PAOLO MARTINO (Roma) L' affaire Bovesía: un singolare irredentismo.

La Bovesìa è area di elezione per lo studio dei complessi fenomeni del contatto e dell'interferenza. Due varietà eteroglotte, il romanzo calabrese e il calabro-greco, sono convissute nella stessa comunità con alterne vicende per un'estensione temporale impressionante, attraversando tutte le fasi del contatto (compresenza in diglossia, conflitto, compartimentazione diastratica e diafasica) e si sono reciprocamente influenzate dando origine a un diasistema interessante, conservando fino ad oggi (ma sarebbe più veritiero dire fino a ieri) la loro vitalità in una simbiosi profonda. La teoria vorrebbe che, quando l'interferenza raggiunge certi livelli, si produca il collasso della varietà debole e la sua fagocitazione da parte della più forte. Ma è pur vero che a tali processi, ben noti in sociolinguistica, si oppongono fenomeni vari che consentono la sopravvivenza, e a volte il ripristino, della varietà recessiva contro ogni aspettativa. È questo il caso del bovese? Oppure nella Bovesìa la sostituzione può dirsi compiuta?

Il Libro rosso dell'UNESCO sulle lingue minacciate ( Red Book on Endangered Languages: Europe ), pubblicato anche in rete (1993), classifica il grecanico ("Italiot Greek") tra le lingue "seriously endangered". Il numero totale degli italogreci, per il compilatore Tapani Salminen ammonterebbe a 20.000 - 40.000 persone, ma le cifre si devono riferire evidentemente a tutti gli abitanti delle due isole grecaniche, la salentina e la calabrese; in Aspromonte la grecofonia può dirsi praticamente spenta. La situazione è drammatica. Se, in omaggio ai pochi parlanti nativi ancora in vita, si preferisce considerare il grecanico una lingua “seriamente minacciata” anziché estinta, va detto che la principale minaccia alla sua sopravvivenza proviene dagli stessi tutori della rinascita ellenofona che, utilizzando le provvidenze erogate dallo Stato e da vari enti per la tutela delle culture minacciate, promuovono festivals, gruppi folk, premi letterari, pubblicazioni periodiche, gemellaggi, gite di gruppo in Grecia, convegni per la reintroduzione dell'alfabeto greco e dell'insegnamento del neogreco nella Grecìa italiana in vista di un trapianto della cultura neogreca. Alla base di questo atteggiamento anacronistico sta il disconoscimento dei meccanismi sociolinguistici che regolano la vita delle varietà minoritarie e un esplicito quanto assurdo sentimento “irredentista” che guarda alla Repubblica Ellenica come alla Madrepatria. Promotori di queste iniziative non sono i grecofoni, ridotti ormai a un gruppetto sparuto di vecchi per nulla desiderosi di parlare e scrivere neogreco, ma alcuni esponenti della intellettualità locale.

Ben ottant'anni fa, dopo le sue prime escursioni in Aspromonte per i rilievi dell' Atlante linguistico Italo-Svizzero , Gerhard Rohlfs pubblicava una nota dal titolo eloquente: Una lingua che se ne va (Rohlfs 1924). Cinquant'anni fa, riassumendo dati di prima mano raccolti nell'ambito della ricerca sui Testi neogreci di Calabria , G. Rossi Taibbi scriveva 1:

«Nel territorio dei cinque Comuni di , Rochudi, , Bova e

1 TNC 1959, Prolegomeni (TNC, XVIII).

1 , che contano una popolazione di 16.304 abitanti, oggi si parla greco usualmente solo nel villaggio di Gallicianò, il più povero e il più isolato. I dati raccolti durante l'ultima nostra inchiesta (gennaio 1958) ci permettono di affermare che l'isola alloglotta di Calabria è ormai destinata fatalmente ad una rapida scomparsa. Anzi, se una lingua è da considerare estinta, quando vengano a cessare quelle spinte dinamiche alla perenne creazione, per cui essa si evolve nella espressione dei parlanti, il greco di Calabria è già spento».

Pochi anni dopo, l'inchiesta di Benito Spano (1964) rilevava 3.900 parlanti greco, tutti sopra i quarant'anni, su 14.871 abitanti, ma era una stima ottimistica. L'anno precedente, Temistocle Franceschi, a conclusione del verbale dell'inchiesta condotta nel 1963 per l' Atlante Linguistico Italiano (punto 969: Bova), emetteva un'icastica diagnosi: «(il bovese) non vedrà il Duemila» (ALI 1995). Nel 1975, l'Associazione Internazionale per la Difesa delle Lingue e delle Culture Minacciate (A.I.D.L.C.M.) decretò, a conclusione della sua Inchiesta: «la comunità greca di Calabria vive il suo ultimo decennio». Per Marianna Katsoyannou, che ha svolto ricerche a Gallicianò nel periodo 1993-4, il greco di Calabria è « ία διάλεκτο υπό εξαφάνιση » (1994:542). Nello stesso anno G. Francescato scriveva:

«Il solo villaggio di Gallicianò può essere classificato oggi come sicuramente grecofono: in tutte le altre località il grico occupa un posto molto marginale nel repertorio linguistico. Il dialetto romanzo locale e l'italiano esercitano anche qui una sensibile pressione disgregatrice. Tuttavia i processi di svalorizzazione e di derisione sono molto più avanzati nell'area calabrese (rispetto alla salentina), in conseguenza dell'atteggiamento fortemente negativo assunto dagli abitanti delle località limitrofe, linguisticamente inserite nell'ambito dialettale italo-romanzo» 2.

La minaccia era ancora individuata nella mancanza di provvedimenti pubblici e nella esasperata grecofobia. Ma si sa che non sempre l'emarginazione produce recessione. Possiamo dire ora che il bovese ha passato il giro di boa del millennio resistendo all'attacco dell'italiano e dei dialetti calabro-romanzi, sia pure ristretto alla competenza passiva di pochi vecchi, ma ormai sembra davvero in stato pre-agonico e destinato alla totale sostituzione nello spazio di pochi anni. Credo che si possa stabilire nel 1971 la data simbolica del decesso, o quanto meno dell'inizio del collasso. In quell'anno il Genio Civile di Reggio ordinò lo sgombero totale di e della sua frazione Chorío, che con Gallicianò erano il vero cuore vivente della grecofonia, in seguito alla disastrosa alluvione che mise in pericolo la grande roccia su cui è adagiato il paese.

Questa comunicazione intende esibire riflessioni maturate in una lunga frequentazione dell'italogreco e della Grecìa aspromontana in vista della preparazione di una Storia sociolinguistica dell'Italogreco e di un lessico storico-etimologico. In una prima ricognizione, effettuata ben trent'anni fa, avevo trovato una generazione di parlanti anziani e di mezz'età che tuttavia non adoperavano più il grecanico come codice quotidiano, ne limitavano l'uso a situazioni particolari e a scopi criptolalici.

2 Francescato 1993: 332.

2 Inoltre, malgrado il processo di revival fosse già avviato, il sentimento di interdizione del greco come codice emarginato, che innescava il mimetismo culturale, era ancora fortissimo. I risultati di quell'indagine sono stati presentati all'XI Congresso della SLI svoltosi a Cagliari nel 1979 (Martino 1980).

Per comprendere il presente è opportuno considerare il passato, in quanto tempi e intensità della stigmatizzazione assumono, per questa varietà alloglotta, aspetti peculiari. Dell'antica condizione sociolinguistica, che relegava il greco in fondo alla scala del repertorio linguistico come lingua “bastarda”, persistono i termini “denigratorî” , appellativi che nei vari dialetti del reggino hanno più o meno lo stesso significato: ‘zoticone, poveraccio, ignorante, scemo’. Sono tutte voci grecaniche che, quando sono entrate nel dialetto, designavano i Greci dell'Aspromonte. Fiorita e fantasiosa è l'aneddotica popolare sull'imbecillità dei pa échi 3: una locuzione assai offensiva è pari ca vèni d'a pa ecarìa «pare che provieni dalla terra dei greci». Per connotare negativamente i montanari grecanici si usano nei dialetti reggini i termini bromu «villano rozzo» (cfr. βρῶο̋ «cosa puzzolente»), camali o camèli «babbione, sciocco» (gr. χαάλη̋ «facchino»), źangrèu «zotico» (gr. ζαγκλαῖο̋ «uomo della falce»), pa áli (gr. *παλλάλιον < παλαβό̋ 'sciocco', però tramite il der. * παλλαβάλι (ον ) di cui si ha altro esito in cal. pallavá ‘bacchettone’ (Martino 1990), parpàtulu (gr. περιπάτουλο̋ , cf. bov. parpató ‘andare in giro, camminare’ < περιπατῶ ) e altri lessemi di discussa etimologia: źàmbaru, tamàrru, rambali, ndurru , zurgu «villano, sciocco, zotico». Źangréi è il soprannome dato agli abitanti di Bova Superiore da quelli di Mèlito, Bagaladi e , mentre pohji (da ἀπόχιο̋ «distante»?) sono i contadini rozzi della montagna, i «cafoni» (cfr. Rohlfs 1964: 51). Sciamei (κναφεύ̋ 'lavandaio', 'fullo': Herm. Montep.) sono i Bovesi; cuzzòmiti (‘col naso tagliato’) i Palizzitani. Alcuni tratti soprasegmentali (intonazione) della parlata dei Choriàti (greci del vallone dell'Amendolea) sono motivo di derisione anche da parte dei Bovesi. Lo stesso nome di Condofuri fu interpretato come ‘covo di ladri’, postulando un etimo latino ( fures ). Inoltre in alcuni centri dell'amfizona romanizzata (Badolato) il verbo grechijàri significa ‘essere balbuziente’.

Un fatto peculiare di questa minoranza è che il massiccio processo di sostituzione data almeno dal secolo XI (normannizzazione) e la forte stigmatizzazione è vecchia di oltre mezzo millennio. Già nel XV sec., stando al verbale compilato nel 1458 dal Visitatore apostolico Athanasios Chalkeòpoulos, e registrato nel Liber Visitationis (Laurent - Guillou, 1960, f. 137), un monaco basiliano del monasterium Sancti Johannis ad Piru così si esprimeva del cardinale Bessarione che aveva ordinato la Visitatio :

«Questi Grechi non se sa si su christiani oy turchi, perchè lo patriarcha de

3 I pa échi erano giovani grecanici trasferiti alle marine e nei paesi di lingua romanza in cerca di lavoro, irrisi per la loro alloglossia e adibiti ai servizi più umili. Il termine è inseparabile da grico pa ikári ‘giovanotto, fidanzato’ < mgr. παλληκάριον 'id.', per cui cf. gr. πάλληξ · βούπαι̋ 'ragazzo guardiano dei buoi' e παλλάκιον · ειράκιον ‘giovinetto’ Hes.; per il calabro-greco si può pensare a induzione del morfema –o che avrebbe sostituito gr. –άρι secondo un modello noto (cf. cilistràri: cilistru ). Deboli le ipotesi di Rohlfs, LG:379, che pensa a ar. fall āh ‘contadino’ e di Karanastasis, ILEIKI 3:79 che segue Alessio 1943-4: 78 (< gr. παλαΐκο̋ 'arretrato').

3 Constantinopoli non pò fare episcopi ne previteri, et non essendu previteri non potù baptizare et non potendu baptizare non ve pò essere nullu veru christianu»; et plus dixit: «Stamu incappati in manu di questi Grechi, chi su venuti da lo Levante et non sapimu si su christiani oy turchi, chi ne facu andare sperti, et lo cardinale volce esser electu papa, poy li cardinali dixero: Volimu fare questu papa, chi non sapimu si è christianu ».. .

Ancora, un presbitero del monasterium Sancte Marie de Muloyi :

«Interrogatus si abbas dicit officium, dixit quod raro dicit et deridet Grecos, et quando audit eos dicere officium dicit: «Guarda, officio de merda questo greco»; non tenet monacos, non stat in monasterio et multa bona alienavit, est avarus, superbus, aliquando sanctificat demones... » (Laurent - Guillou, 1960, f. 96,20).

Un altro monaco dello stesso monastero, Frater Johannes Firracisus ,

«testis examinatus dixit quod abbas non stat in monasterio, non dicit officium, nec celebrat missam, nichil de regula servat, pocius beffatur de ordine sancti Basilii et de Grecis dicendo: «Quissi Grechi portano le barbe de becchi»; et non tenet monacos propter ejus avaritiam et suberbiam...» (97,3 sgg.).

Un secolo dopo, la tabuizzazione della grecofonia raggiunse l'acme con l'arrivo del vescovo Fr. Giulio Stavriano (1571-1577), di origine armeno-cipriota, ma avverso al rito orientale. Egli si affrettò ad attuare un progetto consigliatogli, a suo dire, da papa Pio V: ridurre il clero bovese dal rito greco al latino 4. La soppressione della liturgia greca, che diede inizio alla lunga passione della grecità bovese, suscitò l'anatema dell'abate Coluccio Garino, tesoriere della Chiesa Maggiore di Bova contro chi aveva mutato il rito greco nel latino (23 novembre 1572) 5. La data simbolica dello storico trapasso è il 23 gennaio 1573, quando un prete ordinato col rito greco celebrò la prima messa in latino nella cattedrale di Bova 6, guadagnandosi così il soprannome di Juda , conservato poi dai suoi discendenti. Nello stesso anno lo Stavriano creava le strutture destinate a consolidare il cambiamento: in ogni centro abitato erigeva una comunia alla quale erano devolute tutte le proprietà ecclesiastiche e della quale potevano far parte solo i preti disposti a celebrare secondo il rito latino 7. Il protopapa cominciò ad essere chiamato arciprete; i greci superstiti, esclusi dalle rendite e ridotti in povertà, si dedicarono alla pastorizia e all'agricoltura; in vari paesi sopravvisse qualche chiesa greca, in genere emarginata nel quartiere più povero, detto Grecìa . Il 29 aprile 1573 lo Stavriano poteva scrivere al cardinal Tolomeo Galli:

«... essendo io due anni fa venuto al governo di questo popolo, subito, secondo l'ordine hebbi dalla felice memoria di Pio Quinto, cominciai a ridurre il mio clero dal rito greco al

4 Peri 1975: 48-49; 54-55; Longo 1988: 50. 5 Il solenne anatematismo che invoca la maledizione dei trecentodiciotto Padri del primo sinodo ecumenico è trascritto in un testo bovese in caratteri greci, 38 righe, contenuto nel Barb. Gr. 535 (ff. 182 v- 183 r) conservato nella Vaticana e pubblicato da Mosino 1987. 6 Rodotà 1758-1763, I: 419-20. 7 Longo 1988: 54. Nel documento di erezione della comunia di Palizzi, conservato nell'Archivio Diocesano di (Bova, 3), si dice tra l'altro: «... in quam quidem communiam non possunt subintrare nisi illi clerici qui Latino ritu celebrabunt, qui vero Graeco prorsus exclusi intelligantur».

4 latino, nel che ho speso una gran quantità di danari in mantenere mastri di grammatica e canto [...] Bene è vero che, se piacesse a Sua Santità ch'io restassi qui per finire l'opera ch'io ho cominciata, io l'havrei molto a caro, perché sono certo che, se di qui mi diparto, questa chiesa ritornarà greca come prima ed io havrò perduto ogni mia fatica e spesa...» 8.

Da allora la borghesia locale si fece strenua paladina della latinità. Si comprende così il fenomeno dei tanti grecismi calabresi ignoti al bovese. Nelle finitime aree romanizzate la mancanza di una interdizione così forte ha potuto determinare condizioni più favorevoli alla conservazione 9. Date queste premesse, fa meraviglia che la grecofonia si sia conservata fino ad oggi, ancorché con una graduale riduzione territoriale e un'altrettanto implacabile destrutturazione sistemica.

1. UN NUOVO PRESTIGIO La reazione che, nella seconda metà del '900, ha portato ai tentativi recupero identitario è stata non meno estremizzata. Il risveglio (di cui è simbolo il nome Apodiafazi < ἀποδιαφάυει ‘rialbeggia’ dato da Bruno Casile al circolo da lui fondato a Bova) fu secondato da vari fatti, il primo dei quali è la grande emigrazione del dopoguerra, poi l'arrivo della televisione, il boom economico, la scolarizzazione di massa. La diaspora grecanica dalla montagna alle marine e verso le zone industriali del Nord Italia, febbrile negli anni del dopoguerra, divenne infatti parossistica nel decennio del boom economico (anni '60 del secolo scorso). Ennesimi scopritori della grecanicità (si potrebbe dire grecitudine: già si è parlato, in sede antropologica, di calabritudine ) furono alcuni intellettuali reggini: il prof. Domenico Minuto, valido studioso di storia religiosa calabrese, il prof. Franco Mosino, docente di greco al Liceo Campanella, i giovani Antonio Scordino e Giorgio Barone, allora seminaristi presso il Collegio Greco di Roma. Barone, poi professore di Storia del diritto romano alla Sapienza e a Catanzaro, è ora archimandrita responsabile dell'Arcidiocesi ortodossa d'Italia (Calabria e Sicilia) dipendente dal Patriarcato ecumenico di Costantinopoli. Il “recupero” si è manifestato a partire dalla metà del secolo scorso, quando – in condizioni di ripresa economico-sociale e di capillarizzazione dell'istruzione superiore – l'intensità delle presenze in loco di studiosi e ricercatori italiani e stranieri ha interrogato gli spiriti più sensibili, ha risvegliato memorie, ha sgombrato equivoci e neutralizzato tabù. Un ruolo dirompente nella conversione dell'intellettualità locale ebbe la fama di Gerhard Rohlfs, o mástora jermanó . Ora non c'è famiglia della Bovesia che non vanti di avere ospitato almeno per una notte l'illustre glottologo, come non c'è famiglia benestante da Marsala in sù per tutto il Regno di Napoli che non sostenga di avere ospitato Garibaldi. Negli ultimi anni si è sviluppato un vero e proprio turismo culturale. Alcuni si sono accorti che la lingua dei vecchi, appresa quasi di nascosto, usata solo in circostanze vili e ignobili, proibita dai genitori ai figlioletti come cosa oscena e marchio di barbarie e di povertà, di inferiorità e stupidità, in una parola di tamarrosíni , non era

8 Archivio Storico Vaticano, Principi, 37, 362r (RVC, 22500). 9 Vedi Martino 1990.

5 cosa di cui vergognarsi, se illustri professori, come Gerhard Rohlfs, partivano dalla Germania per studiarla e documentarla. Nel 1972, quando i destini della minoranza erano già segnati, un fatto inatteso intervenne a eccitare gli animi: la scoperta dei due magnifici bronzi nelle acque di Riace. Il Circolo Cinurio Cosmo , gruppo secessionista da Zoì ce glossa , coglie la palla al balzo e diffonde un ciclostilato con i due bronzi che parlano grecanico e imputano a “Roma barbara” il crimine del linguicidio 10 ; si era negli anni della contestazione giovanile: anche la Bovesìa ha avuto il suo '68. Franco Mosino, professore al liceo Campanella di Reggio, eletto consulente scientifico dei grecanici, avanzò persino la rivoluzionaria ipotesi dell'origine reggina di Omero! 11

Nella Bovesìa odierna due tipi di prestigio si contrappongono: quello del dialetto calabro-romanzo bovese, ormai radicato nella coscienza dei parlanti, generalizzato e alimentato dalla consapevolezza dell'omoglossia con la lingua tetto (l'italiano), e il nuovo prestigio del grecanico in rapida ascesa, una volta che ope legis ha cambiato status . Si tratta di un prestigio anomalo, maturato e imposto dagli atteggiamenti della borghesia intellettuale locale, contraltare alla secolare tabuizzazione, una singolare forma di controprestigio.

2. I GLOSSA INE PATRÍDA Il controprestigio è fondato sul recupero dell'identità culturale ed “etnica” (nozione, quest'ultima, notoriamente confusa ed equivoca), conseguente all'intensificarsi dei contatti con la Repubblica Ellenica, considerata da alcuni come la “madrepatria”, all'insegna del motto I glossa ine patrída ‘la lingua è patria’. Un nuovo sentimento di “lealtà” linguistica, estremizzato, si è venuto a sostituire, nei circoli dell'intellettualità locale, all'interdizione, altrettanto estremizzata, che – fortissima fin dal XVI secolo - ha portato la grecofonia all'estinzione già negli ultimi decenni del XX secolo.

10 Il primo guerriero apostrofa i visitatori con le parole « Art'óde etrézzete na mas ívrete...; ti ecámete na mi petháni i glóssama sti Chóra? » Adesso siete accorsi a vederci...; che cosa avete fatto affinché non morisse la nostra lingua a Bova? E il secondo incalza: « I Rómi émine bárbaro; emì tis eférame ta grámmata, ecini sti Chora mas écozze tin glóssa !» Roma è rimasta barbara; noi le abbiamo portato le lettere, essa a Bova ci ha tagliato la lingua! 11 Coordinando singolari coincidenze, come la contemporaneità tra l’Odissea e la fondazione di Reggio, la presenza a Reggio di Teagene, primo esegeta dell'Odissea e le le note ipotesi separatiste sulla formazione di Iliade e Odissea, il Mosino arrivò alla conclusione che l’Odissea non sarebbe altro che il romanzo delle avventure lungo lo Stretto di Messina dei Calcidesi che fondarono Reggio!

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Figura 1. Torta con scritta in neogreco « Η γλώσσα είναι πατρίδα »

La Grecìa aspromontana non è una “nazione senza lingua” (ché la lingua dell'interazione quotidiana è il dialetto romanzo e, in minor misura, l'italiano) né una “lingua senza nazione” (su cui vedi Turchetta 2003), in quanto i grecanici appartengono indubbiamente alla nazione italiana. Il fenomeno anomalo è che si rifiuta la lingua “tetto” per un complesso di motivi e si propone un riferimento, di sapore decisamente demagogico, alla nazione ellenica e al neogreco come Dachsprache . Il paradosso attuale è che la grecofonia non è più marca socioculturale di una classe subalterna che aspira alla conquista dell'italiano come codice elaborato, non è più codice subalterno semplicemente perché non è più codice vitale. Il greco, già “codice deprivato” per oltre mezzo millennio, è ora esibito come “fiore all'occhiello” di una ristretta élite che possiamo definire con Bernstein “borghese” e si veste pertanto di una carica di contestazione con colorito politico. Si noti che già nel 1979 G. Caracausi avena notato nella Bovesìa un "intenso spirito nazionalistico" (Caracausi 1979: VI). Qual è la madrepatria dei grecanici? Con quale alfabeto scrivere? Quale lingua, se non la propria, cioè quella degli avi, intrisa di italianismi e soprattutto di dialettismi calabroromanzi? Questa lingua ha ben poco da spartire con la neogreca, ma possiede una propria identità e dignità. Questa sì dovrebbe essere salvaguardata e incentivata. Il più cospicuo tentativo di rivitalizzazione è quello del contadino poeta Bruno Casile (1923-1998), che aveva intrapreso un'intensa corrispondenza epistolare, durata fino alla morte, con amici greci, “costretti” così a imparare e usare il grecanico. E tuttavia lo

7 stesso Casile, ultimo nume tutelare del vero bovese, non si sa sottrarre al fascino della “patria antica” ( i paléo patrída ma ) e saluta con soddisfazione l'arrivo da Atene di una dascála, maestra di neogreco (cf. Fig. 2).

Figura 2. Una lettera di Bruno Casile

3. L' ETNOCENTRISMO NEOELLENICO Un marcato atteggiamento “etnocentrico” è vivo, d'altra parte, anche nella Repubblica Ellenica. Voulgaris (2000), che ha condotto uno studio sugli atteggiamenti

8 linguistici e culturali degli studenti neogreci, definisce la società ellenica «an Ethnocentric Democratic Culture», precisando che «Greek students adopt a mainly natural and ahistoric conception of the nation that is determined by cultural homogeneity». Un analogo atteggiamento si riscontra in altre comunità grecofone esterne: persino in Corsica, dove la grecofonia è scomparsa da secoli, il senso di identità “etnica” è tuttora vitale e si considera l'assimilazione culturale come una minaccia (Nicholas 1971).

4. LA LEGGE 482/1999 La 482 ha partorito nella Grecìa una singolare forma di irredentismo: l'italogreco, già codice deprivato fortemente interdetto, acquista lo status di lingua vivente e rinasce dotata di un nuovo prestigio come Mischsprache con forti (e anacronistiche) interferenze neoelleniche, riposizionata ai livelli alti della scala diastratica da una classe borghese di fatto irrimediabilmente italofona. Si capisce come il problema più delicato suscitato dalla Legge è quello della delimitazione territoriale dell'area alloglotta (v. nota 18). L'“irrilevanza di criteri linguistici oggettivi” nella individuazione delle minoranze da assoggettare a tutela in forza di questa Legge è segnalata da Dal Negro (2000), che rileva altresì l'incidenza della nozione di auto-rivendicazione del proprio status di minoranze da parte dei gruppi in questione. I provvedimenti di attuazione della legge sembrano fatti su misura per rispondere alle esigenze degli “utenti” 12 . Nel tentativo di introdurre un monitoraggio, la Legge Regionale n. 7 del 21 agosto 2006 (Art. 27) ha novellato la Legge Regionale 15/2003, modificando gli artt. 8 e 9 di detta legge e istituendo un organo regionale di controllo 13 .

12 Il Regolamento di attuazione della legge 15 dicembre 1999, n. 482, recante norme di tutela delle minoranze linguistiche storiche entra in vigore con Decreto del Presidente della Repubblica del 2 maggio 2001, n. 345 (G.U. 13 settembre 2001). La Legge Regionale 30 ottobre 2003, n. 15 Norme per la tutela e la valorizzazione della lingua e del patrimonio culturale delle minoranze linguistiche e storiche di Calabria (pubbl. in Boll. Uff. 5 novembre 2003, supplemento straordinario 1 al n. 20) l' Art. 14 Promozione dell'associazionismo recita: «1. Per i benefici della presente legge sono favorite forme di cooperazione o di associazionismo tra i Comuni. 2. In armonia con le leggi dello Stato e della Regione Calabria sarà promossa e incrementata con mezzi idonei la costituzione di consorzi, cooperative, associazioni onlus od ogni altra forma di volontariato per la tutela degli interessi delle predette popolazioni. 3. Sono ancora favorite e incentivate le iniziative dei privati, singoli o associati, per lo sviluppo di infrastrutture museali, alberghiere e di ristorazione. [...] Art. 17 Stampa, editoria, radio, televisioni . 1. La Regione Calabria concede particolare sostegno finanziario agli organi di stampa, alle iniziative editoriali nell'ambito delle comunità linguistiche e culturali, fermo restando i contributi previsti dalle leggi per l'editoria. [...] Art. 20: Scambi culturali con le nazioni d'origine: 1. La Regione Calabria, le Province e gli Enti locali agevolano e favoriscono i rapporti tra le comunità linguistiche e le nazioni di origine. [...] Art. 22 Patrimonio artistico religioso: 1. Per gli edifici sacri e i luoghi di culto della Chiesa di liturgia greca, nell'ambito della presente legge, sarà istituito un apposito fondo speciale per completare, compatibilmente con le leggi vigenti in materia di vincoli e tutela, l'opera di orientalizzazione dell'architettura e dell'iconografia sacra orientale. 13 «1. Per la programmazione delle attività previste dalla presente legge, per la finalizzazione delle risorse destinate alla tutela e alla valorizzazione delle comunità linguistiche, è istituito un Comitato regionale per le minoranze linguistiche della Calabria che esprime parere consultivo, obbligatorio e non vincolante, sulla proposta di programma annuale delle attività educative e culturali per la valorizzazione delle comunità alloglotte, elaborato dagli Uffici competenti. Il Comitato è così composto: a) l’Assessore regionale ai Beni Culturali o un suo delegato; b) i Presidenti della province, o i loro delegati, in cui risiedono le comunità linguistiche storiche;

9 La reazione è stata immediata. La rivista I fonì dikìma (“La nostra voce”), ora in rete, auspica «uno scatto di orgoglio, una mobilitazione di tutti gli alloglotti calabresi per richiedere a gran voce una modifica della legge che renda la stessa vero strumento di tutela e di riscatto e non l’ennesimo esempio di clientelismo e di gestione del potere e del pubblico denaro».

L'apparato legislativo di tutela è stato finalmente creato. Ma quali ne sono gli effetti? Indubbiamente si è registrato un più vasto risveglio di interessi per la grecità, non solo in una ristretta schiera di studiosi, ma anche – finalmente – nei quadri politico- amministrativi locali e regionali e in molti Bovesi finalmente affrancati dal secolare complesso di inferiorità. Tale interessamento per la lingua e la cultura, unito a un evidente interesse – altrettanto vivace – per i finanziamenti erogati dalla 482, ha prodotto una serie di progetti di tutela, il cui finanziamento è finalmente assicurato e i cui risultati restano tutti da valutare, anche in mancanza di un adeguato monitoraggio ex ante, in itinere e, soprattutto, ex post , che il dispositivo legislativo non ha adeguatamente previsto.

5. SLEALTÀ LINGUISTICA L'atteggiamento dei cosiddetti Nuovi Grecofoni diverge nettamente dai comportamenti reali, e potrebbe essere a buona ragione definito “slealtà linguistica”. Non si tratta qui della Sprachilloyalität di cui si è parlato a proposito di tedescofoni che – per diversi motivi storico-culturali – sono giunti a disprezzare la propria lingua (Kramer 1990 e altri). Pochissimi intellettuali (ne conosco solo uno) sono disposti a parlare greco in famiglia e ad avvezzare i figli alla grecofonia fin dalla nascita. Ed anche in questo caso si tratta di una lingua artificiale che somiglia molto al neogreco. I cinque “sportelli linguistici” aperti a Bova grazie ai fondi pubblici sono chiaramente cinque preziosi posti di lavoro a disposizione del sistema clientelare comunale. Nessun grecofono si presenterà certo a tali sportelli.

6. LA QUESTIONE DELLA GRAFIA La scheda sul grecanico immessa in Internet dal Centro Internazionale sul Plurilinguismo, (a cura di Fiorenzo Toso), accenna alla “polemica” tra i fautori del neogreco e quelli del romanzo:

«Fu viva in passato la polemica tra i fautori di un "restauro" della grecità calabrese che tenesse conto dell’affinità tipologica col modello neogreco (moderatamente sostenuta dallo stesso Rohlfs), e quanti ritengono invece opportuno valorizzare la specificità delle c) quattro Sindaci dei Comuni albanesi, due sindaci dei Comuni grecanici, ed il Sindaco del Comune di Guardia Piemontese,proposti dalla Conferenza dei Sindaci; d) quattro personalità parlanti le lingue oggetto di tutela ed indicate dall’Albo delle Associazioni, di cui due di lingua albanese,una di lingua greca ed una di lingua occitana; e) due esperti scelti tra le discipline linguistiche storiche e/o antropologiche delle Università di Cosenza e di Reggio Calabria. 2. Il comitato è nominato con decreto del Presidente della Giunta regionale su designazione dell’organo competente e resta in carica per la durata della legislatura. I suoi poteri sono comunque prorogati fino all’insediamento del nuovo Comitato».

10 parlate a partire dall’uso vivo, rispettandone l’evoluzione naturale anche negli aspetti di contaminazione e di commistione con le parlate romanze. Aspetto non secondario della questione è quello legato all’utilizzo dell’alfabeto latino, naturalmente più familiare ai locutori di quello greco».

Al Primo Convegno Internazionale sul tema "Il dialetto griko, approccio storico, linguistico, culturale", svoltosi il 6 ed il 7 maggio 1999 a Iraklion, Creta, sotto l'egida dell'associazione degli insegnanti di Iraklion "N. Kazantzakis" e del periodico cretese "STIGMES" (Momenti), uno dei relatori (il Sig. Antonis Kazantzoglou) proponeva «l'arricchimento del dialetto Griko con vocaboli tratti dal Greco d'uso moderno sia delle produzioni dal subalterno vocabolario ellenico sia per mezzo della sostituzione dei vocaboli di origine italiana con i rispettivi greci».

A Bova, nel 2002, nell’ambito del convegno “Lingua e Scrittura degli Ellenofoni del Sud Italia” è stato discusso il tema “L’Alfabeto degli Ellenofoni del Sud Italia: Greco o Latino?” e i convegnisti si sono orientati verso l’uso dell’alfabeto greco, sostenendo che «si potrebbe usare il sistema contemplato dal prof. A. Karanastasis, opportunamente adattato all’insegnamento».

Figura 3: Neoellenismi nel periodico CUMELCA (mar-apr. 1989)

La questione della lingua e della grafia si dibatte attualmente tra gli intellettuali locali con esiti a dir poco beffardi nei confronti della comunità linguistica reale, che è ormai, occorre ribadirlo, una comunità italofona caratterizzata da diglossia italiano/dialetto e da una presenza ormai simbolica della grecofonia nel proprio repertorio verbale.

11 Proposte e tentativi di attivare corsi di neogreco nella Bovesìa, di introdurre persino l'alfabeto greco per l'uso scritto, secondate dalla condiscendenza di qualche studioso, come d'altra parte il progetto di introdurre nell'Aspromonte il culto greco-ortodosso mediante il recupero – peraltro meritorio – di monasteri basiliani in rovina, sono fenomeni in atto che meritano una valutazione attenta. Si noti che il Rohlfs fu sempre avverso al neogreco come lingua di riferimento e che il sistema di trascrizione adoperato dal Karanastasis nel suo Lessico etimologico, assai “costoso” persino nell'uso scientifico, è del tutto inutilizzabile a livello popolare. Del resto, nessuno degli autori Neoellenofoni è finora passato all'uso dell'alfabeto greco. Nel quadro della tendenza “irredentista” si è ritenuto inevitabile una iniezione di lessico dalla dhimotikì nel calabro-greco, che si configura di fatto come un tentativo velleitario e inquinante. Un generoso fautore del neogreco, Tito Squillaci, pediatra a Bova Marina, scrive 14 :

«Gli ellenofoni di oggi si trovano ad affrontare le esigenze di una società tecnologicamente avanzata con un lessico di circa 7-8.000 parole (per di più, in massima parte legate all'ambiente agropastorale) a fronte di una lingua italiana che per le stesse esigenze attinge ad un lessico di oltre 100.000 termini. Siamo, dunque, anche noi di fronte ad un muro. Cosa fare?»

Per colmare le lacune lessicali e semantiche, Squillaci prospetta tre possibili opzioni: «Le strade aperte sono diverse: 1. ABBANDONO DEL GRECO: la prima, seguita dalla grandissima maggioranza degli ellenofoni, è semplicemente quella di non parlare più greco e utilizzare esclusivamente il dialetto romanzo e/o l'italiano; 2. ATTINGERE AL DIALETTO: la seconda strada è quella per forza di cose percorsa dai parlanti più anziani e da molti di coloro che continuano, in maniera più o meno sporadica, ad usare il greco: per le nuove necessità linguistiche queste persone attingono a piene mani al dialetto calabrese; 3. ATTINGERE AL NEOGRECO: l'ultima via è quella seguita dai parlanti della nuova generazione, definiti da Bruno Traclò i neo -ellenofoni» «La via, praticata dai neo-ellenofoni, consiste nell'usare quello che abbiamo, e cioè un dialetto . Dialetto, però, che ha ormai come sua lingua di riferimento il greco moderno (poiché ora è possibile), attinge, dunque, alla Grecia per tutti gli aggiornamenti di cui abbisogna e usa l'alfabeto greco per la sua grafia» «Anche l'uso dei caratteri greci per la scrittura rappresenta un fattore di grande importanza, che ci avvicina alla grecità odierna e storica e ci permette di immergerci dentro pienamente. Oggi non possiamo più ammettere che un ellenofono, magari parlante esperto, vada in Grecia e non possa aprire un giornale, né prendere un autobus, perché non sa leggere la tabella con la destinazione, né capire cosa vende un negozio, perché incapace di decifrarne l'insegna» «Tutto questo si è realizzato in gran parte grazie ai rapporti con la Grecia odierna e con la sua lingua, nuova "koinè" che ci permette di relazionarci con comunità greche in ogni parte del mondo, dal Kazakistan all'Ucraina, da Cipro al Canada o all'Australia... L'apprendimento del greco moderno (ovviamente con il suo alfabeto) è da una parte

14 Squillaci 2005: 3 sgg.

12 conseguenza di tale processo, dall'altra condizione indispensabile affinché esso continui e dia i suoi frutti più maturi. Il governo ellenico ha svolto, e svolge, un ruolo importante in tutto questo, mettendo a nostra disposizione insegnanti che non solo insegnano la lingua moderna, ma con la presenza stessa delle loro famiglie nel nostro territorio favoriscono contatti e conoscenze dirette della realtà socio-culturale della Grecia odierna.» «Consapevoli di tutto ciò, i neo -ellenofoni imparano il neo ‑greco e coltivano i rapporti con la Grecia, divenuta parte della loro esperienza di vita. Ed ecco, dunque, che il dialetto greco della Calabria è tornato ad avere come sua lingua di riferimento, come suo serbatoio, il greco della nuova koinè, cioè il greco moderno. Per questo il problema oggi non è tanto se inserire o meno nel grecocalabro termini dal neogreco, quanto piuttosto se questo processo possa ormai essere fermato… Come si fa a chiamare nel greco di Calabria il ferro sìdero e la strada dromo e impedire poi di chiamare la ‘ferrovia’ col temine moderno sideròdromo ? E possibile chiamare il ‘giorno’ imèra ed il ‘discorso’ logo e non chiamare il calendario imerològhio , solo perché è un termine neogreco? Chi usa il greco nella vita di ogni giorno si rende conto che non è possibile».

L'intento è generoso, ma antistorico. L'incremento lessicale-semantico non può che attingere al codice romanzo (dialetto italoromanzo bovese e italiano); del resto, con il volgare romanzo del luogo esso ha ormai un plurisecolare e profondo rapporto di interconnessione, reso ancora più saldo dal bilinguismo greco-latino dei secoli del tardo Impero e dell'alto Medioevo 15 .

7. LA CONVENTIO AD EXCLUDENDUM E LA PROLIFERAZIONE DEI CIRCOLI Un fenomeno deplorevole, anche se non nuovo, che accomuna tutte le minoranze, ma specialmente quelle del Meridione estremo, è lo sviluppo di una sorta di conventio ad excludendum , che consiglia agli operatori locali, unici titolari delle provvidenze generosamente elargite dal pubblico erario, di evitare il coinvolgimento diretto e organico di studiosi e di centri di ricerca esterni all'area tutelata; altro fenomeno è la superfetazione di “circoli”, “associazioni”, “centri di studio”, che elaborano continuamente progetti di tutela e attivano siti internet.

Oggi nella Bovesìa ogni intellettuale che si rispetti deve scrivere almeno un libro di linguistica, di storia o di poesie, deve essere almeno Presidente di un Circolo e Direttore di un periodico votati alla salvezza della lingua e della cultura. Il gran numero delle iniziative intraprese nei vari centri grecanici e a Reggio Calabria testimonia una dispersione di energie e una forte competitività, che certo non ha giovato alla causa comune.

Dopo “ La Jonica dei Greci di Calabria”, nata emblematicamente nel 1968, con l'omonimo periodico che sospese le pubblicazioni nel 1980, hanno visto la luce l' Ismia grecanica “Jaló tu Vúa”, fondata agli inizi degli anni settanta da Tito Squillaci, Salvatore Dieni, Anselmo Vacalebre a Bova Marina come “sede distaccata” della Jonica ; “ Zoí ce glóssa” (“Vita e Lingua”), sorta nel 1975, ad opera dei gallicianoti

15 La Calabria meridionale, fra la tarda età repubblicana e la prima età imperiale, si trovava nella stessa situazione di bilinguismo greco-latino segnalato da C. Consani per la Sicilia, dove esso «doveva aver raggiunto proporzioni tali da incidere sull'evoluzione delle due lingue in contatto anche a livello di distema» (Consani 2006: 479).

13 sfollati a Reggio (Antonio Nucera, Filippo Condemi, Domenico Rodà); l'omonimo periodico esce nel 1975 e ha vita effimera; il circolo Cinurio Cosmo (“Mondo nuovo”) nasce a Bova Marina nel 1975 ad opera del grecanico Giovanni Andrea Crupi, professore di filosofia nel liceo; vi collabora il "contadino-poeta" Bruno Casile di Càvalli di Bova, che se ne distacca poi nel 1977 costituendo a Bova Superiore il Circolo culturale “Apodiafázzi” (ἀποδιαφάζει “Sorge un nuovo giorno”) con il proposito di spostare il campo d'azione dall'ambito locale a quello nazionale e internazionale, soprattutto greco. Il laborioso tentativo dell'unificazione produce nel l986 la CUM.EL.CA (“ Cumunia tos Ellenofono tis Calavrìa” = Unione dei greci di Calabria), animata dai grecanici dell'Amendolea: Gallicianò, Condofuri, Roghudi). Nel logo la frase « I glóssama echi na zi »; l'omonimo periodico cominciò a uscire nel 1987; intanto si coagulavano altri gruppi di secessionisti: “ Paleo Cosmo” (Mondo Nuovo) , associazione sorta nel 2000 per iniziativa di Franca Tuscano; i Gruppo Folclorici “Stella Maris” e “ Megale Ellada” con repertori della tradizione greco-calabra, il Circolo “Calavria”, l'Associazione culturale “ I chora”, l’Associazione Culturale “Odisseas ” promossa dalla Comunità Montana, con la rivista I fonì dikìma ecc.

Gli strumenti operativi esistono sulla carta. La Regione ha anche fondato l'“Istituto Regionale Superiore di Studi Ellenofoni della Calabria (IRSSEC)”, con sede a Bova Marina, che nel giugno 2002 ha organizzato il I Congresso internazionale sulla Diaspora greca nel Mediterraneo e nel Mar Nero e il XIX Convegno internazionale su lingua e scrittura del Sud Italia; nel 1989 nasceva poi l'“Istituto regionale per le antichità calabresi e bizantine (IRACEB)” 16 ; nel 2003 il CO.RE.MI.L. (Comitato regionale per le minoranze linguistiche) 17 .

8. LA LITIGIOSITÀ INTERNA Altra conseguenza inevitabile è stata la creazione di prevedibili alleanze mirate alla spartizione della torta e, soprattutto, divisioni, che allontanano l'eventualità di una efficace battaglia comune per la rivitalizzazione della lingua e della cultura. Inoltre il mercato librario è invaso da qualche decennio da una congerie di pubblicazioni di studiosi locali, sul cui valore e sulla cui utilità sorgono molti dubbi, realizzati spesso senza risparmio di mezzi, per lo più all'oscuro della letteratura scientifica sull'argomento. Non sarebbe pertanto fuori luogo una riflessione documentata sui meccanismi innescati dalla legislazione di tutela, specialmente in ordine alla delimitazione dell'area

16 Legge Regionale 9 novembre 1989, n. 6, modificata dalle Legge Regionale 2 febbraio 1998, n. 3: Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 9 novembre 1989, n. 6 concernente: “Norme per la costituzione dello Istituto regionale per le antichità calabresi e bizantine (IRACEB)”. 17 L. R. 15/2003, art. 8. In forza di tale legge ( Art. 11) si costituiva anche la Conferenza regionale dei Comuni alloglotti: «Nelle Province di Cosenza, Reggio Calabria, Crotone e Catanzaro è costituita la Conferenza Regionale dei Comuni alloglotti di cui all'articolo 1 della presente legge. Essa è composta dai Sindaci dei Comuni o un loro delegato, dai Presidenti delle Province o da un loro delegato, da 5 rappresentanti delle Associazioni di cui 3 per la minoranza albanese, 1 per la minoranza greca, 1 per la minoranza occitanica».

14 sottoposta a tutela 18 (perché Palizzi sì e Cardeto no?), ai soggetti ammessi alla presentazione dei progetti (sono eleggibili solo gli enti locali, cioè il Comune, la Comunità montana, gli Istituti scolastici, i Circoli accreditati); all'iter del progetto (presentato alla Regione, il progetto viene valutato da un'apposita Commissione, di cui non sarebbe inopportuno verificare le competenze; munito del visto dell'Assessorato regionale alla Cultura, il progetto passa alla Commissione centrale, che l'accetta di solito dopo un controllo di fattibilità, evidentemente fidandosi, com'è in linea di principio giusto, della valutazione positiva dell'Ente regionale).

9. LA SEGNALETICA “BILINGUE ”. A un decennio dall'entrata in vigore della 482, i “prodotti” degli interventi di tutela appaiono di fatto inconsistenti, quando non chiaramente controproducenti. Il più cospicuo di tali prodotti, praticamente l'unico concretamente apprezzabile, oggetto di reiterati costosi progetti, è l'introduzione della segnaletica stradale bilingue. Non è ozioso ricordare qui che per “segnaletica bilingue” si intende, evidentemente, che l'indicazione toponomastica è offerta, come vuole la logica e come avviene per tutte le altre minoranze, nella lingua ufficiale della Repubblica (l'italiano) e nella lingua della minoranza (nella fattispecie il grecanico). Sennonché i cartelli che esibiscono la toponomastica urbana dei centri grecanici sono redatti in greco bovese e in neogreco (cf. Fig. 3)! Verrebbe da chiedersi se gli organi di controllo del Ministero degli Interni si siano accorti di questo fatto singolare.

Figura 4. Toponomastica “bilingue” a Gallicianò

18 Con Deliberazione Consiliare n. 7 del 18 aprile 2001, l’Amministrazione provinciale di Reggio Calabria ha delimitato ai territori dei comuni di Bova, Bova Marina, Gallicianò, Palizzi, Roccaforte, Roghudi l’ambito di applicazione della legge n. 482 del 15 dicembre 1999, recante “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche”, in relazione alla salvaguardia, alla valorizzazione ed alla diffusione delle tradizioni storico-culturali e del patrimonio linguistico della minoranza linguistica storica greca. Questa delimitazione, che definisce i confini ufficiali dell'isola linguistica alloglotta, non ha niente a che fare con la effettiva consistenza della grecofonia.

15 10. LA “RECONQUISTA ” ORTODOSSA Nel quadro del progetto di rivitalizzazione rientra pure il tentativo di introdurre il culto greco ortodosso; ma non si deve dimenticare che le comunità grecofone calabresi sono state sempre di fede cattolica, fino alla sostituzione del rito e della lingua che, iniziata all'epoca della normannizzazione, si è compiuta nel corso del XVI secolo. L'innesto della chiesa greco-ortodossa nel contesto socio-religioso tradizionale, ancorché in linea di principio legittima, appare decisamente anacronistica sul piano storico culturale: la popolazione monastica bizantina che vivificò la società medievale di queste regioni, soprattutto nei secoli X-XIII, fu sempre legata alla chiesa di Roma, anche perché l'acme della sua affermazione cade in tempi in cui lo scisma d'Oriente era di là da venire. E quando esso sopraggiunse (1050) i monasteri basiliani restarono sempre fedeli a Roma seppure con tradizioni liturgiche orientali (liturgia di S. Giovanni Crisostomo). Il restauro dei monasteri in rovina 19 , reso possibile da opportune provvidenze statali e regionali, è considerato impropriamente come una “restituzione”, e l'evangelizzazione del credo ortodosso come una sorta di “reconquista”. Alquanto artificiale sembra la conflittualità che il gruppo dei fautori dell'ortodossia ostentano nei confronti delle autorità ecclesiastiche cattoliche della diocesi di Reggio- Bova, manifestatasi in modo eclatante in occasione della recente visita (“ecumenica”, in occasione del Grande Giubileo del 2000) del patriarca costantinopolitano Bartolomeo I. Nonostante l'apertura al dialogo manifestata dal Patriarca ortodosso, i promotori della neo-ortodossia hanno sprecato la grande occasione di fare della Bovesìa un laboratorio di ecumenismo e di rivitalizzare nel contempo la più genuina tradizione greco-calabra; e ciò avrebbe avuto ripercussioni salutari anche nella politica linguistica degli enti locali.

Sul fenomeno dell'etnocentrismo linguistico e dell'assunzione della diversità, del folclore, dell'alloglossia e della stessa subalternità in funzione contestativa ha già parlato Ninni Pennisi a Lecce in occasione del XIV Congresso della nostra Società (Pennisi 1983). Allora, specialmente negli anni '70 e '80 del secolo scorso, andavano di moda interpretazioni marxiste della recessione delle parlate minoritarie come “glottofagia” 20 . Glauco Sanga parlò di «insorgenza degli etnicismi linguistici»:

«Uno dei fenomeni culturali più vistosi di questi ultimi quindici anni è senza dubbio la massiccia e sempre crescente diffusione degli etnicismi , cioè la rivendicazione di specificità e alterità etniche, la richiesta da parte di gruppi locali di autonomia e indipendenza dal potere centrale fondata sulla rivendicazione di una diversa identità culturale . ... Attualmente assistiamo a numerosi tentativi di riproposta del dialetto, lingua «autenticamente popolare» e «oppressa», di contro all'italiano, lingua dell'oppressione borghese, tentativi che si riallacciano alle operazioni di rilancio delle minoranze etnico-

19 Il primo ad essere restaurato e riaperto, grazie al trapianto di alcuni monaci atoniti, è il monastero di S. Giovanni Teriste (Bivongi); successivamente sono state costruite ex novo le chiese ortodosse di Gallicianò (capolavoro di Mimmolino l'Artista) e di Seminara (con i fondi della Provincia), mentre un altro monastero è stato aperto nei pressi delle grotte di S. Elia Speleota (Melicuccà) mediante la trasformazione di un casello dismesso delle Ferrovie Calabro-Lucane. A Montebello Jonico è risorta la Chiesa Protopapale dell'Isodia, con la Celebrazione in Rito Greco -Bizantino. 20 Cf. Calvet 1974, Lombardi Satriani 1968.

16 linguistiche. Questo revival non nasce a livello popolare, non è proposto dagli utenti effettivi del dialetto, ma è espressione del recupero nostalgico della tradizione preborghese da parte di intellettuali piccolo-borghesi, specialmente di provincia, legati a realtà oggettivamente emarginate dai processi di centralizzazione 21 . Più in generale queste iniziative si inseriscono nel quadro dei movimenti nativistici, tesi a riaffermare i tratti culturali tradizionali in opposizione ai modelli culturali egemoni e a quelli operai emergenti, acutamente indagata da Vittorio Lanternari» (Sanga 1981: 115).

11. ABSTAND O RESSENTIMENT ? In merito allo statuto sociolinguistico attuale di quest'area, B. Turchetta, assimilando la Grecìa alle “comunità linguistiche di frontiera”, rileva come la grecità non sia più un fatto linguistico, ma culturale simbolico:

«L'uso della lingua, seppur fortemente erosa, in una funzione criptolalica, sia da parte degli anziani che da parte delle generazioni più giovani [...] mostra come il valore simbolico della lingua risulti essere preponderante nella definizione di una grecità, indipendentemente dalla effettiva fruibilità della lingua come mezzo comunicativo, dal momento che dal punto di vista strutturale essa non è più in grado di assolvere alle esigenze comunicative nella maggior parte dei domini d'impiego» (Turchetta 2003: 502).

Sennonché la Bovesia attuale solo nell'ottica “irredentistica” dei “Nuovi Ellenofoni” potrebbe definirsi “minoranza di frontiera”, mentre propriamente è un'antica enclave alloglotta romanizzata. Come ha dimostrato Fishman (1989) tra etnicità e lingua si stabilisce normalmente un nesso di forte valenza simbolica, specialmente nei casi di varietà minoritarie in recessione. Siccome l'esistenza di una comunità è definita dalla condivisione di modelli culturali, di consuetudini comportamentali, di abitudini interazionali e regole di comportamento sociale, e siccome i grecanici non si distinguono ormai in nulla di specifico – neppure nel repertorio linguistico - dal resto della popolazione della provincia di Reggio Calabria, occorre che chi voglia costruire un senso di “appartenenza”, operi mediante l'affermazione di una alterità etnica. L'atteggiamento dei “Nuovi Ellenofoni” diverge nettamente da quello dei residui parlanti nativi, i quali, ancorché parzialmente affrancati dall'antica interdizione, sentono tuttavia l'irrimediabile deprivazione e l'inutilità del codice minoritario. Un atteggiamento psicologico ambiguo connota spesso la subalternità a vari livelli ed è stato variamente descritto in chiave psicologica, etno-antropologica, sociologica, demologica. Esso provoca comportamenti qualitativamente eterogenei e quantitativamente graduati. In sede antropologica si è parlato di contro-acculturazione passiva , di funzione contestativa (e ambivalenza) del folclore (Lombardi Satriani 1968), di lingua come “rifugio”, luogo della “resistenza popolare” (Calvet 1974).

Si sa che la tabuizzazione della parlata subalterna favorisce a volte la sua conservazione 22 . Non si tratta qui, però, di un atteggiamento di distanziamento (Abstand ). Per definire il comportamento linguistico dei nuovi grecofoni, che

21 Corsivo mio. 22 Com'è noto, all'ottusità dei manzoniani al governo della pubblica istruzione nell'Italia postunitaria (intenti a svellere la “malerba dialettale”) dobbiamo in buona parte la sopravvivenza dei dialetti.

17 s'identificano nel neogreco, ma parlano l'italiano, occorrerebbe un termine specifico nel metalinguaggio della sociolinguistica. Questi atteggiamenti possono trovare un denominatore comune in un concetto che è stato teorizzato in filosofia morale: il risentimento . Esso ha origine nella nozione filosofica morale di Ressentiment (ingl. Resentment , fr. ressentiment ), elaborata da Nietzsche nella Genealogia delle Morali e teorizzata da Max Scheler agli inizi del Novecento (Sheler 1975):

«La rivolta degli schiavi nella morale contemporanea comincia quando il risentimento stesso diviene creatore e genera valori; il risentimento di quegli esseri ai quali la vera reazione, quella dell'azione, è negata e che perciò non trovano compenso che in una vendetta immaginaria» (I, §10).

Ora, il concetto di risentimento offre la possibilità di riunire insieme una serie di atteggiamenti e di comportamenti linguistici che le ricerche sociolinguistiche degli ultimi decenni hanno contribuito a indagare ed illustrare. L'uso che qui si propone di questo termine offre il vantaggio di raccogliere in una sola rubrica fenomeni diversi e a volte apparentemente contrastanti. Nel comportamento linguistico dei parlanti lingue subalterne il “risentimento” si manifesterebbe come acquiescenza all'interferenza sistematica, che comporta una capitolazione alla legge del più forte. Tuttavia si introducono surrettiziamente adeguamenti significativi. Il dialettofono accetta le interferenze adattandole al proprio sistema prosodico, fonetico, morfologico, e attuando a volte risemantizzazioni significative. Un esempio è la recente creazione del termine bov. jirimíe femm. pl. per le 'elezioni': siccome il cal. adopera votazioni derivato di votari 1. ‘votare’ e 2. ‘voltare’, si è ricorso alla formazione analogica di questo deverbale da bov. jirízo (γυρίζω ‘voltare, girare’), che ha assunto il senso nuovo di ‘partecipare alle elezioni’. Il calco non è privo di una certa mordace ironia. Il bovese ha creato così una coppia polisemica calcando una coppia omonimica romanza jirízo, jirimíe , ecc. Il debole oppresso fa “buon viso a cattivo gioco”, rifugiandosi nella dimensione consolatoria dell'ironia, segnatamente dell'autoironia. Sono questi meccanismi, accanto alle vie maestre del prestito e del calco, le risorse naturali che sovrebbero spontaneamente attivarsi se si dovesse verificare il miracolo della rivitalizzazione.

12. L' EQUIVOCO DELLA RIVITALIZZAZIONE . Il risultato delle sollecitazioni di segno contrario è a volte una sorta di schizofrenia linguistica: "il greco è bello, la lingua è patria, ma io continuo a esprimermi in italiano". Sull'equivoco della rivalutazione dei dialetti sentita in alcuni ambienti come progetto di “rivitalizzazione” si è espresso il presidente dell’Accademia della Crusca, Francesco Sabatini:

«I dialetti, lo sappiamo, sono parte della nostra storia sociale, culturale e letteraria e alcuni di noi li sentono, a tratti, come una forma più spontanea di espressione. Ma pochi si rendono conto che non è possibile attribuire, con decisione volontaristica... le funzioni richieste dalle civiltà complesse agli idiomi che non le hanno conquistate storicamente: cioè attraverso i lunghi processi necessari per formare le “lingue di cultura”, o per meglio dire “di uso colto”. Oltre che per la comunicazione parlata nell’ambito familiare o nella

18 propria città e per le espressioni artistiche (poesia, canzoni, spettacolo), funzioni a cui talvolta può ben sopperire il dialetto, nelle civiltà complesse le lingue devono essere usate anche per dibattere questioni pubbliche, nazionali e internazionali, di vasta portata e per elaborare con molta precisione idee nei campi delle scienze, del diritto, della filosofia, delle tecnologie, della storiografia ecc... Tutto ciò non si improvvisa. Parlare di “insegnamento” del dialetto, poi, non ha senso: il dialetto si può solo imparare direttamente da chi lo usa davvero per scopi pratici. I soldi (molti) che si spendono per andare contro la storia sarebbe bene spenderli, invece, per favorire lo studio scientifico (di documentazione e interpretazione) dei dialetti e delle loro culture: è questo il solo modo per conoscerne ed ereditarne i contenuti» 23 .

Queste parole valgono a maggior ragione per varietà di grande importanza storica come il grecanico. Stando alla definizione che Labov dà della comunità linguistica («gruppo di parlanti che condivide un insieme di atteggiamenti sociali nei confronti della lingua»), il grecanico è già morto. “Morte di una lingua” è espressione colorita, che discende da una concezione ottocentesca del sistema linguistico come organismo vivente, esposto alle leggi della selezione naturale. Si è parlato di rovina, declino, decadenza ("Language decay"), morte della lingua, glottofagia, linguicidio, suicidio linguistico, stato preagonico e agonico. Indubbiamente la grecofonia ha cambiato statuto sociolinguistico. Sembra avere esaurito la sua funzione di “social marker”, contrassegno linguistico di una condizione culturale e sociale di svantaggio, che promuoveva un atteggiamento di vergogna e di fuga verso il codice egemone, l'italiano. L'antica interdizione è venuta meno, e questo è uno dei (pochi) successi della 482. Ma è venuta meno perché il processo di sostituzione è praticamente compiuto e ormai i parlanti sono passati all'uso del dialetto e dell'italiano. Mentre a Roma si discuteva, Sagunto veniva espugnata.

13. PROSPETTIVE Ciò non significa naturalmente che non ci sia ancora del lavoro da fare per descrivere il grande patrimonio linguistico e culturale greco di quella regione, il “Griechischer Sprachgeist” già magistralmente descritto dal Rohlfs (1947). L'esperienza dimostra che le riforme verticistiche, specie quando contrastino il naturale sviluppo delle cose, raramente hanno successo. Se la lingua minoritaria ha chance di sopravvivere, deve scriversi con l'alfabeto italiano, come hanno fatto i veri grecofoni fin dal '700. L'esempio di B. Casile, di cui offriamo uno specimen nella Fig. 2, è illuminante. In definitiva, le previsioni non possono che essere pessimistiche, anche se a nessuno è lecito ipotecare il futuro; certo, vale sempre la pena di combattere la buona battaglia fino in fondo, come ha fatto il contadino poeta Bruno Casile, uno dei numi tutelari della Grecìa, nel cui ricco taccuino ho potuto leggere la seguente annotazione: ‘speranza’ non avi! (non c'è la parola bovese per speranza )! Si noti che l'osservazione è redatta nel dialetto romanzo locale, non in greco né in italiano!

23 Sabatini 2000: 2.

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