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DELOCALIZZAZIONE E POTENZIAMENTO DI UN IMPIANTO DI RECUPERO RIFIUTI URBANI E SPECIALI NON PERICOLOSI CON ADEGUAMENTO VOLUMETRICO SELEZIONE E CERNITA CON MESSA IN RISERVA, NONCHE' STOCCAGGIO E TRAVASO DI RIFIUTI URBANI PERICOLOSI, NON PERICOLOSI E SPECIAL I NON PERICOLOSI

STUDIO DI IMPATTO AMBIENTALE

Il Proponente : I Coordinator i Responsabili del S.I.A.:

Ing. Emanuele Albrigi

Dott. Forestale Manuel Cavazza

Sede Legale ed Operativa: Loc Montean, 9/A - 37010 (VR) Tel.: +39.045.6261.131 Fax: +39.045.7236.185 P.IVA e Cod. Fisc. 02730490238 e-mail: [email protected]

QUADRO DI RIFERIMENTO AMBIENTALE: 3 CARATTERIZZAZIONE ESEGUITO : Luglio 2014 CONTROLLATO: APPROVATO:

REV. DATA CONSEGNA

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Sommario

QUADRO AMBIENTALE ...... 2 DEFINIZIONE DELLE CO MPONENTI AMBIENTALI ...... 2 1 USO DEL SUOLO ...... 3 2 FATTORI E COMPONENTI AMBIENTALI PERTURBAT I DAL PROGETTO NELLE SUE DIVERSE FASI ...... 7

2.1 ATMOSFERA ...... 7 2.1.1 Caratterizzazione climatologica e meteorologica dell’area ...... 7 2.1.2 Caratterizzazione della qualità dell’aria dell’area ...... 43 2.2 AMBIENTE IDRICO ...... 56 2.2.1 Idrografia superficiale ...... 57 2.2.2 Idrogeologia...... 68 2.3 SUOLO E SOTTOSUOLO ...... 80 2.3.1 Inquadramento geologico ...... 80 2.3.2 Inquadramento geomorfologico ...... 83 2.3.3 Inquadramento strutturale ...... 86 2.3.4 Sismicità ...... 89 2.3.5 Tipologia dei suoli e Qualità dei suoli a scala provinciale ...... 91 2.4 FLORA , FAUNA ED ECOSISTEMI ...... 96 2.4.1 Premessa ...... 96 2.4.2 Vegetazione potenziale ...... 97 2.4.3 Flora e vegetazione presente nell’area vasta di studio ...... 103 2.4.4 Fauna ...... 139 2.4.5 Individuazione delle unità ecosistemiche ...... 226 2.4.6 Ecosistema Monte Baldo Est ...... 237 2.4.7 Ecosistema Fiume Adige tra Belluno Veronese e Ovest ...... 267 2.5 RUMORE E VIBRAZIONI ...... 277 2.5.1 Premessa ...... 277 2.5.2 Normativa di riferimento ...... 277 2.5.3 Identificazione dei recettori ...... 281 2.5.4 Caratterizzazione del clima acustico – stato di fatto ...... 283 2.6 RADIAZIONI IONIZZANTI E NON IONIZZANTI ...... 292 2.7 PAESAGGIO ...... 293 2.7.1 Premessa ...... 293 2.7.2 Analisi dei vincoli ambientali, archeologici, architettonici, artistici e storici ...... 294 2.7.3 Morfologia del territorio e la sua struttura storica, insediativa e infrastrutturale .... 295 2.7.4 Dinamiche paesaggistiche e strumenti urbanistici ...... 297 2.7.5 Unità di paesaggio ...... 299 2.7.6 Conclusioni ...... 301 2.8 SALUTE PUBBLICA ...... 302 2.8.1 Rischi da contaminazione dell’aria ...... 302 2.8.2 Rischi da rumore ...... 305 2.8.3 Rischi da inquinamento potenziale di suolo, sottosuolo e acque di falda ...... 305 2.8.4 Caratterizzazione dell’ambiente dal punto di vista della salute umana ...... 306 2.9 INQUADRAMENTO SOCIO ECONOMICO ...... 312 2.9.1 Un approccio alternativo alla gestione del consenso ...... 313 2.9.2 Produzione dei Rifiuti Urbani Anni 2000-2010 ...... 314 2.9.3 Sistemi di raccolta dei rifiuti urbani ...... 326 2.9.4 Gestione dei rifiuti urbani ...... 333 2.9.5 Enti di gestione dei rifiuti in ...... 357 2.9.6 Scheda provinciale di Verona ...... 361 3 BIBLIOGRAFIA ...... 365

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QUADRO AMBIENTALE Nell’ambito di questo quadro sono stati affrontati i seguenti aspetti: - descrizione dell’attuale qualità delle componenti ambientali interferite dal progetto; - individuazione delle azioni e/o caratteristiche delle opere quali potenziali cause di impatto (diretto e indiretto) sulle diverse componenti ambientali.

DEFINIZIONE DELLE CO MPONENTI AMBIENTALI La definizione dello stato delle singole componenti ambientali è stata effettuata mediante l’individuazione e la valutazione delle caratteristiche delle componenti stesse, analizzando l’ambito territoriale, inteso come sito ed area vasta, e i sistemi ambientali interessati dal progetto, sia direttamente che indirettamente entro cui possano manifestarsi effetti significativi sulla qualità degli stessi. L’area vasta rappresenta l’ambito di influenza potenziale del Progetto ovvero il territorio circostante entro il quale gli effetti delle interazioni tra Progetto ed ambiente diventano insignificanti o rilevanti. Analizzando i sistemi ambientali interessati dal progetto, si è evidenziato le eventuali criticità degli equilibri esistenti. L’estensione dell’area vasta è stata individuata in relazione alle caratteristiche del territorio alla tipologia delle componenti potenzialmente interferite dal progetto. Và sottolineato che per alcune componenti (per es. atmosfera, ambiente idrico, flora fauna e ecosistemi) l’analisi è stata condotta su una maggior estensione dell’area vasta, proprio in considerazione delle caratteristiche delle componenti e dei potenziali raggi di influenza dei possibili impatti.

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1 USO DEL SUOLO La conoscenza della tipologia, struttura e densità delle associazioni vegetali, delle colture e delle forme di inserimento presenti nelle varie aree del suolo, ha grande importanza nel campo della pianificazione sia per mettere in evidenza i caratteri essenziali del paesaggio naturale ed antropizzato, sia per valutare il grado di efficienza di azioni quali la regimazione delle acque, la difesa del suolo e l’utilizzazione agraria e forestale. L’area di progetto è sita in di e come prima operazione è stata individuata un’area centrata sulla zona d’intervento per poter caratterizzare anche l’intorno dell’area di progetto. Il buffer di analisi è rappresentato da un buffer con raggio di 1 Km dal limite dell’area interessata dal progetto in esame. Per la valutazione della copertura del suolo sono stati utilizzati i dati della Corine Land Cover (abbreviata in CLC) del 2006, tratti dal Geoportale della Regione Veneto. Il programma CORINE (Coordinated Information on the European Environment) è stato istituito, a livello comunitario, nel 1985 allo scopo di raccogliere, coordinare e garantire l’uniformità dei dati sullo stato dell’ambiente nell’intera Europa. Il programma ha realizzato un riferimento cartografico comune (Land Cover Map) basato sull’interpretazione d’immagini da satellite Landsat. La Carta della Copertura del Suolo, realizzata nel Progetto Corine è stata realizzata attraverso l’interpretazione d’immagini Landsat MSS, TM di più periodi (le più recenti sono datate 2006- 2007), Spot XS, affiancate dalla fotointerpretazione d’immagini pancromatiche. La dimensione minima dell’area cartografata è di 25 ha, corrispondente, alla scala di 1:100.000, ad un quadrato di 5x5 mm; non sono rappresentati gli oggetti lineari di larghezza inferiore ai 100 m (1 mm sulla carta). La restituzione cartografica è alla scala 1:100.000. Il criterio gerarchico che caratterizza il sistema di nomenclatura CLC2000 (CORINE LAND COVER 2000) è quello più utilizzato nelle classificazioni dei tipi di copertura e d'uso del suolo: esso consente, infatti, di dettagliare progressivamente le categorie sfruttando il diverso grado di risoluzione a terra delle fonti d'informazione. Al contempo, quest’approccio classificatorio si presta bene ad essere utilizzato ai diversi livelli della pianificazione. In Italia, il 3° livello CLC per le categorie delle superfici agricole utilizzate, territori boscati e ambienti semi-naturali è stato implementato al 4° livello in grado di restituire una lettura di maggior dettaglio di queste categorie di uso e copertura del suolo. Come tale, l'impianto generale della classificazione tematica proposta è dunque quello gerarchico a disaggregazione. Nel Novembre del 2004 il Management Board dell’AEA, a seguito delle discussioni tra gli Stati Membri, l’Unione Europea e le principali istituzioni della stessa (DG ENV, EEA, ESTAT e JRC), ha valutato la possibilità di aumentare la frequenza di aggiornamento del Corine Land Cover ed ha avviato un aggiornamento del CLC, riferito all’anno 2006 e sviluppato nell’ambito dell’iniziativa Fast Track Service on Land Monitoring (FTSP) del programma Global Monitoring for Environment and Security (GMES). Con questo progetto si è inteso realizzare un mosaico Europeo all’anno 2006 basato su immagini satellitari SPOT-4 HRVIR, SPOT 5 HRG e/o IRS P6 LISS III, ed è stata derivata dalle stesse la cartografia digitale di uso/copertura del suolo all’anno 2006 e quella dei relativi cambiamenti. Operativamente, l’aggiornamento al 2006 della base informativa CLC si distacca dai precedenti prodotti, in quanto lo strato vettoriale risultante è il prodotto dell’intersezione dei cambiamenti fotointerpretati tra il 2000 ed il 2006 con lo strato vettoriale CLC2000. Utilizzando questo approccio si pretende, inoltre, di identificare e correggere eventuali errori di classificazione presenti nello strato CLC 2000.

Di seguito si riporta un’elaborazione della copertura del suolo del buffer di circa 1 km dall’area interessata dal progetto in esame.

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Da tale elaborazione si ricava che l’ambito interessato dalle compagini di progetto è classificato come 2.1.2. Seminativi in aree irrigue, nel dettaglio come 2.1.2.1 Mais in aree irrigue.

Figura 1/I: Carta dell’uso del suolo - CLC 2006 Livello 1.

Figura 1/II: Carta dell’uso del suolo - CLC 2006 Categoria 1 - Livello 3.

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Figura 1/III: Carta dell’uso del suolo - CLC 2006 Categoria 2 - Livello 3.

Figura 1/IV: Carta dell’uso del suolo - CLC 2006 Categoria 3 - Livello 3.

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Di seguito si riporta la nomenclatura CLC2006 delle categorie di 3° livello individuate nell’area di valutazione:

1. SUPERFICI ARTIFICIALI 1.1. Zone urbanizzate di tipo residenziale 1.1.2. Zone residenziali a tessuto discontinuo e rado 1.1.3. Strutture residenziali isolate

1.2. Zone industriali, commerciali ed infrastrutturali 1.2.1. Aree industriali, commerciali e dei servizi pubblici e privati 1.2.2. Reti stradali, ferroviarie e infrastrutture tecniche

1.3. Zone estrattive, cantieri, discariche e terreni artefatti e abbandonati 1.3.1. Aree estrattive 1.3.4. Aree in attesa di una destinazione d'uso

1.4. Zone verdi artificiali non agricole 1.4.2. Aree ricreative e sportive

2. SUPERFICI AGRICOLE UTILIZZATE 2.1. Seminativi 2.1.1 Seminativi in aree non irrigue 2.1.2. Seminativi in aree irrigue

2.2. Colture permanenti 2.2.1. Vigneti 2.2.2. Frutteti e frutti minori 2.2.3. Oliveti 2.2.4 Arboricoltura da legno

2.3. Prati stabili (foraggiere permanenti) 2.3.1. Prati stabili (foraggiere permanenti) 2.3.2 Superfici a prato permanente ad inerbimento spontaneo, comunemente non lavorata

3. TERRITORI BOSCATI E AMBIENTI SEMI -NATURALI 3.1. Zone boscate 3.1.1. Boschi di latifoglie 3.1.2. Boschi di conifere

3.2. Zone caratterizzate da vegetazione arbustiva e/o erbacea 3.2.2. Brughiere e cespuglieti

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2 FATTORI E COMPONENTI AMBIENTALI PERTURBAT I DAL PROGETTO NELLE SUE DIVERSE FA SI 2.1 Atmosfera 2.1.1 Caratterizzazione climatologica e meteorologica dell’area L’area interessata dal Progetto è individuata dalle coordinate geografiche 45° 19’ Nord e 11° 21’ Est. Il sito si trova ad una quota altimetrica di circa 200 m sul livello del mare, nella zona a nord della Pianura Padana, circa 5 km in linea d’aria ad Est del lago di Garda. Le caratteristiche climatologiche del sito sono determinate in maniera sostanziale dal quadro territoriale di scala regionale in cui esso è inserito, un contesto che presenta caratteristiche uniche, dal punto di vista climatologico, indotte dalla conformazione orografica dell'area. Si tratta di una vasta pianura circondata da catene montuose (le Alpi a Nord e ad Ovest, gli Appennini a Sud) che, raggiungendo quote elevate, determinano peculiarità climatologiche dal punto di vista sia fisico sia dinamico. Soprattutto nelle aree lontane dalle grandi aree lacustri e dalle coste dell’alto Adriatico, il clima assume infatti un carattere continentale. Secondo la classificazione climatica di Köppen il clima della Pianura Padana è di tipo Subtropicale Umido “temperato senza stagione secca e con estate calda” (Cfa). Dal punto di vista dinamico, la catena alpina svolge una funzione di barriera orografica nei confronti delle correnti fredde provenienti dalle regioni artiche dell'Europa settentrionale e delle masse d'aria umide e temperate provenienti dall'Atlantico settentrionale. La chiusura del sistema Alpi-Pianura-Appenini determina la prevalenza di situazioni di occlusione ed un generale disaccoppiamento tra le circolazioni nei bassissimi strati atmosferici e quelle degli strati superiori. L’area risulta così soggetta a subsidenza atmosferica, con ristagno d'aria nei bassi strati, e quindi ad un marcato riscaldamento estivo e ad un forte raffreddamento invernale che la distingue nettamente sia dalle altre zone della penisola italiana, sia dalle aree limitrofe della Francia sud-orientale, della Svizzera e dell'Austria. Le caratteristiche di limitata estensione e profondità del mar Adriatico non consentono, inoltre, lo sviluppo di azioni mitiganti dall’intensità analoga a quelle esercitate dal Mar Tirreno, ampio e profondo, sul versante occidentale della Penisola italiana. Le principali caratteristiche fisiche sono quindi riassumibili in un clima dalle caratteristiche continentali, un debole regime anemologico e condizioni persistenti di stabilità atmosferica. Il carattere continentale del clima della pianura padana è costituito da inverni rigidi ed estati calde. L’umidità relativa dell'aria è sempre piuttosto elevata, con valori massimi nei mesi invernali. Le precipitazioni di norma sono poco frequenti e concentrate in primavera ed autunno. La ventilazione è scarsa in tutti i mesi dell’anno. Durante l’inverno la circolazione di masse d’aria al suolo è scarsa, la temperatura media è piuttosto bassa e l'umidità relativa è generalmente molto elevata, condizioni che consentono una frequente presenza di nebbia che, nei i mesi più freddi, può persistere per l’intera giornata e per più giorni consecutivi. Occasionalmente, in questa stagione sono possibili giornate più secche ma comunque sempre rigidissime, indotte dall’intrusione in Pianura di venti freddi orientali, tra cui Bora e Buran. Alla prima possono essere associate perturbazioni fredde provenienti dalle zone polari, portatrici di maltempo con temperature bassissime e neve. Talvolta, venti di foehn (correnti di aria secca che si riscaldano scendendo dai rilievi nella zona centro-occidentale della pianura Padana), presenti specie in prossimità delle Prealpi tra dicembre e maggio con massimo in marzo, possono raggiungere il suolo, generando effetti positivi sul ricambio della massa d'aria nel bacino padano. In alcune occasioni essi possono permanere in quota, determinando intensi fenomeni di accumulo degli inquinanti, per compressione degli strati d'aria sottostanti e l’induzione di una inversione di temperatura in quota. In estate invece l'effetto cuscinetto della Pianura Padana produce effetti opposti, favorendo il ristagno di aria calda e umida che produce

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Gestione ambiente ______alte temperature connesse a tassi di umidità altissimi che causano giornate molto calde ed afose, specialmente in presenza dell'anticiclone africano. L'inversione termica rappresenta un altro fenomeno molto frequente nella valle Padana. Tale termine indica un cambio di segno nel gradiente lungo il profilo della temperatura che, in assenza di inversione, si presenta decrescente con la distanza dal suolo. L’inversione può essere dovuta ad un andamento decrescente della temperatura dell'aria avvicinandosi al terreno oppure, ad un aumento del parametro con la quota. Se l'aumento di temperatura parte dal suolo, per irraggiamento notturno in condizioni di cielo sereno o poco nuvoloso e di calma di vento o di vento debole, si ha inversione da irraggiamento con base al suolo; se l'aumento di temperatura lo si incontra a partire da una certa quota sul suolo si ha l'inversione con base in quota, come nel caso di subsidenza anticiclonica. Nei mesi invernali si hanno spesso combinazioni di inversione con base al suolo con inversioni da subsidenza, in questo caso lo spessore della colonna d’aria interessata dal fenomeno può essere assai superiore a quello della semplice inversione da irraggiamento con base al suolo. Dopo l'alba, la radiazione solare aumenta l’energia presente in atmosfera, inducendo moti turbolenti che erodono progressivamente l'inversione a partire dal suolo. Al tramonto, il progressivo raffreddamento del terreno comporta un rapido raffreddamento dell’aria sovrastante, con la creazione di un nuovo piede d’inversione al suolo. L’andamento climatologico dei principali parametri meteoclimatici nell’area è ben descritto dalla serie storica registrata dalla postazione dell’Aeronautica Militare 1 di Verona – Villafranca, posta nelle vicinanze del sito oggetto di studio, e relativa al clino di riferimento, ovvero il trentennio 1971-2000. Dato che si prevede che l’influenza ed il contributo, in termini di concentrazioni al suolo, dell’impianto possa essere relativamente esteso, si è deciso di effettuare un’analisi meteorologica di dettaglio (attraverso lo studio e l’esame di un anno meteorologico completo) su un’area che misura un raggio di 8-10 km, tenendo come centro la localizzazione del progetto stesso. A tale scopo si sono utilizzate le stazioni meteo ARPAV di Marano, San Pietro e relative all’anno 2009, per ricostruire il quadro clima-meteorologico di dettaglio dell’area (vedasi la figura seguente). Per l’interpolazione e l’elaborazione delle stazioni meteo di dettaglio si è utilizzato il modello meteorologico diagnostico CALMET, di cui si fa una breve descrizione nel paragrafo successivo.

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Figura 2.1.1/I: ubicazione delle stazioni meteo e rappresentazione dell’area di studio

2.1.1.1 Il processore meteorologico CALMET CALMET è un modello diagnostico per la ricostruzione dei campi di vento in un volume tridimensionale dello spazio a partire da dati meteorologici rilevati da stazioni sia superficiali che in quota (profili verticali). Le stazioni di misura possono anche essere esterne al dominio di calcolo; il modello è in grado di operare in presenza di orografia complessa e, in caso di disponibilità di dati relativi a superfici acquatiche (mari, laghi...), può valutare gli effetti meteorologici generati dalla presenza di linee di costa all’interno del dominio. I valori meteorologici forniti in input vengono interpolati sul dominio tridimensionale di calcolo secondo criteri descritti nel manuale d’uso del modello stesso ed alle scelte di input dell’utente. Il risultato finale è la generazione di un campo di vento tridimensionale che terrà in considerazione le particolarità orografiche e meteorologiche del dominio di calcolo ed a divergenza nulla indicato quindi come input meteorologico per calcoli di dispersione di inquinanti. Il modulo diagnostico del campo di vento utilizza una procedura a due fasi per la fabbricazione del campo. La prima fase crea un campo iniziale, basato sui venti sinottici, e lo corregge introducendo gli effetti del terreno sui flussi. In questa fase, dapprima il modello utilizza i venti sinottici per calcolare una velocità verticale forzata dal terreno e soggetta ad una funzione esponenziale di smorzamento dipendente dalla classe di stabilità atmosferica. In secondo luogo, sono introdotti gli effetti dell’orografia sulle componenti orizzontali del vento mediante l'applicazione iterativa di uno schema di minimizzazione della divergenza sul campo tridimensionale fino al soddisfacimento del vincolo di minima divergenza:

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∂u ∂v ∂w + + < ε ∂x ∂y ∂z

Dove u, v sono le componenti orizzontali del vento ( x e y), w la velocità verticale ed ε è il valore massimo assegnato alla divergenza. Dopo averne elaborato gli effetti termodinamici, il campo passa alla seconda fase procedurale che introduce i dati osservati nelle stazioni meteo di riferimento, al suolo ed eventualmente in quota, in modo da ottenere il campo nella sua versione finale. L'introduzione dei dati osservati è effettuata tramite una procedura d’analisi oggettiva. L’attribuzione di pesi, inversamente proporzionali alla distanza tra punto e stazione di misura, garantisce l'ottenimento di un campo che riflette maggiormente le osservazioni in prossimità dei punti di misura e che è dominato dal campo di primo passo nelle zone prive d’osservazioni. Infine, il campo risultante è sottoposto ad un’operazione di smoothing e di ulteriore minimizzazione della divergenza. Il modello CALMET è infine parte del sistema CALPUFF per la diffusione di inquinanti. Il sistema é costituito da tre modelli principali CALMET , CALPUFF e CALPOST e da un insieme di preprocessori che hanno lo scopo di permettere al sistema l’utilizzazione dei dati di routine Americani sia meteorologici che geofisici. Se tali dati non sono adattabili ai domini di calcolo scelti (come nel caso di domini esterni agli Stati Uniti) occorrerà preparare apposi file di input (con appositi formati). Il modello CALMET produce una ricostruzione diagnostica oraria tridimensionale del campo di vento e può essere utilizzato sia come input meteorologico al modello di diffusione CALPUFF (e da altri modelli diffusivi) che come modello a sè. Nel primo caso permetterà di inserire nel calcolo della diffusione le caratteristiche legate alle particolarità specifiche del territorio (orografia complessa, presenza di coste, uso del suolo ...) in quanto tali caratteristiche si ripercuotono sulla meteorologia calcolata. Questo è lo scopo principale del modello e ne rappresenta il modo di utilizzo più efficace. Nel secondo caso il modello produrrà un campo di vento in formato binario che potrà essere analizzato ed estratto in formato utilizzabile per scopi di rappresentazione grafica.

Nel nostro caso, il dominio meteorologico risulta completamente definito dalle seguenti caratteristiche: • sistema di coordinate: UTM32, datum WGS84; • coordinate dello spigolo SW: 635,74 km Est; 5.040,45 km Nord • numero di celle in direzione Est e Nord: 31 x 27 • superficie complessiva: 15,5km x 13,5km = 209,25 km 2 • dimensione della singola cella: 500x500 m 2 • numero livelli verticali: 7 • quote facce livelli verticali:10, 30,100, 200, 500, 1.000, 2.000 msls. I livelli verticali sono stati dedicati in particolare alla ricostruzione dei flussi negli strati più bassi dell’atmosfera, dove avverranno effettivamente il trasporto e la dispersione delle emissioni (ovvero emissioni areali e diffuse dovute alla risospensione del particolato e di gas di scarico delle emissioni).

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Definizione dei livelli dei layer verticali 2500

2000

1500 msls

1000

500

0 639 641 643 645 647 649 651 653 655 657 659 661 663 665 667 669 671 673 675 677 679 681 683

X, UTM

Figura 2.1.1.1/I: Definizione dei livelli dei layer verticali, considerati nel presente studio

Nella figura seguente è rappresentata l’area di studio ed il modello digitale del territorio (DTM) calcolato con CALMET .

1000 950 900 850 800 750 700 650 600 550 500 450 400 350 300 250 200 150 100

Figura 2.1.1.1/II: Modello digitale in 3D del territorio dell’area di studio

2.1.1.2 Descrizione delle principali variabili meteorologiche Nei paragrafi successivi verranno descritte ed analizzate le principali variabili meteorologiche utili per ricostruire con precisione il quadro climatologico nell’intorno del progetto. Verranno quindi analizzate sia misure dirette sia misure ricostruite attraverso la modellazione matematica di CALMET

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Pressione atmosferica La pressione atmosferica è la pressione presente in qualsiasi punto dell'atmosfera terrestre. Nella maggior parte dei casi il valore della pressione atmosferica è equivalente alla pressione idrostatica esercitata dal peso dell'aria presente al di sopra del punto di misura. Le aree di bassa pressione hanno sostanzialmente minor massa atmosferica sopra di esse, viceversa aree di alta pressione hanno una maggior massa atmosferica. Analogamente, con l'aumentare dell'altitudine, il valore della pressione decresce. Al livello del mare il volume di una colonna d'aria della sezione di 1 cm² ha un peso di circa 1,03 kg. Ne consegue che una colonna d'aria della superficie di 1 m², pesa approssimativamente 10,3 tonnellate. Il valore della pressione atmosferica varia anche in funzione della temperatura e della quantità di vapore acqueo contenuto nell'atmosfera e decresce con l'aumentare dell'altitudine, rispetto al livello del mare, del punto in cui viene misurata. La pressione atmosferica normale o standard è quella misurata alla latitudine di 45°, al livello del mare e ad una temperatura di 15°C, che corrisponde ad una colonna di mercurio di 760 mm. Nelle altre unità di misura corrisponde a:

1 atm = 760 mm Hg = 760 torr = 101.325 Pa = 1.013,25 mbar.

Le figure successive mostrano i dati relativi alla pressione atmosferica registrata nella stazione AM di Verona Villafranca ed i dati registrati alla stazione ARPAV di riferimento per il Veneto, a Cavallino Treporti (VE) che è posta alla quota 0,0 mslm. Si nota che i valori più bassi di pressione si registrano principalmente in primavera ed in estate (1.014 e 1.015 mbar). In via generale si nota che i valori invernali ed autunnali sono più bassi rispetto alla serie storica, mentre i valori delle altre stagioni risultano in linea con la serie storica, con alcune limitate anomalie nei mesi estivi.

Pressione atmosferica mensile a Villafranca - media anni 61-90 1021 1019 1017 1015 1013 1011 1009 1007 Pressione atmosferica, mbar 1005 GEN FEB MAR APR MAG GIU LUG AGO SET OTT NOV DIC

Figura 2.1.1.2/I: Stazione AM Verona Villafranca – andamento medio mensile della pressione atmosferica

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Pressione atmosferica mensile - anno 2009 1021.0 1019.0 1017.0 1015.0 1013.0 1011.0 P atm, P mbar 1009.0 1007.0 1005.0 GEN FEB MAR APR MAG GIU LUG AGO SET OTT NOV DIC

Figura 2.1.1.2/II: Stazione ARPAV di Cavallino Treporti (VE) – andamento orario della pressione atmosferica

Pressione atmosferica stagionale a Villafranca- media 61-90 1019 1018 1017 1016 1015 1014 1013 Pressione atmosferica, mbar 1012 Inverno Primavera Estate Autunno

Figura 2.1.1.2/III: Stazione AM Verona Villafranca – andamento medio stagionale della pressione atmosferica

Pressione atmosferica stagionale - anno 2009 1019.0

1018.0

1017.0

1016.0

1015.0 P atm, P mbar 1014.0

1013.0

1012.0 inverno primavera estate autunno

Figura 2.1.1.2/IV: Stazione ARPAV di Cavallino Treporti (VE) – andamento stagionale della pressione atmosferica

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Gestione ambiente ______

Temperatura In senso stretto, la temperatura non costituisce una vera e propria grandezza fisica (per esempio non ha senso dire che un corpo ha una temperatura doppia di quella di un altro). La proprietà che il concetto di temperatura intende quantificare può essere ricondotta essenzialmente a una relazione d'ordine fra i sistemi termodinamici rispetto alla direzione in cui fluirebbe il calore se fossero messi a contatto. La temperatura dell’aria è, quindi, una misura di una serie di fattori che concorrono a determinarne l’effetto finale: la radiazione solare in primis, l’umidità e la presenza di vapore acqueo nell’aria, ecc… Le figure successive mostrano l’andamento delle temperature massime e minime in regione Veneto, mostrando per l’area di interesse rispettivamente valori pari a 28 e 0 °C.

Figura 2.1.1.2/V: Andamento delle temperature massime in Regione Veneto, nel trentennio 1971-2000

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Gestione ambiente ______

Figura 2.1.1.2/VI: Andamento delle temperature minime in Regione Veneto, nel trentennio 1971-2000

Le figure successive mostrano dati relativi alla stazione AM di Verona Villafranca per il clino 71- 00 e dati delle stazioni ARPAV di Marano, San Pietro e Bardolino per l’anno 2009. Il differenziale termico tra le stazioni è minimo e risente principalmente dell’orografia in cui la stessa è posta; difatti la stazione di Bardolino (essendo quella posta nella zona più influenzata dalla climatologia del Lago di Garda) è quella in cui si registra la temperatura più alta. Mediamente i mesi più caldi sono luglio ed agosto e i più freddi gennaio e dicembre. Le temperature medie stagionali sono in linea con la serie storica (clino 71-00). Per quanto riguarda l’andamento giornaliero, si nota l’andamento sinusoidale nelle 24 ore: i picchi di temperatura si hanno intorno alle 13-14 in inverno ed intorno alle 16-17 in estate.

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Temperatura media mensile - trentennio 71-00 a Verona Villafranca 35.00 30.00 25.00 20.00 T min (media) 15.00 T max (media) 10.00 T media Temperatura, °C 5.00 0.00 -5.00 DIC SET FEB GIU APR OTT LUG GEN NOV AGO MAR MAG

Figura 2.1.1.2/VII: Stazione AM Verona Villafranca – andamento della temperatura media mensile dal 1971 al 2000.

Temperatura media mensile - anno 2009 30.0

25.0

20.0 Marano 15.0 San Pietro

10.0 Bardolino Temperatura, °C SERIT 5.0

0.0

Figura 2.1.1.2/VIII: Stazioni meteo ARPAV di Marano, San Pietro e Bardolino – andamento delle temperature medie mensile nel 2009.

Temperatura media stagionale - trentennio 71-00 a Verona Villafranca 30.00

25.00

20.00 min 15.00 media 10.00 max

Temperatura, °C 5.00

0.00 Inverno Primavera Estate Autunno -5.00

Figura 2.1.1.2/IX: Stazione AM Verona Villafranca – andamento della temperatura media stagionale dal 1971 al 2000.

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Temperatura media stagionale - anno 2009 30.0

25.0

20.0 Marano 15.0 San Pietro Bardolino 10.0

Temperatura, °C SERIT

5.0

0.0 inverno primavera estate autunno

Figura 2.1.1.2/X: Stazioni meteo ARPAV di Marano, San Pietro e Bardolino – andamento delle temperature medie mensile nel 2009.

Temperature estreme - serie 51-2009 a Verona Villafranca 50.00 2003 40.00 2009 2008 2008 30.00 2007 1990 2006 2007 1989 20.00 1986 2004 1974 1954 T min (assoluta) 10.00 1976 1974 1973 1997 T max (assoluta) 1995 0.00 1953 Gradi centigradi Gradi DIC SET

-10.00 FEB GIU OTT APR LUG GEN NOV AGO MAR 2005 MAG 1975 -20.00 2009 19851956 -30.00

Figura 2.1.1.2/XI: Stazione AM Verona Villafranca – andamento delle temperature massime e minime registrate nel periodo dal 1951 al 2009.

Numero medio dei giorni di gelo o di calura - trentennio 71-00 a Verona Villafranca 20 15 10 5 0 gg gelo (T<0°C) -5 gg calura (T>30°C) DIC SET FEB GIU OTT APR LUG GEN NOV AGO MAR -10 MAG -15 Numero giorni di annuali -20 -25

Figura 2.1.1.2/XII: Stazione AM Verona Villafranca – numero medio dei giorni di calura e di gelo registrati nel trentennio dal 1971 al 2000.

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Andamento giornaliero della temperatura - calcolo CALMET nei pressi dell'area dell'impianto 35

30

25

20 01-gen 01-mar

°C 15 01-giu 10 01-set

5

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 101112131415161718192021222324 -5

Figura 2.1.1.2/XIII: Anno 2009. Calcolo con CALMET, nei pressi dell’area di progetto, dell’andamento giornaliero della temperatura.

Temperatura, andamento stagionale - Blox Plot nei pressi del Progetto 40 35 30 25 20 15 10

Temperatura, °C 5 0 -5 inverno primavera estate autunno -10

Figura 2.1.1.2/XIV: Anno 2009. Box Plot, nei pressi dell’area di progetto, dell’andamento stagionale della temperatura.

Umidità L’umidità relativa è un valore che indica il rapporto percentuale tra la quantità di vapore contenuto da una massa d'aria e la quantità massima (cioè a saturazione) che il volume d'aria può contenere nelle stesse condizioni di temperatura e pressione. Alla temperatura di rugiada l'umidità relativa è, per definizione, del 100%. L'umidità relativa è un parametro dato dal rapporto tra umidità assoluta e l'umidità di saturazione. È svincolato dalla temperatura e dà l'idea del tasso di saturazione del vapore atmosferico, e delle ripercussioni sui fenomeni evapotraspirativi delle colture. Il deficit di saturazione è dato dalla differenza tra umidità assoluta e umidità di saturazione. I valori elevati di umidità relativa (unitamente a basse temperature) sono i maggiori responsabili della formazione delle nebbie.

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Le figure successive mostrano dati relativi alla stazione AM di Verona Villafranca per il clino 71- 00, e dati delle stazioni ARPAV di Marano, San Pietro e Bardolino per l’anno 2009. Per quel che riguarda la serie storica (Villafranca), i valori massimi sono registrati nel trimestre da novembre a gennaio, e sono prossimi a 85%. L’umidità relativa resta comunque elevata anche nella restante parte dell’anno, con valori mensili minimi superiori a 70%. Per quanto riguarda i dati osservati nel 2009 si discostano pochissimo dalle serie storiche, soprattutto per quel che riguarda i valori medi. Il differenziale tra le stazioni è minimo e risente principalmente della latitudine e dell’orografia in cui la stessa è posta; difatti la stazione di Bardolino (essendo quella posta nella zona più influenzata dalla climatologia del Lago di Garda) è quella in cui si registrano i valori di umidità relativa più bassi. La media annuale risulta più alta a Marano di circa 2 punti percentuali. È evidente che i valori più elevati si riscontrano nel periodo invernale e nei territori più pianeggianti. Per quanto riguarda l’andamento giornaliero, si nota l’andamento sinusoidale nelle 24 ore: i valori più alti si registrano nelle prime ore del mattino e nelle ore serali, con un minimo verso le 13-14 più o meno accentuato a seconda della stagione in cui ci si trova.

Umidità media relativa - media nel trentennio 71-00 a Verona Villafranca 86 84 82 80 78 76 74 72

Umidità relativa, relativa, Umidità % 70 68 66 GEN FEB MAR APR MAG GIU LUG AGO SET OTT NOV DIC

Figura 2.1.1.2/XV: Stazione AM Verona Villafranca – andamento dell’umidità relativa, media mensile dal 1971 al 2000.

Umidità relativa media mensile - anno 2009 100.0 90.0 80.0 70.0 60.0 50.0 40.0 30.0 Umidità relativa, relativa, Umidità % 20.0 10.0 0.0 GEN FEB MAR APR MAG GIU LUG AGO SET OTT NOV DIC

Figura 2.1.1.2/XVI: Stazioni meteo ARPAV di Marano, San Pietro e Bardolino – andamento dell’umidità relativa media mensile nel 2009.

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Umidità relativa media stagionale - trentennio 71-00 a Verona Villafranca 84.00 82.00 80.00 78.00 76.00 74.00 72.00 Umidità relativa, relativa, Umidità % 70.00 68.00 Inverno Primavera Estate Autunno

Figura 2.1.1.2/XVII: Stazione AM Verona Villafranca – andamento dell’umidità relativa, media stagionale dal 1971 al 2000.

Umidità relativa media stagionale - anno 2009 100.0 90.0 80.0 70.0 60.0 50.0 40.0 30.0 Umidità relativa, relativa, Umidità % 20.0 10.0 0.0 inverno primavera estate autunno

Figura 2.1.1.2/XVIII: Stazioni meteo ARPAV di Marano, San Pietro e Bardolino – andamento dell’umidità relativa media stagionale nel 2009.

Andamento giornaliero dell'umidità relativa - calcolo CALMET nei pressi dell'area dell'impianto 120

100

80 01-gen

% 60 01-mar 01-giu 40 01-set

20

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 101112131415161718192021222324

Figura 2.1.1.2/XIX: Anno 2009. Calcolo con CALMET, nei pressi dell’impianto, dell’andamento giornaliero dell’umidità relativa.

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Umidità, andamento stagionale - Blox Plot nei pressi del Progetto 120

100

80

60

40

Umidità relativa, relativa, Umidità % 20

0 inverno primavera estate autunno

Figura 2.1.1.2/XX: Anno 2009. Box Plot, nei pressi dell’area di progetto, dell’andamento stagionale dell'umidità.

Altezza delle nubi L’altezza della base delle nubi è la misura fisica (in metri sul livello del suolo) della base del nembo cumuliforme presente in quel momento. Può essere una misura diretta oppure può essere ricavata (come nel caso in esame) tramite calcolo partendo dai valori di temperatura e di umidità relativa. Nella figura seguente è mostrato l’andamento dell’altezza delle nubi calcolata al variare dell’umidità relativa e della temperatura dell’aria. Come da logica, valori alti di umidità relativa ed, in secondo luogo, valori bassi di temperatura favoriscono la presenza di nubi a basse quote (e di conseguenza di nebbie).

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100

95

90

85

80 %

, a v i t a l e

r 75

à t i d i m

U 70

65

60

55

50 -10 -5 0 5 10 15 20 25 30 35 Temperatura dell'aria, °C Figura 2.1.1.2/XXI: Andamento dell’altezza della base delle nubi (msls), al variare dell’umidità relativa e della temperatura dell’aria.

Le figure successive mostrano dati relativi alle stazioni ARPAV di Marano, San Pietro e Bardolino per l’anno 2009. Il differenziale tra le stazioni è minimo e risente principalmente della latitudine e dell’orografia in cui la stessa è posta; difatti la stazione di Bardolino (essendo quella posta nella zona più influenzata dalla climatologia del Lago di Garda) è quella in cui si registrano i valori di altezza dello strato nuvoloso più alti, ovvero casi meno frequenti di nebbia al suolo. La media annuale risulta più bassa a Marano di circa 30 metri. È evidente che i valori più elevati si riscontrano nei periodi più freddi e nei territori più pianeggianti. Per quanto riguarda l’andamento giornaliero, si nota l’andamento sinusoidale nelle 24 ore: i valori più bassi si registrano nelle prime ore del mattino e nelle ore serali, con un massimo verso le 14-15 più o meno accentuato a seconda della stagione in cui ci si trova.

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Altezza delle nubi - media mensile 2009 1400.0

1200.0

1000.0

800.0 Marano San Pietro 600.0 Bardolino 400.0 Altezza nubi, Altezza nubi, msls SERIT 200.0

0.0

Figura 2.1.1.2/XXII: Stazioni meteo ARPAV di Marano, San Pietro e Bardolino – andamento dell’altezza delle nubi media mensile nel 2009.

Altezza delle nubi - anno 2009 1400.0

1200.0

1000.0 Marano 800.0 Bardolino

suolo 600.0 San Pietro 400.0 SERIT

200.0

Altezza delle nubi, metri sul livello del 0.0 inverno primavera estate autunno

Figura 2.1.1.2/XXIII: Stazioni meteo ARPAV di Marano, San Pietro e Bardolino – andamento dell’altezza delle nubi media stagionale nel 2009.

Altezza delle nubi, andamento giornaliero - calcolo CALMET nei pressi dell'area dell'impianto 2500

2000

1500 01-gen 01-mar 1000 01-giu

Altezza nubi, Altezza nubi, msla 01-set

500

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 101112131415161718192021222324

Figura 2.1.1.2/XXIV: Anno 2009. Calcolo con CALMET, nei pressi dell’impianto, dell’andamento giornaliero dell’altezza delle nubi

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Altezza delle nubi, andamento stagionale - Blox Plot nei pressi del Progetto 4500 4000 3500 3000 2500 2000 1500 1000 Altezza delle nubi, msls 500 0 inverno primavera estate autunno

Figura 2.1.1.2/XXV: Anno 2009. Box Plot, nei pressi dell’area di progetto, dell’andamento stagionale dell'altezza delle nubi.

Piovosità La pioggia è la forma più comune di precipitazione atmosferica e si forma quando gocce separate di acqua cadono al suolo da delle nuvole. Una parte della pioggia che cade dalle nuvole non riesce a raggiungere la superficie ed evapora nell'aria mentre cade, specialmente se attraversa aria secca. L'ammontare della pioggia caduta si misura in millimetri: una precipitazione di 1 mm equivale a dire che su una qualunque superficie si è depositata una quantità di acqua uniformemente alta 1 mm. La misura è indipendente dalla grandezza della superficie considerata. Le figure successive mostrano dati relativi alla stazione AM di Verona Villafranca per il clino 71- 00 e dati delle stazioni ARPAV di Marano, San Pietro e Bardolino per l’anno 2009. Il numero di giorni di pioggia evidenzia la maggiore frequenza primaverile ed autunnale dei fenomeni, presenti in forma di eventi dalla durata prolungata e dall’intensità non particolarmente elevata. Tali periodi temporali contribuiscono alla precipitazione totale annua con i maggiori contributi mensili, pari a circa 85 mm/mese. Un contributo analogo è apportato anche dal mese di agosto, frutto di eventi temporaleschi di minore durata ma maggiore intensità. Per quel che riguarda il raffronto tra la serie storica ed i dati relativi al 2009, è verificabile una leggera anomalia, visibile nel periodo estivo ed invernale; tali periodi sono stati nel 2009, rispettivamente, più siccitoso e più piovoso rispetto al clino 71-00. Il differenziale tra le stazioni è minimo: i giorni di pioggia sono pressocchè gli stessi tra le stazioni mentre varia leggermente la pioggia cumulata nei mesi di aprile e giugno.

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Figura 2.1.1.2/XXVI: Andamento della piovosità cumulata in Regione Veneto, nel trentennio 1971-2000

Figura 2.1.1.2/XXVII: Andamento dei giorni di pioggia in Regione Veneto, nel trentennio 1971-2000

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Pioggia cumulata giornalmente - anno 2009 70

60

50

40 Marano

30 San Pietro

mm/giorno Bardolino 20 SERIT 10

0 ott dic dic giu lug lug set set feb apr ago - - - gen gen nov - - - - - mar mar - - mag mag ------21 02 23 17 08 29 09 30 12 15 19 01 22 11 04 25 06 27 Figura 2.1.1.2/XXVIII: Stazioni meteo ARPAV di Marano, San Pietro e Bardolino – pioggia cumulata giornalmente nel 2009.

Pioggia media mensile - media nel trentennio 71-00 a Verona Villafranca

Piovosità gg pioggia

100.00 10

80.00 8

60.00 6

40.00 4 gg di piopggia di gg mm di pioggia di mm 20.00 2

0.00 0

Figura 2.1.1.2/XXIX: Stazione AM Verona Villafranca – andamento della precipitazione cumulata mensile dal 1971 al 2000.

Pioggia cumulata mensilmente - anno 2009 160 140 120 100 Marano 80 San Pietro

mm/mese 60 Bardolino 40 SERIT 20 0

Figura 2.1.1.2/XXX: Stazioni meteo ARPAV di Marano, San Pietro e Bardolino – pioggia cumulata mensilmente nel 2009.

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Piovosità media stagionale - trentennio 71-00 a Verona Villafranca 90.00 80.00 70.00 60.00 50.00 40.00 30.00 mm/stagione 20.00 10.00 0.00 Inverno Primavera Estate Autunno

Figura 2.1.1.2/XXXI: Stazione AM Verona Villafranca – andamento della precipitazione cumulata mensile dal 1971 al 2000.

Pioggia cumulata stagionalmente - anno 2009 400

350

300

250 Marano 200 San Pietro

150 Bardolino mm/stagione SERIT 100

50

0 inverno primavera estate autunno

Figura 2.1.1.2/XXXII: Stazioni meteo ARPAV di Marano, San Pietro e Bardolino – pioggia cumulata stagionalmente nel 2009.

Radiazione solare globale La radiazione solare è l'energia radiante emessa dal Sole a partire dalle reazioni termonucleari di fusione che avvengono nel nucleo solare e producono radiazioni elettromagnetiche. I flussi di radiazione di maggior interesse meteorologico sono: radiazione globale; radiazione diffusa; radiazione diretta; radiazione riflessa; radiazione netta. La radiazione globale viene definita come la somma della radiazione misurata a terra su un piano orizzontale proveniente direttamente dal Sole e quella diffusa dal cielo (atmosfera). I rapporti tra le due componenti sono in relazione alle condizioni atmosferiche. La radiazione

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Gestione ambiente ______globale deve essere sempre inferiore a quella massima teorica calcolata al di fuori dell’atmosfera ma può essere, al limite, uguale ai valori massimi teorici calcolati tenendo conto dell’atmosfera. La radiazione diffusa è la componente, misurata su un piano orizzontale, della radiazione solare che arriva a terra non direttamente dal Sole ma per effetto dell’atmosfera (gas, nubi, ecc..). La radiazione diretta è la radiazione proveniente solo direttamente dal Sole. La radiazione riflessa è la radiazione solare riflessa da una superficie entro la banda 0,3 - 3 mm. Il rapporto tra la radiazione riflessa e la radiazione globale dà l’albedo. La radiazione netta è la differenza tra la radiazione proveniente dal cielo e quella in arrivo dalla superficie in esame nella banda 0,3 – 60 mm. Le figure successive mostrano dati relativi alle stazioni ARPAV di Marano, San Pietro e Bardolino per l’anno 2009. Il differenziale tra le stazioni è minimo: la radiazione solare è pressoché identica tra le stazioni considerate. È evidente che i valori più elevati si riscontrano nei periodi estivi e nei territori posti più a sud. I mesi con i valori più alti sono luglio ed agosto.

Radiazione solare media giornaliera - anno 2009 35

30

25

20 Marano

15 Bardolino San Pietro 10 SERIT

Radiazione Radiazione solare, MJ/mq 5

0 dic dic ott giu lug set feb apr gen gen ago - - - - nov - - - mar - mag ------07 02 30 17 15 09 26 22 12 01 29 04 25 20 Figura 2.1.1.2/XXXIII: Stazioni meteo ARPAV di Marano, San Pietro e Bardolino – radiazione solare, media giornaliera, nel 2009.

Radiazione solare cumulata mensilmente - anno 2009 800

700

600

500 Marano 400 Bardolino

300 San Pietro SERIT 200 Radiazione Radiazione solare, MJ/mq 100

0 GEN FEB MAR APR MAG GIU LUG AGO SET OTT NOV DIC

Figura 2.1.1.2/XXXIV: Stazioni meteo ARPAV di Marano, San Pietro e Bardolino – radiazione solare, cumulo mensile, nel 2009.

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25 Radiazione solare media stagionale - anno 2009

20

15 Marano

10MJ/mq Bardolino San Pietro

5 SERIT

0 Inverno Primavera Estate Autunno

Figura 2.1.1.2/XXXV: Stazioni meteo ARPAV di Marano, San Pietro e Bardolino – radiazione solare, media giornaliera, nel 2009.

Vento e anemologia Il vento è l'esito di moti convettivi ed advettivi di masse d'aria. Il vento è un fenomeno naturale che consiste nel movimento ordinato, quasi orizzontale, di masse d'aria dovuto alla differenza di pressione tra due punti dell'atmosfera. Per questo motivo, solitamente, la componente orizzontale del vettore intensità del vento è un ordine di grandezza (o più) maggiore rispetto alla componente verticale. In presenza di due punti con differente pressione atmosferica si origina una forza detta forza del gradiente di pressione o forza di gradiente che agisce premendo sulla massa d'aria per tentare di ristabilire l'equilibrio. Il flusso d'aria non corre in maniera diretta da un punto all'altro, cioè con stessa direzione della forza di gradiente, ma subisce una deviazione dovuta alla forza di Coriolis che tende a spostarlo verso destra nell'emisfero settentrionale e verso sinistra nell'emisfero meridionale. A causa di questo effetto il vento soffia parallelamente alle isobare. In questo caso si parla di vento geostrofico. Tuttavia alle basse quote (meno di 600 m) è necessario tenere anche conto delle variabili micro meteorologiche come ad esempio l'azione dell'attrito con la superficie terrestre; tale azione è infatti in grado di modificare la direzione del vento di circa 10° sul mare e 15-30° sulla terra rispetto a quella del vento geostrofico, rendendo il percorso dall'alta pressione alla bassa pressione più diretto. La velocità del vento, o meglio la sua intensità, dipende dal gradiente barico, cioè dalla distanza delle isobare. In via del tutto generale l’intensità del vento aumenta con l’aumentare della quota sul livello del suolo. Le figure successive mostrano dati alle stazioni ARPAV di Marano, San Pietro e Bardolino per l’anno 2009. Il filo conduttore tra le stazioni di riferimento considerate è quello di mostrare valori di intensità del vento medio-bassi bassi. Il 75% dei dati orari è, in generale, inferiore a 2,4 m/s, mentre la media annuale non supera il valore di 1,9 m/s. Il differenziale tra le stazioni è minimo e risente principalmente della latitudine e dell’orografia in cui la stessa è posta; difatti la stazione di Bardolino (essendo quella posta nella zona più influenzata dalla climatologia del Lago di Garda) è quella in cui si registrano i valori di intensità del vento più elevati, determinate da venti di valle e di pendio.

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Le classi di frequenza della velocità del vento più numerose sono quelle con la velocità compresa tra 0 (ovvero situazione di calma di vento) e 1 m/s: insieme raggruppano il 30% dei dati calcolati presso l’impianto. Per quanto riguarda l’andamento giornaliero, si notano picchi di intensità del vento nelle ore centrali della giornata.

Tabella 2.1.1.2/I: Indicatori statistici relativi all’intensità del vento, per le stazioni meteo ARPAV di Marano, San Pietro e Bardolino. Tutto è espresso in m/s. media DVST moda mediana 25 percentile 75 percentile Marano 0,86 0,94 0,30 0,50 0,30 2,17 San Pietro 0,88 0,91 0,30 0,51 0,30 1,20 Bardolino 1,71 1,15 1,47 1,47 0,91 2,17

SERIT 1,39 0,96 0,51 1,21 0,76 1,74

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Figura 2.1.1.2/XXXVI: Rosa dei venti per la zona di Progetto nel 2009.

Velocità e direzione del vento media mensile - Bardolino Velocità e direzione del vento media mensile - Marano 2009 2009 160.0 2.5 140.0 1.6 140.0 120.0 1.4 2.0 120.0 100.0 1.2 100.0 1.0 1.5 80.0 80.0 0.8 direzione 60.0 direzione 60.0 1.0 0.6 velocità velocità 40.0 40.0 0.4 Direzione, gradi Direzione, gradi N 0.5 Direzione, gradi N

20.0 Velocità del vento, m/s 20.0 0.2 Velocità del vento, m/s 0.0 0.0 0.0 0.0 DIC DIC SET SET FEB FEB GIU GIU APR OTT APR OTT LUG LUG GEN GEN NOV NOV AGO AGO MAR MAR MAG MAG Figura 2.1.1.2/XXXVII: Stazioni meteo ARPAV di Marano e Bardolino – velocità e direzioni prevalenti del vento, medie mensili, per l’anno 2009.

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Figura 2.1.1.2/XXXVIII: Stazioni meteo ARPAV di Marano, San Pietro e Bardolino – rose dei venti

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Figura 2.1.1.2/XXXIX: zona preso il Progetto – classi di frequenza della velocità del vento per l’anno 2009.

Velocità media mensile del vento - anno 2009 2.0 1.8 1.6 1.4

1.2 Marano 1.0 San Pietro 0.8 Bardolino 0.6 SERIT

Velocità del vento, m/s 0.4 0.2 0.0

Figura 2.1.1.2/XL: Stazioni meteo ARPAV di Marano, San Pietro e Bardolino – velocità media mensile del vento nel 2009.

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Velocità media stagionale del vento - anno 2009 1.6 1.4

1.2

1.0 Marano 0.8 San Pietro 0.6 Bardolino SERIT 0.4 Velocità Velocità del vento, m/s 0.2 0.0 inverno primavera estate autunno

Figura 2.1.1.2/XLI: Stazioni meteo ARPAV di Marano, San Pietro e Bardolino – velocità media stagionale del vento nel 2009.

Andamento giornaliero della velocità del vento - calcolo CALMET nei pressi dell'area di SERIT 2.5

2

1.5 01-gen 01-mar m/s 1 01-giu 01-set

0.5

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 101112131415161718192021222324

Figura 2.1.1.2/XLII: Anno 2009. Calcolo con CALMET, nei pressi dell’area dell’area di Progetto, dell’andamento giornaliero della velocità del vento.

Intensità del vento, andamento stagionale - Blox Plot nei pressi del Progetto 9 8 7 6 5 4 3 2 Velocità del vento, m/s 1 0 inverno primavera estate autunno

Figura 2.1.1.2/XLIII: Anno 2009. Box Plot, nei pressi dell’area di progetto, dell’andamento stagionale dell'intensità del vento.

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Direzione del vento, andamento stagionale - Blox Plot nei pressi del Progetto 400 350 300 250 200 150

Direzione, gradi Direzione, gradi N 100 50 0 inverno primavera estate autunno

Figura 2.1.1.2/XLIV: Anno 2009. Box Plot, nei pressi dell’area di progetto, dell’andamento stagionale della direzione del vento.

Il processore meteorologico CALMET è in grado di fornire il campo di vento tridimensionale dell’area di studio; ovvero si è in grado di elaborare, sul piano xy , il campo vettoriale rappresentante l’intensità e la direzione del vento, partendo dai dati misurati nelle stazioni meteo di riferimento. Nelle figure successive è mostrato, a titolo di esempio, il campo di vento elaborato da CALMET (ad una altezza di 10 msls) il 26 aprile 2009.

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Figura 2.1.1.2/XLV: Calcolo con CALMET, del campo vettoriale di vento generatosi nell’area di studio. Giorno 26 aprile 2009, ore 4 del mattino.

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Figura 2.1.1.2/XLVI: Calcolo con CALMET, del campo vettoriale di vento generatosi nell’area di studio. Giorno 26 aprile 2009, ore 15.

Altezza dello strato limite o di rimescolam ento La capacità dispersiva dell’atmosfera è influenzata soprattutto dall’altezza del cosiddetto strato limite. Lo strato limite o di rimescolamento è la porzione dell’atmosfera in cui il gradiente di temperatura potenziale è all’incirca nullo, e dove si instaura una circolazione ad area limitata di grandi strutture coerenti che lo rimescolano costantemente e completamente, consentendo tra l’altro la dispersione degli inquinanti ed il trasporto in quota del vapor d’acqua per la formazione delle nuvole. Beyrich nel 1997 così definiva l’altezza di rimescolamento: “... è l’altezza di quello strato di atmosfera adiacente al suolo in cui gli inquinanti o ogni altro costituente emesso nel suo interno o inglobato per entrainment diviene ben rimescolato o per convezione o per turbolenza meccanica con un tempo di scala dell’ordine dell’ora.” Visto questo, ecco perché diventa fondamentale determinare con una certa precisione l’altezza dello strato di rimescolamento, visto che, a fini modellistici, rappresenta il “volume di controllo” entro cui avvengono la totalità dei fenomeni dispersivi. L’altezza dello strato limite è influenzata dalla turbolenza meccanica e convettiva. Non potendo essere misurata direttamente, viene stimata al variare di alcuni parametri fondamentali: dalla

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Gestione ambiente latitudine, dalla velocità del vento, dalla radiazione solare, dalla rugosità del suolo e dal flusso turbolento di calore al suolo. Nella figura successiva è mostrato il risultato del calcolo effettuato con CALMET , nell’area dell’impianto, dell’andamento giornaliero dell’altezza di rimescolamento al variare del periodo considerato. Si nota che, in via generale, l’altezza dello strato limite è minima nelle ore notturne, ovvero quando la radiazione solare è nulla; nei periodi più freddi (gennaio e marzo) l’altezza di rimescolamento presenta valori più bassi: è il motivo principale per cui in inverno ci sono i problemi principali di inquinamento urbano, essendo il volume d’aria, in cui avvengono i fenomeni di diffusione e trasporto degli inquinanti, minore rispetto ad altri periodi dell’anno.

Calcolo dell'altezza di mescolamento - Differenze stagionali 2000

1800

1600

1400

1200

1000 01-gen 01-mar 800 01-giu 01-set

Hmix, metri Hmix, sul livello del suolo 600

400

200

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24

ore

Figura 2.1.1.2/XLVII: Anno 2009. Calcolo con CALMET, nei pressi dell’area di Progetto, dell’andamento giornaliero dell’altezza dello strato limite.

Profili verticali Come già ribadito diverse volte nel presente capitolo, il processore meteorologico CALMET è in grado di ricostruire matematicamente il campo tridimensionale delle principali variabili meteorologiche. Infatti la variabilità di tali parametri non è solamente nel piano xy , ma anche (e, spesso, soprattutto) al variare della quota sul livello del suolo. Nelle figure successive sono mostrati, a titolo di esempio, i profili verticali di temperatura dell’aria, intensità e direzione del vento elaborati da CALMET il 26 aprile 2009, nei pressi dell’area del Progetto. In via generale, si nota come il valore della temperatura, nelle ore notturne, aumenti fino alla quota di circa 200 msls, per poi subire una netta inversione all’aumentare della quota. L’intensità del vento, invece, cresce (più o meno rapidamente) esponenzialmente all’aumentare della quota sul livello del suolo.

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Figura 2.1.1.2/XLVIII: Calcolo con CALMET, dei profili verticali di temperatura, intensità e direzione del vento. Giorno 26 aprile 2009, ore 2 del mattino.

Figura 2.1.1.2/XLIX: Calcolo con CALMET, dei profili verticali di temperatura, intensità e direzione del vento. Giorno 26 aprile 2009, ore 3 del mattino.

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Figura 2.1.1.2/L: Calcolo con CALMET, dei profili verticali di temperatura, intensità e direzione del vento. Giorno 26 aprile 2009, ore 5 del mattino.

Figura 2.1.1.2/LI: Calcolo con CALMET, dei profili verticali di temperatura, intensità e direzione del vento. Giorno 26 aprile 2009, ore 6 del mattino.

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Figura 2.1.1.2/LII: Calcolo con CALMET, dei profili verticali di temperatura, intensità e direzione del vento. Giorno 26 aprile 2009, ore 7 del mattino.

Figura 2.1.1.2/LIII: Calcolo con CALMET, dei profili verticali di temperatura, intensità e direzione del vento. Giorno 26 aprile 2009, ore 12.

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Figura 2.1.1.2/LIV: Calcolo con CALMET, dei profili verticali di temperatura, intensità e direzione del vento. Giorno 26 aprile 2009, ore 23.

2.1.1.3 Conclusioni finali sulla meteorologia e sulla climatologia È stato analizzato il clino 71-00 della stazione AM di Verona Villafranca (il cui dato viene preso come riferimento generale), ed è stato implementato un modello meteorologico di dettaglio per la definizione esatta della situazione climatologica di un’area che misura 15x13 km, che si ritiene essere di gran lunga più ampia dell’area di influenza di eventuali impatti sulla componente atmosferica, considerate le caratteristiche del sito in esame. Le medie annue e stagionali delle variabili meteorologiche analizzate sono sostanzialmente concordi con la serie storica (clino 71-00). Per tale motivo si ritiene che l’effettiva ricostruzione del campo meteorologico tridimensionale possa essere rappresentativa della meteorologia generale dell’area e quindi utilizzata come base matematico/fisica per sovrapporre i fenomeni di trasporto e di diffusione di inquinanti emessi dall'ampliamento del sito di impianto.

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2.1.2 Caratterizzazione della qualità dell’aria dell’area Per quanto riguarda la qualità dell’aria ci si è soffermati ad analizzare alcuni componenti presenti in atmosfera, responsabili dell’inquinamento della qualità dell’aria a seguito di attività antropiche. Per effettuare analisi approfondite si sono esaminati i dati relativi alla stazione ARPAV di Verona Cason: essa è una stazione di cosiddetto “ background rurale ”, ovvero una stazione nelle cui vicinanze non sono presenti sorgenti emisssive particolari, per cui ben rappresenta il valore di “fondo” dell’inquinamento nella Provincia di Verona. I dati disponibili sono quelli dal 2004 al 2011.

Polveri sottili In figura 2.1.2I/II vi è un estratto dello Stato dell’Ambiente 2006 della Provincia di Verona. Essa mostra le aree a concentrazione omogenea di PM10 e si vede che l’ubicazione dell'ampliamento in oggetto ricade nell’ara definita a concentrazione medio-bassa di PM10. Le figure successive (2.1.2/III e 2.1.2/IV) mostrano le quantità annuali emesse in atmosfera, divise per tipologia (da traffico veicolare o da attività industriale). Si vede che l’ubicazione dell’impianto è in una zona sollecitata per quanto riguarda le emissioni da traffico veicolare, meno per quel che riguarda il contributo dato dalle attività industriali.

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Figura 2.1.2/I: Aree a concentrazione omogenea di PM10 nella Provincia di Verona, (ARPAV – Provincia di Verona 2006, Rapporto Stato dell’ambiente). Nel riquadro, l’ubicazione dell’area di studio per la caratterizzazione meteocliamtica

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Figura 2.1.2/II: Emissione di polveri sottili dovuti al traffico veicolare, (ARPAV – Provincia di Verona 2006, Rapporto Stato dell’ambiente). Nel cerchio, l’ubicazione dell’impianto

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Figura 2.1.2/III: Emissione di polveri sottili dovuti all’attività industriale, (ARPAV – Provincia di Verona 2006, Rapporto Stato dell’ambiente). Nel cerchio, l’ubicazione dell’impianto

Le figure successive mostrano le quantità i dati registrati alla stazione ARPAV di Verona Cason nel periodo che va dal 2004 al 20011. Si nota come l’andamento stagionale sia molto netto: i periodi freddi (inverno ed autunno) non contribuiscono alla dispersione naturale degli inquinanti e quindi (unitamente al fatto che in tali periodi vi è la totalità dei riscaldamenti domestici ed industriali accesi) la media stagionale risulta molto alta. La tendenza generale è di un abbassamento dei valori con l’aumentare degli anni, evento probabilmente dovuto al miglioramento delle combustioni (migliori tecnologie per le caldaie, rinnovo del parco auto, ecc…) e all’affinarsi di strategie di contenimento del problema. Si passa da giorni totali di superamento della soglia giornaliera (50 µg/m 3) pari a oltre 130 giorni nel 2005 e 2006 a circa 80 giorni/anno dal 2007 in poi.

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Valori medi giornalieri per PM10 - Verona Cason

2004 2005 2006 2007 2008 2009 2011

250

200

150

ug/mc 100

50

0 giu lug feb apr ago - - - - mag - - 01-ott 01-dic 01-set 01 01 01 01 01 01-nov 01-gen 01-mar 01

Figura 2.1.2/IV: Andamento della concentrazione giornaliera di PM10 registrata dal 2004 al 2011 nella centralina ARPAV di Verona Cason

Andamento medio mensile della concentrazione media giornaliera di PM10- Verona Cason 90.00 80.00 2004 70.00 2005 60.00 50.00 2006 40.00 2007 ug/mc 30.00 2008 20.00 10.00 2009 0.00 2010 2011

Figura 2.1.2/V: Media mensile dell’andamento della concentrazione giornaliera di PM10 registrata dal 2004 al 2011 nella centralina ARPAV di Verona Cason

Andamento medio stagionale della concentrazione media giornaliera di PM10 - VR Cason 80.00 70.00 2004 60.00 2005 50.00 2006 40.00 2007 30.00 2008 20.00 2009 10.00 2010 0.00 2011 inverno primavera estate autunno

Figura 2.1.2/VI: Media stagionale dell’andamento della concentrazione giornaliera di PM10 registrata dal 2004 al 2011 nella centralina ARPAV di Verona Cason

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Verona Cason - Polveri sottili - Box Plot della media giornaliera 250

200

150

100

50

0 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 media 04-11

Figura 2.1.2/VII:Box plot della concentrazione medi annuale di PM10 registrata dal 2004 al 2011 nella centralina ARPAV di Verona Cason

Ossidi di azoto Le figure successive mostrano le quantità annuali emesse in atmosfera, divise per tipologia (da traffico veicolare o da attività industriale). Si vede che l’ubicazione dell’area dell’impianto è in una zona sollecitata per quanto riguarda le emissioni da traffico veicolare, meno per quel che riguarda il contributo dato dalle attività industriali.

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Figura 2.1.2/VIII: Emissione di ossidi di azoto dovuti al traffico veicolare, (ARPAV – Provincia di Verona 2006, Rapporto Stato dell’ambiente). Nel riquadro, l’ubicazione dell’impianto

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Figura 2.1.2/IX: Emissione di ossidi di azoto dovuti all’attività industriale, (ARPAV – Provincia di Verona 2006, Rapporto Stato dell’ambiente). Nel riquadro, l’ubicazione dell’impianto.

Le figure successive mostrano le quantità i dati registrati alla stazione ARPAV di Verona Cason nel periodo che va dal 2004 al 2011. Si nota come l’andamento stagionale sia molto netto: i periodi freddi (inverno ed autunno) non contribuiscono alla dispersione naturale degli inquinanti e quindi (unitamente al fatto che in tali periodi vi è la totalità dei riscaldamenti domestici ed industriali accesi) la media stagionale risulta molto alta. La tendenza generale (soprattutto dagli anni 2010 e 2011) è di un abbassamento dei valori con l’aumentare degli anni, evento probabilmente dovuto al miglioramento delle combustioni (migliori tecnologie per le caldaie, rinnovo del parco auto, ecc…) e all’affinarsi di strategie di contenimento del problema.

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Valori massimi orari per NO2 - Verona Cason

2004 2005 2006 2007 2008 2009

250

200

150

ug/mc 100

50

0 ott set apr - gen - - mag - - 01 01-dic 01-giu 01-lug 01 01-feb 01 01-ago 01 01-nov 01-mar 01

Figura 2.1.2/X: Andamento del valore massimo di concentrazione oraria per il biossido di azoto. Il valore limite per la salute umana è 200 µg/mc

Andamento medio mensile della concentrazione media giornaliera di NO2- Verona Cason 100.00 90.00 2004 80.00 70.00 2005 60.00 2006 50.00 2007 ug/mc 40.00 30.00 2008 20.00 2009 10.00 0.00 2010 2011

Figura 2.1.2/XI: Media mensile dell’andamento del valore massimo di concentrazione oraria per il biossido di azoto. Il valore limite per la salute umana è 200 µg/mc

Andamento medio stagionale della concentrazione media giornaliera di NO2 - VR Cason 90.00 80.00 2004 70.00 2005 60.00 2006 50.00 2007 40.00 30.00 2008 20.00 2009 10.00 2010 0.00 2011 inverno primavera estate autunno

Figura 2.1.2/XII: Media stagionale dell’andamento del valore massimo di concentrazione oraria per il biossido di azoto. Il valore limite per la salute umana è 200 µg/mc

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Verona Cason - Biossido di azoto - Box Plot della media giornaliera 250

200

150

100

50

0 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 media 04-11

Figura 2.1.2/XIII:Box plot della concentrazione medi annuale di PM10 registrata dal 2004 al 2011 nella centralina ARPAV di Verona Cason

Anidride solforosa – ossidi di zolfo La figura successiva mostra l’andamento del valore massimo giornaliero della concentrazione di anidride solforosa ( SO 2), misurato nel 2008 e nel 2009 nella stazione ARPAV di Verona Cason. Il valore da non superare per la protezione della salute umana è 350 µg/m 3, e tale valore non viene mai superato in nessuno dei due anni. In particolare il valore massimo giornaliero è intorno a 4 µg/m 3 , tranne qualche eccezione nel febbraio del 2008. Da notare un leggero miglioramento nel 2009 rispetto al 2008.

Valore massimo orario per SO 2 - Verona Cason 100 90 80 70 60 50 g/mc µ 40 2008 30 2009 20 10 0 ott giu lug feb apr - nov - - - mar - - - 01-dic 01 01 01 01-set 01 01 01-gen 01-ago 01 01 01-mag

Figura 2.1.2/XIV: Andamento del valore massimo di concentrazione oraria per il biossido di zolfo. Il valore limite per la salute umana è 350 µg/mc

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Andamento medio mensile della concentrazione

massima oraria di SO 2 - Verona Cason 8.00 7.00 6.00 5.00 4.00 2008 3.00 SO2, ug/mc 2009 2.00 1.00 0.00

Figura 2.1.2/XV:Media mensile dell’andamento del valore massimo di concentrazione oraria per il biossido di zolfo. Il valore limite per la salute umana è 350 µg/mc

Andamento medio stagionale del valore massimo orario

di SO 2 - Verona Cason 6.00

5.00

4.00

3.00 2008

SO2, ug/mc 2.00 2009

1.00

0.00 inverno primavera estate autunno

Figura 2.1.2/XVI:Media stagionale dell’andamento del valore massimo di concentrazione oraria per il biossido di zolfo. Il valore limite per la salute umana è 350 µg/mc

Monossido di carbonio La figura successiva mostra l’andamento del valore massimo giornaliero della concentrazione di monossido di carbonio ( CO ), misurato nel 2008 e nel 2009 nella stazione ARPAV di Verona Cason. Il valore da non superare per la protezione della salute umana è 10.000 µg/mc , e tale valore non viene mai superato né nel 2008 né nel 2009. Nello specifico si nota come le concentrazioni più alte siano durante il periodo invernale. Da notare un leggero miglioramento nel 2009 rispetto al 2008.

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Valore massimo giornaliero per CO - Verona Cason 2000 1800 1600 1400 1200 1000 g/mc µ 800 2008 600 2009 400 200 0 dic giu lug feb - nov - - - mag - - 01 01-ott 01 01 01-set 01 01-apr 01-ago 01-gen 01 01-mar 01

Figura 2.1.2/XVII: Andamento del valore massimo di concentrazione oraria per il monossid0 di carbonio. Il valore limite per la salute umana è 10.000 µg/mc

Andamento medio mensile della concentrazione massima giornaliera di CO - Verona Cason 1,200.00

1,000.00

800.00

600.00 2008 Co, ug/mc Co, 400.00 2009 200.00

0.00

Figura 2.1.2/XVIII: Media mensile dell’andamento del valore massimo di concentrazione oraria per il monossid0 di carbonio. Il valore limite per la salute umana è 10.000 µg/mc

Andamento medio stagionale del valore massimo giornaliero di CO - Verona Cason 900.00 800.00 700.00 600.00 500.00 2008 400.00

CO, ug/mc 300.00 2009 200.00 100.00 0.00 inverno primavera estate autunno

Figura 2.1.2/XIX: Media stagionale dell’andamento del valore massimo di concentrazione oraria per il monossid0 di carbonio. Il valore limite per la salute umana è 10.000 µg/mc

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2.1.2.1 Considerazioni finali sulla qualità dell’aria Sono stati analizzati dati relativi ad una stazione ARPAV di “ background rurale ” (il cui dato viene preso come riferimento generale) con riferimento ad una serie temporale relativa al periodo 2003-2011. Lo stato attuale della qualità dell’aria mostra forti criticità per quanto riguarda le concentrazioni di polveri e di biossido di azoto. Gli altri elementi presi in esame, anidride solforosa e monossido di carbonio, mostrano valori di concentrazione non prossimi ai livelli limite stabiliti dalle normative vigenti.

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2.2 Ambiente Idrico L’area oggetto di studio ricade all’interno dell’anfiteatro morenico di Rivoli Veronese e precisamente in corrispondenza del margine nord orientale dello stesso, dove le cerchie moreniche dell’anfiteatro si chiudono e si raccordano contro la dorsale del Monte Baldo. Con riferimento alla figura seguente (Figura 2.2/I), tratta dalla “ Carta dei corpi idrici e dei bacini idrografici ” del “Piano di Tutela delle Acque ” della Regione Veneto, l’area dell’anfiteatro morenico di Rivoli ricade all’interno del bacino idrografico del fiume Adige, che comprende il settore orientale del Monte Baldo, l’intero tavolato lessineo ed una porzione dell’alta pianura veronese e vicentina.

AMBITO D ’INTERVENTO

Figura 2.2/I: Estratto della “Carta dei corpi idrici e dei bacini idrigrafici ” del “Piano di Tutela delle acque ” della Regione Veneto.

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2.2.1 Idro grafia superficiale

I principali elementi della rete idrografica sono costituiti dal Fiume Adige e dal Torrente Tasso, nessuno dei quali tuttavia interessa direttamente l’area di intervento. Dalla figura sottostante si può apprezzare, inoltre, come l’orografia dell’area abbia profondamente condizionato lo sviluppo dell’idrografia locale. In particolare, il percorso del fiume Adige in questo tratto si sviluppa sul fondo dell’omonima valle, incisa fra il versante orientale del Monte Baldo e l’Altipiano Lessineo, mentre il torrente Tasso scende dalle pendici del Monte Baldo percorrendo la valle incisa immediatamente a Est della dorsale baldense. Dopo aver percorso la piana di Caprino, il Tasso scende in direzione di Garda, scorrendo perimetralmente all’anfiteatro morenico di Rivoli, per poi curvare a Sud in direzione di Domegliara immettendosi in Adige all’altezza di Sega di Cavaion.

TORRENTE TASSO

FIUME ADIGE

Figura 2.2.1/I: Immagine tratta dal sito dell’Autorità di bacino del fiume Adige. Servizio web gis : “il piano di assetto idrogeologico”. Col cerchio verde è indicata l’area di progetto.

All’interno dell’anfiteatro di Rivoli la circolazione idrica superficiale avviene lungo le linee di deflusso orientate verso la massima pendenza dei versanti e secondo l’andamento dei cordoni morenici. Oltre all’idrografia naturale si rileva la presenza di una fitta rete di canali di irrigazione gestiti dal Consorzio di Bonifica Veronese. La figura 2.2.1/II evidenzia come nell’area di interesse la rete consortile sia prevalentemente di tipo pluvirriguo. Solo in corrispondenza della piana di Caprino alcuni tratti della rete sono costituiti da canali a cielo aperto.

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Figura 2.2.1/II: Immagine tratta dal sito del Consorzio di Bonifica Verones – Area Web gis rete idrografica. Il cerchio giallo indica l’area di progetto.

Oltre alla rete irrigua, fra gli elementi della rete idrografica artificiale si segnala il Canale Medio Adige, denominato “Biffis”, di proprietà dell’ENEL e utilizzato per alimentare le centrali idroelettriche di e di Chievo. Le acque di tale canale sono inoltre utilizzate a scopi irrigui. In ogni caso, anche la rete idrografica artificiale non interferisce direttamente con l’ambito di intervento.

Il Fiume Adige L'Adige ha una lunghezza di circa 410 km ed è il terzo fiume d'Italia per ampiezza del bacino imbrifero ed il secondo per lunghezza. Nasce a quota 1586 m s.l.m. presso il passo di Resia (nell'alta val Venosta) e, dopo aver attraversato le provincie di Bolzano, Trento, Verona, Rovigo e Venezia sbocca nel mare Adriatico tra la foce del fiume Brenta ed il delta del fiume Po. Nel suo tratto iniziale, l’Adige ed i suoi affluenti principali si sviluppano in un ambito di montagna, all’interno di incisioni scavate dai ghiacciai e, successivamente, dagli scaricatori fluvioglaciali che si sono formati nella fasi di scioglimento dei ghiacciai stessi. Da Bolzano fino a Ceraino il fiume scorre sul fondo della Valle dell’Adige per poi iniziare il suo percorso tipicamente da fiume di pianura attraverso la pianura veneta da Verona a Chioggia, dove sfocia nel mare Adriatico. Il fiume presenta un regime idrologico tipicamente alpino, caratterizzato da un periodo di magra in inverno e portate di piena alla fine dei mesi primaverili. Nelle figure successive vengono riportati gli idrogrammi di piena dell’Adige per diverse sezioni ubicate a valle dell’abitato di Trento, per i tempi di ritorno 30, 100 e 200 anni.

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a

b

c Figura 2.2.1/III: Idrogrammi di piena del fiume Adige per diverse sezioni ubicate a valle dell’abitato di Trento, per tempi di ritorno di 30 (a), 100 (b) e 200 anni (c).

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Le piene dell’Adige hanno sempre rappresentato un importante elemento di rischio di esondazione, pertanto il suo corso è stato da sempre interessato dalla relizzazione di opere di difesa idraulica. Si ricorda in particolare la galleria che mette in comunicazione le acque dell’Adige con quelle del Lago di Garda. Si tratta di uno scolmatore, costruito nella seconda metà degli anni ’50, circa 30 km a valle di Trento in corrispondenza dell’abitato di Mori (TN), che ha lo scopo di difendere il territorio del medio e basso corso dell’Adige, in particolare la città di Verona, scolmando nel lago di Garda le portate al colmo di piena dell’Adige, fino a un massimo di 500 m 3/s. In tal senso, con riferimento alla documentazione tratta dal Piano di Stralcio per l’Assetto Idrogeologico dell’Autorità di bacino dell’Adige, di cui si riporta un estratto in figura 2.2.1/IV, risulta che in prossimità dell’ambito di progetto sono segnalate aree a diverso grado di pericolosità idraulica, legate al rischio di esondazione dell’Adige, situate nei comuni di Rivoli Veronese, Dolcè e e nello specifico sono localizzate lungo il tratto appena a monte dell’abitato di Dolcè per esaurirsi in corrispondenza della stretta di Ceraino. Sono rappresentate tutte e quattro le classi di pericolosità idraulica, nonostante la classe di pericolosità più elevata caratterizzi esclusivamente aree ristrette poste a ridosso del corso d’acqua. Va peraltro debitamente evidenziato che l’area in oggetto è situata circa 1,5 km a Ovest di tali aree, rimanendone così totalmente esclusa.

Figura 2.2.1/IV: Immagine tratta dal sito dell’Autorità di bacino del fiume Adige. Servizio web gis : “il piano di assetto idrogeologico”. Col cerchio giallo è indicata l’area di progetto-

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Il Torrente Ta sso Il torrente Tasso costituisce il più importante affluente dell’Adige in destra idrografica. Con uno sviluppo complessivo del reticolo idrografico pari a circa 16 Km, il Tasso nasce dalle pendici meridionali del Monte Baldo e si immette in Adige in località Sega di Cavaion. Nel suo tratto iniziale montano il torrente presenta una pendenza media del 138‰ per passare ad una pendenza del 16‰ nel tratto di fondovalle della piana di Caprino e del 28‰ nel tratto terminale fino alla confluenza in Adige. L’elevata pendenza dell’alveo del Tasso e dei principali affluenti nel tratto montano iniziale è all’origine del trasporto solido di materiale poi depositato lungo i tratti di fondovalle. Tale azione ha portato all’innalzamento dell’arginatura naturale dell’alveo del torrente ed alla conseguente pensilità dell’intero tracciato in attraversamento della piana di Caprino. Mentre nel passato tale situazione non comportava particolari criticità di tipo idraulico, più recentemente la riduzione del reticolo idrografico e la insufficiente sezione idraulica degli alvei, unitamente alla crescente urbanizzazione ed alla conseguente impermeabilizzazione delle superfici, hanno messo in luce l’elevata fragilità del territorio nei confronti di ricorrenti fenomeni d’esondazione. In tal senso nelle tabelle successive riportano gli idrogrammi di piena del Tasso, elaborate per la sezione di Platano, Valdoneghe ed , rispettivamente per Tempi di ritorno “Tr” di 30, 100, 200 e 500 con le relative portate al colmo (cfr. “ Relazione idrologica della VARIANTE n° 1 al PAI del Fiume Adige ”).

Tabella 2.2.1/I: Valori di portata al colmo calcolata nella stazione di Platano

TR (annui) Q (m 3/s) 30 30,98 100 48,70 200 60,80 500 78,80

Tabella 2.2.1/II: Valori di portata al colmo calcolata nella stazione di Valdoneghe

TR (annui) Q (m 3/s) 30 60,74 100 95,97 200 119,92 500 145,61

Tabella 2.2.1/III: Valori di portata al colmo calcolata nella stazione di Affi

TR (annui) Q (m 3/s) 30 69,86 100 105,09 200 123,36 500 148,90

Nel P.A.I. del bacino del Fiume Adige, adottato con delibera del Comitato Istituzionale del 15 febbraio 2005 e approvato con D.P.C.M. 27/04/2006, molte aree limitrofe al tratto del Tasso da località Porcino a località Valdoneghe erano perimetrate a pericolosità media, elevata e molto elevata.

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Figura 2.2.1/V: Aree a pericolosità Idraulica secondo il PAI del bacino del Fiume Adige adottato nel 2006. Col cerchio verde è indicato l’ambito di progetto.

Per migliorare le condizioni di sicurezza lungo l’intero corso del Tasso, il competente Ufficio del Genio Civile della Regione del Veneto è intervenuto a più riprese per l’adeguamento delle sezioni di deflusso e per la depensilizzazione di alcuni tratti compresi fra gli abitati di Affi, Sottomoscal, Gazzoli e Valdoneghe, per complessivi 3,6 km, nonchè quelli fra la Loc. Valdoneghe e la loc. Acque nel comune di , per un’estensione di altri 3,7 km. Tali interventi hanno così permesso una riduzione areale delle zone a pericolosità idraulica, di seguito rappresentate (figura 2.2.1/VI).

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Figura 2.2.1/VI: Aree a pericolosità Idraulica secondo la nuova perimetrazione del PAI del bacino del Fiume Adige del 2008. Col cerchio verde è indicato l’ambito di progetto. Il Comitato Istituzionale dell’Autorità di bacino del Fiume Adige, con delibera n. 3/2007 del 19.6.2007, ha approvato il programma degli interventi contenuto nello studio Variante n°1 del PAI e ne ha disposto l’utilizzo per integrare e modificare il quadro degli interventi delineato dal piano stralcio senza obbligo di variante. Oltre alle opere di depensilizzazione, lo studio succitato ha definito ulteriori interventi necessari alla mitigazione dei rischi connessi alla tracimazione delle strutture arginali ed in particolare:

• depensilizzazione dell’alveo del Tasso e correzione del profilo longitudinale con soglie fra la loc. Platano e la loc. Acque. • realizzazione di una cassa di laminazione a monte della località Acque utilizzando il manufatto del rilevato della nuova strada per la circonvallazione Est dell’abitato. Il ponte per l’attraversamento del Tasso può essere realizzato come manufatto regolatore per calibrare il deflusso verso valle compatibile con portate veicolabili nelle sezioni dell’alveo. L’invaso che si verrebbe a formare per effetto del rigurgito provocato dal manufatto regolatore, contiene elementi a rischio costituiti da alcune abitazioni in località Boschi e da una azienda agrituristica recentemente edificata nei pressi del centro sportivo. • realizzazione di una cassa di laminazione in località Montesei mediante l’innalzamento degli argini naturali e uno scarico a bocca tarata che consente di far defluire in alveo solo portate compatibili con i manufatti esistenti; • realizzazione di uno scolmatore di piena e collegamento al canale di gronda a Est della circonvallazione dell’abitato di Affi.

Con l’esecuzione di questi interventi le aree allagabili sono solo quelle delle casse di laminazione in loc. Montesei e in loc. Acque, rappresentate nella figura successiva.

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Figura 2.2.1/VII: Futura perimetrazione PAI a conclusione di tutti i lavori previsti dall’Autorità di Bacino Adige

Ciò detto va precisato che l’area di intervento non risulta interessata da alcuna criticità di tipo idraulico. L’area su cui sarà realizzata l’opera in progetto risulta inoltre separata dalla piana del Fiume Tasso dalle alture dell’anfiteatro di Rivoli.

2.2.1.1 Qualità della acque superficiali La qualità delle acque sotterranee è stata desunta da dati di bibliografia. In particolare si farà riferimento al documento Arpav "Stato delle acque superficiali del Veneto. Corsi d’acqua e laghi. Anno 2012”. Si ricorda, peraltro, che nell'intorno dell'area di intervento non sono presenti corpi idrici superficiali. La Direttiva Europea 2000/60/CE (Direttiva Quadro sulle Acque), recepita dall’Italia con il Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 abrogando il D.Lgs. 152/99, ha introdotto un approccio innovativo nella gestione europea delle risorse idriche ed ha comportato profondi cambiamenti nel sistema di monitoraggio e classificazione delle acque superficiali. Le reti stesse di monitoraggio sono state reimpostate per adeguarsi ai “corpi idrici”, indicati dalla Direttiva come le unità elementari, distinte e significative all’interno dei bacini idrografici, per la classificazione dello stato e per l’implementazione delle misure di protezione, miglioramento e risanamento. Nel 2012 è stato redatto un rapporto sulla base dei dati rilevati dalla rete di monitoraggio delle acque superficiali relativa all’anno 2012, terzo anno del piano triennale 2010-2012 di monitoraggio ai sensi della Direttiva 2000/60/CE. Tale rapporto è denominato “Stato delle acque superficiali del Veneto. Corsi d’acqua e laghi. Anno 2012”. Tali analisi sono volte alla valutazione dello stato ecologico delle acque dei diversi corsi d’acqua, nonché finalizzata all’individuazione di quei corpi d’acqua compromessi dall’attività antropica per cui è necessario pianificare degli interventi di mitigazione che permettano di elevarne la classe di qualità. Di seguito si riportano i dati tratti dal suddetto rapporto tecnico per il fiume Adige.

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Livello di Inquinamento dai Macrodescrittori per lo Stato Ecologico (LIMeco) L'indice LIMeco, introdotto dal D.M. 260/2010 (che modifica le norme tecniche del D.Lgs. 152/2006), è un descrittore dello stato trofico del fiume. È stato attribuito il Livello di Inquinamento dai Macrodescrittori per lo Stato Ecologico (LIMeco) per il periodo 2010-2012 a 34 stazioni nel bacino dell’Adige, la maggior parte delle quali si attesta nel livello 1 (Elevato) e nel livello 2 (Buono).

Tabella 2.2.1.1/I: Estratto della tabella dell’Indice LIMeco nel bacino del fiume Adige. (Fonte:ARPAV)

Monitoraggio degli inquinanti specifici Gli inquinanti specifici, monitorati nei corpi idrici del bacino del fiume Adige ai sensi del D.Lgs. 152/2006 (Allegato 1 Tab. 1/B del D.M. 260/2010), sono delle sostanze non appartenenti all’elenco delle priorità: Alofenoli (2,4 Diclorofenolo, 2,4,5-Triclorofenolo, 2,4,6-Triclorofenolo, 2- Clorofenolo, 3-Clorofenolo, 4-Clorofenolo), Aniline e derivati (2-Cloroanilina, 3,4-dicloroanilina, 3-Cloroanilina, 4-Cloroanilina), Metalli (Arsenico, Cromo totale), Nitroaromatici (1-Cloro-2- nitrobenzene, 1-Cloro-3-nitrobenzene, 1-Cloro-4-nitrobenzene, 2-Cloro-4-Nitrotoluene, 2-Cloro- 5-Nitrotoluene, 2-Cloro-6-Nitrotoluene, 3-Cloro-4-Nitrotoluene, 4-Cloro-2-nitrotoluene, 4-Cloro-3- Nitrotoluene, 5-Cloro-2-Nitrotoluene), pesticidi e composti organo volatili che vengono valutati a sostegno dello Stato Ecologico. Nel 2010 è iniziato il primo ciclo triennale di monitoraggio (2010-2012) ai sensi del D.Lgs. 152/06. La procedura di calcolo prevede il confronto tra le concentrazioni medie annue dei siti monitorati nel triennio 2010-2012 e gli standard di qualità ambientali (SQA-MA) previsti dal Decreto. Il corpo idrico, che soddisfa tutti gli standard di qualità ambientale (SQA-MA) in tutti i siti monitorati, è classificato in stato Buono. In caso negativo è classificato in stato Sufficiente. Se tutte le misure effettuate sono risultate inferiori ai limiti di quantificazione del laboratorio di analisi lo stato del corpo idrico è Elevato. Si considera il risultato peggiore tra quelli attribuiti alle singole stazioni nel triennio. Il risultato del monitoraggio degli inquinanti specifici a sostegno dello Stato Ecologico per il triennio 2010-2012 non evidenzia criticità legata alla presenza dei principali inquinanti specifici nei corpi idrici del bacino del fiume Adige.

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Tabella 2.2.1.1/II: Estratto della tabella del monitoraggio dei principali inquinanti specifici non appartenenti all’elenco di priorità nel bacino del fiume Adige – Triennio 2010-2012. (Fonte: ARPAV)

Monitoraggio elementi di qualità biologica EQB La normativa prevede una selezione degli EQB da monitorare nei corsi d ’acqua sulla base degli obiettivi e della valutazione delle pressioni e degli impatti; in particolare, sui corpi idrici che sono definiti a rischio di non raggiungere lo stato “Buono” entro i termini previsti dalla normativa, vanno selezionati e monitorati gli EQB più sensibili alle pressioni alle quali i corpi idrici sono soggetti. Sui corpi idrici che sono stati indicati come non a rischio di raggiungere lo stato “Buono” invece vanno monitorati tutti gli EQB. Allo stato attuale, non essendo ancora disponibili le metriche di valutazione specifiche per i corpi idrici al momento definiti come “fortemente modificati” o “artificiali”, tutte le valutazioni relative alle classi di qualità sono state eseguite applicando i criteri normativi previsti per i corpi idrici “naturali”. Il monitoraggio degli Elementi di Qualità Biologici nel bacino del fiume Adige ha previsto i campionamenti biologici relativi a macroinvertebrati bentonici, macrofite e diatomee.

Tabella 2.2.1.1/III: Estratto della tabella della valutazione complessiva ottenuta dagli EQB nel bacino del fiume Adige – Triennio 2010-2012 (Fonte: ARPAV).

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Stato Ecologico Per la determinazione dello Stato Ecologico, oltre agli Elementi di Qualità Biologica (EQB) sono monitorati altri elementi “a sostegno”: Livello di Inquinamento da macrodescrittori (LIMeco) e inquinanti specifici non compresi nell ’elenco di priorità (rispetto degli SQA-MA Tab. 1/B, allegato 1, del DM 260/10). Gli Elementi di Qualità Biologica monitorati nel triennio 2010-2012 nel bacino del fiume Adige sono stati i macroinvertebrati, le macrofite e le diatomee. La classificazione dei corpi idrici prevede che nel caso in cui i parametri chimici (LIMeco e/o inquinanti specifici a sostegno dello stato ecologico) non raggiungano lo stato Buono, il corpo idrico venga classificato in stato ecologico “Sufficiente”, anche in assenza del monitoraggio degli EQB. In questi casi non viene perciò distinto uno stato inferiore al “Sufficiente” (ovvero “Scarso” o “Cattivo”).

Tabella 2.2.1.1/IV: Estratto dello Stato Ecologico dei corpi idrici nel bacino del fiume Adige monitorati nel triennio 2010- 2012 (Fonte: ARPAV).

(1) classificato con metriche EQB per corpi idrici naturali

Stato Chimico Un corpo idrico raggiunge il Buono Stato Chimico se vengono rispettati gli Standard di Qualità Ambientale delle sostanze prioritarie, prioritarie pericolose e le altre sostanze appartenenti all’elenco di priorità in tutte le stazioni rappresentative della qualità dell’acqua del corpo idrico. Le sostanze dell’elenco di priorità sono indicate dalla tabella 1/A, Allegato 1 del Decreto Ministeriale n. 260 dell’8 novembre 2010.

Tabella 2.2.1.1/V: Estratto della tabella dello Stato chimico dei corpi idrici monitorati del bacino dell’Adige. Triennio 2010-2012 (Fonte: ARPAV).

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2.2.2 Idrogeologia

2.2.2.1 Idrogeologia locale Da un punto di vista idrogeologico, la permeabilità dei litotipi costituenti il sottosuolo, l’assetto stratigrafico e la morfologia locale rappresentano, assieme agli afflussi meteorici, i fattori ai quali sono maggiormente legate le condizioni idrogeologiche della porzione di territorio di interesse; tali elementi contribuiscono a delineare anche i caratteri della rete idrografica superficiale, il deflusso delle acque meteoriche e le loro interazioni. La ricostruzione dell’assetto idrogeologico dell’area in esame, nello specifico, è stata effettuata attraverso un’accurata ricerca cartografica e bibliografica, finalizzata al reperimento di un numero quanto più possibile ampio di dati puntuali ed areali. I depositi che costituiscono il primo sottosuolo dell’area di interesse progettuale sono, in linea generale, dotati di buone caratteristiche di permeabilità, alla luce della prevalente frazione granulare rispetto alla frazione limo – argillosa, in particolare nelle porzioni di sottosuolo più superficiali. Tale assetto è confermato dalla “ Carta delle particolarità idrogeologiche ” del PTP di Verona che individua, in corrispondenza dell’area di interesse progettuale, terreni caratterizzati da una permeabilità generalmente elevata per porosità.

LEGENDA Terr eni caratterizzati da una permeabilità generalmente elevata per porosità Figura 2.2.2.1/I: Estratto della “Carta delle particolarità idrogeologiche” del PTP di Verona. In nero è indicata l’ubicazione del sito di interesse progettuale.

Nello specifico, si ritiene che, in accordo con quanto indicato dalla Relazione Geologica allegata al progetto, la permeabilità dei depositi presenti sia compresa tra 10 E-3 m/s e 10 E-5 m/s, delineando così un drenaggio buono e un grado di permeabilità medio (classificazione da “Elementi di Geotecnica ”, Colombo e Colleselli – 1996).

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Per quanto riguarda la soggiacenza della falda freatica, con specifico riferimento alla “Carta idrogeologica” del Piano di Assetto del Territorio Intercomunale dei comuni di Rivoli Veronese e Brentino Belluno, è possibile evidenziare come la falda si attesti ad una profondità maggiore di 100 m dal p.c..

LEGENDA

Area con profondità falda freatica superiore a 100 m dal p.c.

Canale artificiale Figura 2.2.2.1/II: Estratto della “Carta idrogeologica” del PATI di di Rivoli V.se e di Brentino Belluno. In arancio è indicata l’ubicazione del sito di interesse progettuale.

Ciò premesso, si precisa che la presenza in profondità di livelli e lenti in materiale prevalentemente fine (limi e argille) determina potenzialmente la presenza di acquiferi confinati caratterizzati da una buona continuità laterale, localizzabili soprattutto a profondità comprese tra 50 e 100 m. A profondità minori, nonostante gli scavi non abbiano evidenziato la presenza di rilevanti livelli di trattenuta, non è comunque possibile escludere la presenza di eventuali livelli in materiale fine, lateralmente discontinui, o comunque limitati volumi a prevalente matrice fine. In tal senso, non è escludibile a priori la presenza di limitate falde sospese, anche di modesta entità, la cui ricarica può dipendere esclusivamente da apporti di tipo meteorico.

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2.2.2.2 Pozzi Idropotabili I pozzi (o campi pozzi) utilizzati ad uso idropotabile più prossimi all’area di progetto appartengono alla rete acquedottistica del Comune di Rivoli Veronese e sono gestiti da Acque Veronesi. L’area di progetto risulta esterna alle fasce di tutela assoluta (200 m) attorno alle opere di presa a scopo idropotabile, sorgendo ad una distanza sempre maggiore di 1.800 m (vedasi figura alla pagina seguente). Sono presenti poi nelle aree limitrofe numerosi punti d’acqua, adibiti ad uso agricolo e industriale. Per quanto riguarda il vicino comune di Affi, si precisa che il confine comunale sorge a una distanza maggiore di 200 m e pertanto l’area di interesse si colloca sicuramente al di fuori dell’area di rispetto degli eventuali pozzi ubicati nei pressi del confine comunale.

1.800 m ca. 2.100 m ca.

2.500 m ca.

2.500 m ca.

Figura 2.2.2.2/I: Stralcio cartografico della Carta Idrogeologica del PATI di Rivoli V.se e di Brentino Belluno, riportante l’ubicazione del campo pozzi ( vedasi freccia ) indicati nel testo con la relativa fascia di rispetto e la distanza dal lotto di interesse progettuale ( in rosso ).

2.2.2.3 Vincoli di carattere idrologico ed idrogeologico Nella pianificazione territoriale vigente non sono presenti vincoli alla realizzazione di tale tipo di progetto, né di carattere idrologico né di carattere idrogeologico.

2.2.2.4 Qualità della acque sotterranee La qualità delle acque sotterranee è stata desunta da dati di bibliografia. In particolare si farà riferimento al "Rapporto sullo stato dell’ambiente della Provincia di Verona anno 2006" e soprattutto allo rapporto tecnico di ARPAV sullo " Stato delle acque sotterranee 2012 ". Lo stato chimico attuale della prima falda corrisponde al risultato di anni di sfruttamento con un

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Figura 2.2.2.4/I: Elaborazioni cartografiche della distribuzione delle sostanze indagate dal “ Rapporto sullo stato dell’ambiente della provincia di Verona ” (anno 2006, ARPAV e Provincia di Verona)

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Figura 2.2.2.4/II: Elaborazioni cartografiche della distribuzione delle sostanze indagate dal “ Rapporto sullo stato dell’ambiente della provincia di Verona ” (anno 2006, ARPAV e Provincia di Verona)

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Figura 2.2.2.4/III: Elaborazioni cartografiche della distribuzione delle sostanze indagate dal “ Rapporto sullo stato dell’ambiente della provincia di Verona ” (anno 2006, ARPAV e Provincia di Verona)

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Figura 2.2.2.4/IV: Elaborazioni cartografiche della distribuzione delle sostanze indagate dal “ Rapporto sullo stato dell’ambiente della provincia di Verona ” (anno 2006, ARPAV e Provincia di Verona)

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Figura 2.2.2.4/V: Elaborazioni cartografiche della distribuzione delle sostanze indagate dal “ Rapporto sullo stato dell’ambiente della provincia di Verona ” (anno 2006, ARPAV e Provincia di Verona)

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Figura 2.2.2.4/VI: Elaborazioni cartografiche della distribuzione delle sostanze indagate dal “ Rapporto sullo stato dell’ambiente della provincia di Verona ” (anno 2006, ARPAV e Provincia di Verona)

Dallo studio emerge la distribuzione areale di alcuni tipi di contaminanti di origine antropica (quale ad esempio quella da nitrati e solventi organoclorurati), nonché la diffusione nelle acque di alcuni contaminanti riconosciuti come naturali (sodio, potassio, manganese, ammoniaca) riscontrabili nella media e bassa pianura veronese. Le elevate concentrazioni di ammoniaca, manganese ed anche arsenico che in modo discontinuo si riscontrano in tutto il territorio a sud est di e , derivano da una causa geologica a seguito della presenza nel sottosuolo di torba e argilla. Per quanto concerne l’area in oggetto, le acque sotterranee presentano caratteristiche qualitative leggermente migliori, in linea generale, rispetto alla media provinciale.

Il rapporto Arpav del 2012 denominato " Stato delle acque sotterranee 2012 ", presenta i risultati del monitoraggio regionale delle acque sotterranee del Veneto svolto nel 2012. Il monitoraggio quantitativo ha interessato 234 punti, quello qualitativo 287. Per 244 punti (pari al 85%) lo stato chimico è buono, per 43 (pari al 15%) scadente. Per il 2012 le contaminazioni riscontrate più frequentemente e diffusamente sono quelle dovute a composti organo-alogenati e nitrati. Le altre categorie di sostanze che hanno portato ad una classificazione di stato non buono sono: metalli imputabili all’attività umana, inquinanti inorganici e pesticidi. Da un punto di vista normativo, il 19 aprile 2009 è entrato in vigore il decreto legislativo 16 marzo 2009, n. 30 ”Attuazione della direttiva 2006/118/CE, relativa alla protezione delle acque sotterranee dall’inquinamento e dal deterioramento” (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 4 aprile 2009 n. 79), che rappresenta la normativa di riferimento in materia di tutela delle acque sotterranee. Rispetto alla preesistente normativa (D. lgs 152/1999), restano stanzialmente invariati i criteri di effettuazione del monitoraggio (qualitativo e quantitativo); cambiano invece i metodi e i livelli di classificazione dello stato delle acque sotterranee, che si riducono a due (buono o scadente) invece dei cinque (elevato, buono, sufficiente, scadente e naturale particolare).

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Lo stato quali-quantitativo dei corpi idrici sotterranei regionali è controllato attraverso due specifiche reti di monitoraggio: • una rete per il monitoraggio quantitativo; • una rete per il monitoraggio qualitativo.

Tabella 2.2.2.4/I: Estratto di “Elenco dei punti monitorati. [cod, codice identificativo del punto di monitoraggio;tipo, tipologia di punto: C=falda confinata, L=falda libera; SC=falda semiconfinata; S=sorgente; prof, profondità del pozzo in metri; Q, punto di misura per parametri chimici e fisici; P, punto di misura piezometrica; GWB, sigla del corpoidrico sotterraneo.]” (Fonte: ARPAV)

Come si ricava dalla tabella soprastante, in Comune di Bussolengo non è presente alcun punto di monitoraggio. Quelli più vicini sono i punti di Castelnuovo del Garda e Verona ed il corpo idrico sotterraneo interessato è quello dell’Alta Pianura Veronese (VRA).

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Lo stato chimico La definizione dello stato chimico delle acque sotterranee, secondo le direttive 2000/60/CE e 2006/118/CE, si basa sul rispetto di norme di qualità, espresse attraverso concentrazioni limite, che vengono definite a livello europeo per nitrati e pesticidi (standard di qualità), mentre per altri inquinanti, di cui è fornita una lista minima all’Allegato 2 parte B della direttiva 2006/118/CE, spetta agli Stati membri la definizione dei valori soglia, oltre all’onere di individuare altri elementi da monitorare, sulla base dell’analisi delle pressioni. I valori soglia (VS) adottati dall’Italia sono quelli definiti all’Allegato 3, tabella 3, D. Lgs 30/2009. Per quanto riguarda la conformità, la valutazione si basa sulla comparazione dei dati di monitoraggio (in termini di concentrazione media annua) con gli standard numerici (tabella 2 e tabella 3, Allegato 3, D. Lgs 30/2009). Nel 2012 la valutazione dello stato chimico puntuale ha interessato 287 punti di monitoraggio, 244 dei quali (pari al 85%) sono stati classificati in stato buono, 43 (pari al 15%) in stato scadente. Il punto è classificato come buono (B) se sono rispettati gli standard di qualità ed i valori soglia per ciascuna sostanza controllata, scadente (S) se uno o più valori sono superati.

Tabella 2.2.2.4/II: Estratto della tabella dello “Stato chimico puntuale anno 2012” (Fonte: ARPAV).

Legenda: ◦ = ricercate, ma entro standard di qualità (SQ)/VS; • = superamento SQ/VS; SCP = stato chimico puntuale; NO3=nitrati; pest = pesticidi; VOC= composti organici volatili; Me = metalli; Ino= inquinanti inorganici; Ar=composti organici aromatici; ClB= clorobenzeni; sostanze = nome/sigla delle sostanze con superamento SQ/VS.

Come si ricava dalla tabella precedente, la maggior parte dei punti di monitoraggio sono classificati come in buono stato, ad eccezione dei punti di monitoraggio ad Illasi, e classificati in stato scadente. I punti di monitoraggio più vicini all’area di progetto, ovvero le stazioni di Verona e Castelnuovo del Garda, presentano tutti uno stato definito buono.

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Concentrazione di nitrati La concentrazione di nitrati nelle acque sotterranee riflette l’importanza relativa e l’intensità delle attività agricole sui corpi idrici sotterranei. La “direttiva nitrati” (91/676/CEE) fissa a 50 mg/l la concentrazione oltre la quale le acque sotterranee sono da considerarsi inquinate da nitrati, definendo vulnerabili le zone di territorio che scaricano direttamente o indirettamente su tali acque. Anche per le direttive “acque sotterranee” (2006/118/CE) e “acque potabili” (98/83/CE) il valore limite di nitrati è pari a 50 mg/l. Analogamente agli anni precedenti, la distribuzione spaziale delle concentrazioni medie annue evidenzia che i valori più elevati sono localizzati soprattutto nell’acquifero indifferenziato di alta pianura (maggiormente vulnerabile) e in particolare nell’area trevigiana.

Tabella 2.2.2.4/III: estratto della tabella “Nitrati: risultati del test di Mann-Kendall ( α = 0.05 ).

Legenda: n=numero dati; n.cen=numero dati

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2.3 Suolo e sottosuolo Le analisi di carattere geologico sono state basate sulla ricerca bibliografica e sulla documentazione di tutti gli studi e dati esistenti (piani di bacino e studi propedeutici, precedenti studi per strumenti urbanistici, bibliografia tecnica di settore, banca dati geologica, precedenti campagne di rilievi e sondaggi, eventi storicamente documentati, mappe di rischio, ecc.), sulla verifica e valutazione critica della rilevanza e della qualità di dati reperiti, sull’indicazione delle fonti dei dati, finalizzati alla valutazione delle diverse dinamiche evolutive dei fenomeni in atto o comunque ritenuti significativi.

2.3.1 Inquadramento geologico Dal punto di vista geologico generale, la porzione di territorio in esame, ricadente all’interno del territorio comunale di Rivoli Veronese, è interessata dalla presenza di un piccolo anfiteatro morenico, caratterizzato da una forma semicircolare molto regolare e costruito, nel corso delle glaciazioni quaternarie, da una lingua glaciale che scendeva dai rilievi altoatesini occupando l’odierna val d’Adige. La genesi dell’anfiteatro morenico di Rivoli, in corrispondenza del quale sorge l’area di interesse, è riconducibile alle glaciazioni del Riss e del Würm, durante le quali il lembo più avanzato del ghiacciaio Atesino, stretto tra la catena baldense e rilievi lessinei, era deviato verso Ovest dalle alture di Monte Castello e della Chiusa di Ceraino.

Figura 2.3.1/I: Morfologia delle aree baldense e atesina nel corso delle ultime glaciazioni. A sinistra: massima espansione glaciale. A destra: la situazione attuale, in cui si nota l’anfiteatro morenico di Rivoli (nel riquadro rosso).

Il circo morenico è costituito da morene concentriche caratterizzate da una notevole continuità laterale e una certa uniformità altimetrica, risultando interamente compreso tra le quote di 320 m e 225 m s.l.m., con le quote minori individuabili in corrispondenza delle cerchie più interne. Le morene costituiscono le creste degli antichi cordoni morenici frontali abbandonati nelle diverse fasi di espansione e ritiro del ghiacciaio atesino. Tra un cordone e l’altro si trovano delle aree subpianeggianti, anch’esse pressoché concentriche, talora terrazzate, che rappresentano i piani di divagazione degli antichi scaricatori glaciali. La grande influenza esercitata dal ghiacciaio nel corso dei periodi glaciali che si sono succeduti durante il quaternario è testimoniata, oltre che dagli apparati morenici descritti, anche dai liscioni glaciali visibili sulle pareti rocciose del M. Pastello, del M. S. Marco, del M. Castello (sul quale troneggia il Forte di Rivoli), della Rocca e del Monte Pipalo.

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2.3.1.1 Assetto geologico locale Per un inquadramento geologico di dettaglio dell’area di interesse progettuale, si fa riferimento alla “ Carta Geologica dell’anfiteatro morenico del Garda – Tratto orientale e anfiteatro morenico di Rivoli ”, di cui si riporta un estratto alla figura seguente.

LEGENDA

Cataglaciale W.II – Interstadio W.II/III: terrazzi di quota 160 – 170 nord di Rivoli e Dolcé, sospesi 50 – 60 m sull’Adige; a sab-bie argillose con qualche livello ciottoloso.

Fluvioglaciale Würm II: scaricatori del W.II e terrazzi a ghiaie grossolane con scarpate. All’interno delle cerchie W.II, il Cataglaciale è rappresentato da terreni prevalentemente argilloso – sabbiosi, con scarse ghiaie.

Fluvioglaciale Würm I: sist ema terrazzato a ghiaie grossolane e ciottolosi, raccordato colle cerchie del W.I; conoidi e alte scarpate. All’interno delle cerchie prevalgono terreni argilloso – sabbiosi.

Würm: argille lacustri sin glaciali di Incalfi, sbarrate dalla cerchia W.I. Morenico ghiaioso con terreno bruno; cerchie fresche del W.I – III; Figura 2.3.1.1/I: Stralcio della “Carta Geologica dell’anfiteatro morenico del Garda 1:25.000 – Tratto orientale e anfiteatro morenico di Rivoli ” (Venzo, 1961). Il circoletto rosso indica l’area di studio.

Da un punto di vista litologico, i terreni su cui sorge l’area di studio sono ascrivibili, con riferimento all’estratto cartografico di figura 2.3.1.1/I, all’unità costituita dai depositi cataglaciali würmiani ( Ctgl. W. II ), i quali risultano normalmente sottesi da una coltre di alterazione di natura limosa e spessore variabile. Il termine “ cataglaciale ” indica il periodo temporale compreso tra la fase di massima espansione glaciale e il successivo optimum interglaciale, nel corso del quale si individuano, per i corsi d’acqua fluvioglaciali, le maggiori portate, date dal progressivo scioglimento dei corpi glaciali. I torrenti fluvioglaciali sono generalmente caratterizzati da valori di portata molto variabili che si riflettono, conseguentemente, sulla stratigrafia e sulla granulometria dei depositi correlati. Pur presentando normalmente, al pari dei depositi fluviali, una marcata stratificazione, il più delle volte lenticolare, i depositi fluvioglaciali sono caratterizzati da un range di granulometria piuttosto vasto, compreso normalmente tra i limi, granulometria talora prevalente, e i ciottoli, generalmente caratterizzati da spigoli meno smussati rispetto a quelli riscontrabili nei depositi puramente fluviali. Non è possibile, inoltre, escludere la presenza di grossi blocchi, il cui trasporto a valle è possibile laddove l’energia della corrente lo consenta, quale risulta il caso, per esempio, del rapido svuotamento di laghetti periglaciali a seguito del collasso dello sbarramento naturale che li ha generati. Tali fenomeni risultano piuttosto comuni, nello specifico, proprio durante i periodi cataglaciali.

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Per quanto riguarda l’assetto litostratigrafico, si è fatto riferimento, ai fini della ricostruzione del modello geologico del primo sottosuolo, alle trincee esplorative effettuate durante la campagna indagini condotta, nel marzo 2014, nell’ambito del progetto per il Piano Urbanistico Attuativo denominato “Terramatta”. Nello specifico, è stato effettuato lo scavo di nr. 5 trincee esplorative che, spinte fino alla profondità massima di 5,00 m, hanno permesso di prendere diretta visione dei materiali che costituiscono il sottosuolo locale, ricostruendo nel contempo il modello geologico locale, nel seguito schematizzato.

PROF . (m) UNITÀ LITOLO GIA 0 ÷ 1,0 m Tv Terreno vegetale di natura limosa 1,0 ÷ > 5 m Gc Ghiaia ciottolosa in matrice sabbiosa

Alla luce delle risultanze emerse nel corso dello scavo delle trincee esplorative è possibile evidenziare, al di sotto di un modesto spessore di materiale d’alterazione di natura limosa, la presenza di depositi di materiali grossolani, messi in posto dai corsi d’acqua fluvioglaciali. Una ricerca effettuata sul database ISPRA ha permesso di individuare due sondaggi profondi effettuati nelle vicinanze del lotto di interesse, ubicati come riportato alla figura seguente.

730 m ca.

1000 m ca.

Figura 2.3.1.1/II: Ubicazione dei sondaggi presenti nel database ISPRA, utilizzati per la ricostruzione del modello geologico locale. Il circoletto rosso indica l’ubicazione dell’area di interesse progettuale.

L’analisi delle stratigrafie di sondaggio ha permesso di determinare, per i depositi ghiaiosi e ciottolosi, uno spessore prossimo ai 200 m, individuando un aumento di livelli limo argillosi con la profondità, i quali rivestono un interesse scarso o nullo dal punto di vista progettuale.

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2.3.2 Inquadramento geomorfologico Dal punto di vista dell’assetto geomorfologico, il territorio in esame evidenzia morfologie derivanti, oltre che dall’azione glaciale del ghiacciaio atesino, anche dall’assetto tettonico e strutturale locale, con specifico riferimento alla dorsale baldense ( in rosso in figura seguente ) che, a Nord dell’area di interesse, separa la valle del torrente Tasso e la valle dell’Adige (in celeste in figura seguente). Tale struttura lineare ha rappresentato, nel corso delle glaciazioni quaternarie, una sorta di binario lungo il quale il corpo glaciale avanzava, modellando l’odierna Val d’Adige e provocando la formazione, presso Rivoli, dell’omonimo circo glaciale. Tali morfostrutture e morfosculture delineano l’assetto geomorfologico che caratterizza, a grande scala, il territorio di interesse.

Val d’Adige

Superficie strutturale

Anfiteatro morenico di Rivoli

Figura 2.3.2/I: Immagine satellitare in cui sono evidenziati i principali caratteri geomorfologici presenti nella porzione di territorio in cui ricade l’area di interesse progettuale, ubicata in corrispondenza del circoletto nero.

Come evidenziato dallo stralcio cartografico riportato in figura 2.3.1.1/I, l’area di interesse progettuale sorge in corrispondenza dell’anfiteatro morenico di Rivoli. Il circo morenico è caratterizzato da una forma semicircolare molto regolare, avente un diametro di circa 5 km. Le dimensioni ridotte rispetto al circo morenico benacense sono da ricondurre alle minori dimensioni della lingua glaciale che, a partire dallo spartiacque alpino della catena baldense, percorreva la Val d’Adige fino al suo sbocco presso Rivoli, circa 1 km a Nord – Est del lotto di interesse.

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Nello specifico, l’area in oggetto sorge nel settore centrale dell’anfiteatro morenico di Rivoli, in un’area subpianeggiante compresa tra gli archi morenici più recenti, ad una quota pari a circa 198 m s.l.m.. Nelle immediate vicinanze del lotto, gli archi morenici sono individuabili tramite le alture, di forma allungata, chiaramente riconoscibili sul territorio ed evidenziate nell’ortofoto riportata nella figura sottostante.

Figura 2.3.2/II: Ortofoto della porzione di territorio in esame. In nero sono evidenziati i cordoni morenici, le frecce blu indicano i paleoalvei dei corsi d’acqua fluvioglaciali, corrispondenti alle piane inframoreniche descritte nel testo. In rosso è indicato il sito di interesse progettuale.

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Scendendo maggiormente nel dettaglio del lotto di interesse progettuale, è possibile evidenziare come esso sia caratterizzato, come si evince dalla figura seguente, da una morfologia sostanzialmente pianeggiante, senza risultare interessato da discontinuità morfologiche di particolare rilievo. Nelle vicinanze del lotto di interesse progettuale è comunque riconoscibile, seppur parzialmente obliterato dall’urbanizzazione del territorio, un piccolo orlo di terrazzo fluviale (di altezza massima pari a circa 2,5 metri), riconducibile probabilmente ad uno dei torrenti fluvioglaciali che scorrevano lungo le piane inframoreniche dell’anfiteatro di Rivoli.

Figura 2.3.2/III: Immagine aerea dell’area di interesse progettuale. È possibile riconoscere la morfologia sostanzialmente pianeggiante e, in basso a sinistra, l’orlo di terrazzo citato nel testo ( in azzurro ).

Alla luce di quanto fin qui descritto, si evince che l’area di interesse è piuttosto stabile, non essendo stata rilevata alcuna criticità di tipo geologico o geomorfologico attiva o quiescente.

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2.3.3 Inquadramento strutturale Da un punto di vista geologico – strutturale, la zona di studio ricade all’interno della regione gardesana - baldense, la quale va inquadrata nello schema tettonico della regione sudalpina, sinteticamente rappresentata nella figura seguente.

Figura 2.3.3/I: Schema strutturale delle Alpi meridionali a Sud dell’allineamento della grande discontinuità insubrica (da “Quattro itinerari naturalistici nel veronese occidentale” – Giovanni Albertini). In rosso è indicata l’area in esame.

Il territorio gardesano - baldense risulta in generale interessato da numerose faglie verticali o sub-verticali mentre, ad eccezione dell’anticlinale del Monte Baldo, non vi sono strutture plicative di un certo rilievo.

Figura 2.3.3/II: Schema delle discontinuità tettoniche che stanno alla base della sismicità dell’area gardense (“Il Lago di Garda”, U. Sauro et alii, 2001). L'intero territorio sudalpino e nello specifico quello baldense, appare scomposto in "blocchi" livellati tra loro per la ridotta entità dei rigetti, con uguale inclinazione verso il lago e prodotti dall'intreccio di due principali sistemi di fratturazione.

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1. Il primo di tali sistemi di faglia è rappresentato da quelle discontinuità tettoniche che risultano parallele alla linea di costa con direzione approssimativa NNE – SSO. Esse sono quindi collegate geneticamente alla Linea delle Giudicarie, posta più a Nord Ovest, e si sono originate in seguito all'accentuarsi dei movimenti compressivi determinati dalle fasi orogeniche paleogeniche e neogeniche. Sono per lo più interpretate come faglie a movimento trascorrente o transpressivo, il cui effetto produce modesti rigetti altimetrici tra i lembi a contatto. 2. Il secondo sistema di faglie è costituito da quei lineamenti a direzione NO – SE che interessano in modo più o meno accentuato il versante occidentale del Monte Baldo e sono geneticamente legate al sistema scledense (Faglia di Schio – Vicenza). L'origine di tali faglie sembra essere riconducibile non tanto a variazioni nella direzione delle spinte orogeniche, tuttora in corso, quanto alla differente ripartizione quantitativa delle forze compressive nell'ambito dell'anticlinale. Dal punto di vista sismotettonico, sulla base della cinematica, della geodinamica e dell’evoluzione tettonica nel Pleistocene medio – Olocene, l’Italia Nord – orientale è suddivisibile in quattro unità cinematico – strutturali (v. figura 2.3.3/III). Il sito in esame ricade nel “Settore meridionale del Sudalpino”, l’unità contraddistinta dall’attività neotettonica e sismica più elevata. In tal senso, sebbene si segnali la presenza di faglie trascorrenti con direzioni comprese tra NO – SE e NNE – SSO, solo in pochi casi mostrano rilevanza da un punto di vista sismotettonico.

Figura 2.3.3/III: Estratto dalla carta delle “ Unità cinematico – strutturali dell’Italia Nord Orientale ” (Slejko et alii, 1987 ). Legenda : 1 = Settore settentrionale delle Alpi Meridionali; 2 = Dinaridi Esterne; 3 = settore meridionale del Sudalpino; 4 = avampaese sudalpino – appenninico . Limiti tettonici: a = Lineamento Insubrico separante le Alpi s.s. dalle Alpi Meridionali; b = linea della Valsugana (a occidente) e Linea Fella – Sava (ad oriente); c = fronte del Sudalpino; d = fronte delle Dinaridi Esterne; e = linea Schio – Vicenza. In rosso l’ubicazione del sito di studio.

Entrando ancora più nel dettaglio, con riferimento alla Figura 2.3.3/IV, tratta dal “Modello sismotettonico dell’area fra il Lago di Garda e il Monte Grappa”, si evidenziano le Unità strutturali e le Fasce sismotettoniche. Le Unità strutturali mostrano ciascuna una propria omogeneità geologico – strutturale (formazioni geologiche con medesimo significato tettonico)

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Gestione ambiente e presentano un’attività neotettonica prevalentemente di tipo areale con sismicità ridotta. Le Fasce sismotettoniche coincidono con i limiti fra le Unità strutturali e hanno un’attività neotettonica di tipo lineare e denotano una più frequente attività sismica.

Figura 2.3.3/IV: Modello sismotettonico dell’area fra il Lago di Garda e il Monte Grappa (Panizza et alii, 1987).

La porzione di territorio in esame ricade nell’area definita come “Fascia Baldo – Adige”, caratterizzata da una deformazione tettonica che, coinvolgendo la sequenza rocciosa sepolta sotto le coltri moreniche quaternarie del Garda, si sviluppa a partire da Rovereto lungo la catena del Monte Baldo fino ad arrivare all’altezza di . Questa fascia sismotettonica è interessata da un insieme di strutture giudicariensi molto accentuate associate a strutture trasversali, soprattutto nella parte settentrionale. Fra di esse, le strutture del Baldo risultano notevolmente attive dal punto di vista neotettonico. Complessivamente l’approfondito studio della tettonica locale sembra in qualche modo testimoniare che le numerose faglie rilevate nella regione abbiano avuto più che altro funzione di compensazione delle spinte tangenziali o verticali recenti; non avrebbero cioè dato ancora luogo a rilevanti spostamenti. Analizzando il territorio di interesse dal punto di vista della neotettonica, con specifico riferimento al “Catalogo delle faglie capaci - ITHACA” redatto dall’ISPRA e di cui si riporta un estratto nella figura alla pagina seguente, in corrispondenza dell’area Garda – Baldo si segnalano tre importanti lineamenti tettonici orientati in direzione NNE – SSO. Tali strutture sono ritenute “faglie capaci” dal momento che hanno generato fagliazione superficiale durante un evento sismico negli ultimi 20.000 anni , risultando così potenzialmente in grado di creare nuove deformazioni in superficie.

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Figura 2.3.3/V: Mappa delle “faglie capaci” del catalogo ITHACA (a cura dell’ISPRA), con evidenziati gli elementi rilevanti all’interno della porzione di territorio in esame. In giallo il sistema del “Dosso della Croce”. In azzurro la “Faglia Pesina”, e in magenta la “M. Pastello line”.

Il primo elemento sismogenetico presente nel territorio di interesse è la faglia denominata “Pesina”, la quale si sviluppa per circa 2 km in direzione NNO – SSE a Nord – Est dell’anfiteatro morenico di Rivoli, nel comune di Caprino Veronese. A Nord del sito di interesse progettuale è stato individuato il sistema di faglie denominato “Dosso della Croce”. A Ovest dell’area di interesse si evidenzia la presenza della faglia “M. Pastello line”. Tutti gli elementi tettonici citati hanno evidenziato segni di attività negli ultimi 10.000 anni.

2.3.4 Sismicità Per delineare la sismicità storica della porzione di territorio in cui ricade il sito di interesse progettuale si è fatto specifico riferimento alle seguenti carte tematiche, delle quali sono stati riportati alcuni stralci alla pagina seguente: 1. “Catalogo dei Forti Terremoti d'Italia ” precedenti all’anno 1997 (I.N.G.V.); 2. Italian Seismological Instrumental and Parametric Database - ISIDE.

Analizzando il “Catalogo dei Forti Terremoti d'Italia” redatto dall'I.N.G.V. è possibile osservare come fino al 1997 in corrispondenza della zona di Verona si siano registrati eventi con magnitudo compresa tra 5,0 e 5,5.

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Figura 2.3.4/I: Estratto dal “ Catalogo dei forti terremoti d'Italia ” che riporta ubicazione e magnitudo dei maggiori sismi registrati nella regione esaminata (I.N.G.V.). In rosso il sito oggetto di studio.

Per quanto riguarda infine il periodo successivo al 1997, come riportato dal database ISIDE (“ Italian Seismological Instrumental and Parametric Database ”), in corrispondenza della regione esaminata non sono stati registrati eventi tellurici di magnitudo superiore a 3,4.

M = 3, 4

Figura 2.3.4/II: Ubicazione e magnitudo dei maggiori sismi registrati dal 1997 nella regione esaminata (fonte Italian Seismological Instrumental and Parametric Database - ISIDE). In blu l’ubicazione del sito oggetto di studio.

La normativa vigente definisce la pericolosità sismica di base del sito di costruzione in termini di accelerazione massima orizzontale attesa a g in condizioni di campo libero su sito di

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riferimento rigido (V S30 >800 m/s) con superficie topografica orizzontale, nonché di ordinate dello spettro di risposta elastico in accelerazione ad essa corrispondente S e(T), con riferimento a prefissate probabilità di superamento (Pv R), in funzione del periodo di riferimento V R. L’O.P.C.M. 3274/03 classifica il Comune di Rivoli Veronese in zona 3, caratterizzata da un valore di a g pari a 0,15.

Rivoli Veronese

Figura 2.3.4/III: Zone sismiche del Veneto.

2.3.5 Tipologia dei suoli e Qualità dei suoli a scala provinciale

La natura di suolo presente in un’area è fortemente influenzata dal tipo di roccia del substrato, ma soprattutto dal clima della zona. La Provincia di Verona comprende una grande varietà di ambienti caratterizzati da diverse condizioni geologiche, geomorfologiche, climatiche e di vegetazione, con conseguente diversificazione dei suoli. In tal senso si fa riferimento alla “Carta dei Suoli” edita dalla Regione Veneto nel 2005 alla scala 1:50.000 in cui si evidenzia che i suoli presenti in corrispondenza dell’area in esame appartengono alle provincie di suoli “AA” e “AR” e, più precisamente, al sistema di suoli “AA1” rappresentativo delle aree dell’Alta pianura.

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Figura 2.3.5/I: “ Carta dei suoli della provincia di Verona ”. Evidenziata in grigio la descrizione del sistema di suolo presente in corrispondenza del sito oggetto di studio.

Figura 2.3.5/II: “ Carta dei suoli della provincia di Verona ”. Descrizione delle tipologie di suolo di interesse.

L’osservatorio Regionale Suolo dell’ARPAV ha avviato da alcuni anni la raccolta sistematica dei dati di qualità del suolo disponibili nella regione. Tale banca dati è costituita da tutti i dati raccolti direttamente dall’Osservatorio o reperiti presso altri enti e comprende le osservazioni, le analisi chimico-fisiche e la cartografia pedologica. E’ evidente che l’antropizzazione del territorio generi una distorsione degli equilibri naturali. In particolare l’agricoltura, fattore antropico preponderante nell’area di indagine, ha avuto come effetti la perdita di sostanza organica, per l’uso sempre più imponente di concimi chimici di sintesi, e lo stravolgimento dell’originario assetto morfologico del territorio a causa dei grandi movimenti di terra operati per l’impianto di vigneti e della compattazione dei suoli connessa con l’uso di macchinari sempre più potenti e pesanti . Gli elementi chimici coinvolti nei fenomeni di inquinamento dei suoli sono in genere: cadmio, cobalto, cromo,rame manganese, nichel, piombo,zinco e molibdeno. Numerosi processi danno luogo a contaminazione dei suoli con sostanze inquinanti: le attività industriali, direttamente (fiumi,acque di scarico) o indirettamente (combustibili, vernici, pneumatici, diossine); le attività civili (traffico veicolare in particolare), le pratiche agrarie( i pesticidi, in particolare i fungicidi, i liquami di fattoria).

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Gli indicatori ambientali che l’ARPAV della Regione Veneto ha utilizzato per individuare la qualità del suolo sono: la concentrazione di piombo, di rame, di zinco, di cadmio, di nichel, di cromo e di PCB. Di seguito si riportano le figure che rappresentano le varie concentrazioni degli indicatori sopra riportati.

Figura 2.3.5/III: Mappe con interpolazione spaziale delle concentrazioni di vari inquinanti misurate nei suoli della Provincia di Verona (Dipartimento provinciale ARPAV Verona)

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Figura 2.3.5/IV: Mappa con interpolazione spaziale delle concentrazioni di Piombo misurate nei suoli della Provincia di Verona (Dipartimento provinciale ARPAV Verona)

Alla pagina seguente si riportano alcune valutazioni relativamente alle concentrazioni rilevate nel dettaglio dell’area di interesse.

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La concentrazione di Cadmio nel suolo è funzione delle caratteristiche delle rocce originarie e dell’utilizzo di sostanze quali antiparassitari e fertilizzanti, pertanto anche in questo caso i valori di cadmio saranno più elevati nelle zone agricole che in quelle residenziali. Nell’area di studio le concentrazioni di cadmio risultano essere variabili in un range tra 0.3 e 0.6 mg/kg, in linea con la media provinciale, pari a 0,6 mg/kg per le aree agricole. Il piombo è presente in diversi minerali costituenti naturalmente le rocce e la sua presenza è pertanto riconducibile in parte ai substrati geologici. Il contenuto può essere accresciuto dall’attività antropica agricola ed industriale, ma anche mediante ricaduta atmosferica. Nell’area d’interesse i valori di Piombo risultano essere compresi tra 40 e 80 mg/kg, in linea con la media provinciale, pari a 46,9 mg/kg per le aree agricole. La gran parte delle rocce e dei suoli contengono piccole quantità di cromo. Il contenuto in cromo nel suolo è riconducibile in parte a processi di degradazione dei substrati geologici da cui i suoli traggono origine ma in parte è funzione dell’utilizzo sul suolo di sostanze contenenti metalli pesanti, connessi per esempio ad alcuni sottoprodotti dell’industria conciaria. Anche le aree agricole presentano concentrazioni sensibilmente più elevate della media. Nell’area di progetto i livelli di cromo risultano compresi tra 0 e 20 mg/kg, inferiore alla media provinciale, pari a 31,1 mg/kg per le aree agricole. Il rame ed i suoi composti derivati sono ubiquitari nell’ambiente. La concentrazione di tale elemento è funzione delle caratteristiche dei materiali originari e dell’utilizzo di sostanze contenenti metalli utilizzati nel suolo, in particolare connessi con la fertilizzazione con reflui zootecnici. Ne consegue che le aree agricole presentano concentrazioni di rame superiori rispetto alle aree residenziali. Nell’area di interesse i valori di Rame risultano essere compresi tra 30 e 60 mg/kg, leggermente inferiore alla media provinciale, pari a 59,0 mg/kg per le aree agricole. Il contenuto di nichel nel suolo è funzione delle caratteristiche dei materiali geologici di origine e dall’utilizzo sul suolo di sostanze contenenti metalli pesanti, utilizzate per la difesa antiparassitaria o per la fertilizzazione. Nell’area di studio i valori di Nichel risultano essere compresi tra 25 e 50 mg/kg, in linea quindi con la media provinciale, pari a 46,4 mg/kg per le aree agricole. Lo zinco si trova libero in natura allo stato nativo, ma sempre sottoforma combinata con i suoi minerali. La concentrazione di zinco nel suolo è riconducibile a processi naturali dei degradazione dei substrati geologici da cui traggono origine. Inoltre lo zinco è utilizzato nella produzione di pesticidi e fungicidi, e può pertanto essere presente in quantità elevate nelle deiezioni zootecniche. Nell’area di interesse i valori di mercurio risultano essere compresi tra 75 e 100 mg/kg, in linea con la media provinciale, pari a 86,6 mg/kg per le aree agricole Il mercurio è generalmente disperso nelle matrici ambientali da fattori principalmente antropici. Attività che potenzialmente determinano un aumento delle concentrazioni di mercurio nell’ambiente sono principalmente ascrivibili alla combustione del carbon fossile e a particolari attività estrattive, messe al bando dalla Comunità Europea e ovviamente non presenti nel territorio in esame. Nell’area di interesse non si rilevano concentrazioni rilevabili di mercutio. A differenza dei metalli pesanti la cui presenza può essere ricondotta a fattori naturali, alcuni macroinquinanti organici come i PCB (Policlorobifenili) sono stati introdotti nell’ambiente dall’uomo e la loro origine è riconducibile esclusivamente alle attività antropiche civili e industriali. Dall’osservazione della relativa mappa delle interpolazioni risulta evidente come la distribuzione di PCB su tutto il territorio provinciale sia ubiquitaria e piuttosto omogenea a dimostrazione che tale territorio è ben rimescolato. In ogni caso la concentrazione di PCB in aree urbanizzate è più elevato rispetto a quello delle aree montane, a dimostrazione che le aree urbane ed industriali rappresentano una fonte di emissione di PCB. L’area di studio è caratterizzata da valori di PCB compresi tra 1 e 5 µg/kg, in linea quindi con la media calcolata per le aree agricole della provincia di Verona, che si attesta su valori di 1,9 µg/kg.

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2.4 Flora, Fauna ed Ecosistemi 2.4.1 Premessa L’anfiteatro morenico del Garda, in un paesaggio agrario pressoché monotono e ripetitivo, a causa di un appiattimento degli indirizzi produttivi e dello sfruttamento intensivo delle colture, risulta tra i pochi elementi ad alto valore paesaggistico presenti, essendo il maggiore ed il più regolare anfiteatro naturale a Sud delle Alpi, con uno sviluppo di circa un centinaio di chilometri e forma ad ampio semicerchio, da Gardone-Salò a Cavriana-Valeggio, sino a Garda e S. Zeno di Montagna. L'ambiente delle colline moreniche gardesane ha perso gran parte della sua naturalità come conseguenza all'omogeneizzazione dell'ambiente e l'abbandono di tecniche colturali tradizionali hanno determinato una forte riduzione della diversità in specie animali presenti. Parallelamente, si osserva la tendenza da parte di alcune specie di costituire forti popolazioni all'interno degli ambienti urbani, poiché sono in grado di offrire un buon rifugio dai predatori, un microclima favorevole, anche in relazione alla minore concentrazione di alcuni composti chimici utilizzati nelle campagne e, soprattutto, cibo. Il territorio in esame è localizzato in Provincia di Verona, in Comune di Rivoli Veronese. L’area interessata dal progetto in esame si inserisce in un contesto agricolo, come si ricava dalla “Figura 1/I: Carta dell’uso del suolo - CLC 2006 Livello 1” riportata al Cap. 1 Uso del suolo del presente studio. L’area d’intervento risulta classificata, infatti, come 2.1.2. Seminativi in aree irrigue , nel dettaglio come 2.1.2.1. Mais in aree irrigue per l’intera superficie di progetto. Le aree circostanti sono destinate prevalentemente all’agricoltura, con una prevalenza della coltura del vigneto e di seminativi in aree irrigue.

Questa parte del quadro di riferimento ambientale ha lo scopo di riportare gli esiti dell’indagine sul contesto floro-faunistico-ecosistemico del Comune di Rivoli Veronese, con particolare attenzione all’area oggetto di studio. Lo studio svolto è fondato su elementi rilevati con: − esplorazione diretta nell’area oggetto di studio, con sopralluoghi mirati nei siti più interessanti o in quelli che destavano dubbi nell’interpretazione della cartografia e delle foto aeree a disposizione; − l’ausilio della bibliografia disponibile, in modo da confrontare le rilevazioni operate con dati certi e assodati.

L’analisi dello stato attuale della flora e della fauna presenti è stata prevalentemente condotta tramite ricerca qualitativa dei popolamenti, ovvero sulla provata presenza di una specie senza approfondire il dato numerosità dei soggetti rilevati e alla consultazione delle maggiori associazioni naturali-ambientalistiche presenti sul territorio (LIPU, WWF, ENPA, LEGAMBIENTE, ITALIA NOSTRA). La mancata quantificazione dei soggetti presenti è giustificata dall’assenza di specie di particolare pregio, come emergerà nel seguito della descrizione. Lo studio si concretizza attraverso: − la caratterizzazione della vegetazione potenziale e della flora presente o presumibile sull’intero territorio analizzato; − la caratterizzazione della fauna presente o presumibile sull’intero territorio analizzato; − la descrizione dell’ecosistema specifico dell’area d’esame;

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− l’individuazione di specie vegetali e animali a rischio di estinzione a livello regionale, nazionale, europeo e globale; − l’applicazione alle normative Europee, Nazionali e Regionali in tema di mantenimento degli habitat e di tutela delle specie (direttive CEE 92/43 e 79/409, D.P.R. 357/97, Delibere G.R.V. 1662/01, in relazione ai siti d’interesse comunitari/zone a protezione speciale del “ Monte Baldo Est ” e della “ Fiume Adige tra Belluno Veronese e Verona Ovest ”, i più vicini all’area di progetto.

2.4.2 Vegetazione potenziale Per un iniziale inquadramento della vegetazione forestale potenziale presente nell’area oggetto di studio, appartenente al territorio comunale di Rivoli Veronese, si prende a riferimento la carta forestale della Regione Veneto scala 1: 50.000. La suddetta carta è stata redatta sulla base delle fasce fitoclimatiche secondo la classificazione di Mayr (1906), il quale, basandosi sulla distribuzione di caratteristici tipi di vegetazione arborea forestale, ha identificato sei zone climatiche caratterizzate, appunto, da una vegetazione tipica ( Palmetum, Lauretum, Castanetum, Fagetum, Picetum, Alpinetum ). Successivamente Pavari (1916) ha rielaborato la classificazione di Mayr integrandola con dei precisi parametri climatici di temperatura e piovosità rendendo lo schema più aderente alla realtà naturale e molto meglio definito anche con l’utilizzo delle sottozone (calda, media e fredda) e dei tipi, a seconda della distribuzione delle piogge. La zona fitoclimatica di appartenenza dell’area in esame, secondo la definizione del Pavari, denota la presenza di una vegetazione riferibile alla fascia del Castanetu, caratterizzate da una discreta varietà di tipi vegetazionali e di forme strutturali. La vegetazione potenziale nel territorio in esame, secondo la classificazione del Pignatti (1994), è rappresentata da formazioni boschive del querco-carpineto. Un più dettagliato inquadramento vegetazionale si può realizzare attraverso l’utilizzo delle “Tipologie Forestali” individuate nella pubblicazione: “La vegetazione Forestale del Veneto – Prodromi di tipologia forestale” di R. Del Favero ed altri (1990) e integrate con la pubblicazione “Biodiversità e indicatori nei tipi forestali del Veneto” di R. Del Favero ed altri (1999). L’utilizzo delle tipologie individuate nelle suddette pubblicazioni è previsto anche dalla normativa regionale in materia di pianificazione forestale.

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Area d’indagine

Figura 2.4.2/I: Estratto della “ Carta delle distribuzioni delle Regioni Forestali” (Fonte: “I Boschi delle regioni Alpine Italiane” di R. Del Favero ed altri 2004)

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Area d’indagine

Figura 2.4.2/II: Estratto della “ Carta delle precipitazioni medie annue” (Fonte: “I Boschi delle regioni Alpine Italiane” di R. Del Favero ed altri 2004)

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Area d’indagine

Figura 2.4.2/III: Estratto della “ Carta delle temperature medie annue” (Fonte: “I Boschi delle regioni Alpine Italiane” di R. Del Favero ed altri 2004)

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Area d’indagine

Figura 2.4.2/IV: Estratto della “ Carta delle fasce Altitudinali Funzionali della Vegetazione Forestale” (Fonte: “I Boschi delle regioni Alpine Italiane” di R. Del Favero ed altri 2004)

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Nell'area di studio la vegetazione potenziale, quindi, è rappresentata da formazioni boschive del querco-carpineto, rientranti nell'orizzonte delle latifoglie elìofile del piano basale, suborizzonte submediterraneo, ma sovente si riscontra un trapasso dalle specie più marcatamente termofile alle specie più moderatamente mesofile del suborizzonte submontano. L'attività antropica ha provveduto, nel corso degli anni, a sostituire le formazioni boschive naturali con aree coltivate e urbanizzate. A proposito del sistema vegetazionale potenziale dell’area in esame, possiamo distinguere: SUOLI CON CONDIZIONI IDRICHE INTERMEDIE (prevalenti) FORMAZIONI ARBOREE : boschi misti di latifoglie caducifoglie centroeuropee meso-igrofile dominati dalla roverella ( Quercus pubescens - Classe Querco-Fagetea , Ordine Fagetalia sylvaticae ) • suoli freschi, poco profondi senza ristagno idrico: VEGETAZIONE CLIMAX - Boschi xero/mesofilli (querco-carpineto)

La vegetazione naturale potenziale nell’area in esame, dunque, è rappresentata da formazioni forestali di latifoglie decidue ( Classe Querco-Fagetea ) mesofile e igrofile di impronta centroeuropea ( Ordine Fagetalia sylvaticae) dominate dalla roverella ( Quercus pubescens ), la cui composizione varia principalmente in funzione dello stato idrico del suolo. Questo tipo di vegetazione è inquadrato nel cingolo del Quercion pubescentis che segna in un certo senso il passaggio tra l'ambiente mediterraneo e quello alpino. L'elemento più diffuso è la roverella ( Quercus pubescens ), essenza nettamente termofila, per questo adatta a popolare i pendii soleggiati e quindi asciutti non solo del Baldo, ma anche quelli relativi alle propaggini meridionali delle prealpi. Ne risulta un querceto xerofilo caducifoglio. Difficilmente la roverella forma boschi veri e propri, ma piuttosto nuclei boscosi, avendo questo ambiente subito costantemente l'influenza dell'uomo. Su terreni leggermente più freschi, più ricchi di humus, predilige il carpino nero ( Ostrya carpinifoglia ), specie abbondantemente presente e al pari della roverella talora sottoposta a taglio da parte dell'uomo. Viene ad emergere in questa situazione una vegetazione boschiva, l'ostrieto, che può dirsi costituito da un insieme di cenosi caratterizzate da carpino nero, orniello ( Fraxinus ornus ), roverella e talora da qualche esemplare di cerro ( Quercus cerris ). Altre specie legnose che si incontrano con frequenza sono il nocciolo ( Corylus avellana ), il pero corvino ( Amelanchier ovalis ), il ligustro ( Ligustrum vulgare ), l'emero ( Coronilla emerus ), mentre tra le erbacee significative sono la rosa di Natale ( Helleborus niger ), l'erba trinità ( Hepatica nobilis ) e l'erba limona ( Melittis melissophyllum ). Per ricapitolare la situazione potremmo dire che nel climax del Quercion pubescentis si possono in pratica individuare due tipi di boschi, o meglio due facies di una stessa boscaglia, una maggiormente legata a condizioni termofile-xerofile con l'albero di Giuda ( Cercis siliquastrum ), il bagolaro ( Celtis australis ) e lo scotano ( Cotinus coggygria ) ed una legata a condizioni più fresche e a terreno più umido che privilegia il castagno.

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Orno – ostrieto tipico Ostrio-querceto a scotano

Figura 2.4.2/V: Tipologie forestali individuate

2.4.3 Flora e vegetazione presente nell’area vasta di studio L’ambiente oggetto di studio è stato analizzato grazie all’ausilio di foto aree, a rilievi condotti direttamente in campo e attraverso consultazione bibliografica degli studi effettuati in precedenza sulla zona oggetto di studio. Per mezzo della foto - interpretazione degli scatti in quota si è estrapolata una prima indicazione di merito sulla copertura vegetale presente; successivamente la suddetta è stata verificata ed integrata tramite rilievi in loco. L’area di analisi si estende per un raggio di circa 2 km attorno alla zona destinata al progetto in esame.

All’interno dell’ambito di progetto non sono stati individuati habitat ed habitat di specie inseriti negli allegati della Direttiva 92/43/CEE. Un aspetto della vegetazione presente sono le colture agrarie riscontrabili sia all’esterno che all’interno del perimetro dell’area in esame. Tra le colture tipiche della zona c’è tradizionalmente la vite, coltivata sia in terreni pianeggianti che sui versanti molto pendenti ed i seminativi in aree irrigue.

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Figura 2.4.3/I: Ortofoto dell’area in esame.

Figura 2.4.3/II: Ortofoto del contesto dell’area in esame.

Le colline moreniche e le vallette intermoreniche, queste ultime caratteristiche del territorio in cui si inserisce il progetto analizzato, sono formate da materiali incoerenti misti di provenienza atesina, costituiti da ciottoli, ghiaie, sabbie e limi a natura prevalentemente calcareo dolomitica. I suoli pertanto sono caratterizzati da una notevole permeabilità, siccitosi ed aridi nelle zone più elevate, per cui la vegetazione spontanea è di tipo xerofilo. La vegetazione naturale dell'area morenica si presenta con una notevole variabilità legata a fattori climatici, morfologici ed edafici. Si rinvengono, così, fasce di bosco, prevalentemente sulle pendici delle colline esposte a nord, a volte interrotte da piccole zone prative fresche, prati aridi sui crinali e sui versanti a sud e ad est, zone umide e laghetti a vegetazione palustre nelle depressioni intermoreniche, corsi d'acqua minori con tipica vegetazione di ripa.

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Nel complesso, però, tali ambienti vegetali presentano forti caratteristiche antropiche dovute ad azioni di asporto di inerti, di terrazzamento dei versanti meno ripidi per la coltivazione della vite, ma soprattutto dovute allo sviluppo di una urbanizzazione diffusa sul territorio non basata su effettive analisi dei fattori ambientali limitanti. Il clima, influenzato dalla vicinanza del lago di Garda, è meno rigido di quello del restante territorio; le escursioni termiche sono meno accentuate e ciò permette la crescita di numerose specie tipiche dei climi mediterranei. Tra le piante coltivate, l'olivo (Olea europaea L.) , introdotto in Epoca Romana, è ora ampiamente coltivato sulle sponde del lago. Altre due piante introdotte in Epoca Romana sono il mandorlo (Prunus dulcis Webb.) e il cipresso (Cupressus sempemirens L. ). Il cipresso si è così ben inserito nell'ambiente da costituire oggi uno degli elementi più rappresentativi del paesaggio gardesano. Per quanto riguarda la vegetazione spontanea, le specie rilevate sono quelle dei boschi steppici collinari, dei boschi di Roverella e Carpino nero, dei boschi di Cerro, dei prati aridi e la flora rupicola termofila e igrofila degli avvallamenti morenici. Le superfici boscate relitte dell'area morenica gardesana in esame sono cedui, in prevalenza invecchiati oltre il turno normale di utilizzazione; hanno tutti ridottissima estensione avendo subito forti riduzioni a favore dell’ utilizzazione agraria. In prevalenza risultano presenti formazioni a Roverella, Carpino nero ed Ornello. Queste formazioni sono localizzate esclusivamente a nord e nord-est del territorio in esame, dove i suoli sono generalmente del tipo suoli bruni calcarei, con tessitura sciolta, ricchi di scheletro, calcarei in superficie e molto calcarei in profondità, a drenaggio buono. Le specie arboree che caratterizzano le aree boscate in esame sono la Roverella (Quercus pubescens Willd.) , il Carpino nero (Ostrya carpìnifolia Stop.); possono partecipare, con sporadici individui, anche il Cerro (Quercus cerris L.) e l’Orniello (Fraxinus ornus L.). Lo strato arbustivo è costituito da Orniello, spesso estremamente invadente, Emero (Coronilla emerus L.) , Ciavardello (Sorbus torminalis Crantz) , Ligustro (Ligustrum vulgare L.) , Biancospino (Crataegus monogyna L.) , Bagolaro (Celtis australis L.) , Lentaggine (Viburnum lantana L.) , Scotano (Cotinus coggygria Scop.) , Ciliegio canino (Prunus rnakaleb L.) , Ginepro (Junìperus spp.) , completa lo strato arbustivo il Pungitopo (Ruscus aculeatus L.) . Altri arbusti presenti sono il Nespolo (Mespìlus germanica L.) e il Corniolo (Cotnus mas L.) . Il piano arboreo e quello arbustivo sono intessuti da epifite e liane come l’Edera (Hedera helix L.) , Vitalba (Clematis vitalba L.) e il Caprifoglio (Lonicera ca- prifolium L.) . Ai piedi degli alberi, tra gli arbusti più bassi, vegetano numerose specie erbacee. Quste crescono rade e distanziate, così che buona parte del suolo boschivo resta completamente nudo. Tipici dello strato erbaceo sono: Primula vulgaris Huds., Vinca minor L., Dianthus seguieri Vill., Fragaria vesta L., Muscari botryoides Mill., Viola alba Bess., Viola canina L., Viola reichenbachiana Jord., Campanula glomerata L. e, tra le Orchidee, Limodorum abortivum Sw., Cephalanthera longifolìa Fritsch, Platanthera bifolìa Rich., Orchìssimia Scop , Orchis ustulata L., Orchis maculata L., Orchis sambucina L. e Gymnadenia conopsea R. Br . Nei boschi di Roverella è possibile riscontrare anche la presenza dell’ Helleborus niger L., Helleborus foetidus L. , e del più raro Erythronium dens-canis L.. Sulle esposizioni est e sud, quando queste ultime non vengono coltivate a vigneto, su suoli erosi, molto sottili, estremamente calcarei, in corrispondenza quindi di accentuate condizioni di aridità stazionale, le formazioni di querco-carpineti evolvono in senso steppico, diventando molto radi con individui di scarsa statura, sovente allo stato arbustivo. Quest’ultimo, molto rado, è formato da specie spiccatamente xerofile quali lo Scotano (Cotinus coggygria Scop.) , il Ginepro (Junìperus communis L.) , la Marruca (Paliurus spinachristi Mill.) , la Rosa di macchia (Rosa canina L.) , la Ginestra spinosa (Genista germanica L.) , il Citiso scuro (Lembotropis nigricans. Griseb.) e il Citiso peloso (Chamaecytisus hirsutus Link.) ; molto rari Cytisus sessilifolius L. e Chamaecytisus purpureus Link . Il suolo è ricoperto da una cotica continua di Graminacee (Bromus erectus Huds., Dactylis glomerata L., Chrysopogon gryllus Trin., Brachypodium sylvaticum Beauv) con specie che compongono normalmente i prati aridi; tra queste Pulsatilla montana Reich, Aster amellus L., Aster linosyris Bernh., Campanula glomerata L., Dianthus seguieri Vill. Dianthus sylvestris Wulf., Globularia punctata Lap., Viola hirta L., Limodorum abortivum Sw.

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Il Pungitopo (Ruscus aculeatus L.) è localizzato esclusivamente all'ombra delle piante e degli arbusti presenti. Sui versanti soleggiati, cresce tra bassi cespugli l'Erica arborea (Erica arborea L.) , mentre, in ambiente simile, si può trovare anche il Dictamnus albus L. Il piano arbustivo, sempre fitto in queste formazioni là dove non è intervenuto l'uomo, è formato da: Lentaggine (Uiburnum lantana L.) , Ligustro (Ligustrum vulgare L.), Ginepro (Juniperus communis L.) , Biancospino (Crataegus monogyna Jacq.) , Caprifoglio (Lonicera caprifolium L.) , Pungitopo ( Ruscus aculeatus L.) , Ginestra spinosa (Genista germanica L.) , Citiso peloso (Chamaecytisus hirsutus Link.) , Vitalba (Clematis vitalba L.) , Edera (Hedera helix L.) . Compare anche soggetto di Nocciolo (Corylus avellana L.). Altri ambienti umidi sono rappresentati dagli specchi d'acqua artificiali, di origine antropica, e dalle rive dei corsi d'acqua minori. Lungo le rive dei corsi d'acqua e degli stagni si trovano fasce di vegetazione poco ampie, spesso discontinue, costituite in prevalenza da Salice bianco (Salix alba L.) , Salice da ceste (Salix triandra L.) , Salice cinereo (Salix cinerea L.) , Ontano nero (Alnus glutinosa Gaertn.) , Pioppo nero (Populus nigra L.) , Pioppo bianco (Populus alba L. ), Pioppo ibrido (Populus canadensis L.) , Platano (Platanus hybrida Brot.) , Olmo (Ulmus minor Mill.) , Frassino meridionale (Fraxinus oxycarpa Bieb. ), Nocciolo (Corylus avellana L.) , Sambuco (Sambuco nigra L.) e Palla di neve (Uiburnum opulus L.) . Nello strato arbustivo vegetano la Frangola (Frangola alnus Mill. ), il Luppolo (Humulus lupulus L.) e la Dulcamara (Solanum dulcamara L.) . Le specie erbacee che crescono in questi luoghi sono le stesse che troviamo lungo le rive e nelle praterie umide degli ambienti umidi planiziali come la Carex elata All., Carex acutiformis Ehrh., Carex riparia Curt., Carex vesicaria L., Carex flava L., Cyperus longus L., Euphorbia palustris L., Galium palustre L., Genista tinctoria L., Gratiola officinalis L., Hypericum tetrapterum Frìes, Iris pseudacorus L., Leucojum aestivum L., Lysimachia vulgaris L., Lythrum salicaria L., Mentha aquatica L., Myosotis scorpioides L., Nasturtium officinale R, Br., Polygonum hydropiper L., Polygonum persicaria L., Schoenoplectus lacustris Palla, Scropbularia nodosa L., Sparganium erectum L., Stachys palustris L., Symphytum officinale L., Thelypterìs palustris Schott, Typha latifolia L., Valeriana officinalis L., Veronica anagallis-aquatica L ., Allium ursinum L., Salvia glutinosa L., Symphytum tuberosum L ., Melampyrum velebiticum Borbas, e la Felce aquilina (Pteridium aquilinum Kuhn) . per citare solamente alcune delle più comuni. Nelle fessure che si aprono tra i mattoni dei muri delle vecchie costruzioni, sui ruderi o tra i ciottoli che formano i muretti a secco, crescono alcune piante altamente specializzate con le radici tenacemente ancorate al substrato, traggono dal poco terriccio che si forma nelle fessure e dall'umidità dell'aria il nutrimento necessario alla loro crescita. Tra le specie più tipiche presenti si riscontrano atre piccole Felci come il Tricomane (Asplenium trichomanes L.) , la Ruta dei muri (Asplenium ruta-muraria L.), e la Cedracca (Ceterach officinarum DC. ); si può trovare, inoltre, il Capelvenere (Adiantum capillus-veneris L..). Altre specie tipiche degli ambienti murali sono l’Erba muraiola (Parietaria diffusa M. et k .), di gran lunga la pianta più comune tra quelle che crescono nelle crepe dei muri, la Cimbalaria (Cymbalaria muralis Mey. et Sch. ), Acetosella minore (0xalis corniculata L.) , Ruchetta dei muri (Diplotaxis muralis.) , Erba Pignola bianca , Erba Pignola gialla (Sedum sexangulare L.) . Tra tutte le piante che crescono sui muri la specie più bella e prestigiosa è tuttavia il Cappero (Capparis spinosa L.) che vegeta tra le pietre antiche mura medioevali. È una pianta tipicamente mediterranea, giunta nell'area collinare in tempi antichissimi, probabilmente con l'Olivo, e lì perfettamente acclimatata. Assieme alle specie citate, tipiche dei muri sbrecciati, crescono in questi ambienti, all'apparenza così inospitali, moltissime altre erbe: Dianthus sylvestris Wul£, Petrorhagia saxifraga Link., Galium lucidum All., Diplotaxis tenui., Medicago minima Bartal., Trifolium campestre Schr., Mercurialis annua L., Melica ciliata L ., tutte specie effimere. Molto comune è l'Edera (Hedera helix L.) , che spesso avvolge completamente i muri diroccati. Essa ricopre anche muri di costruzioni recenti, ma si tratta allora di piante appositamente piantate. Allo stesso scopo vengono coltivate le Viti del Canada o americane (Partenocissus quinquefolia Planch. e Partenocissus tricuspidata Planch. ), che in autunno si tingono di rosso- vermiglio, creando sipari di grandissimo effetto. Ai piedi dei muri si ammassano moltissime altre piante, per lo più ruderali, che crescono abitualmente nei pressi delle case rurali o nelle aree abbandonate alla periferia degli abitati;

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Gestione ambiente sono piante insignificanti dal punto di vista estetico, ma importantissime per il ruolo che svolgono nella conservazione della biodiversità. Possiamo trovare al piedi dei muri alcune specie nitrofìle come l'Ortica (Urtica dioica L.) e la Parietaria (Parietaria officinalis L.) , ma anche Rumex crispus L., Chenopodium album L. Chenopodium murale L., Amaranthus retroflexus L., Amaranthus defexus L., Amaranthus cruentus L., Fumaria officinalis L., Malva sylvestris L., Papaver rhoeas L., Hordeum murinum L. . Sui versanti più soleggiati delle colline moreniche si rinvengono particelle di prati incolti costituiti da specie xerofile, numerose di provenienza steppica, abbandonati all'evoluzione naturale. Questa vegetazione si sviluppa in un ambiente particolarmente difficile sia per l'aridità stazionale, sia per i fattori edifici. I principali componenti che si alternano sulle superfici, divenendo di volta in volta dominanti sulle altre specie, sono il Brornus erectus Huds., Bothriochloa ischaemon Keng, Chrysopogon gryllus Trin, Koeleria macrantha Spreng. Essi formano, assieme ad altre graminacee, una cotica continua, interrotta qua e là da piccoli arbusti di Genista germanica L., Chamaecytisus hirsutus Link e di Ononis natrix . Tipiche dello strato erbaceo sono anche: Globularia punctata Lap., Potentilla tabernaemontani Asch., Veronica prostrata L., Carex caryophyllea La Tourr., Galium lucidum All., Pulsatilla montana Reich., Aster linosyris Bernh., Odontites lutea Clairv., Campanula rapunculus L., Campanula sibirica L., Dianthus sylvestris Wulf, Dianthus carthusianorum L., Filipendula vulgaris Moench., Artemisia alba Turra, Helianthemum canum Baumg., Fumana procumbens G. e G., Anthericum liliago L., Anthericum ramosum L., Teucrium montanum L. . Compaiono a volte in questi prati anche piccoli cespugli di Genista germanica L., di Chamaecytisus hirsutus Link., di Ononis natrix L .. Sulle esposizioni nord e nord-est, si sviluppano essenze erbacee tendenzialmente mesofile (o moderatamente xerofile) costituite in prevalenza da Poa pratensis L., Poa trivialis L., Anthoxanthum odoratum L., Phleum pratense L., Trifolium pratense L., Medicago sativa L., Filipendula vulgaris Moench., Salvia pratensis L., Galium album Mill., Anacamptis pyramidalis (L.) L.C. Rich.. In generale nella flora presente nell’area di studio, si nota la tendenza ad ospitare specie che crescono abitualmente a quote più elevate, discese dagli orizzonti del Faggio e del Castagno, se non addirittura da quelli del Peccio o del Larice. Si tratta di una flora che le glaciazioni, nel periodo del loro massimo sviluppo, hanno spinto verso la pianura e che qui si è acclimatata. Quando i ghiacciai si sono ritirati la flora mediterranea è ritornata ad occupare questi ambienti che già erano stati suoi e che di nuovo si mostravano ospitali. Così, ad esempio troviamo attualmente nello stesso luogo l'Erica arborea (Erica arborea L.) , tipica pianta della macchia mediterranea, e l'Orchidea sambucina (Orchis sambucina L.) che cresce abitualmente sulle Alpi e sulle Prealpi, sopra 1500 m s.l.m.. Si riporta di seguito una rappresentazione grafica delle formazioni vegetazionali presenti nell’area vasta di studio, relativa alla Carta Regionale dei tipi forestali . La Carta regionale dei tipi forestali realizzata dalla Regione del Veneto, Direzione Regionale delle Foreste e dell’Economia Montana, è una Carta tematica che risponde all’esigenza di meglio conoscere la realtà forestale. La Carta è nata dall’esigenza di aggiornare la Carta Forestale Regionale, prodotta negli anni ottanta dalla Regione Veneto, con la supervisione scientifica dell’Istituto di Selvicoltura dell’Università di Padova. Nella nuova Carta sono state apportate sostanziali modifiche, dettate dal progresso delle conoscenze in alcuni settori; così, l’approccio adottato per la classificazione delle formazioni forestali, è stato basato su un sistema tipologico, costituito da unità omogenee in base a caratteri floristico-ecologico-selvicolturali. Le novità di questa carta rispetto alla precedente possono essere così compendiate: - individuazione delle aree da considerare boscate attraverso fotointerpretazione a video di ortofoto digitali, con risoluzione di 1 metro x 1 metro, rilevate nell’anno 2000, con restituzione spinta ad ottenere una scala di lavoro di circa 1:10.000, in conformità con la Carta Tecnica Regionale;

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- adozione, oltre a quanto previsto dalla legislazione regionale, anche della definizione di bosco messa a punto dal processo FRA 2000 - Forest Resources Assessment, condotto dalla FAO, e fatta propria dalla Commissione Europea; - individuazione delle unità tipologiche a livello di tipo forestale, adottando la nomenclatura prevista nel lavoro Biodiversità e indicatori nei tipi forestali del Veneto (del favero e altri, 2000). - rilevazione anche di formazioni non rientranti fra quelle boscate, secondo le definizioni considerate, ma ritenute in ogni caso interessanti per le finalità del nuovo documento cartografico; - archiviazione dei dati cartografici ed alfanumerici in formato shapefile di ArcView.

Di seguito si riporta un’elaborazione di tale Carta, con indicazione dell’area di progetto e le associazioni forestali presenti nell’area circostante.

Figura 2.4.3/III: Rappresentazione della CARTA REGIONALE DEI TIPI FORESTALI su base Ortofoto.

Nello specifico le formazioni rilevate sono le seguenti: 1. Arbusteto 2. Formazioni antropogene 3. Orno-ostrieti e ostrio-querceti 4. Saliceti e altre formazioni riparie

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Si riporta di seguito una descrizione dei sopracitati tipi forestali, tratta dal Documento base della Carta regionale dei tipi forestali e dal lavoro Biodiversità e indicatori nei tipi forestali del Veneto (Del Favero e altri, 2000).

1.ARBUSTETO Unità eterogenea comprendente varie formazioni a prevalente portamento arbustivo, escluse le alnete di ontano verde e le mughete. In particolare, in questa unità sono confluiti: 1) i corileti, come descritti in Del Favero e altri (2000) 2; 2) i pruneti; 3) le neo-formazioni di post-coltura variamente composte e ancora allo stato arbustivo. Potrebbero essere state classificate fra gli arbusteti anche eventuali altre formazioni attualmente in fase di rinnovazione che, quindi, apparivano “a portamento basso” simile a quello arbustivo.

2.FORMAZIONI ANTROPOGENE DI CONIFERE Unità complessa, non descritta in Del Favero e altri (2000), che si presta a varie interpretazioni. In questo lavoro è considerata “formazione antropogena di conifere” quella composta prevalentemente da conifere che si trovino fuori del proprio areale naturale di diffusione (specie esotica, Sensu Ciancio e altri, 1984), a prescindere dal fatto che gli alberi siano stati piantati o si siano spontaneamente diffusi, magari successivamente al rimboschimento. Tale interpretazione richiede, tuttavia, alcune ulteriori specificazioni. Poiché molte di queste formazioni si stanno spontaneamente “rinaturalizzando”, vale a dire arricchendo delle specie ecologicamente coerenti, si sono considerate “antropogene di conifere” quelle in cui la/e conifera/e appariva/no ancora prevalente/i. Circa la classificazione, vi è da dire che per molte di queste formazioni non vi sono particolari difficoltà, essendo chiaramente composte da specie esotiche. È il caso, ad esempio, delle pinete di pini mediterranei, delle cedrete, delle cipressete, delle pinete di pino nero presenti nella regione avanalpica o in quella esalpica esterna, ecc. Altre, invece, possono porre alcune difficoltà interpretative. È il caso di alcune pinete di pino silvestre o di pino nero presenti in ambienti propri degli orno- ostrieti o degli ostrio-querceti. Queste formazioni sono state considerate “antropogene” se presenti nella parte esterna della regione esalpica, mentre sono state considerate “pinete di pino silvestre esalpiche”, se presenti nella parte interna della stessa regione. Le formazioni a prevalenza di larice sono considerate “antropogene” se presenti nella regione esalpica, non verso il limite del bosco (fascia altimontana superiore). In questo ultimo caso, invece, sono state classificate fra i lariceti. Non è infrequente, infatti, più ci si sposta verso occidente dell’arco alpino, che il lariceto costituisca la formazione altitudinalmente terminale anche nella regione esalpica. Piuttosto complessa è la classificazione delle formazioni ad abete rosso, sia perché ampiamente diffuse dall’uomo, sia perché questa specie spontaneamente tende ad insediarsi in vari ambienti.

2 CORILETO: corileto esalpico-mesalpico submontano-montano mesotermo, substrati calcarei, dolomitici, gessosi e arenacei del Mesozoico, suoli mesoxerici - VARIANTI: macroterma Composizione arborea e arbustiva attuale: specie principali: Corylus avellana , Quercus pubescens specie secondarie: Fraxinus excelsior , Betula pendula , Ostrya carpinifolia , Populus tremula , Salix caprea , Sorbus aucuparia , Acer campestre , Carpinus betulus , Sorbus aria specie accessorie: Fraxinus ornus , Prunus avium , Alnus incana , Prunus spinosa , Salix appendiculata , Salix eleagnos , Tilia platyphyllos , Ulmus glabra , Picea abies , Acer pseudoplatanus , Laburnum anagyroides

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Se non vi sono dubbi sull’inquadramento nelle formazioni antropogene delle peccete in ambienti propri degli orno-ostrieti e degli ostrio-querceti, qualche dubbio sorge nel caso esse siano presenti nella fascia montana o altimontana, dove spesso sono la conseguenza di ampi interventi di rimboschimento, avvenuti soprattutto nel periodo fra le due guerre mondiali. Da questi impianti l’abete rosso si è poi spesso spontaneamente diffuso, perpetuando delle peccete, più o meno pure, o dando origine a formazioni via via più ricche delle specie arboree ecologicamente coerenti, fra le quali spicca soprattutto il faggio. Tali evoluzioni sono particolarmente frequenti nella regione esalpica, cosicché si sono formati dei consorzi misti di abete rosso e faggio che potrebbero essere interpretati come dei piceo-faggeti. Se si considerano queste formazioni non dal punto di vista fisionomico, ma funzionale, si può osservare che esse si caratterizzano: • per la precoce senescenza dell’abete rosso (tempo di permanenza fra i 100 e i 120 anni); • per la difficoltà di rinnovazione o dell’abete rosso o del faggio; • per la comparsa, a seguito di tagli o di azzeramenti del soprassuolo, di rovi o di nocciolo; • per la presenza nell’abete rosso, ancora relativamente giovane, di marciumi radicali.

Tali alterazioni, che compaiono anche nelle peccete ancora pure, sono assenti, invece, nei piceo-faggeti più interni della regione mesalpica. Questa differenza funzionale ha notevoli ripercussioni in termini gestionali e, di conseguenza, si è ritenuto opportuno segnalarla anche a livello tipologico-cartografico. In relazione a ciò, le formazioni a prevalenza di abete rosso sono state classificate: • tutte fra le antropogene, se presenti nelle regioni esalpica o avanalpica o nella fascia submontana della subregione esomesalpica; • nelle peccete, qualora presenti nelle fasce montana e altimontana della subregione esomesalpica, se a netta prevalenza di abete rosso, o fra le faggete montane tipiche esomesalpiche, qualora prevalga il faggio. Nella subregione esomesalpica, infatti, i fenomeni di deperimento, di cui si è detto sopra, seppur presenti, vanno attenuandosi; • nei piceo-faggeti o nelle peccete, se presenti nella regione mesalpica o endalpica, prescindendo dall’origine (artificiale o naturale).

Tale impostazione comporta che nelle regioni mesalpica ed endalpica nessuna formazione di abete rosso (o anche di larice) è classificata fra le antropogene di conifere. In realtà, in queste regioni sono certamente presenti popolamenti di origine artificiale (o spontaneamente formatisi a partire da aree rimboschite artificialmente) che, tuttavia, possono essere considerate non molto lontane da una certa coerenza ecologica con le stazioni ospitanti. Inoltre, tali formazioni sono state classificate o fra le peccete secondarie montane o fra i lariceti tipici, unità di per se eterogenee e generalmente caratterizzate da un ridotto livello di naturalità. Per le formazioni antropogene di conifere, nella colonna specifiche, è indicata la formazione di riferimento (pecceta, pineta, cedreta, ecc.), stabilita in base alla “conifera” prevalente. A questa indicazione segue quella relativa all’unità tipologica ecologicamente coerente, cui la formazione antropogena si è sostituita.

3.ORNO-OSTRIETI E OSTRIO-QUERCETI Orno-ostrieto tipico : Formazione corrispondente a quella descritta in Del Favero e altri (2000) 3 in cui è confluito anche l’orno-ostrieto con tiglio, non distinguibile attraverso la foto

3 ORNO OSTRIETO TIPICO: orno-ostrieto tipico esalpico submontano macrotermo, substrati calcarei e dolomitici, suoli xerici

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Gestione ambiente interpretazione. Nell’orno-ostrieto tipico sono stati inquadrati anche alcuni orno-ostrieti, presenti su falde detritiche più o meno consolidate, frequenti soprattutto sul Monte Baldo, che avrebbero potuto essere classificati come primitivi, appunto di falda detritica. Nell’orno-ostrieto primitivo, in realtà, sono confluiti solo quelli presenti in stazioni veramente primitive. Inoltre, soprattutto nella parte interna della regione esalpica, la distinzione fra l’orno-ostrieto tipico e la pineta di pino silvestre esalpica tipica è spesso molto difficile. Si tratta, infatti, di una relazione catenale di fatto non dettagliatamente cartografabile. Infine, in Provincia di Treviso compaiono molti orno-ostrieti tipici anche su substrati flysciodi del Cenozoico, substrati potenzialmente capaci di ospitare formazioni proprie di stazioni dotate di maggiori risorse. Ciò è dovuto al fatto che i substrati flysciodi del Cenozoico sono assai eterogenei cosicché, là dove le situazioni erano più fertili, sono stati spesso collocati i vigneti, mentre nelle zone peggiori è stato lasciato il bosco costituito, appunto, da un orno-ostrieto tipico.

Ostrio-querceto tipico : Formazione, in linea di massima, corrispondente a quella descritta in Del Favero e altri (2000) 4. La non corrispondenza si può avere soprattutto nel veronese dove, a causa di una generale diminuzione dell’umidità atmosferica, il carpino nero perde di competitività cosicché la formazione assume la connotazione più di un querceto di roverella che di un ostrio-querceto.

4.SALICETI E ALTRE FORMAZIONI RIPARIE Unità eterogenea costituita da più formazioni, tutte non descritte in Del Favero e altri (2000). In particolare l’unità comprende: • saliceti di ripa, arborei ed arbustivi, a prevalenza di Salix alba , posti soprattutto lungo le sponde di fiumi, nei tratti in cui l’acqua è costantemente presente e ha una velocità ridotta; • saliceti di greto, per lo più arbustivi, ma talora anche arborei, a prevalenza di Salix eleagnos , spesso accompagnato da Salix rubra , presenti soprattutto lungo le sponde di fiumi o torrenti, in tratti in cui prevalgono i depositi grossolani e l’acqua non è costantemente presente; • formazioni di pioppi, nero e bianco, presenti lungo il corso dei fiumi di una certa portata, localizzati soprattutto nelle aree subpianeggianti, dove l’acqua corrente ha una velocità ridotta.

Merita segnalare che, a causa della rapida dinamica fluviale, le unità poste vicino ai corsi d’acqua cambiano in modo continuo i loro confini e la loro posizione. La carta riporta i confini delle unità osservati nelle foto aeree risalenti all’anno 2000.

Di seguito si riportano alcune fotografie dell’area oggetto di studio e del contesto circostante.

Composizione arborea attuale: specie principali: Ostrya carpinifolia specie secondarie: Fraxinus ornus , Quercus dalechampii (dubbi sul valore sistematico), Quercus pubescens , Acer campestre specie accessorie: Sorbus aria , Fagus sylvatica , Populus tremula , Prunus avium , Salix appendiculata , Tilia cordata , Acer pseudoplatanus , Sorbus aucuparia , Picea abies , Abies alba , Castanea sativa , Cercis siliquastrum , Carpinus betulus ; Frangula alnus , Juglans regia , Prunus mahaleb

4 OSTRIO QUERCETO TIPICO: ostrio-querceto esalpico submontano macrotermo, substrati calcarei e sciolti, suoli xerici Composizione arborea attuale: specie principali: Quercus pubescens , Ostrya carpinifolia specie secondarie: Fraxinus ornus , Sorbus torminalis , Carpinus betulus , Ulmus minor , Castanea sativa , Acer campestre specie accessorie: Prunus avium , Sorbus aria , Ailanthus altissima , Cercis siliquastrum , Laburnum anagyroides , Picea abies , Prunus domestica , Prunus mahaleb , Pyrus pyraster , Quercus cerris , Quercus petraea , Taxus baccata , Celtis australis , Populus tremula

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Figura 2.4.3/IV: individuazione coni fotografici.

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2.4.3.1. Rilievo floristico

In dato 08 aprile 2014 è stato svolto un rilievo floristico, con conseguente analisi floristica, dell’area interessata dalle compagini di progetto e di un’area circostante di 2 km di raggio ad opera dei Dott. Alessio Bertolli e Filippo Prosser, botanici e ricercatori della Fondazione Museo Civico di Rovereto. Di seguito si riporta la suddetta analisi botanica.

IL TERRITORIO INDAGATO Il territorio indagato è costituito dall’area direttamente interessata dall’intervento (avente una superficie di ca. 60.000 mq) e da un buffer circostante avente raggio di ca. 2 km. L’area direttamente interessata alla data del sopralluogo (8-4-2014) si presentava come un campo pianeggiante arato, con sparse plantule di infestati ( Chenopodium, Papaver ecc.). La maggior parte delle specie è stata reperita percorrendo il margine dello stesso. L’area di buffer è al contrario vasta (ca. 10 kmq) e interessa anche una porzione di territorio sita nel comune di Affi. L’area di buffer è delimitata verso S e SW dall’arco morenico costituito dal Monte Police, Monte

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Crivellino e Monte La Mesa. Verso E è delimitato dal F. Adige e dallo sperone roccioso del Forte Wohlgemuth. Sono pure incluse aree piane, con coltivi intensivi, aree industriali e residenziali. Se l’area direttamente interessata dall’intervento non presenta aspetti floristici di rilievo, soprattutto le colline moreniche presentano valenza floristica di assoluta importanza.

I DATI FLORISTICI I dati floristici derivano in parte dall’archivio floristico del Museo Civico di Rovereto che riguarda le province di Trento e di Verona. In parte sono stati rilevati l’8-4-2014 con lo scopo di indagare il sito direttamente interessato dall’intervento e di rilevare l’area situata a S e a SW del sito stesso (Monte Police-Monte Crivellino), che risultava priva di dati. In questo modo i rilevamenti sono risultati piuttosto omogenei su tutta l’area di buffer. I dati più antichi in archivio risalgono al 1-4-2001. Il totale di dati (record) estratti e forniti assomma a 1836. Tutti i dati sono georiferiti (WGS84 fuso 32) a segmenti di rilevazione e non sono quantitativi. Essi sono riuniti in una tabella (dati_flora_dintorni Vanzelle_polyline.shp) presenta i seguenti campi: Specie = Nome del taxon. La nomenclatura si basa sulla checklist della flora vascolare italiana Conti et al. (2005) più successivi aggiornamenti. Lista_rossa = Categoria di lista rossa secondo la lista rossa della provincia di Verona, basandosi su Prosser et al. (2009) e su successivi aggiornamenti inediti. FLR=Fuori lista rossa; CR =minacciata criticamente; EN=minacciata; VU=Vulnerabile; LR=a minor rischio; DD =mancanza di dati per una valutazione. Np = Codice interno collegato alla specie Quad = Codice del quadrante, unità geografica operativa adottata dal progetto di cartografia florstica medio eruropea (Ehrendorfer & Hamann, 1965). Esc = Numero dell’escursione all’interno del quadrante Seg = Numero del segmento all’interno dell’escursione Stat = Indicazioni interenti il singolo dato: S=presenza casuale; R=rara Data =Data di rilevamento Per =Descrizione del segmento di rilevazione Qmin = Quota minima del segmento di rilevazione Qmax = Quota massima del segmento di rilevazione Rilevatori = Nomi del rilevatori/i Tipo, Go, Specie_qua = campi di lavoro privi di dati

RISULTATI Nella tabella riportata al termine della relazione è riportata la checklist dell’area di intervento raffrontata con quella dell’area di buffer. Nell’area di intervento, o meglio lungo i suoi margini, sono stati rilevati 83 taxa di piante vascolari, e di questi solo uno di lista rossa: Tragopogon porrifolius , specie eurimediterranea indicata da PIGNATTI (1982) verso N fino alla Via Emilia, ma che negli ultimi anni si è espansa verso N interessando la pianura veneta e veronese in particolare, giungendo fino alla fascia pedemontana con presenze fino ad ora relativamente sporadiche. La specie è attualmente valutata come LR=a minor rischio, ma si può supporre - visto il trend positivo - che in futuro possa essere stralciata dalla lista rossa provinciale. In definitiva l’area di intervento non presenta aspetti floristici di rilievo per quel che riguarda la flora vascolare. Nell’area di buffer risultano censiti 597 taxa, un numero oggettivamente considerevole. La ricchezza floristica dell’area è dovuta alla notevole variabilità ecologica offerta soprattutto dai rilievi morenici, con flora ben differenziata a seconda dei versanti e per altro caratterizzata da una consistente componente autoctona. Ambienti floristicamente notevoli sono in particolare i

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Tabella 2.4.3.1/I: Checklist delle specie rilevate all’interno dell’area di intervento e sui margini (colonna “Area progetto”), specie rilevate nell’area di buffer (colonna “buffer d’indagine”) e la categoria di lista rossa per la provincia di Verona.

Area Buffer specie lr_vr progetto d’indagine Abutilon theophrasti Medik. FLR x Acalypha virginica L. FLR x Acer campestre L. FLR x Achillea collina Becker ex Rchb. FLR x Achillea millefolium L. agg. FLR x Acinos arvensis (Lam.) Dandy FLR x Agrimonia eupatoria L. FLR x Agrostis stolonifera L. FLR x Ailanthus altissima (Mill.) Swingle FLR x Ajuga chamaepitys (L.) Schreb. FLR x Ajuga genevensis L. FLR x Ajuga reptans L. FLR x Alliaria petiolata (M. Bieb.) Cavara & Grande FLR x Allium carinatum L. subsp. pulchellum Bonnier & Layens FLR x Allium senescens L. subsp. montanum (Fr.) Holub FLR x Allium sphaerocephalon L. FLR x Allium vineale L. FLR x Alnus glutinosa (L.) P. Gaertn. FLR x Alnus incana (L.) Moench FLR x Alopecurus myosuroides Huds. FLR x Amaranthus hybridus L. FLR x Amaranthus powellii S. Watson FLR x Amaranthus retroflexus L. FLR x Amelanchier ovalis Medik. FLR x Anacamptis pyramidalis (L.) Rich. LR x Anagallis arvensis L. FLR x Anagallis foemina Mill. FLR x Anchusa officinalis L. FLR x Anthemis arvensis L. FLR x Anthericum ramosum L. FLR x

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Area Buffer specie lr_vr progetto d’indagine Anthoxanthum odoratum L. FLR x Anthyllis vulneraria L. subsp. carpatica (Pant.) Nyman FLR x Anthyllis vulneraria L. subsp. polyphylla (DC.) Nyman LR (DD) x Antirrhinum majus L. FLR x Aphanes arvensis L. FLR x Arabidopsis thaliana (L.) Heynh. FLR x Arabis hirsuta (L.) Scop. FLR x Arabis turrita L. FLR x Arctium minus (Hill) Bernh. FLR x Arenaria leptoclados (Rchb.) Guss. FLR x Arenaria serpyllifolia L. FLR x Argyrolobium zanonii (Turra) P. W. Ball FLR x Aristolochia clematitis L. FLR x Arrhenatherum elatius (L.) P. Beauv. ex J. Presl & C. FLR x x Presl Artemisia absinthium L. FLR x Artemisia alba Turra FLR x Artemisia annua L. FLR x x Artemisia campestris L. FLR x Artemisia verlotiorum Lamotte FLR x x Artemisia vulgaris L. FLR x x Arum italicum Mill. FLR x Arundo donax L. FLR x Asparagus acutifolius L. LR x Asparagus officinalis L. FLR x Asparagus tenuifolius Lam. FLR x Asperula cynanchica L. FLR x Asperula purpurea (L.) Ehrend. FLR x Asphodelus fistulosus L. CR x Asplenium adiantum-nigrum L. FLR x Asplenium ceterach L. subsp. ceterach FLR x Asplenium ruta-muraria L. FLR x Asplenium trichomanes L. FLR x Aster amellus L. FLR x Aster linosyris (L.) Bernh. FLR x Aster novi-belgi L. FLR x Astragalus glycyphyllos L. FLR x Astragalus onobrychis L. LR x Avena barbata Pott ex Link FLR x Avena sterilis L. subsp. sterilis FLR x Ballota nigra L. subsp. meridionalis (Bég.) Bég. FLR x Bassia scoparia (L.) A. J. Scott FLR x Bellis perennis L. FLR x Betonica officinalis L. FLR x Bidens bipinnata L. FLR x Biscutella laevigata L. subsp. laevigata FLR x Botriochloa ischaemon (L.) Keng FLR x Brachypodium rupestre (Host) Roem. & Schult. FLR x Brachypodium sylvaticum (Huds.) P. Beauv. FLR x Brassica oleracea L. FLR x

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Area Buffer specie lr_vr progetto d’indagine Briza media L. FLR x Bromus carinatus Hook. & Arnott FLR x Bromus condensatus Hack. FLR x Bromus diandrus Roth FLR x Bromus erectus Huds. FLR x Bromus hordeaceus L. FLR x Bromus inermis Leyss. FLR x Bromus madritensis L. FLR x Bromus squarrosus L. FLR x Bromus sterilis L. FLR x x Broussonetia papyrifera (L.) Vent. FLR x Bryonia dioica Jacq. FLR x Buglossoides arvensis (L.) I.M. Johnst. FLR x Buglossoides purpureocaerulea (L.) I.M. Johnst. FLR x Bupleurum veronense Turra FLR x Calamagrostis epigeios (L.) Roth FLR x Calamintha menthifolia Host FLR x Calamintha nepeta (L.) Savi FLR x Calepina irregularis (Asso) Thell. FLR x x Calluna vulgaris (L.) Hull FLR x Calystegia sepium (L.) R. Br. FLR x Campanula bononiensis L. LR x Campanula glomerata L. FLR x Campanula rapunculus L. FLR x Campanula sibirica L. FLR x Campanula trachelium L. FLR x Capsella bursa-pastoris (L.) Medik. FLR x x Capsella rubella Reut. FLR x x Cardamine amara L. subsp. amara LR x Cardamine hirsuta L. FLR x x Carduus nutans L. FLR x Carduus pycnocephalus L. FLR x Carex acuta L. FLR x Carex acutiformis Ehrh. FLR x Carex alba Scop. FLR x Carex caryophyllea Latourr. FLR x Carex digitata L. FLR x Carex distans L. FLR x Carex divulsa Stokes FLR x Carex elata All. FLR x Carex flacca Schreb. FLR x Carex halleriana Asso FLR x Carex hirta L. FLR x Carex humilis Leyss. FLR x Carex liparocarpos Gaudin FLR x Carex michelii Host FLR x Carex montana L. FLR x Carex muricata L. agg. FLR x Carex pallescens L. FLR x Carex praecox Schreb. FLR x

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Area Buffer specie lr_vr progetto d’indagine Carex spicata Huds. FLR x Carex umbrosa Host VU x Carlina vulgaris L. FLR x Carpinus betulus L. FLR x Catapodium rigidum (L.) C. E. Hubb. ex Dony FLR x Celtis australis L. FLR x Centaurea bracteata Scop. FLR x Centaurea nigrescens Willd. subsp. nigrescens FLR x Centaurea scabiosa L. subsp. scabiosa FLR x x Centaurea stoebe L. FLR x Centaurium erythraea Rafn FLR x Centranthus ruber (L.) DC. FLR x Cephalanthera longifolia (L.) Fritsch FLR x Cerastium brachypetalum Desp. ex Pers. FLR x x Cerastium glomeratum Thuill. FLR x x Cerastium glutinosum Fr. FLR x Cerastium holosteoides Fr. FLR x Cerastium semidecandrum L. FLR x x Cerastium tenoreanum Ser. VU (DD) x Cercis siliquastrum L. FLR x Chaenorhinum minus (L.) Lange FLR x Chaerophyllum temulum L. FLR x Chamaecytisus hirsutus (L.) Link agg. FLR x Chamaecytisus purpureus (Scop.) Link FLR x Chamaesyce humifusa (Willd. ex Schlecht.) Prokh. FLR x Chamaesyce maculata (L.) Small FLR x Chamaesyce prostrata (Aiton) Small FLR x Chelidonium majus L. FLR x Chenopodium album L. FLR x x Chenopodium ambrosioides L. FLR x Chondrilla juncea L. FLR x Chrysopogon gryllus (L.) Trin. FLR x Cichorium intybus L. FLR x Cirsium arvense (L.) Scop. FLR x Cirsium pannonicum (L. f.) Link FLR x Cirsium vulgare (Savi) Ten. (incl. C. sylvaticum Tausch) FLR x Cleistogenes serotina (L.) Keng FLR x Clematis recta L. FLR x Clematis vitalba L. FLR x Clinopodium vulgare L. FLR x Colchicum autumnale L. FLR x Consolida regalis Gray FLR x Convolvulus arvensis L. FLR x Convolvulus cantabrica L. FLR x Conyza albida Willd. ex Spreng. FLR x x Conyza canadensis (L.) Cronquist FLR x x Cornus sanguinea L. FLR x Coronilla minima L. FLR x Corylus avellana L. FLR x Cotinus coggygria Scop. FLR x

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Area Buffer specie lr_vr progetto d’indagine Crataegus monogyna Jacq. FLR x Crepis foetida L. FLR x Crepis sancta (L.) Babc. subsp. nemausensis (P. Fourn.) FLR x x Babc. Crepis setosa Haller f. FLR x Crepis vesicaria L. subsp. vesicaria FLR x Cruciata glabra (L.) Ehrend. FLR x Cruciata laevipes Opiz FLR x Cupressus sempervirens L. FLR x Cuscuta campestris Yunck. FLR x Cyclamen purpurascens Mill. FLR x Cymbalaria muralis P. Gaertn., B. Mey. & Scherb. FLR x Cynodon dactylon (L.) Pers. FLR x x Cytisophyllum sessilifolium (L.) O. Lang FLR x Cytisus nigricans L. FLR x Dactylis glomerata L. FLR x x Danthonia decumbens (L.) DC. FLR x Datura stramonium L. FLR x Daucus carota L. FLR x Dianthus carthusianorum L. FLR x Dianthus seguieri Vill. FLR x Dianthus sylvestris Wulfen subsp. sylvestris FLR x Digitaria sanguinalis (L.) Scop. FLR x Diplotaxis muralis (L.) DC. FLR x Diplotaxis tenuifolia (L.) DC. FLR x Dorycnium herbaceum Vill. FLR x Echinochloa crus-galli (L.) P. Beauv. FLR x Echium vulgare L. FLR x Eleusine indica (L.) Gaertn. FLR x Elymus athericus (Link) Kerguélen FLR x Elymus repens (L.) Gould FLR x x Epilobium dodonaei Vill. FLR x Epilobium hirsutum L. FLR x Epilobium parviflorum Schreb. FLR x Equisetum arvense L. FLR x Equisetum ramosissimum Desf. FLR x Equisetum telmateja Ehrh. FLR x Equisetum variegatum Schleich. ex Weber & D. Mohr CR x Equi setum Xmoorei Newman (E. hyemale X FLR x ramosissimum) Eragrostis minor Host FLR x Eragrostis pilosa (L.) P. Beauv. FLR x Erica carnea L. FLR x Erigeron annuus (L.) Pers. subsp. annuus FLR x x Erodium cicutarium (L.) L'Hér. FLR x x Erophila verna (L.) DC. s. l. FLR x x Eruca vesicaria (L.) Cav. subsp. sativa (Mill.) Thell. FLR x Eryngium amethystinum L. FLR x Eryngium campestre L. FLR x Erysimum rhaeticum (Schleich. ex Hornem.) DC. FLR x

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Area Buffer specie lr_vr progetto d’indagine Euonymus europaea L. FLR x Eupatorium cannabinum L. FLR x Euphorbia cyparissias L. FLR x x Euphorbia falcata L. FLR x Euphorbia helioscopia L. FLR x Euphorbia lathyris L. FLR x Euphorbia nicaeensis All. FLR x Euphorbia peplus L. FLR x Euphorbia verrucosa L. FLR x Fallopia convolvulus (L.) Á. Löve FLR x Fallopia dumetorum (L.) Holub FLR x Ferulago campestris (Besser) Grecescu FLR x Festuca arundinacea Schreb. FLR x Festuca rubra L. FLR x Festuca rupicola Heuff. FLR x Festuca valesiaca Schleich. ex Gaudin LR x Ficus carica L. FLR x Filipendula vulgaris Moench FLR x Fragaria vesca L. FLR x Fragaria viridis (Duchesne) Weston FLR x Fraxinus ornus L. FLR x Fumana ericifolia Wallr. FLR x Fumana procumbens (Dunal) Gren. & Godr. FLR x Fumaria officinalis L. FLR x Fumaria vaillantii Loisel. FLR x Galeopsis speciosa Mill. FLR x Galinsoga ciliata (Raf.) S.F. Blake FLR x Galinsoga parviflora Cav. FLR x Galium album Mill. FLR x Galium aparine L. FLR x x Galium lucidum All. FLR x Galium mollugo L. agg. FLR x Galium verum L. agg. FLR x Genista germanica L. FLR x Genista tinctoria L. subsp. insubrica (Brügger) Pign. FLR x Geranium columbinum L. FLR x x Geranium dissectum L. FLR x x Geranium molle L. FLR x x Geranium purpureum Vill. FLR x x Geranium pusillum Burm. f. FLR x x Geranium pyrenaicum Burm. f. FLR x Geranium rotundifolium L. FLR x Geranium sanguineum L. FLR x Geum urbanum L. FLR x x Glechoma hederacea L. FLR x Glechoma hirsuta Waldst. & Kit. FLR x Globularia cordifolia L. FLR x Globularia punctata Lapeyr. FLR x Hedera helix L. FLR x Helianthemum canum (L.) Baumg. FLR x

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Area Buffer specie lr_vr progetto d’indagine Helianthemum nummularium (L.) Mill. subsp. obscurum FLR x (Celak.) Holub Helianthemum salicifolium (L.) Mill. VU x Helianthus tuberosus L. FLR x Helictotrichon pubescens (Huds.) Pilg. FLR x Hemerocallis fulva (L.) L. FLR x Hepatica nobilis Schreb. FLR x Herniaria hirsuta L. LR x Hieracium bifidum Kit. ex Hornem. agg. FLR x Hieracium murorum L. agg. FLR x Hieracium pilosella L. agg. FLR x Hieracium piloselloides Vill. agg. FLR x Hieracium porrifolium L. agg. FLR x Hieracium racemosum Waldst. & Kit. ex Willd. agg. FLR x Hieracium sabaudum L. agg. FLR x Hieracium umbellatum L. agg. FLR x Hierochloë australis (Schrad.) Roem. & Schult. FLR x Hippocrepis comosa L. FLR x Hippocrepis emerus (L.) Lassen FLR x Holcus lanatus L. FLR x Hordeum murinum L. s. l. FLR x x Humulus lupulus L. FLR x Hypericum montanum L. FLR x Hypericum perforatum L. FLR x Hypochoeris radicata L. FLR x Impatiens balfourii Hook. f. FLR x Impatiens glandulifera Royle FLR x Inula conyzae (Griess.) Meikle FLR x Inula hirta L. FLR x Inula salicina L. LR x Juncus articulatus L. FLR x Juncus bufonius L. FLR x Juncus subnodulosus Schrank LR x Juniperus communis L. subsp. communis FLR x Knautia arvensis (L.) Coult. FLR x Koeleria macrantha (Ledeb.) Schult. FLR x Koeleria pyramidata (Lam.) P. Beauv. FLR x Lactuca perennis L. FLR x Lactuca saligna L. FLR x Lactuca serriola L. FLR x x Lamium album L. FLR x Lamium amplexicaule L. FLR x x Lamium maculatum L. FLR x Lamium purpureum L. FLR x x Lapsana communis L. FLR x Lathyrus cicera L. LR x Lathyrus latifolius L. FLR x Lathyrus linifolius (Reichard) Bässler LR x Lathyrus niger (L.) Bernh. FLR x Lathyrus setifolius L. FLR x

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Area Buffer specie lr_vr progetto d’indagine Lathyrus sphaericus Retz. FLR x Lemna minuta Humb., Bonpl. & Kunth FLR x Leontodon crispus Vill. FLR x Leontodon hispidus L. FLR x Lepidium graminifolium L. FLR x Lepidium virginicum L. FLR x Leucanthemum ircutianum DC. FLR x Ligustrum vulgare L. FLR x Lilium bulbiferum L. FLR x Limodorum abortivum (L.) Sw. FLR x Linaria vulgaris Mill. FLR x Lolium multiflorum Lam. FLR x x Lolium perenne L. FLR x Lonicera caprifolium L. FLR x Lonicera japonica Thunb. FLR x Lotus corniculatus L. FLR x x Lunaria annua L. subsp. annua FLR x Luzula forsteri (Sm.) DC. FLR x Luzula multiflora (Ehrh.) Lej. FLR x Lysimachia vulgaris L. FLR x Lythrum salicaria L. FLR x Malva alcea L. FLR x Malva neglecta Wallr. FLR x Malva sylvestris L. FLR x x Matricaria recutita L. FLR x Medicago falcata L. FLR x Medicago lupulina L. FLR x Medicago minima (L.) L. FLR x x Medicago sativa L. FLR x Melampyrum cristatum L. FLR x Melica ciliata L. FLR x Melica nutans L. FLR x Melissa officinalis L. FLR x Melittis melissophyllum L. FLR x Mentha longifolia (L.) Huds. FLR x Mentha suaveolens Ehrh. FLR x Mercurialis annua L. FLR x Mespilus germanica L. FLR x Minuartia hybrida (Vill.) Schischk. FLR x x Minuartia mediterranea (Ledeb.) K. Malý LR x Misopates orontium (L.) Raf. FLR x Molinia arundinacea Schrank FLR x Muscari botryoides (L.) Mill. FLR x Muscari comosum (L.) Mill. FLR x Muscari neglectum Guss. ex Ten. FLR x x Myosotis ramosissima Rochel ex Schult. FLR x Nasturtium officinale R. Br. FLR x Odontites luteus (L.) Clairv. FLR x Oenothera biennis L. FLR x Olea europaea L. FLR x

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Area Buffer specie lr_vr progetto d’indagine Onobrychis arenaria (Kit.) DC. FLR x Ononis natrix L. FLR x Ononis pusilla L. FLR x Ononis reclinata L. LR x Ononis spinosa L. s. l. FLR x Onopordon acanthium L. FLR x Ophrys benacensis (Reisigl) O. Danesch, E. Danesch & VU x Ehrend. Ophrys incubacea Bianca EN x Ophrys insectifera L. FLR x Ophrys sphegodes Mill. LR x Orchis morio L. LR x Orlaya grandiflora (L.) Hoffm. FLR x Ornithogalum umbellatum L. agg. FLR x Orobanche lutea Baumg. LR x Oryzopsis miliacea (L.) Benth. & Hook. f. ex Asch. & FLR x Schweinf. Ostrya carpinifolia Scop. FLR x Oxalis corniculata L. FLR x Oxalis stricta L. FLR x Paliurus spina-christi Mill. FLR x Panicum capillare L. FLR x Papaver argemone L. LR x Papaver rhoeas L. subsp. rhoeas FLR x x Parietaria judaica L. FLR x x Parietaria officinalis L. FLR x Pastinaca sativa L. subsp. sativa FLR x Persicaria hydropiper (L.) Delarbre FLR x Persicaria lapathifolia (L.) Delarbre FLR x Persicaria maculosa Gray FLR x Petrorhagia prolifera (L.) P.W. Ball & Heywood FLR x Petrorhagia saxifraga (L.) Link FLR x Peucedanum cervaria (L.) Lapeyr. FLR x Peucedanum oreoselinum (L.) Moench FLR x Peucedanum rablense (Wulfen) W. D: J. Koch FLR x Peucedanum venetum (Spreng.) W. D. J. Koch FLR x Phleum phleoides (L.) H. Karst. FLR x Phragmites australis (Cav.) Trin. ex Steud. FLR x Picris hieracioides L. FLR x Pimpinella major (L.) Huds. subsp. major FLR x Pimpinella saxifraga L. FLR x Pinus nigra J. F. Arnold FLR x Pistacia terebinthus L. FLR x Pisum sativum L. subsp. sativum FLR x Plantago argentea Chaix FLR x Plantago holosteum Scop. FLR x Plantago lanceolata L. FLR x x Plantago major L. subsp. major FLR x Plantago media L. FLR x Poa angustifolia L. FLR x x

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Area Buffer specie lr_vr progetto d’indagine Poa annua L. FLR x x Poa bulbosa L. FLR x x Poa compressa L. FLR x Poa palustris L. FLR x Poa pratensis L. agg. FLR x Poa trivialis L. s. l. FLR x x Polycarpon tetraphyllum (L.) L. subsp. tetraphyllum FLR x Polygala chamaebuxus L. FLR x Polygala comosa Schkuhr FLR x Polygonatum odoratum (Mill.) Druce FLR x Polygonum aviculare L. agg. FLR x x Polypodium cambricum L. FLR x Polypodium vulgare L. FLR x Populus alba L. FLR x Populus nigra L. FLR x Portulaca oleracea L. agg. FLR x Potentilla alba L. FLR x Potentilla argentea L. FLR x x Potentilla erecta (L.) Raeusch. FLR x Potentilla pusilla Host FLR x Potentilla recta L. FLR x x Potentilla reptans L. FLR x x Potentilla verna L. agg. FLR x Primula vulgaris Huds. FLR x Prunella grandiflora (L.) Scholler FLR x Prunella vulgaris L. FLR x Prunus avium L. FLR x Prunus mahaleb L. FLR x Prunus spinosa L. FLR x Pteridium aquilinum (L.) Kuhn FLR x Pulicaria dysenterica (L.) Bernh. FLR x Pulsatilla montana (Hoppe) Rchb. LR x Punica granatum L. FLR x Quercus cerris L. FLR x Quercus ilex L. FLR x Quercus pubescens Willd. FLR x Ranunculus acris L. FLR x Ranunculus arvensis L. LR x Ranunculus bulbosus L. subsp. bulbosus FLR x x Ranunculus nemorosus DC. FLR x Ranunculus sardous Crantz LR x Reseda lutea L. FLR x Reseda phyteuma L. LR x Rhamnus saxatilis Jacq. FLR x Rhinanthus alectorolophus (Scop.) Pollich FLR x Robinia pseudoacacia L. FLR x Rorippa sylvestris (L.) Besser FLR x Rosa arvensis Huds. FLR x Rosa caesia Sm. FLR x Rosa canina L. FLR x

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Area Buffer specie lr_vr progetto d’indagine Rosa corymbifera Borkh. FLR x Rostaria cristata (L.) Tzvelev FLR x Rubus caesius L. FLR x Rubus canescens DC. FLR x Rubus sect. Corylifolii Lindl. FLR x Rubus ulmifolius Schott FLR x Rumex acetosa L. FLR x Rumex crispus L. FLR x x Rumex cristatus DC. ssp. kerneri (Borbás) Akeroyd & D. FLR x A. Webb Rumex obtusifolius L. FLR x Rumex pulcher L. FLR x Ruscus aculeatus L. FLR x Sagina apetala Ard. FLR x Salix caprea L. FLR x Salix purpurea L. FLR x Salix triandra L. FLR x Salvia pratensis L. FLR x Sambucus nigra L. FLR x Sanguisorba minor Scop. FLR x Saponaria ocymoides L. FLR x Saponaria officinalis L. FLR x Satureja montana L. subsp. variegata (Host) P. W. Ball FLR x Saxifraga tridactylites L. FLR x x Scabiosa triandra L. FLR x x Schoenus nigricans L. FLR x Scirpo ides holoschoenus (L.) Soják subsp. australis (L.) FLR x Soják Scorzonera austriaca Willd. FLR x Scrophularia canina L. FLR x Securigera varia (L.) Lassen FLR x Sedum acre L. FLR x Sedum album L. FLR x Sedum dasyphyllum L. FLR x Sedum maximum (L.) Hoffm. FLR x Sedum rupestre L. agg. FLR x Sedum sexangulare L. FLR x Selaginella helvetica (L.) Spring FLR x Sempervivum tectorum L. FLR x Senecio inaequidens DC. FLR x x Senecio vulgaris L. FLR x x Serratula tinctoria L. subsp. tinctoria FLR x Sesleria albicans Kit. ex Schult. FLR x Setaria pumila (Poir.) Roem. & Schult. FLR x Setaria viridis (L.) P. Beauv. FLR x x Sherardia arvensis L. FLR x x Silene conica L. EN x Silene latifolia Poir. subsp. alba (Mill.) Greuter & Burdet FLR x x Silene nemoralis Waldst. & Kit. FLR x Silene nutans L. agg. FLR x

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Area Buffer specie lr_vr progetto d’indagine Silene otites (L.) Wibel FLR x Silene saxifraga L. FLR x Silene vulgaris (Moench) Garcke FLR x Silybum marianum (L.) P. Gaertn. LR* x Sisymbrium officinale (L.) Scop. FLR x x Solanum dulcamara L. FLR x Solanum nigrum L. subsp. nigrum FLR x Solanum villosum Mill. subsp. alatum (Moench) FLR x Edmondsi Solidago virgaurea L. subsp. virgaurea FLR x Sonchus asper (L.) Hill FLR x Sonchus oleraceus L. FLR x x Sorbus domestica L. FLR x Sorghum halepense (L.) Pers. FLR x x Stachys recta L. subsp. recta FLR x Stellaria aquatica (L.) Scop. FLR x Stellaria media (L.) Vill. FLR x x Stellaria pallida (Dumort.) Crépin FLR x Stipa calamagrostis (L.) Wahlenb. FLR x Stipa eriocaulis Borbás FLR x Symphytum officinale L. FLR x Tamus communis L. FLR x Tanacetum vulgare L. FLR x Taraxacum sect. Erythrosperma (H. Lindb.) Dahlst. FLR x Taraxacum sect. Ruderalia Kirschner, H. Øllg. & FLR x x Stepánek Taxus baccata L. FLR x Teucrium chamaedrys L. FLR x Teucrium montanum L. FLR x Thesium linophyllon L. FLR x Thlaspi perfoliatum L. FLR x Thymus oenipontanus Heinr. Braun DD x Thymus praecox Opiz subsp. praecox FLR x Tilia cordata Mill. FLR x Tordylium maximum L. LR x Torilis arvensis (Huds.) Link FLR x x Torilis nodosa (L.) P. Gaertn. FLR x Tragopogon dubius Scop. FLR x Tragopogon porrifolius L. LR x Tragopogon pratensis L. s. l. FLR x Tragus racemosus (L.) All. LR x Trifolium arvense L. FLR x Trifolium campestre Schreb. FLR x Trifolium dubium Sibth. LR* x Trifolium fragiferum L. FLR x Trifolium nigrescens Viv. subsp. nigrescens LR x Trifolium pratense L. subsp. pratense FLR x x Trifolium repens L. FLR x x Trifolium scabrum L. FLR x Trifolium subterraneum L. EN x

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Area Buffer specie lr_vr progetto d’indagine Trinia glauca (L.) Dumort. FLR x Trisetum flavescens (L.) P. Beauv. FLR x Typha latifolia L. FLR x Ulmus minor Mill. FLR x Urtica dioica L. FLR x x Valerianella locusta (L.) Laterr. FLR x x Verbascum lychnitis L. FLR x Verbascum phlomoides L. FLR x Verbascum pulverulentum Vill. FLR x Verbena officinalis L. FLR x x Veronica anagallis-aquatica L. FLR x Veronica arvensis L. FLR x x Veronica beccabunga L. FLR x Veronica chamaedrys L. FLR x Veronica hederifolia L. subsp. hederifolia FLR x x Veronica persica Poir. FLR x x Veronica prostrata L. FLR x Viburnum lantana L. FLR x Vicia angustifolia L. subsp. angustifolia FLR x x Vicia hybrida L. LR* x Vicia peregrina L. LR x Vicia sativa L. FLR x Vicia sepium L. FLR x Vinca minor L. FLR x Vincetoxicum hirundinaria Medik. subsp. hirundinaria FLR x Viola alba Besser subsp. scotophylla (Jord.) Nyman FLR x Viola arvensis Murray FLR x Viola canina L. subsp. canina FLR x Viola hirta L. FLR x Viola odorata L. FLR x Viola riviniana Rchb. FLR x Viola suavis M. Bieb. FLR x Vitis vinifera L. s.l. FLR x Xanthium italicum Moretti FLR x

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Figura 2.4.3.1/I: Rappresentazione tracciato rilievo floristico in verde.

2.4.3.2 Valore naturalistico della vegetazione reale presente

Da quanto emerso dalle indagini e dagli studi effettuati, si può asserire che nell’area in cui è localizzato il progetto in esame, che si ricorda essere un’area agricola coltivata a seminativo, non sono presenti endemismi particolari o specie vegetali in via d’estinzione. La vegetazione presente nel contesto circostante è costituita essenzialmente da specie coltivate o comunque antropofile, caratterizzata da un BASSO INDICE DI NATURALITA’, accompagnati tuttavia dalla presenza di zone boscate a MEDIO-ALTO INDICE DI NATURALITA’. L'indice di naturalità della vegetazione ( IVN di Pizzolotto e Brandmayr, 1996 ) si usa per descrivere lo stato della vegetazione presente in un territorio soggetto ad una valutazione. L'IVN associa la vegetazione indicata dall'uso del suolo ad una scala di valori ordinati in base al grado di modificazione antropica subita nel tempo. La scala di valori della naturalità si estende dalla classe “0” per le situazioni con influsso antropico massimo ed arriva a “10c” per le condizioni più naturali. I valori che identificano il grado di naturalezza possono essere raggruppate in quattro principali categorie: Vegetazione antropogena (da 0 a 4), Vegetazione seminaturale (da 5 a 7), Vegetazione subnaturale (da 8 a 9) e Vegetazione naturale (10a, 10b, 10c). Questo indice può essere interpretato considerando tre principali categorie: “ Elevato ”- Vegetazione ad elevata naturalità (IVN ≥ 0,70); “ Medio ”- Vegetazione subnaturale e seminaturale (0.40 ≤ IVN < 0,70); “ Basso ”- Vegetazione dominata da tipi antropogeni (IVN < 0,40).

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Tabella 2.4.3.2/I: Indici d’individuazione della classe di naturalità

Classe di Tipologia veg etazionale Categoria uso del suolo naturalità

Tessuto urbano continuo. Tessuto urbano discontinuo Aree industriali o commerciali Suolo privo di vegetazione per cause 0 Reti stradali e ferrovie e spazi accessori antropogene Piazzali di cava Specchi d'acqua di cave attive Discariche

Risaie Vigneti Frutteti e frutti minori Terreni non in coltivazione Aree con baracche 1 Colture agrarie e verde artificiale Altre aree sportive e ricreative Orticoltura in pieno campo Seminativi in aree non irrigue Serre Seminativi in aree irrigue

Pioppeti 2 Colture da legno Altri impianti di arboricoltura da legno Specchi d'acqua artificiali

Spazi seminaturali inseriti all'interno di cave attive Filari e boschi artificiali Aree degradate 3 Vegetazione ruderale di ambiente Robinieti fortemente disturbato Filari arborei Imboschimenti a conifere

Siepi (erbaceo/arbustive) 4 Vegetazione erbacea infestante Coltivi abbandonati

Prati stabili Vegetazione erbacea post-colturale, Praterie naturali falciabili 5 prati falciabili Popolamenti alto-erbacei di colonizazzione Canali

Formazioni arbustive di ricolonizazzione Vegetazione arbustiva di Imboschimenti 6 ricolonizzazione e imboschimenti con Aree rinaturalizzate in corrispondenza di ex cave specie autoctone Specchi d'acqua derivanti da cave rinaturalizzate

Rocce nude Vegetazione erbacea di habitat Sabbie e ghiaioni sottoposti a stress ecologico naturale 7 con pesante ingressione di specie Greti esotiche Formazioni erbacee e/o arbustive a dominanza di igrofite

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Formazioni erbaceo/arbustive xerofile stabili Vegetazione arbustiva di habitat 8 Saliceti arbustivi sottoposti a stress ecologico naturale Lanche

Boschi a composizione specifica 9 naturale modificata da usi recenti o in Boschi misti collinari atto

Formazioni arboree riparie a dominanza di Salix alba Vegetazione climax o prossima al 10 Alneti e formazioni arboree igrofile delle lanche climax Formazioni arboree planiziali Popolamenti vegetali acquatici

Dai rilievi e dagli studi effettuati si può, infatti, ragionevolmente classificare la vegetazione prevalentemente presente nel territorio in esame come “ Vegetazione dominata da tipi antropogeni ” (IVN < 0,40) a basso valore di naturalità e “ Boschi misti collinari ” (IVN > 0,70) ad elevato valore di naturalità. Ad ulteriore conferma di quanto precedentemente espresso sul valore della naturalità della zona, al fine di determinare a livello numerico il valore naturalistico dei diversi tipi di vegetazione presenti nell'area in esame, sono stati presi in considerazione alcuni parametri espressi sotto forma di indici sintetici di tipo numerale. In genere è possibile suddividere i parametri in due categorie, rappresentative della qualità (Q) e della vulnerabilità (V), che combinate esprimono il valore naturalistico della vegetazione ed il suo livello di criticità ovvero la sensibilità (S). Per il calcolo della qualità e della vulnerabilità si è utilizzato il metodo additivo, sommando i punteggi assegnati ad ogni attributo biologico secondo scale ordinali. La costruzione della scala è arbitraria ma deve essere omogenea per tutti i parametri considerati. E’ stata scelta una scala geometrica con quattro valori (1-2-4-8).

Metodo di calcolo della qualità (Q)

Per il calcolo della qualità sono stati utilizzati i seguenti parametri:

4) Unicità (Q1) 5) Naturalità (Q2) 6) Stabilità (Q3) Q=Q1+Q2+Q3

Metodo di calcolo della vulnerabilità (V)

Per il calcolo della vulnerabilità sono stati utilizzati i seguenti parametri:

• Resistenza (V1) • Resilienza (V2) • Ripristinabilità (V3) V=V1+V2+V3

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Per costruire una scala gerarchica della qualità e della vulnerabilità alla tipologia con punteggio totale più elevato è stato attribuito un valore di 10 ed in rapporto a questo sono stati calcolati i valori delle altre tipologie. I valori assegnati alla qualità (Q) e alla vulnerabilità (V) seguono una scala geometrica dove la formazione con maggior valore assume punti 5, la formazione con meno valore assume punti 1. Ad ogni valore è stato associato un colore così da poter immediatamente visualizzazione le formazioni a maggior rischio (Tab. seguente).

Tabella 2.4.3.2/II:Scala della qualità e della vulnerabilità Scala cromatica della qualità (Q) Scala cromatica della vulnerabilità (V)

0÷2 1 BASSA 0÷2 1 BASSA 2÷4 2 MEDIO-BASSA 2÷4 2 MEDIO-BASSA 4÷6 3 MEDIA 4÷6 3 MEDIA 6÷8 4 MEDIO-ALTA 6÷8 4 MEDIO-ALTA 8÷10 5 ALTA 8÷10 5 ALTA

Metodo di calcolo della sensibilità floristica specifica (Ss) I valori della qualità e della vulnerabilità sono stati direttamente utilizzati per il calcolo della sensibilità floristica specifica secondo il metodo moltiplicativo.

S=Q*V

Questo metodo è da preferire in quanto limita il valore di sensibilità nel caso in cui la tipologia vegetale presenti bassi valori per una delle due categorie di parametri, mentre i componenti ambientali con valori intermedi per entrambe le categorie, raggiungeranno livelli maggiori di sensibilità. Sono stati utilizzati i punteggi da 1 a 5 attribuiti alla classe di qualità e vulnerabilità. Il risultato è rapportato ad una scala decimale e per una maggiore interpretabilità dei valori ottenuti la scala decimale è stata divisa in cinque intervalli cui corrispondono altrettante classi di sensibilità della formazione:

Tabella 2.4.3.2/III: Classi di sensibilità

da 0 a 2: da 2 a 4: da 4 a 6: da 6 a 8: da 8 a 10: 1 punto 2 punti 3 punti 4 punti 5 punti BASSA MEDIO BASSA MEDIA MEDIO ALTA ALTA

Per l’analisi della sensibilità i diversi tipi di vegetazione considerati corrispondono alle formazioni individuate nell’area di progetto, su base fisionomico-strutturale riportate di seguito:

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Tabella 2.4.3.2/IV: Classificazione vegetazionale

CLASSIFICAZIONE VEGETAZIONALE IDENTIFICAZIONE Boschi misti collinari VEG1 Colture arboree VEG2 Colture erbacee VEG3 Vegetazione sinantropica VEG4

VEG1 Boschi misti collinari : sono formazioni prevalentemente di origine antropica; sono costituite da formazioni composite delle seguenti specie: roverella ( Quercus pubescens.), carpino ( Carpinus spp., Ostrya carpinifolia ), l’orniello (Fraxinus ornus), sambuco ( Sambucus nigra ), tiglio ( Tilia platyphyllos ), robinia ( Robinia pseudaocacia ), acero ( Acer pseudoplatanus, Acer campestre ) e bagolaro ( Celtis australis ). Nell’area di studio, in base all’analisi dei fattori ambientali, è stato possibile individuare la fisionomia della vegetazione originaria di riferimento nel: - Querco-Carpinetum Queste popolazioni sono probabilmente i tipi di popolamenti forestali più diffusi nell’area pedemontana e in quella montana/prealpina del Veneto dove occupano solitamente suoli primitivi, poco evoluti, derivanti da rocce calcaree a pH elevato, ricchi di scheletro, molto drenati e pertanto con ridotta disponibilità idrica. In questa categoria rientrano le formazioni tipiche della fascia collinare e pedemontana veneta a prevalenza di carpino nero ( Ostrya carpinifolia ) consociato generalmente con l’orniello (Fraxinus ornus ) e la roverella ( Quercus pubescens) . Il carpino nero entra a far parte anche di molti altri consorzi a diversa composizione dove esso è dominante o comunque presente con percentuali non trascurabili. Tende a mancare solo dove l’aridità stazionale è elevata a testimonianza di un certo carattere mesofilo di questa specie. La frequente ridotta fertilità dei suddetti suoli è resa evidente dal fatto che i boschi sono spesso radi e con scarsa rinnovazione. Questa è la forma cosiddetta tipica di questo tipo di popolamenti ma dove migliorano le condizioni edafiche si nota una transizione verso forme più evolute come gli ostrio querceti caratterizzati dell’aumento della presenza della roverella, mentre nei popolamenti caratterizzati da una maggiore freschezza aumentano le specie più spiccatamente mesofile come l’acero che è indice del sottotipo più fresco con carpino bianco che in queste aree può essere presente solo nelle aree di impluvio nelle esposizioni meno calde. Si tratta di un tipo di vegetazione dove prevale la presenza di specie a carattere più xerofilo e xerotermofilo anche se il corredo floristico di questi boschi non è quello tipico che si riscontra nelle leccete mediterranee: nello strato arbustivo del sottobosco prevale spesso lo scotano e abbonda la presenza del pungitopo ( Ruscus aculeatus) . L’attuale struttura dei popolamenti riferibili agli ostrio-querceti risente notevolmente dell’azione di sfruttamento esercitata con la ceduazione che, oltre alla depauperazione della fertilità dei suoli instaura processi di degradazione. Con gli ampi tagli si creano infatti situazioni di marcata continentalizzazione microclimatica con estremi termici più elevati e maggiore evapotraspirazione con conseguente inasprimento dei caratteri di xericità. Questa riduzione è indice di maggiore evoluzione del suolo a cui corrisponde un miglioramento generale dei soprassuoli forestali. Aumenta generalmente anche la densità con una distribuzione più uniforme dello strato arbustivo che assicurando una maggiore copertura del suolo provoca una sensibile riduzione delle componenti dello strato erbaceo che rimane comunque quasi sempre presente.

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Le specie arboree che caratterizzano la zona fitoclimatica in esame sono la roverella (Quercus pubescens Willd. ) ed il carpino nero (Ostrya carpìnifolia Stop.); possono partecipare anche il leccio (Quercus ilex L. ) e l'orniello (Fraxinus ornus L. ). Lo strato arbustivo è costituito da orniello, spesso estremamente invadente, emero ( Coronilla emerus L. ), ciavardello (Sorbus torminalis Crantz) , ligustro (Ligustrum vulgare L. ), Biancospino (Crataegus monogyna L.) , lentaggine ( Viburnum lantana L .), scotano ( Cotinus coggygria Scop .), ciliegio canino ( Prunus makaleb L .), ginepro (Junìperus spp.), completa lo strato arbustivo il pungitopo ( Ruscus aculeatus L .). Altri arbusti presenti sono il nespolo ( Mespìlus germanica L .) e il corniolo (Cotnus mas L. ). Il piano arboreo e quello arbustivo sono intessuti da epifite e liane come l’edera ( Hedera helix L. ), la vitalba ( Clematis vitalba L .) ed il caprifoglio ( Lonicera ca- prifolium L. ). Ai piedi degli alberi, tra gli arbusti più bassi, vegetano numerose specie erbacee. Tipici dello strato erbaceo che caratterizza la zona fitoclimatica in esame sono: Primula vulgaris Huds., Vinca minor L., Dianthus seguieri Vill., Fragaria vesta L., Muscari botryoides Mill., Viola alba Bess., Viola canina L., Viola reichenbachiana Jord., Campanula glomerata L. e, tra le Orchidee, Limodorum abortivum Sw., Cephalanthera longifolìa Fritsch, Platanthera bifolìa Rich., Orchìssimia Scop, Orchis ustulata L., Orchis maculata L., Orchis sambucina L. e Gymnadenia conopsea R. . Nei boschi di roverella è possibile riscontrare anche la presenza dell’ Helleborus niger L., Helleborus foetidus L ., e del più raro Erythronium dens-canis L. . Si segnala, inoltre, la presenza di essenze di notevole pregio come il Cistus albidus, Coronilla minima, Oprhys bertolonii, Orchis coriophora, Phillyrea latifoglia e la Pistacia terebinthus. In sintesi, le caratteristiche vegetazionali dei boschi predominanti della porzione di territorio nel quale si inserisce l’area in esame, si possono ricondurre alle tipologie degli: • Ostrio-querceto tipico, • Ostrio-querceto a scotano.

VEG2 Colture arboree: tipicamente in questa zona di territorio le superfici a frutteto sono coltivate a vite.

VEG3 Colture erbacee: tipicamente in questa zona di territorio le colture erbacee maggiormente coltivate sono quelle a granoturco ( Zea mays) e soia ( Soja hyspida ).

VEG4 Vegetazione sinantropica: caratterizza gli incolti e i terreni a riposo di colture principali presenti nella zona. Si tratta di popolamenti di specie appartenenti a diversi gruppi di vegetazione che si insediano nei campi coltivati abbandonati. La coltura praticata sui terreni a riposo è quella di erba medica (Medicago sativa), per la quale risulta indefinita le vegetazione delle specie infestanti, convergendo in essa entità appartenenti a classi diverse (classe Stellarietea, classe Molinio-Arrhenatheretea, classe Artemisietea, Compagne).

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CALCOLO DELLA QUALITÀ SPECIFICA (QS)

Unicità (Q1) Questo parametro esprime la rarità della tipologia vegetale, soprattutto per quanto riguarda l’interesse biogeografico locale. Il valore non è relativo all'area in esame ma riguarda un comprensorio più ampio. Per stabilire il massimo valore di unicità, si farà riferimento alla vegetazione potenziale, in particolare quella climax, ovvero formazioni di querco-carpineto con la roverella codominante insieme al carpino nero. In particolare nell’area di studio questo tipo di vegetazione può essere caratterizzata da formazioni sporadiche, legate a particolari condizioni di microstazionali di naturalità, così come la si è definita precedentemente. Il valore minimo, invece, sarà dato a quelle formazioni non naturali, ovvero antropiche. Valori intermedi si riferiranno a formazioni vegetazionali intermedie, così come definite di seguito:

Tabella 2.4.3.2/V: Indicazione della scala delle caratteristiche di unicità usata

CARATTERISTICHE DI UNICITÁ PUNTI IDENTIFICAZIONE

Formazioni rare legate a particolari condizioni microstazionali e caratterizzate 8 UNI1 dalla presenza significativa di emergenze floristiche. Formazioni comuni caratterizzate dalla presenza di specie rare (emergenze 4 UNI2 floristiche). Formazioni comuni, tipiche delle condizioni stazionali presenti nell'area di 2 UNI3 studio e prive di emergenze floristiche Formazioni che, indipendentemente dalla loro diffusione, derivano quasi esclusivamente dall'attività antropica (vegetazione sin antropica e/o 1 UNI4 artificiale)

Tabella 2.4.3.2/VI: Individuazione dell’unicità per ogni classificazione vegetazionale.

CARATTERIZZAZIONE VEGETAZIONALE UNI1 UNI2 UNI3 UNI4

VEG1 X VEG2 X VEG3 X VEG4 X

Naturalità (Q2) Come detto a proposito della vegetazione reale, l'utilizzo di questo termine ha un significato relativo nell'area in esame. In questo caso si vuole esprimere il grado di presenza di specie autoctone proprie della vegetazione naturale potenziale e il grado di spontaneità della fitocenosi. La vicinanza al climax stazionale non è stata presa in stretta considerazione, come pure il livello di complessità strutturale. In un territorio fortemente antropizzato è infatti del tutto aleatorio stabilire per ogni formazione il tipo di vegetazione climax corrispondente.

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Tabella 2.4.3.2/VII: Indicazione della scala delle caratteristiche di naturalità.

CARATTERISTICHE DI NATURALITÁ PUNTI IDENTIFICAZIONE

Formazioni spontanee o seminaturali con prevalenza di specie autoctone 8 NAT1 Formazioni spontanee o seminaturali con presenza di specie autoctone e specie alloctone (specie introdotte - direttamente o indirettamente – o diffuse 4 NAT2 dall'uomo) Formazioni spontanee o seminaturali con prevalenza di specie alloctone o 2 NAT3 sinantropiche Formazioni artificiali 1 NAT4

Il punteggio massimo è raggiunto dalle formazioni che, indipendentemente dalla vicinanza al climax stazionale, si avvicinano floristicamente alle tipologie della vegetazione naturale potenziale.

Tabella 2.4.3.2/VIII: Individuazione della naturalità per ogni classe vegetazionale.

CARATTERIZZAZIONE VEGETAZIONALE NAT1 NAT2 NAT3 NAT4

VEG1 X VEG2 X VEG3 X VEG4 X

Stabilità (Q3) Questo parametro rappresenta la capacità della vegetazione di mantenere le proprie caratteristiche fisionomico-strutturali costanti nel tempo in assenza di perturbazioni esterne (ad esempio il disturbo antropico). La scala utilizzata è la seguente:

Tabella 2.4.3.2/IX: Indicazione della scala delle caratteristiche di stabilità

CARATTERIZZAZIONE DELLA STABILITÁ PUNTI IDENTIFICAZIONE - Formazioni prossime all'equilibrio con le condizioni pedoclimatiche generali dell'area (stadio climax). - Formazioni meno evolute ma fortemente condizionate da fattori 8 STAB1 limitanti naturali. FORTE INERZIA - Formazioni con caratteristiche fisionomico -strutturali tendenti all'equilibrio con le condizioni pedoclimatiche dell'area (stadio climax). 4 STAB2 - Formazioni di stadi seriali iniziali condizionate da fattori limitanti naturali. MEDIA INERZIA - Formazioni spontanee pioniere e/o sinantropiche. - Formazioni seminaturali solo strutturalmente vicine allo stadio 2 STAB3 Climax SCARSA INERZIA - Formazioni sinantropiche (artificiali o seminaturali) del tutto incapaci di mantenere autonomamente le proprie caratteristiche 1 STAB4 fisionomicostrutturali. ASSENZA DI INERZIA

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Tabella 2.4.3.2/X: Indicazione della stabilità per ogni classe vegetazionale.

CARATTERIZZAZIONE VEGETAZIONALE STAB1 STAB2 STAB3 STAB4

VEG1 X VEG2 X VEG3 X VEG4 X

Risultati La qualità totale e specifica Qs è riportata nella Tabella sottostante ed è pari alla somma dei tre tipi di qualità sopra riportati.

Tabella 2.4.3.2/XI: Indicazione del punteggio complessivo di qualità per ogni classe vegetazionale

CARATTERIZZAZIONE Q Qs VEGETAZIONALE Q1 Q2 Q3 PUNTI Unicità Qualità Qualità Stabilità specifica Naturalità

VEG1 2 4 4 10 10 5 VEG3 1 1 1 3 3 2 VEG4 1 1 1 3 3 2 VEG5 1 1 1 3 3 2

CALCOLO DELLA VULNERABILITÀ SPECIFICA (VS)

Resistenza (V1) Questo parametro esprime la capacità della vegetazione di mantenere le proprie caratteristiche in presenza di perturbazioni esterne che determinano uno stato di degrado più o meno permanente a seconda della resistenza della vegetazione. E' stata utilizzata la seguente scala:

Tabella 2.4.3.2/XII: Indicazione della scala delle caratteristiche di resistenza

CARATTERIZZAZIONE DELLA PUNTI IDENTIFICAZIONE RESISTENZA Bassa resistenza 8 RES1 Resistenza medio-bassa 4 RES2 Media resistenza 2 RES3 Alta resistenza 1 RES4

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Tabella 2.4.3.2/XIII: Indicazione della resistenza per ogni classe vegetazionale

CARATTERIZZAZIONE VEGETAZIONALE RES1 RES2 RES3 RES4

VEG1 X VEG2 X VEG3 X VEG4 X

V2) Resilienza Rappresenta la capacità della vegetazione di ritornare alle condizioni iniziali, senza apporti energetici, dopo aver subito una perturbazione esterna di degrado. I punteggi sono stati assegnati secondo la seguente scala:

Tabella 2.4.3.2/XIV: Indicazione della scala delle caratteristiche di resilienza.

CA RATTERIZZAZIONE DELLA RESILIENZA PUNTI IDENTIFICAZIONE

Bassa resilienza 8 RESIL1 Resilienza medio-bassa 4 RESIL2 Media resilienza 2 RESIL3 Alta resilienza 1 RESIL4

Tabella 2.4.3.2/XV: Indicazione della resilienza per ogni classe vegetazionale

CARATTE RIZZAZIONE VEGETAZIONALE RESIL1 RESIL2 RESIL3 RESIL4

VEG1 X VEG2 X VEG3 X VEG4 X

V3) Ripristinabilità Con questo parametro viene indicata la possibilità di ricostituire artificialmente la formazione vegetale dopo che questa ha subito una perturbazione esterna. La scala utilizzata è la seguente:

Tabella 2.4.3.2/XVI: Indicazione della scala delle caratteristiche di ripristinabilità.

CARATTERIZZAZIONE DELLA RIPRISTINABILITÁ PUNTI IDENTIFICAZIONE Bassa ripristinabilità 8 RIPRIS1 Ripristinabilità medio-bassa 4 RIPRIS2 Media ripristinabilità 2 RIPRIS3 Alta ripristinabilità 1 RIPRIS4

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Tabella 2.4.3.2/XVII: Indicazione della ripristinabilità per ogni classe vegetazionale.

CARATTERIZZAZIONE VEGETAZIONALE RIPRIS1 RIPRIS2 RIPRIS3 RIPRIS4

VEG1 X VEG2 X VEG3 X VEG4 X

Risultati La vulnerabilità totale e specifica Vs è riportata nella Tabella sottostante è pari alla somma dei tre tipi di vulnerabilità sopra riportati .

Tabella 2.4.3.2/XVIII: Indicazione del punteggio complessivo di vulnerabilità per ogni classe vegetazionale.

CARATTERIZZAZIONE V Vs VEGETAZIONALE V1 V2 V3 PUNTI specifica Resilienza Resistenza Vulnerabilità Vulnerabilità Ripristinabilità

VEG1 4 4 4 12 10 5 VEG2 2 1 1 4 3.3 2 VEG3 2 1 1 4 3.3 2 VEG4 2 1 1 4 3.3 2

Risultati complessivi di sensibilità

La sensibilità specifica è stata definita come il prodotto tra la qualità specifica e la vulnerabilità specifica, pertanto per ogni classe vegetazionale abbiamo:

Tabella 2.4.3.2/XIX: Indicazione del punteggio di sensibilità per ogni classe vegetazionale.

CARATTERIZZAZIONE VEGETAZIONALE Punti Qualita’ Classe di sensibilità Sensibilita’ Vulnerabilita’ Sensibilità Sp.

VEG1 5 5 25 10 5 Alta VEG2 2 2 4 1.6 1 Bassa VEG3 2 2 4 1.6 1 Bassa VEG4 2 2 4 1.6 1 Bassa

La maggior parte delle classi vegetazionali appartengono alla classe di sensibilità bassa, ovvero la classe minore, mentre la classe riferita ai boschi misti collinari appartiene alla classe di sensibilità alta, in quanto risulta essere, fra le presenti, la tipologia vegetazionale con la più alta classe di naturalità (9) (si veda tab. 2.4.3.2/I). Tutte le altre tipologie vegetazionali sono strettamente legate all’ambiente antropico o, ad ogni modo, alla mano dell’uomo e presentano una classe di naturalità bassa (1).

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Nell’area di studio complessiva il condizionamento antropico risulta molto forte, pertanto, ogni condizione di naturalità vegetazionale è influenzata dall’uomo. Il territorio si presenta come un mosaico di cenosi vegetali ben lontano dall’omogeneità strutturale e colturale, frammentato, scomposto in appezzamenti di varie dimensioni e colture che si susseguono ed alternano spazialmente in modo irregolare con la vegetazione naturale presente.

2.4.4 Fauna Nel comprensorio comunale in esame, come già evidenziato per la flora, gli studi faunistici compiuti evidenziano una fauna fortemente condizionata dall’elevato livello di antropizzazione degli ambienti (soprattutto legata all’agricoltura intensiva oltre che a fenomeni di urbanizzazione territoriale). Il popolamento stanziale risulta relativamente impoverito in termini di specie di particolare interesse faunistico; tra le specie migratorie, diversamente, è possibile la presenza temporanea di alcune specie di rilievo faunistico, in particolare presso le aree umide.

2.4.4.1 Erpetofauna Anfibi Di seguito si riporta l'elenco di anfibi potenzialmente presenti nell'area di studio sulla base delle specie censite nell’“ Atlante degli Anfibi e dei Rettili del Veneto (Bonato, Fracasso, Pollo, Richard, Semenzato)” ed in base dell'idoneità dell'habitat secondo i criteri di idoneità stabiliti dalla REN (Rete Ecologica Nazionale). Non sono state prese in considerazione le specie per cui veniva segnalata una idoneità nulla. Gli habitat segnalati sono quelli con il più alto livello di idoneità per la specie considerata e che contemporaneamente caratterizzano l'area di studio.

Tabella 2.4.4.1/I: elenco specie di anfibi potenzialmente presenti (Fonte: Bonato L., Fracasso G., Pollo R., Richard J., Semenzato M. (eds), 2007 - Atlante degli Anfibi e dei Rettili del Veneto. Associazione Faunisti Veneti, Nuovadimensione Ed.)

ORDINE FAMIGLIA NOME SCIENTIFICO NOME COMUNE

Salamandra salamandra Salamandra pezzata

Triturus carnifex Tritone crestato italiano Urodela Salamandridae Mesotriton alpestris Tritone alpestre

Lissotriton vulgaris Tritone punteggiato

Discoglossidae Bombina variegata Ululone dal ventre giallo

Bufo bufo Rospo comune Bufonidae Bufo viridis Rospo smeraldino Anura Hylidae Hyla intermedia Raganella italiana

Rana lessonae o esculenta Rana verde Ranidae Rana dalmatina Rana dalmatina

Tutte le specie considerate sono autoctone. Di seguito è riportato l'elenco delle specie con i relativi riferimenti alle norme che li tutelano.

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Tabella 2.4.4.1/II: elenco delle specie di anfibi e le norme che le tutelano.

5 ORDINE FAMIGLIA NOME SCIENTIFICO NOME COMUNE IUCN ALL. 2 ALL. 3 ALL. ALL. E ALL. B ALL. ALL. D ALL. BERNA BERNA HABITAT HABITAT HABITAT HABITAT

Salamandra Salamandra X NT salamandra pezzata

Tritone crestato Triturus carnifex X X X EN Urodela Salamandridae italiano

Mesotriton alpestris Tritone alpestre X LC

Lissotriton vulgaris Tritone punteggiato X EN

Ululone dal ventre Discoglossidae Bombina variegata X X X VU giallo

Bufo bufo Rospo comune X LC Bufonidae Bufo viridis Rospo smeraldino X X LC Anura X NT Hylidae Hyla intermedia Raganella italiana Rana dalmatina Rana dalmatina X X NT Ranidae Rana lessonae o Rana verde X X LC esculenta

Alcuni dei sopra citati anfibi sono classificati come non minacciati (LC), quali il tritone alpestre, il rospo comune, il rospo smeraldino e la rana verde, altri come quasi minacciati (NT), quali la salamandra pezzata, la raganella italiana e la rana dalmatina. L’ululone dal ventre giallo è l’unica specie potenzialmente presente definita come vulnerabile (VU), in quanto “diffuso in modo eterogeneo, con areale effettivamente occupato limitato, molto frammentato e in diminuzione nell’estensione complessiva e nel numero di siti occupati…consistenza numerica in declino…”6. Il tritone crestato italiano ed il tritone punteggiato sono indicati, invece, quali specie in pericolo (EN), in quanto “ poco diffuso, con areale effettivamente occupato piuttosto limitato, molto frammentato e in diminuzione nell’estensione complessiva e nel numero di siti occupati ”7.

Di seguito si riportano gli estratti relativi all’idoneità ambientale delle specie di anfibi elencati in precedenza, idoneità tratta dal portale relativo alla Rete Ecologica Nazionale REN 8. I punteggio di idoneità ambientale sono: 0: non idoneo 1: bassa idoneità 2: media idoneità 3: alta idoneità

5 Lista Rossa degli Anfibi e dei Rettili del Veneto, sottoregione “rilievi”. 6 Bonato L., Fracasso G., Pollo R., Richard J., Semenzato M. (eds), 2007 – Atlante degli Anfibi e dei Rettili del Veneto. Associazione Faunisti Veneti, Nuovadimensione Ed., pag. 207. 7 Bonato L., Fracasso G., Pollo R., Richard J., Semenzato M. (eds), 2007 – Atlante degli Anfibi e dei Rettili del Veneto. Associazione Faunisti Veneti, Nuovadimensione Ed., pag. 207. 8 http://serverbau.bio.uniroma1.it/gisbau/ren.php

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