Bella e abbronzata. Visualizzare la razza nella televisione italiana 1978-1989 Gaia Giuliani

Partendo dall’idea che «la relazione tra ciò che vediamo e ciò che sappiamo non è mai fissata una volta per tutte» 1, e dall’idea che il reale non è altro che il risul- tato dell’interpretazione da parte di una specifica posizionalità 2, in questo saggio mi concentrerò sulla codificazione visuale, o, di converso, l’invisibilizzazione, del sogget- to egemonico e di quello subalterno. Il mio obiettivo è quello di cogliere il costan- te lavorìo di certe – immancabili – ‘figure’ nella loro rappresentazione. Intendo con queste ultime una sorta di sintassi visiva che si tramanda nel tempo, dalla «Venere Ottentotta» dalla sessualità animalesca 3 alla Phuong di Graham Greene (la piccola vietnamita sempre descritta mediante metafore floreali) 4, alle figure delle indigene e degli indigeni andini 5 e di quelli del Pacifico nei ritratti di frontiera 6 immortalate nelle fotografie dell’epoca dell’impero britannico 7. Questi materiali apparentemente ‘innocui’, ‘oggettivi’ per la loro ‘attinenza al reale’ (ma che cos’è appunto il reale?) restano nell’immaginario collettivo, via via trasfigurati. Nel caso dei prodotti televisivi che analizzerò, essi sono presentati nel- la forma del grottesco, del kitch o invisibilizzati. Questa scelta ‘stilistica’ è tipica dei programmi televisivi di intrattenimento il cui obiettivo è la presa in giro, o l’ironia più sofisticata, di una specifica diversità – rappresentata da un personaggio comico o cabarettistico che la rende ‘carnevalescamente’ esplicita. D’altra parte, riprendendo ciò che scrive Alan O’Leary in questo volume, in riferimento ad una lettura bachtiniana del carnevalesco nel cinepanettone, è l’incon- trollabile instabilità di questi ‘regimi di verità’ a lasciare lo spazio alla sovversione, di

1 Berger 1972, p. 7. 2 Butler 1993. 3 Hobson 2005, Holliday – Sanchez Taylor 2006, Sòrgoni 1995. 4 Greene 1955. 5 Poole 1997. 6 Williams 2003. 7 Si veda anche Ryan 1997. Bella e abbronzata 47 cui ci parlano Stuart Hall e Judith Butler (vedi l’introduzione a questo volume), dei codici ‘banalizzati’ dell’egemonia culturale e sociale bianca, eterosessuale e maschile. Lo spazio per la sovversione è creato dal linguaggio visivo e verbale esplicito e grot- tesco, il quale si rende disponibile alla presa di coscienza, alla critica creativa delle interpretazioni dominanti. Mi concentrerò, dunque, sul ‘lavorio della razza’ nei discorsi egemonici e nei controdiscorsi, sulla più o meno silenziosa codificazione dei corpi che si è costitui- ta, mediante la loro esposizione visiva, nella televisione italiana del cosiddetto ‘riflus- so culturale’ dopo la stagione delle lotte sociali e politiche e della militanza armata negli anni Settanta. Ciò che mi interessa è indagare in che misura e con quali moda- lità ciò che altrove ho identificato essere la matrice etero-referente e antropofaga 8 dell’identità razziale degli italiani, descritta sin dall’età liberale e dal fascismo come ‘mediterranea e bianca’, si sia riproposta e riarticolata in quegli anni. Per etero-refe- rente, in linea con la studiosa francese Colette Guillaumin 9 intendo una costruzio- ne dell’identità razziale (bianca) che si fonda sul contrasto/contrapposizione con l’altro/a razzializzato/a; con antropofaga intendo un’identità razziale che include i suoi altri, ‘cannibalizzandoli’ – ossia oggettivandoli e (iper)sessualizzandoli – pur mantenendone la differenza 10. Per fare ciò mi dovrò dunque necessariamente riconnettere alle riflessioni che storiche ed antropologhe femministe hanno elaborato a partire dalla relazione tra desiderio esotizzante e proiezione del desiderio sul corpo (femminile, ma anche maschile) non bianco nell’esperienza coloniale. Ciò mi servirà per sottolineare la globalità di certe codificazioni razziste, le quali, sin dalla prima «uscita dell’Europa da se stessa» – riprendendo l’idea di Dipesh Chakrabarty sulla relazione inscindibi- le tra Modernità occidentale e colonialismo 11 – hanno viaggiato attraverso oceani e continenti. Tener presente l’orizzonte transnazionale, globale e di lungo periodo mi servirà per meglio comprendere la specifica traduzione (nel senso sia di traduzione dall’esterno sia di traduzione dalla cultura nazionale precedente) nell’Italia di quel periodo di un discorso della razza che negli anni Ottanta è figlio di molte stratifi- cazioni semantiche, come dimostrano, in questa raccolta, i saggi di Liliana Ellena, Silvana Patriarca, Daniele Combieriati, Tatiana Petrovich Njegosh, Vincenza Perilli e Gabriele Proglio. Essa, in particolare, recuperando l’appeal in senso consumistico che destava la differenza ‘del colore’ (si ricordi, uno per tutti, Benetton e le celebri pubbli- cità di Oliviero Toscani, ma anche l’ingresso delle modelle nere tra le top-model del momento) pretende di spogliare quest’ultima dallo stigma assegnatogli dal razzismo fascista, erigendola a oggetto di piacere erotico visivo. Questo spostamento seman- tico segue, come Tatiana Petrovich Njegosh e Anna Scacchi hanno mostrato, un andamento globale che da un lato sbianca (simbolicamente) i non-bianchi mediante

8 Giuliani 2013, 2014a, 2015. 9 Guillaumin 1972. 10 hooks 1992; si veda più avanti. 11 Chakrabarty 2000. 48 ‘Vedere’ la razza per costruire identità il loro accesso a status sociali più alti, dall’altro rende l’accesso al corpo non-bianco un viaggio ‘esotico’ alla portata di tutti 12. È il caso televisivo di Stryx del 1978, un programma che alla fine degli anni Settanta mette in scena l’Ade, con l’aiuto di tre sacerdotesse, figure fondamentali dello star system italiano e occidentale, elevate qui all’apice dell’esotico: Amanda Lear, Patty Pravo e Grace Jones. La «pantera giamaica- na» veste qui il ruolo che pubblicitari e stilisti le hanno già assegnato negli Stati Uniti: l’icona «nera come la pece» dalla bellezza conturbante, dal fisico ‘estremo’ e ‘ambiguo’ (come quello delle consorelle Patty e Amanda), dall’aggressività ‘ferina’ (ricordo la contestatissima immagine artistica del 1982 di Jean Paul Goude che la ritrae anima- le in gabbia) oggetto-soggetto del fashion system e della scena musicale delle grandi case discografiche statunitensi. La lettura del corpo ‘altro’ come ‘viaggio esotico’ ci riconnette ad un certo immaginario orientalista, e specialmente all’orientalismo «latente» ben descritto da Edward Said 13 e che recupera il feticismo dell’esperienza esotica ‘ripulendola da un linguaggio esplicitamente razzista’ e occultandone la matrice coloniale ed inferioriz- zante. Vedremo come questo tipo di ‘ripulitura’, su cui ha scritto Patriarca (si veda infra) sia evidente nelle prime serie di Drive in, in cui tra le soubrette supersvestite vi è anche un’attrice nera, e nel più ironico Indietro tutta! il quale conta, al fine di un maggior appeal sul pubblico, sullo stacchetto musical-performativo delle succintissi- me samberas brasiliane del «Cacao meravigliao» (fig. 1): qui all’opera non vi è, infatti, un linguaggio apertamente inferiorizzante, ma la congiuntura di ‘figure’ del razzi- smo e del sessismo ‘apparente- mente più accettabili’ e figlie della loro rielaborazione nella cultura televisiva di massa. Nella cornice di una tale indagine verranno presi in consi- derazione, necessariamente, molti altri elementi culturali contestua- li – la costruzione dell’arabo in un’epoca in cui la tensione con l’arabo-musulmano non ha anco- ra acquisito in Italia le caratteristi- Fig. 1. Copertina del 45 giri della canzone Cacao Meravigliao. che e i temi dello scontro di civiltà massimamente espresso dopo l’11

12 Petrovich njegosh – Scacchi 2012. Questo aspetto, nel contesto degli anni Ottanta, è sta- to posto alla luce rispettivamente negli Stati Uniti e in Gran Bretagna da Paul Gilroy (Gilroy 1993) e Stuart Hall (Hall 1997a). 13 Said 1978. Bella e abbronzata 49 settembre 14, del meridionale e della meridionale nel decennio successivo alle gran- di migrazioni da Sud, del mito del giovane rampante di successo (che potremmo identificare con lo yuppy nostrano) e dei suoi immaginari sessuali nella cultura post- industriale urbana, della ‘nuova società di massa’ televisiva. Questi elementi si iscrivo- no in una cultura visiva profondamente segnata da una crescente erotizzazione della vita quotidiana 15 – e del corpo femminile, che invade sia la fotografia (commerciale e dell’informazione 16), sia la pubblicità e la televisione 17. La «bianchezza italica» che sarà dunque al centro del mio lavoro è quella che si articola in una fase storica specifica, perché pur essendo temporalmente successiva alla fine dell’esperienza coloniale italiana (conclusasi con la seconda guerra mondiale, e il protettorato sulla Somalia, revocato nel 1961) manca di un importante fattore sociale, economico e semantico: la presenza massiccia dei migranti – uomini e don- ne – nella vita quotidiana degli italiani. L’assenza di questa componente dal punto di vista della costruzione dell’iden- tità razziale degli italiani fa emergere più nette altre trame che non scompariranno con l’infittirsi successivo delle linee del colore, e che si riferiscono a precise (situate) percezioni del sé come comunità immaginata (razzializzata). Si tratta di un groviglio di intersezioni che collocano i soggetti in posizioni – sociali, culturali, territoriali e di classe – assai diverse e complesse. Della varietà – e della violenza – di queste linee del colore ci parlano le ricerche di Silvana Patriarca e Vincenza Perilli sui «mulattini» figli di relazioni tra Buffalo Soldiers e italiane e sulle loro vicende di marginalità, così come gli studi, in questo volume ed in altri, sull’eredità coloniale in termini di ste- reotipi verso il Nord-Africa (vedi infra i saggi di Gabriele Proglio e Liliana Ellena), sulle discriminazioni di cui furono oggetto i e le migranti dal Meridione nel trian- golo industriale italiano e all’estero e di cui sono oggetto i rom (vedi infra il saggio di Sabrina Tosi Cambini). Si potrebbe dunque parlare di diverse concezioni di bianchezza in competizio- ne, le quali, dall’età liberale passando per il fascismo sino all’Italia repubblicana, han- no via via differenzialmente incluso ed escluso, per sempre o in modo temporaneo, una serie di soggetti per varie ragioni a seconda di specifiche articolazioni della costru- zione materiale e simbolica, più o meno apertamente razzializzata, del ‘popolo italia- no’ 18. Non solo al fine della messa a valore della differenza all’interno del mercato del lavoro salariale o in nero, senza, con poche o con sempre meno garanzie. Le forme di privilegio – legate al carattere della bianchezza come bene appropriabile (il «possessive investment in whiteness» di cui ci parla John Lipsitz 19) hanno fissato le linee dell’ac- cettabilità sociale o, al contrario, dell’abiezione di determinati soggetti. Uno tra tut-

14 Si veda sul tema Klug, 2012. 15 Mcrobbie 2009. 16 Gariglio 2013. 17 Si vedano il classico di Goffman, 1976 e 1977, e per l’Italia Demaria 2003. 18 Si vedano Patriarca 2010 e Nani 2006. 19 Lipsitz 1998. 50 ‘Vedere’ la razza per costruire identità ti, nel caso di Drive in, la figura femminile della moglie di mezza età non avvenente e casalinga e che viene demonizzata senza mai sollecitare nel pubblico alcuna forma di empatia: è l’abietta puritana e tradizionalista, incapace di apprezzare e tantomeno sostenere lo slancio virile del maschio italico – una figura che, come approfondirò, apparteneva già alla commedia all’italiana di quegli anni. È sicuramente la consuma- trice-tipo di una grande fetta dell’industria pubblicitaria, televisiva e di prodotti com- merciali, eppure è una figura reietta nella società dei giovani (maschi) di successo del triangolo industriale e massimamente della «Milano da bere».

Visualizzare la differenza I: Quelli della notte

Quelli della notte è un programma televisivo di Renzo Arbore e Ugo Porcelli trasmesso da nel 1985 intorno alle 23.10, ideato e condotto da Renzo Arbore. Vennero realizzate 33 puntate, andate in onda (dal lunedì al venerdì) dal 29 aprile al 14 giugno. Si tratta di un prodotto molto particolare, sicuramente considerato dalla dire- zione RAI come ‘di nicchia’ nonostante il suo enorme successo: è uno spettacolo tele- visivo ideato e condotto da meridionali i quali raccontano, mediante sketch comici e intermezzi musicali, la società italiana da un punto di vista non settentrionale. L’asse con cui viene ridisegnata la prospettiva è quello del Mediterraneo, che dalla Napoli di adozione di Arbore e casa di Marisa Laurito, passa per Roma, Foggia e Messina (terra di Nino Frassica). Qui si gioca appunto la sovversione dei codici mediante il carnevalesco: il Sud che parla del Sud (e del Nord) prendendosi in giro, ribaltando e sbeffeggiando stereotipi, stabilendo nuove geografie di ‘affinità’, ripensando il ‘colore della nazione’ (fig. 2). È uno spettacolo notturno senza soubrette che nella sua prima e unica stagione, si svolge ogni sera in una sedicente ‘casa privata’ – un grande salotto a due piani con bal- conata a corridoio. Attaccate alle pareti della sala si trovano foto di Khomeini, di guerril- leros sudamericani, la bandiera americana e quella della monar- chia italiana. Molte comparse maschili e femminili fanno da sfondo alla scena, creando l’idea di una festa in casa. In questa ambientazio- ne l’inquilino dell’apparta- mento, Renzo Arbore, intrat- tiene il pubblico ingaggian- do dibattiti e intervistando i suoi ospiti fissi, tra cui Andy Luotto (il celebre comico e Fig. 2. Una scena di Quelli della notte. attore italo-americano) ovve- Bella e abbronzata 51 ro il «fratello musulmano Adrien», Nino Frassica, che veste i panni di frate Antonino da Scasazza, e Maurizio Ferrini, venditore di pedalò di Cesena. Il tutto condito da una colonna musicale dal vivo di grande impatto ed ironia, a cura di un’orchestra dai nomi bizzarri come «Tutto è Male», «New Patetic elastic orche- stra», «Senza vergogna», «Cari amici vicini e lontani». I personaggi centrali sono dunque tutti maschili – così come quasi tutti gli esperti di cinema, musica emer- gente, fumetti, pubblicità e televisione chiamati ad intervenire in studio sulle nuove tendenze del momento – e rappresentano, appunto, le linee di contatto/ tensione non solo tra le aree geografiche (Nord, Sud e Mediterraneo) ma anche i ‘regimi di verità’ che la loro (auto) rappresentazione riproduce. Qui la mascolinità è quella scugnizza di Gegé Telesforo, genio del jazz e dello swing, di uomini cicciottelli che indossano tutine da lavoro e frac pacchiani, pira- ti con tanto di bandana, orecchino e camicia hawaiana (Giorgio Bracardi), mentre Arbore, con le camice dai colori sgargianti e i gilet dalle fantasie improbabili rivendica sicuramente una virilità che è al contempo continuamente in tensione con la presa in giro della mascolinità, il ruolo da conduttore-direttore d’orchestra e la figura sber- leffa dello stesso conduttore. Nino Frassica, il frate francescano, ricalca l’idea del sici- liano illetterato il cui interloquire non-sense e surreale non è compreso dagli astanti. Catalano, il musicista e profeta dell’ovvio («è meglio essere ricchi e in buona salute o poveri e malandati?»), è colui che pone in primo piano l’aspetto talvolta farsesco dei nuovi guru dell’intrattenimento televisivo, al centro dell’ironia sofisticata di Arbore. A (Riccardo) Pazzaglia (l’uomo dotto che dovrebbe «alzare il livello cultura- le della trasmissione») e (Maurizio) Ferrini viene assegnato il compito di incarnare esplicitamente il conflitto tra Nord e Sud, senza esclusione di colpi: Ferrini è colui che biasima, sminuisce, irride la cultura meridionale, spingendo sugli stereotipi anti- meridionali in modo parossistico – i meridionali sono rozzi, non hanno studiato, rubano, sono testardi e attaccabrighe (puntate 1-6); Pazzaglia, addirittura, si riferisce direttamente alla fisiognomica lombrosiana, per sottolineare l’inciviltà di Ferrini, il cui cranio – dice – ha misure evidentemente incongruenti con quelle dei ‘lombrosia- namente superiori’ brachicefali. Anche le persone ‘del Nord’ – Bracardi e la vocalist – sono così integrate in una caciara auto-ironica che decostruisce il divario Nord-Sud, ricostruendo al suo posto, mediante l’orchestra e la coralità dello studio-salotto, una sorta di italianità inclusiva spostata a Sud. Questa italianità non è quella del maschio italico «della virile ruralità meridionale», ma piuttosto quella dell’eccentricità dell’ar- tista e del popolo della notte che per la sua supposta ‘apertura’ pone in essere quel processo di inclusione ‘antropofaga’ dell’alterità (come quella del «fratello musulma- no Adrien» di cui parlerò ora) che sicuramente è sostenuta dal comune e alto ‘capi- tale culturale’ che fonda la comunità di Quelli della notte. Luotto «viene da Tunisi» probabilmente perché la Tunisia è una nazione meno problematica della Libia nell’immaginario collettivo visto sia il conflitto tra Gheddafi e Reagan, sia i trascorsi coloniali italiani in quel paese. A lui e i fratelli del «bacino del Mediterraneo [...] il programma è dedicato», e così ai «telespetta- tori dell’Arabia Saudita, del Marocco a cui arrivano le trasmissioni e con il vento 52 ‘Vedere’ la razza per costruire identità del deserto ci seguono persino in zone anche più lontane» (Arbore, seconda pun- tata). Luotto non parla in arabo, ma usa un gorgheggio che lo scimmiotta e nel frattempo lo sgola, inserendo espressioni meridionali – dal pugliese, al napoletano, al romano. Qui la sua figura si prende gioco dell’arabo irascibile che si agita a sen- tire parole la cui pronuncia ricorda elementi corporei, attività erotiche e sessuali, genitali maschili e femminili. Qui la presa in giro del musulmano (vestito con il velo bianco saudita, ma ‘di tunisi’) è ribaltata sul sé: Adrien ci appartiene, è uno dei fratelli che stanno più a Sud e sono «più meridionali di noi» (seconda punta- ta), e la consapevolezza dello stereotipo che cinge sia il Sud cattolico sia l’oltremare musulmano – il moralismo religioso – accomunandoli, rende la satira di Luotto il luogo del ripensamento del sé. La linea del colore e geografica (il Mediterraneo) che ci divide è resa meno netta attraverso appunto un processo antropofago che riconosce la ‘familiarità’ dell’altro. Interessante è la puntata in cui Marisa Laurito – la cugina di Arbore che abita al piano di sotto – si preoccupa della virilità di Renzo il quale – dai vestiti ‘troppo fioriti’ – lascerebbe intendere la sua disponibi- lità sessuale al tunisino Luotto. L’esplicitazione delle idee comuni sul desiderio e sulle regole dell’attrazione omosessuale, e sulle tendenze omoerotiche della cultura musulmana permettono ad Arbore di definirle ‘sciocchezze’ che non hanno fon- damento. L’omoerotismo è qui elemento di contatto ed elemento di distinzione, la zona grigia tra il noi e l’altro che è, come ha scritto Anne Laura Stoler 20, tipica degli orizzonti coloniali e postcoloniali. A ribadire il ribaltamento della prospettiva – che porta a far pensare all’arabo musulmano come più vicino al Sud del Nord di Ferrini – c’è anche un cammello di peluche formato reale che campeggia in mezzo al salotto, insieme a palme finte sparse qua e là nel corridoio sopraelevato. Questi sono gli anni in cui il catanese Franco Battiato, insieme alla palermi- tana Giuni Russo, ricuce il rapporto con il Mediterraneo e la memoria coloniale a modo suo, con brani che fanno direttamente riferimento all’oltremare italiano, Pino Daniele riprende la tradizione e la mescola, insieme a James Senese, Tullio de Piscopo e Roberto de Simone, tutti napoletani, al jazz e al blues 21, i conterranei Eugenio e Edoardo Bennato fanno riferimenti stringenti al Levante e al Bacino, e così tutta la corrente della Nuova scuola di canto popolare (penso anche alla cantan- te napoletana Teresa de Sio), Enzo Avitabile e gli Almamegretta che cantano in dia- letto e spesso in arabo – a sottolineare il rapporto culturale, geografico e storico del Sud italiano con i leoni del deserto, riletti in una prospettiva ‘meridiana’, usando il termine che dieci anni dopo avrebbe coniato Franco Cassano 22, e in tensione con la ‘comunità immaginata’ nazionale 23. Lo stesso logo della trasmissione riprende lo stile dei caratteri arabi, mentre la sigla – Ma la notte no – viene suonata dalla band calzando il copricapo ottomano, il

20 Stoler 2002. 21 Si veda Festa 2015. 22 Cassano 1996. 23 Chambers 2012, p. 29. Bella e abbronzata 53 fez. In generale, il contesto musicale permette di rivendicare una globalità per niente scontata: da un lato il Sud e il Mediterraneo, dall’altro il Sud come prospettiva da cui riguardare generi musicali oggi annoverati nella tradizione occidentale, ma nati in con- testi marginali – il rock & roll, lo swing, il blues, il jazz, il tip tap, in cui il meticciato e il protagonismo non-bianco è al centro sia della composizione sia dell’esecuzione. Tutto ciò viene inscritto nell’imprescindibile cornice della tradizione della commedia parte- nopea – Totò e Eduardo De Filippo – e della cultura televisiva nostrana – il Carosello 24. Ma torniamo alle costruzioni di genere in Quelli della notte: tre sono le figure centrali che vogliono essere rappresentative di alcuni modelli di femminilità dell’Italia di quegli anni: Marisa Laurito, Simona Marchini e Silvia Annichiarico (la vocalist). Marisa Laurito è una figura in bilico tra ‘la svampita’ e la donna sempre assertiva: vestita in modo classico ma eccessivo (cappellini con retina e guanti bianchi, vesti- tini rosa e a pois bianchi su sfondo azzurro, verde smeraldo o nero con cappelli- no e veletta rosso fuoco) come a ribadire lo stile di bellezza che, con un’espressio- ne ripresa dall’ambito musicale, definiremo «neomelodica»: è l’impersonificazione della donna napoletana estremamente orgogliosa, melodrammatica, mora, roton- da, ‘mai troppo scoperta, anzi un po’ puritana’, della Napoli (più) colta, impiccio- na e sempre un po’ fuori luogo. Coriste e vocalist (Silvia Annichiarico) sono abbondanti e dalla faccia rubicon- da, mentre la madre di famiglia telefonista Simona Marchini è continuamente ogget- to di sottile ironia per il suo non riuscire a non citare il marito in ogni frase, giocando sottilmente con l’auto-rappresentazione minorizzante della donna che senza il ruolo di moglie, madre e telefonista non vale nulla. Spesso viene fatto riferimento (da Arbore) alla questione che in quegli anni negli Stati Uniti e in Italia veniva fortemente dibattuta dalle teoriche e dai movimenti fem- ministi, ossia l’immagine della donna nella pubblicità, nel cinema (porno) e nella tele- visione e che verrà negli anni Duemila nuovamente tematizzata da Lorella Zanardo 25: il programma si dimostra particolarmente sensibile, anche se sempre con un atteggia- mento tra lo sberleffo e il voyeurismo, quando viene ‘interpretata’ la performance della ballerina sexy Carmen Russo andata in onda durante una puntata di Blitz 26. Un gio- vanissimo Roberto D’Agostino, l’esperto del look e dei trend giovanili – il saputello ‘studioso delle tecniche della comunicazione’ uscito dal DAMS di Bologna – descrive la Russo come una «figura retorica che esprime il declino e l’edonismo angloamericano e il rifiuto della tradizione melodica italiana». Il commento, mentre la Russo si toglie, ballando, una tutina di pelle da motociclista attorniata dal corpo della Marina milita- re, è riferito alla «grande carriera della Russo, la quale ha assurto a fasti di trasmissioni ben più importanti» – ossia Drive in, affermando nemmeno troppo implicitamente l’ossessione per il seno prosperoso al centro del programma rivale.

24 Carosello andò in onda prima su Programma nazionale, poi sulla Rete 1 della RAI, dal 1957 al 1977. 25 Zanardo 2009. 26 Blitz 1983-1985. 54 ‘Vedere’ la razza per costruire identità

Visualizzare la differenza II: Indietro tutta!

Indietro tutta! è una trasmissione di enorme successo: più di 50 puntate in 4 mesi (dicembre 1987 – marzo 1988). Questa volta Arbore conduce in coppia con Frassica la cui centralità è funzionale al dare risalto alle storpiature dell’italiano, al suo eloquio non- sense, surreale, che il comico messinese riesce a creare in attimi di improvvisazione pres- soché totale. La sua esuberanza ed i balletti nello scenario estremamente kitsch (all’in- segna della stravaganza, delle paillettes e dei colori sgargianti) vanno al passo delle note di un’orchestra che in modo del tutto coerente si chiama «Mammaliturchi» (Arbore afferma nella prima puntata che sono tutti turchi, e da turchi ottocenteschi vestiti). Ancora una volta, come in Quelli della notte, la cornice è il presunto conflit- to storico-culturale politico e sociale tra Nord e Sud. I quiz vedono competere due squadre: quella del Nord (vestiti di bombetta, a simboleggiare il centro del pote- re economico, politico e finanziario) e quella del Sud (con fez turco in testa, come popolazioni del deserto). La questione presa in consegna in Quelli della notte ossia la commercializzazio- ne del corpo femminile nell’intrattenimento televisivo viene posta immediatamente al centro del programma. In questo caso la scelta dei ‘corpi da mostrare’ segue canoni di bellezza più ‘televisivi’, per quanto meno ‘appariscenti’ o meno rispettosi del dik- tat imposto da programmi come Drive in. Le soubrette sono tutte un po’ più ‘roton- de’, con cosce tornite ma dalle scollature abbastanza caste, more dal capello lungo in nome di un’idea molto tradizionale di bellezza femminile. Viene rivendicato (Arbore, prima puntata) che la valletta tornita non è «né una top model, né una star televisiva», ma «l’unica possibile valletta di Indietro tutta!» la quale, esprimendo la propria opinio- ne (settima puntata), è di fatto «un’eccezione più unica che rara». La presa in giro del mondo dello spettacolo e dei suoi canoni estetici è anche nella proposta che sostitui- sce le soubrette con la parodia delle ‘ragazze pon pon’ – le «Ragazze coccodé» anch’esse non esattamente filiformi – «stupidine che sollevano il morale ma non fanno l’uovo». Arbore le definisce la «massima espressione televisiva della donna di oggi» (terza pun- tata). Di fatto i loro abiti succinti e la loro bellezza è continuamente ridicolizzata dalle mosse dei balletti, goffi e sgraziati, che non riprendono le parti anatomiche delle bal- lerine come in molti altri programmi dell’epoca, ma restituiscono sempre uno sguardo corale che abbraccia l’intero gruppo delle «Ragazze coccodé». Ancora, nella prima puntata entrano le ballerine di samba del «Cacao meravi- gliao» e Arbore con l’ovvia battuta «guardate guardate che belle ste donne color cioc- colato» a cui segue l’arringa difensiva nei confronti del programma e dell’uso del cor- po femminile: bisogna competere con Berlusconi da una parte, con gli altri program- mi dall’altra in cui le donne sono rappresentate così, «io avrei voluto mettere altre donne eppure anche il direttore generale della RAI, Biagio Agnes mi ha detto metti le donne e vai sul sicuro» per gli indici di ascolto. Qui le brasiliane giocano appieno il ruolo che Anne McClintock ha definito «pornotropo» e che Vincenza Perilli 27 ha

27 Mcclintock 1997, Perilli 2012. Bella e abbronzata 55 analizzato in modo accurato ed originale in un suo scritto sulle figure genderizzate e razzializzate della pubblicità in Italia e in occidente, soffermandosi sull’erotizzazio- ne del corpo nero (tra cui quello di Grace Jones nella già citata fotografia del 1982). La querelle sull’uso del corpo femminile in televisione viene ulteriormente fomentata quando Arbore mostra le gambe di Miss Nord e Miss Sud (inizio della seconda puntata), e insiste sulla brama di donne di Agnes – avellinese, «provincia che è piena di donne bellissime ma poco disponibili» – «è avido di donne, ma non le vuole per sé, le vuole per la sua azienda». Perché la questione, dice Arbore, «è stata ieri quella delle «Ragazze coccodé» se sono femministe o non sono femministe», rife- rendosi al dibattito accesosi sulla stampa all’indomani dell’esordio della trasmissione, in un certo senso scaricando l’onere di una siffatta parodia sulla suddetta «brama» di Agnes. Ovviamente lo sguardo sul corpo delle donne è profondamente maschile ed eteronormato. Nonostante ciò, la mascolinità è rappresentata in un modo tutt’al- tro che paterno e rassicurante – è sempre consegnata al kitsch dei vestiti di Frassica (con tanto di eccesso di paillettes e colori sgargianti, scarpe color verde smeraldo e frac rosso) e di Arbore (talvolta vestito con cappello da capitano di un vascello set- tecentesco) e come tale crea un movimento sincopato rispetto al richiamo eteronor- mativo, mediante cui la virilità è messa continuamente in ridicolo, in un certo senso utilizzando l’estetica popolare meridionale (e ancor più, la sua parodia) come sov- vertimento dei codici borghesi (maschili e settentrionali) della bellezza imposti dalla cultura egemone sin dall’Ottocento 28.

Visualizzare la differenza III: Drive in

Drive in debutta il 4 ottobre del 1983 e dura fino al 1989. È un programma televisivo comico, ideato e scritto da Antonio Ricci che lancia Italia1. Nell’intervista del 1999 a Giancarlo Nicotra contenuta nel documentario Drive in – 30 anni – L’origine del male 29, Nicotra sottolinea come la trasmissione volesse richiamare negli anni Ottanta alla spensieratezza adolescenziale degli anni Sessanta. Antonio Ricci nello stesso documentario, afferma cheDrive in, nei suoi modelli di genere, cultura- li e di consumo, voleva esemplificare l’americanizzazione della cultura italiana e ciò è evidente nel richiamo alla cultura visiva statunitense di quegli anni, la quale ave- va sdoganato e diffuso il mito della donna procace, bomba sexy dai vestiti succinti. La specificità italiana della trasmissione rispetto a questo panorama culturale transnazionale si trova nella commedia cabarettistica tipicamente milanese, e nel- la specificità dei suoi personaggi a cui è demandata la rappresentazione caricaturale dell’abiezione, del mostruoso e della bellezza, di cui si parlava nell’introduzione di questo saggio. A differenza dei due programmi televisivi finora presi in considerazio- ne che tendenzialmente mirano ad includere, piuttosto che ad escludere, qui la mes-

28 Su questo aspetto negli Stati Uniti e in Europa si veda Moon 1998. 29 Drive in – 30 anni – L’origine del male 2013. 56 ‘Vedere’ la razza per costruire identità sa all’indice colpisce un certo numero di soggetti, generalmente i più deboli, i più vulnerabili, donne ma anche uomini. La raffigurazione delle donne ‘avvenenti’ è sempre quella di femmine stupidine e svestite. In linea con il cinema soft-core – la commedia sexy all’italiana, inclusi i celebri film di – così popolare per tutti gli anni Settanta fino ai primi anni Ottanta 30, la bellezza succinta e provocante e un po’ oca viene riproposta da Drive in in un formato completamente nuovo ed originalissimo, che rappresenta l’eredità e al contempo la cesura con altri programmi ‘svestiti’ del tempo: Aria di mezzanotte – Enzo Tortora e il sesso; Odeon. Tutto quanto fa spettacolo; Spogliamoci insieme; Colpo grosso; il già citato Stryx; Il cappello sulle 23; Due di tutto; e il già citato Blitz 31. Qui è a Lori Del Santo – la cassiera – così come a Tinì Cansino – la soubrette a cui sono assegnati un buon numero di interventi comici –, e poi a Carmen Russo, ad essere demandata la personificazione di tale modello femminile (che è spiritoso perché sexy e piacevole perché, appunto, sciocca). Questa codificazione della femminilità – insieme a quella della mascolinità italica e bianca come «una perfetta sintesi fra everyman e superman» 32, ossia tra idealtipo maschio-bianco-virile-mediterraneo e l’«ometto» della classe media non particolarmente avvenente, né simbolo della virilità italica (si veda la descrizione dei personaggi di Enrico Beruschi più avanti) – sono state da molte parti ricondotte al «sistema culturale» del berlusconismo 33: io mi limiterò a vederle qui come una delle codificazioni in competizione (ed in dialogo) con altre, quando ancora la televisione commerciale non era così dominante né omologata dal punto di vista della codifica- zione razziale della bellezza e della codificazione di genere della razza. In Drive in non vi sono solo donne bianche: come in Indietro tutta!, anche qui vi è il richiamo alla bellezza femminile esotica, già sdoganata dalle riviste di moda e da un buon numero di bellezze femminili (come la stessa Grace Jones e poi Naomi Campbell) nell’industria dello spettacolo, della musica e del cinema. Seguendo ciò che dice Maxine Leeds Craig,

writers who have considered the position of contemporary non-white wom- en in beauty regimes have variously found categorical exclusion of women of colour, appreciation of the beauty of women of colour to the extent that they approached the appearance of whiteness, or the inclusion of a changing spec- trum of women of colour in the marginalized and marked position of the exotic beauty. A shifting economic and geopolitical context underlies these alternative and unstable positions of women of colour in beauty regimes 34.

30 Guaraldo 2011. 31 Aria di mezzanotte – Enzo Tortora e il sesso nelle stagioni 1976-1977; 1977-1980; Odeon. Tutto quanto fa spettacolo, andato in onda tra il 1976 e il 1978; Spogliamoci insieme del 1977; Colpo grosso, andato in onda tra il 1987 e il 1991; Il cappello sulle 23, tra il 1983 e il 1986; Due di tut- to, tra il 1982 e il 1983; e il già citato Blitz, tra il 1983 e il 1985. 32 Boni 2008, pp. 11. 33 Si vedano Dei 2011 pp. 480-481, Giomi 2012, Guaraldo 2011, Panarari 2010. 34 Leeds Craig 2006, p. 163. Traduzione mia. Bella e abbronzata 57

Gli autori che hanno preso in considerazione la posizione delle donne non-bian- che di oggi all’interno dei regimi di bellezza hanno dovuto fare i conti alterna- tamente con l’esclusione categoriale delle donne di colore, con la valorizzazione della loro bellezza più la loro apparenza si avvicinasse alla bianchezza, o l’inclu- sione di un varietà cangiante di donne di colore in una posizione marginalizzata e razzializzata di bellezza esotica. Il modificarsi del contesto economico e geopo- litico calca ulteriormente tale realtà riproducendo l’instabilità delle posizioni che le donne di colore occupano nei regimi di bellezza.

In Drive in la soubrette Joara (Johara Farley Jones) gioca precisamente questo ruolo – il viaggio esotico di cui ho parlato nell’introduzione – e si presenta spesso con un leoncino/ghepardino e vestita in colori e fantasie ‘africane’. Non si tratta di un processo di visibilizzazione ed erotizzazione del corpo nero originale nell’industria dell’immagine italiana: ha, al contrario, un importantissimo precedente, rappresenta- to dal ciclo di filmEmanuelle nera girati tra la metà degli anni Settanta e i primi anni Ottanta da Albert Thomas (Adalberto Albertini), Joe D’Amato (Aristide Massaccesi) e Bruno Mattei. In essi Laura Gemser, attrice e modella indonesiano-olandese, impersona una fotografa di successo – dalla sessualità molto disinibita e senza con- fini di orientamento sessuale – la quale viene spedita per lavoro in giro per il mon- do – un mondo visto attraverso uno sguardo esplicitamente eurocentrico, voyeristico e moderatamente inferiorizzante (soprattutto se paragonato ai coevi Mondo cane di Gualtiero Jacopetti) 35. La protagonista viene spesso sottilmente animalizzato (anche se il corpo snellissimo di Laura/Emanuelle non ha nulla a che vedere con la famosa ‘Venere Ottentotta’), e descritta come «sessualmente vorace» 36. È l’oggetto del deside- rio maschile e femminile ed è nuda per i tre quarti del film (appena può si spoglia). Questa caratterizzazione si ritrova non solo nella rappresentazione di Joara (che è già e sempre seminuda), ma anche in quella delle altre ragazze del Drive in: esuberan- ti, succinte, sicure di sé e del proprio desiderio, redarguiscono coloro il cui approc- cio non è gradito, per poi fare un sorrisetto e finirla lì, senza rancore. Essenzialmente oggetto sessuale con una soggettività solo derivativa (da quella del maschio 37), queste donne sono tutte un po’ più ‘nere’ delle ‘madri di famiglia’, ma meno nere di Joara. Joara, come le samberas del «Cacao meravigliao», rappresenta un corpo appropriabile, oggetto dell’antropofagia sessuale che nell’immaginare l’intimità corporea con esso, da un lato lo include come passivo nell’orizzonte dell’accettabilità sociale – sottraen- dolo all’abiezione – dall’altra ribadisce la bianchezza dei soggetti desideranti:

In some fantasies of interracial intimacy, the white body becomes all the more white in its very orientation toward racial others as objects of desire. In her work,

35 I due Mondo cane, divenuti docu-fiction di culto non solo in Italia (sono stati tradotti in inglese, portoghese, francese, tedesco e spagnolo), rappresentano la diversità dell’altro coloniale/postco- loniale attraverso metafore estremamente inferiorizzanti, orientaliste ed animalizzanti. 36 Mi riferisco nello specifico ai due lungometraggi Emanuelle nera del 1975 e Emanuelle nera- Orient, reportage del 1976. 37 Si veda Giomi 2012, pp. 7-10. 58 ‘Vedere’ la razza per costruire identità

bell hooks (1992a) examins why the white body’s desire for racial others is a technology for the reproduction of whiteness, which she describe as «eating the other». If the white body «eats» such others, or takes them in, then it does not loose itself: the body acquires colour thorugh such acts of incorporation; it gets reproduced by becoming other than itself 38. In alcune fantasie di intimità interrazziale, il corpo bianco diviene ancor più bianco nel suo orientarsi verso gli altri razzializzati resi oggetto di desiderio. Nel suo lavoro, bell hooks (1992) esamina perché il desiderio da parte del corpo bianco nei con- fronti degli altri razzializzati sia una tecnologia di riproduzione della bianchezza, che lei definisce nei termini del «mangiare l’altro». Se il corpo bianco «mangia» que- sti altri, o li incorpora, allora non perde se stesso: il corpo acquisisce colore attraver- so tali atti di incorporamento; viene riprodotto mediante il divenire altro da sé. L’altro abietto per eccellenza di una siffatta costruzione della femminilità e del- la bellezza è, come nella commedia all’italiana a partire dai primissimi anni Ottanta la ‘madre di famiglia’ la donna di mez- za età, la moglie, casalinga, la donna di tutti i giorni, essenziale alla preser- vazione della famiglia ma raffigurata sempre come una rompiscatole brutta (se non quasi ‘mostruosa’) poco cura- ta e moralista. La «Pina» del ragionier Ugo Fantozzi – impiegato all’Italsi- der di Genova, privo di abilità e for- tuna, mediocre e volgare, interpretato da Paolo Villaggio in tutti i film della serie, a firma prima di Luciano Salce 39 e poi di Neri Parenti 40 – è il personag- gio femminile che ha iconizzato que- sta figura: interpretata alternatamen- te in quegli anni da Liù Bosisio e da Milena Vukotić, è una donna avvilita e per nulla sexy, casalinga senza aspi- razioni e genitrice del ‘mostro’, la figlia dei due, Mariangela. Questa ‘abiezione’ è tipizzata, in Drive in, da Margherita (Margherita Fumero), per niente avve- nente e nemmeno simpatica, grande castigatrice di vari personaggi interpre- Fig. 3. Carmen Russo in uno dei suoi sketch a Drive In. tati da Enrico Beruschi tra il 1983 e

38 Ahmed 2006, p. 128. 39 Salce 1975 e 1976. 40 Parenti 1980, 1983, 1986 e 1989. Bella e abbronzata 59 il 1986, marito nella vita e negli sketch, che interpreta un uomo di mezz’età piccolo- borghese, sempre innamorato della cassiera di turno (prima Carmen Russo, poi Lori Del Santo) (fig. 3). Con questi due personaggi, siamo appieno nella cosiddettagender comedy in cui, dalla metà degli anni Settanta,

Buzzanca, e dopo di lui Pippo Franco, Renzo Montagnani, , , Gianfranco D’Angelo e tutte le altre maschere [...] sono quelli cui è affida- ta l’azione, coloro che possono disporre, in teoria a piacimento, di figure femmi- nili che – almeno in partenza – risultano fortemente vincolate a schemi canonici di ruolo e comportamento, tutti stabiliti in funzione della loro posizione rispetto al maschio: la moglie, la figlia, l’allieva, la compagna, la prostituta, la suocera, la madre, l’amante e così via 41. In questo panorama rientra l’altro anello debole di Drive in, rappresentato per alcune stagioni dalla donna colta: la ‘prof’ (Olga Durano) che è necessariamente di sini- stra, assai bruttina per i canoni che erigono Tinì Cansino all’oggetto massimo di piacere visivo ed erotico, poco curata, chiusa nel suo guscio di sapere ‘inutile’: una donna fru- strata che usa il suo piccolo potere per seviziare i suoi subalterni (gli studenti). Si potrebbe dire che la satira dell’uomo e della donna comune ci restituisce alcuni dettagli di un preciso immaginario che colloca una serie di figure-tipo, quel- le a cui si faceva riferimento nell’introduzione, in una scala gerarchica che stabilisce, invisibilizzando l’idealtipo di maschio eterosessuale di successo non soggetto a satira, i vari gradi di abiezione di chi non rientra nell’idealtipo. Se tale idealtipo è invisibi- le, l’uomo comune – il Beruschi di Margherita – viene reso ipervisibile e strapazza- to perché lo spettatore simile a lui possa ridere con lui e di lei. È uno tra i soggetti principali a cui è diretta la trasmissione e come tale è a lui che si fa l’occhiolino in un certo senso mostrandone le debolezze ma, al contempo, rinsaldandone la posizione di piccolo patriarca della società italiana metropolitana. La sua è la mascolinità di cui ci si può far beffe (pasticciona, poco avvenente, poco virile) perché è continuamente rinsaldata dall’occhio maschile sui corpi delle soubrette (la sua mascolinità è il sogget- to dello sguardo). La cultura – invisibilizzata – che stabilisce la norma è la sua: che guarda al successo con favore, che sdegna l’Italia da Roma in giù, che vorrebbe fug- gire dal matrimonio e avere tutte le donne che desidera – bianche e brune, bionde e more –, che non è avvenente ma è sempre oggetto di desiderio (della moglie), che deplora l’omosessualità e gli scansafatiche (fig. 4). Il Sud è il grande protagonista dello sketch di Giogio Faletti che interpreta Vito Catozzo, un poliziotto con divisa americana che concentra in sè le caratteristiche grot- tesche del maschio meridionale illetterato, rozzo e sempliciotto. La sua virilità è estre- mamente ridicolizzata al punto di rappresentarlo padre di un unico figlio maschio ‘ricchione’ – fatto che è considerato un’onta che diminuisce la virilità del capofami- glia. A Catozzo poi sono ascritti gusti orribili in materia di donne. La descrizione che il personaggio dà della moglie – ipersessualizzata – è di una donna bruttissima, obesa

41 Manzoli 2012, pp. 184-185. 60 ‘Vedere’ la razza per costruire identità

Fig. 4. Il comico Enrico Beruschi insieme a due soubrette del Drive In. e baffuta che ricorda il bestiario che, da Cesare Lombroso al secondo dopoguerra, gli intellettuali del Nord solevano utilizzare per descrivere le donne meridionali.

Conclusioni

La costruzione visiva dell’Italia e degli italiani offerta dalle trasmissioni televi- sive che qui ho preso in considerazione risente profondamente del modo in cui cia- scuna di esse si relaziona alla cultura egemone, del suo posizionamento rispetto ai codici e alle figure di quest’ultima e del tipo di pubblico a cui, di conseguenza, si riferisce. Le influenze culturali e il panorama televisivo, musicale, cinematografico, dello spettacolo cabarettistico e della commedia a cui queste trasmissioni si ricolle- gano differiscono talvolta in modo consistente pur esplicitando tutte in vario modo le principali linee di divisione o social markers che caratterizzano la società italiana di quei tempi: la questione di genere, quella Nord-Sud, quella razziale e di classe. Ciò ha ripercussioni importanti sulla rappresentazione intersezionale dei corpi, sulla raf- figurazione di femminilità, bellezza, mascolinità e abiezione. In generale, assente è la celebrazione della bellezza maschile, in conformità ad una commedia dell’arte che sberleffa (e rinsalda) il soggetto egemonico normalizzandolo e normativizzandolo. In particolare, l’esotismo nei confronti della femminilità non bianca, l’«orientalismo latente» dei ‘bei corpi abbronzati’ che è riprodotto dai programmi, si dispiega in que- sti casi mediante l’inclusione, tra gli oggetti del piacere visivo e erotico (maschile), di personaggi femminili neri tra le soubrette. La tendenza ‘antropofaga’ di questo speci- fico orientalismo ha nei tre programmi i suoi limiti, i suoi confini oltre i quali viene posta l’immagine dell’abiezione: l’omoerotismo e l’omosessualità in tutti e tre i casi, il Meridione e l’altro-femminile nel caso di Drive In.