STEFANO GERVASONI — Muro Di Canti
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© Davide Santi – Tuo Xiao Tong Stefano Gervasoni (*1962 ) Altra voce Fu verso o forse fu inverno omaggio a Robert Schumann ( 2015 / 17 ) sei liriche di Lorenzo Calogero ( 2016 ) for Alvise Vidolin and Aldo Orvieto for Marina Valensise text by Lorenzo Calogero 1 I. Luce ignota della sera from Zwölf Vierhändige Clavierstücke für kleine und 6 I. Ciò che fu pianto 02:28 große Kinder op. 85 n. 12 04:40 7 II. O mutilate ombre 01:43 2 II. Sirenenstimme from Fantasiestücke op. 88 n. 3 04:22 8 III. Ora mobile punta a rilento 04:09 3 III. Fiori soli rossi 9 IV. E così per onde e sbalzi 03:24 from Waldszenen op. 82 n. 3 and 4 text by Friedrich Hebbel 02:57 10 V. Un distico col suo segreto 01:23 4 IV. Vogelgänger 11 VI. E io ti porgo una lettera 05:59 from Waldszenen op. 82 n. 7 02:44 5 V. Alba mentore from Gesänge der Frühe op. 133 n. 1 04:16 12 Muro di canti ( 2016 ) commissioned by Istituto Italiano di Cultura – Paris text by Giacomo Leopardi, Lorenzo Calogero, Bartolo Cattafi, Alfonso Gatto and Leonardo Sinisgalli 23:53 1 – 11 Aldo Orvieto, piano 1 – 11 Alvise Vidolin, live electronics and sound direction 3 , 6 – 11 Monica Bacelli, mezzo soprano 12 Marco Liuni, computer music design TT 62:07 2 3 Track 3: Track 6–11 III. Fiori soli rossi Fu verso o forse fu inverno from Waldszenen op. 82 n. 3 and 4 | text by Friedrich Hebbel sei liriche di Lorenzo Calogero ( 2016 ) Text of the pre-recorded voice (Schumann’s quotation from a poem by for Marina Valensise | Text by Lorenzo Calogero Christian Friedrich Hebbel which is preserved in the printed score of Waldszenen): ... Ciò che fu pianto Verrufene Stelle ... Ciò che fu pianto Die Blumen, so hoch sie wachsen, così in rugiada cala. Sind blaß hier, wie der Tod; Il trepido passeggero, Nur Eine in der Mitte chiunque di lì passi si dilunga e s’attarda, Steht da in dunklem Roth guarda l’immensità remota e scorge segni premonitori Die hat es nicht von der Sonne dell’indubbia potenza Nie traf sie deren Glut; della saggezza divina Sie hat es von der Erde, e, percorso da un subito pensiero, Und die trank Menschenblut. si slaccia le scarpe e percorre scalzo in silenzio il ridente sentiero, al pensiero della morte inclina Original punctuation: e sente di gustare in quest’istante Die Blumen, so hoch sie wachsen, un briciolo di eterna pace. Sind blaß hier, wie der Tod, Nur Eine in der Mitte from: Quaderni manoscritti del 1936, unpublished Steht da in dunklem Roth. * Die hat es nicht von der Sonne, Nie traf sie deren Glut, Sie hat es von der Erde, Und die trank Menschenblut! 4 5 O mutilate ombre E cosí per onde e sbalzi O mutilate ombre, E cosí per onde e sbalzi denso silenzio ch’era mio morirà di mattino, o chi lo sa dove l’erba prima della vita rara si colse, se mai si trova per ragioni e si frastagliarono i giorni di dolcezze confusa a l’acqua vana e non furono più che un pallido ritorno un’orchidea o una catena delle cose prime. Così fu stanca l’anima, o mai si chiama. Sortilegi i tuoi sorrisi immensi non specchiarono le stagioni in un nastro avvengono più il mio tremore, questa cosa scialba, entro una voce o una mattina chiara. opaca, corrosa dal mio amore Così la venatura d’aria che fa bianca un’ala. nei tuoi occhi, più pura, umidi si trova e si fa varia. from: Ma questo ( 1950 – 54 ), Edizioni Lerici from: Ma questo ( 1950 – 54 ), Edizioni Lerici * Ora mobile punta * Ora mobile punta a rilento. LXV Le chiomate sostanze stai a vedere. Naufraghe chiome le adeguano un distico col suo segreto e la grande pace s’avvera. A parti uguali sillabò alla luna l’orbita del giorno divise questo storno su fonti rapide e rare: longevo e uno spicchio questo era un distico quieto inumano di musica. Il cerchio è arduo. come un desiderio. Senti alla voce in argine l’origene della trepidante sera. from: Quaderni di Villa Nuccia ( 1959 – 60 ), Edizioni Lerici Castelli quadrati appaiono. L’occhio si spegne atono in un coro piegato. * from: Ma questo ( 1950 – 54 ), Edizioni Lerici * 6 7 CXXIV Track 12 Muro di Canti ( 2016 ) … E io ti porgo una lettera commissioned by Istituto Italiano di Cultura – Paris sulle mie dita. Vedevo il vociferare text by Giacomo Leopardi, Lorenzo Calogero, Bartolo Cattafi, Alfonso Gatto and Leonardo Sinisgalli dello stagno sulle rocce della strada antica e ai tuoi piedi sono le ranocchie volubili come frane. Per questi incunaboli Private Prospettive tu ti volgevi a distesa pari alle miti onde; e la morte, vedi, Mi sporgo in questa landa è alla mia destra. Ogni saluto tra blocchi di case verdicce o la tua voce inutile quanto questa erma e botteghe di macchinisti e merciai. pigra storia, quando a due passi Cerco spugne stringhe punaises. che tu non concedi passò di lì un soldato. Mi nascondo dietro il fracasso Forse questi incunaboli, questi fiori, dei carri che scaricano lastre queste miti gioiose onde di cristallo. Vedo spuntare sono quanto di me e di te dalla gronda immensa lenta è più indimenticabile mia nonna. Si cala nel pulviscolo, sotto l’ermo pigro giro del sole . si appoggia alle ringhiere, mi fissa dal fondo del bicchiere. from: Quaderni di Villa Nuccia ( 1959 – 60 ), Edizioni Lerici Vie squallide come corsie di obitori: arriva a tratti l’odore del Tevere sulle scie dei gatti pescatori. ( Leonardo Sinisgalli, 1908 – 1981 ) * 8 9 CXXIV un cane catenario alla finestra una fitta ... E io ti porgo una lettera pianta di basilico sulle mie dita. Vedevo il vociferare ora fuori ti scaccia dello stagno sulle rocce della strada antica su tante strade ti manda e ai tuoi piedi sono le ranocchie le spalle ti percuote volubili come frane. Per questi incunaboli perché tu esca dal buio e dal vuoto tu ti volgevi a distesa della casa del cane della pianta. pari alle miti onde; e la morte, vedi, è alla mia destra. Ogni saluto ( Bartolo Cattafi, 1922 – 1979 ) o la tua voce inutile quanto questa erma pigra storia, quando a due passi che tu non concedi passò di lí un soldato. * Forse questi incunaboli, questi fiori, queste miti gioiose onde sono quanto di me e di te Seguendo l’erta di conca è più indimenticabile sotto l’ermo pigro giro del sole . Il mezzogiorno lastrica le mude di calce spenta, mi sostiene il vago ( Lorenzo Calogero, 1910 – 1961 ) terrore di mancare, così nude le gambe irragionevoli che appago * del ricordo del sole, così mio l’inganno di seguirle al tremolìo Chi ti squadrò la pietra dell’universo vuoto. Chi ti squadrò la pietra Nel precipizio del cadere immoto l’eresse la mia paura a strèpito del cuore. l‘imbiancò di calce Ad attrarmi così, nel lieve moto alla porta ti mise di quegli aghi silenti, fu stupore 10 11 di vita la sembianza dell’addio Canto notturno che a distinguere il volto mi trovavo. di un pastore errante dell’asia Ero l’orma sparita nell’incavo del segno, a rilevarmi dall’oblio Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, fu la musica torrida, la spera silenziosa luna? d’un riverbero alato, la Chimera. Sorgi la sera, e vai, contemplando i deserti; indi ti posi. ( Alfonso Gatto, 1909 – 1976 ) Ancor non sei tu paga di riandare i sempiterni calli? Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga * di mirar queste valli? Somiglia alla tua vita la vita del pastore. Sorge in sul primo albore move la greggia oltre pel campo, e vede greggi, fontane ed erbe; poi stanco si riposa in su la sera: altro mai non ispera. Dimmi, o luna: a che vale al pastor la sua vita, la vostra vita a voi? dimmi: ove tende questo vagar mio breve, il tuo corso immortale? Vecchierel bianco, infermo, mezzo vestito e scalzo, con gravissimo fascio in su le spalle, per montagna e per valle, per sassi acuti, ed alta rena, e fratte, al vento, alla tempesta, e quando avvampa l’ora, e quando poi gela, 12 13 corre via, corre, anela, è lo stato mortale. varca torrenti e stagni, Ma tu mortal non sei, cade, risorge, e piú e piú s’affretta, e forse del mio dir poco ti cale. senza posa o ristoro, lacero, sanguinoso; infin ch’arriva Pur tu, solinga, eterna peregrina, colá dove la via che sí pensosa sei, tu forse intendi e dove il tanto affaticar fu vòlto: questo viver terreno, abisso orrido, immenso, il patir nostro, il sospirar, che sia; ov’ei precipitando, il tutto obblia. che sia questo morir, questo supremo Vergine luna, tale scolorar del sembiante, è la vita mortale. e perir della terra, e venir meno ad ogni usata, amante compagnia. Nasce l’uomo a fatica, E tu certo comprendi ed è rischio di morte il nascimento. il perché delle cose, e vedi il frutto Prova pena e tormento del mattin, della sera, per prima cosa; e in sul principio stesso del tacito, infinito andar del tempo. la madre e il genitore Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore il prende a consolar dell’esser nato. rida la primavera, Poi che crescendo viene, a chi giovi l’ardore, e che procacci l’uno e l’altro il sostiene, e via pur sempre il verno co’ suoi ghiacci. con atti e con parole Mille cose sai tu, mille discopri, studiasi fargli core, che son celate al semplice pastore.