7 Le Industrie Della Comunicazione
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7 Le industrie della comunicazione Agli occhi della gente comune tutto ciò che ha a che fare coi media appare In alcuni dei corsi che trattano pervaso da fascino ed emozione, da creatività e conflitto. Vi sono dei mo- media, le «industrie» sono menti in cui questi stati d’animo prevalgono (probabilmente più di quanto considerate nell’ambito delle lezioni sulle «istituzioni»; secondo non avvenga in altri tipi di attività). Ma, prima di tutto, le attività relative ai noi è meglio parlarne in separata media sono di natura industriale e commerciale. In questo capitolo prendia- sede. Delle istituzioni abbiamo mo in considerazione tali attività utilizzando alcuni degli strumenti propri già parlato nel Capitolo 4. dell’analisi economica. Dall’avvento, nell’Ottocento, della «rivoluzione industriale» il ruolo di set- tore trainante della economia, prima nei paesi dell’Occidente e, successiva- mente, negli altri paesi che via via si sviluppavano, è stato svolto in succes- sione da industrie di diverso tipo, come quella petrolifera, automobilistica, e così via. Ai nostri giorni, le industrie della «informazione» e della «comuni- cazione» sono al centro dell’attività economica e le industrie mediatiche rap- presentano elementi di grande importanza di questo settore oggi dominante. I media studies si sono prevalentemente occupati della produzione su larga scala di beni e servizi destinati al pubblico «di massa» e relativi all’intratteni- mento e alle informazioni destinate all’uso personale. Ma è difficile separare queste attività dalla comunicazione di informazioni destinate agli operatori economici e dalle tecnologie e dai sistemi che sono utilizzati a tal fine. Per chiarezza noi prenderemo in considerazione le industrie mediatiche (nelle quali includiamo anche le industrie della «creatività») e quelle della teleco- municazione che sono divenute importanti per la distribuzione (ce ne occu- peremo nel Capitolo 13) di beni e servizi relativi al mondo dei media. All’interno di ogni industria identificheremo i vari stadi del processo: la pro- duzione, la distribuzione, le modalità attraverso le quali si consente la frui- zione, e così via. Le attività economiche possono essere classificate (anche se in modo non rigido) in attività di produzione di beni e di servizi. L’adottare questo criterio di classificazione nel campo dei media presenta qualche difficoltà, dal mo- mento che in esso le industrie producono effettivamente beni (basta entrare in un negozio della HMV o in un megastore della Virgin per rendersi conto di quanti siano i CD, i DVD, i videogiochi, le riviste, eccetera, che si posso- no trovare). Ma tali «beni» sono pezzi di plastica relativamente poco costosi che servono a permetterci di fruire dei dati che ci daranno intrattenimento o informazioni. 178 Parte I Concetti chiave © 978-88-08-19263-9 «Nel suo complesso l’industria della creatività dà un gigantesco contributo alla no- stra economia, oltre che alla vita sociale e culturale: rispetto a ciò che avviene negli altri paesi, produce una parte molto più elevata della nostra ricchezza: l’8% del PIL. Gli 11,4 miliardi di dollari che si ricavano dalle esportazioni dei prodotti di tale in- dustria fanno sì che, da questo punto di vista, essa preceda l’industria delle costru- zioni, le assicurazioni e le pensioni e sono circa il doppio di quanto rendono i pro- dotti dell’industria farmaceutica. (Patricia Hewitt, ministro del commercio e dell’in- dustria del governo inglese, 29 aprile 2005, citato da Screen International). Il produrre testi mediatici e distribuirli al maggior numero possibile di per- sone assomiglia di più a un’attività di «servizio». Alla luce di questa ambiguità, i vari settori delle industrie che si occupano dei media sono strutturate in modo diverso: alcune sono delle vere e proprie fabbriche, mentre altre assomi- gliano di più alle organizzazioni di servizio. La produzione come processo industriale Alcune delle attività che si svolgono nel mondo dei media possono essere con- siderate come forme particolari di attività industriali di tipo tradizionale, cioè come «fabbriche». La cosa può apparire strana, ma, possiamo spingerci sino a confrontare la produzione di un quotidiano con quella, ad esempio, dei fagioli in scatola. Troveremo che hanno molti elementi in comune: • hanno dovuto investire ingenti capitali per dotarsi di una sede e di macchi- ne: immobilizzazione di risorse; • hanno un’unità di «ricerca e sviluppo» (R&D) che ha il compito di pensare al futuro e di mettere a punto nuovi progetti, nuove ricette; • il loro prodotto è richiesto tutti i giorni, e questo comporta che la produzio- ne avvenga senza soste e richieda un flusso continuo di materie prime (carta, inchiostro e «notizie grezze» in un caso; fagioli e scatole nell’altro); • utilizzano lavoratori che hanno capacità particolari; • effettuano «controlli di qualità» sulla catena di produzione; • il loro prodotto deve essere distribuito in un territorio ampio; • stimolano la domanda e questo implica che svolgano ricerche di mercato che forniscono informazioni aggiornate sull’adeguatezza del prodotto e sul livello di soddisfazione dei consumatori; • fanno pubblicità perché il loro prodotto non perda di visibilità e sia capace di conquistare nuovi consumatori. Questi elementi in comune sono importanti, in quanto fanno sì che le im- prese che agiscono nel settore dei media prendano in genere le loro decisioni secondo le modalità proprie di tutte le imprese industriali e commerciali. Ma, per altri aspetti, le imprese mediatiche sono diverse dalle imprese manifattu- riere, e di questo (cioè della «specificità» delle industrie dei media) dovremo parlare in modo dettagliato in questo capitolo. Diciamo subito che gran par- te dell’attività relativa ai media consiste nel produrre un «originale» che poi viene duplicato o «riprodotto»: la possibilità di utilizzare diverse modalità di riproduzione è una delle caratteristiche più interessanti di tali attività. Ma torniamo ora al nostro esempio del quotidiano e vediamo quali ne sono le specificità: © 978-88-08-19263-9 7 Le industrie della comunicazione 179 • la «materia prima» non è omogenea: per poter scegliere gli eventi che posso- no essere venduti come «notizie», bisogna prendere decisioni che si basano sulla competenza professionale, sulla conoscenza della cultura prevalente, nonché su criteri estetici e politici; • le notizie non hanno sempre lo stesso prezzo (in qualche caso sono gratuite), mentre altre, ad esempio, quelle che riguardano le persone celebri, possono costare molto in quanto devono essere comprate oppure acquisite con attivi- tà che implicano notevoli spese oppure, nel caso di notizie di politica estera, sono frutto delle ricerche di giornalisti che incorrono in costi ingenti e de- vono essere tutelati; • il prodotto non è sempre un bene di prima necessità e la domanda può di- minuire se i gusti dei consumatori cambiano (le vendite dei quotidiani na- zionali in Gran Bretagna sta diminuendo); • i meccanismi di produzione e distribuzione non sono sempre gli stessi: è possibile, ad esempio, trasmettere il prodotto con strumenti elettronici e svolgere l’attività di riproduzione in sedi decentrate; • i costi relativi al personale saranno più elevati di quanto non avvenga in altri settori, perché il processo di produzione richiede competenze più ampie e diversificate di quelle richieste altrove; • il prodotto deve essere venduto nel giorno stesso in cui nasce (anzi, entro la stessa mezza giornata: un quotidiano del mattino diventa obsoleto quando escono i pomeridiani); • i ricavi derivanti dalla vendita del prodotto sono solo una parte dei ricavi complessivi che provengono anche (e in misura notevole) dalla vendita di spazi pubblicitari – e questo comporta che gli acquirenti di tali spazi siano molto importanti per il successo del prodotto. Tutto questo fa pensare che gestire e dirigere la produzione di mezzi di comu- nicazione di questo tipo sia cosa molto difficile (e tale da comportare rischi ele- vati). Per chi produce un giornale, le cose più importanti sono: Si veda il Capitolo 13 per • raccogliere e trattare le informazioni per trasformarle in notizie; un’ulteriore discussione sui • la distribuzione del prodotto finito. problemi relativi alla distribuzione dei quotidiani. La produzione in sé (cioè l’impaginazione e la stampa) è meno importante di quanto si possa pensare nel determinare il successo di un giornale. Non vi è dubbio che la qualità della carta e il «look» del giornale abbiano una loro im- portanza nel determinarne la reputazione nel tempo, ma non è detto che serva- no a far aumentare la tiratura quanto uno «scoop». Il successo dei prodotti me- Si osservi il «rilancio» di giornali diatici del genere giornalistico dipende da una mescolanza di fattori diversi, dal quali Guardian e Observer momento che il loro aspetto esterno e le notizie che contengono sono, quasi nel 2005-6. Hanno attratto nuovi lettori? sempre, le stesse, perché la tiratura delle varie testate e i ricavi dalla pubblicità sono tanto diversi da testata a testata? In parte la differenza che esiste tra i prodotti mediati e i prodotti di altre in- dustrie dipende dal tipo di target raggiunto: quello che conta non è tanto che il prodotto venga venduto a molti, ma a chi viene venduto e a come gli acqui- renti sono visti da che li vuole utilizzare per fare pubblicità. La tiratura di The Times è circa il doppio di quella del Guardian, ma quest’ultimo può offrire a chi vuole farsi pubblicità gruppi di lettori ben definiti che hanno interessi par- ticolari e quindi, nonostante la circolazione minore, è più ricercato da chi vuol fare pubblicità per le maggiori possibilità che offre. Il caso di studio posto in fondo al Capitolo 8 tratta di alcuni modi in cui si può identificare da chi è composto il pubblico. 180 Parte I Concetti chiave © 978-88-08-19263-9 Si deve tenere presente che D’altro canto, se problemi di distribuzione impediscono al giornale di rag- il Guardian, rispetto ad altri giungere in tempo i propri clienti, tutto l’impegno profuso nella produzione quotidiani dello stesso livello, sarà stato inutile.