Tesi Definitiva

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Tesi Definitiva 1 INTRODUZIONE . 3 1. LE RICERCHE DI INIZIO ‘900 1.1. Kandinskij e Scrjabin, il Prometeo . 12 1.2. Bauhaus: da Laszlo Moholy Nagy . 32 al Reflektorische Farbenlichtspiele di Hirschfeld Mack 1.3. Eggeling: Sinfonie Diagonali . 46 2. DAL SECONDO DOPOGUERRA 2.1. Una nuova notazione musicale . 54 2.2. La nuova proposta di Luigi Veronesi . 64 2.3. I rapporti sinestetici degli anni ’60 -’70 . 76 2.4. Una narrativa sinestetica . 82 3. XXI SECOLO: IBRIDAZIONI 3.1. Suono, ritmo, racconto . 94 3.2. L’ibridazione contemporanea . 101 3.3. Interviste: - Francesco Bossaglia . 113 - Massimo Marchi . 119 4. CONCLUSIONI . 128 2 5. SCHEDA PROGETTO . 139 - Tematiche - Sinossi - Realizzazione - Tecniche 6. BIBLIOGRAFIA . 142 7. SITOGRAFIA . 144 3 INTRODUZIONE C’è da sempre un rapporto simbiotico tra suono ed immagine. Sin dagli esordi della cultura umana la dicotomia immagine - suono è stata fondamentale. Nelle danze rituali, il momento più importante nella vita di una comunità, ci si prepara con una vestizione apposita, con l’utilizzo di adornamenti (oggetti e pitture) e durante la cerimonia si intonano canti o nenie rivolte a cercare il contatto con le divinità e l’universo (come i suoni dell’ohm nelle culture indiane e che si ritrovano simili in altre culture molto distanti). Con la rielaborazione di questi due aspetti della realtà (suoni e immagini) si crea un mondo diverso da quello naturale che è quello dell’uomo, della sua cultura, delle immagini e delle divinità che evoca. Prendiamo in esempio la “danza del sole” (il cui nome originale è Wiwanyag Wachipi, cioè Danza guardando il Sole) che rappresenta l'apice del calendario spirituale e rituale di tutte le nazioni tribali del Nord America. Una parte di questo rituale (della durata di tre- quattro giorni) vuole che il danzatore si infili dei pezzetti di legno acuminati (un tempo artigli di aquila) sotto la pelle del petto, i quali sono stati legati a delle funi annodate all'albero sacro (di solito un pioppo di tipo cottonwood) posto al centro dello spazio consacrato in cui si svolge il rito; colui che balla si deve La danza del Sole (Immagine da www.blogchat.it) liberare tirando le funi e strappando le proprie carni. Il dolore prodotto era molto forte e spesso i danzatori riuscivano a sopportarlo solo cadendo in una sorta di trance in cui potevano ricevere delle visioni. Questa danza simboleggia il ricollegarsi dell'anima alla Divinità: come il danzatore è attaccato 4 all'albero centrale, per mezzo di strisce di cuoio che simboleggiano i raggi del sole, così l'uomo si ricollega al Cielo. Non mancavano i canti e i ritmi dei tamburi ad accompagnare questo periodo di cerimonia. Il danzatore è come un'aquila che vola verso il sole: con il fischietto fatto d'osso d'aquila, produce un suono stridente e lamentoso imitando in un certo modo il volo dell'aquila, con le piume che porta nella mani. Visioni, allegorie, canti, suoni... L’uomo per distinguere il mondo reale in cui vive da quello rappresentato ed invocato utilizza prevalentemente quei sensi che lo stimolano maggiormente per fare leva sulla percezione ed alterarla volontariamente verso la propria rappresentazione del mondo. Il legame tra vista ed udito, la completezza percettiva che ne deriva è quindi la più importante e fondamentale nella percezione, insieme al tatto. Il senso del tatto è infatti sicuramente essenziale nella vita di un individuo (non a caso era considerato dai Maja e dagli Aztechi il senso primario) ma per gli scopi teorici ed artistici che qui mi propongo non lo prenderò in considerazione pur ammettendone la sua importanza a livello artistico e considerando la ricerca fatta nel campo dell’arte dalle avanguardie (soprattutto futuriste) fino ad oggi nonché l’enorme contributo che potrebbe dare nella triade vista/tatto/udito. Già in epoca classica un trattato attribuito ad Aristotele analizzava la relazione tra suono e colori e affermava: “per i suoni chiari è come per i colori, anche in questo caso i colori che più stimolano la vista sono quelli che si vedono più distintamente. In modo analogo si deve ritenere che i suoni più chiari siano quelli più capaci di arrivare all’orecchio e di stimolarlo” 1. E continua facendo appunto un parallelo tra il suono di alcuni strumenti ed effetti anche di tipo visivo che essi possono dare. Nel 500 Giuseppe Arcimboldi cercò di trovare una relazione tra colori e suoni e studiò i gradi armonici dei colori aprendo la strada alla lunga ricerca che ha portato nell’800 alla elaborazione della teoria armonica dei complementari e alla definizione del cerchio cromatico armonico. Newton, nelle sue esperienze sulla scomposizione della luce, cioè nella realizzazione dello spettro diviso in sette zone 1 ARISTOTELE, I Colori e i suoni, a cura di Maria Fernanda Ferrini, Milano, Bompiani, 2008, pag. 217 5 cromatiche di base, osservò l’analogia fra i sette colori spettrali e le sette note. Arrivò a dividere lo spettro in sette bande che, considerando la lunghezza dello spettro come unità base, corrispondevano nella loro lunghezza ai rapporti degli intervalli fra nota e nota nella scala musicale maggiore zarliniana (la scala naturale, applicata da Gioseffo Zarlino nel 1558). Cerchio cromatico armonico DO RE MI FA SOL LA SI (DO) rosso arancio giallo verde azzurro indaco viola Nel 1810 Goethe pubblicava a Tubinga il saggio La teoria dei colori e muoveva contro le teorie newtonaine considerandole come un insopportabile e inconcepibile tirannia della matematica e dell’ottica. I colori non potevano, secondi il filosofo, essere spiegati con una teoria solo meccanicistica ma dovevano essere considerati come qualcosa di vivo e umano e trovare spiegazione anche nella poetica, nell'estetica, nella fisiologia e nel simbolismo. I colori non erano più solo stimoli sensoriali ma entravano nella sfera emotiva. Un intensificarsi delle sperimentazioni sulla sinergia tra immagini e suoni prende piede nel romanticismo di fine ‘800 soprattutto con la Gesamtkunstwerk wagneriana. Un arte totale rivoluzionaria che promuove la compresenza e la sinergia di tutti i linguaggi artistici in un opera sola che si concretizza nel teatro di Bayreuth, in Baviera (Germania), voluto per decenni da Wagner e finalmente costruito grazie al mecenatismo di Luigi II re di Baviera. Inaugurato il 17 Agosto 1876 e costruito secondo i progetti dell’architetto Gottfried Stemper con la supervisione dello stesso Wagner, il teatro rappresenta il culmine della sua ricerca contenendo tutti i tecnicismi 6 fondamentali atti a creare l’opera totale, ovvero la relazione sinestetica tra tutti i linguaggi artistici. Queste caratteristiche sono: il buio in sala, un complicatissimo insieme di macchinari per la scenografia, l’assenza di palchi laterali, un doppio proscenio e la creazione di una buca per l’orchestra in maniera che questa fosse invisibile al pubblico (sebbene questa idea non fosse innovativa di per sé: la prima buca per orchestra fu infatti introdotta nel Teatro di Besancon progettato da Claude- Nicolas Ledou ed edificato tra il 1775 e il 1788). I linguaggi artistici utilizzati sono diversi: scenografia, costumistica, scrittura, una intuizione di illuminotecnica - poi teorizzata e applicata da A. Appia nel primo ventennio del ‘900 - e la musica; ma sintetizzando i diversi linguaggi si riducono a due cose: suoni ed immagini. Persino un opera chiamata “totale” si nega a tre sensi su cinque confermando che anche l’arte, essendo un prodotto culturale dell’uomo, non può che sottostare alle sue caratteristiche percettive. Le Avanguardie, soprattutto futuriste, si sono ribellate a questo limite sdoganando gusto tatto e olfatto nelle loro opere. Nel 1931 Marinetti e Filli firmano il Manifesto della cucina futurista: il pranzo perfetto esigeva “L'uso dell'arte dei profumi per favorire la degustazione.” e all’abolizione delle posate conseguiva “... un piacere tattile prelabiale.” 2. A proposito di olfatto anche Skriabin scrisse un opera che sarebbe stata una "... grandiosa sintesi religiosa di tutte le arti che avrebbe dovuto proclamare la nascita di un nuovo mondo". Era il Mysterium, la sua opera definitiva, una mastodontica opera teatrale multimediale sul tema delll’armageddon che avrebbe unito suoni, danze, luci e profumi e sarebbe stata inscenata in un tempio emisferico sull’Himalaya. L’opera però non si concretizzò mai. Questi tentavi, riusciti e non, non sono bastati a togliere il primato della produzione artistica alle immagini ed ai suoni. Dal “clavicembalo oculare” del gesuita Padre Castel e del suo contemporaneo settecentesco Le Blon, al cromofonografo dell’Italiano Guido Visconti di Morone negli anni ‘20 (le cui descrizioni tecniche sono andate perdute), i 2 Manifesto della cucina futurista, periodico francese “Comoedia”, 20 Gennaio 1931 7 tentativi di creare un linguaggio sonoro - Tastiera di Skrabin visivo si sprecano nel corso della storia. Non esiste una vera e propria corrente che si sia occupata esplicitamente di questa dicotomia tra musica e immagine ma è invece la curiosità di pochi singoli che ha portato avanti la ricerca in questo campo. Le ricerche più concrete e consistenti del ‘900 sempre per opera di musicisti e pittori, sono state quelle di Skriabin, Shonberg, Kandinsky, Laszlo, Hirschfeld Mak. La ricerca di Skriabin di una fusione tra sensazioni visive e uditive si concretizzò nella costruzione di uno strumento simile al pianoforte, il Clavier Lumière che suonato contemporaneamente all’orchestra, comandava l’accensione di lampade colorate sparse nell’auditorio o sul palcoscenico. L’abbinamento tra colori e suoni fu deciso a discapito del musicista senza una misurazione che desse un valore scientifico agli accoppiamenti, come nel caso dell’abbinamento Mi - bianco/azzurro. Partitura del “Prometeo” di Skrjabin Nel frattempo Shoenberg componeva La Mano Felice, nella cui partitura entrano come elemento determinante luci colorate. Kandinsky compose un lavoro teatrale Il suono giallo dove voce, suono e luce colorata si intrecciano e si fondono. 8 La sinergia tra musica e immagine diventa quindi una certezza sulla quale si muovono sicure le arti dal ‘900 in poi con le ricerche teatrali sul ritmo di Appia, i film di Eggeling, di Laszlo Moholy Nagy, con le sperimentazioni televisive di J.
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