Breve Storia Del Karate L'isola Di Okinawa E La Nascita Del To-Te Jutsu
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Breve storia del Karate La storia del karate non è chiara. La sua origine è avvolta nel mistero (Chitose Tsuyoshi, 1898-1984, fondatore dello stile Chito-ryu) L’isola di Okinawa e la nascita del to-te jutsu L’arcipelago del Giappone si estende a destra del continente eurasiatico ed è caratterizzato dalla forma ad arco, lo strumento marziale che, insieme alla spada, caratterizzerà in maniera significativa lo spirito guerriero e filosofico delle arti marziali giapponesi. A sud del Giappone, numerose isolette sono sparpagliate a rosario nell’Oceano Pacifico; tra queste vi è Okinawa, la culla del karate. Gli ideogrammi utilizzati per scrivere Okinawa da un cinese (Liu K’iu - Ryukyu) o da un giapponese evocano la forma delle isole “come pezzi di corda di paglia che galleggiano sull’oceano” (Tokitsu 2001, p. 16; Sells p. 3). Le dimensioni dell’isola principale di Okinawa sono le seguenti: 1250 km 2 circa, un settimo della Corsica; è lunga circa 108 km, con una larghezza che varia dai 5 ai 24 Km. Il clima marino subtropicale risente della calda corrente Kuroshio, proveniente delle Filippine, che è anche la causa dei tifoni che infuriano tra marzo e settembre. Il nord dell’isola è boscoso ed è scarsamente abitato, mentre la parte sud, che ha ultimamente conosciuto un boom economico, vanta diverse città cosmopolite: capoluogo è la città di Naha, da sempre il porto commerciale più importante di Okinawa. La Naha attuale comprende la vecchia città di Naha, e i villaggi di Shuri e Tomari, famosi per essere stati i luoghi di nascita e di sviluppo del karate. La posizione geografica vede l’isola di Okinawa a mezza via tra il Giappone e la costa Cinese di Fujian: il profondo influsso di queste due culture è palese in ogni aspetto della vita e della cultura okinawense. Il karate ne è forse la prova più evidente e famosa. Per una corretta comprensione della nascita e dello sviluppo di quest’arte, bisognerà sempre tenere a mente la peculiarità strategica e culturale della posizione geografica di Okinawa. L’antropologia e la linguistica hanno dimostrato le radici comuni di Okinawa e del Giappone. Le due culture sarebbero progredite di pari passo almeno fino al III a. C., per poi divaricarsi in maniera irrimediabile durante l’epoca Yayoi (III a. C. – III d. C.) e questa profonda divaricazione culturale sarebbe dovuta al diverso rapporto con la Cina: strettissimo da parte del Giappone, che assorbendo la cultura cinese e rielaborandola a modo suo, conoscerà una rapidità di sviluppo fino ad allora ignota; Okinawa invece resterà legata maggiormente alle sue tradizioni rurali. Nonostante la separazione culturale, i rapporti tra Okinawa e il Giappone non cessarono del tutto, diminuendo però drasticamente. Almeno fino al IX secolo, la cultura di Okinawa non conosce significativi progressi, salvo poi sviluppare una gerarchia in seno alle comunità di villaggi; alcuni capitribù (gli anji), si affermano in diverse regioni di Okinawa. Lo sviluppo di queste forze locali coincide con la comparsa del ferro, introdotto dal Giappone. Tokitsu 2001 p. 19 offre anche un quadro sincronico delle principali innovazioni tecnologiche ad Okinawa rispetto al Giappone Okinawa Giappone Capi di Stato XI-XII sec. I a. C.- I d.C. Scrittura XII sec. V sec. Buddismo XII sec. VI sec. Utensili agricoli in ferro XVI sec. VI-VII sec. Unificazione del paese XV sec. VII sec. Calendario XV sec. VII sec. Stato organizzato XV-XVI sec. VII sec. Opere letterarie XVI-XVII sec. VIII sec Opere storiche XVII-XVIII sec. VIII-X sec. Lo schema è rivelatore dell’enorme divario intercorso tra le due culture, pur aventi all’inizio un comune denominatore. Nel secolo XIV, a seguito dei conflitti tra capi locali, sorgono tre Stati, o federazioni di comunità tribali: Chuzan (Montagna di mezzo); Nanzan (Montagna del sud); Hokuzan (Montagna del nord). Questo periodo, conosciuto col nome di Sanzan-jidai (Periodo delle tre montagne), è quello della rivoluzione agraria conseguente all’introduzione di utensili di ferro. Nel secolo XIV i capi degli Stati Sanzan entrano in contatto con la Cina, inaugurando una nuova tappa nella storia dell’isola. I documenti offerti da Tokitsu 2001 p. 18-19 rivelano l’emblematica situazione di Okinawa nel XIV secolo. Nel 1376 l’imperatore Ming Hong Wu fa acquistare ad uno dei propri vassalli dei cavalli e dello zolfo ad Okinawa: la merce di scambio non è composta da sete preziose e da oggetti di lusso, ma da porcellane e vasellame di ghisa. Fino ad allora, per cuocere il cibo si usavano delle rozze pentole in terracotta, che dopo 4-5 giorni di utilizzo si rompevano. Satto (1353-1395), re di Chuzan, è il primo ad instaurare una relazione di vassallaggio con la Cina, precisamente nel 1372. Per la storia del karate questa è la prima pietra del ponte attraverso il quale l’arte della lotta cinese giungerà ad Okinawa. Nel 1396 si colloca un avvenimento che avrà una importanza fondamentale nello sviluppo del karate: un gruppo permanente di 36 famiglie di artisti, scienziati e mercanti cinesi si trasferisce ad Okinawa, precisamente nel villaggio di Kume, nei pressi del porto di Naha. Tra di loro vi doveva essere anche molti esperti di arti marziali cinesi. Con la colonia di Kume, la cultura cinese entra prepotentemente nella cultura okinawense, rafforzando maggiormente gli scambi già avvenuti per via del fiorente commercio marittimo. Dopo l’unificazione del paese ad opera di Sho Ashi (1429), un altro re, Sho Shin, salito al trono nel 1477, pose fine al feudalesimo, fondò uno stato confuciano, spedì gli Anji (la classe nobile) a Shuri, impose il veto sulla libertà di circolare con la spada e decretò illegale il possesso di grandi quantità d’armi. È stato notato che queste misure di sicurezza anticiparono di oltre un secolo le medesime misure che furono adottate anche in Giappone: nel 1507, ad Okinawa, proibizione della proprietà privata delle spade e loro accumulo; un secolo dopo la stessa misura verrà adottata in Giappone. Circa centocinquanta anni prima che Tokugawa Ieyasu (il primo shogun) obbligasse i suoi daimyo a trasferirsi tutti ad Edo per meglio tenerli sotto controllo, Sho Shin ordinò ai suoi Anji di abbandonare le loro residenze per trasferirsi nel distretto del castello di Shuri. Circa un secolo prima che gli agenti di polizia Tokugawa stabilissero le tecniche di controllo civile facendo uso del rokushaku e del jutte, i funzionari della classe pechin di Okinawa, che a differenza dei loro colleghi giapponesi erano disarmati, avevano già consolidato un metodo di difesa basato sul kempo cinese. Il regno di Ryukyu si espanse e prosperò grazie al commercio con la Cina (soprattutto attraverso Fuchou, nella provincia di Fukien), con il sud est asiatico, la Corea e il Giappone, almeno fino al 1669, quando fu invaso dal clan dei Satsuma, provenienti del sud di Kyushu. Da allora, benché di fatto sia rimasta uno stato indipendente e pur mantenendo i contatti con la Cina, Okinawa conobbe un lento declino. I Satsuma rafforzarono gli editti sulle armi e nel 1699 vietarono l’importazione di qualsiasi lama. Nel 1724, grazie all’espansione delle classi più alte di Ryukyu (gli shizoku), fu concesso a questi nobili di dedicarsi al commercio, all’artigianato o di diventare proprietari terrieri nella campagna o nelle isole vicine. I contadini rimasero invece in una condizione di quasi schiavitù fino a quando le isole Ryukyu non vennero annesse, in seguito alla restaurazione Meiji del 1868, al Giappone e il re Sho Tai fu esiliato a Tokio. Con ‘restaurazione Meiji’ si intende una serie di mutamenti politici, sociali ed economici che portarono in Giappone alla caduta del regime feudale dei Tokugawa (epoca del feudalesimo giapponese) e all’instaurazione dello stato unitario di tipo moderno, attraverso la restituzione dei poteri di governo dallo shogun all’Imperatore (da cui il termine di “restaurazione”). Aveva così inizio l’epoca Meiji (1868-1912), dal nome augurale e rituale che venne assegnato dell’Imperatore regnante Mutsuhito (1852-1912), il cui significato programmatico è “governo illuminato”. Fattori di ordine interno ed esterno concorsero alla genesi di quello che viene sempre più spesso, e più propriamente, chiamato il “rinnovamento Meiji”. Sul piano interno, verso la metà del XIX secolo la crisi dello shogunato dei Tokugawa era dovuta alla incapacità di dar vita a uno stato accentrato e di far fronte, con strutture ancora di tipo feudale, alle trasformazioni socio-economiche derivanti dallo sviluppo del mercato interno. L’apertura del paese ai rapporti con i paesi occidentali nel 1854 (trattato di Kanagawa) rese ancor più instabile il delicato equilibrio socio-politico su cui reggeva il regime shogunale, costringendolo a ricercare il consenso dei principali daimyo e dell’Imperatore, mentre contro i Trattati ineguali con i paesi occidentali (ritenuti lesivi della sovranità e degli interessi economici del paese per le clausole della extraterritorialità e della limitazione dell’autonomia doganale) si mobilitavano attivisti politici appartenenti agli strati medio-bassi della classe dei samurai che, insofferenti delle gerarchie feudali, ne chiedevano il superamento attraverso la restaurazione imperiale e l’abolizione del regime shogunale, accusato di cedimento nei confronti degli stranieri. La lotta politica si svolse con alterne vicende, avendo come epicentro Kyoto, la capitale imperiale, ma suscitando lotte violente anche presso i principali stati feudali. Dopo il tentativo di riaffermazione autoritaria del ministro Ii Naosuke, assassinato nel 1860, lo shogunato cercò di superare la crisi ricorrendo alla coalizione con la corte imperiale e i principali daimyo, del cui aiuto si serviva per espellere da Kyoto, nell’estate del 1863, gli attivisti antishogunali. Questi riuscivano però ad assumere il potere presso lo stato feudale di Choshu, dando vita, con la partecipazione di elementi provenienti anche dalle classi popolari, a corpi armati che resistevano con successo alle due spedizioni punitive inviate, nel 1864 e nel 1866, dal governo shogunale.