ASSESSORATO ENTI LOCALI, FINANZE ED URBANISTICA

CONFERENZA COPIANIFICAZIONE

N°12

PIANO PAESAGGISTICO REGIONALE

AMBITO 15

BASSA VALLE DEL COGHINAS

SALA ANFITEATRO, 28 GENNAIO 2006

GIAN VALERIO SANNA - Assessore regionale degli enti locali, finanze ed urbanistica -

Buongiorno a tutti. Cominciamo la conferenza numero 12 che riguarda l’ambito numero 15 dei ventisette ambiti omogenei che fanno parte di questa prima parte del piano paesaggistico regionale, che riguarda la basse valle del Coghinas con i comuni di , , Trinità d’Agultu, e le province di e della Gallura. Inizialmente precisiamo a che punto ci troviamo della procedura assegnata dalla legge numero 8, articolo 2; siamo nella fase cosiddetta di pubblicazione presso i comuni dello schema del piano e, nel frattempo, quella che svolgiamo è la fase di cosiddetta sta pubblica e concertazione istituzionale che durerà il tempo di queste ventidue conferenza e che si chiuderà prima dell’avvio dei trenta giorni previsti dalla stessa legge per la presentazione formale delle osservazioni alla conclusione di questi sessanta giorni che abbiamo davanti. Lo scopo di queste conferenza oltre a corrispondere all’obbligazione che viene posta alle regioni dal Codice Urbani di provvedere all’istruttoria, alla concertazione istituzionale è, a nostro giudizio, assolutamente indispensabile per fornire gli elementi di carattere generale, quelli più specifici di carattere locale e territoriale, metodologico ed anche sostanziale della conformazione del piano perchè si possa in qualche modo affrontare anche in chiave critica ma anche in chiave collaborativa, come noi auspichiamo, ogni utile approfondimento, integrazione e osservazione. Da questo punto di vista il chiarimento che portiamo in questa fase, a coloro che ci dicono che questa non sarebbe la concertazione, noi rispondiamo che la concertazione è la partecipazione ad un processo decisionale che non esclude e che non cancella la responsabilità di un soggetto a compiere degli atti. Poiché questo adempimento previsto dal Codice Urbani nei quattro anni successivi all’approvazione del decreto legislativo 42 è stato assunto ralla Regione per il tramite della legge numero 8, noi affrontiamo secondo il carattere della legge questa fase attraverso una procedura di informazione preventiva, utile a capire da che cosa muove, che cosa cambia, come interviene la pianificazione paesaggistica dopo un lungo tempo nel quale la pianificazione paesaggistica, ma per altro la pianificazione di rango regionale, è mancata nell’ordinamento della Regione sarda. Come molti sanno, sul finire degli anni novanta è andata maturando nel contesto europeo una nuova riflessione sugli esiti del rapporto tra pianificazione e trasformazione del territorio, la Comunità Europea guardando a quello che avveniva in questi anni ha assunto un’iniziativa di maggiore responsabilità ed attraverso un lungo dibattito e larghe interlocuzioni con i paesi membri è arrivata nell’ottobre del 2000 a Firenze con la convenzione europea del paesaggio a sancire un percorso, un documento importantissimo che in qualche modo rappresenta un giro di boa rispetto alle vecchie

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concezioni che vedevano la trasformazione del territorio operata secondo l’unica ed esclusiva finalità di produrre lo sviluppo. La convenzione europea del paesaggio dice invece ai Paesi membri: “D’ora in poi la pianificazione territoriale deve mirare certamente ad essere il tramite delle regole per la trasformazione del territorio volte allo sviluppo, ma a condizione che queste procedure siano rispettose dei valori paesaggistici ed ambientali che strutturano la conformazione complessiva delle politiche dei Paesi membri”. Non a caso, la Costituzione italiana ancor prima del 2000, ancora prima quindi del Codice Urbani e di altre discipline di questo genere, riporta l’articolo 9 della Costituzione un principio fondamentale: quello della tutela del paesaggio ed assegna questo compito allo Stato distinguendo nell’ambito delle competenze assegnate dalla Costituzione e dai diversi statuti alle regioni, una distinzione tra competenze primarie di carattere urbanistico alle regioni, competenze di tutela paesaggistica in capo allo Stato. L’esigenza di coinvolgere nel sistema della pianificazione il complesso quadro istituzionale, porta il legislatore italiano nel gennaio del 2004, ad approvare il decreto legislativo numero 42, noto appunto come Codice Urbani, che raccoglie questo messaggio di cambiamento indotto dalle politiche e dagli orientamenti della comunità internazionale e li trasferisce in un decreto legislativo molto puntuale e meticoloso, che assegna alle regioni una delega statale alla redazione degli strumenti che dovranno tradurre su ogni ambito territoriale regionale i principi di tutela paesaggistica segnati all’articolo 9 della Costituzione. Dunque la Regione sarda non ha fatto altro che adempiere ad un mandato, ad una delega dello stato che si fonda sul principio costituzionale. Non sembri questo un passaggio ordinario poichè il mandato ad operare sulla base di un principio di rango superiore, impone a tutto il sistema della pianificazione sott’ordinata, sia essa territoriale, locale che settoriale, di conformarsi e di porsi in una condizione ovviamente di sotto ordinazione alla pianificazione di rango superiore. Dunque è un processo che non attiene alla discrezionalità della Regione ma un obbligo di legge. Il Codice Urbani assegna quattro anni alle regioni, a partire dal gennaio 2004, siamo a metà di questa strada ed una volta tanto la Regione sarda invece che figurare rispetto ai passaggi degli adeguamenti normativi e quindi anche dei processi di competitività non solo globale ma soprattutto istituzionale, si trova ai primi posti delle classifiche a discapito di tanti altri casi nei quali abbiamo sempre registrato di essere all’ultimo posto. Il fatto di essere tra i primi in Italia ad adeguarci corrisponde all’esigenza rilevata da questo governo regionale che il paesaggio e l’ambiente non sono indipendenti dagli scenari di sviluppo. La riflessione muove ovviamente da una constatazione documentata dai flussi, dalle analisi e dalle rilevazioni che ci dicono che un modello di sviluppo basato su un turismo del tipo che si è sviluppato in Sardegna negli ultimi vent’anni, oggi posto nello scenario di una globalizzazione perde la sua competitività perchè i costi di sostenibilità di questo tipo di processo non hanno confronti con l’offerta turistica rinvenibile in tutta l’area mediterranea in base alla quale si può andare a fare lo stesso tipo di vacanza in

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scenari paesaggistici assolutamente apprezzabili in diverse parti dell’area mediterranea con molti euro in meno rispetto a quelli che possiamo offrire noi. Questo processo di globalizzazione è da registrare anche da parte di chi pensa ancora che il mondo non sia cambiato. La funzione delle istituzioni non è quella di constatare lo stato dell’arte ma è quello di costruire i processi che in qualche modo possano orientare la società ad interpretare nel medio – lungo periodo i processi di cambiamento e quindi innestarsi dentro le logiche della competitività in termini corretti, e quindi noi dobbiamo guardare verso quello scenario. Non a caso dico spesso, fondamentalmente la lagnanza, l’ansietà che accompagna gli amministratori locali e non solo nell’osservare la condizione sociale economica della nostra Regione in perenne stato di ricerca di uscire dalla condizione di sottosviluppo è indirettamente l’ammissione che un modello di sviluppo, comunque sia, ha finito il suo compito o perlomeno non è stato in grado di corrispondere delle aspettative che in quel momento vi erano fra un modello che porta queste caratteristiche sostanzialmente di chiusura di un ciclo e pressoché di fallimentarietà, c’è di fianco oggi, attraverso il piano paesaggistico e i contenuti anche di carattere politico e di governo che comporta, la possibilità di accedere un nuovo sistema di sviluppo, improntato su caratteri diversi, che comporta rischi, incertezze ma che certamente posto di fronte all’amministratore tra ciò che ha fallito e ciò che può comportare qualche rischio, mi pare che non ci debba essere nessun dubbio a incamminarci su questa strada. In ragione di questo il piano paesistico ripropone la centralità del paesaggio e dell’ambiente come risorsa a cielo aperto sul quale investire alcune dinamiche che riguardano non solo l’ambiente ma anche le modalità di vita dei cittadini; rappresenta un investimento nella salute e nella condizione civile dei nostri cittadini e le politiche regionali anche insite nel sistema della finanza regionale si orientano coerentemente con questo filone. Che cosa è cambiato dunque, che cosa cambierà dall’entrata vigore del piano paesaggistico? Cambia sostanzialmente un aspetto che però incide sulla cultura che in questi anni si è stratificata nel modo di comportarsi negli operatori nella politica e nelle istituzione; vale a dire: fin quando è mancata una pianificazione paesaggistica e poi vi spiegherò anche quando c’era, è andato prevalendo in Sardegna l’orientamento a far incidere in maniera quasi esclusiva la regola urbanistica su qualunque altra regole; ovverosia ognuno di noi continua a ragionare oggi con la logica, ad ogni porzione di territorio per il tramite di processo di zonizzazione corrisponde una percentuale più o meno varia, diversa della sua possibile trasformazione; tant’è che molte volte in questo periodo vengono, ci chiedono, ci fanno domande: “Sì, ma che cosa si deve fare lì?”. Come a dire: “Diteci in maniera univoca qual è la caratteristica urbanistica di quel pezzo di territorio”. L’introduzione della cultura paesaggistica fa sì invece che poichè la Corte Costituzionale ha conferma in quindici – vent’anni di giurisprudenza costante la prevalenza del principio di tutela paesaggistica su ogni altra forma di regola urbanistica, l’introduzione dei cosiddetti valori paesaggistici fa sì che prima dell’applicazione di qualunque altra regola, sia essa urbanistica, sia essa

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derivante da qualunque pianificazione di carattere settoriale, forestale, ambientale, idrogeologico, industriale, qualunque pianificazione esistente, debba essere verificata la compatibilità di qualunque tipo di intervento su quel territorio sulla base dei valori paesaggistici. Pertanto, da questo elemento di sovraordinazione che ricomprende tutta la pianificazione, dire il piano paesistico non può non ignorare la presenza di pianificazioni locali ed urbane, non può ignorare la presenza di sistemi ambientali. I tre filoni fondamentali sui quali si è basata l’analisi e il lavoro sono quello appunto l’assetto ambientale che è dado ad evidenziare, a ricercare sul territorio una serie di componenti paesaggistiche le più diverse, dai sistemi naturali, seminaturali, boschivi, cespugliati e di ogni altro genere. Al secondo filone, che è quello storico culturale, che ha circoscritto la ricerca di tutti quegli elementi e quelle valenze di carattere storico culturale, monumentale, archeologico che insistono sul territorio e che hanno un regime di vincolo anche derivante dalle leggi dello Stato, che quindi vengono fatte proprie dentro il piano paesaggistico e oltre a questo una serie di altre identificazioni di carattere cosiddetto “monumentale”, come per esempio abbiamo fatto noi, identificando negli alberi secolari, in particolari caratteristiche del territorio valenze di carattere paesaggistico e di carattere monumentale che vengono indicate e riportate ad una disciplina specifica. Il terzo filone è quello insediativo che è andato esplorando le modalità attraverso le quali il sistema insediativo si è andato sviluppando dagli anni cinquanta ad oggi nei centri urbani ed anche nel resto del territorio e cerca di dimostrare come in effetti l’insediamento dell’uomo si sia andato collocando secondo una direttrice piuttosto che in un’altra. Mettendo insieme questi elementi, attraverso l’indicazione di numerosi sottoelementi chiamati componenti di paesaggio, il piano paesaggistico conduce a definire ogni territorio sulla base della prevalenza di alcune componenti su altre, come un territorio qualificabile in quattro livelli di qualità paesaggistica. Ricorderete che nei piani territoriali paesistici esistevano nove gradi di indicazione di trasformabilità del territorio; in questo caso abbiamo quattro livelli di qualità paesaggistica. Il livello di qualità paesaggistica è quello che risulta predominante per le componenti paesaggistiche che definiscono quel tipo di territorio. Ovviamente la legge nuova legge urbanistica e i decreti successivi che sono legati alla legge urbanistica daranno le regole urbanistiche da seguirsi perchè il livello di qualità paesaggistica e quindi i valori che insistono in quell’ambito di qualità paesaggistica vengano adeguatamente rispettati. Per dirla in due parole: un territorio di elevata qualità paesaggistica, per la quale è indicato un principio di conservazione pressoché integrale e procedure di valorizzazione per la fruizione di questi siti, prevedranno sul piano urbanistico alcune regole che siano tali da conservare e tutelare queste azioni e questi principi e quindi c’è sostanzialmente un’inibizione a voler provvedere ad una sua trasformazione. Viceversa, i territori che non hanno una sostanziale qualità paesaggistica comporteranno regole urbanistiche adeguate, con parametri ed

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orientamenti di carattere architettonico che siano tali comunque che nel fare questo fare non sia più frutto della libera interpretazione, ma orientata ad usare procedure, buone pratiche per contestualizzare il nuovo che si realizza all’interno del contesto paesaggistico. Quindi di fatto ci troveremo di fronte a subordinazione della regola urbanistica al principio paesaggistico, che è un processo difficile da capire, più complesso, molto più esigente dal punto di vista della procedura ma ineludibile sul piano del mutamento degli orientamenti della legislazione in questi anni. Facendo il piano paesaggistico, all’interno del piano paesaggistico abbiamo fatto una riflessione che muoveva la sua ragione principale dall’osservazione del perchè i vecchi piani territoriali piani paesistici avevano in qualche modo avuto una cattiva fine. Questo dimostrerebbe dalla lettura dei fatti che sono accaduti come, pur in presenza di una pianificazione paesaggistica, se questa non è rispettosa della gerarchia delle fonti, si rischia di renderla inefficace. In effetti i vecchi piani territoriali paesaggistici che facevano? Sì, individuano i valori paesaggistici ma adeguando ai livelli di trasformabilità le regole urbanistiche per la loro trasformazione, invece che tutelare il carattere precettivo del vincolo, cercavano in qualche modo di aggirarlo; dopodiché il giudice dello Stato li ha censurati perchè ha rilevato che quel processo che doveva portare ad una vera tutela, di fatto era una finzione ed indirettamente produceva la prevalenza della regola urbanistica su quella paesaggistica e che come tale aveva perso il suo carattere di rigoroso rispetto del dettato costituzionale. Non è che erano fatti male, che erano carenti di analisi, di approfondimento, erano carenti di una cultura corretta che li accompagnasse. Ed allora noi non potevamo, memori di questo errore, riprodurre nella dinamica che prevede il piano paesaggistico, il medesimo errore che avevamo registrato nel passato. Da questo punto di vista, bisogna che anche i più reticenti si convincano che i tempi cambiano e che le riforme sono tali non solo quando si dicono, ma sono tali solo quando si fanno, e siamo certi che stiamo facendo una riforma solo quando avvertiamo il disagio e la difficoltà di adattarci ad una nuova cultura. Non sono mica spaventato dalle proteste, a parte che sono tutte proteste sul piano metodologico, le vorrei sentire sul merito! Ma non sono spaventato perchè sono consapevole che un processo di questo livello di cambiamento si realizzerà negli anni. Noi stiamo solo avviandolo, ci vorranno anni perchè entri nella testa dei professionisti, delle istituzioni, degli operatori, dell’associazionismo diffuso che l’ambiente ha un altro livello di impatto nelle politiche regionali. E quando mi si dice che c’è in questo un neocentralismo regionale, una nuova imposizione di regole, beh, in ogni passaggio da un sistema sostanzialmente anarchico ad uno minimamente connotato di regole, c’è sempre un disagio che grida allo scandalo. Uno. Secondo: mica qualcuno si sarà messo in testa che la censura dei vecchi piani territoriali paesistici che avevano liquidato la presenza della Regione nel quadro della pianificazione territoriale, sia assunta come modifica costituzionale? Era solo una momentanea assenza. Oggi la Regione è obbligata per legge a

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ricollocarsi nel processo di pianificazione, e un è un esproprio dell’autonomia, è una ricollocazione della Regione negli ambiti propri. A questo punto mi piace perchè tutto è criticabile salvo il fatto che un’istituzione pubblica rispetti la legge, perchè il dovere degli amministratori non è solo quello di perseguire il bene dei cittadini ma anche quello di segnalare ai cittadini quando le istituzioni rispettano le regole e non le derogano, e non le adattano a loro piacimento. E per spiegarvi che noi ci siamo anche in questa fase, limitati ad un compito parziale, anche rispetto a quello che il Codice Urbani prevedeva, è bene che leggiamo cosa dovevamo fare; le regioni assicurano che il paesaggio sia adeguatamente tutelato e valorizzato, a tal fine sottopongono specifica normativa d’uso il territorio, approvando piani paesistici ovvero piani urbanistico – territoriali; cioè noi potevamo non limitarci a fare una pianificazione paesaggistica, ma fare il passaggio successivo che dalla pianificazione paesaggistica segnava anche pianificazioni che avevano un carattere urbanistico. E non l’abbiamo fatto, ma abbiamo fatto un passaggio, a mio giudizio, avanzato sul piano dell’ideazione che è quella di dire: “Bene la rilevazione paesaggistica viene messa a disposizione, che cosa produce nei confronti dei comuni?” Uno, che il piano urbanistico comunale, che in assenza della pianificazione regionale aveva assunto indirettamente la valenza di un piano territoriale comunale, deve tornare ad essere il piano urbanistico comunale, cioè il piano dell’urbano e non il piano del territorio. Ma mica perchè vogliamo far arretrare i Comuni, ma per il semplice fatto che siccome il piano paesaggistico per legge ci dice che dobbiamo pianificare l’intero territorio regionale, la pianificazione del resto del territorio esiste già, ed è la pianificazione paesaggistica dalla quale prende le mosse ogni altra applicazione di carattere urbanistico o settoriale, in virtù però dell’elemento vincolante che è la rilevazione paesaggistica. Quindi i Comuni cosa potranno fare? Esattamente quello che hanno fatto fino ad oggi in termini di pianificazione urbanistica, cioè devono programmarsi l’assetto urbano, la conformazione dell’assetto urbano, le possibili espansioni, la localizzazione dei servizi, tutto quello che serve a rendere la vita della propria comunità funzionale al proprio centro urbano. Chiaramente qualche domanda la porremmo, nel senso che andremmo a verificare se le zone C di espansione corrispondono ad un adeguato trend di crescita demografica che la giustifica, e non consentiremo più la collocazione di aree di espansione di zone C in quantità industriale nell’ambito dei nostri perimetri urbani senza avere verificato se quella comunità sta procedendo ad utilizzare compiutamente tutto l’insieme delle volumetrie che ha, compresa quella dei centri storici, e per non essere smentiti collochiamo in finanziaria quest’anno, a diversi livelli di finanziamento, centomilioni di euro da investire totalmente nel recupero funzionale dei centri storici, sia per la rivitalizzazione abitava, sia per la reintroduzione dei servizi commerciali artigianali, compatibili ovviamente, sia per il sostenimento di un’edilizia sociale che possa vedere anziani e giovani coppie avere opportunità di rivitalizzare quei centri storici. Ovviamente facciamo una scelta di piano, ma dobbiamo dotarci di una coerente strumentazione. Per cui tra centri storici e zone di espansione dovrà essere dimostrata la congruità del consumo ulteriore dei

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territori, così come auspicheremo che per i Comuni costieri, ma non solo per i Comuni costieri, venga prodotta un’attività volta ad insediare attività alberghiere nell’ambito urbano, attività alberghiere diffuse nell’ambito dei centri storici e che si modifichi la cultura del villaggio isolato, blindato, perchè? Non vi siete mai domandati perchè i villaggi turistici sono blindati e recintati? Le persone arrivano con l’aereo, vengono prese all’aeroporto, portate dentro il villaggio, stanno lì sei giorni, poi vengono ripresi, gli danno un po’ di roba, li fanno divertire, mangiano, e poi sull’aereo e via il più delle volte; perchè accadeva questo? Perché fondamentalmente doveva essere capitalizzato quel bene immobiliare il più possibile e nel frattempo la politica di integrazione, e perchè la cultura del turismo di allora aveva una domanda di esclusività, chi andava in vacanza doveva stare tranquillo, non doveva avere nessun disturbo; questa è una cultura che gli orientamenti rilevati sull’offerta turistica dimostrano che stanno andando ad esaurirsi. Il turista ha sempre più bisogno di vivere in maniera integrata con l’habitat che lo ospita, con la gente che lo ospita, vive la dimensione di ogni singolo cittadino, sapersi integrare, acquisire la ricchezza e la suggestione che quel contesto, nel suo complesso, nella sua articolazione, offre lui. Questo è il nuovo modello. E allora, siccome non siamo competitivi sul fronte generale dello schema tradizionale del modello turistico, noi dobbiamo, dentro il piano paesaggistico, dare degli orientamenti perchè si costruisca un modello di sviluppo turistico di carattere unico, originale, in grado di dire “bene, qualunque sia il costo in più o in meno per andare in Sardegna, so che andando in Sardegna riesco a realizzare una vacanza che ha i caratteri di un’unicità che non potrei mai rinvenire in qualunque altra parte del Mediterraneo, perchè vado ad acquisirne gli elementi di caratterizzazione”. È probabile che tutto questo derivi anche da un altro fatto: il mercato turistico come si fa? Ci sono i cosiddetti “imprenditori”, e non sto a definire ulteriormente, che vanno ad un mercato nazionale e vendono la loro struttura per sei anni ad organizzazioni che poi provvedono a trovare la gente e a portarla lì. Questa è la natura del mercato che c’è stato. Oggi un turista, i turisti chiedono qualcosa di diverso, chiedono anche di potersi organizzare da soli la vacanza, di poter variare la loro vacanza e quindi questo sistema chiuso deve cominciare a trovare un’apertura. Valga per tutti l’opinione che ci sono venuti a dire quelli che sono stati pionieri del turismo in Sardegna, cioè quelli del consorzio Costa Smeralda, non sto dicendo cose che ho detto io, sono venuti a dirci “sta chiudendosi un ciclo, dopo quarant’anni siamo stati pionieri ma ci rendiamo conto che il mercato sta cambiando”. E sì che loro gli interessi li fanno e guardano anche il mercato globale come funziona, e se anche rimarranno con punti di esclusività, che ovviamente rispondono ad una domanda di nicchia, capiscono che il turismo di massa sta andando versa un’altra direzione e ci dicono: “Noi vorremmo partecipare attivamente a questo nuovo processo che la Regione sta portando avanti, perchè siamo convinti che dentro questo processo ci siano i nuovi sbocchi del mercato, le nuove possibilità di investimento”. Sono sinceri? Penso di sì perchè due anni fa siamo andati a vedere il piano di ristrutturazione in un’ipotesi di accordo di programma che hanno presentato per Porto Cervo e lì, se si va ad analizzare quel tipo

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di lavoro, già lì loro dicevano “apriamo la borgata a chi vi abita, insediamo strutture pubbliche, apriamo gli spazi all’integrazione tra il turista e l’abitante”. Se voi guardate quel piano, la relazione di accompagnamento dice sostanzialmente questa cosa e quindi siamo anche confortati dall’idea che alcune persone che hanno una visuale delle cose del mondo un po’ più ampie, e anche interessate tra l’altro, diverse da noi, possano concorrere a questa valutazione. Quindi tornando al piano urbanistico comunale, la proposta, la programmazione spetta al Comune dentro alcuni criteri, come per esempio non potremmo non chiedere al Comune, quando ci presenterà il suo PUC, di spiegarci per quale motivo la direttrice di espansione che è stata scelta è quella piuttosto che un’altra, perchè ha scelto una direttrice di espansione, magari paesaggisticamente più delicata, rispetto ad un’altra che apparentemente potrebbe essere meno delicata. Andremo a verificare puntualmente se le matrici di espansione della città vanno ad insistere in aree, dal punto di vista dell’aspetto idrogeologico, pericolose ed impediremo perchè il piano paesaggistico contiene anche le prescrizioni che derivano dall’assetto idrogeologico, impediremo che si costruisca dove non si deve costruire e dove purtroppo in questi anni si è anche costruito, creando in Sardegna una condizione di potenziale calamità naturale in moltissimi nostri comuni, che oggi si lamentano per i vincoli, ma i vincoli nascono dal fatto che se si fosse lasciato un rispetto sostanziale della natura nel processo di edificazione, probabilmente non avremmo alluvioni, frane e tante altre cose di questo genere. Ma il processo di pianificazione paesaggistica restituisce ai Comuni più poteri; faccio per tutti l’esempio delle aree industriali, oggi sottratte dalla potestà della pianificazione comunale come tutte le altre trasformazioni, quasi che ogni organismo industriale si debba fare il suo piano senza rispondere del fatto che magari da lì a uno o due km c’è una comunità civile che subisce i condizionamenti di quella presenza e che l’amministratore locale, cioè il sindaco, l’amministratore eletto da tutti i cittadini, non debba rispondere anche della qualità della vita che ne deriva per effetto di quelle scelte. Quindi restituiamo, non esisterà più che la pianificazione delle aree industriali non sia e non segua lo stesso processo dentro il sistema comunale, perchè è parte della pianificazione comunale e quindi c’è un di più, usciamo da questo dedalo, da questo labirinto strano nel quale ogni organismo doveva farsi le sue cose, e si legittima di più il sistema locale come sistema di coordinamento. È chiaro che la ASI, la ZIR farà le sue richieste di variare, le dovrà motivare e sarà il Comune, attraverso una procedura sua, a dover spiegare, motivare, introitare nella sua scelta strategica la possibilità di accordare o non accordare quel tipo di sviluppo e forse una miriade di capannoni vuoti che caratterizzano le nostre zone industriali e che invece guardano silenziosamente e vuoti il nascere di altri capannoni senza che quelli possono essere utilizzati, è un processo che potrà essere arrestato. Forse riusciremo ad arrestare anche quel processo un po’ schizofrenico e un po’ irresponsabile, oltre che maldestro, di quelli che costruiscono gli alberghi a cinque stelle dentro le zone industriali e procederemo al rispetto di una regola che deve guardare a tutti, perchè una regola è regola quando è riconoscibile da tutti. Quando è riconoscibile solo da pochi ligi, serie persone e istituzioni, non è più una

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regola, è una vessazione nei confronti di qualcuno rispetto a qualche altro, quindi non solo più potere ma anche più democrazia e più trasparenza, perchè in questo processo che approda ad un livello di pubblicità che è la conferenza unificata della pianificazione, cioè tutti gli atti sono pubblici, tutti gli atti sono visibili, confrontabili, ma dal confronto delle pari opportunità nasce il fatto di un equilibrio delle pari opportunità, per cui tutti intorno a quelle regole possono fare e non fare le stesse cose, e quindi il piano indirettamente porta anche un contenuto di natura moralistica, etica nell’approccio alla pianificazione territoriale, e che credo non sia una cosa sbagliata che sia invece un elemento che mette più agilmente, più facilmente gli amministratori nella nuova fase del loro impegno politico, cioè un impegno politico che non è stare lì a braccia conserte ad aspettare che la Regione o lo Stato distribuisca a pioggia le risorse, ma è quello di dire “mi devo rimboccare le maniche perchè oggi, sul piano della meritocrazia, sono i progetti che competono e la qualità dei progetti che meritando verranno finanziati. Cosa succede invece nell’ambito extraurbano? Nell’ambito extraurbano uguali i Comuni, interpreti delle esigenze private o organizzate, possono proporre azioni di trasformazione, di nuova edificazione, di ristrutturazione urbanistica, di attrezzature di servizi di ogni genere, attraverso lo strumento del piano attuativo a regia regionale. Poiché il territorio è sotto la tutela paesaggistica, è corretto che tutti i soggetti della pianificazione, Comuni, Provincia e Regione insieme, chiudano il ciclo decisionale sulla consapevolezza che siano stati rispettati, ognuno per la sua parte, i principi di tutela e di regole che sono state dettate. Io non mi sogno e non ci sogneremo come Regione di dire: “tu non hai diritto di dire o di fare questa cosa”, l’iniziativa spetta al Comune, ma il Comune dovrà verificare se quell’intervento intanto insiste in un’area di qualità paesaggistica adeguata per quelle trasformazioni, dovrà dimostrare che il carico e l’impatto, il bilanciamento ambientale tra consumo di territorio e benefici sia tale da giustificare per dimensione, per entità, per tecnologia, per caratteristiche quel tipo di intervento. La Provincia dovrà verificare se nelle linee strategiche del suo sviluppo territoriale quella collocazione è funzionale al disegno che si è dato, dopodiché fa la sua istruttoria in sede unificata di istruttoria, cioè nell’ufficio del piano che per la prima volta in Sardegna cerca di mettere insieme parti di un’Amministrazione che rendono pareri diversi e separati in un’unica fase istruttoria, ogni soggetto deputato a dare un’autorizzazione la deve rendere a verbale in fase istruttoria, per cui la conferenza unificata legge che la sovrintendenza ha detto questo, che il paesaggio ha detto questo, che l’urbanistica ha detto questo, che l’assetto idrogeologico è questo, e poiché l’istruttoria si conclude con una sintesi, la conferenza di fatto stabilisce che quell’intervento è autorizzato da tutti quei soggetti in un’unica soluzione, di modo che non ci troviamo a dover contemplare per vent’anni la ricerca, da parte di chicchessia, di tutte le autorizzazioni, salvo poi comprendere che la stessa Amministrazione regionale, l’urbanistica dice una cosa, la forestale dice il contrario, il paesaggio dice una terza cosa ancora; non è possibile! Il territorio non è leggibile

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in tre forme diverse, il piano paesaggistico manda a coordinamento questi pareri e li deve portare a sintesi in un’unica decisione finale. Quindi c’è anche una semplificazione oltre che un coordinamento delle diverse matrici tematiche e delle diverse competenze dentro il piano paesaggistico, che credo sia un elemento in più che accelera e dà risposte certe al sistema. Ovviamente non potremmo non tenere conto delle preesistenze, prima ancora che i comuni possano o debbano affrontare il problema della trasformazione o dell’inserimento di nuove strutture, il piano paesaggistico pone il problema di come integrare l’esistente nel migliore contesto paesaggistico, infatti sono previste le azioni di ristrutturazione urbanistica e di riqualificazione urbanistica volte a completare, ad integrare, a dare i servizi, a riconnettere parti insediative non proprio nate secondo regole corrette, in un contesto ambientale che lo possa cogliere in maniera funzionale; vale a dire che non potremmo mai più consentire una concessione che porti a farsi delle bellissime case all’interno e all’esterno rimanere in blocchetti, uno usa l’eternit, l’altro usa la lamiera, non esiste più. Bisogna entrare nella logica che il fare, anche in ordine al diritto privato, non è superiore al diritto della collettività rispetto alla ricaduta che quel tuo fare ha nel diritto collettivo, perchè sennò come risponderemmo alla prevalenza del diritto costituzionale sul diritto locale? Questo è un po’ quello che cambia, e gli strumenti sono volti ad integrare questo processo. Certo è faticoso, non sarà immediato, ma l’orientamento è l’orientamento di operare cercando di considerare che il bene della collettività è di fatto oramai l’elemento prevalente rispetto a qualunque altro interesse e diritto che, pur legittimo, debba rispettare il diritto collettivo. Quindi sostanzialmente i Comuni mantengono integralmente la loro autonomia di proposte, di scelta, dentro un quadro più esigente di procedura che non è quello di legge. La regola urbanistica è di applicarla come fosse l’esito di una tabellina, ma c’è un’interpretazione; il piano paesaggistico dà i binari entro i quali, partendo dalla rilevazione delle componenti, si arriva alla definizione della qualità e la legge urbanistica assegna quali sono le azioni entro le quali si può operare o non operare. Questo è quello che noi portiamo avanti e questo è il punto centrale di un cambiamento di ordine culturale che, se non viene percepito adesso, legittima un po’ tutte le proposte un po’ insensate che sentiamo in questo periodo, perchè tutti parlano di metodo, abbiamo poco tempo; beh insomma anche qui ragionate voi. Ci sono tre mesi per fare le osservazioni che rappresentano un quarto del tempo che ha avuto la Regione per fare il piano, ma si vuole sostenere che qui quelli che si devono analizzare il proprio territorio ci debbano mettere più di quello che in proporzione è stato impiegato per analizzarlo, per studiarlo? Non credo! E in ogni caso è una questione che, primo, tutti i comuni, tutta la comunità regionale sapeva da un anno e mezzo, perchè dal 24 novembre 2004 la legge diceva qual era il percorso, e allora dovevano protestare contro il legislatore ed è inutile che vengano a dire a me ora “abbiamo bisogno di più tempo”, perchè non ho la facoltà di decidere il tempo, ho l’obbligo di rispettare la legge che quei tempi mi dice. E comprendo anche il fatto

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che sia molto insita nella cultura dei Comuni l’idea, questo filone culturale che un po’ si è innestato e che ancora non è molto bene affinato, che è venuto a seguito dell’eliminazione del controllo sugli atti degli enti locali, che è venuto appresso al sistema della cosiddetta equiordinazione, ma sono tutti termini che devono essere capiti bene. Io sono stato quello che in Regione ha proposto per primo l’emendamento per l’abolizione del controllo sugli enti locali, ma perchè questa è una direttiva chiara e nazionale sul fatto che bisognava rendere più responsabili gli amministratori degli atti che compivano, senza bisogno di andare lì e fare i censori perchè questa una funzione sussidiaria, è una funzione sbagliata. Domanda: avete mai sentito, rilevato, acquisito, nella legislazione nazionale un elemento che abbia inteso escludere la Regione dalle sue funzioni sovraordinate nei processi di pianificazione? Non esiste da nessuna parte, è una precisa scelta del legislatore che ha inteso mantenere su quel terreno il sistema del coordinamento istituzionale, della cosiddetta sussidiarietà, proprio perchè c’è una differenziazione di valori da tutelare, sennò avrebbe detto “così come è escluso il controllo, è escluso il controllo delle Regioni sugli atti di trasformazione e di pianificazione”, invece questo non è stato mai detto, è esattamente il contrario di ciò che scritto nel Codice Urbani, e quindi non esiste. Quindi è inutile inseguire questa logica di voler per forza avere le mani libere; e poi l’equiordinazione significa che il riconoscimento costituzionale delle istituzioni è tale per cui non è che ci sia un’istituzione di primo livello ed altri di altro livello, si dice che tutte le istituzioni sono funzionali al comune disegno costituzionale, e dice che l’equiordinazione non altro che il termine attraverso il quale si applica il principio della leale collaborazione. Se ci deve essere una leale collaborazione è sottinteso che nella collaborazione ci sono funzioni diverse, non c’è ombra di dubbio, e quindi se i termini vengono ricollocati al posto giusto, se le cose vengono affrontate con una maggiore serenità, si capisce che in questa fase la Regione sta portando la Sardegna in una condizione non di blocco, come qualcuno dice, perchè qui nelle zone A si può continuare a fare, nelle zone B si può continuare a fare, nell’ambito urbano C e G si può continuare a fare, si possono fare i piani attuativi a regia regionale anche nell’extraurbano; mi spiegate dove si deve bloccare? Si blocca dove prima si costruiva illegittimamente, dove ci sono valenze che devono essere rispettate, come quel bellissimo albergo a cinque piani su una punta che dava sul mare e sulla quale punta c’era pure un , prevista in un piano urbanistico comunale con scioltezza; beh queste cose, se mi consentite, non vengono ammesse più dal piano paesaggistico. Ma non è che non viene ammesso più l’albergo, perchè l’albergo lo possono fare da un’altra parte, ma non lì, perchè quel bene ha delle caratteristiche che appartengono alla collettività regionale, che è quella di salvaguardare quel pezzo di paesaggio che ha delle caratteristiche, non è che è percepito, che ha delle caratteristiche rilevate, storico - culturali, ambientali, morfologiche, che meritano di essere lasciate integralmente. Quindi, da questa puntualizzazione nasce l’esigenza di aprire una fase nuova. I comuni, le province, i soggetti possono da oggi, per tre mesi, presentare osservazioni; non c’è limite di tempo da nessuna parte salvo l’esigenza di sollecitare

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a riflessioni serie, un piano che può avere anche delle incongruenze. Se ci sono rilevatele. Ci confronteremo, la legge urbanistica completerà questo percorso. Se il Consiglio regionale la esisterà nei termini che prevediamo, al momento dell’approvazione del piano sarà in vigore la strumentazione attuativa e la Sardegna avrà una continuità operativa nella possibilità di portare avanti questi piani. I piani urbanistici comunali si adegueranno successivamente col contributo non solo delle risorse che metteremo a disposizione, ma come abbiamo dimostrato noi, facendo il piano all’interno della struttura regionale, non sono sempre le risorse che fanno le cose, ma molte volte è questo processo di integrazione fra le strutture tecniche, locali, provinciali e regionali che può produrre non solo una condizione di maggior congruità del lavoro oltre che del risparmio finanziario, ma siccome si rende necessario avviare da oggi processo di lavoro e di formazione contemporanea degli operatori della pianificazione territoriale, sarebbe opportuno che qualche comune invece che dare i soliti incarichi professionali, desse qualche consulenza di accompagnamento al proprio ufficio tecnico che lavorerà con la nostra struttura per costruire, leggere correttamente e far avanzare l’idea che la pianificazione è patrimonio degli operatori responsabili della gestione di questo bene immenso che ha un valore che va molto oltre gli interessi locali, le visioni locali e la prospettiva di un singolo comune preso a sé. Ora il dottor Carboni vi darà un inquadramento specifico della cartografia che interessa quest’ambito, spiegandovi i caratteri rilevati, le criticità che sono state evidenziate ed indicandovi alcune linee essenziali molto sintetiche delle possibilità di progetto che questo territorio può avere. Dopodiché apriremo la discussione e il dibattito.

ANTONIO MARIA CARBONI

- Direttore Servizio provinciale gestione e controllo del territorio di Sassari, -Tempio - - Responsabile del procedimento -

Scheda ambito numero 15 denominato bassa valle del Coghinas. Descrizione dell’ambito: l’ambito coincide con la struttura ambientale della basse valle del Coghinas; i suoi limiti sono definiti dal sistema insediativo dei centri collinari di , Vidalba, Arzagulta, Montigiuni, Latozza, Montigiu e Badesi. L’arco costiero si estende tra Punta Prima Guardia e l’Isola Rossa, caratterizzato da un esteso lido sabbioso e vasti campi dunari retrostanti la cui copertura vegetale è costituita da importanti formazioni di ginepri. Le foci del fiume Coghinas, sito di importanza comunitaria, interrompono la continuità del sistema

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sabbioso litoraneo mentre verso l’interno si trova la dominante granitica di Monte Ruiu che è strutturato sulle formazioni granitiche con caratteristici riflessi rossastri, domina il paesaggio insieme al rilievo vulcanico di monte Ortigiu e chiude l’imboccatura della valle del Coghinas verso la piana costiera. Il fiume del Coghinas costituisce un elemento di connessione tra Badesi, Vidalba e Santa Maria Coghinas e , mentre l’affluente rio Badu Crabili costituisce un sistema idrografico secondario. Tra le caratteristiche dell’ambito si possono rilevare le sorgenti termali alla base del rilievo del castello dei Doria, in prossimità della piana del fondovalle del corso del fiume Coghinas, che rappresentano una potenziale risorsa per il territorio. La gola di Casteldoria dominata dall’omonimo rilievo su cui sorge il castello medioevale dei Doria, generata nella profonda incisione fluviale del Coghinas, i cui deflussi in questo punto sono controllati dallo sbarramento del serbatoio artificiale della centrale idroelettrica a monte. La piana alluvionale costiera della basse valle del Coghinas è caratterizzata da suoli fertili particolarmente suscettibili per le attività agricole. Le dune di Badesi che costituiscono aree di interesse botanico. Si riconoscono diversi sistemi dell’insediamento articolato nei seguenti elementi principali: insediamento urbano di Valledoria – Coda Ruina e nucleo di Mondizza sulla piana del fiume Coghinas. Nuclei insediativi costieri di Lacciaccia, Maragnani e San Pietro a mare e l’insediamento di Baia della Mimosa sulle foci del rio Coghinas. Direttrice insediativa di centri collinari di Santa Maria Coghinas, Vidalba, Arzagulta, Montigiuni, Latozza, Montigiu e Badesi; gli insediamenti sono disposti ai bordi della piana lungo la direttrice viaria che li raccorda. Valori e criticità dell’ambito. Valori: i principali valori sono risorse importanti connesse alle attività agricole, alla possibilità di utilizzo di energia geotermica e alla fruizione turistica ricreativa. La notevole fertilità dei suoli nella piana del Coghinas e la disponibilità della risorsa idrica superficiale e sotterranea hanno favorito lo sviluppo dell’agricoltura anche specializzata. Altre opportunità del territorio sono rappresentate dalle potenzialità offerta dalle spiagge e i vasti campi dunari, i più estesi ed importanti della Sardegna settentrionale. Conformazioni a ginepro, dalle zone umide di foce fluviale che favoriscono i processi di fruizione naturalistica e turistico – ricreativa, dato anche il loro elevato grado di naturalità. Il paesaggio agricolo che attraverso la coltivazione delle specie ortive e viticole, queste solo marginali, rappresenta i caratteri ed elementi essenziali di riconoscibilità del territorio. Sussiste una stretta integrazione tra la piana del fiume Coghinas e i nuclei insediativi da Badesi a Santa Maria Coghinas che definisce i caratteri di unitarietà dell’ambito. Le criticità: la drastica diminuzione al deflusso fluviale delle foci in conseguenza della costruzione degli invasi artificiali nel corso del Coghinas

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rappresenta un fattore di estrema criticità ambientale in relazione alle sue ripercussioni sull’erosione del sistema di spiagge di Valledoria – Badesi, tutto ciò anche in conseguenza della crescente pressoché pressione sui sistemi di spiagge sulle dune da parte della fruizione turistica ricreativa non regolamentata; dalla presenza di insediamenti turistico - ricettivi in ambiti dunari di elevata sensibilità ambientale ed anche a seguito della presenza di cave di sabbia. La progressiva alterazione dell’equilibrio tra acque dolci continentali e acque salate marine delle falde costiere della piana, con il conseguente pericolo di inclusione salina con rilevanti ripercussioni ambientali, per la risorsa idrica sotterranea e per la progressiva degenerazione dei suoli particolarmente fertili e produttivi della piana del Coghinas. La progressiva diffusione di insediamenti e infrastrutture viarie di collegamento nella piana con crescente sottrazione della risorsa suolo. Le opportunità di utilizzo sotto varie forme delle acque termali non sono sfruttate in modo sufficiente. Problemi legati alla difesa del suolo e alla sua sistemazione idraulica, di prevenzione e di controllo dell’inquinamento legato alle pratiche agricole e in particolare a quelle che sorgono in prossimità di ecosistemi naturali. Riduzione significativa delle superfici coltivate a vite per la loro conversione in aree estrattive. Indirizzi. Il progetto assume l’interconnessione tra la centralità del fiume Coghinas e la piana agricola costiera come guida di riferimento per la riqualificazione ambientale ed urbana dell’ambito. Riqualificane i nodi strategici come gli attraversamenti le foci e le fasce ripariali, le intersezioni con il sistema insediativo attraverso una gestione integrata dell’ambito fluviale tra i comuni appartenenti al bacino idrografico finalizzata ad un equo utilizzo delle acque idriche e la qualità delle acque. Ricostituire la naturalità dell’alveo fluviale del fiume Coghinas, mitigando le interferenze generate dalle infrastrutture come recupero della percezione e delle funzioni del corridoio fluviale in relazione alla pianura alluvionale circostante. Riqualificare e rafforzare lungo la direttrice viaria collinare gli insediamenti che orlano la piana come luoghi eccelsi per la percezione delle relazioni che strutturano l’ambito. Riqualificare l’accesso alla piana impregnato sul nodo ambientale e insediativo rappresentato dall’attraversamento del fiume Coghinas in corrispondenza dei centri di Vidalba e Santa Maria Coghinas attraverso la localizzazione di funzioni strategiche e spazi pubblici di servizio per la fruizione ambientale del parco agrario fluviale Coghinas. Conservare e riqualificare lungo la direttrice del fiume Coghinas l’accessibilità alla piana costiera e la connessione ecologico - ambientale tra il nodo di Vidalba e Santa Maria Coghinas e le risorse dell’ambito interno della media valle del Coghinas attraverso le gole Casteldoria.

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Riequilibrare il rapporto Valledoria, Lamondizza e Lacciaccia attraverso un progetto integrato per il recupero urbano ed ambientale; innovare il sistema delle attività agricole che caratterizzano la produttività della piana, conservando la risorsa rappresentata dal fiume Coghinas. Riqualificare e migliorare la dotazione delle siepi libere per la conservazione naturale e la riconoscibilità dei caratteri strutturali del paesaggio. Riqualificare il lido sabbioso e il sistema dunare finalizzato a contenere i processi di erosione anche attraverso l’organizzazione e il regolamento della fruizione turistico - ricreativa. Riqualificare gli insediamenti turistici di Baia delle Ginestre e le dune che insistono in aree costiere ad elevata dunabilità ambientale, attraverso interventi finalizzati a ricostituire l’assetto vegetazionale e morfologico dei corsi sabbiosi. Conservare il valore dell’insediamento rurale tradizionale e riqualificare gli stazzi evoluti in villaggi; integrare il sistema del porto medioevale di Ampurias, San Pietro a mare e delle foci del Coghinas come occasione per la valorizzazione e riqualificazione anche in senso conoscitivo e culturale. Attribuire al sito di Castum di Auria e alla torre pentagonale Casteldoria il ruolo di punti di riferimento per il paesaggio culturale connessi al potenziale termale all’istituzione del parco fluviale intercomunale.

GIAN VALERIO SANNA - Assessore regionale degli enti locali, finanze ed urbanistica -

La parola al direttore generale.

PAOLA CANNAS - Direttore generale della pianificazione urbanistica territoriale e della vigilanza edilizia dell’Assessorato Enti Locali -

Due cenni per cercare di seguire meglio il dibattito come contributo di quello che verrà proiettato sui due schermi. Alla vostra sinistra verrà proiettato il progetto del piano paesaggistico e quindi avremo modo di leggere il territorio secondo il nuovo linguaggio paesaggistico. Alla vostra destra verranno proiettati il mosaico degli strumenti urbanistici comunali e quindi avremo modo di leggere il territorio urbanisticamente e cominciare a confrontare i due linguaggi e capirne le differenze.

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Il progetto del piano paesaggistico è stato sviluppato sulla base di una quantità ingente di informazione territoriali che sono disponibili in Regione e anche presso gli uffici dei piani provinciali; infatti il progetto del piano paesaggistico è stato redatto in collaborazione anche con gli uffici dei piani provinciali grazie al lavoro di costruzione dei piani urbanistici provinciali. La rappresentazione del piano paesaggistico è data in un linguaggio informatico che rende interrogabile tutte le letture paesaggistiche del territorio che abbiamo fatto. Come ha detto prima l’Assessore nel lavoro di piano il territorio è stato suddiviso virtualmente in tre assetti: assetto ambientale, assetto storico - culturale e assetto per poi ricomporlo negli ambiti paesaggistici di cui abbiamo sentito alcuni indirizzi illustrati dal collega che costituiscono le idee per la costruzione dei piani strategici di riqualificazione e valorizzazione degli ambiti di paesaggio. La grafica con cui è illustrato il piano paesaggistico tende a far leggere, a consentire a chiunque di leggere con immediatezza quelli che sono i valori delle componenti di paesaggio così come sono state lette, in maniera da riconoscere anche a colpo d’occhio ciò che va conservato da quello che deve essere ristrutturato o recuperato da quello che può essere ancora trasformabile. La legenda del piano paesaggistico ci consente di riconoscere per ogni tematismo o per ogni simbolo Quelli che sono poi gli articoli di legge del dettato normativo. Con i colori che vanno dal verde più cupo fino al beige, passando per il marrone, riusciamo a leggere le componenti ambientali del paesaggio. Con i colori che vanno dal rosso cupo fino al senape riconosciamo le componenti insediative che vanno dalla stratificazione storica degli insediamenti letta dalle carte storiche; ovvero le parti più rosse rappresentano quello che dovrebbe poi urbanisticamente essere riconosciuto come nucleo storico o zone A. Con simboli puntuali sono riconosciuti prevalentemente i beni storico - culturali di valenze archeologiche o architettoniche. Due parole su quello che il lavoro del piano paesaggistico ha fatto soprattutto con riferimento alla fascia costiera. Il modo che abbiamo avuto col modo paesaggistico di rappresentare la fascia costiera, di delimitare la fascia costiera nasce da un dibattito che ci ha consentito di superare quella delimitazione che storicamente era stata fatta geometricamente o deterministicamente passando da 150 metri a 300 metri a 500 metri fino a due chilometri che nulla aveva a che fare con le effettive peculiarità delle aree. Abbiamo sviluppato dei ragionamenti prevalentemente di carattere ecologico che oggi ci consentono di delimitare il territorio costiero come un bene paesaggistico d’insieme di elevata valenza strategica per il governo dell’intero territorio regionale, e che costituisce quella preziosa cornice di inter relazione tra fenomeni del mare e l’entroterra e quindi deve essere considerata una valenza unitaria difficilmente ripartibile per parti soprattutto amministrative. Ai comuni compete nel lavoro di adeguamento degli strumenti urbanistici, riconoscere, arricchire o meglio precisare tutta questa lettura in termini paesaggistici e quindi eventualmente precisare. Pero questo lavoro che è compito dei comuni nella

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fase di adeguamento degli strumenti urbanistici al PPR può già essere avvisato in questa prima fase; se alcuni errori o segnalazione, migliori precisazione ci verranno fatte attraverso gli uffici del piano, noi riusciremo ad adottare un piano paesaggistico regionale sempre più coerente con quella che è la lettura del territorio.

GIAN VALERIO SANNA - Assessore regionale degli enti locali, finanze ed urbanistica -

Adesso apriamo la discussione. Rileviamo col sistema di resoconto l’intero verbale di ogni conferenza per metterlo on line immediatamente dopo, quindi a disposizione di tutti, perché abbiamo inteso che questo lavoro e ogni attività di consultazione debba far parte integrante della documentazione utile alla Giunta per fare le valutazioni successive insieme alle osservazioni.

ANTON PIETRO STANGONI - Sindaco del Comune di Badesi -

Innanzitutto ringrazio l’Assessore e gli ingegneri che hanno descritto attentamente qual è filosofia del piano; abbiamo studiato anche noi e ci siamo visti un po’ quali sono i valori e le criticità del nostro ambito, che è quello numero 15. Parlo per Badesi. La preoccupazione c’è come diceva l’Assessore, nel cambiamento, diciamo che le regole erano necessarie e quindi condividiamo il fatto che un piano fosse necessario. Un po’ di preoccupazione nell’avere tutto il cambiamento e nell’adeguarsi a quelle che sono le linee. Noi stavamo iniziando, da un annetto circa stavamo studiando il piano urbanistico comunale e avevamo una serie di iniziative, diciamo che l’obiettivo dell’Amministrazione, in parte condiviso con questo piano, era quello di riqualificare quello che era il centro urbano, cioè Badesi e i centri delle frazioni, questo è l’obiettivo principale. Si stava già lavorando in questo settore perchè c’era la volontà di rivitalizzare un po’ quello che era il centro insediativo. Ci siamo trovati un po’ spiazzati perchè stavamo pensando, appunto con una programmazione generale, di riqualificare il centro urbano su quello che sarà poi l’effettivo sviluppo. Ho letto qui i valori, si dà molta priorità all’imprenditoria agricola, che è un settore che ha dato natività alle nostre genti e continua ad essere un settore importante e produttivo, però negli ultimi quindici anni Badesi ha improntato il suo sistema economico soprattutto sul settore turistico e tutte le attività che sono di

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supporto, con un’attenzione particolare, devo dire anche con le Amministrazioni che si solo succedute, all’ambiente perché sulla fascia costiera abbiamo solamente due centri realizzati e due in fase di realizzazione, due villaggi, e la fascia, possiamo chiamarla fascia antropizzata, è quella della spiaggia di Li Iunchi dove abbiamo un litorale di circa 800 metri; spiaggia dove si riversano quasi tutti i turisti che vengano a visitare le nostre spiagge più i residenti per tradizione, anche dei comuni vicini, e diciamo che presenta una notevole problematica dal punto di vista dell’afflusso. Noi abbiamo presentato due progetti, uno per cercare di recuperare un intervento che comunque era necessario in quel contesto, della strada che è stata fatta sul litorale, un lotto è stato già realizzato e noi ci auguriamo che la Regione presti attenzione a questo progetto perchè in quel lotto realizzato la larghezza della spiaggia è ritornata ai tempi di circa vent’anni anni fa, cioè ha recuperato circa dieci – quindici metri, si vede anche dalla foto aerea, mentre gli altri due lotti che dovrebbero essere realizzati presentano ancora dei problemi. È stato fatto uno studio geologico apposito e su questo vorremmo lavorare. L’altro problema è che ci troviamo in assenza di strade, non dico retrodunali perché potrebbero essere studiate, noi abbiamo fatto delle proposte sia dal punto di vista della sicurezza ma anche dal punto di vista della fruibilità, che potrebbe essere una fruibilità controllata, su questo siamo d’accordo; noi abbiamo due navette che vanno e vengono tutto il giorno per portare, al contrario di altre località probabilmente, le persone dal villaggio al centro urbano e viceversa dal centro urbano a Badesi. Quindi l’Amministrazione si è attivata in questi termini, è un servizio iniziato con la precedente Amministrazione, noi l’abbiamo potenziato perché riteniamo giusto, che sia una filosofia corretta, però ci troviamo in difficoltà nel realizzare altre vie di accesso al mare, che possono essere regolamentate, abbiamo presentato dei progetti anche dal punto di vista dell’emergenza ci siamo trovati in situazioni in cui sono morte delle persone, l’ambulanza non è riuscita a arrivare, insomma i volontari si sono fatti sulla spiaggia con tutta l’attrezzatura e quindi c’è anche un problema di questo tipo. L’idea sarebbe quella di realizzare Un sistema di aree retrodunali per i mezzi d’emergenza e per le navette per poter portare le persone, e “spalmarle” sugli otto chilometri di spiaggia piuttosto che sugli 800 metri, evitando tutti quei processi di antropizzazione, di erosione che vengono citate anche nel piano. Noi siamo favorevoli a questo tipo di sviluppo. Diciamo che rispetto a quella che è stata la filosofia anche discutibile e anche contrastabile, secondo il mio punto di vista, da quella che era la potenzialità edificatoria – chiamiamola così - del nostro comune, perchè noi avevamo col decreto Floris circa 500.000 metri cubi, abbiamo realizzato il venti per cento circa di quella che era la potenzialità, quindi il paese ha cambiato completamente regime, stava puntando l’economia, come ho detto prima, su questo settore. Paradossalmente, dico paradossalmente per una serie di motivi, perchè noi da amministratori locali, lei Assessore è stato anche amministratore locale e conosce quali sono le esigenze dei cittadini in questo momento di difficoltà dove si cerca

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l’occupazione, dove ci sono le attività che fanno degli investimenti e quindi in un contesto globale che condivido, però dobbiamo dare anche spiegazioni, dobbiamo dare sicurezza e spaventano un po’ i tempi che non sono certi, cercheremo magari di incontrarci e di sapere eventualmente in che tempi possiamo dare risposte alla gente, anche con una prosecuzione del nostro piano comunale. Dicevo: noi ci troviamo paradossalmente penalizzati perché le Amministrazioni che si sono succedute in qualche modo sono state attente all’ambiente, hanno rispettato di spostare l’insediamento verso il centro urbano e in questo momento però chi ha e avrà, questo vuol dire introiti nelle casse del comune, e allo stesso tempo possibilità di sviluppare i servizi, cosa che in questo momento Badesi, seppure sia un paese turistico, ha difficoltà a chiudere il bilancio comunale, quindi anche a creare servizi, anche a creare strutture e mi auguro che la Regione abbia questa filosofia e noi siamo d’accordo su questa filosofia, dia sostegno per cercare di creare i servizi adeguati e conservare quello che abbiamo creato. Ho notato con attenzione, è un argomento che mi appassiona particolarmente la criticità riguardo al percorso fluviale del fiume Coghinas. Bene, voi potete porre termine a quella che è la diga, perchè quella diga è stata realizzata con fondi dell’Assessorato dell’Agricoltura tempi or sono e ceduta all’Enel, e noi abbiamo protestato, incontrato più volte il Presidente della Regione, Assessori, segnalazioni al prefetto che fa e disfa a suo piacimento manutenzioni, creando disastri ecologici, come è stata la moria dei pesci tre anni fa nel comune di Santa Maria Coghinas e Villalba, creando d’inverno pericolosità e allagando tutta la piana del Coghinas, quindi allagamento e asfissia delle carciofaie e delle varie attività che vengono fatte senza, avvisando in seguito, una volta che le paratie sono state aperte, le amministrazioni locali confinanti. Quindi proteste a non finire. Noi siamo d’accordo a supportare questa battaglia se sarà necessario, oltretutto esisteva una convenzione che abbatteva i costi dell’energia, cioè della bolletta pagata dagli allevatori e dagli agricoltori nella piana del Coghinas, una convenzione con l’Enel che non è stato più rinnovata da vent’anni. Quindi pagano un prezzo non equo a quelle che erano le aspettative, o quella che era la compensazione per aver ceduto la diga all’Enel. Quindi su questo potremmo discutere e io, ma anche gli altri sindaci della bassa Valle Coghinas sono sicuro che sosterranno quest’iniziativa; al che se la Regione si rimpossesserà o farà degli accordi con l’Enel per poter gestire quello che è il percorso o l’apertura delle paratie in particolari periodi di criticità, si potrebbe allargare ed eliminare quello che è il problema del percorso fluviale, o perlomeno mitigare, diciamo così. Per quello che riguarda l’agricoltura, quando è stata istituita l’area sic - le nostre amministrazioni non hanno seguito bene la cosa - ci troviamo in un’area vasta che coi progetti che ci sono in corso, tra cui quello della rete ecologica, l’Amministrazione di Badesi, come altre Amministrazioni, sta partecipando al piano di gestione, abbiamo un finanziamento in corso rete ecologica, siamo nell’agenda 21, per far capire che le Amministrazioni sono attente a quello che è il problema

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dell’ambiente, alla conservazione del territorio, perchè è una risorsa e nessuno se vuole la giocare. Sull’area sic sono stati fatti probabilmente degli studi pochi attenti, ho già segnalato questa cosa, ad esempio abbiamo nell’area sic una parte del territorio e da settant’anni esistono foto dei miei nonni o dei nonni di chicchessia che lavoravano nella valle di Coghinas, che portavano col carro a buoi i carciofi a Torto Torres. Per dire che una parte dell’area sic, che è stata individuata, è tradizionalmente piantata a vigneti e a carciofaie. Si rischia, col nuovo piano di gestione, di “mutare” questa attività, delle attività consolidate da settant’anni e quindi cercare di convertirle in un processo canalizzato che non so se gli imprenditori agricoli, con le difficoltà che hanno, sono disposti a sopportare; siccome noi amministratori dobbiamo dare risposte, anch’io a voi le chiedo: sarebbe da rivedere una parte. Nulla da dire sull’altra parte dell’area sic, perchè esiste un’area e la foce del Coghinas va preservata come sono. Più che altro dovremmo cercare di capire, in base a queste cartografie ci adatteremo - poi eventualmente approfondiremo in altra sede il problema - quale potrebbe essere la nostra filosofia di sviluppo, ad esempio Badesi non ha un centro storico perchè noi originariamente eravamo frazione di Angius fino al ‘68, quindi gli stazzi e l’area che si è insediata lì, si è insediata dopo la bonifica fatta nella valle del Coghinas, intorno agli anni 40 – 45 se non ricordo male. Quindi è un paese recente che non ha queste grandi tradizioni, ha anche pochi stazzi e su questo non vorremmo risultare penalizzati riguardo ad altri paesi che hanno sì i centri storici, ma noi cosa dovremmo rivitalizzare? Noi stiamo cercando di fare interventi per recuperare il territorio urbano e quindi vorremmo avere, in questo momento, considerazione perchè non è colpa nostra se siamo giovani e se altri hanno centri storici di particolare rilievo. Quindi vorrei che questo punto fosse segnato. Quindi riguardo a quella che è la foce del Coghinas e tutto il percorso fluviale, è stato sì ed è fonte di ricchezza, ma penso che le persone che coltivano quella valle da più anni siano attenti a conservare quella che è stata la loro risorsa, lo sono stati e penso che lo saranno. Mi piacerebbe discutere anche su quella che è la politica agricola, ma giusto un accenno della Regione. Cerchiamo di far perdurare le persone, perchè c’è uno spostamento, qui mettete l’agricoltura come punto principale, per quello faccio questo ragionamento. Il turismo dà anche possibilità di convertire, con sottoprodotti, l’agricoltura e c’è anche un allontanamento dai giovani imprenditori, che in un primo momento stavano lavorando nelle aziende agricole, verso quello che è il settore turistico; quindi se vogliamo cercare di dare potenzialità ad un settore come questo, bisognerebbe incidere su politiche diverse, faccio un esempio per tutti: blocco dei bovini. È capitato che delle aziende hanno tenuto dei bovini per due anni, e si continuava ad importare carne dall’Inghilterra dove ci sono stati un milione e mezzo di casi di BSE, mentre noi abbiamo avuto un caso in tutta la Sardegna. Quindi o organizziamo delle filiere agroalimentari che permettono di macellare bovini e di portarli fuori, dando magari degli incentivi, così lo stesso vale per le ortive, per i carciofi e per il settore vitivinicolo che è in crescita. Le cave erano

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nel comune di Badesi un settore economico, che per alcuni anni ha creato sicurezza, ha permesso di fare altri investimenti a chi ha usufruito di questo bene. Io ritengo che debba essere riconvertita, quell’area sicuramente riqualificata e con questo ci sono già degli interventi che abbiamo in atto con l’Assessore dell’Industria e dell’Ambiente, e vorremmo portarli avanti, potremmo anche pensare o ipotizzare eventualmente che in altre aree di meno interesse si potessero riprendere queste economie concertando con la Regione e facendo sì che eventualmente vengano effettuati quei ripristini previsti per legge, che fino non sono stati ancora fatti. Vero è che nelle cave di sabbia, al contrario di quelle di granito, alla cavazione è succeduto l’impianto dei vigneti. L’impianto dei vigneti marginale in questo momento ma molto consolidato nel comune di Badesi, e in fase di recupero perchè abbiamo una serie di imprenditori che sul vino e sul turismo legato al vino, abbiamo aderito all’associazione nazionale Città del Vino, Le Strade del Vino, stiamo cercando di potenziare, l’Amministrazione insieme a nuovi imprenditori. Quindi la filosofia va bene, però vogliamo avere delle risposte un po’ più certe nei tempi per poter noi far capire alla gente quali qual è la filosofia generale del piano e poter dare delle risposte attuative nel più breve tempo possibile.

GIAN VALERIO SANNA - Assessore regionale degli enti locali, finanze ed urbanistica -

La prima cosa che bisogna dire è questa: spesso capita che nei processi di organizzazione delle linee di governo non sempre siano rispettate le cadenze naturali degli strumenti che dovrebbero servire alla finalità unica. In effetti un piano generale di sviluppo avrebbe potuto creare i principi generali di orientamento per quanto riguarda le opportunità di sviluppo, anche tenendo conto della specificità dei caratteri paesaggistici che comunque doveva tener conto. Forse non è un male, proprio per la rilevanza che nel sistema economico ha l’ambiente in Sardegna, che si siano posti i paletti della pianificazione paesaggistica prima di verificare come la pluralità delle fonti e delle risorse del nostro territorio possano essere orientate verso processi di sviluppo coordinati e sostenuti. Quindi, secondo me questo non è un male, anzi è un bene perchè aiuta ad intravedere alcune ipotesi di sviluppo. Credo che il Comune di Badesi sia un esempio, il quale, a prescindere da qualunque giudizio, adesso non so neanche la storia amministrativa del comune di Badesi, ma complessivamente mi sembra un comune che nel tempo ha avuto un impatto cosiddetto prudente nei confronti dell’ambiente e forse ha usato indirettamente, senza volerlo, quel principio di precauzione che l’orientamento ad uno sviluppo sostenibile che ormai ci viene imposto, avrebbe richiesto a molti altri. Quindi, come dire, non è mica vero che noi non riconosciamo che in questo grande panorama della Sardegna ci siano state classi amministrative che abbiamo operato male e abbiano fatte buone pratiche, e se mi

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consente le potrei dire che probabilmente lei non si deve sentire penalizzato, ma forse avvantaggiato perchè se lei avesse la possibilità di reiterare quei modelli che altri hanno fatto, che gli sembrano fonte di risorsa, forse un po’ di ICI, ma con l’ICI non si campa; oggi lei invece ha la possibilità di entrare in una nuova dimensione dell’offerta turistica, che probabilmente ha un carattere più competitivo rispetto a quello di reiterare i modelli degli altri. Faccio riferimento a due aspetti fondamentali che conformano quel territorio. Prima di tutto voi avete, se guardate la linea che delimita il bene paesaggistico, avete l’insediato urbano sostanzialmente fuori da questa linea, come a dire che la viabilità ha segnato in qualche modo una linea virtuale di rispetto del territorio che indirettamente voi avete indicato come un bene paesaggistico facendo quella scelta, basta leggere, si vede, non è mica casuale. Ora i problemi di accesso, i problemi della sicurezza, possono essere affrontati tenendo conto che quel paesaggio agrario e naturale può diventare un tutt’uno nella valorizzazione anche turistica, nel senso che si risponde alla domanda turistica anche attraverso la valorizzazione in termini di posti letto, in termini di organizzazione anche del paesaggio agrario e rurale che voi avete abbastanza delineato, e connettendolo con la valorizzazione del centro urbano, che anche se non ha una storia, mi pare che un nucleo storico ci sia, va individuato, e anche al perimetro di un centro del genere possono nascere tutte quelle infrastrutture e servizi del turismo, che coi lei giustamente bene ha detto, poi possono essere trasferite con sistemi di navetta verso la costa che a questo punto si scarica di un impatto troppo forte in termini di peso, e che col sistema sic e col sistema dunale può costituire l’elemento di un parco continuo, che dà un’offerta turistica originale e non per questo deve prevedere le infrastrutture di sicurezza che sono ormai diffuse, che devono tenere conto di una viabilità di emergenza e che in alternativa sono invece viabilità pedonali, che lasciano il carico dei mezzi e delle persone lontano e quindi indirettamente valorizzano quel bene come un bene esclusivo. Sulle infrastrutture il piano paesaggistico oggi comporterà la scelta che invece di regalare o programmare i finanziamenti per le infrastrutture in maniera disorganica, dovranno essere finalizzati a queste direttrici di consolidamento dello sviluppo e quindi indirettamente agiranno, non è che ve lo dire io come si facevano i programmi di spesa delle opere e dei lavori pubblici fino a qualche anno fa. Sembrava che ci fosse un criterio di finalizzazione, probabilmente era prevalentemente un criterio di simpatia, qualche volta, per dirlo con un eufemismo ora non si può più fare perchè se vogliamo percorrere la strada di capitalizzare il nostro bene paesaggistico e naturale, dobbiamo finalizzare le risorse a dotare delle infrastrutture sostenibili quei territori perchè possano costruire le loro regioni di sviluppo, e da qui nasceranno tutti i problemi di coordinamento delle politiche energetiche, diga, delle politiche ambientali ed idrogeologiche, all’interno di questo sistema. Non a caso il sistema del piano, dell’ufficio del piano come luogo multidisciplinare dove concorrono le diverse competenze che hanno operato questi anni ognuno per conto proprio, è credo la sede più idonea perchè il Comune ponga

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queste questioni, e queste questioni di carattere tecnico e strategico vengano portate a dei protocolli che ovviamente la conferenza unificata, cioè luogo interistituzionale della Provincia, del Comune e della Regione, dovranno prenderne atto e tradurle in determinate decisioni di carattere istituzionale. Quindi anche da questo punto di vista i Comuni hanno una sede alla quale riferirsi; poi le politiche agricole, le politiche energetiche sono indiscutibilmente da filtrare dentro la pianificazione urbanistica provinciale che indica le direttrici più specifiche dello sviluppo da assegnare a ciascun area e che quindi dovranno essere negoziate anche attraverso la programmazione dell’Amministrazione provinciale che ha il compito appunto di vedere quali sono, sulla macroarea, le funzioni di specializzazione che i vari territori dovranno portare e quindi ovviamente dare più peso o meno peno, ma in questo caso penso più peso, al binomio agricoltura specializzata - offerta turistica e quindi ambiente. Mi sembra che sia una questione che debba essere portata avanti. Però si tratta non di chiedere alla Regione di fare quello che devono fare le altre istituzioni, ma alla Regione di accompagnare coi propri strumenti l’adeguatezza delle scelte comunali ai diversi livelli di orientamento e di sviluppo che la Provincia e anche la Regione, nel suo sistema, ha dato. Sull’area sic probabilmente il piano paesaggistico pone il problema forse di andare a registrare la delimitazione per renderla più congrua e più ottimale in ragione di queste anomalie, e contemporaneamente a fare una riflessione sui piani di gestione, che come voi sapete, essendo molto più dettagliati del livello della pianificazione paesaggistica, quando verranno adottati sono fatti propri dal piano paesaggistico come parte più dettagliata della pianificazione paesaggistica. Quando mancano i piani di gestione opera la pianificazione paesaggistica, in supplenza appunto di un livello di dettaglio della pianificazione che anche qui però è frutto della capacità interna del territorio di darsi un’idea di sviluppo e di sfruttamento di questi beni naturali. Sui centri storici e sui paesi è ancora possibile ipotizzare sviluppi urbani con l’insediamento al perimetro delle strutture ricettive; pensate voi che cosa succedeva in Sardegna prima dell’invenzione delle zone F, gli alberghi si facevano nelle città, nei paesi, ancora non era partita quest’idea. Il sistema probabilmente tratterà di specializzare questo sistema territoriale pensando anche che per esempio tutto il sistema del golf, che oggettivamente oggi noi guardiamo con prudenza perchè si è accompagnato ad un modello infrastrutturale che associa ai campi da golf le club house, cioè un sistema surrogate di doppie case che sostanzialmente non ci va bene, può essere rimodulato sull’idea che il paese, la ristrutturazione di parti importanti delle volumetrie libere può essere utilizzata come club house di un campo di rinaturalizzazione di golf che sta proprio al perimetro del centro urbano e che va verso la costa, che anzi rende maggiormente valorizzato e infrastrutturato quel territorio. Da questo punto di vista c’è molto da fare perchè voi sapete meglio di me che per esempio Badesi su 1.800 abitazioni, grosso modo censite dall’ISTAT nel 2001, ne ha grosso modo 700 abitate da residenti, mentre ne ha un migliaio e cento vuote. Questo patrimonio volumetrico va messo a reddito, i processi sono quelli di scommettere attraverso politiche urbane anche all’insediamento di

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imprenditori nel paese, perchè noi per esempio incentiviamo con premi di volumetria tecnica perchè le abitazioni possono essere adattate per esempio ad alberghi diffusi o a sistemi ricettivi integrati che possono essere una risorsa straordinaria per dare un valore aggiunto al paese e cominciare a creare una sua suggestione, una sua storia e una vita sua che è fatta anche di commercio, di piccolo artigianato, anche del consumo di questi beni agricoli di qualità che si fanno sul territorio, e contemporaneamente usare il polmone verde naturale come il capitale verso il quale si può fruire del mare, di servizi di spiaggia perchè noi adesso modificheremo anche le dinamiche della regolamentazione dell’uso del demanio marittimo, la mia ipotesi è che quella che anche questa funzione deve essere demandata a livelli istituzionali più bassi, dentro un quadro di regole, che stimi i carichi sopportabili, perchè sono anche contento, in un certo senso, che si arrivi a piedi lontano, perchè intanto qualcuno vorrà quel tipo di balneazione, primo, secondo perchè diminuisce il carico complessivo, l’impatto sulla spiaggia. Questo non significa che non si possano fare sulla spiaggia infrastrutture compatibili, leggere, di supporto e di servizio alla balneazione, che poi riportino invece il turista a vivere nella dimensione organizzata del centro urbano e della struttura che è a ridosso. Il punto che va affrontato è un punto di partenza che vede, per esempio in questo caso, visto che stiamo parlando di questo, l’idea che voi guardiate al rapporto intercomunale di relazione con altre parti, con altri comuni limitrofi, perchè mi sembra che anche il binomio mare – montagna e struttura ambientale più articolata sia una ricchezza che in qualche modo, individuando percorsi turistici, itinerari e valorizzazione di siti di particolare interesse, non solo naturalistico ma anche culturale, possa essere per esempio una risorsa che nel quadro intercomunale, col coordinamento delle politiche turistiche e dell’Amministrazione provinciale, possa trovare una fonte ulteriore di attenzione e di attrazione. Per cui credo che proprio ci siano tutte le condizioni per guardare, proprio in questo caso, all’idea che non avete da modificare il tiro, avete da fondare su queste linee un nuovo modello di sviluppo, forse essendo più avvantaggiati di altri ad essere pionieri di questa strada.

ANTONETTI GIOVANNI- - Cittadino di Valledoria -

È del mio paese che vorrei parlare. Prima di tutto Assessore mi consenta un complimento alla Regione nel suo insieme per la rapidità con cui ha redatto questo piano paesistico, e per il modello culturale che noi riteniamo valido in esso inserito, anche se a livello personale ritengo che abbiamo necessità di tempo per recepire questa diversità e probabilmente anche nel mio intervento risentiremo di quel modello che ci portiamo appresso, perchè vent’anni o trent’anni di ragionamenti diversi non possono essere modificati così in un momento, quindi avremmo necessità

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di tempo e con questo vorremmo naturalmente adeguarci collaborando con la Regione. Come abbiamo un’inerzia culturale, ritengo che forse avremmo anche un’inerzia economica a modificare. Questo è il parere, chiedo scusa se magari sbaglio, un’inerzia economica a modificare repentinamente questo percorso. Io vorrei parlare un attimo di Valledoria. Valledoria è un paese diciamo che ha una sua specificità, che è questa: lei parlava poco fa di turismo integrato, noi abbiamo, secondo il mio concetto, un turismo quasi integrato, nel senso che l’80 per cento dei turisti che vengono a Valledoria sono tutti turisti sardi, nel senso che provengono dai paesi della Sardegna. Abbiamo un sacco di seconde case, adesso non so la percentuale, però che vengono vitalizzate e vissute nel fine settimana. Questo fatto è supportato proprio dal problema che Valledoria è un paese di 3.800 abitanti che ha due grandi strutture di vendita, cioè due tabelle ottave rilasciate dall’Amministrazione regionale in un paese di 3.800 abitanti. Questo si è evidenziato, credo, anche l’anno scorso quando la Regione ha bloccato il rilascio delle grandi strutture di vendita, è venuto fuori anche nel giornale che il paese con caratteristiche principali era Valledoria che aveva queste due strutture di vendite. Ha un centro commerciale aperto da poco, ha una via principale che è tutta dedita al commercio e all’artigianato. Chi conosce Valledoria e viene a Valledoria vede che è un insieme di negozi di vicinato che si facciano lungo la via principale. Questa è una specificità che ha creato nelle aree di espansione, aree di completamento e di espansione un modello misto di residenti e di turisti e di turisti che nel fine settimana vengono a Valledoria. Noi abbiamo una grandissima piazza che l’Amministrazione comunale ha dedicato al mercatino rionale e tutti i sabati vengono, e credo che sia uno dei mercati più vissuti, più frequentati nel sabato. Questa specificità, naturalmente, se noi - Amministrazione dico - dovessimo programmare le zone di espansione, zone B ormai non ne abbiamo più, ma zone di espansione con una separazione netta tra esigenze abitative proprie dei residenti ed esigenze turistiche con piani attuativi a regia regionale, non so se riusciamo ad avere questa separazione netta. In un rapporto così, come ha detto lei, di leale collaborazione tra gli enti, magari nella redazione del PUC noi presenteremo le nostre specificità, magari saranno anche criticabili, magari saranno anche modificabili in un rapporto come ha detto lei di leale collaborazione, magari saremo disponibili anche a fare tutti i piani a regia regionale perchè riteniamo che il confronto con un ente sovraordinato come quello della Regione sia non solo di interesse locale ma sia di interesse generale. Questo vogliamo fare e questo chiediamo alla Regione, questo chiediamo a lei. Devo dire che ero entrato qua, Assessore, con qualche criticità in più nei confronti del piano, e devo dire che - questo lo prenda come un complimento, ma non voglio fare un complimento - il suo intervento mi ha veramente convinto che probabilmente la filosofia giusta per la Sardegna è la filosofia che tutti insieme dovremmo perseguire, ripeto, con quell’inerzia che purtroppo abbiamo dentro di noi e credo avremmo necessità di tempo per recepire prima di tutto noi e poi spiegarlo ai

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cittadini che ancora ragionano in termini diversi da noi. Questo modello dovrà avvenire e dovremmo avere la capacità convincitiva nei confronti di chi ancora ragiona e continuerà a ragionare, perchè non è possibile cambiare all’improvviso, in termini anche di metri cubi e di insediamenti abitativi.

GIAN VALERIO SANNA - Assessore regionale degli enti locali, finanze ed urbanistica -

Sul fatto che dobbiamo metterci in testa che purtroppo questi processi non sono troppo amati dalla politica, perchè la politica fa le cose solo per trarne il beneficio immediato, anche speculativo, sono processi che fanno l’esatto contrario, cioè si possono fare se uno è determinato a seminare senza avere la pretesa di raccogliere, perché hanno una prospettiva molto lunga, e se la vogliamo dire tutta sono carichi di un regime di impopolarità iniziale molto forte, molto producente, soprattutto nelle persone che, come dice lei, hanno tempi diversi di assimilazione dei processi di cambiamento; però io credo che la missione della politica non sia quella di constatare l’esistente. Per constatare l’esistente non c’è bisogno di eleggere Consigli comunali, basta convenzionarsi con un’agenzia di rilevazioni e poi la decisione maggioritaria ne consegue; invece si eleggono delle istituzioni, perché è chiesto alle istituzioni di guardare lontano, di guardare dove va il mondo e quindi di approntare gli strumenti e le scelte perché quella società, quella comunità civile abbia i vantaggi che il mondo, che il progresso dà, sennò è una cosa assolutamente inutile. Sono molto d’accordo con lei sul fatto che Valledoria ha probabilmente una storia diversa, una storia di una comunità che si è assunta indirettamente, forse senza volerlo, un po’ a seguire l’idea di essere un luogo di servizi generali ad un’area molto più vasta, anche in termini di commercio, come lei ha detto, e così si è andata strutturando, che non è un male, è un bene e probabilmente bisogna caratterizzarla meglio da questo punto di vista, cercando di curare meglio politiche commerciali urbane perché siano, anche dal punto di vista della percezione, più omogenee, più accoglibili, più caratterizzate. Sull’altro aspetto, e comunque dentro il sistema urbano non c’è bisogno di fare piani attuativi a regia regionale, c’è bisogno di argomentare delle scelte dando degli indirizzi al proprio operare interno del PUC; ma io credo che possiamo convenire che anche se esiste questa breve stagionalità di fine settimana che un po’ utilizza queste volumetrie, non sia sbagliato fare un approfondimento e uno studio perché sia massimizzato l’utilizzo di queste abitazioni, anche attraverso l’idea di trasformazione di parte di questo patrimonio residenziale in patrimonio recettivo ed anche utilizzo del centro storico come non solo un luogo commerciale ma anche un luogo che abbia altri elementi di attrattiva e che possa strutturare delle presenze più stabili e più organizzate, anche da parte delle stesse strutture turistiche che operano nel territorio in termini di diversa offerta che si può dare al medesimo

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organizzato. Da questo punto di vista credo che anche qui c’è una fascia costiera molto ben strutturata dal punto di vista ambientale, si tratta di non pensare di andarla ad implementare ulteriormente, quanto di capitalizzare la parte retrostante cercando di qualificare quella funzione che naturalmente si è data il centro, probabilmente il centro è il luogo concentrato dei servizi, ma in una dimensione compatibile. Le grandi strutture forse non sono la risposta migliore, ma le strutture più leggere, più specializzate, più diffuse ed integrate nel sistema urbano forse sono la risposta che rendono anche al turista l’idea che non entrano in un pezzo del centro commerciale di Milano, e quando sono dentro si sono dimenticati di stare in Sardegna, ma restano in Sardegna anche per fare le loro azioni d’acquisto e le azioni della vita quotidiana. Credo che anche qui si tratti di fare un lavoro di insieme per strutturare la fascia costiera, noi chiediamo ai comuni di allegare i PUC, i piani di utilizzo dei litorali, perché vorremmo che insieme si decidessero quali sono i livelli di sostenibilità e dei servizi. Tenete presente che oggi viaggiamo con un’incidenza del 35 per cento dell’occupazione della spiaggia libera, in molti casi questa percentuale risulta molto alta rispetto alla delicatezza degli ecosistemi, per cui in alcuni casi si potrà mantenere e in altri casi la dovremmo diminuire proprio per salvaguardare l’integrità del sistema. L’idea che mi pare sia logico portare avanti è che se siamo in una dimensione paesaggistica, cambiano anche le regole, nel senso che quelli che dovranno avere le concessioni demaniali per l’uso ai fini turistico – ricreativi di quelle spiagge, il Comune chiederà di costituirsi in condominio perché possano non solo tenere pulita la propria parte, ma tenere pulito anche il resto della spiaggia come bene comune del quale loro usufruiscono anche per le loro attività. Risolveremo un problema di gestione complessiva nell’attesa che lo Stato ci dia una risposta, così come l’ha data alle altre regioni a statuto speciale, per trattenere noi gli oneri concessori complessivi e restituire ai Comuni perché possano utilizzarli esattamente per la finalità per le quali sono stati dati, cioè quello di valorizzare e di infrastrutturare coerentemente un bene che gli appartiene.

EMANUELE PILERI - Vice Sindaco Di Trinità d’Agultu -

Chiaramente oggi è molto limitato l’intervento che possiamo fare, visto che l’ambito 15 prende in una parte piccolissima il nostro territorio. Su questo magari mi darà una risposta se potrà dare delle difficoltà o comunque sarà valutato in modo diverso l’ambito 15 da quello 16 relativamente a quella piccola parte, perchè se così fosse, ha parlato bene prima l’Assessore, quando storie di territori sono diverse, quella parte di territorio, anche se sta molto vicina o sta comunque in una situazione

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di collegamento diretto per quanto riguarda la spiaggia, col territorio di Badesi, per quanto riguarda il territorio soprastante la spiaggia e di conseguenza le dune, ha una storia di territorio completamente diversa. Sulla base di questo volevo chiedere un’informazione viste le cose che ci siamo detti; mentre il comune di Badesi non ha storia, perlomeno non ha centro storico cosiddetto, il Comune di Trinità nasce già – chi ha letto magari i libri, ad esempio il muto di Gallura - nasce proprio come stazzi, infatti erano frazioni del comune di gli stazzi di Trinità, che partono dal comune di Badesi sino ad arrivare al comune dell’ con i confini col comune di Aggius. Sulla base di questo ragionamento, dell’esistenza di diversi stazzi di diverse località anche piccole, il premio di volumetria che lei ha indicato sarebbe sì una risposta al non cercare probabilmente altre volumetrie, ma soprattutto quello di riutilizzare quei vecchi e storici insediamenti che hanno dato origine poi al paese naturale e alle altre strutture. Però questo deve essere e deve avere un valore che sia anche di condizione economica, perché sino ad oggi se spesso e volentieri, purtroppo in tempi precedenti sono stati svenduti territori interi, forse l’Assessore saprà benissimo, ma addirittura venivano regalati ettari ed ettari di terreno purché acquistassero quella vecchia casa buttata lì che i genitori avevano abbandonato nel trasferimento per andare in paese e di conseguenza oggi ritroviamo che queste case sono state regalate. Oggi il prezzo è chiaramente diverso, chi va a dare la vendita cerca di ricavare il più possibile possibilmente, ma chi deve acquistare non ha quel risultato di volumetrie e di spazi che consentono di fare una vita dignitosa, può sicuramente comprarla un giovane che vuole andare a vivere in quella situazione lì perchè i prezzi sono inaccessibili alti, ma soprattutto per gli spazi, non sono gli spazi che ci servono oggi per vivere. Dunque vorrei capire se sulla base di questi premi di volumetrie che valgono sia nel caso dei stazzi che sono tantissimi nel nostro Comune, ma anche nei centri storici, si pensa ad una cifra solamente più dieci, più venti, più trenta o se si faranno delle valutazioni non dico a caso, ma diverse, perché è chiaro che chi va a vivere in centro storico può avere una volumetria che aumenta ma non di troppo, ma chi va a vivere in campagna o nelle vecchie borgate di campagna non sarà un limite di volumetria, se magari, come vedo io il problema, se si riesce a ricreare l’insediamento in quella zona sarebbe una cosa ottimale.

GIAN VALERIO SANNA - Assessore regionale degli enti locali, finanze ed urbanistica -

La cosa che credo sia da precisare è questa: la definizione dei limiti degli ambiti, che noi abbiamo fatto seguendo l’itinerario che ci chiedeva il Codice Urbani, non ha tenuto conto dei limiti amministrativi perchè sarebbe stato un inutile appesantimento e condizionamento; abbiamo seguito l’itinerario della rilevazione delle omogeneità, probabilmente quel pezzetto rientra lì dentro perchè c’è una

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continuità apparente di alcune componenti di paesaggio tra il territorio limitrofo e quello, questo non toglie che dal punto di vista della trattazione, non è che possiamo confondere la fonte delle scelte strategiche sul territorio in maniera omogenea, quello è un altro punto di vista che è il tipo di vista applicativo rispetto alla rilevazione, quindi non deve essere per noi. Infatti sul terreno degli ambiti, la lettura della relazione tecnica scientifica spiega come la delimitazione degli ambiti non è una chiusura, ma è un’apertura, un modo con cui alcune caratteristiche dialogano con altre e trovano la loro discontinuità. Com’è nato questo piano? Noi potevamo tranquillamente riferirci a degli studi assai recenti che ha fatto l’APA, cioè che ha studiato le unità fisiografiche del paesaggio italiano, dove sostanzialmente sono identificate le tipologie del paesaggio. Basterebbe vedere questa carta per spiegarsi come la Sardegna, a differenza di tutte le altre regioni d’Italia, ha una pluralità diversa di forme di paesaggio da indicarne proprio una sua caratteristica specifica che non si rinviene da nessun’altra parte. Ci sarebbe bastato partire da questo, prendevamo questo studio assolutamente di fonte ministeriale, quindi ineccepibile da questo punto di vista, e sulla base di questo fare il piano paesaggistico. Poiché noi abbiamo la responsabilità di tenere conto di tutti questi elementi che concorrono, conoscitivi, storico, identitari, istituzionali della Sardegna, abbiamo detto: teniamolo da una parte, avviamo noi lo studio e abbiamo fatto uno studio autonomo, progressivo, molto puntuale per poter poi dire che effettivamente quel dato che avevamo inizialmente è largamente confermato. Largamente confermato in un senso di aggiunta di complessità, e che quindi ha portato alla definizione di ventisette ambiti per il momento, ma quando finiremo lo studio saranno molti di più, che nella loro natura e nella loro specificità hanno tutti qualcosa di diverso dall’altro tale da dargli una classificazione. Questo è più rispondente all’esigenza di dare un’identità propria del territorio ed è stata proprio la fatica del lavoro di questo tempo, nel quale vi assicuro avevamo una complicazione enorme: quella di mettere a regime, dentro un ufficio di centoventi persone, competenze diverse che finalmente dialogassero; secondo: conciliare la visione accademica del comitato scientifico con la visione pratica di chi è il luogo di mediazione tra le aspettative delle comunità, le sue caratteristiche e il Governo, e se mi lasciate dire anche questa cosa, che è merito di una combinazione felice della disponibilità e della professionalità delle nostre strutture regionali ed amministrative, anche la difficoltà, lavorando, di concepire un metodo di applicazione della pianificazione paesaggistica in termini di equilibrio rispetto alla realtà sarda che, a mio giudizio, sarà uno degli elementi che concorrerà a rendere, a far avanzare l’internazionalizzazione dell’immagine della Sardegna, non solo come luogo ricco dal punto di vista ambientale, ma anche come luogo capace di avere cervelli e intelligenze in grado di concepire dal nulla una procedura che sia un punto di equilibrio e di conciliazione di tante esigenze e di tante potestà, quindi credo che il lavoro che noi abbiamo fatto tiene conto di questo. Dal punto di vista specifico, ovviamente Trinità d’Agultu è molto diversa dagli altri comuni che abbiamo visto; se non serve più, lo cito solo per un elemento di raccordo, se servisse un elemento di

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distinzione basterebbe dire che rispetto agli altri comuni, che non hanno fatto quasi niente, rispetto al potenziale di zona F, Trinità d’Agultu ha sviluppato circa il 270 per cento in più di quello che avrebbe dovuto fare per regola. È così, perché questi sono i dati che noi abbiamo e sono dati oggettivamente riscontrabili, ma quello non è più un parametro, non può essere più un limite, per dire che comunque si è fatto e che quindi è prevalente, come giustamente lei ha sottolineato, l’esigenza di pensare alla ristrutturazione urbanistica, la ricontestualizzazione, senza dimenticare la matrice storica che è insediativa che vi è, e quindi maggior cura nella valorizzazione del centro urbano, maggior cura anche nella ristrutturazione di ciò che si è insediato organizzandolo meglio e dandone un minore carattere di sistema temporaneo di residenza estiva, ma in maniera più organizzata e più flessibili. Ci sono per esempio delle infrastrutture molto importanti, penso anche quelle di tipo portuale, che non hanno nell’entroterra un adeguato sistema organizzato dell’urbano in grado di dare autorevolezza e dignità alla stessa struttura. Per cui non è che si deve affossare la dignità di una struttura moderna come quella che c’è, ma si deve qualificare il sistema che la accoglie in maniera tale che quel centro sia un luogo di servizio di area più vasta, perché siccome non potremmo fare un porto ovunque, dovremmo assegnare a quelli che abbiamo delle funzioni di vasta area però in una condizione nella quale non si vede – mi scusi il termine - il localismo del modo di vivere, ma dove è assunta una dignità, un quadro di maggiore compatibilità di un luogo che ha le caratteristiche di rappresentare una dignità e un’autorevolezza, un biglietto da visita di un’area più vasta. Quindi quest’attività di recupero deve essere più incisiva perché viaggeranno più velocemente anche i finanziamenti che vanno nella direzione di dare sostanza a quelle infrastrutture territoriali, diversamente che giustificazione ci sarebbe? Quello di far crescere il bar dello sport? Non credo che sia questa l’ambizione di nessuno di noi; quindi cerchiamo di pensare come andare verso la questione degli stazzi, ovviamente pensiamo che lo strumento del piano attuativo a regia regionale sia utile anche per fare degli studi più particolareggiati su come riconvertire e riorganizzare meglio lo sviluppo degli insediamento sparsi, ivi compreso questo, che non devono avere più un’ispirazione diffusiva, ma di maggiore concentrazione specie se possono luogo di servizi e di offerta turistica, perché ci consente di mantenere l’identità senza consumare il territorio ulteriormente. Sul piano urbano noi stiamo studiando, all’interno del piano – e li forniremo – dei manuali di indirizzo anche nell’ordine della ristrutturazione architettonica che possano recuperare gli standard di qualità e di spazi utili a dare una residenza anche nei centri storici di buona qualità e anche di adeguata funzionalità. Quest’anno noi mettiamo a bando ottantamilioni di euro della premialità della misura 5.1 destinata ai comuni minori perché si facciano progetti anche di rete tra comuni per rimettere a funzionalità i centri storici; stanno venendo in Sardegna purtroppo organizzazioni straniere a comprare le doppie case, non ho capito perchè non ci dobbiamo provvedere noi, prima che arrivino gli altri a fare le speculazioni e quindi è interesse

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delle istituzioni agevolare anche in proprio l’acquisizione di immobili o di isolati che possono essere utilmente utilizzati sia per fare degli spazi pubblici, dei servizi, delle aree attrezzate, che possano essere poi date in gestione ad operatori, a giovani e quindi avere fonte di lavoro. Tutto questo si sposerà con la canalizzazione, se da un lato questi ottantamilioni dovranno sostenere la progettualità istituzionale dei comuni, non vi è dubbio che una politica seria deve sostenere anche l’intrapresa individuale ed allora, in deroga alla normativa vigente sulla legge 29, ho proposto in finanziaria che l’intero ammontare della quota della 29 di quest’anno possa essere destinata solo al recupero primario perché il privato e gli imprenditori possano concorrere ad integrare la progettualità dei comuni con iniziative proprie che trovino quel supporto finanziario, di quelli che lei diceva che non possono sopportare costi elevati ma che si trovino in un filone strategico nel quale abbiano gli strumenti anche di incentivazione idonei per concorrere col pubblico a migliorare la propria qualità abitativa. Mi sembra che ci siano le condizioni, sono convinto di una cosa, che politiche del genere per essere credibili devono avere uno spettro pluriennale assolutamente chiaro dal punto di vista del governo regionale, ma assolutamente sostenuto dalle Amministrazioni locali, se non ci sarà un cenno di sostegno e di gradimento e quindi anche di buona progettualità, si rischia che questi processi trovino degli intoppi, perché purtroppo prevale la logica di collocare il finanziamento non su una strategia ma su una parcellizzazione della risposta; questa è la tentazione. La nostra fortuna è che in questi anni le esiguità delle risorse finanziarie è tale da massimizzare gli effetti dei fondi comunitari che ci obbligano ad una procedura meritocratica, cioè per progetti piuttosto che altri, ma il rischio è che qualora lo Stato - e lo farà perchè il Presidente non li lascerà respirare -, quando ci riconoscerà i trasferimenti erariali che ci compete, le nuove risorse possono essere portate, secondo una tensione che io non condivido, ad una visione più particolare che è generale ed astratta e che vada a premiare queste cose, quindi è importante che anche i Comuni si impegnino in questa fase perchè il successo di questi bandi e di queste progettualità è di per sé la prova che c’è una risposta sulla quale possiamo continuare a puntare e a sostenere processi di progettazione e ristrutturazione dei centri storici.

EMANUELE PILERI - Vice Sindaco del Comune di Trinità d’Agultu -

Non voglio prendere altro tempo, giustamente parleremo lunedì dell’ambito 16 e di conseguenza credo che lunedì ci possiamo dare risposte anche sul più 220 o meno 220 perchè sulla base di questo credo si debba valutare bene anche che cosa è stato fatto, come è stato fatto e cosa effettivamente si è riusciti a non fare, perchè

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spesso, io sono amministratore da cinque anni, però ho a cuore molto il mio territorio, ho studiato bene. Devo dire che in funzione di quello che era possibile fare dalle normative, se oggi stiamo andando a fare una legge regionale è per tutelare il territorio, a differenza di prima che non veniva assolutamente tutelato, non è colpa mia se alla fine si davano volumetrie in numeri esasperati, e bene ha fatto il comune di Trinità dal mio punto di vista, perlomeno si è salvato in gran parte, se la spiaggia di Tinnari, che spero diventi patrimonio mondiale per quello che è, avesse delle volumetrie sopra. Grazie agli amministratori non sono state fatte, ma grazie agli amministratori, poi la legge è legge, però molto meno è stato fatto di quello che era possibile fare, molto meno.

GIAN VALERIO SANNA - Assessore regionale degli enti locali, finanze ed urbanistica -

L’ho citato come un elemento di distinzione rispetto agli altri esempi dei Comuni, nel senso che c’è stata una diversa attività intrapresa e lo scopo di queste conferenze non è quello di innescare polemiche. Ci devono servire soprattutto per avere degli indicatori interpretativi che ci aiutano a dare degli orientamenti e per cui facciamo un patto, lunedì non parliamo di queste cose, parliamo invece di quelle che possono essere gli elementi che servono a noi. Noi siamo chiamati a governare il futuro, non il passato, per il passato non c’è niente da fare. Finiamo qua, subito dopo avervi ringraziato della partecipazione, del contributo che avete dato. Noi ci auguriamo che almeno l’obiettivo principale che noi abbiamo da queste conferenze, che è quello di lasciarvi con qualche elemento informativo in più sia riuscito, perchè se c’è maggiore conoscenza certamente c’è più possibilità di collaborare, che è lo scopo principale che ci poniamo in questo periodo. Non solo questa conferenza e quindi i Comuni che vi gravitano hanno nel dottor Carboni il responsabile del procedimento che è l’elemento di raccordo per qualunque esigenza di incontro territoriale e centrale. Tenete presente che in questo momento stiamo cercando di organizzare anche gli uffici periferici per darvi delle buone risposte, ma l’ufficio del piano contiene tutta la strumentazione della banca dati qui a Cagliari, ma siamo in condizione di muovere. Il dottor Carboni è a disposizione di chiunque, ci sono nella convocazione gli elementi di raccordo, per incontri, per approfondimenti, per interfacciare gli uffici tecnici comunali con la nostra struttura per tutto quello che può essere utile da qui alla fine dei tre mesi, perchè possiate esprimere compiutamente tutti i vostri contributi e osservazione su questo piano. Buona giornata e buona domenica a tutti.

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INDICE DEGLI INTERVENTI

Assessore regionale Gian Valerio Sanna ...... 2 Dirigente Antonio Maria Carboni...... 13 Assessore regionale Gian Valerio Sanna ...... 16 Direttore Generale all’Urbanistica Paola Cannas ...... 16 Assessore regionale Gian Valerio Sanna ...... 18 Sindaco Comune di Badesi Anton Pietro Stangoni...... 18 Assessore regionale Gian Valerio Sanna ...... 22 Cittadino di Valledoria Giovanni Antonetti...... 25 Assessore regionale Gian Valerio Sanna ...... 27 Vice Sindaco Comune Trinità d'Agultu Emanuele Pileri ...... 28 Assessore regionale Gian Valerio Sanna ...... 29 Vice Sindaco Comune Trinità D'Agultu Emanuele Pileri ...... 32 Assessore regionale Gian Valerio Sanna ...... 33

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