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M. MARCHETTI Karl Philipp Moritz viaggiatore in Italia*.

La figura e l’opera dello scrittore tedesco Karl Philipp Moritz (1756–1793) non sembrano ancora godere in Italia di quella considerazione della quale invece beneficiano da qualche decennio in patria e nel resto del mondo occidentale. Nella storia della letteratura europea Moritz occupa ormai un posto di rilievo per il suo romanzo autobiografico Anton Reiser 1, considerato il primo romanzo psicologico tedesco; ma anche i suoi scritti sull’arte sono da tempo oggetto di un rinnovato interesse che vede in Moritz uno dei padri, insieme a Kant, dell’idea di un’autonomia dell’estetica. Moritz fu un autore prolifico e dai molteplici interessi sul quale Goethe, che l’aveva incontrato a Roma nel 1786, ebbe a scrivere: «E’ per me come un fratello minore, della mia stessa natura, solamente trascurato e danneggiato dal destino laddove io ne sono stato favorito e prediletto» 2. Tra il 1786 ed il 1788 Moritz compì infatti un viaggio in Italia la cui relazione, scritta in forma epistolare, fu pubblicata a Berlino in tre volumi tra il 1792 ed il 1793 col titolo Reisen eines Deutschen in Italien (Viaggi di un tedesco in Italia) 3. Quest’opera occupa una posizione particolare nel panorama della letteratura dello stesso genere ad essa contemporanea, perchè ai consueti aspetti storici e folcloristici essa affianca l’esposizione di un vero e proprio percorso formativo lungo il quale giunsero a maturazione le personali idee estetiche di Moritz, che ne fecero un protagonista del classicismo tedesco e, per certi versi, un precursore della successiva sensibilità romantica. Per tale ragione i Viaggi di Moritz mantengono ancora un notevole interesse come testimonianza diretta dell’evoluzione personale e filosofica del loro Autore.

*** Per illustrare questo percorso è necessario in primo luogo accennare brevemente al retroterra esistenziale e culturale di Moritz, ed in particolare a quelle circostanze peculiari della sua formazione che dovevano avere una consistente influenza anche sulle sue posizioni estetiche. Karl Philipp Moritz era nato il 15 settembre 1756 ad Hameln, nel Principato di Hannover. Il padre, Johann Gottlieb, era un musico militare, spesso assente per servizio; la madre, Dorothee Henriette König, era una donna semplice, che Johann Gottlieb aveva sposato in seconde nozze. Tra i genitori di Karl Philipp i rapporti non furono mai buoni, per via di una stridente differenza di carattere aggravata da contrasti di natura religiosa. Mentre infatti la madre era una fervente luterana, il padre era entrato a far parte dell’ambiente quietista (o “separatista”) frequentando la casa di Friedrich von Fleischbein 4, le cui idee misticheggianti aveva assimilato. I continui contrasti tra i genitori, uniti ad una precaria situazione economica e ad una salute cagionevole, resero amara l’esistenza di Karl Philipp fin dall’epoca dei suoi primi ricordi tanto che, come egli scrive nell’ Anton Reiser parlando di se stesso, «di lui si può dire in verità che fu oppresso fin dalla culla» 5.

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La famiglia Moritz dovette spostarsi più volte per seguire il reggimento del padre ed in quel periodo Karl Philipp ricevette un’istruzione frammentaria, che tuttavia bastò ad accendere in lui l’amore per la lettura e la curiosità di conoscere. Le sue speranze subirono però un durissimo colpo quando il padre decise di affidarlo come apprendista ad un cappellaio di Braunschweig, come lui invasato dalle dottrine quietiste. Sfruttato nel corpo ed oppresso nello spirito, Karl Philipp visse in quel tempo una delle più dolorose esperienze della sua vita, che lo segnò profondamente portandolo, a tredici anni, sull’orlo del suicidio. Le qualità del giovane Moritz furono però notate dal pastore della guarnigione di Hannover, che lo prese sotto la sua protezione ottenendogli un sussidio dal Principe e permettendogli così di accedere ad un’istruzione migliore. In condizioni economiche precarie, Karl Philipp dovette tuttavia barcamenarsi a lungo tra mecenatismo e carità subendo amare umiliazioni, pur continuando a perseguire caparbiamente quell’opera di autoformazione cui si era votato fin da fanciullo. Un’infatuazione giovanile per il teatro lo portò a lasciare la famiglia e a vagabondare per la Germania alternando infruttuose ricerche di un impiego presso compagnie teatrali a periodi di relativa stabilità e di studio, come quello in cui frequentò la facoltà di teologia di . Fu in questo periodo che Karl Philipp sperimentò l’esperienza del viaggiare (sempre a piedi e senza un centesimo in tasca) come una condizione privilegiata dello spirito che, reciso ogni legame, perviene alla coscienza della propria libertà. Questo aspetto della vita di Moritz si concretizzerà appunto nel suo racconto autobiografico nel quale non a caso egli assume lo pseudonimo di Anton Reiser , ovvero Anton il viaggiatore. Ottenuto nel luglio del 1778 un posto di insegnante presso l’Orfanotrofio Militare di , dovette constatarne le terribili condizioni che misero la sua sensibilità a dura prova. Nel novembre dello stesso anno riusciva tuttavia ad entrare come insegnante nel ginnasio berlinese del Grauen Kloster, opportunità che gli consentì di approfondire e sviluppare i suoi profondi interessi pedagogici; veniva così a contatto con l’ambiente dell’illuminismo berlinese e con alcune delle sue figure di maggior rilievo, come ; al 1779 risale poi l’ingresso di Moritz nella Massoneria. Queste circostanze diedero notevole impulso alla sua attività di scrittore, che si concretizzò in opere di argomento pedagogico, psicologico ed estetico. La maggiore stabilità richiese tuttavia come contropartita l’inquadramento negli schemi piuttosto angusti imposti a quel tempo ad un insegnante dello stato prussiano; su una personalità come quella di Moritz tali condizioni non mancarono di esercitare il loro effetto, che si manifestò in ricorrenti crisi depressive. Malgrado i riconoscimenti ottenuti come autore, la sua inquietudine lo spinse ad interrompere periodicamente la routine dell’esistenza compiendo diversi viaggi che lo portarono in varie località della Germania e, nel 1782, in Inghilterra, dove si trattenne per quasi sei settimane. Frutto di quest’ultima “fuga” fu l’opera Reisen eines Deutschen in England (Viaggi di un tedesco in Inghilterra) che pubblicata nel 1783 recò all’autore un notevole successo. Tra i lavori più importanti del periodo precedente il viaggio in Italia occorre menzionare la rivista ΓΝΩΘΙ ΣΑΥΤΟΝ , Magazin zur Erfahrungsseelenkunde 6, le prime tre parti dell’ Anton Reiser (parte I, 1785, parte II

2 www.moritz-viaggio-in-italia.it e III, 1786) ed il Versuch einer Vereinigung alle Schönen Künste un Wissenschaften unter dem Begriff des ‘in sich selbst Vollendeten’ (1785) 7. Edito a partire dal 1783 e fino all’anno della morte di Moritz, il Magazin è considerato la prima rivista tedesca di psicologia sperimentale, argomento a quel tempo al centro degli interessi dei circoli intellettuali tardo-illuministici berlinesi. In questo ambizioso progetto di raccolta di materiale ed informazioni destinati ad una riflessione critica sul funzionamento della psiche umana, Moritz riversò buona parte della sua personale esperienza giovanile ed in particolare quella tendenza all’introspezione che gli derivava dalle pratiche religiose quietiste. Un concetto basilare che emerge dai contributi di Moritz a tali ricerche è quello che definisce la patologia psichica essenzialmente come mancanza di equilibrio tra le diverse facoltà e che dunque attribuisce alla psiche normale il carattere di un tutto unitario, indiviso, armonico nelle sue parti. Tale concetto di completezza ed equilibrio sarà caratteristico, come si vedrà, delle riflessioni di Moritz anche in altri campi della conoscenza. Nell’ Anton Reiser si fondono, attraverso il resoconto introspettivo, tematiche psicologiche ed estetiche. Nel raccontare la propria storia negli anni dell’infanzia e della giovinezza, Moritz esamina se stesso come si esaminerebbe un paziente, individuando e descrivendo le circostanze esterne e le contraddizioni interne del suo soggetto. Particolare interesse presenta a questo proposito la problematica della vocazione artistica (che sarà poi sviluppata nella quarta parte del Reiser alla luce delle più mature riflessioni dell’Autore) vista in relazione all’infatuazione del giovane Anton per la poesia e per il teatro ed alle conseguenti scelte sbagliate di uno spirito turbato dalle circostanze esistenziali, nel quale l’immaginazione (o fantasia) prevale sulla ragione. Il Versuch rappresenta il più significativo scritto di estetica precedente il viaggio in Italia. Qui Moritz sviluppa alcune idee fondamentali che troveranno poi completamento nei lavori successivi al soggiorno italiano, ed in particolare quel concetto di “compiuto in se stesso” che sta alla base dell’autonomia dell’opera d’arte, intesa come libertà da ogni subordinazione a fini esterni all’opera stessa come il piacere o l’utilità. Compare anche qui, in altra forma, quell’idea di completezza già incontrata in ambito psicologico e che nella rilfessione estetica viene a costituire il carattere intrinseco e distintivo di ciò che è “bello” e dunque il sigillo dell’autentica opera d’arte.

*** E’ dunque con questo bagaglio di esperienze e di idee che Moritz, nuovamente in preda ad una profonda crisi, decideva nel 1786 di abbandonare senza permesso il proprio posto di insegnante e di partire per l’Italia, dopo aver ottenuto da un editore un anticipo di denaro in cambio dei suoi resoconti 8. Questo viaggio, che durerà due anni, produrrà in lui una profonda maturazione, arricchendolo sul piano delle conoscenze artistiche ed affinando notevolmente, attraverso il contatto con Goethe, le sue capacità critiche e letterarie. La scelta dell’Italia come meta di viaggio è rivelatrice di un’evoluzione interiore di Moritz, soprattutto se posta in relazione col precedente viaggio in Inghilterra; il suo interesse si sposta dal paese allora simbolo del

3 www.moritz-viaggio-in-italia.it progresso a quello che incarnava invece il peso della storia, dai panorami brumosi del nord ai chiari cieli del sud, dal tenebroso fascino della leggenda alla limpida serenità del mito classico. L’attrazione di Moritz per l’Italia è, sostanzialmente, un’attrazione per Roma, da lui considerata il luogo sotto ogni aspetto più eminente per l’osservazione dell’arte e della storia; non a caso i suoi Viaggi si aprono con il motto “Romam quaero!”. L’arte che Moritz viene a cercare in Italia tuttavia è l’arte greca, aspetto questo che rivela l’influenza di Winckelmann, che nella Città Eterna aveva elaborato la propria visione estetica e fondato la sua autorità universale di storico dell’arte, e insieme un’intento da parte di Moritz di emulare il suo illustre predecessore. La centralità di Roma appare già dalle esplicite dichiarazioni che aprono la prima parte dei Viaggi, in cui Moritz non nasconde il suo intento, una volta varcate le Alpi, di raggiungere al più presto l’Urbe, dove soltanto ritiene di potersi formare quel criterio di giudizio necessario a valutare correttamente tutto l’immenso patrimonio di impressioni estetiche che la Penisola offre. Con queste ragioni egli giustifica quello che appare (ma solo superficialmente) come uno scarso interesse per ciò che via via incontra avvicinandosi alla meta:

Ma ora mi affretto verso il luogo sopra i Sette Colli, là dove nacque e si formò quanto di più grande e splendido vide un tempo l’orbe terrestre, là dove l’arte mantiene ancora, tra i sublimi resti del tempo passato, la sua stabile dimora. Da quel luogo elevato voglio rivolgere i miei sguardi a questo grande scenario e da qui cominciare le mie peregrinazioni. Pertanto, carissimo Amico, non aspettatevi alcunchè di compiuto o di esauriente da me se non per quanto attiene a Roma. Poichè fino a quel luogo io non viaggerò, ma volerò verso la meta del mio pellegrinaggio, che spegnerà la mia brama e appagherà il mio desiderio, e che per qualche tempo vorrò considerare come la mia patria. (R., I, p.2, Verona, 2 ott. 1786) .

Fin dall’inizio dunque Moritz è alla ricerca di un criterio estetico fondante o, se si vuole, di una verifica sperimentale, nella terra dell’arte, delle idee da lui elaborate in precedenza. Il processo che lo porterà al conseguimento dell’obiettivo si riflette nella struttura dei Viaggi, che ne scandiscono le tappe fondamentali. A queste tappe corrisponde un graduale mutamento nel modo di descrivere: mentre nella prima parte (che in ciò ricorda il resoconto del viaggio inglese) prevalgono le descrizioni del paesaggio e le impressioni personali sulla popolazione italiana e i suoi costumi, nella seconda e terza parte tali temi saranno bensì presenti, ma circoscritti come miniature o parentesi descrittive che lasceranno via via più spazio ad una documentazione delle esperienze estetiche e poi, nell’ultima parte, ad una consapevole riflessione alla luce delle idee nel frattempo maturate. Il primo impatto con Roma («la meta dei miei desideri» [R. I, p.104]) produrrà in Moritz un senso di generale disorientamento. Il contrasto tra passato e presente, classicità e barocco, splendore e miseria, le condizioni atmosferiche avverse ed il contatto con la religiosità cattolica popolare, per lui incomprensibile, congiureranno nell’evocare nel nuovo arrivato uno stato d’animo malinconico:

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Il giorno dei morti però, all’inizio di questo mese, il tempo si è fatto nuovamente incerto, nuvoloso e piovoso, e quanto vi è di triste ed orrendo di questa ricorrenza ne ha ricavato un aspetto ancor più opprimente. Le chiese, internamente e in parte anche all’esterno, erano rivestite di nero e adornate con immagini di teschi ed ossa. E dappertutto risuonava per le strade il grido di quanti chiedevano l’elemosina per una messa funebre “per le povere anime del purgatorio”. [...] Ogni cosa ha preso, in questi giorni, un aspetto malinconico. Nel corso di una delle mie camminate ho visitato l’antico Foro romano, che circondato da ogni lato di splendide rovine è ora un luogo di passeggio solitario, dove piccoli viali invitano lo stupito forestiero alla contemplazione silenziosa e alla calma riflessione. [...] Ora il luogo era del tutto vuoto. La storia del tempo antico si ergeva dinnanzi al mio spirito. Ma il velo della notte si stendeva sulla magnifica apparizione; e in lontananza la campana del cupo convento suonava a morto per il passato. (R., I, 123 ss., Roma, 6 nov. 1786)

E’ evidente da questi passi come Moritz guardi Roma ancora con gli occhi di Anton Reiser. Conseguenza di questa sua condizione di spirito sarà una sorta di paralisi che gli impedirà per un certo tempo di pronunciarsi sulle opere d’arte che si presentano via via alla sua attenzione:

Sono poi stato anche al Vaticano, ho visto l’Apollo del Belvedere, il Laocoonte, il Torso, il Gladiatore a Villa Borghese, così come molti altri magnifici monumenti; e tuttavia non oso, per il momento, scrivere su tutto ciò anche una sola sillaba. (R., I, 146, Roma, 10 nov. 1786)

Poco tempo dopo tuttavia, a meno di un mese dall’arrivo a Roma, lo spirito di Moritz si trasforma ed il suo sguardo su ciò che lo circonda si fa più sereno: alla malinconia si sostitusce un senso di armonia ed equilibrio. Questo mutamento è il riflesso dell’evento centrale, sul piano personale, del viaggio in Italia: l’incontro con Goethe, modello di genio ammirato e venerato fin dalla giovinezza 9. Tra i due compatrioti si instaureranno una profonda corrispondenza ed un continuo, proficuo interscambio; l’apprezzamento del maestro di eserciterà su Moritz un’influenza quanto mai positiva, favorendo in lui un senso di autostima che gli consentirà di esternare e mettere a frutto le sue migliori qualità e di considerare le cose sotto una nuova e più ottimistica luce:

Il signor v. G. [von Goethe] è arrivato qui, ed il mio soggiorno in questo luogo ne ha ricavato un nuovo e duplicato interesse. Questo Spirito è uno specchio nel quale posso vedere riflessa ogni cosa nel suo più vivo splendore e nei suoi colori più freschi. La sua frequentazione trasforma in realtà i sogni più belli della mia giovinezza e la sua apparizione come un genio benevolo in questa sfera dell’arte è per me, come per molti, una fortuna insperata. Perchè di fronte ad ogni bellezza della natura e dell’arte non vi è nulla di più elevato dell’armonioso scambio di pensiero, mediante il quale soltanto le oscure sensazioni divengono parole e consapevolezza. Qui, a metà novembre, abbiamo ancora il più gradevole clima primaverile e un paio di giorni or sono, in compagnia del signor v. G. e di alcuni artisti che abitano insieme a lui, ho fatto una passeggiata fino alla Villa Pamphili, che mi ha portato in un nuovo modo di idee e di magnifiche impressioni. (R., I, 148-149, Roma, 20 nov. 1786)

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I successivi mesi fino ad aprile vedranno dunque il Nostro trattenersi a Roma e dedicarsi ad assorbire il patrimonio di bellezza che la città gli offre sviluppando al contempo, attraverso il dialogo con Goethe e gli artisti della sua cerchia, la propria riflessione filosofica ed estetica. Di questo clima Moritz fornisce ampia ed entusiastica testimonianza:

In generale regna qui una gran socievolezza tra gli stranieri, chè tutti infatti sono in certo qual modo legati tra loro dallo scopo comune di sfruttare al meglio ogni momento del loro soggiorno, elevando ed affinando il loro senso del Grande e del Bello nell’arte.mSu tali argomenti verte la maggior parte dei discorsi nei quali ci si intrattiene. Si discute con meraviglia ed entusiasmo di ciò che si vede, e ciascuno cerca di comunicare agli altri le proprie impressioni, poichè lo stesso amor proprio si sente lusingato di avere una pur sufficiente sensibilità per il Bello. E’ una vera e propria festa quando ci si ritrova per trascorrere una mattinata od un pomeriggio ad osservare una qualche raccolta di opere d’arte. Qualora la si visiti per la prima volta, l’aspettativa è perciò più forte, mentre nel caso in cui la si conosca già ci si rallegra come nel ritrovare vecchi amici o conoscenti. (R., I, 149-152, Roma, 20 nov. 1786)

Con uno sguardo più fresco dunque Moritz si immerge nell’affascinante realtà che lo circonda, finalmente ricettivo agli innumerevoli stimoli e desideroso di accoglierli in sè, ripercorrendo i luoghi che prima aveva intravisto sotto la cappa della malinconia:

Ho dunque visto il Museo Capitolino, il Lottatore [Galata] morente, l’Antinoo, eccetera; nella Cappella Sistina ho ammirato il Giudizio Universale di Michelangelo; tutti i giorni vado in giro tra le maestose rovine dell’antica Roma cercando di orientarmi, per gradi, in questo grande scenario, per essere poi in grado, tra qualche tempo, di dire finalmente qualche parola in proposito. Poichè tuttvia desidero far ciò con sufficiente calma, sono io stesso il mio Cicerone. Con la mia guida, Roma antica e moderna , alla mano 10 , percorrerò le zone della città senza trascurare alcun luogo nè angolo che contenga anche solo qualcosa di notevole. (R., I, 153-154, Roma, 20 nov. 1786)

Di questa fase del suo primo soggiorno romano Moritz fornisce un resoconto relativamente breve, che lascia un vuoto tra i mesi di novembre e di marzo. Una caduta da cavallo, con conseguente rottura di un braccio, l’aveva infatti costretto a letto per due mesi. Se l’incidente gli impedì di muoversi, l’assistenza e la continua vicinanza di Goethe rappresentarono tuttavia una circostanza proficua per lo scambio di idee e la riflessione. Sebbene le descrizioni di quest’ultimo periodo non si discostino ancora da quelle di carattere storico- letterario dell’inizio del viaggio, esse mostrano tuttavia il rapido ambientamento di Moritz nella realtà romana, il cui frutto è la conquista di un nuovo equilibrio. Ciò significa, anzitutto, un equilibrio tra passato e presente, dove la frattura tra individuo e storia si ricompone in un’unità che soltanto Roma, luogo in cui le testimonianze dell’antichità e della sua arte sono disseminate ovunque in armonia col paesaggio, rende possibile 11 . La storia appare dunque anch’essa, al rinnovato sguardo di Moritz, come una totalità “compiuta in se stessa” con la quale lo spirito, in circostanze opportune, può arrivare a fondersi:

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Nell’osservazione delle rovine millenarie è come se l’enorme intervallo di tempo apparisse davanti agli occhi ed il passato, come in uno specchio magico, tornasse a rappresentarsi in mezzo alle nebbie del presente. (R., I, 154, Roma, 20 nov. 1786)

Significativamente, questa prima parte dei Viaggi e con essa il primo soggiorno romano si concludono con la scena che ritrae Moritz seduto sotto gli alberi dell’antica Via Sacra, intento a rievocare tramite la lettura di Livio lo scontro tra romani e sabini che avvenne in quel luogo e a cogliere nel paesaggio circostante le tracce ancora visibili di quanto va leggendo. Il soggiorno romano si interromperà nell’aprile del 1787 per un’escursione a Napoli e nei dintorni che durerà poco più di un mese. In Campania Moritz visiterà, oltre alla capitale, i luoghi classici del viaggio italiano come Pompei, Ercolano, i Campi Flegrei ed il Vesuvio, spingendosi fino a Capri e Sorrento. In questa parte del suo resoconto riemergeranno l’aspetto descrittivo e l’interesse per il paesaggio, la popolazione, il costume. Appena entrato a Napoli Moritz si sofferma infatti sulla descrizione dei “lazzaroni”, dei medici, dei causidici e dei gelati, e in generale su ciò che, tra il pittoresco ed il grottesco, contribuisce a far risaltare l’alterità italiana rispetto al mondo posto a nord delle Alpi, non risparmiando le consuete citazioni letterarie. Ma sarà una parentesi, una sorta di digressione motivata dalla tradizione del viaggio culturale in Italia, per la quale la visita delle località storiche campane costituiva un dovere imprescindibile. Tornato a Roma, Moritz riprende di buona lena le sue peregerinazioni alla ricerca del Bello (in particolare nelle sue visite al Museo Capitolino) senza peraltro tralasciare di inserire qua e là schizzi sul costume, sulle feste, sulle superstizioni popolari, sui giochi. Durante questo suo secondo soggiorno nella Città Eterna, che dalla metà di maggio del 1787 si protrarrà fino a tutto settembre dell’anno seguente, giungeranno a maturazione quelle idee sull’arte che troveranno forma nelle descrizioni soprattuto della terza parte dei Viaggi e successivamente negli importanti lavori posteriori al periodo italiano. Nella lettera datata 14 settembre troviamo l’esplicita testimonianza dell’avvenuta svolta nella visione estetica del nostro viaggiatore:

[Ho anticipato la mia villeggiatura ] avendo già trascorso nella primavera e nell’estate scorse un certo periodo a Frascati e a Tivoli. Tuttavia non sento molto la mancanza di questo piacere, perchè Roma mi attrae adesso più che mai, e non provo alcun bisogno di barattare il mio soggiorno in questa città per quello in altri luoghi. Mi è come caduta una benda dagli occhi, e sto cominciando ad intravedere il valore che ha una giornata trascorsa qui, con lo spirito sereno e i sensi aperti. E vi è forse da meravigliarsi se la ricchezza delle cose che qui si concentrano provoca all’inizio, in chi arriva, un attonito stupore? Il Bello è più potente dell’immaginazione, e si prende la rivincita su di essa mediante lo stordimento quando quella tenti di afferrarlo tutto in una volta. Nella misura in cui ci si risveglia da un tale stordimento, si rivela gradualmente ai sensi più tranquilli ciò che prima si presentava allo spirito solo in maniera confusa. Un sereno sentimento del Bello prende il posto dell’inquieto desiderio. Non si precorre più il momento della sensazione e l’animo rimane aperto ad ogni impressione. Ho ripreso daccapo le mie escursioni e le proseguo secondo un certo ordine.

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(R., II, 156-157, Roma, 14 set. 1787)

Vediamo chiaramente convergere, in queste sintetiche note, quelle le tematiche del pensiero di Moritz che avevano costituito il nucleo delle sue riflessioni psicologiche ed esetiche nel periodo precedente il viaggio in Italia. In primo luogo l’equilibrio tra le facoltà dello spirito, e la necessità di subordinare l’immaginazione, messa in subbuglio dallo straripare delle sensazioni, ad uno stato d’animo limpido e sereno, finalmente propiziato dalla consuetudine con un ambiente in cui, come si è già osservato, passato e presente, arte e natura sono tra loro in armonia. Ma soprattutto l’irriducibile autonomia del Bello, che si rivela da sè e in tal modo si pone al disopra delle facoltà umane come un principio ordinatore. Da ciò la possibilità di un approccio estetico che permetta di valutare l’opera d’arte per ciò che realmente essa è: la capacità di cogliervi il Bello lasciando che questo parli e si riveli nella sua autonoma normatività, senza frapporre tra l’osservatore e la fonte di luce i veli di qualsivoglia criterio subordinante. Come conseguenza della raggiunta consapevolezza teoretica, le descrizioni delle opere d’arte che Moritz fornirà nel seguito del suo resoconto assumeranno una qualità diversa da quelle precedenti, in particolare spogliandosi dell’aspetto storico-antiquario per contenersi in una dimensione più rispettosa dell’opera stessa, cui si cerca di lasciare la parola; sulla descrizione prevarrà la riflessione, volta non tanto a fornire informazioni utili o curiose, quanto a caratterizzare l’opera nel suo valore intrinseco. Questo nuovo atteggiamento risulta peraltro già evidente nelle descrizioni relative alle opere del Museo Capitolino, e sarà sempre più netto nella terza parte dei viaggi, quasi interamente dedicata a Roma, nella quale i passi riguardanti le osservazioni artistiche si faranno più concisi e più profondi. La normatività del Bello si manifesta al massimo grado, per Moritz, proprio nell’arte greca, nella quale le parti si accordano al tutto senza mai sopraffarlo, anzi contribuendo ciascuna in esatta misura al suo conseguimento:

Ciò che infatti risplende nelle opere d’arte degli antichi, anche nei lavori più mediocri, è che le singole parti rimangono sempre subordinate e che ciascuna di esse è stata eseguita con lo sguardo costantemente rivolto all’insieme. (R., II, 230, Roma, 6 ott. 1787)

Moritz scriveva queste parole dopo aver contemplato lo Schermitore di Villa Borghese per evidenziare non soltanto le qualità di quel capolavoro, quanto piuttosto l’elemento discriminante tra l’arte antica e quella moderna che qui gli appariva evidente nel confronto tra lo Schermitore ed il Davide del Bernini:

La mancanza di tale grande visione d’insieme sembra segnare più di ogni altra cosa la linea di confine tra le opere d’arte antiche e quelle moderne. (R., II, 230, Roma, 6 ott. 1787)

A questi concetti di misura ed equilibrio si collegano le numerose considerazioni che Moritz svolge a proposito degli ornamenti, ovvero dei diversi elementi decorativi delle opere d’architettura, scultura o

8 www.moritz-viaggio-in-italia.it pittura. L’ornamento isola e sottolinea l’opera d’arte, ma per tale ragione esso non deve mai prevalere su quella, a rischio di comprometterne la peculiare unità; deve dunque subordinarsi all’opera come la parte al tutto al fine di porla in risalto il più possibile, senza mai eccedere i limiti di questa sua funzione:

Gli ornamenti si possono spiegare nel modo più naturale a partire dal principio dell’isolare e del porre qualcosa in rilievo rispetto alla massa. Una cornice infatti abbellisce il dipinto isolandolo e separandolo dalla relazione con le cose circostanti. La bellezza della cornice e quella del quadro derivano da un unico e medesimo principio. Il quadro rappresenta qualcosa che è in sè compiuto; la cornice delimita ulteriormente questa compiutezza. Essa si apre verso l’esterno di modo che noi possiamo per così dire penetrare gradualmente con lo sguardo la parte più interna del santuario che riluce attraverso quella recinzione. Sono il valore e la portata stessi del dipinto a tracciare quella linea di demarcazione oltre la quale la cornice acquisterebbe un aspetto grossolano e sovraccarico dal quale l’insieme apparirebbe come soverchiato. (R., III, 227-28, Roma, 24 lug. 1788)

Cos’altro infatti se non la spinta interiore alla perfezione, che anche qui si manifesta, tenta di dare una sorta di compimento a ciò che non ha in sè limite o conclusione, facendone in tal modo un tutto? (R., III, 189, Roma, 6 apr. 1788)

Si spiega così il giudizio severo che Moritz esprime osservando le Stanze di Raffaello, nelle quali la stupefacente decorazione pittorica prende a suo giudizio il sopravvento sull’ambiente e sull’osservatore, producendo un risultato disorientante:

Si può ben dire che le famose Stanze raffaellesche nel Palazzo del Vaticano siano, tra tutte le camere del mondo, quelle decorate nella maniera più sfarzosa e al contempo nella maniera peggiore. Considerata sotto l’aspetto dell’ornamentazione, la pittura di queste stanze è quantomai biasimevole, poichè l’occhio non vi trova mai quiete. Dovunque si posi lo sguardo tutto è dipinto, e la stessa cornice delle grandi scene è a sua volta costituita da scene più piccole, per cui l’insieme ne ricava un aspetto sovraccarico. Si vede qui come lo spirito di Raffaello qui dominasse col massimo dispotismo dell’arte, cui tutto il resto deve cedere e sottomettersi. Il più grande dei pittori era un decoratore alquanto incapace. (R., III, 196, Roma, 10 apr. 1788)

La ricerca di un criterio unificante è evidente nelle riflessioni di Moritz sul rapporto tra l’arte e la natura. Quest’ultima è da lui considerata come una superiore unità che trascende il singolo individuo, soggetto a nascita e distruzione, in un incessante e straordinario processo di continua creazione. In una tale visione l’arte diventa il modo più elevato in cui l’uomo può imitare quella forza creatrice, trascendendo la propria individualità. In analogia con il cosmo, anche l’arte assume allora per Moritz il valore di un segno eloquente, di una superiore forma di linguaggio mediante la quale il Bello si comunica allo spirito umano:

Non è tutto, in natura, pieno di significato? E non è ogni cosa un segno di qualcosa di più grande, che attraverso di essa si manifesta? [...] 9 www.moritz-viaggio-in-italia.it

Non leggiamo forse in ogni piccola parte del creato le tracce di ciò che di più grande in essa si imprime? In tal modo tutto ciò che ci circonda diviene segno; diviene significativo, diviene linguaggio. Poichè non possediamo nulla di più alto del linguaggio, grazie al quale la nostra capacità di pensare si manifesta come la parte più nobile del nostro essere, noi poniamo il Bello al sommo grado quando diciamo che esso ci parla come attraverso un linguaggio più elevato. (R., III, 141-142, Roma, 12 gen. 1788)

Quell’unità intrinseca che caratterizza le opere della natura appare perciò evidente a Moritz anche nell’opera d’arte perfetta, che consente all’uomo di accedere alle forme più elevate della propria vita spirituale:

Ci si convince sempre più del fatto che il massimo vertice della cultura umana è rappresentato proprio dall’arte figurativa, che riconduce lo sguardo dell’uomo, al di là della superficie del suo essere, alla parte più intima di se stesso e inoltre, come accade qui, custodisce quei tratti evanescenti che altrimenti, spazzati via dalla tempesta dei tempi, non lascerebbero traccia nel mondo che sopravvive e rifiorisce. (R., II, 194, Roma, 29 set. 1787)

L’arte dunque contribuisce alla formazione umana nella misura in cui il Bello, comunicando la propria perfetta compiutezza, esercita sull’uomo un’azione formatrice, elevandone lo spirito e nobilitandone i sentimenti:

Ciò che sicuramente colloca le belle arti nella posizione più elevata è che per goderne nel modo più puro esse richiedono uno stato d’animo del tutto disinteressato. E parimenti, che colui che voglia trarre da esse diletto non debba serbare alcuna considerazione per se stesso, bensì scordarsi di sè e perdersi nella contemplazione del Bello; e che il godimento del Bello viene elevato ed affinato mediante i nobili sentimenti, e reciprocamente i nobili sentimenti mediante il godimento del Bello. [...] Ed è certo: la compiutezza [Vollkommenheit], là dove la scopriamo, appaga i nostri desideri, dà compimento al nostro essere e gradualmente ci solleva a sè, di modo che ciò che è oscuro e confuso a poco a poco si risolve e il nostro sguardo si fa sempre più chiaro. (R., III, 158-159, Roma 16 feb. 1788)

Pervenuto a queste acquisizioni teoriche, Moritz può ora confrontarsi con le dottrine estetiche di Winckelmann, verso le quali assumerà una posizione apertamente critica. La sua concezione dell’arte come forma superiore di linguaggio che esprime contenuti in se stessi compiuti ed autonomi lo porta in primo luogo a respingere quel ruolo determinante che, nella produzione artistica, Winckelmann aveva attribuito all’allegoria 12 . L’opera d’arte infatti non può prestarsi per Moritz ad altro ruolo che quello di veicolare il Bello in quanto tale, e dunque non può essere subordinata a trasmettere significati di ordine morale, letterario, o che comunque rimandino ad altro. Per tali ragioni dunque essa va considerata prescindendo da eventuali significati allegorici che nulla aggiungono al valore estetico, ma anzi rischiano spesso di comprometterlo. Commentando l’affresco dell’ Aurora e la Fortuna di Guido Reni, Moritz fornisce un chiaro esempio di questa sua posizione:

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Le figure puramente allegoriche fanno sì che l’attenzione alla bellezza artistica risulti disturbata e deviata dall’oggetto principale, perchè quando una bella figura debba anche indicare e significare qualche altra cosa al di fuori di sè, allora essa si avvicina al semplice simbolo, cosa che, come nel caso delle lettere che usiamo per scrivere, non ha particolarmente a che fare con la bellezza. L’opera d’arte dunque non ha più il proprio scopo in se stessa, ma piuttosto in qualcosa di esterno. Il vero Bello tuttavia consiste nel fatto che una cosa significhi semplicemente se stessa, indichi se stessa, comprenda se stessa e sia un tutto compiuto in se stesso. [...] L’allegoria perciò, laddove sia presente, dev’essere sempre subordinata e nulla più che casuale; essa non costituisce mai l’aspetto essenziale o il valore intrinseco di un’opera d’arte bella. (R., III, 89-90, Roma, 20 nov. 1787)

Quando si accosterà al gruppo scultoreo del Laocoonte, Moritz vi vedrà concentrato «lo strazio dell’intera umanità sofferente», «il più acuto dolore corporale unito al più profondo dolore dell’anima» (R., III, 81) . Pur non prendendo apertamente posizione contro Winckelmann, Moritz rivela però con queste affermazioni la sua vicinanza alle critiche espresse da Lessing 13 che nel considerare lo stesso capolavoro aveva respinto l’interpretazione etica di Winckelmann, secondo la quale il Laocoonte esprimeva il dominio dello spirito sulle sofferenze del corpo. Vi è qui un chiaro esempio di come Moritz rifiuti di sovrapporre all’opera interpretazioni esterne che oscurino e distorcano il significato che essa spontaneamente rivela. E’ tuttavia di fronte all’Apollo del Belvedere che la contrapposizione di Mortiz a Winckelmann diviene esplicita e netta. Moritz si accosta al capolavoro con quella rispettosa ammirazione che gli deriva dalla consapevolezza di trovarsi alla presenza del Bello in una delle sue espressioni più eloquenti. E non può evitare di provare disagio alla lettura della descrizione, retorica e piena di compiacimento letterario, che Winckelmann fa dell’Apollo:

Chi tuttavia osservi l’Apollo con il Winckelmann alla mano, vi legge: “Una fronte da Giove, gravida della dea della saggezza - Gli occhi della regina delle dee, grandiosamente inarcati - I suoi capelli appaiono unti con l’olio degli dei e legati sul suo capo dalle Grazie con leggiadra magnificenza”. Chi dunque legga queste parole contemplando l’Apollo ne rimane anche troppo disturbato e sviato verso aspetti secondari perchè la pura bellezza dell’insieme possa ancora toccarlo. In base a una tale descrizione egli deve in certo qual modo enumerare, una dopo l’altra, le bellezze dell’opera d’arte sublime e semplice, cosa che rappresenta un’offesa per quell’opera, la cui piena grandezza consiste proprio nella sua semplicità. [...] La descrizione che Winckelmann fa dell’Apollo del Belvedere mi sembra troppo elaborata ed artefatta per il suo oggetto. Mentre scriveva, il genio dell’arte accanto a lui si era assopito ed egli pensava certo più alla bellezza delle proprie parole che all’autentica bellezza del sublime ideale divino che descriveva. (R., III, 156-157, Roma, 16 feb.1788)

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Si tratta di una vera e propria contrapposizione di valori: all’idealismo di Winckelmann Moritz oppone la concreta realtà della bellezza corporea, così come essa si manifesta in primo luogo nelle opere della natura, poi in quelle dell’arte umana:

Da questa discordanza discende il consiglio fuorviante: «Va col tuo spirito nel regno della Bellezza incorporea, e prova a farti creatore di una natura celeste, onde colmare lo spirito delle bellezze che si elevano al disopra della natura!» Chi segua un tale consiglio mancherà del tutto lo scopo. L’arte, col suo spirito, deve penetrare sempre più profondamente nel regno della bellezza materiale e portare alla luce tramite il corpo tutto ciò che è spirituale; essa deve riempire lo spirito delle bellezze che realmente si trovano nella natura, per sollevarsi all’ideale della più alta bellezza corporea. (R., III, 157-158, Roma, 16 feb.1788)

Giunge così a compimento quel percorso formativo che aveva portato Moritz a cercare in Italia il fondamento e le prove delle sue intuizioni estetiche ed a misurarsi con Winckelmann su quello stesso terreno sul quale il grande storico dell’arte aveva guadagnato autorità e prestigio. La posizione di Moritz si delinea ora con chiarezza sia rispetto alle sue prime concezioni, espresse nel Versuch del 1785, sia rispetto alle dottrine dei maggiori autori contemporanei. Le connotazioni etiche ancora presenti nel Versuch relativamente al ruolo dell’artista, al suo impulso creativo ed alla stessa opera lasciano ora posto all’idea della totale autonomia e normatività del Bello; e mentre da un lato Moritz si allontana dalla concezione illuministica secondo la quale il Bello doveva rimandare al Bene, egli si discosta altresì dallo psicologismo proprio di Mendelsshon o J. G. Sulzer, che riconduceva il fatto estetico alla facoltà naturale di percepire il piacere nella contemplazione di un oggetto.

*** Per quanto attiene ai Viaggi di Moritz come testimonianza storica ed antropologica, l’idea dell’Italia che il Nostro ci trasmette risente sotto vari aspetti degli stereotipi comuni a tanti altri suoi conterranei e largamente riconducibili alle fonti di infomazione alle quali attingeva frequentemente, in particolare alla guida per l’Italia di J. J. Volkmann 14 . Tipica anch’essa del suo tempo è poi la tendenza, molto marcata in Mortiz, ad osservare l’Italia attraverso la lente dei suoi autori latini preferiti, considerando e spesso “leggendo” luoghi e monumenti alla luce delle sue reminiscenze letterarie. Ne abbiamo un esempio nella descrizione del paesaggio nei dintorni di Mantova, che Mortiz compie sulla scorta delle Ecloghe virgiliane, come pure nelle descrizioni fatte in Campania e durante gli stessi soggiorni romani 15 . Va tuttavia notato come, a differenza di altri autori, Moritz si accosti alla realtà italiana con un’attenzione non comune per gli aspetti umani e sociali del paese. Dalle numerose descrizioni a sfondo etnografico sparse lungo tutti i Viaggi emerge infatti un interesse particolare per il popolo e per le sue condizioni di vita: Moritz non rifiuta di mescolarsi agli italiani, ne osserva costumi, ne pratica la lingua, cerca di coglierne il

12 www.moritz-viaggio-in-italia.it carattere e gli umori, mostrandosi in ciò assai più partecipe della vita che lo circonda di quanto lo sia Goethe. E’ questa una conseguenza dei suoi profondi interessi psicologici che, pur nel prevalere di quelli estetici, egli non trascura neppure in Italia. Così i giochi e i divertimenti, le feste e gli spettacoli, le cerimonie religiose e le usanze popolari, i piccoli fatti quotidiani o le espressioni particolari della lingua sono tutte occasioni nelle quali Moritz cerca di cogliere ed indagare lo spirito di un popolo e quelle peculiarità che lo rendono unico e differente dagli altri. Anche sotto questo aspetto Roma conserva per lui una posizione privilegiata: qui infatti le caratteristiche dell’italianità risaltano maggiormente, così come si rende più evidente il contrasto tra la cultura italiana e quella tedesca. A Roma Moritz coglie ovunque le persistenze del passato: le clientele e la protezione dei potenti, la fierezza delle donne, il cibo venduto per le strade gli rivelano una sorprendente continuità con la civlità antica, tramandata dagli autori latini. Una parte di rilievo hanno, nei Viaggi , le considerazioni sulla religione cattolica e sul governo temporale dei pontefici. Nei confronti della prima Moritz risente della propria esperienza personale, che gli aveva fatto conoscere la religione sotto quegli aspetti di fanatismo e di oppressione della coscienza dai quali si era faticosamente liberato con gli strumenti tratti dalla cultura razionalista del suo tempo. Se uniamo a queste premesse un più generale pregiudizio anticattolico, comune a molti tedeschi anche colti, arriviamo a comprendere i numerosi giudizi negativi e spesso decisamente sarcastici che Moritz esprime nei confronti della religiosità italiana, da lui considerata soprattutto sotto la categoria della superstizione, e le posizioni fortemente polemiche nei confronti del clero e della Chiesa cattolici, visti essenzialmente come avidi oppressori di un popolo mantenuto nell’ignoranza. Questo giudizio troverà una sintesi esemplare in una pagina del terzo volume dei Viaggi , dove l’autore scrive:

L’Italia è veramente un paradiso che, protetto dalla catena delle Alpi e isolato dal resto del mondo, riposa sicuro nel gembo del mare, riunendo in sè tutto ciò che può rendere la vita felice e gradevole. Ma davanti a questo paradiso sta il potere della Chiesa, come un angelo con la spada di fuoco che impedisce alla felicità di entrare nella terra che le spetta di diritto. (R., III, 277, Roma, 20 set. 1788)

Con tutto ciò i Viaggi di Moritz mantengono, per quanto riguarda gli aspetti qui considerati, una particolare freschezza descrittiva, riconduciblie soprattutto alla sensibilità umana del loro autore e dal suo sincero interesse per l’Italia e i suoi abitanti. I Viaggi di un tedesco in Italia non conobbero tuttavia in Germania quel successo di pubblico che invece era stato accordato ai Viaggi in Inghilterra; già all’epoca della loro pubblicazione infatti furono criticati dai contemporanei per la prolissità e lo stile frammentario. L’apparizione dei viaggi italiani di Goethe doveva poi contribuire ad eclissarli definitivamente. D’altra parte, i primi e più importanti frutti del soggiorno italiano di Moritz, al suo ritorno in patria, non saranno i tre volumi dei Viaggi ma, significativamente, quelli che sono considerati i suoi maggiori lavori di estetica e che proprio in Italia, attraverso l’osservazione e la discussione con Goethe, erano stati concepiti ed elaborati: Über die Bildende Nachahmung des Schönen (Sull’imitazione formatrice del Bello) e Die Signatur

13 www.moritz-viaggio-in-italia.it des Schönens, oder in wie fern Kunstwerken beschrieben werden können? (La segnatura del Bello, ovvero in quale misura si possono descrivere le opere d’arte?) entrambi pubblicati nel 1788. Questi scritti, insieme a quelli di poco successivi di argomento mitologico (Götterlehre, oder mythologysche Dichtungen der Alten , 1791 e ΑΝΘΟΥΣΑ , oder Roms Alterthümer , 1792) 16 fecero di Moritz uno dei protagonisti del dibattito estetico tedesco. Furono questi lavori che, insieme al sostegno fornitogli da Goethe, procurarono a Moritz quell’attenzione e quei contatti grazie ai quali potè raggiungere una posizione di rilievo nella cultura ufficiale del suo paese: nel 1789 veniva infatti nominato professore di Teoria delle Belle Arti a Berlino e nel 1791 membro ordinario della Reale Accademia Prussiana delle Scienze. Nelle vesti di docente Moritz si guadagnò anche una certa rinomanza: tra i suoi allievi vi furono A. von Humblodt, L. Teick e W. H. Wackenroder. Prima ancora della pubblicazione dei Viaggi, l’interesse di Moritz per l’Italia darà origine al periodico Italien und Deutschland 17 uscito a partire dal 1789 in collaborazione con Aloys Hirt, antiquario residente a Roma, e proseguito anche dopo la morte di Moritz. Qui troviamo anticipate diverse descrizioni dell’Italia che poi riappariranno nei Viaggi, come ad esempio quella della Repubblica di S. Marino o della basilica di S. Pietro. Numerose pagine di argomento estetico tratte dai Viaggi confluiranno inoltre nella pubblicazione del 1793 dal titolo Vorbegriffe zu einer Theorie der Ornamente 18 . Moritz pubblicherà inoltre una poco conosciuta grammatica della lingua italiana ad uso dei tedeschi, (Italienische Sprachlehre für die Deutschen , 1791) che per quanto scritta in uno stile più saggistico che sistematico e dunque meno apprezzata di quella, scientificamente più solida, che Jagemann pubblicherà un anno dopo 19 , rimane tuttavia una testimonianza dei suoi interessi per la linguistica e per l’Italia. L’esperienza del viaggio in Italia si rifletterà poi anche sulla quarta parte dell’Anton Reiser, pubblicata nel 1790, che mostra i segni della raggiunta maturità personale ed estetica dell’autore. Gli ultimi due anni della vita di Moritz vedranno il suo tentativo di costruire una famiglia con la giovane Friederike Matzdorff, che tuttavia sarà destinato a naufragare dopo pochi mesi. Il 26 giugno 1793 un attacco della tubercolosi che da tempo lo affliggeva poneva fine al viaggio terreno di Anton Reiser.

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Nota bibliografica:

Nel panorama della vasta bibliografia su Moritz i lavori in lingua italiana sono ancora scarsi: manca in particolare un’introduzione generale alla vita e all’opera di questo autore. Per accessibilità, completezza ed aggiornamento, un riferimento è il lavoro in lingua tedesca di Albert MEIER , Karl Philip Moritz , Stuttgart, 2000. Tra i pochi studi italiani disponibili si segnala, sul tema del viaggio in Italia, l’ottimo saggio di

Giovanno TATEO , Percorsi casuali. Karl Philipp Moritz in Italia , Brindisi, 1989. Per quanto riguarda le opere di Moritz, è disponibile in italiano una raccolta di Scritti di Estetica , a cura di

Paolo D’A NGELO (Palermo 1990); dell’Anton Reiser sono comparse due traduzioni, a cura di M. REGINA

(s.l., 1994) e di S. CANTAGALLI (Pisa, 1996) tuttavia difficilmente reperibili sul mercato. Eì recentemente apparsa la prima traduzione italiana dei Viaggi di un tedesco in Inghilterra nell’anno 1782 , a cura di Anna Fattori, Morlacchi Editore, Perugia, 2018. Un ampio ed aggiornato progetto bibliografico su Moritz è oggi accessibile tramite il sito internet in lingua tedesca: www.bbaw.de/forschung/moritz/biblio /, al quale si rimanda.

Note:

(1) K. P. MORITZ , Anton Reiser, ein psychologischer Roman , Berlin, Friedrich Maurer, 1785-1790. (2) J. W. Goethe, in una lettera a Charlotte von Stein del 14 dicembre 1786.

(3) K. P. MORITZ , Reisen eines Deutschen in Italien in den Jahren 1786 bis 1788 , Berlin, bei F. Maurer, 3 voll., 1792-3. Nelle citazioni indicato con R. Le traduzioni dei brani citati da questa come da altre opere sono di M. Marchetti. (4) Friedrich von Fleischbein (1700-1774) aveva tradotto in tedesco e divulgato in Germania gli scritti della mistica francese Jeanne-Marie Guyon du Chesnoy (1648-1717), la maggiore esponente del quietismo. (5) K. P. Moritz, Anton Reiser , Prima parte. (6) Conosci te stesso, Rivista di psicologia empirica . (7) Tentativo di un’unificazione di tutte le Belle Arti e le Scienze sotto il concetto di ‘compiuto in se stesso’ . (8) Così scriveva poco prima della partenza al suo più caro amico, Karl Friedrich Klischnig: «Adesso sono libero: mi sono scrollato di dosso il giogo che così pazientemente mi ero lasciato imporre così pazientemente senza immaginare quanto ancora mi avrebbe oppresso, e sono evaso dal carcere scolastico»

(cfr. Karl Friedrich KLISCHNIG , Erinnerungen aus den zehn letzten Lebensjahren meines Freundes Anton Reiser , ovvero: Anton Reiser, ein psychologischer Roman , Fünfter und letzter Theil , Berlin, 1794, p.176). (9) Moritz conobbe Goethe attraverso la lettura del Werther e nell’ Anton Reiser egli descrive la straordinaria influenza che quell’opera ebbe su di lui (cfr. Anton Reiser , parte III).

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(10) Roma antica e moderna, o sia nuova descrizione di tutti gli Edifici Antichi, e Moderni, tanto Sagri quanto Profani dell’Antica Città di Roma (prima ed. Roma, appresso Gregorio Roisecco, 1739). (11) «Nella storia, dove si incrociano così tante cose, i pensieri umani necessitano di una certa unità generale alla quale tutto possa collegarsi. E sull’intera faccia della Terra Roma è proprio il luogo che, da millenni, è ininterrottamente caratterizzato dalla storia più interessante». (R., III, 68, Roma, 2 nov. 1788).

(12) Cfr. Johann Joachim WINCKELMANN , Gedanken über die Nachahmung der griechischen Werke in der Malerei und Bildhauerkunst , 1775, in Winckelmann’s Werke, Band 1, herausg. v. C. L. Fernow, Dresden, 1808.

(13) Gotthold Ephraim LESSING , Laokoon: oder über die Grenzen del Mahlerey und Poesie , 1776.

(14) Johann Jakob VOLKMANN , Historische-kritische Nachrichten von Italien..., Leipzig, 1770-71. (15) «Orazio, Marziale, Virgilio e Livio sono ovunque i miei accompagnatori»: così scriveva Moritz a Klischnig da Roma, il 5 novembre 1786 (cfr. Klischnig, op. cit., p.180). (16) La dottrina degli dei, ovvero i poemi mitologici degli antichi ; ΑΝΘΟΥΣΑ , ovvrero antichità romane . (17) Italien und Deutschland in Rüchsicht auf Sitten, Gebräuchen, Literatur und Kunst. Eine Zeitschrift Herausgegeben von K. P. Moritz, und A. Hirt , Berlin, 1789-1796. (18) Concetti preliminari per una teoria degli ornamenti.

(19) Christian Joseph JAGEMANN (1735-1804), Italiänische Sprachlehre: zum Gebrauche derer, welche die italiänische Sprache gründlich erlernen wollen , Leipzig, Crusius, 1792. Circa le grammatiche di Moritz e di Jagemann si veda Jörn ALBRECHT , Italienische Grammatikographie im Deutschland des 18. und in der ersten Hälfte des 19. Jahrhunderts , in Italiano, lingua di cultura europea (Atti del simposio internazionale in memoria di Gianfranco Folena, Weimar, 1996) Tübingen, Narr, 1997. .

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* Articolo originariamente pubblicato sul Bollettino del C.I.R.V.I., N. 60, luglio-dicembre 2009, anno XXX, fascicolo II, pp. 237-262 e riveduto dall’autore alla luce della più recente traduzione integrale dei Viaggi di un tedesco in Italia pubblicata dalle Edizioni del C.I.R.V.I., aprile 2019.

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