti proprio vicini che mi batterono dei sassi addosso ma per Gli vuol far proprio coi guanti grazia di Dio non mi fecero niente»22.

Forse però vorrà dir qualche cosa Di conseguenza, tutte le zone interessate dai L’arme in man di certa gente, combattimenti vennero progressivamente dello stato qual pur sia evacuate: l’alta Val di Sole, la Valle del Chiese, la non sarà certo per niente 21 Trento, Fondazione Museo storico del Trentino, Asp, Chi si esercita per forza Fondo Celeste Paoli, Lettera di Celeste Paoli ai genitori. Chi per fare bello sport 27 novembre 1915. Il popol poi unito 22 Trento, Fondazione Museo storico del Trentino, Asp, Per la pace e la libertà». Fondo Celeste Paoli di Denno.

55 Foto di gruppo con Enrico Moggio e altri internati – FMST

Valle di , il Basso Sarca, la Valle di Gresta, giugno alle 5 siamo pronti; […] entriamo alla stazione di l’Altopiano di , parte della , Malè, che un Motore stava alla spetata partenza saliamo gli altipiani di e , la Valsugana, e lasciamo Malè. […] [A Cles] al Komando Auf Komp. Mars l’alta Val di Fassa e il Primiero. Si dispose inoltre noi diamo principio al canto fino che le nostre voci si l’evacuazione di Rovereto e di Trento, dichiarata sono sentite nella borgata la strada inconosciuta e lunga città-fortezza. Nel maggio 1915 il Trentino non faceva noia; quando all’altezza dei 2000 metri troviamo si trovava certo impreparato dal punto di vista una curiosa abitazione e senza alcun altro mezzo questa strategico a difendersi nella guerra contro l’Italia: deve servire per caserma questa portava il nome Malga quello che veramente mancava era materiale Cles, che per le massi di neve dell’inverno l’aveva ridotta umano addestrato per la guerra in alta quota. Nelle in uno stato deplorevole. […] La Kompagnia veniva guidata terribili battaglie dell’inverno 1914-1915, in Galizia e da 3 tenenti et un Ingegnere pure di grado tenente coi sui Carpazi l’esercito austro-ungarico aveva perso seguenti nomi: tenete Zanin di Flavon, Tenent. Lorenzoni circa 1 milione e 292 mila effettivi fra caduti, feriti pure di Flavon Tent. Zadra di Tres e il capo del lavoro Tnt. e prigionieri: poco meno della metà quindi dei circa Ing Rutt. [Secondo] l’ordine del 24 [era stato comandato dei circa 3 milioni di uomini mobilitati nel 1914. A che] la compagnia si occupi a costruire questa Malga in fronte di questa mancanza di effettivi, il 18 maggio modo che ci potesse servire da alloggio […]. Il 25 siamo 1915 venne ordinata anche la mobilitazione andati att’accorgere la veduta del monte e fu molto bella; totale dei volontari tirolesi, organizzati in 44 26 abbiamo fatto comode per la cucina, 27 passeggiando battaglioni e 23 compagnie di Standschützen, e 10 per quei prati scorgiamo le postazioni più elevate [con Landsturmbattaillon. Con gli Schützen provenienti le cime] dove abbiamo sotto gli occhi tutto il Tirolo dagli altri Länder austriaci, nell’agosto 1915 Italiano»23. vennero mobilitati – in sette reggimenti – anche i bersaglieri immatricolati nei poligoni di tiro al «Il 18 di mattina […] ritornai alla Kompagnia la quale si bersaglio della Val di Non e della vicina Val di Sole: trovava alla sudetta Malga Cles, li restai come osservatore di essa […]. In questi giorni si discorre la partenza della «Il 21 giugno 1915 […] arrivò l’ordinanza [sulla] nostra destinazione Monte Cles Peller. […] La mattina del 22 23 Ravanelli 1988: 243-274.

56 allarmi! alla Fortezza Presanella che questa non mancò ad iniziare a le altre Fortez. Mero, Fort. Zacharana e Strino in modo che in 10 minuti le Fortezze e cannoni […] anno iniziato un vivo fuoco […]. Io mi trovavo in cucina a fare del tè ai Signori Ufficiali nel mentre sentii il fischio dell’artiglieria situata al di fuori composta da 3 cannoni obici […] non ebbi il tempo di voltarmi; che sentii Erste faier! Zweite faier! dritte faier! nel mentre la baracca si muoveva ebbi paura perché fu la prima volta che udii tali cose, in fretta uscii da questa che ormai pareva l’inferno aperto. In questo tempo sentii la voce del nostro Kompagnie Komandante Felin che chiamava la compagnia pure allarm! Ero destinato di rimanere al fianco di questo Komandante: io mi frettai e mi presentai atteso Giuseppe Stringari di Nanno – Proprietà di Christian mentre le squadre in un profondo silenzio si inviavano Stringari alle Sizengrabe [trincee]. […] La artiglieria italiana aveva iniziato il suo fuoco in modo che diverse venivan presso di popolazione di Vermiglio temendo di dover evacuare noi; io dovetti 3 o 4 volte buttarmi a terra. Tutti tenevano pure Fucine e .[…] Dopo pranzo noi andiamo su pronti per iniziare il fuoco […] questo durò fino alle ore 4 di di una punta più elevata dove di bella vista; scorgiamo mattina il giorno 1° di novembre il giorno di tutti i Santi. le fortezze del Passo del Tonale esse si trovavano Noi però non abbiamo avuto nessun impaccio. È partito sotto il fuoco immenso dell’artiglieria Italiana di 30.5 di che un solo colpo d’arma; nel mentre fu l’ordine […] che calibro noi vediamo l’effetto del suo esplodere, ci faceva il nemico si aveva fatto opposizione alla Cantoniera alla intimidire perché a un giorno all’altro mi spetavamo di costa suddetta al Monticello solo che poverini ebbero essere pure noi in quei luoghi. L’altra settimana passo luogo per pochissime ore. Sotto il violento fuoco delle anche abbastanza bene il mercoledì di questa leggiamo nostre artiglierie dovettero abbandonare tutto lasciando il “Risveglio Trentino” questa partecipava i combattenti al […] 400 morti, feriti non si ebbe modo perché la mattina Tonale che il nemico occupava la valle di Strino e la punta la croce [rossa] si diede alla sua occupazione. La mattina ai laghetti e Ambiolo. Il venerdì arrivò il nostro capitano ancora sull’alba l’ufficiale della croce rossa prese con Felin, fra noi quando la mattina un ordinanzadel Baon tutta premurosità la cura dei feriti quando uno dei nostri Cles, portò il seguente Ordine!che la Kompagnia ancora si avvicinò ad assistere un sotto Ufficiale Italiano estrasse nel medesimo giorno doveva essere presso il Komando la Rivoltella e fece fuoco su di questo suo infemiere e lo di Bozzana. Lasciamo il lavoro; noi stiamo pronti alla a colpito a morte, allora l’ufficiale si avvicinò e gli troncò partenza, alle 9 noi lasciamo il Peller»24. il capo a fil di spada. Non andando lungi che l’artiglieria Italiana a inizio di bel nuovo il loro fuoco in modo che Alla fine dell’estate l’Austria-Ungheria aveva schier- questi dovettero ritirarsi. […] La fortezza Zacarana iniziò ato sul fronte trentino-tirolese complessivamente il fuoco che i Italiani pure dovettero ritornarsene in drio. 20.000 Standschützen e altri 15.000 uomini fra Il giorno drio cioè il 3 novembre il tempo nevica forte in truppe regolari e Landsturm. Con l’acuirsi del fuoco modo che questi poverini feriti e morti vennero involti e nemico nella zona del Tonale, alcuni di loro vennero sepolti vivi nella neve»25. spostati nella zona di operazione del Rayon II (sulla destra del Vermigliana, a Velon, a malga Pecé, in Con l’entrata in guerra dell’Italia e l’apertura del Presena, sulla Presanella, a Stavel, in località Pozzi fronte Trentino la Val di Non diventò terra di retrovia. Alti, sul rifugio Denza e ai Pozzi Bassi) e in seguito Per tutta la durata del conflitto la popolazione dislocati nella valletta di Pejo: anaune non fu mai interessata direttamente dalle operazioni belliche ma dovette comunque fare i «Al Monticello Lagher [sopra Pejo], il comandante dei conti con una guerra che si combatteva a pochi Landesschutzen ordinò di iniziare il fuoco d’armi perché chilometri da casa. il nemico stava ormai alle spalle. Il comandante diede Nel 1915, il progressivo abbandono dei terreni

24 Ivi: 268 25 Ivi: 270.

57 Passo del Tonale, 1915. Postazione militare presso la casa cantoniera – FMST

agricoli da parte degli uomini partiti per il fronte danneggiò gravemente l’economia e i pochi rimasti dovettero affrontare i problemi legati alla sopravvivenza in tempo di guerra: alle incertezze direttamente connesse al conflitto, come l’obbligo di fornire una certa quantità di viveri26 e materiali per l’esercito, si sommarono anche le calamità naturali e i continui passaggi di truppe e rifornimenti bellici lungo le strade.

1916 - VIVERE IN GUERRA: LA VAL DI NON NELLA “GUERRA TOTALE”

Il terzo anno di guerra iniziò in Val di Non con pubbliche preghiere intese a ottenere la fine delle ostilità. Mentre dai giornali si apprendeva la comparsa sul fronte occidentale dei primi carri armati e dei gas asfissianti, dal Trentino il generale Konrad si preparava a lanciare la sua offensiva contro l’Italia (Strafexpedition) mentre sull’Isonzo decine di migliaia di soldati, tra cui molti nonesi, venivano sacrificati per la conquista di posizioni che lasciavano sostanzialmente immutata la situazione complessiva. A rendere più grave la situazione, le pretese dei governi nei confronti dei civili, ormai giunti al limite della sopportazione. Mentre sull’Adamello e sul Tonale i soldati di entrambi gli schieramenti erano impegnati a combattere la Guerra Bianca a 3000 metri di altezza, il 16 maggio le truppe dell’11ª Armata, forti di 160.000 uomini e 1.200 cannoni, colsero di sorpresa la prima linea italiana sul Monte Zugna, al confine con la Vallarsa e la Vallagarina. Iniziava così la Strafexpedition, a cui prese parte anche Celeste Paoli di Denno:

26 «Il 21 maggio 1915 dietro fulmineo decreto furono trascinati a Nave S.Rcco tutti i bovini del […] raggio da Segno d’Anaunia a […]. Venivano visitati in piazza dai veterinari e poi ammucchiati sulla verde banchina di San Felice, dove rimasero muggendo fino alla mezza notte, dopo di qe […] le povere bestie furono trascinate verso Trento. Il 23 maggio 1915, festa della Pentecoste, furono consegnate al Forte della Rocchetta tutte le armi da fuoco e le munizioni che stavano nelle mani della popolazione». Cfr. Trento, Fondazione Museo storico del Trentino, Asp, Fondo Giuseppe Maurina.

58 «La sera ci hanno presi fuori in 30 dalla compagnia […] era le 9 e ½ di sera quando partii e siamo andati sul Col di Zugna e doveti viaggiare fino alle 4 di mattina carico aveva una sette da cane acqua non si trovava, e poi sentiero mulatiero erto e lungo […] Giunto sul posto fra mezzo le nemiche palle che correvano di qua e in la tutto bagnato dal sudore aveva la camicia che si poteva strucarla quando fu un quarto d’ora tremava dal freddo come una foglia, ricevei un poca di zupa senza carne, un quarto di caffè freddo e poi nient’altro fino al giorno dopo. La notte dormì sulla terra era molto freddo ma dalla stanchezza che aveva attorno dormiva lo stesso, alla mezzanotte chiamarono all’armi subito dovei sbalzar su mettere lebisbon (cinturone militare dal tedesco Leibubershwung), il prosaco (zaino) con due cento pezzi di patrone (cartuccia dal tedesco Patrone) entro al fianco sinistro un badeletto […]. Spararono da tutte le parti pareva la finizione del mondo […] ed ero solo di dietro dalla linea di riserva, verso mezzo giorno portavano dal fronte di ritorno i feriti uno dopo l’altro sei, due morti, che al vederli mi tremava il sangue»27.

Il 20 maggio la grande offensiva austro-ungarica investì Asiago dove, al termine di una dura battaglia, fu fermata dalla resistenza italiana. In Vallarsa l’avanzata dell’esercito imperiale venne bloccata sul Pasubio. Rodolfo Calliari di Priò, classe 1887, era mitragliere sul Pasubio quando la sua postazione fu assaltata dagli alpini. Con un atto di grande coraggio riuscì a mantenere la posizione guadagnandosi così la più prestigiosa delle medaglie al valore28. L’offensiva si esaurì quando – a giugno – l’esercito austro-ungarico fu costretto a spostare una parte delle forze sul fronte russo per contrastare un nuovo attacco in Galizia. Le truppe imperiali, ritirate su posizioni difensive, subirono un altro attacco il 16 giugno, culminato con l’assalto al monte Corno di Vallarsa. L’azione di concluse il 10 luglio con la cattura, seguita dal processo e dall’esecuzione, dei volontari trentini Cesare Battisti e Fabio Filzi. Sul fronte dell’Isonzo, il 4 agosto gli italiani sferrarono la sesta offensiva contro le resistenze imperiali. Due giorni dopo i reparti della 12° divisione austro-ungarica entrarono a Gorizia, ma non riuscirono a raggiungere l’obbiettivo di sfondare le linee nemiche e concludere la guerra con l’Italia. I cruenti scontri tra i soldati del regio esercito italiano e gli imperiali si interruppero solo in autunno, con l’arrivo della neve. Per via della neve i soldati impiegati nella difesa delle postazioni sul Tonale si trovarono impreparati ad affrontare un altro inverno di freddo e gelo29; convinto in un’imminente risoluzione del conflitto, il governo di Vienna non aveva fornito alle truppe le dotazioni idonee per combattere all’addiaccio. Le baracche, fatte costruire con assi di legno e altri materiali trasportati fino a 2000 metri di quota dai lavoratori militarizzati, rappresentavano per i combattenti l’unico rifugio dal freddo, ma potevano anche diventare trappole mortali, soprattutto quando lo scarso tiraggio dei camini faceva ristagnare il fumo all’interno rendendo l’aria irrespirabile o quando venivano investite in pieno dalle valanghe. Secondo le stime del dopoguerra, un terzo di combattenti con entrambe le divise dell’Austria e dell’Italia morirono non per la guerra ma a causa di una valanga30. Sul Tonale, nel 1916, ne scesero diverse; la più grande a dicembre, il giorno di S. Lucia. Da quella sciagura Candido Betta di Cis ne uscì vivo per miracolo:

«Il 13 dicembre giorno di S.Lucia […] arrivò un ordine che la Kompagnia si doveva avviarsi in soccorso che alcuni [soldati] una valanga li aveva immersi con essa. Il tempo che io andai in cucina non appena entrato sento la voce del tenente che dice viene la valanga vien! […] mi avviai alla porta per scappare anch’io nel mentre l’aria rovescia le piante che si trovavan sulla baracca per nasconderla alla faccia del nemico, io in quella vista rimango cadavere nel mentre la valanga si fa appresso e rimango in una profonda oscurità un altro strepito di rimanere morto pel lo spavento quando sentii lo scripitio della baracca che la valanga se la prendeva con se. Il destino mio non era ancora scritto di lasciare la terra rimasi fortunatissimo che una piccola asse mi riparò la mia vita in mia compagnia vi era un giovane gattino questo si teneva strettamente colle sue alle mie gambe e di continuo piangeva io per 5 minuti sentii che la valanga correva

27 Trento, Fondazione Museo storico del Trentino, Asp, Fondo Celeste Paoli. 28 La medaglia al valore conquistata sul Pasubio da Rodolfo Calliari è conservata nel medagliere dalla famiglia di Fabio Calliari. Sulle vicende di guerra di Rodolfo Calliari e altri abitanti di Vervò si veda Comai 2014.

29 Leoni 1998: 101-114. 30 Leoni 2015: 166.

59 di sopra la baracca quando fu tutto in silenzio chiamai a alla mancanza di foraggi, si invitarono i Consigli tutta voce i miei compagni ma mi fui illuso di sentire una scolastici a organizzare la raccolta di foglie secche, voce»31. mobilitando gli scolari. In più riprese si raccolsero offerte per la Croce Rossa e per i doni di Natale da Anche nella zona della Marmolada le valanghe distribuire ai soldati. Nelle varie parrocchie i curati colpirono i baraccamenti di entrambi gli eserciti, diedero avvio alle messe per ottenere la grazia mietendo vittime e diffondendo il panico. Una delle contro la miseria e le devastazioni. Non furono più gravi fu quella del marzo 1916, che investì la 18° risparmiate nemmeno le campane, che vennero divisione alpini, uccidendo ben 200 soldati. Alcuni calate dai campanili per sopperire alla carenza di corpi furono restituiti dalla neve solo a giugno32. metallo, necessario per la costruzione di cannoni e artiglierie da impiegare nelle battaglie sull’Isonzo, PRESTITI DI GUERRA E REQUISIZIONI «le più immani battaglie di tutta la guerra»34. Le contingenze dell’economia di guerra portarono Nel corso del 1916 i sentimenti degli abitanti della anche all’introduzione della tessera alimentare per Val di Non – che all’inizio del conflitto erano stati ogni genere di prima necessità, una carta rilasciata nella maggior parte dei casi di leale sudditanza dalla Commissione di sostentamento con la quale nei confronti della corona asburgica – mutarono in determinate ore ci si poteva presentare al luogo radicalmente, come del resto avvenne in tutto di distribuzione per ricevere la propria razione. Ad il Trentino. Non mancarono, in qualche paese, aggravare la penuria alimentare si aggiunse l’onere episodi di ribellione non sempre dissimulata di alloggiare soldati, profughi e prigionieri di guerra. contro il governo, reo di aver trasformato in carne da macello parenti e conoscenti partiti per CIVILI, PROFUGHI E SOLDATI IN VAL DI NON il fronte. Alcuni convogli di soldati austriaci, scesi dalla Mendola e diretti al vicino fronte del Tonale, La presenza di soldati, profughi e prigionieri di vennero addirittura presi a sassate. Il peso dei guerra in Val di Non contribuì a rendere manifesta prestiti di guerra e delle requisizioni svuotò le casse la realtà del conflitto in una terra estranea ai campi comunali, inducendo le rappresentanze comunali di battaglia. Gli acquartieramenti delle truppe ad assumere una posizione di dura critica nei avvennero principalmente nei centri maggiori confronti dell’economia di guerra. Con i prestiti il della bassa e media valle, in preparazione alla governo mirava a sfruttare il denaro risparmiato Strafexpedition e alle grandi battaglie dei Monticelli dai cittadini in seguito alla limitazione dei consumi e del Tonale. La presenza di soldati in mobilitazione, per finanziare le sempre più ingenti spese di guerra. in addestramento e in riposo si fece molto Per il quinto prestito di guerra il comune di Dermulo forte soprattutto a Cles – sede del Capitanato consegnò allo Stato due azioni da 100 corone della distrettuale – e in alta valle dove alberghi e ferrovia Trento-Malè perché le casse comunali abitazioni private furono requisite dal governo per erano vuote. farvi dormire i soldati. Nel solo paese di Cavareno Alla fine dell’estate la spoliazione delle ricchezze furono requisiti la Casa Comunale, l’oratorio e residue delle famiglie nonese divenne pratica l’Albergo Roen, dopo che il proprietario Carlo quotidiana: quando viveri per le truppe non si Gasperini, di sentimenti filoitaliani, si era rifugiato riuscì più a raccoglierne vi fu la richiesta di attrezzi, in Italia. Il Palazzo de Zinis, come tanti altri edifici bestiame, lana, stracci, ossa, pelli, paglia e fieno. dislocati nei vari paesi della Val di Non, fu adibito Per la raccolta coatta del fieno ogni Comune fu a deposito di viveri mentre Palazzo de Campi fu obbligato a far sfalciare tutti gli angoli possibili di utilizzato quale sede del Comando di compagnia. montagna. Nel solo comune di Brez, dal 1914 al In Val di Non furono requisite anche le ville per le 1916 furono forzosamente requisiti ben 550 quintali vacanze, in particolare, Villa Fellin venne destinata di fieno e 30 quintali di 33paglia . Per sopperire ad alloggio per i medici. A partire dal 1916 fino agli anni immediatamente successivi alla conclusione 31 Ravanelli 1988: 240. del conflitto, al Comando Supremo dell’esercito giunsero numerose lamentele dai capicomune i 32 Schaumann 1984: 220-224. 33 Ruffini 2015: 161. 34 La citazione è di Luigi Moresco.

60 Fronte dolomitico. Baracca in quota – FMST quali lamentavano difficoltà di convivenza con le una baracca costruita tra i paesi di Cavareno e truppe presenti in valle; numerose furono anche Ruffré adibita, prima, presumibilmente a posto le richieste di risarcimento per il danneggiamento di guardia della vecchia strada che scendeva dal di immobili, l’abbattimento irrazionale e massiccio Passo della Mendola e, poi, a deposito di attrezzi dei boschi, furti e danni arrecati dai militari e materiali per la costruzione dell’acquedotto alle campagne, come si evince dai documenti fatto realizzare dal Comune di Cavareno per conservati presso gli archivi comunali. portare l’acqua potabile in paese. Oltre a dover Per migliorare lo stato delle campagne, private sopportare la convivenza con le guarnigioni di di gran parte della mano d’opera maschile e soldati e prigionieri, i nonesi dovettero fare i conti devastate dalle manovre delle truppe di passaggio con l’obbligo, imposto da Vienna, di mantenere e in addestramento, il governo austriaco diede anche i profughi sfollati dalle valli limitrofe36. Tra i la possibilità, a tutte le famiglie che ne facevano profughi sfollati in Val di Non si ricordano Vittorio richiesta, di assumere dei prigionieri di guerra Felini, evacuato da Vermiglio il 22 agosto del 1915 come aiuto nel lavoro nei campi, soprattutto nei e rifugiatosi a Cenigo di Rumo dall’aprile 1916 al periodi di impegno più intenso, come la fienagione novembre 1918, la famiglia di Dominica Daldoss37, o la vendemmia. Tra il 1914 e il 1916 arrivarono in Trentino migliaia di prigionieri – soprattutto russi – segnalazione. che vennero impiegati in lavori forzati più disparati 36 Oggi non si conosce ancora il numero preciso dei e miserabili. Tra quelli giunti in Val di Non nel 1916, 35 trentini evacuati in Val di Non. Si stima invece con c’erano gli artefici del cosiddetto “Bait dei Russi” , una certa sicurezza che furono circa 75.000 in totale gli evacuati sparsi nei villaggi e nei baraccamenti 35 Negli anni Venti, a ricordo del lavoro di questi dell’Impero austro-ungarico mentre 35.000 furono prigionieri, fu edificato un monumento, poi distrutto i trentini trasferiti in Italia dalle altre zone occupate dai fascisti. Del progetto di questo monumento, dall’esercito italiano. rimane solo un disegno di Rodolfo Endrizzi. Un ringraziamento a Costantino Pellegrini per la preziosa 37 Trento, Fondazione Museo storico del Trentino, Asp,

61 Sanzeno. Momento di svago nella neve – Fondo Costantino Pellegrini profuga vermeana che, rimpatriata da Mitterndorf, passò gli ultimi due anni di guerra ospite da parenti e amici. Nel corso della guerra altri 40 profughi vermeani furono ospitati a Brez, a spese del Comune38. Diverso è il caso di Anna Menestrina, profuga abbiente di Trento che per paura della guerra lasciò la sua abitazione per trasferirsi a Vervò, ancor prima dell’ordine di evacuazione:

«È un fuggi fuggi generale! […]. Arriviamo a Mollaro alle 5 pomeridiane, di dove dobbiamo proseguire a piedi per un paio d’ore di montagna fino a Vervò. Mezz’ora fa abbiamo visto nel treno discendere Augusto che tornava da Rumo [era andato a cercare un quartiere per la sua famiglia]. Da Mollaro in poi la strada è fangosa e molto ripida. […] Il nostro appartamento si compone di una stanzetta d’entrata che da una parte immette in una stanza grande, dall’altra alla cucina. Tutto qui. Per giungervi bisognava passare attraverso un’ara molto ampia che ha l’entrata da una stradetta ripida. […] In Italia ci sono dimostrazioni continue in favore e contro l’intervento […] Come finirà? Qui siamo e saremo all’oscuro di tutto. [..]Attendiamo lettere e giornali, ma la posta non viene. […] A Tres sono state requisite le vacche e le altre bestie. Un gendarme di passaggio da Vervò dice che qui saranno requisite quanto più tardi fra due o tre mesi. Tre mesi! Non suonerà prima l’ora della libertà? ».39

Con i profughi, le truppe e i prigionieri nei paesi, nel 1916 i civili rimasti in valle si videro coinvolti in prima persona in una guerra divenuta ormai “totale”. Ad essere travolto nell’esperienza totalizzante del conflitto fu anche il fronte interno, costituito dai lavoratori sfruttati per la logistica a favore del fronte. Nei mesi successivi allo scoppio della guerra con l’Italia, tutti gli uomini abili al lavoro tra i 17 e i 50 anni vennero

Archivio S, Fondo Dominica Daldoss.

38 Ruffini 2015: 161.

39 Trento, Fondazione Museo storico del Trentino, Asp, Fondo Menestrina.

62 richiamati a «prestazioni personali servizio per scopi di guerra» da una circolare governativa in cui si avvertivano «tutti i lavoratori nell’età di 17 fino a 50 anni, abili al lavoro, di tenersi pronti e preparati per una eventuale urgente prossima chiamata quali lavoratori militari. Dovranno portar seco una coperta e viveri per alcuni giorni, utensili per mangiare. 1 bottiglia per l’acqua, nonché biancheria per cambiarsi». Con l’ordinanza del 18 gennaio 1916 il limite di età venne innalzato a 55 anni. Questo esercito di militarizzati, accanto ai gruppi di prigionieri, fu utilizzato nei paesi per costruire ponti, strade, acquedotti e scavare trincee. Molti lavoratori vennero impiegati sul Monte Peller e nella zona di Bozzana, a preparare le difese di terza linea del Tonale. Altri furono costretti a scavare trincee lunghe diversi metri, a ridosso dei paesi.

«Nella località ai Larsetti bosco comunale di Cavareno si constata che sono state praticate delle lunghe trincee profonde da 1 metro e 50 cm in media, con una percorrenza di molte centinaia di metri. La massima parte di queste trincee è scavata nel vivo della roccia. Il pietrame che ne risultava venne depositato e trasportato a distanza verso la valle ciò che difficulta il trasporto del materiale a posto per riempire le trincee le quali non solo rappresentano notevole danneggiamento delle culture ma anche un pericolo per persone ed animali. Si constata anche che buona parte della superficie boschiva venne privata delle zolle che vennero asportate e in parte collocate sopra il pietrame levato dalle trincee. Tali lavori fatti dai soldati austriaci durante la guerra recano danno notevolissimo sia per la mancata produzione di erba su vastissimi tratti del bosco sia anche pel fatto che un nuovo impianto è reso in parte impossibile essendo rimasta la roccia nuda. Si nota poi anche che le piante in tutta prossimità delle trincee sono destinate a cadere per mancanza di sostegno sia a causa del vento si in causa delle nevi essendo state tagliate le radici. Nella località ove era stato fatto un bersaglio le piante sono piene di proiettili e pezzi di granate e quindi completamente svalutate. Si fa notare che nelle trincee era stato impiegato molto legname per costruire i ripari, legname che venne poi in gran parte terminata la guerra, asportato e bruciato dai comunisti [russi]»40.

Altre trincee per le esercitazioni vennero realizzate a Romeno e a Salter. Queste trincee erano inserite all’interno di campi trincerati di esercitazione – noti comunemente come übungsplatz – provvisti di postazioni per il tiro e piccole piazze di manovra. Anche a Cles, sede del Capitanato Distrettuale e zona di passaggio e di concentrazione di truppe in transito verso la Val di Sole e la Val d’Adige, ne fu costruito uno. Lì i militari in riposo trascorrevano periodi di svago e di addestramento in cui si esercitavano nel tiro e sperimentavano nuove tecniche di combattimento, in vista di essere trasferiti sui campi di battaglia.

1917 - L’ANNO IN CUI I POPOLI DISSERO “BASTA!”

“L’AN DE LA FAM”

Se il 1916 fu l’anno della scarsità crescente in tutti i rami dell’economia e della società, il 1917 segnò il passaggio dalla scarsità alla penuria. Con la guerra che si prolungava ormai da anni, le scorte erano finite e lo Stato ormai non riusciva più a far fronte alla fame. Nei due ultimi anni di guerra le requisizioni a favore dell’Esercito si fecero ancor più onerose. Nel giugno 1917, la commissione militare requisì alla Mendola ben 4.000 m3 di legna per la costruzione di baraccamenti sul Tonale al prezzo di 9 corone al m3. Nel gennaio successivo venero requisiti nel solo comune di Cavareno 400 kg di grano che, ad aprile, divennero 1.800. A questo si aggiunse l’obbligo di fornire di latte appena munto le mense degli ufficiali. Mentre da una parte la popolazione civile era impegnata in continue proteste per il prolungamento della guerra e la mancanza di cibo, complice anche il freddo inverno del 1916-1917, dall’altra lo stato dei soldati al fronte era tragico: molti militari facevano domanda per essere mandati a casa con permesso, stanchi di combattere un’«inutile strage»41.

40 Archivio del Comune di Cavareno, Atto assunto nella Cancelleria Comunale di Cavareno dalla Commissione giudiziale addì 27 ottobre 1921. 41 Cfr. Benedetto XV, Ai Capi delle nazioni belligeranti. 1° agosto 1917.

63 IL TENTATIVO DI UNA PACE SEPARATA E IL “DIVENTARE ITALIANI” PER TORNARE A CASA: PASSAGGIO IN VAL DI NON DELL’IMPERATORE LA MISSIONE ITALIANA PER I PRIGIONIERI DI CARLO I GUERRA IN RUSSIA E IL CORPO DI SPEDIZIONE ITALIANO IN ESTREMO ORIENTE Per salvare la Monarchia dall’autodistruzione, tra il gennaio e il marzo 1916 il nuovo Imperatore Nel 1917 il profondo scompaginamento provocato Carlo I iniziò ad attuare riforme: in gennaio conferì dall’esperienza di guerra in Galizia continuò per molti ai Landesschützen il titolo di Kaiserschützen: un ex combattenti negli anni della prigionia in Russia. alto riconoscimento che si rivelò assai meritato Quando, nel 1917, il Comando Supremo italiano dato che queste truppe avevano combattuto propose al governo di Vienna la possibilità per gli valorosamente sul fronte orientale lottando fino ex prigionieri di lingua italiana che si dichiaravano all’ultimo contro il nemico russo e italiano; a volontariamente «irredenti» di essere rimpatriati marzo licenziò il generale Franz Conrad, Capo del passando per l’Italia, molti trentini accettarono Comando Supremo, giudicato troppo propenso alla questa definizione sperando in un rimpatrio guerra a tutti i costi e lo sostituì con il più pacato e veloce e sereno. Per coloro invece che rifiutavano fidato Arz von Straussemberg. In seguito, concesse l’opzione di italianità, non restò che rimanere in l’amnistia ai carcerati politici e propose alle Russia come prigionieri dell’esercito zarista. Sulla potenze dell’Intesa una pace separata basata sul base delle circolari emanate dalla Commissione ripristino dell’indipendenza del Belgio, della Serbia per i prigionieri di guerra del Ministero della guerra, ed il riconoscimento dell’Alsazia e Lorena alla tutti coloro che si definivano «redenti» potevano Francia. Il Primo ministro inglese cercò di trovare fare domanda di libertà condizionata e chiedere il una soluzione persuadendo Carlo I a rinunciare trasferimento in Italia tramite la Missione Italiana perlomeno al Trentino mentre il Ministro degli esteri per i prigionieri di guerra in Russia. italiano Sidney Sonnino, informato delle intenzioni Nell’autunno 1916, un primo convoglio di 4.000 austro-ungariche, negò la sua disponibilità a trentini – con molti nonesi a bordo – che avevano negoziare: il Regno d’Italia non intendeva rinunciare fatto domanda di rimpatrio tramite la Missione a nessun punto del Patto di Londra. Il tentativo di Italiana, era partito dal campo di raccolta di Kirsanov pace perciò venne definitivamente abbandonato alla volta del porto di Arcangelo, per essere poi e l’Austria-Ungheria fu costretta a continuare la imbarcato per l’Italia43. Dopo quel primo rimpatrio guerra. Nel gennaio 1917 Carlo I, in veste di nuovo andato a buon fine, ragioni di politica militare e capo supremo dell’esercito, si recò in ispezione l’inefficienza della Missione ne impedirono altri; lo sul fronte meridionale con l’intenzione di prendere scoppio della Rivoluzione con la presa di potere da personalmente provvedimenti nella conduzione parte dei bolscevichi di Lenin e Trotsky e la pace della guerra. di Brest-Litovsk resero tutto più complicato, al Dopo aver trascorso un breve periodo a Bolzano punto da suggerire ai responsabili militari italiani di dove ebbe un fitto colloquio sulla situazione trasferire gli ex prigionieri in attesa di rimpatrio a bellica con l’arciduca Eugenio, nel pomeriggio del Vladiwostok, in modo da sottrarli alla propaganda 15 gennaio l’Imperatore proseguì il suo viaggio bolscevica44. verso Trento dove, sulla Piazza d’armi (oggi Piazza Nonostante i disordini e i cambi di governo, Venezia) passò in rassegna un reggimento. Il la Missione militare italiana rimase operativa giorno seguente si recò sull’Altopiano di Folgaria e nell’organizzazione dei rimpatri per tutto l’inverno, in Valsugana, fece poi ritorno a Trento e partì alla tanto che alla fine del 1917 altri 2.500 ex volta di Innsbruck facendo tappa in Val di Non, dove prigionieri (di cui 1600 trentini e qualche noneso) ispezionò il nuovo ponte sopra la forra di Santa Giustina. A Cles incontrò gli alti comandi militari e moglie nel giugno 1918 per seguire, dalla Mendola, passò in rassegna le truppe in partenza per il fronte la mobilitazione dei soldati per le ultime battaglie del del Tonale, schierate alle porte del paese. Il 16 Tonale passate alla storia come «le offensive della gennaio fu probabilmente un giorno memorabile disperazione». 42 per gli abitanti della Val di Non . 43 Antonelli 2008: 237-238.

42 L’imperatore Carlo I farà ritorno in Val di Non con la 44 Francescotti 1981: 91-96.

64 Übungsplatz a Cavareno, a Romeno e a Cles vennero trasferiti in Cina dopo aver attraversato ebbe una lettera da casa | Io ebbi notizie da nostro cugino tutta la Siberia in treno. Partiti da Kirsanov il 28 da Tregiovo dall’America ma ora e piu di un anno che non dicembre 1917, gli «irredenti» giunsero a Tien-Tsin, ne ho | neppure da lui, ma da voi e famiglia mi scriveva concessione italiana in Cina, dopo oltre due mesi di che non sapeva niente e nemmeno dei suoi. “La direzione viaggio a piedi e in treno: di qui e: soldato G. Pancheri R.R. Truppe Italiane Estremo Oriente sezione artiglieria Tientsin Cina”»45 . «Della mia venuta in Cina e tutto quello che passo fino un anno fa spero ve lo avranno fatto sapere e detto Arnoldo In aprile altri 700 ex prigionieri furono trasportati in Arturo e Martin Rizzi da Revo che fummo in compagnia Italia da navi americane dirette al porto di Genova. fino che loro partirono da qui lo scorso anno e spero Agli italiani d’Austria che non avevano fatto la ve lo avranno raccontato. Dopo che loro partirono noi scelta identitaria a favore dell’Italia fu suggerito di restammo ancora qua fino a alla prima meta di ottobre rimanere in Russia, in attesa del rimpatrio. Molti poi partimo verso la Siberia con corpo di spedizione ed di costoro vennero inquadrati nei Battaglioni Neri, arriva|mo il 21 Novembre a Krasnoiarsck una citta di un contingente composto da truppe di rinforzo circa 80 mila abitanti lungo la ferrovia Transiberiana e alle operazioni di contenimento dei rivoluzionari rimanemmo fino ai 6 agosto giorno in cui partimmo per bolscevichi avviate dall’Italia al fianco delle potenze rimpatriare diretti a Vladivostok, ma quando fummo in dell’Intesa46. Altri invece si arruolarono nell’Armata Harbin in Man ciuria ci fu l’ordine di venire verso la Cina, 45 a causa si dice del colera che c’e da Harbin-Vladivostock Lettera di Giovanni Pancheri di . 5 settembre Durante la mia permanenza in | Krasnoiarsck io scrissi 1919. Cfr. GENTILINI 2009. molte lettere come i due paesani che sono qua e quelli 46 Ufficio storico del Ministero della Guerra 1934: di Revo ma ebbe solo risposta il Magagna da Revo che VII, tomo I, 55.

65 , 16 gennaio 1917. Passaggio di Carlo I sul ponte di Santa Giustina. Rossa o nel Battaglione irregolare Savoia. Un ultimo gruppo di «kirsanover» fu invece spinto ad arruolarsi nella Legione Redenta, un corpo armato sempre alle dipendenze del Corpo di spedizione Italiano in Estremo Oriente47. L’opera della Missione Italiana per i prigionieri di guerra si concluderà nel 1918 con la raccolta a Krasnojarsk dei circa 300 prigionieri, in prevalenza trentini arruolati nel Battaglione irregolare Savoia e il concentramento, nella baia di Gornostai di circa 1700 redenti divisi in 8 compagnie. Il rimpatrio degli ex prigionieri avvenne in diversi scaglioni nei tre anni successivi, sempre via Tien-Tsin. Dalla Cina gli ex prigionieri nonesi iniziarono un lungo viaggio di ritorno verso l’Italia con tappa a Krasnaiarsk, ad Harbin, a Vladivostok, ad Hong Kong, a Singapore e nello Sri Lanka. Dopo aver attraversato il Mar Arabico, il viaggio proseguiva nel Mar Rosso. Attraverso il canale di Suez, Carlo Busetti di Rallo e Angelo Paoli di Denno approderanno in Italia quasi due anni dopo rispetto ai convalligiani che erano rimasti in Russia come prigionieri dell’esercito austro-ungarico.

DALL’ISONZO ALL’ORTIGARA. LA NASCITA DEL MITO DEGLI ALPINI

Il 1917 fu un anno di relativa calma per quanto riguarda il fronte dell’Adamello e del Tonale, in quanto l’esercito italiano era impegnato nelle sanguinosissime battaglie dell’Isonzo. Unica eccezione furono i preparativi che portarono ai primi di giugno all’assalto del Corno di Cavento, caposaldo austriaco strategicamente importante per minacciare i rifornimenti delle linee italiane avanzate del tratto di fronte tra la Val Rendena e la Val di Fumo. Combattere in alta quota dopo quarantuno mesi di lotta durissima costituì per i volontari arruolati negli Alpini e per i combattenti nei reparti austro-ungarici una prova di altissimo valore e di indomita resistenza. Aggrappati sulla roccia di enormi pareti verticali, anche i soldati nonesi combatterono una guerra di mine

47 Rossi 1997.

66 Cles,16 gennaio 1917. Carlo I passa in rassegna le truppe. e contromine, espugnando posizioni ritenute imprendibili e costruendo con mezzi rudimentali strade e sentieri ancor oggi percorribili. Il mito della Guerra Bianca, accostato al fascino della natura estrema e alimentato abilmente dai propagandisti e dai corrispondenti di guerra negli ultimi anni del conflitto, fu suggellato dalla grande battaglia dell’Ortigara. Tra il 10 giugno e il 29 giugno 1917 si svolse sulla linea difensiva del Monte Ortigara quella che secondo Cadorna avrebbe segnato la riscossa italiana in Trentino dopo la battuta d’arresto della Strafexpedition. L’accanita resistenza dei Kaiserschützen, la nebbia e il tiro impreciso delle artiglierie italiane fecero fallire quasi tutti gli attacchi. La vittoria finale andò agli imperiali che riuscirono a resistere ai ripetuti assalti degli italiani, che pure riuscirono a conquistare la vetta mantenendola per alcuni giorni prima del definitivo contrattacco nemico. Le perdite ammontarono a circa 25.000 caduti tra i soldati italiani e circa 9.000 caduti tra quelli austriaci48. Sebbene l’offensiva italiana contro le formidabili posizioni austro-ungariche non raggiunse i risultati prefissati, nel quadro generale della guerra, la battaglia dell’Ortigara contribuì ad impiegare nel settore trentino una notevole massa di soldati imperiali a tutto vantaggio delle operazioni sugli altri fronti. Su quelle aspre montagne, consacrate dal sangue dei due eserciti in lotta, alpini, fanti, bersaglieri, artiglieri e Kaiserjäger scrissero, assieme, pagine di storia eroica che non possono essere dimenticate49. Per gli abitanti della Val di Non l’autunno 1917 fu il periodo più terribile e nefasto dei quattro anni di guerra: i cannoneggiamenti italiani a Malga Pece, in Val Vermiglio, fecero presagire per la prima volta una minaccia concreta di invasione nemica attraverso la Val di Sole, come conseguenza della rotta di Caporetto50. Il 24 ottobre 1917, a un anno dallo sfondamento delle linee italiane sugli Altipiani, gli austro-tedeschi avevano travolto le linee italiane dilagando fino al Monte Grappa e al Piave, ove erano stati fermati da uno sforzo

48 Pozzato 2014:159-153.

49 Volpato 2006: 75-76. 50 Pozzato 2014: 166-170.

67 Cartolina illustrata del Battaglione italiano Savoia/Samara-Vladivostok – FMST estremo dell’esercito italiano con gli arruolati di LE ULTIME GRANDI BATTAGLIE DEL TONALE: LA rimpiazzo dell’ultima classe di leva, quella del 1899. LAWINE-EXPEDITION E LA BATTAGLIA DEL SAN Dopo la disfatta di Caporetto ci volle ancora un altro MATTEO anno di guerra prima che l’Italia ritrovasse lo spirito di offensiva e costringesse l’Austria-Ungheria Nel mese di giugno fu organizzata l’offensiva con all’armistizio. cui l’esercito austro-ungarico, forte del recupero di truppe in seguito alla fine del conflitto con l’Impero 1918 - L’ULTIMO ANNO DI GUERRA zarista, puntava a far breccia nella pianura veneta (Lawine-expedition). Tra le 9 e le 10 del 13 giugno, Nell’inverno 1917-1918 la guerra si fece meno gli austriaci scesero in campo sul Tonale con tutta intensa sul fronte trentino, per poi riprendere con la Prima Divisione da Montagna. Le truppe italiane violenza in primavera toccando tutti i campi di contrattaccarono. Il 14 giugno gli Schützen della battaglia, dall’Adamello alla Vallarsa. 22°Divisione tentarono un ultimo disperato attacco Il 10 maggio 1918 una grande offensiva italiana contro le difese del Monte Rosa, ma anche questo portò alla conquista del Corno di Vallarsa, mentre venne respinto. Molti soldati austro-ungarici, tra cui altre posizioni nemiche vennero occupate dalle anche nonesi, vennero fatti prigionieri dagli alpini, truppe italiane nella zona del Tonale. Il 25 maggio usciti a sorpresa dalle trincee51. le artiglierie italiane bombardarono il Pizzo di Il 13 agosto, una nuova offensiva italiana cercò Vermiglio e le postazioni del Presena. di completare l’occupazione della Conca Presena, Lassù i soldati nonesi vissero e morirono tra mirata alla conquista di importanti posizioni sul incendi, rombi di cannone e scoppi di depositi di San Matteo (3.684 m.), montagna che consentiva granate. di tenere sotto controllo le Valli del Noce – attraverso le quali sarebbe stata possibile una

51 Magrin 1914: 26-36.

68 futura penetrazione italiana verso Trento – e «Alle 4 di mattina viene stipulato e firmato l’armistizio dirigere efficacemente i tiri di artiglieria sul Gavia con l’Austria, Ungheria con l’Italia a questa ora i nostri e sull’Albiolo, dominando al contempo alle spalle deponeron le armi [e] gli Italiani subentrarono nella terra gli accessi italiani lungo le creste del Vioz e del Tirolese sulla sera noi udiamo voci di questo armistizio nel Cevedale. mentre si sentiva dire che i Tedeschi vegnivano indietro e Sui ghiacciai in cima alla Val di Pejo, dove avvennero gli Italiani perseguitavano questi facendoli retrocedere e gli scontri, i soldati nonesi mobilitati in zona rimanere prigionieri di guerra. La mattina del 5 [novembre] risentirono non solo del freddo, ma anche della alle ore 9 oltrepassarono i primi bersaglieri Italiani a carestia che affliggeva da più di un anno l’Impero, cavallo il ponte di Mostizzolo, nel suo seguito sempre già travagliato da una generale crisi economica più aumentarono la guarnigione nei paeselli della Val di che aveva determinato la carenza di materie prime Non. In questi giorni del mese si sentiva sempre udire che complicando la già difficile situazione nutrizionale. arrivavano dei paesani presso le sue famiglie ciocchè la Anche sul Piave le linee austro-ungariche cedettero popolazione rimaneva contenta»53 . sotto gli attacchi delle truppe italiane. In ottobre, nonostante il tentativo riuscito di Le caratteristiche della vittoria italiana, con un riconquista di Punta San Matteo (3 settembre numero esorbitante di prigionieri e la sostanziale 1918), l’esercito imperiale poteva dirsi praticamente impreparazione dell’apparato logistico italiano ad sconfitto: affrontarne le conseguenze, fecero sì che gli spettri della fame e delle condizioni igieniche al limite della «Domenica 27 ottobre si legge il comunicato. I movimenti tollerabilità affollassero, più di qualsiasi volontà di sul Fronte Italiano così si concludevano: le truppe Austro- rivalsa, le prime ore di vita dei “vinti”, come racconta ungariche sgomberavano le zone occupate». Due dì dopo nel suo diario Giovanni Cavallar, contadino della Val i militari che in questi paesi vicini alle Borgate cercano di Rabbi: alloggi e stalle: ma tanti, che significa? […] Pare che si siano obbligati a ritirarsi dal Fronte Italiano tanti km; forse tutti e «Arriva un rimpatriato dalla Russia che ne aveva da due gli eserciti? […] Sarà stato la domenica 27 ottobre che raccontare […] ci dice che lungo l’Adige c’era molto comparve sui muri un appello dell’Imperatore col titolo: “ai moviemento di truppe verso Nord ed in Val di Non […] che miei popoli”. Ma non si dava più retta. Prometteva la fine viaggiavano verso la Mendola, ed ha visto un qualche della guerra, buoni progetti, autonomie; ma più si capiva il disordine. […] E che si vede? Pieno lo stradone di ciucchi: sentimento di un ultimo saluto»52. civili e militari. C’era poco da scherzare. Chi ha potuto comprare un carico e cavalli per 3 o 4 cento corone, chi Il Passo del Tonale fu nuovamente campo di ha acquistato mezzo metro cubo di sigarette per un simile battaglia l’1 novembre, quando gli imperiali – giunti prezzo. Io arrivai presso la stazione di Malè [della Trento- ormai allo stremo delle forze ma fedeli al compito Malè]: tutto disordine e spreco. […] Più di un magazzino di difesa assegnato – combatterono con le ultime [militare] fu traslocato in casa di parenti e paesani»54 . risorse, senza tuttavia fermare l’esercito italiano. Infranti gli sbarramenti alla sella del Tonale, le truppe italiane dilagarono in Val di Sole dalla Val Motore di questo clima di disordine generale era la Vermiglio, catturando interi reparti avversari. paura della popolazione, già provata dalla fame e segnata dallo stigma della separazione, di perdere DALLA GUERRA ALLA PACE la propria identità e la propria terra. In Val di Non, in conseguenza dello spostamento Nelle Valli del Noce la guerra finì il 3 novembre, con di confine al Brennero, il problema di amministrare la firma dell’armistizio a Villa Giusti seguito alla una popolazione divenuta improvvisamente vittoria italiana nella battaglia di Vittorio Veneto. italiana fu grandissimo. E l’aggravarsi dell’epidemia Quel giorno, sulle tormentate montagne del Tonale, influenzale, la famigerata «spagnola», fece il fronte più vicino alla Val di Non, scese finalmente precipitare ulteriormente la situazione. il velo silenzioso della pace: 53 Ravanelli 1988: 243-274. 52 Turrini 1998: 211-212. 54 Turrini 1998: 212-213.

69 Monte Ortigara. Cadaveri di militari caduti in battaglia – FMST

L’INFLUENZA SPAGNOLA: LA PANDEMIA CHE CAMBIO’ IL MONDO

Già nel 1917, mentre l’eco dei cannoni risuonava nelle trincee europee e gli ospedali militari rigurgitavano di feriti e di malati, un altrettanto letale catastrofe si abbatteva su ogni angolo del mondo. Conosciuta per essere la prima malattia globale della storia, la febbre spagnola contagiò circa un miliardo di persone, provocando, secondo le stime più recenti, addirittura più morti della Grande Guerra. In Europa il picco dell’epidemia si sviluppò a partire dalla primavera del 1918 ma, dall’autunno dello stesso anno e poi per tutto l’inverno del 1919, si diffuse ovunque e iniziò a mietere sempre più vittime, anche in Val di Non. Il contagio era estremamente facile. La malattia si diffondeva per via aerea, favorita dalla mobilità di enormi masse di persone. Nelle trincee ogni più piccola patologia contagiosa si diffondeva con rapidità e i soldati in licenza o congedati portavano con sé il virus, contribuendo a diffonderlo in zone altrimenti sicure. Mentre le pagine delle riviste mediche registravano i tentativi sempre più disperati di arginare il virus, i quotidiani locali si riempivano dei resoconti di ricoveri e decessi.

RITORNI

Sul campo, la Prima guerra mondiale lasciò approssimativamente 16 milioni di morti tra cui 11.000 soldati trentini e centinaia di nonesi caduti con la divisa imperiale e grigio-verde, ai quali vanno aggiunti tantissimi feriti e mutilati. Nella conferenza di pace del 1919 per la prima volta si parlerà di crimini contro l’umanità e le nazioni sconfitte, colpevoli secondo i vincitori di aver innescato il conflitto, saranno condannate al risarcimento di pesanti danni di guerra. Il rimpatrio dei richiamati nonesi fu lento, in ragione della lontananza in cui i soldati si trovavano il 3 novembre. Nei due giorni successivi tornarono in Val di Non i mobilitati in Val di Sole, nelle settimane seguenti quelli impiegati negli altri settori del fronte dolomitico,

70 28 Novembre 1918. Prigionieri italiani liberati in cammino verso Trento - MSIG dopo mesi tornarono anche i soldati inviati in Polonia e sul fronte occidentale. Una volta arrivati al confine del nuovo Stato, i reduci venivano perquisiti delle milizie dei “vincitori” e spogliati di tutto ciò che avevano. Quei pochi che tornavano dal fronte italiano dicevano di aver continuato a sparare per tutta la mattina del 3 novembre perché non era arrivato subito l’ordine di cessate il fuoco55. Dopo la fine della Grande Guerra il Trentino finì di esistere come entità politica, economica, socialee culturale inglobata nell’Impero austro-ungarico. Dal conflitto uscì profondamente modificato sia morfologicamente che geograficamente e la sua storia venne inabissata per riemergere, a distanza di anni, non più riconoscibile56. Con l’occasione del Centenario auspichiamo che il reale svolgimento di questa storia venga portato alla luce attraverso il recupero delle testimonianze di quei testimoni resi invisibili dalle ragioni dei vincitori e della grande storia.

55 Turrini 1998: 215. 56 Antonelli-Bettini-Leoni 2003: 23-25.

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74 Trento, 1915. Richiamati alla stazione in partenza per la Galizia – FMST

75 Appendice di trombettiere. Negli anni successivi trascorre PROFILI BIOGRAFICI DI ALCUNI altri tre mesi di riserva e nel luglio 1914 parte NONESI PARTITI PER LA GUERRA per la guerra, richiamato con la leva in massa. Passa quattro anni sul fronte di guerra in NEL 1914-1918 Galizia e di prigionia in Russia. Tornato alla sua famiglia partecipa attivamente alla vita sociale Angelo Paoli di Denno ed economica del proprio paese: entra nella Angelo nasce a Denno, il 4 agosto 1890. È rappresentanza comunale, diventa componente il secondo dei quattro figli di Romano Paoli, del locale Corpo dei Vigili del Fuoco, presidente originario di Nanno, e Maria Berti di Denno. Ha del Caseificio Sociale e membro del Comitato due sorelle Luigia, nata nel 1892, e Giuseppina, per la gestione dei Beni di Uso Civico. nata nel 1894. Suo fratello, Celeste, nato il 18 luglio 1897 combatterà sul fronte dolomitico. Giacinto Branz di Sanzeno Lavora con il padre, facendo il calzolaio. Viene Giacinto Branz nasce a Sanzeno nel 1881 mobilitato fin dai primi giorni del conflitto nel K.k e, conclusi gli studi, esercita per 23 anni la Landeschützen Regiment Trient Nr. I. e inviato in professione di maestro nel proprio paese Galizia. Combatte per la prima volta il 28 agosto natale. È un uomo rigoroso e autorevole sul 1914 in Volinia, a Uhnow-Tarnoszyn, e prende lavoro e severo in casa. Dotato di grande parte alla sanguinosa battaglia di Gròdek- sensibilità e umanità, è ricordato soprattutto Ravarùska, diventata famosa per l’importante per la sua condotta sempre ligia al dovere. Per sconfitta subita dagli austro-ungarici. Dopo le sue presunte simpatie filoitaliane, era stato 5 mesi di guerra in prima linea viene fatto sottoposto a controllo da parte delle autorità prigioniero dai russi. È dapprima trasferito nel austriache già prima dello scoppio della guerra. campo di prigionia di Astrakan, poi, a partire dal A guerra iniziata, proprio per questo, viene maggio 1915, viene impiegato in lavori in corso mandato per alcuni mesi al confino, in Austria. sulle linee ferroviarie a Sizran e a Voejkovo. Nel Il 1 agosto 1914 viene arruolato nella 6° Feld maggio del 1916 riprenderà il suo mestiere di Kompagnie del I Reggimento cacciatori imperiali famiglia, farà il calzolaio a Skopin, al servizio (Kaiserjäger) assieme a Giuseppe Tavonatti di dei prigionieri austriaci. Nel 1917 si arruolerà Tavon. Dapprima viene inviato in Val di Fassa, volontario nel Battaglione irregolare “Savoia”, nei pressi di Bellamonte e poi a . condividendo la sorte della Legione cecoslovacca Successivamente viene inviato in Russia. nella guerra contro i bolschevichi. Ritornerà a Destinazione, la Galizia. Dalla Russia torna a Denno nel 1920, dopo aver passato quasi un casa due volte, la prima ammalato, la seconda anno a Vladivostok con gli ex prigionieri austriaci gravemente ferito. italofoni radunati dalla Missione militare italiana per i prigionieri di guerra in Russia. Due anni Carlo Busetti di Rallo dopo sposerà la compaesana Celestina Dalpiaz. Quella di Carlo Busetti di Rallo, classe 1876, è Per tutta la sua vita, egli continuerà a frequentare una storia umana e bellica da romanzo. Prima i suoi ex compagni di prigionia in Russia, tra i di partire per la guerra, è emigrato in California, quali Emilio Dalpiaz, soprannominato “il Russo”. dove dopo un paio di anni trova la morte il fratello, partito con lui. A seguito di quel tragico evento Matteo Sembiati di Vervò Carlo torna in patria, per fare il contadino. Quando Matteo Sembiati nasce il 13 dicembre 1883 è richiamato alle armi ha 40 anni. Viene mandato a Vervò, settimo di dieci figli di una famiglia sul fronte orientale, tra i riservisti. Rimasto ferito contadina. Si dedica con passione alla da una pallottola di “fuoco amico” al gluteo, conduzione dell’azienda agricola familiare si dà volontariamente prigioniero ai russi. Da nei suoi primi anni di gioventù. Presta tre anni prigioniero è tradotto prima a Ekaterinenburg, di servizio militare attivo nel II Reggimento città dove nel 1918 saranno fucilati l’ultimo zar Kaiserjäger a Bolzano. Alle “Grandi Manovre”del Nicola e i suoi familiari, e poi in Siberia, dove vive 1905 in Val di Non, è addetto alla scorta d’onore in prigionia per un lungo periodo. Dalla Siberia dell’Imperatore Francesco Giuseppe in qualità torna in Trentino circumnavigando l’Asia, con

76 scalo a Yokohama, Kyoto, Shangai e transitando Maria (classe 1887), Rosa (classe 1889), lungo le coste dell’India, per poi costeggiare Caterina (classe 1890), Pietro (classe 1892), l’Africa e raggiungere la Calabria attraversando Rosa (classe 1894), Sisinio (classe 1895), Viola il canale di Suez. Ad accompagnarlo nel suo (classe 1896) e Carletta Carolina nata nel 1898. “giro del mondo” durato oltre due mesi, i suoi Si diploma maestro elementare nel novembre commilitoni nonesi: “il Dallatorre” di Bresimo, 1906 a Rovereto. Oltre che insegnante esercita “l’Anselmi” di Brez, “il Larcher” di Cavareno e “il anche l’attività di dirigente scolastico presso la Visintainer” e “il Flaim” di Cles. scuola di Marcena di Rumo. Come esperto di musica e direttore di coro è uno dei collaboratori Francesco Gottardi di Vervò della ricerca “Das Volksliedin Osterreich” sul Francesco Gottardi nasce a Vervò il 20 settembre canto popolare ladino, portata a compimento nel 1885 da una modesta famiglia soprannominata 1915. Si sposa con Maria Giuseppina Flor di “Zanco”. Rimane orfano del padre all’età di da cui ha un figlio, Ezio, nato il 1 marzo 1915, 1 anno. Nel 1904 perde anche la madre. Nel che non conoscerà mai. Muore il 10 settembre 1913, conseguito il diploma magistrale, inizia 1916 durante la sua prigionia in Siberia, ai lavori l’attività di maestro elementare nel suo paese forzati nei pressi del campo di Tjumen. I mesi natale. La sua esperienza di guerra inizia come precedenti li ha passati prigioniero a Nova quella di decine di migliaia di altri trentini, con Nikolajevski e a Omsk, dove aveva ricevuto il l’ordine di mobilitazione generale. Il 1 agosto telegramma della nascita di suo figlio. Presso è a Trento, nella caserma di via Perini dove l’Archivio di Stato di Trento è conservato il comincia il suo periodo di addestramento. racconto di un testimone oculare della sua Dopo alcune settimane di esercitazioni, marce e morte, il maestro Enrico Marches, prigioniero battaglie simulate, il 1 ottobre viene inquadrato anche lui a Tjumen. Durante la prigionia Davide nel III Reggimento dei Kaiserjäger e parte per scrive oltre 121 volte alla moglie, informandola il fronte galiziano. Assieme a lui partono una sui suoi spostamenti e rassicurandola sul suo ventina di compaesani, tra cui anche il fratello stato di salute. Le cartoline su cui annota i suoi Giuseppe, che non farà più ritorno. Nel giugno pensieri erano quelle fornite dalla Croce Rossa, 1915 cade volontariamente prigioniero dei piccole e con poco spazio per scrivere. russi. Trascorre il periodo di prigionia in diverse località della provincia di Saratow, nella regione Costante Chini di Segno del Volga. Rientrato in Italia nell’autunno del Costante Chini di Segno, classe 1895 parte 1916, attende la fine della guerra a Varese, dove ventenne per la Galizia, inquadrato nel II trova lavoro come insegnante. Solo a guerra Reggimento Kaiserjäger. Il 28 maggio 1915 finita, nell’agosto del 1919, riesce a tornare arriva a Cracovia e da lì raggiunge con la ferrovia a Vervò dove sposa Silvia Zucali. Rirpesa la Tarnof e l’8 giugno arriva a Kiemen, grande vita di sempre si dedica attivamente alla vita borgata della Galizia. Il 15 giugno viene trasferito sociale del paese, quasi a voler colmare gli anni con la sua compagnia in prima linea, dove passati altrove. Promuove la realizzazione di affronta per la prima volta i russi. A luglio viene una campana in ricordo dei caduti che nel 1925 inviato nella Polonia russa, dove affronta lunghe viene collocata sul campanile della Chiesa di marce di 40 e 50 chilometri al giorno. All’alba del San Martino. Appassionato di storia antica e di 6 luglio viene accerchiato con i suoi commilitoni archeologia conduce interessantissime ricerche dai russi che avanzano alla baionetta. Lo scontro sull’insediamento romano sito in località San è sanguinosissimo, e , malgrado la tenace Martino (oggi oggetto di interventi di recupero e resistenza, viene fatto prigioniero. Da prigioniero valorizzazione) e sul Castrum Vervasium. vive lunghi anni in Siberia lavorando nelle fabbriche; come altri trentini, alla fine della guerra Davide Vender di Rumo raggiunge con la transiberiana Vladivostok e Davide Vender detto “Bèdi” di Corte Inferiore rientra in patria via mare, nell’autunno del 1919, (Rumo), nasce il 7 ottobre 1884 da Giovanni passando per il canale di Suez. Tornato a casa Vender di Rumo e Clementina Gasperetti di sano e salvo, si adopera molto nel sociale. Negli . Ha 9 fratelli: Serafino (classe 1885), anni ’20 è delegato in seno all’Unione provinciale

77 contadini; poi presidente del caseificio e primo anarchico, in cui accenna anche alla natura presidente del magazzino locale della frutta. intimamente autoritaria dello stato austriaco. Negli anni ’50, infine, diventa presidente della Lascia un ricco epistolario composto da una Famiglia Cooperativa. fitta corrispondenza intrattenuta tra il 1915 e gli anni immediatamente successivi alla fine Narciso Fondriest di Cles del conflitto. L’epistolario conta centinaia di Narciso Fondriest di Caltron, detto “Bora”, classe lettere scambiate con la famiglia, corrispondenti 1888, è partito per la guerra come soldato nonesi e residenti nel Regno d’Italia e da alcune dell’Impero austro-ungarico nell’agosto del cartoline Feldpost illustrate dall’amico di penna 1914. Rimane a combattere in Galizia fino al Romedius Sinn, inquadrato nella 2°Compagnia novembre, dove viene ferito. In seguito alla del II Reggimento Landesschützen. Non ferita è ricoverato negli ospedali militari di Brno mancano fotografie, foglietti e appunti legati e di Trento. Tornato al fronte sui Carpazi, nel alla sua attività di irredentista. Nelle lettere marzo 1915, viene nuovamente ferito e quindi inviate in Italia, esprime con forza la sua ostilità ricoverato di nuovo, presso l’ospedale di Vienna. nei confronti della guerra vista come «fatica A maggio ottiene il trasferimento a Trento, assurda», «imposizione estranea agli interessi con l’ordine di tenersi pronto per partire alla del popolo», «rissa irragionevole di governi e di volta della Boemia. Il 10 maggio 1915 quando, principi» e auspica, come emerge anche dalle commentando con altri soldati l’ordine di partire cartoline allegate ai fascicoli processuali, una immediatamente per la Boemia nel piazzale presa di coscienza del suo popolo, al quale viene della Caserma Madruzzo a Trento, sente due demandato il trionfo della giustizia. uomini annunciare l’ormai prossima entrata in guerra dell’Austria con l’Italia, decide di disertare Giuseppe Maurina di Spormaggiore pensando che il fronte italiano potesse diventare Giuseppe Maurina, nato a maso Maurina, nei una delle sue prossime destinazioni. Grazie pressi di Spormaggiore il 1882 diventa prete ad un amico solandro che aveva un’osteria in all’età di ventidue anni e fin da subito prende a via del Fersina, si procura degli abiti civili e un cuore il benessere spirituale e materiale dei poveri biglietto della tramvia Trento-Malè per tornare in e degli umili, senza esclusione verso alcuno. Val di Non. Anziché scendere a Cles, scende alla Seguendo le orme di don Guetti, si impegna fermata precedente, in località Santa Giustina. attivamente alla diffusione della cooperazione, Da lì senza farsi riconoscere raggiunge a piedi, fondata sui valori di solidarietà e sulla fratellanza. camminando di notte tra le campagne, la frazione Esercita la sua missione a Borgo, a Malé, a di Caltron. Due giorni dopo due gendarmi vanno e a Dardine. Nel 1915 è curato di Nave dalla sua famiglia per arrestarlo. Riesce a San Rocco, dove si fa conoscere ed apprezzare fuggire ma decide di non fare più ritorno a casa. come promotore della Cassa Rurale locale. Il Trascorrerà 40 mesi da imboscato in una grotta 22 maggio 1915, dopo aver invitato dal pulpito ai piedi del Monte Peller, a mezz’ora di cammino della sua chiesa i parrocchiani a considerare da Malga Clesera. gli italiani «Fratelli» di lingua e di religione viene arrestato e portato al carcere del castello Enrico Moggio di Cles del Buonconsiglio per essere processato. Al Enrico Moggio nasce a Cles nel 1887. Con il processo il contadino Fortunato Springhetti, padre Celeste esercita la professione legatore che aveva udito la predica, va a testimoniare di libri ma si interessa anche di politica. Allo contro di lui. Il primo luglio Giuseppe Maurina è scoppio della guerra, in quanto ex socialista, è giudicato colpevole «di un’azione di vantaggio sottoposto al regime di sorveglianza speciale per il nemico, pur senza un temporaneo accordo da parte delle autorità militari austro-ungariche con il nemico, arrecante un importante danno per i suoi contatti con il Regno d’Italia, dove alle forze militari nazionali». Viene condannato aveva molti amici e amiche. Viene arrestato il a cinque anni di confino e a due giorni di digiuno 9 marzo 1915 con l’accusa di aver scritto, nel ogni mese. Il periodo di prigionia lo trascorre a gennaio 1915, componimenti poetici a sfondo Salisburgo e in Boemia, nella prigione-fortezza irredentista e pacifista con riferimenti di stampo di Teresienstadt. Nell’agosto 1917, in seguito

78 all’amnistia voluta dal nuovo Imperatore Carlo d’urgenza all’ospedale di Cles dove morirà poche I in favore dei prigionieri politici austro-italiani, ore dopo per “doia” (broncopolmonite), a soli 49 viene scarcerato e trasferito prima nel convento anni. agostiniano di Reichersberg e poi nel paese di Celeste Paoli di Denno Riedau, dove passa undici mesi a dar lezione Celeste nasce a Denno, il 18 luglio 1897 e a ragazzi profughi aspiranti al ginnasio. Negli come il fratello Angelo viene mobilitato fin dai anni dell’esilio inizia la sua opera poetica in primi giorni del conflitto nel I°Battaglione dei endecasillabi che, nella sua autobiografia, Landesschützen. Con il 3° Reggimento parte definisce “sventurato poema” di 134 canti, da Trento il 20 maggio e svolge un periodo di 24.000 versi e 400 pagine. addestramento a Landech. Nell’agosto 1914 viene inviato a prestare servizio a Toblach Giuseppe Stringari di Nanno (Dobbiacco) e a Innichen (San Candido), in Val Giuseppe Giovanni Albino Stringari nasce a Pusteria. Ai primi di settembre viene trasferito Nanno nel 1870 da Carlo Benedetto Stingari sul Monte Piana. Lì sperimenta la guerra e Carolina Visintin. Ha quattro sorelle: Maria combattuta a più di 3000 metri di quota, una Teresa, Teresa Maria, Maria Virginia Giuditta e “guerra d’aquile” che svolgeva una funzione Rosa Addolorata Gioseffa. E due fratelli: Virgilio analoga a quella dei duelli d’aviazione: il suo ruolo Giovanni Carlo e Angelo Gabriele. Viene arruolato strategico valeva molto meno della dimensione nell’esercito austro-ungarico con la leva in “eroica” che veniva sottolineata dalla stampa o massa. Nel luglio del 1915 viene inquadrato in dalla propaganda. Presta servizio di guardia nei una compagnia di lavoro e inviato in Ungheria, baraccamenti situati sulle pareti rocciose a 800 prima al confine rumeno e poi su quello serbo m sopra la Valle di Ledro, da poco ampliati. Lì con l’ordine di costruire trincee. Lasciata la una linea di corrente elettrica vi faceva arrivare zona di Oscanad, arriva nella cittadina serba di l’alta tensione direttamente dalla centrale di Alibunar, poi passa sul Danubio a Weisschirchen Dobbiacco. Una funicolare di collegamento tra la e a Orsava. Il 27 dicembre 1915 lascia la Serbia valle e i baraccamenti stava per essere ultimata per tornare in Ungheria. Nel gennaio 1916 torna così come le trincee scavate nella roccia. In a Trento e raggiunge con la ferrovia Pergine. occasione della grande offensiva austriaca Sceso alla stazione si incammina, di notte, verso conosciuta sotto il nome di Strafexpedition, che Mala, destinazione Palù del Fersina, in valle aveva come obbiettivo lo sfondamento delle dei Mocheni. Due giorni dopo riceve l’ordine di linee italiane, Celeste verrà spostato con il suo spostarsi a Fierozzo San Felice per costruire un battaglione in Vallagarina, nella zona di Rovereto. impianto di teleferica. L’8 febbraio riceve l’ordine Dopo la cessazione dell’offensiva raggiungerà le dal suo comando del ritiro delle classi 1870,1871 postazioni sulla Marmolada e vi resterà fino al e 1872 da quelle zone. Così riparte con la sua novembre del 1916. Muore l’8 gennaio 1918 sul compagnia, ribattezzata simpaticamente campo di battaglia dell’altopiano di Lavarone. “Compagnia avanti e indietro” per Lambach, sede del suo deposito reggimentale. Dodici Candido Betta di Cis giorni dopo l’arrivo a Lambach riceve 14 giorni di I bersaglieri inquadrati nel Battaglione Cles, con permesso da passare a casa, in Val di Non. Arriva gli effettivi di 4 squadre chiamate con il nome a Nanno il 23 febbraio 1916 e trova la neve alta dalle località sedi dei casini di bersaglio della 80 cm. Ritornato a Lambach dopo il congedo, Val di Non (la I di Taio, la II di Flavon, la III di riparte subito per l’Ungheria, dove si ammala di Fondo, e la IV di Lauregno), furono chiamati a una forma grave di reumatismi. Comincia qui il operare per un periodo nelle retrovie del fronte suo calvario fatto di un continuo peregrinare in del Tonale, uniti con il battaglione della Val di diversi ospedali militari: prima a Innsbruck, poi Sole composto dalle 3 compagnie di bersaglieri a Vermiglio e infine a Praga, in Boemia. Torna a di Malè, di Cusiano e di Rabbi, e quello della Val Nanno alla fine della guerra, indebolito da oltre 3 d’Ultimo. Tra il giugno e l’agosto del 1915 alcuni anni di fatiche e patimenti. Il 13 marzo 1919 la effettivi di questi battaglioni, furono inviati a sua malattia si aggrava repentinamente. Viene completare le difese sulla linea trincerata Peller- messo su un carro trainato da buoi e trasportato Mostizzolo-Parolin-Monte Pin. Candido Betta di

79 Cis arrivò con la sua compagnia in zona Clesera aver attraversato il Mar Arabico arriva ad Aden il alla fine del giugno 1915 e lì rimase fino al18 13 gennaio. Da qui risale il Mar Rosso fino a Suez, agosto. Lasciò la montagna sopra Cles subito attraversando l’omonimo canale il 20 gennaio, dopo aver ricordato il genetliaco dell’imperatore fermandosi a Porto Said fino al 22 gennaio, data Francesco Giuseppe partecipando alla solenne in cui si imbarca per l’ultima volta verso l’Italia. Messa al Campo celebrata in un prato in località Giunge a Trieste il 27 gennaio 1920. Faè. Luigi Moresco di Spormaggiore Giovanni Pancheri di Romallo Luigi Moresco nasce a Spormaggiore il 20 Giovanni Pancheri nasce a Romallo il 30 dicembre ottobre 1897. Allo scoppio della guerra è 1893. Figlio di Antonio e Maria Pancheri, è primo studente seminarista a Trento. Arruolato con di tre sorelle: Maria, Anna e Caterina. Dopo aver il 2°Reggimento Landesschützen nel maggio frequentato le scuole dell’obbligo con buon 1915 viene inviato ad Enns per l’addestramento. profitto, intraprende la professione di carpentiere, Combatte poi sul fronte orientale, in Volinia e pur continuando a seguire anche i lavori agricoli in Transilvania. Nel 1916 viene spostato sul assieme al padre. Nel 1912 viene richiamato alla fronte italo-austriaco. Combatte in prima linea leva obbligatoria che svolge in Austria nei pressi sul Piave e sull’Isonzo. Dopo aver partecipato di Innsbruck. Allo scoppio della guerra è tra i all’undicesima battaglia dell’Isonzo, viene primi ad essere mobilitato il 1 agosto 1914. Viene trasferito in Romania. Dal fronte rumeno, infine, inquadrato nel K.u.K. 2° Regiment der Tiroler viene spostato in Ucraina. Rientrato a Bolzano alla Kaiserjager. Dopo un periodo di addestramento fine del 1917, segue un corso di addestramento presso Bressanone, il 26 settembre viene inviato speciale , e dopo lo sfondamento di Caporetto, in Galizia, dove combatte nelle trincee di Tarnow è inviato con i corpi speciali di nuovo sul fronte e di Cracovia. Il 2 luglio 1915 viene fatto italiano, a San Donà di Piave. Durante i feroci prigioniero dai russi e condotto nel campo di combattimenti del 1918 scappa oltreconfine. Si lavoro di Bogucerva, nei pressi di Tula, cittadina rifugia a Lubiana e farà ritorno a casa solo dopo a pochi chilometri a sud di Mosca. In seguito la fine della guerra via Marburgo. Nel dopoguerra ai disordini esplosi in Russia nell’ottobre 1917, diventa parroco. Tra il 1946 e il 1958 è parroco viene liberato e al seguito della Missione Militare a Piedicastello, rione di Trento. Lì si avvicina Italiana per i Prigionieri di Guerra si sposta a Tien- agli ambienti socialisti. E’ amico dei fratelli Tsin, in Cina. Lì si arruola come volontario nel Menestrina, anch’essi socialisti e di Enrico Cagol, 1°Reggimento Artiglieria da Montagna facente detto “Ricco”, dipendente del comune di Trento parte del Corpo di Spedizione Italiana in Estremo che con lui ristruttura una baracca dismessa Oriente. Il 21 novembre 1918 Giovanni parte per del Genio Militare per farne sede di rione dei la Siberia, destinazione Krasnojarsk, città sita sul socialisti e comunisti. Durante il suo servizio in fiume Jenisej, e lì rimane fino al 6 agosto 1919, città diventa il parroco della povera gente. Da data in cui riparte con la sua compagnia verso qui il soprannome “Don Camillo”. Muore il 30 Vladivostok. Nell’estremo porto orientale della gennaio 1973. Russia, lui e la sua compagnia avrebbero dovuto imbarcarsi sulla nave che li avrebbe riportati a casa. Ma giunto ad Harbin, in Manciuria, rice l’ordine di deviare verso Tien Tsing, da dove riparte nel novembre del 1919, iniziando un lungo viaggio di ritorno verso l’Italia. Imbarcatosi a Tien Tsing il 25 novembre 1919 alle ore 5 del pomeriggio, arriva a Hong Kong e da qui riparte verso Singapore il 14 dicembre. Il giorno di Natale alle ore 10 di mattina, lascia Singapore in direzione dello Sri Lanka, dove arriva il primo gennaio 1920. Il 3 gennaio è di nuovo in partenza da Colombo (capitale dello Sri Lanka) e dopo

80 Cartolina postale per il prigioniero di guerra Giovanni Pancheri di Romallo – Privato

81 Comunicare la Grande Guerra. Stampa, corrispondenza e propaganda

A cura di Nadia Simoncelli

Casa Campia, Revò Enrico Moggio - FMST Disegno , Fondo

82 Comunicare la Grande Guerra. Stampa, corrispondenza e propaganda Nadia Simoncelli

INTRODUZIONE

La stampa, la corrispondenza e la propaganda costituiscono un tassello fondamentale per lo studio e la comprensione dei processi socio-culturali che hanno caratterizzato la storia della Grande Guerra, un patrimonio fondamentale e un mezzo indispensabile per accedere alla storia delle mentalità e delle culture dei popoli che furono coinvolti nel conflitto. È proprio con la Prima guerra mondiale che, per la prima volta, l’espressione e la manipolazione dell’informazione diventano di massa e piegano i mezzi di comunicazione alle ragioni belliche degli Stati coinvolti. Questa sezione mira a ricostruire la mentalità e la cultura propria dei trentini coinvolti e travolti dal conflitto in patria e nel Regno d’Italia. Fra le nuove armi messe in campo dagli eserciti delle nazioni belligeranti durante la Grande Guerra, la meno convenzionale assunse fin da subito un ruolo determinante: a partire dall’estate 1914 la propaganda divenne un importante strumento per mobilitare con i principali mezzi di comunicazione dell’epoca (dalla stampa ai manifesti, dalle cartoline illustrate al cinematografo) tutte le risorse a scopi bellici, sia al fronte che tra la società civile, segnando in maniera indelebile il modo di vivere e di pensare di milioni di persone. Con la dichiarazione di guerra alla Serbia, seguita al clamoroso attentato di Sarejevo, l’Austria intraprese fin da subito un’acerrima battaglia propagandistica all’estero e attivò al proprio interno ampie strategie Cartolina natalizia illustrata - FMST di consenso. L’Italia, invece – rimasta neutrale fino al maggio 1915 – si dimostrò a lungo impreparata a svolgere questo tipo di lotta, che affrontò con maturità e larghezza di mezzi solo nel 1917, dopo la disastrosa rotta di Caporetto1.

I DUE VOLTI DELLA CENSURA

La censura militare, con il suo rigidissimo sistema di accreditamento dei corrispondenti, e quella civile, che esigeva la consegna quotidiana delle bozze ai commissariati di polizia, resero impossibile sia per i privati cittadini sia per le testate giornalistiche più note l’espressione di un dissenso al conflitto. In tutti i paesi belligeranti le autorità militari provvidero a emanare leggi e bandi relativi alla censura, in cui venivano specificate tutte le informazioni non previste dalla legge.

1 Porcedda 1991: 95-125.

83 1917. Prima pagina del giornale «La Domenica del Corriere»

84 Cartolina postale con timbro della censura - FMST

LA STAMPA IN TEMPO DI GUERRA di Denno e i suoi commilitoni, scritta l’11 aprile e pubblicata dal quotidiano il 13 maggio: Fra le legislazioni speciali entrate in vigore durante la guerra nei territori asburgici, quella sulla stampa, «Trovandoci qui uniti alcuni tirolesi italiani saressimo a che prevedeva la sospensione in tutto il Tirolo pregare questa spett.Redazione onde volesse a mezzo italiano dei liberi periodici scritti in lingua italiana, pregiato suo giornale “Risveglio” far partecipe alle nostre pose freno alla relativa libertà d’informazione famiglie, parenti e amici che noi godiamo di buona esistente in tempo di pace. salute, e che per le prossime feste pasquali inviamo loro Così, tra l’agosto 1914 e il maggio 1915 cessarono i migliori auguri nonché cordiali saluti! Al Signor Direttore la loro attività alcuni dei principali quotidiani inviamo pure i nostri più distinti saluti e le desideriamo trentini: «Il Popolo» di Cesare Battisti, «Il Trentino» una felice e buona Pasqua. Ringraziando anticipamente di orientamento cristiano-sociale e «L’Alto Adige» ci segnamo. Devotissimi: Luigi Zadra di Dardine, Celeste di orientamento nazional-liberale. Anche «Il Paoli di Denno, Urbano Baruchelli di , Giuseppe Risveglio Tridentino», tra i quotidiani più letti dai Icapo di , Alfondo Linardi di , Silvio trentini e dagli abitanti della Val di Non, passò Valcanover di Castagnè, Ferdinando Nardelli di , sotto il controllo dell’autorità militare cambiando Nicolò Dellantonio di Predazzo, Silvio Bottega di Levico, radicalmente indirizzo. Alberto Floriani di , Giuseppe Vadagnini di , Dal 1915, anno dell’entrata in guerra dell’Italia, il Gustavo Rossi di Centa, Luigi Furlani di Bronzolo, quotidiano cambiò anche il sottotitolo mutandolo Domenico Carlini di Viarago, Giuseppe Marcolla di in «Giornale della I.R. Fortezza di Trento». In Zambana, Primo Baldessarini di , Quirino Bruni occasione delle festività natalizie e pasquali, il di Avio, Simonce Defrancesco di Moena, Emilio Corsetti giornale ospitava le lettere d’augurio dei soldati, di Turano, Beniamino Valer di , Vito De Paol di enfatizzate come segno di patriottismo. Ne è Pera di Fassa». (Tratto da «Il Risveglio Tridentino» del 13 un esempio la lettera collettiva di Celeste Paoli maggio 1915).

85 Postkarte, Fondo Enrico Moggio - FMST

86 Dal 20 maggio 1916 al 2 novembre 1918 «Il Risveglio Tridentino» diventò «Risveglio austriaco». Il nuovo giornale, privo di concorrenti e con un notiziario di guerra in lingua tedesca, salì nel giro di pochi mesi da 3.000 a 10.000 copie di tiratura. Al suo interno venivano pubblicati puntualmente gli interventi dei deputati trentini al Parlamento di Vienna, le cronache della Conferenza internazionale Socialista e e vi trovavano spazio ancheanche articoli di critica ai pangermanisti2. Con l’affermarsi in tempo di guerra della stampa d’informazione autorizzata, i pochi giornalisti che in Trentino vollero mantenere la libertà di stampa vennero isolati da quelli che si militarizzarono e credettero nel proprio compito d’indottrinamento. Di conseguenza la popolazione non fu mai correttamente informata dalle notizie che venivano diffuse dai giornali dell’epoca: le masse non conobbero mai la verità della guerra e molti, di questo, ne erano consapevoli. Questo provocò diverse forme di opposizione alla discesa in guerra da parte dei richiamati e non fece che aumentare negli anni episodi di insubordinazione e scioperi anche tra la società civile. Tra i periodici scritti per i fuoriusciti trentini nel Regno d’Italia, il più letto e apprezzato fu invece «La Libertà», settimanale della Commissione dell’emigrazione trentina sorta nell’ambito del Circolo Trentino, fu sicuramente il più letto e apprezzato. Scopo del giornale, infatti, era l’informazione dal Trentino, grazie a un servizio di corrispondenti che scrivevano dall’estero e agivano in conformità degli ideali di Cesare Battisti.

LA CENSURA PREVENTIVA SULLA STAMPA

A partire dal 1914 nel Tirolo italiano la stampa d’informazione fu sottoposta a una censura che durò tutto il periodo della guerra. Al vertice dell’intero apparato c’era l’Ufficio per la sorveglianza della guerra (Kriegsüberwachungsamt), un organismo che si trovava alle dirette dipendenze del Ministero degli interni. I suoi compiti consistevano nel diffondere le direttive generali sulla censura e nel coordinare fra loro censura postale, telegrafica e periodica nonché, dall’autunno 1915, nell’organizzazione di una conferenza stampa ufficiale giornaliera sulla situazione della guerra e sullo stato generale della Monarchia. Nel corso del conflitto tutte le notizie vennero filtrate ed opportunamente dirette ad ottenere il consenso alla politica bellica. Con l’entrata in vigore delle disposizioni d’emergenza del Ministero degli interni, gli editori dell’Impero austro-ungarico furono obbligati a consegnare in via preventiva un esemplare presso le autorità competenti all’esercizio della censura: i Commissariati di polizia (Polizeikommisariat) o gli Uffici dei Capo distretto (Bezirkhauptmannschaft). In questi uffici veniva svolta la censura vera e propria su delega della Procura di Stato per gli affari della stampa (Staatsanwaltschaft für Presseangelegenheiten) a cui la censura spettava per legge. Per evitare il danno economico derivante dalla distruzione delle copie esemplari, si consolidò ben presto l’abitudine di consegnare ai censori (sempre in via preventiva) la bozza del giornale da cui i passaggi proibiti venivano rimossi, lasciando le inconfondibili striscie bianche. Eliminando tutte le idee e le frasi in contrasto con il pensiero ufficiale, la censura svolse non solo in Austria ma anche in Italia una funzione di controllo ma anche un’importante ruolo di propaganda.

CENSURA E AUTOCENSURA NELLA CORRISPONDENZA DAL FRONTE

Negli anni del conflitto la corrispondenza rappresentò l’unica forma di comunicazione aperta atutti, anche a coloro che non sapevano scrivere o leggere e lo facevano con l’aiuto dei commilitoni. Il battesimo di fuoco, infatti, ha significato per molti anche il battesimo della penna. In questo senso la Grande Guerra fu un eccezionale laboratorio di pratica di scrittura per milioni di soldati, anche quelli scarsamente alfabetizzati. In realtà, in tutto il Trentino, e in particolare in Val di Non, dalla seconda metà del XIX secolo, e con crescente intensità tra la fine dell’Ottocento e il 1914, i fenomeni migratori avevano già favorito l’ingresso nell’universo della scrittura di uomini e donne comuni. Tuttavia lo scoppio del conflitto ha contribuito a imprimere a chi già era stato spinto dalla lontananza a prendere confidenza con la matita o il pennino, una grandissima accelerazione nella diffusione della pratica della scrittura. Nella condizione

2 Giovannini 2003: 419-437.

87 1915. Cartolina disegnata da Romedius Sinn, fondo Enrico Moggio - FMST

88 di limite imposta dalla guerra, masse di contadini IL CODICE FELDPOST hanno potuto confrontarsi con l’uso scritto e attivo della lingua parlata (quella italiana), in maniera Durante la guerra, per quanto riguardava i simultanea3. La frequenza con cui i soldati partiti soldati dell’esercito austro-ungarico, il servizio per il fronte scrivevano a casa è la dimostrazione postale era garantito da militari a questo adibiti di quanto fosse urgente la necessità di scrivere in uffici postali “mobili” o “volanti”, che seguivano e riscrivere i propri pensieri. Spesso e volentieri i il reparto cui erano assegnati nei suoi vari soldati della Val di Non utilizzavano vocaboli propri spostamenti sul fronte. della vita rurale per descrivere nelle loro lettere La Feldpost, ossia la “posta militare”, assegnava eventi inediti riconducibili in qualche modo alla a ognuno di questi uffici postali mobili un codice, propria esistenza. La maggioranza di loro era così il Feldpostnummer, che permetteva di tracciare estranea agli ideali e alle ragioni della guerra che la tutta la posta relativa a un dato reparto e alla accettava con rassegnazione, come se si trattasse zona in cui era operativo. Ogni invio di posta K.u.K. di un evento voluto da un destino ineluttabile e dalla madrepatria iniziava il suo viaggio dai punti imperscrutabile, obbedendo a ordini che non si di raccolta postali, nei quali la posta per il fronte potevano rifiutare. veniva divisa a seconda della destinazione. Di qui, Ricorrono poi in alcune epistole anche parole la posta veniva portata agli uffici postali entrali, tratte dalla retorica patriottica, usate come generalmente localizzati in punti strategici e di giustificazione, unica e sensata, di fronte alla passaggio come gli snodi ferroviari. A quel punto probabilità della morte e del dolore di non rivedere le lettere prendevano la via dei vari corpi o divisioni più la propria terra e la propria famiglia. Il ricorso o uffici postali da campo, dai quali venivano ad un frasario in stridente contrasto con i codici consegnati ai comandi e alle truppe. La posta dal espressivi comunemente utilizzati si spiega fronte seguiva naturalmente la via contraria. con l’urgente necessità di ricondurre gli aspetti Per garantire la consegna e la velocità dello destabilizzati dell’esperienza di guerra all’interno smistamento, esistevano regole precise per di un quadro di senso, nel tentativo di esorcizzare compilare le cartoline in franchigia, cioè senza lo smarrimento e la paura che accompagnavano francobollo: a sinistra in alto nome e indirizzo del la dura vita in guerra. L’utilizzo di parole e slogan mittente, in alto a destra la dicitura Feldpost; al della retorica nazional-patriottica, conosciuti per centro andava indicato l’indirizzo del destinatario o via della battente campagna propagandistica in basso a destra il numero dell’ufficio postale da introdotta dall’Austria e dall’Italia, specialmente campo (Feldpostamt) o di riferimento. Durante le dopo Caporetto, si rivela un formidabile strumento prime fasi del conflitto queste indicazioni vennero per misurare il coinvolgimento delle masse nella pubblicate su diversi quotidiani e vennero stampate politica bellicista. anche delle cartoline-modello. La scrittura diventa in questo senso anche uno La dicitura Feldpost o Feldpost-Korrespondenzkarte strumento di controllo sociale a favore della classe o Tabori postai levelezölap (in ungherese) era dirigente, un canale attraverso cui consolidare il particolarmente importante per le lettere che consenso passivo che però, nel caso dei nonesi partivano da casa, perché permetteva di spedire e degli altri italiani d’Austria, non riesce sempre a senza affrancare la corrispondenza fino a un peso determinare un’adesione convinta e collettiva agli di 100g. ideali della guerra. Per questo motivo la censura Il servizio postale militare dell’Impero austro-ung- venne applicata anche alla corrispondenza dei arico venne usato massicciamente fin dall’inizio soldati e fu chiamata “censura di trincea”4. Chi del conflitto. Si stima che tra il 1914 e il 1918 ven- non rispettava queste prescrizioni rischiava la nero spedite in ogni giorno di guerra ben 9 milioni condanna al carcere militare. di corrispondenze tra i soldati asburgici al fronte e le loro famiglie. Il numero di cartoline in franchigia stampate nella parte austriaca dell’impero fu di 655.696.314 pezzi. In totale, circa 827.318.514, 3 Sul concetto di Grande Guerra tra modernizzazione e tra le quali 63.681.664 pezzi delle cartoline pres- scrittura si veda si veda Gibelli 1998. tampate plurilingue con la scritta “Sono sano e sto 4 Spitzer 1976: 225. bene” (Ich bin gesund und es geht mir gut).

89 Ritratto di Cornelio Nebl, pilota del Kommando Feldpost, 1915 – Fondo Famiglia Nebl

90 Il codice Feldpost relativo al fronte italo-austriaco era il 221: l’ufficio corrispondente venne creato nel febbraio 1915 e rimase attivo fino al settembre 1918. Ne esistevano anche alcune varianti (221, 221/I, II; 221b nel giugno 1917). Il codice nr. 611 si riferiva invece all’area del Tonale e fu attivo dal gennaio 1915 all’ottobre 1918. Con lo spostarsi del fronte durante il conflitto si rese necessario occuparsi anche dei servizi postali per i civili residenti nei paesi occupati (Italia, Serbia, Montenegro, Romania). La posta civile, a differenza di quella militare necessitava di affrancatura, vennero quindi emessi dei francobolli con dicitura Feldpost, a volte sovrastampati con il valore in moneta locale o indicazioni geografiche, oppure venivano sovrastampati i francobolli standard.

SCRIVERE PER NON MORIRE

Tra il 1914 e il 1918 è stato stimato che in totale transitarono da e per il fronte circa quattro miliardi di corrispondenze, con una media di circa due milioni e settecentomila invii al giorno5. Le autorità, ben consapevoli dell’importanza di mantenere soldati e famiglie in comunicazione per il morale sia delle truppe che del fronte interno, fecero il possibile per facilitare lo scambio, negli anni di guerra, delle missive, senza dimenticare di fornire indicazioni sui contenuti e di esercitarvi la censura. La tenacia con cui i soldati cercavano di rimanere ancorati al loro mondo attraverso la scrittura si riverbera nei riferimenti, precisi e circostanziati, agli affari di famiglia e al lavoro. Al fronte i militari ricevevano da padri, madri, mogli e fratelli notizie sull’andamento dei prezzi, sulle trattative per l’acquisto di vacche, sul raccolto della frutta e del grano, soffermandosi anche sui minimi dettagli. Ma l’aspetto che più frequentemente si ritrova nella corrispondenza dei combattenti, raccontato spesso senza mediazioni, riguarda la quotidianità della vita del soldato. L’attività di scrittura per la corrispondenza svolse una funzione terapeutica per i soldati: diventò uno strumento di sopravvivenza che servì ad allontanarli dagli orrori della guerra, offrendo un rifugio momentaneo negli affetti di casa, nei ritmi della vita di comunità da cui si erano staccati per andare in guerra. Si scriveva per non morire, per sentirsi vivi nel testimoniare ai cari lontani, attraverso l’indicibile, la propria esistenza di vita6. Sofferenze e privazioni erano descritte dai soldati con parole nude e crude che spesso e volentieri erano filtrate dall’autocensura. Non c’erano parole giuste per descrivere la guerra di trincea, ma molti tentarono in ogni modo di trovarle per descrivere il tormento del fango e del freddo, la sporcizia, la difficile convivenza con commilitoni di lingua ed etnia diversa, l’angustia dei pidocchi e dei topi, lo strazio delle marce sotto il sole e con la neve. Per garantire ai soldati un mezzo di comunicazione gratuito con parenti e amici, i Comandi supremi dell’esercito fecero diffondere delle cartoline in franchigia senza propaganda. Su ambo i lati di queste cartoline i soldati ci tramandano un’impressione a caldo di una guerra fatta di progressivo imbruttimento, generato dall’essere costretti a vivere rintanati in stretti e tortuosi cunicoli scavati nella roccia, nel ghiaccio e nel fango. Sofferte, sgrammaticate e dalla grafia incerta, ci conducono brevemente attraverso uno straordinario viaggio nel tempo alla scoperta di una guerra vista come esperienza privata, fatta di tante singole storie di individui uniti nella stessa sorte, provenienti da uno stesso microcosmo fatto di riti, usanze e tradizioni comuni, i cui tempi di vita sono scanditi dalla natura e i cui orizzonti sono contraddistinti dalla cultura dialettale e dalla dottrina cattolica7.

5 Caffarena 2005. 6 Croci 1992. 7 Sulle testimonianze scritte dei soldati nella Grande Guerra si rimanda alla lettura dei lavori di Q. Antonelli, Storia intima della Grande Guerra. Lettere, diari e memorie dei soldati al fronte, Roma 2014 e A. Gibelli, La guerra grande. Storie di gente comune, Roma-Bari 2015.

91 facevano maggiormente leva: il patriottismo e la convenienza economica. I soggetti rappresentati e i messaggi che li accompagnavano svelavano quali fossero i destinatari privilegiati della campagna propagandistica: da una parte i soldati chiamati a svolgere il proprio dovere di difesa della Patria, dall’altra le donne, chiamate in causa e “responsabilizzate” sia come custodi dei risparmi familiari che come madri, mogli, figlie dei soldati al fronte. La propaganda di guerra, in questo senso, fu un campo di innovazione e di sperimentazione in grado di fornire il terreno fertile per trasformazioni sociali di grande portata, che non si sarebbero esaurite con il ritorno alla pace.

LE CARTOLINE ILLUSTRATE

Le cartoline illustrate furono uno dei mezzi più utilizzati dalla propaganda di guerra per i seguenti motivi: i bassi costi, la facilità di riproduzione, l’immediatezza della visualizzazione, il passaggio in più mani intermediarie del mittente al destinatario, il flusso enorme che raggiunsero nel corso della guerra, il fatto che erano il mezzo postale preferito dai soldati (scrivere era molto faticoso, il tasso d’istruzione era basso e alta era invece la percentuale di analfabetismo tra le truppe). Allo scoppio del conflitto le cartoline con frasi e Cartolina natalizia illustrata - Fondo Fabio illustrazioni propagandistiche furono stampate Simoncelli soprattutto da editori privati. Accanto all’editoria privata, comitati, enti, e industrie stamparono e PAROLE E IMMAGINI COME ARMI: GLI STRUMENTI diffusero o vendettero una notevole produzione DELLA PROPAGANDA di cartoline per devolvere il ricavato a opere assistenziali a favore dei soldati, come la Croce La propaganda di guerra in Austria-Ungheria Rossa. Nel Regno d’Italia, dal novembre del 1917 e in Italia diventò parte integrante dell’attività anche le Armate, con il contributo del Comando bellica negli ultimi anni del primo conflitto Supremo, stamparono cartoline in franchigia con mondiale (in particolare nel 1917, quando si numerose immagini di propaganda; ciò suscitò determinò il passaggio tra la “guerra del fronte le proteste dei soldati per lo spazio troppo di combattimento” e la “guerra totale”). Essa stretto riservato alla corrispondenza. Nel mese dapprima si rivolse al fronte interno, al soldato, di giugno del 1918 fu necessario regolamentare poi al nemico, ai combattenti, in seguito alla la distribuzione delle cartoline con una circolare: nazione intera per finire con l’estendere il suo il soldato aveva diritto ogni settimana a tre raggio d’azione all’opinione pubblica avversaria e esemplari in franchigia, che lasciavano più spazio internazionale. Quindi si proiettò sui combattenti e alla scrittura, e a due di propaganda. In genere le sulle popolazioni civili con tutte le tecniche (orali, raffigurazioni, realizzate da disegnatori esperti delle scritte e visive) e utilizzando tutti gli strumenti redazioni delle locandine dei quotidiani, recavano i allora disponibili. Gli strumenti della propaganda momenti principali delle battaglie. furono i più svariati: manifesti, locandine, cartoline, Tra i tanti temi scandagliati dalle cartoline di guerra, vignette, opuscoli, volantini e francobolli. Due un posto non secondario ebbero quelle di satira gli elementi su cui i messaggi di propaganda politica che si affidavano – come le vignette delle

92 1918. «La Tradotta»

93 riviste umoristiche – alla caricatura, al disegno grottesco e irriverente per diffondere i loro incisivi messaggi. Negli esemplari di produzione austro-ungarica, raramente oggetto di esposizione in Italia, l’oggetto della satira è molto spesso il Regno d’Italia, doppiamente “traditore” perché uscito dalla Triplice Alleanza che lo legava ad Austria e Germania fin dal 1882 e perché aveva mire territoriali fino al Brennero, su terre tedescofone e italofone8. Ma la vera novità introdotta con la Grande Guerra, in questo ambito, sta nell’aver affiancato alle cartoline in franchigia con illustrazioni e moniti patriottici che incitavano all’arruolamento, demonizzavano il nemico o esortavano le donne a un maggiore impegno nella famiglia e nella società civile, le cartoline edite dagli istituti di credito o altri enti per propagandare i prestiti di guerra. Così accadeva che nelle cartoline, insieme ai saluti, agli abbracci e a brevi pensieri da parte dei famigliari, venissero recapitati messaggi propagandistici più o meno espliciti. Si trattava di un approccio nuovo per raccontare un fenomeno tanto complesso quanto spaventoso come la Prima guerra mondiale.

I MANIFESTI

Nei primi mesi di guerra, i manifesti furono utilizzati soprattutto per diffondere bandi e ordinanze alle truppe e alla popolazione, successivamente vennero impiegati anche per la propaganda pura e in favore della sottoscrizione di prestiti di guerra. Sia in Austria che in Italia i manifesti di pura propaganda fecero ricorso più alle parole che al disegno, in quanto con la coscrizione obbligatoria non c’era nessuna necessità di sollecitare gli uomini con immagini forti e persuasive per indurre agli arruolamenti, a differenza per esempio dell’Inghilterra che invece poteva contare solo sugli arruolamenti volontari e dovette ricorrere fin da subito alla forza della suggestione pittorica abbinata alla persuasione degli slogans dei cartelloni per spingere i sudditi a prendere le armi. Nei manifesti scritti di propaganda pura, gli autori scoprirono il valore della grafica ed elaborarono caratteri tipografici, forme, colori e segni, combinandoli tra loro in modo da attirare da lontano lo sguardo del lettore. Lo stile linguistico utilizzato era imperativo e conciso, quindi più efficace.

LA PROPAGANDA PER I PRESTITI DI GUERRA

Grazie alle illustrazioni sui manifesti, la propaganda per i prestiti diede una risposta massiccia al richiamo patriottico e alla richiesta di solidarietà invocati nei confronti dei civili. Tale mobilitazione dell’opinione pubblica fruttò alle casse degli Stati belligeranti cifre cospicue se raffrontate con le disagevoli condizioni economiche delle nazioni in guerra. Accantonata l’ipotesi di un pesante inasprimento fiscale, lo Stato italiano e quello austriaco decisero di puntare sul debito pubblico e sulle anticipazioni da parte degli istituti di emissione. Nati come strumento prettamente finanziario, i prestiti si trasformarono ben presto in un vero e proprio strumento di mobilitazione culturale e patriottica. In Italia ciò è vero soprattutto a partire dal terzo prestito, quello del gennaio 1916. E non è un caso che proprio a partire da quel momento iniziasse anche una sistematica e strutturata azione di propaganda a favore della sottoscrizione. L’“operazione patriottica” fu inizialmente affidata ai diversi istituti bancari, enti, associazioni, che spesso non esitarono a rivolgersi ad artisti di fama perché mettessero a disposizione la loro arte per la riuscita della campagna propagandistica. Il primo prestito italiano venne emesso nel gennaio del 1915, e dunque quando l’Italia era ancora neutrale: si trattava di un prestito “nazionale”, non ancora “di guerra”, anche se chiara ed esplicita ne era la destinazione a favore del rafforzamento delle forze armate. Alla fine della guerra i prestiti italiani emessi furono in totale cinque (dal gennaio 1915 al gennaio 1918, con tassi variabili dal 4,50% del primo al 5,50% dell’ultimo), a cui se ne aggiunse uno nell’immediato dopoguerra, per finanziare la ricostruzione. Per finanziare il 60% dei 20 miliardi di corone spesi per lo sforzo bellico (grossomodo corrispondenti all’intero prodotto interno lordo del 1914), lo Stato austriaco ricorse invece a ben 8 prestiti di guerra. I certificati venivano emessi in forma di titoli a interesse fisso da obbligazioni, vietando contemporaneamente la detenzione di qualsiasi altro titolo. Quelli del 1915 furono riconosciuti anche dal Tesoro italiano. Terminata la guerra l’Austria non fu tuttavia più in grado di restituire il denaro

8 Brilli 1985.

94 Cartoline illustrate di propaganda austriaca e italiana - FMST

95 ai creditori. Per la produzione di manifesti per Prima Armata, letto già all’inizio della guerra la propaganda destinata a sostenere i prestiti anche in Alta Val di Non. Il Soldaten-Zeitung fu il di guerra (i cui stessi soggetti furono anche primo giornale destinato sia al pubblico militare sfruttati per realizzare le cartoline dei prestiti), i che a quello civile. Nato dall’esigenza dei singoli disegnatori rivolsero la loro attenzione soprattutto Comandi d’armata austro-ungarici di organizzare sulle illustrazioni che erano sapientemente iniziative autonome di propaganda per le truppe, ricollegate alla situazione del momento: dall’invito aveva l’obbiettivo di dare ai soldati, prima che le al risparmio e alla sottoscrizione dei prestiti per le pause invernali potessero spingerli e cercarle da necessità belliche alla lusinga dei profitti che ne soli, il maggior numero di informazioni sulla guerra, sarebbero derivati, dalla richiesta di aiuti concreti accuratamente filtrate e addomesticate in ottica per abbreviare le sofferenze dei combattenti patriottica. all’intimidazione che la Patria potesse perdere la Non sono purtroppo reperibili informazioni riguardo guerra senza i prestiti, dall’accento lacrimevole di a chi materialmente si occupasse della stesura. È orfani e vedove alla severa accusa del dito puntato molto probabile comunque che nella Prima Armata, del fante o della stampella del mutilato. come nelle altre, operasse un piccolo gruppo di ufficiali, che nei ritagli di tempo si occupava di I GIORNALI DI TRINCEA spulciare i giornali e i dispacci d’agenzia per tenere il Comando sempre aggiornato sulla situazione Mentre la stampa d’informazione nazionale aveva militare: una sorta di redazione che curava anche il compito di informare quotidianamente il Paese la stampa di un giornale per le truppe. sull’andamento della guerra, rivolgendosi a un Il giornale era gratuito e destinato esclusivamente vasto pubblico di cittadini, i giornali di trincea ai militari. Oltre all’edizione in tedesco, ne ebbero l’unico intento di dialogare con il soldato esistevano altre tre in lingua polacca, ungherese al fronte. Le redazioni di questi giornali erano e boema. Nella breve ma complessa esistenza di composte esclusivamente da militari o giornalisti questa testata si possono distinguere tre periodi. in uniforme e gli articoli, più che informare, Il primo, dalla fondazione (giugno 1915) al Natale tendevano a svolgere azione di propaganda, dello stesso anno, in cui il giornale fu una semplice talvolta anche in chiave umoristica, avvalendosi di riedizione del «Soldaten-Zeitung der k.u.k. Ersten aneddoti, barzellette, rime, racconti e soprattutto Armee», cioè un giornale pseudo informativo illustrazioni. Tra i giornali di trincea italiani si compilato mettendo in sequenza bollettini ufficiali e ricordano in particolare il Trentino, con il sottotitolo ritagli di giornale, destinato soprattutto agli ufficiali. di Servite patriae in laetitia, Cecco Beppe, redatto Il secondo, dal Natale del 1915 al luglio del 1916, da soldati milanesi, La Trincea, La Ghirba, giornale in cui il giornale si trasformò in un supplemento per i soldati della 9° Armata, e La Tradotta. La letterario e divenne luogo di espressione Tradotta nacque dopo Caporetto, nei primi mesi relativamente autonomo della società tirolese, sia del 1918 quando il colonnello Ercole Smaniotto, di quella delle trincee sia di quella delle retrovie. Il capo dell’Ufficio Propaganda della Terza Armata, terzo, in cui il giornale funzionò come strumento di incaricò il sottotenente Renato Simoni, critico propaganda irredentista10. teatrale del Corriere della Sera, di organizzare l’uscita di un settimanale illustrato per i soldati. VOLANTINI E MANIFESTINI Rapidamente divenne il giornale per i soldati più popolare, tant’è che continuò ad essere pubblicato La definizione di “mezzo illecito”, contenuta nella anche dopo l’armistizio e la pace con l’Austria- circolare del Reparto Operazioni n. 634 del 19 Ungheria. Nell’impero asburgico, e dunque anche giugno 1915, denota come al Comando Supremo nell’odierno Trentino Alto-Adige, fino al 1918 italiano la guerra dei volantini colse di sorpresa i questo tipo di pubblicazioni circolarono in numero vertici militari austriaci. I soldati austro-ungarici assai limitato e con tiratura circoscritta al reparto subivano un continuo bombardamento psicologico militare di cui erano espressione, ad eccezione attraverso i foglietti nemici; i provvedimenti del bolzanino Soldaten-Zeitung9, il giornale della conservata una serie quasi completa del foglio. 9 Presso l’Östa (Österreich Staadtsarchiv di Vienna) è 10 Murgia 2008-2009.

96 Gabriele D’Annunzio si appresta a lanciare i volantini su Vienna, 1918 - FMST adottati per combattere la propaganda avversaria per tipo e fu ripartita equamente tra i soldati italiani avevano scarsa efficacia, in quanto si limitavano e quelli nemici. Il mezzo più utilizzato per diffondere a disposizioni che miravano a impedire la i volantini fu l’aereo. I piloti furono spesso costretti circolazione di volantini fra le truppe. Anche i a voli straordinari per effettuare “bombardamenti primi manifestini messi in circolazione al fronte dal senza vittime”. E fu proprio l’aereo a lanciare i Comando militare austriaco furono concepiti solo manifestini su Vienna nell’agosto del 1918. Fu per tenere salda la disciplina con minacce di dure questo l’atto propagandistico più eclatante di sanzioni. tutta la sulle truppe per informarle e incitarle alla Nel Regno d’Italia nella primavera del 1916 fu saldezza morale e alla certezza della vittoria; avvertita la necessità di produrre adeguatamente propaganda sul nemico per debilitarne lo spirito. manifestini da far circolare tra le truppe, per contrastare la propaganda avversaria che forniva GLI OPUSCOLI false notizie sugli avvenimenti in Trentino e per far loro conoscere i successi italiani. L’azione dei Gli opuscoli di propaganda furono editi a migliaia, volantini fu sviluppata in tre direzioni: propaganda in milioni di esemplari, ed erano diretti a seconda combattivo; contropropaganda sulle truppe e sul dei contenuti a mobilitare l’opinione pubblica, a nemico, per controbattere tempestivamente ed sollecitare prestiti, a essere di conforto spirituale efficacemente l’azione di propaganda avversaria. e morale per il soldato. In Trentino gli opuscoli Fino all’ottobre del 1917 i volantini destinati a comparvero prima del 24 maggio 1915, per essere lanciati sulle linee nemiche in Trentino e promuovere l’intervento in guerra dell’Italia e nelle altre terre irredente furono molti di più di quelli continuarono a essere pubblicati anche dopo la stampati per il soldato italiano. In media di ogni guerra, alimentando così le polemiche suscitate volantino si stampavano 36.000 copie, distribuite dalla pretesa sovranità e italianità di terre irredente fra le Cinque Armate. Nel 1918 la produzione di non concesse. Gli opuscoli circolanti in Trentino manifestini in Italia aumentò fino a 350.000 copie durante la Grande Guerra ebbero sia vesti

97 tipografiche povere che edizioni di lusso; furono composti di poche o centinaia di pagine e furono editi nei formati più svariati (da dimensioni tascabili a quelle adatte a un giornale); scritti e illustrati con disegni, fotografie e bozzetti a seconda dell’alfabetizzazione dei lettori cui si rivolgevano; anonimi o difirme famose, furono sovvenzionati da enti pubblici e privati. Nei testi vennero utilizzati tutti i generi letterari per la facile comprensibilità alle masse poco colte e convincerle sulla bontà e sulla necessità della guerra e dei prestiti.

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Spitzer, Leo 1976, Lettere di prigionieri di guerra italiani 1915-1918, Boringhieri, Torino.

98 Cartolina di propaganda austriaca - FMST

99 100 Manifesto di propaganda austriaca - FMST 101 Quell’elettrica scossa. Arte e Grande Guerra.

A cura di Lucia Barison e Marcello Nebl Casa de Gentili, Sanzeno

102 Quell’elettrica scossa - Arte e Grande Guerra, a cura di Lucia Barison e Marcello Nebl, è la sezione dedicata alle arti figurative all’interno del vasto progetto espositivo sovracomunale intitolato Val di Non. Sguardi sulla Grande Guerra.

La sezione ospitata a Sanzeno indaga il rapporto tra Grande Guerra e arte, con particolare attenzione al contesto trentino.

Nelle tre sezioni organizzate il visitatore può apprezzare e conoscere espressioni diverse e molteplici che vanno dalle opere drammatiche e sospese dei pittori di guerra al fronte, i fratelli Albert e Rudolf Stolz, passando per le vedute paradossalmente idilliache di un artista “di guerra” operante in Val di Non durante il periodo bellico, il soldato ucraino Theodor Wacyk, fino all’interpretazione contemporanea di grandi artisti del panorama artistico nazionale, europeo e mondiale che da alcuni anni si confrontano sul tema grazie alla sensibilità di galleristi come Giordano Raffaelli e Patrizia Buonanno. Quest’ultima sezione, curata in collaborazione con Camilla Nacci, rappresenta una selezione di opere dall’esperienza decennale di Arte Forte e delle esposizioni di Forte Strino, nate per stimolare gli artisti contemporanei a rapportarsi con il tema tragico della guerra e con i suggestivi ambienti dei forti trentini. In mostra opere e installazioni di materiali e linguaggi differenti, alcune delle quali eseguite appositamente per la mostra.

103 Theodor Wacyk Veduta di Cles (part.) 1915 circa tempera su tavola, 24x33 cm Collezione Famiglia Marchesi

104 Theodor Wacyk: un pittore dell’esercito austroungarico in Val di Non durante la Grande Guerra Marcello Nebl

Durante la Grande Guerra la Val di Non è stata studi artistici recandosi prima a Vienna e a zona di passaggio di truppe e centro logistico, Monaco e infine a Venezia, dove risiede dal vista la vicinanza con le zone drammaticamente 1910 al 1914. Allo scoppio della Prima guerra calde dell’Adamello. mondiale l’artista si arruola come volontario L’Anaunia non è stata quindi terreno di scontri nell’esercito austroungarico e viene inviato in diretti e in questo specifico contesto, per così Trentino, sul fronte italiano. Le opere dipinte nel dire ‘risparmiato’, la cosiddetta arte di guerra, periodo bellico delineano la sua permanenza in ben rappresentata in mostra dall’operato dei Val di Non, nelle caserme site a Cles, borgata fratelli Stolz sul fronte nei pressi del Garda, di che ritrae in una tempera su cartone di 24x33 fatto non è esistita. cm databile al 1915 grazie al confronto con In valle, nelle file dell’esercito austroungarico, fotografie d’epoca. durante il conflitto sono comunque presenti Oltre alla citata veduta di Cles, ritratta con rapide due valenti artisti professionisti, l’austriaco Karl pennellate e colori estremamente vivaci, con Friedrich Gsur (Vienna, 1871 - 1939) e l’ucraino piglio espressionista, Wacyk dipinge numerose Theodor Wacyk (Kolodiivka, 1886 - Platting, vedute di castelli. Durante la permanenza 1968) che, a differenza dei loro colleghi attivi a Cles l’artista conosce Luigi Marchesi di al fronte, non raffigurano qui battaglie e trincee Rumo; quest’ultimo, grande appassionato ma dipingono vedute di castelli e scorci bucolici d’arte figurativa e pronipote di Giovanni della valle (si pensi alla veduta Cles di Gsur, olio Marchesi (1804-1835), uno dei massimi pittori su tela datato 8 agosto 1918).1 dell’Ottocento trentino, commissiona al Wacyk Karl Friedrich Gsur è artista noto e di notevole una serie di tempere su tavola, tutte della successo: su di lui esiste una ricca bibliografia, dimensione di 16x23 cm, con alcuni castelli delle a partire dalle pagine del Dizionario Biografico Valli di Non e di Sole (Castel Cles, Castel Thun, Austriaco curato dall’Accademia Austriaca delle Castel Bragher, Castel Sporo-Rovina, Castel Scienze e dal saggio di Liselotte Popelka.2 Sulla Nanno, Castel Valer, Castel Belfort, Rocca di figura di Wacyk esistono invece pochi studi Samoclevo). Non è possibile sapere se l’artista approfonditi; risulta quindi particolarmente abbia eseguito le immagini pittoriche dei castelli interessante la pubblicazione del belga Alphonse anauni attingendo a fotografie, o se abbia ritratto Bernard3 che ha permesso di ricostruirne il invece ‘dal vero’. percorso e di mettere in secondo piano, se non Nel 1916 Theodor Wacyk sposa Maria Battisti di addirittura accantonare, testimonianze orali che Fondo, dalla quale ha una figlia, Theodora, nata ricordavano l’artista in valle come prigioniero di a Bolzano l’11 marzo 1918. guerra. Al termine del conflitto Wacyk torna per un breve Theodor Wacyk nasce l’11 aprile 1886 nel periodo in Ucraina per combattere da volontario villaggio galiziano di Kołodziejówka (Kolodiivka), per l’indipendenza del paese. Al termine di nell’attuale Ucraina. Frequenta il ginnasio quell’esperienza disastrosa decide di rientrare a nella città di Tarnopol (Ternopil’) e, viste le Cles dove vive fino al 1924, lasciando alcune sue notevoli qualità pittoriche, nel 1904 si iscrive opere con ritratti su commissione. all’Accademia di Belle Arti di Cracovia, in Polonia. Separatosi dalla moglie Maria, lascia Diplomato nel 1909, decide di proseguire gli definitivamente la valle per trasferirsi prima in Cecoslovacchia e Moravia e poi, nel 1935, nella 1 Nebl - Iori 2004 sua Ucraina dove insegna disegno nelle scuole 2 Popelka 1981 locali e riscuote successo come frescante di chiese ortodosse. Qui si risposa con Margarethe 3 Bernard 2015

105 Anna Neubauer. Al termine della Seconda Guerra Mondiale Theodor Wacyk si trasferisce definitivamente in Baviera, a Platting, dove dipinge fino alla morte sopraggiunta il 22 giugno 1968. Come ricorda Alphonse Bernard, sue opere sono conservate nelle collezioni pubbliche del Museo Nazionale di L’viv in Ucraina, dell’Ukrainian Museum di New York (USA) e della KUMF Gallery di Toronto (Canada).

Bibliografia

Bernard, Alphonse Forgotten by God and by Man:.The Life and Times of Theodor Wacyk (1886-1968): A Ukrainian Artist Revealed, Paperback 2015

Nebl, Marcello - Iori, Walter Un paesaggio in continua trasformazione, Metamorfosi del paesaggio clesiano, Cles, 2004 (catalogo della mostra, Palazzo Assessorile)

Popelka, Liselotte Vom Hurra zum Leichenfeld. Gemälde aus der Kriegsbildersammlung 1914-1918, Wien 1981, 14.

Gsur Karl Friedrich. In: Österreichisches Biographisches Lexikon 1815–1950 (ÖBL). Volume 2, Österreichischen Akademie der Wissenschaften, Wien 1959, 99.

106 Theodor Wacyk Veduta di Cles 1915 circa tempera su tavola, 24x33 cm Collezione Famiglia Marchesi

107 Theodor Wacyk Belfort (castello) 1918 tempera su tavola, 16x23 cm Collezione Famiglia Marchesi

108 Theodor Wacyk Cles (castello) 1918 tempera su tavola, 16x23 cm Collezione Famiglia Marchesi

109 Theodor Wacyk Rovina (castel Sporo) 1918 tempera su tavola, 16x23 cm Collezione Famiglia Marchesi

110 Theodor Wacyk Valer (castello) 1918 tempera su tavola, 16x23 cm Collezione Famiglia Marchesi

111 Theodor Wacyk Brughiero (castello) 1918 tempera su tavola, 16x23 cm Collezione Famiglia Marchesi

112 Theodor Wacyk Thun (castello) 1918 tempera su tavola, 16x23 cm Collezione Famiglia Marchesi

113 Theodor Wacyk Nanno (castello) 1918 tempera su tavola, 16x23 cm Collezione Famiglia Marchesi

114 Theodor Wacyk Rocca di Samoclevo 1918 tempera su tavola, 16x23 cm Collezione Famiglia Marchesi

115 Rudolf Stolz La posizione sulla Cima d’Oro con razzo illuminante 1916 guazzo, 36x51 cm Courtesy Museo Rudolf Stolz, Sesto (Bz) © foto Johannes Watschinger

116 Albert e Rudolf Stolz: fratelli e pittore al fronte Lucia Barison

“Cara Resi,

ho ricevuto il pacco contenente divisa e cintura, alcool, borraccia, sigari e sacchetto di tabacco. Adesso mi serve anche della biancheria; ti prego di mandarmi una camicia, mutande pesanti, qualche fazzoletto di quelli colorati, possibilmente quelli azzurri. Aggiungi al pacchetto anche delle matite Koh-i-Noor, mina 2B, direi 4, e altre 4 con mina 3B, si acquistano da Ammon. Costano 36 centesimi l’una, che non è poco, ma durano molto. Ne dedurrai che ho parecchio da fare con i miei disegni e dipinti di guerra. Durante le nostre traversate dobbiamo essere molto cauti. Anche se saliamo su per la montagna lentamente, stiamo attenti a non prendere freddo; ad alta quota si gela e non si può stare fermi troppo a lungo. Al sole invece si sosta bene; per fare i nostri schizzi abbiamo bisogno del bel tempo e della luce del sole. Siamo sempre Albert ed io, da soli. Figurati se non ci riforniamo di roba pesante. Durante queste traversate i disagi non mancano di certo, e nei rifugi bisogna accontentarsi di tutto, l’importante è avere un riparo contro il freddo.

Gli schizzi fatti li completiamo giù a valle. Passiamo le giornate lavorando, anche piuttosto duramente, per poter avere qualcosa da mostrare.

Saluti da Albert.

Mille saluti e baci!”1

Nella lettera di posta militare inviata da Rudolf Stolz alla moglie Theresia sono contenuti gli elementi peculiari e distintivi dell’attività dei fratelli Albert e Rudolf Stolz quali “pittori di guerra al fronte”, arruolati nel battaglione degli “Stand-schützen” di Bolzano sotto il comando del dottor Viktor Peranthoner sul fronte sopra . Presenza diretta sulle linee del fronte, cura nel dettaglio di ogni singola opera pittorica e convinzione circa il loro ruolo di “fotoreporter” nell’ambito della Grande Guerra. Rispettivamente di 40 e 41 anni, avevano il compito di dipingere quadri per un diario di guerra, loro che non avevano mai avuto a che fare con il servizio di leva militare ma erano cresciuti a Bolzano dove il padre possedeva e gestiva un laboratorio di pittura e decorazione ben avviato presso il quale, con il fratello maggiore Ignaz, erano stati educati al lavoro pittorico. Mentre il più giovane, Albert, poté seguire una formazione accademica, come il fratello Ignaz, presso la città di Vienna nel periodo dal 1898 al 1904, l’altro, il più vecchio di solo un anno, Rudolf, poté seguire solo dodici mesi di studio e apprendistato in Germania perché “eletto” a condurre e succedere il padre alla conduzione del laboratorio di famiglia presso Bolzano. L’attività artistica dei due fratelli, dietro alla quale è ravvisabile una forte ed evidente ambizione artistica, ha prodotto numerose opere sul tema del gioco, della danza, degli usi e costumi ma anche opere di decorazione su facciate di abitazioni, nelle sale di locande e tiri a segno. Nel 1915 i due fratelli vengono arruolati nella compagnia degli “Stand-schützen”2 con il compito di

1 Hörmann 2011 2 Nel Tirolo, gli uomini capaci di sparare erano iscritti ai poligoni e pertanto, anche dopo le convocazioni regolare, esisteva ancora un ordine pseudo-militare al quale si poteva fare ricorso in caso di emergenza e che fungeva da bacino di raccolta per tutti coloro che, idonei o meno, volessero dare il proprio contributo alle operazioni di difesa. Tra questi gli Standschützen. Allo scoppio del primo conflitto mondiale gli iscritti ai poligoni di tiro al bersaglio, che venivano chiamati dalla popolazione trentina i bersaglieri (ossia i bersaglieri immatricolati, Standschützen in tedesco), furono pertanto mobilitati ed affiancati ai corpi regolari dell’esercito austriaco con la divisa dei

117 dipingere trincee, pattugliamenti, scene di periodo vanno ben oltre le semplici illustrazioni guerra, trasporti di artiglieria, esercitazioni di documentaristiche. Il paesaggio e le scene tiro e scene di vita quotidiana che venivano dai raffigurate in composizioni equilibrate e spesse due abbozzati a schizzo prima e completati volte di ampio respiro, suggeriscono un dialogo poi in altra sede, più tranquilla, con precisione sublime tra natura e artificio, tra uomo e Dio, tra certosina ad acquerello, guazzo, matita o azione e rassegnazione. Lo scenario, che fa da pastello. Nacquero così, in quel periodo, 30 sfondo e talvolta incornicia le intense scene di opere dal taglio fotografico, documentaristico, vita al fronte assume, talvolta, il ruolo principale ma anche fortemente pittorico ed intimistico del racconto. Talvolta inconsuete le inquadrature destinate a un documento di guerra, il Diario rese audaci ed accattivanti dal taglio singolare, 1915/1916, che doveva poi essere stampato per moderno, fotografico. il battaglione degli Standschützen di Bolzano. Le date apposte vicino alla firma svelano il modus Quest’ultimo stazionava sulla cresta che operandi dei due pittori che, sistematicamente, sovrasta Riva e i due artisti fissarono gli eventi rifinivano le opere in luoghi diversi dai quali del biennio 1915/1916. Le opere di dimensioni venivano abbozzate e impresse le scene e e tecnica diverse, furono affidate in custodia la definizione di “pittori al fronte sul campo” alla moglie dell’allora comandante dott. Viktor mostra che l’esperienza personale nel gruppo Perathoner e donate dalla figlia nel 2011 al dei bersaglieri è stata la conditio sine qua non Museo Stolz di Sesto dove, cinque o sei anni per la realizzazione delle opere a prescindere dopo la conclusione della guerra, i due fratelli eseguirono numerosi lavori nelle chiese e presso di Tratt. Grazie a questo passaggio era possibile il cimitero. Nel corso della Seconda Guerra aggirare le pareti di roccia che bloccano la valle di Ledro in direzione del Lago di Garda per tornare a valle Mondiale, Rudolf vi fece nuovamente ritorno attraverso il successivo villaggio di Campi, di poco per rimanere definitivamente sino alla morte in a nrd sopra Riva. Poiché la valle di Ledro dall’altro seguito alla quale gli venne dedicato un museo lato è facilmente raggiungibile dalle valli Giudicarie e come unico artista tirolese. pertanto dalla valle del Chiese fino a Brescia, si tratta La milizia dei bersaglieri immatricolati tirolesi di un importante collegamento sulla direttrice nord- presidiava le alture a ovest a monte di Riva sud che apre l’accesso all’area del Garda e alla Valle quale posizione di fondamentale importanza dell’Adige. […] Il 30 luglio, nel corso di una di queste strategica, importante collegamento sulla operazioni di pattugliamento e ricognizione guidata dal direttrice nord-sud che apriva, sin già al capitano dott. Perathoner, i bolzanini furono sottoposti al loro battesimo del fuoco. Dopo che gli italiani tempo dei Romani, l’accesso all’area del Lago avevano occupato la valle di Ledro e la valle di Concei di Garda a alla Valle dell’Adige. Un attacco nel settembre del 1915, vi furono continui e diversificati da parte degli italiani in questo punto era attacchi agli avamposti delle posizioni che non furono quindi un’eventualità da tenere fortemente in comunque mai coronati da successo nonostante la considerazione.3 Le opere degli Stolz di questo costante supremazia numerica dell’avversario. Il più pericoloso fu probabilmente l’attacco del 5 aprile 1916 al punto di appoggio del Giumella sulla cima d’oro, allora Kaiserjäger. Insostituibili nell’ambito della precisa occupato dal reggimento fanteria 29, ma che poté conoscenza del proprio territorio e reduci dal duro essere sventato grazie alla vigilanza del caposquadra lavoro nei campi, le lunghe marce e la costruzione delle Leiß degli Standschützen bolzanini. Ad azioni di questo fortificazioni richiedevano per loro meno fatica che per tipo si contrapponevano sempre sortite da parte degli i soldati di carriera più giovani. austriaci. L’intera sezione fu tuttavia risparmiata da 3 Magdalena Hörmann contestualizza le opere dei un’effettiva offensiva e fu alla fine della guerra che il fratelli Stolz descrivendo il seguente sfondo storico battaglione di Bolzano sperimentò in un’altra posizione militare: “Sopra la cresta di monte che conduce dalla nella val di Genova, ancora nelle mani dei soldati Rocchetta al di sopra del Lago di Garda attraversando imperiali e regi, come era stato nel maggio del 1915. la Cima d’oro, il Monte Pari fino ad arrivare a Tofino Questo è quindi per così dire lo sfondo storico militare e al Dosso della Torta e che costituisce il confine della serie di opere uniche nel loro genere con le quali orientale della valle Concei, la valle laterale che corre i fratelli Stolz documentarono la permanenza al fronte a nord della val di Ledro, esisteva già al tempo dei degli Standschützen bolzanini nel biennio 1915/16 e Romani e soprattutto nel Medioevo un passaggio che vanno oltre alle semplici illustrazioni”. Hörmann molto frequentato nel suo punto più basso, la Bocca 2011

118 dalla ricchezza dei particolari, soprattutto Concei, nel settembre 1915, gli italiano erano paesaggistici, che sarebbe potuta derivare solo considerevolmente più vicini ed il bellissimo da un’osservazione diretta delle scene e del gouaghe del foglio n. 22 di Rudolf Stolz potrebbe contesto topografico. anche risalire allo stesso autunno. Con una Il punto riprodotto nel foglio n. 4 è ancora oggi tecnica quasi divisionista, la surreale potenza facilmente individuabile. Quasi tutti ripresi di del bagliore diffusosi dal lancio di un razzo spalle con il volto fisso in avanti a controllo della illumina una fortificazione posta sulla Cima cengia posta a strapiombo, gli Standschützen d’oro. L’immagine è spettacolare. Manca solo il ritratti in marcia sono stati dipinti a gouache rimbombo. Tutto il resto, paura, affanno, stupore con una pennellata veloce ed istintiva quasi a e impotenza, sono qui rappresentate a tratti suggerire il movimento del gruppo nell’atmosfera sottili che ci ricordano l’opera Segantiniana. serotina e malinconica impressa da Albert nel L’atmosfera autunnale del foglio n. 21 che ritrae 1916. L’opera del foglio n. 5 mostra un gruppo gli Schützen accampati in posizione di attesa di bersaglieri mentre trasportano i pezzi di davanti a un parapetto difensivo in pietra dipinti artiglieria sulla Cima d’oro. I volti e le sagome, da Albert, anticipano la stagione invernale quasi deformati dallo sforzo sovraumano, ritratta magistralmente dallo stesso nei fogli n. raccontano uno tra i lavori più duri dei soldati e 23 e 24. Il pastello del 1916 che ritrae i Rinforzi cioè il trasporto dei pezzi di artiglieria dove, nella nella bufera di neve si distingue dal guazzo della scena ritratta, al posto delle cinghie, vengono Pattuglia nel tratto di Tratt ritratta in una limpida utilizzate sottili corde senza appigli. Dietro di e cristallina notte di luna sia per soggetto, sia per loro, a valle, incombe la nebbia e così anche tecnica. Entrambe le visioni notturne spiccano una sensazione di angoscia e sgomento. Le nella serie per la resa, l’effetto e lo scenario lirico esercitazioni di tiro sul passo della Giumella e struggente. nel giugno del 1915 raffigurate nel foglio n. 6 Le opere dei fratelli Stolz destinate al diario del ricordano la teoria della “macchia” secondo Battaglione Standschützen di Bolzano, sono degli cui la visione delle forme è creata dalla luce splendidi esempi di reportage di guerra realizzato come macchie di colore, distinte, accostate o per mezzo della pittura anziché della fotografia. sovrapposte ad altre macchie di colore. L’artista Concorrono a renderle uniche la tecnica e è così libero di rendere con immediatezza verista sensibilità pittorica dei due pittori cresciuti nel ciò che il suo occhio percepisce nel presente. Il laboratorio artistico di famiglia ma formatisi, nel rifiuto dell’uso di linee decise per contornare biennio 1915/1916, grazie al contatto diretto con i soggetti, in modo tale che fossero soltanto il la natura, la luce e la condizione umana messa a colore e la luce a costruire la realtà e a definire dura prova dalla Prima Guerra Mondiale. le zone di luce e d’ombra, sembrano i principi secondo i quali fu ritratta anche la scena del foglio n. 7 con un gruppo di Standschützen immortalati durante la celebrazione liturgica sulla Cima d’oro in un guazzo del 1916. Fulcro della scena, posto quasi al centro dell’intera composizione, il sacerdote vestito di bianco, accento cromatico nel panorama estivo di alta montagna con la meravigliosa vista in lontananza dell’Adamello e della Paganella. Nel foglio n. 8, presso la baracca costruita sul pendio della Cima d’oro, gli Standschützen ricevono i “doni Bibliografia di carità” portati dai muli e provenienti dai loro paesi natali. La scena è fortemente soleggiata Hörmann, Magdalena e le pecore sullo sfondo concorrono a renderla I fratelli Stolz, “Kriegsmaler” – pittori al fronte, pacata e indisturbata dal rischio di potenziali 15|16 Albert e Rudolf Stolz “Kriegsmaler” – pittori attacchi del nemico italiano. al fronte, Sesto, 2011 (Catalogo della mostra, Con l’occupazione della valle di Ledro e di Museo Rudolf Stolz)

119 Albert Stolz Partenza degli Standschützen bolzanini da Bolzano al fronte italiano 1915 guazzo, 85x49 cm Courtesy Museo Rudolf Stolz, Sesto (Bz) © foto Johannes Watschinger

120 Albert Stolz Gli Standschützen del battaglione di Bolzano in marcia per il fronte il 19 maggio 1915 1916 guazzo, 49x36 cm Courtesy Museo Rudolf Stolz, Sesto (Bz) © foto Johannes Watschinger

121 Albert Stolz, Trasporto di pezzi d’artiglieria sulla Cima d’Oro (part.), 1915 guazzo e carboncino, 48x77 cm, Courtesy Museo Rudolf Stolz, Sesto (Bz) © foto Johannes Watschinger

122 123 Rudolf Stolz Esercitazione di tiro alla trincea ‘Einsergraben’ alla Bocca di Giumella 1915 guazzo, 37x35 cm Courtesy Museo Rudolf Stolz, Sesto (Bz) © foto Johannes Watschinger

124 Rudolf Stolz Gli Standschützen di Bolzano durante la messa sulla Cima d’Oro 1916 guazzo, 25x40 cm Courtesy Museo Rudolf Stolz, Sesto (Bz) © foto Johannes Watschinger

125 Rudolf Stolz, Arrivo dei doni di carità per gli Standschützen di Bolzano, 1916 guazzo, 26x41 cm, Courtesy Museo Rudolf Stolz, Sesto (Bz) © foto Johannes Watschinger

126 127 Albert Stolz Posto di guardia a Bocca Giumella durante la battaglia dell’8 novembre 1915 1915 guazzo, 34x48 cm Courtesy Museo Rudolf Stolz, Sesto (Bz) © foto Johannes Watschinger

128 Albert Stolz Pattuglia nel tratto di Tratt, notte di luna 1916 guazzo, 33x52 cm Courtesy Museo Rudolf Stolz, Sesto (Bz) © foto Johannes Watschinger

129 Albert Stolz Rinforzo nella bufera di neve 1916 pastello, 48x64 cm Courtesy Museo Rudolf Stolz, Sesto (Bz) © foto Johannes Watschinger

130 131 Fulvio di Piazza L’occhio del gasato 2016 olio su tela, 77x53 cm Courtesy Studio d’Arte Raffaelli, Trento

132 Notti d’estate per un concerto di Natale Camilla Nacci

C’è un apparente stridore, nei giorni tra Natale e Il riferimento al conflitto assume una valenza San Silvestro, tra il gelo dell’inverno e l’atmosfera universale in quanto è molto spesso frutto di festosa delle strade, le luci, le musiche, e la un «mixaggio» tra le suggestioni di guerra e le disposizione degli animi, pronti a ricominciare, immagini mutuate dai media contemporanei. a salutare il vecchio, ad accogliere il nuovo. Leonida De Filippi antepone ai suoi soggetti “Les Nuits d’Été” di Berlioz, ascoltate in una un filtro dato dall’ingrandimento e dal taglio chiesa da Gian Marco Montesano in una fredda fotografico-televisivo dell’immagine; il suo serata parigina di fine dicembre, diventavano reticolo pittorico fa riferimento al pixel, i suoi improvvisamente «un sogno ad occhi aperti, colori sgargianti al monitor. Riportando la un sogno fisico, le notti d’estate». Diventavano tecnologia contemporanea sul tradizionale anche, nello stesso periodo, una serie di opere medium della tela, l’artista mira a creare una che avrebbe accompagnato l’artista per anni. consapevolezza della commistione di finzione Definite dallo stesso Montesano «matrice e realtà necessariamente presente in tutti gli evidente» di tutto il suo lavoro, “Les Nuits d’Été” eventi bellici passati, presenti e futuri. Nell’ottica rappresentano un’operazione di dialogo aperto di lavorare su piani temporali sfalsati ma tra loro tra la storia e l’arte contemporanea, sono comunicanti si muove anche Stefano Cagol con innumerevoli ritagli su tela dell’annata del 1940 la sua serie “Atomicwerk”, videostill stampati su del giornale “Tempo”, in cui è scelta dell’artista marmo di Carrara in cui immagini di esplosioni lasciare tracce più o meno evidenti della Seconda atomiche si alternano a momenti di svago nei Guerra Mondiale, sottolineare questo o quel night club giapponesi costituendo un sottile dettaglio, ricreare con la pittura ambientazioni parallelismo con la forzata spensieratezza dei evocative di pace o di tumulto. Sono state queste balli di corte viennesi durante il primo conflitto le prime opere a essere esposte in mostra mondiale. Dai mondi immaginati del fumetto, all’interno di un forte austro-ungarico del Trentino dei B-movies e del video-game trae le sue utilizzato durante la Grande Guerra, a portare al immagini di guerra Laurina Paperina. L’artista Forte Strino di Vermiglio lo stridore di una notte sceglie di esprimersi attraverso icone narrative d’estate in pieno inverno. Anche in questo caso, della propria generazione per rappresentare il ruolo giocato dall’arte contemporanea in un la realtà, ma anche per interpretarla. L’ironico ambiente di guerra rispondeva a un bisogno di ammiccamento al cartoon è un potentissimo attualizzazione, di comprensione della storia strumento per colpire un pubblico universale per le nuove generazioni. Era il 2003; dalla e stimolare una riflessione che si gioca sul lungimirante proposta artistica dei galleristi contrasto tra la sua freschezza comunicativa, trentini Patrizia Buonanno e Giordano Raffaelli, immediata e accessibile, e l’impegno del nei successivi quindici anni – fino a oggi, e messaggio trasmesso dalle sue opere. Lo oltre – si sono susseguite ogni estate a Forte stesso linguaggio pittorico, caratterizzato da Strino prima, fino a estendersi al Circuito dei immagini ben definite da un contorno nero forti del Trentino, mostre d’arte contemporanea che fa immediatamente riferimento a una di livello internazionale. In questi contesti, gli scena illustrata, è utilizzato da Andrew Gilbert, artisti sono stati chiamati a interrogarsi e a studioso e acuto interprete di episodi storici interrogare sulla guerra e su ciò che la guerra legati alla guerra e al colonialismo. Sono ricchi porta con sé: fantasmi, caos, assenza, senso di poesia i lavori su carta dedicati alla “guerra del tempo, bisogno di ricostruzione. La loro bianca”, combattuta tra le montagne del confine ricerca si è spinta a trovare una relazione tra il italo-austriaco da giovanissimi soldati. Poco più proprio linguaggio espressivo e una memoria che bambini, che dalle rappresentazioni originali vissuta non direttamente, in alcuni casi narrata sulle immagini propagandistiche di inizio secolo, da parenti e genitori, in altri semplicemente armati di fucile e di slogan patriottici, furono riportata dai libri di storia e dai repertori museali. realmente inviati a combattere negli ambienti

133 più difficili e ostili. Attraverso libri e fonti dell’epoca, cui l’artista attinge instancabilmente, si creano nell’immaginario collettivo alcuni tipi stereotipati legati alla Grande Guerra. Se ne fa interprete Fulvio Di Piazza con le opere su tela “Alpino” e “L’occhio del gasato”, in cui il ritratto del soldato diventa pretesto per rappresentare l’intero conflitto. Nei volti deformati dei personaggi dell’artista appaiono chiari tutti i segni e le tracce lasciati dalla guerra; sguardi infuocati, ma rassegnati, si avviano verso un inquietante destino di incertezze, fisiche e psicologiche. La guerra è dentro di loro. Il dolore si manifesta attraverso molteplici forme. Nicola Samorì ne rappresenta lucidamente la «cognizione» trasfigurandolo in un peso esteriore, un fardello che come la Croce di Cristo accompagna l’uomo, nelle sue cadute e nei suoi tentativi di rialzarsi; anche quando si nasconde dietro l’apparente perfezione di un viso calmo, è inevitabile che riemerga dalle crepe, ferite, fratture che fendono la superficie pittorica, o sotto forma di proiezione mentale ossessiva. I fantasmi della guerra non muoiono mai. Diventano, nella serie di opere di Donald Baechler “Citiziens and Soldiers”, figure totemiche di cui si legge solo la silhouette, la traccia simbolica che rimane dal passato, ponendo su uno stesso piano iconografico soldati e civili. Sono apparizioni, che lasciano tracce tangibili del loro passaggio negli oggetti quotidiani, abbandonati e ritrovati, come negli scatti fotografici di Nicola Eccher. La presenza dell’assenza è lì, nelle scarpe che non camminano più, nelle porte semichiuse sul passato, pronte a lasciare entrare ancora le ombre che le visitano, di cui si avverte ancora la percezione. Ombre che, come nella serie di opere di Pierluigi Pusole dedicate ai “Figli dei monti”, ancora abitano i boschi e le rocce, ne costituiscono lo spirito. Molti di questi figli sono rimasti seppelliti in un meraviglioso teatro paesaggistico, i loro corpi si sono fusi con il più grande corpo della natura, a costituire l’anima della montagna, a costituirne la memoria. È dunque indispensabile che le vicende passate rivivano attraverso il ricordo. La distanza dagli avvenimenti bellici è impressionante: vicine e lontane – tutto è relativo – appaiono le ricorrenze dal primo anno di guerra, dall’anno in cui l’Italia entrò in guerra, dalla fine della guerra. È proprio su quest’ultimo, l’anniversario della pace, di cui nel 2018 ricorre il Centenario, a concentrarsi Albino Rossi, che dieci anni fa dedicò alla sua Val di Sole un ciclo di novanta genziane, corrispondenti alle novanta primavere trascorse dal momento atteso dai due fronti. Contrapposti, eppure, come sempre accade nelle terre di confine, ricchi di commistioni linguistiche, storiche e culturali. Con un’azione anti-retorica, Federico Lanaro ricuce idealmente i due eserciti, fondendo nella serie di opere “IT_A” la bandiera austriaca con quella italiana in sette combinazioni diverse. Nascono così nuove bandiere, nuove possibili contaminazioni tra combattenti che hanno condiviso lo spazio, il dolore e il senso del tempo. Nelle “Uova Nere” di David Aaron Angeli questa condivisione diventa tangibile: per l’artista, che lavora di rimandi simbolici, il luogo-forte è uno spazio angusto, che custodisce la vita e la speranza dei suoi abitanti, ma rischia al contempo di diventarne la dimora eterna, a causa del decorso stesso degli eventi. Il filo che lega e accomuna

134 chi vive l’esperienza della guerra rimane l’appello alla fede a qualcosa di altro, di più alto, che possa intervenire a interrompere la sofferenza. Lo rappresenta spezzato, Michelangelo Galliani, nella sua “Vergine degli inganni”. In guerra non c’è posto per la preghiera. Artisti di generazioni diverse tra loro, ma tutti lontani dall’esperienza di guerra, hanno saputo dialogare con la memoria dei luoghi, ciascuno con il proprio medium artistico e con le modalità espressive caratteristiche del proprio percorso. Questa mostra ha il merito di riunire, per la prima volta in quindici anni, in una sede, il lavoro svolto da artisti, galleristi e curatori per ridare ai forti del Trentino un’identità culturale aggiungendo al già ampio bagaglio storico di queste costruzioni il valore del nuovo, del contemporaneo. Si aggiunge a questa esperienza la significativa scultura diPietro Weber, “Silenti alla morte”, in cui ogni apparente stridore è messo a tacere, in un monumentale memento mori dove gli attori della guerra hanno appena terminato la loro danza macabra, e si preparano, sull’attenti, al momento della fine.

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Nacci, Camilla; Panizza, Anna 2015 Laurina Paperina-Nicola Eccher. Da un’opera ritrovata. Lavis (TN): Litotipografia Alcione.

Rossi, Mariella 2016 (a cura di) ARTE FORTE. La Babele di linguaggi e di simboli legati ai conflitti. Lavis (TN): Litotipografia Alcione.

Andrew Gilbert, Difendi l’Italia! (part.), 2014 acrilico e acquerello su carta, 40x30 cm Courtesy Studio d’Arte Raffaelli, Trento 135 Michelangelo Galliani Orizzonte 2017 2014 marmo statuario di Carrara, piombo e ottone, 52x52 cm Courtesy Buonanno Arte Contemporanea, Trento

136 Michelangelo Galliani Vergine degli inganni 2014 marmo Bardiglio di Carrara e marmo nero Marquinnia, 60x130x230 cm Courtesy Buonanno Arte Contemporanea, Trento

137 Albino Rossi Montagna 2008 tecnica mista su tela, 200x170 cm Courtesy Buonanno Arte Contemporanea, Trento

138 Albino Rossi Tempo e Memoria 2016 tecnica mista, 240x160 cm Courtesy Buonanno Arte Contemporanea, Trento

139 Nicola Eccher senza titolo 2015 stampa su forex, 35x35 cm Courtesy Buonanno Arte Contemporanea, Trento

140 Nicola Eccher Presenze 2013 stampa su forex, 35x35 cm Courtesy Buonanno Arte Contemporanea, Trento

141 Leonida De Filippi “Keep Shooting” 2010 stampa digitale su tela, 53x104 cm Courtesy Buonanno Arte Contemporanea, Trento

142 Gian Marco Montesano Les Nuits D’Eté Paris 1972 olio su carta intelaiata, 37x53,5 cm Collezione privata, Trento

143 Gian Marco Montesano Les Nuits D’Eté Paris 1972 olio su carta intelaiata, 37x53,5 cm Collezione privata, Trento

144 Gian Marco Montesano Les Nuits D’Eté Paris 1972 olio su carta intelaiata, 37x53,5 cm Collezione privata, Trento

145 David Aaron Angeli Uovo nero #3 2015 cera d’api, 20x13x13 cm Courtesy Cellar Contemporary, Trento

146 Donald Baechler Skull 2018 gesso, Flashe e collage su carta, 101,6x101,6 cm Courtesy Studio d’Arte Raffaelli, Trento

147 Stefano Cagol The Marble Book. Atomicwerk 2005 stampa Rho su marmo di Carrara, ciascuno 29x21x1,5 cm Courtesy Studio d’Arte Raffaelli, Trento

148 Fulvio Di Piazza Alpino 2016 olio su tela, 77x53 cm Courtesy Studio d’Arte Raffaelli, Trento

149 Pierluigi Pusole Paesaggio con uomo 2011 acrilico e acquerello su carta, 70x100 cm Courtesy Studio d’Arte Raffaelli, Trento

150 Pierluigi Pusole Scalatore + uomo molto grande 2011 acrilico e acquerello su carta, 70x100 cm Courtesy Studio d’Arte Raffaelli, Trento

151 Laurina Paperina War Game 2015 tecnica mista su tela, 190x120 cm Courtesy Studio d’Arte Raffaelli, Trento

152 Andrew Gilbert Grusse aus Isonzo 1916 2014 acrilico e acquerello su carta, 40x30 cm Courtesy Studio d’Arte Raffaelli, Trento

153 Federico Lanaro IT_A #7 2013 studio Courtesy Studio d’Arte Raffaelli, Trento

154 Federico Lanaro IT_A #7 2013 bandiere cucite, ciascuna 70x100 cm Courtesy Studio d’Arte Raffaelli, Trento

155 Nicola Samorì Siliqua, 2008 olio su carta, 95,5x51,5 cm Courtesy Studio d’Arte Raffaelli, Trento

156 Nicola Samorì Animula, 2009 olio su carta, 45,5x32 cm Courtesy Studio d’Arte Raffaelli, Trento

157 Nicola Samorì II, 2010 olio su carta, 54x36 cm Courtesy Studio d’Arte Raffaelli, Trento

158 Nicola Samorì XI, 2010 olio su carta, 54x36 cm Courtesy Studio d’Arte Raffaelli, Trento

159 Pietro Weber Silenti alla morte 2016 ceramica semirè e gesso, 40x30x35 cm Courtesy dell’artista

160 Valentino Parmiani Forte Belvedere di Lavarone. Casamatta di controscarpa, 2010, acquerello su carta, 36x26 cm Courtesy Studio d’Arte Raffaelli, Trento

Valentino Parmiani Architetto, designer, docente universitario e artista, Valentino Parmiani nasce nel 1943 a Firenze. Soggetti preferiti della sua attività pittorica sono i paesaggi naturali, vedute colte e osservate nel corso di viaggi e passeggiate e molto spesso affidate ad album da disegno e taccuini. In particolare una tematica a lui cara è la montagna «costruita, abitata, armata», in cui rappresenta la convivenza, talvolta difficile e drammatica, dell’uomo con la natura. Le fortificazioni belliche della Grande Guerra, costruite della stessa materia delle montagne, prendono vita, maestose, dagli scorci inusuali diseg- nati da Parmiani, che ne sottolinea il fascino archiettonico attraverso un ampio sguardo prospettico. Parmiani non trascura le tracce della guerra che si è consumata tra le nevi e i ghiacci: oltre ai forti, tra le sue montagne sono ancora presenti i segni della durezza della vita al fronte. Trincee e filo spi- nato sono riscoperti dall’artista nel punto esatto in cui sono stati abbandonati, testimoni silenziosi dell’estenuante conflitto.

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