NUMERO 277 in edizione telematica 10 febbraio 2020 DIRETTORE: GIORS ONETO e.mail: [email protected]

Rinviati al 2021 i mondiali indoor di Nanchino

Quello che sta accadendo nel mondo conferma un’antica ma sempre valida massima: “La vita è quello che succede mentre la stai programmando”. L’antitesi nel mondo dello sport ai tempi del coronavirus. Calendari, programmazione e impegni nell’impasse di un mondo bloccato con un bel pezzo di popolazione della terra (un miliardo di persone, i cinesi) fermo ai blocchi di partenza, semi-impossibilitato a viaggiare. L’Italia è stato il più zelante tra le nazioni europee, la prima a decretare lo stop dei transfer aerei con la Cina. La metafora dell’immobilità fa dama con l’immobilismo, prerogativa italica in un Paese come il nostro che fa fatica a cambiare. Lo sport si adatta, si trasforma, si conforma. E l’atletica ha già dato l’esempio per quella che non era un’emergenza ma una precisa quanto discutibile volontà di esportare piste e pedane di pregio in un altro emisfero. Con i mondiali disputati in Qatar con un clima impossibile e il corto circuito di orari cambiati, di uno stadio con l’aria condizionata e con le gare che una volta si definivano di lunga lena corse o marciate a orari antelucani. Ora ci si preoccupa già dell’Olimpiade di Tokyo e già prima dell’emersione della nuova pandemia, si era provveduto a spostare lo svolgimento della maratona a Sapporo, in un clima leggermente più fresco. L’epidemia ha già costretto le varie organizzazioni in ballo a spostare d’urgenza tornei di qualificazione previsti in territorio cinese: traslochi forzati per calcio femminile, basket, boxe e badminton. Occorre elasticità e fantasia per facilitare i cambi di sede di grandi eventi. La Serbia ha già rimpiazzato la Cina nel basket e altre grandi manovre sono in corso d’opera. Il Giappone è in Asia come la Cina e i Giochi di Tokyo andranno incontro a una gestione che si avvarrà di particolari precauzioni. “Dobbiamo affrontare realisticamente il problema- ha avvisato il governatore di Tokyo Yuriko Koike- Perché altrimenti rischieremo di pentircene”. C’è una corsa contro il tempo per le vaccinazioni quando mancano solo sei mesi al countdown dei Giochi., Le temperature alte previste in Giappone potrebbero essere un valido antidoto all’estinzione del virus secondo i microbiologi. E c’è da chiedersi come sarà varata la squadra olimpica cinese a fronte della comprensibile paura del contagio da parte delle altre rappresentative. In Cina tutti gli eventi sportivi previsti fino a marzo sono stati cancellati. E si agita lo spettro dell’annullamento anche per il Gran Premio di F 1 che forse si configurava come l’evento top del calendario 2020 anche per i possibili influssi di penetrazione in un mercato delle auto relativamente nuovo. Ma se la F 1 è un evento di aprile già uno analogo e precedente, è stato annullato. Non si disputeranno i campionati mondiali indoor di Nanchino, programmati tra il 13 e il 15 marzo. La definizione di rinvio appare in realtà un po’ grottesca. Come dire che non si vuole togliere alla Cina la chance di poter far disputare l’evento nel 2021. Anche la Coppa del Mondo di sci perde la sua occasione “cinese”. E pure l’attività nazionale è paralizzata con particolare riferimento alla disputa della Supercoppa cinese di calcio. Il 29 gennaio, quasi fuori tempo massimo, è stata decretata la sospensione di tutte le partite del calendario nazionale. Il giorno prima un match di Coppa tra Shangai e Buriram è stato giocato in uno stadio completamente deserto nonostante che l’epicentro del morbo fosse localizzato a 800 chilometri di distanza. Il coronavirus ha mietuto già più vittime della Sars e avrà un impatto deflagrante nella preparazione e nell’approccio alle gare di un universo di sportivi olimpici stimato oggi in 11.000 unità. Daniele Poto

SPIRIDON/2

Lettera aperta dell'olimpionico esule fiumano Abdon Pamich pubblicata su “La voce del popolo”di Fiume del 4/2/20

Prendo spunto dal rigetto delle proposte fatte dall’Istituto per l’italianistica da realizzare in occasione dell’anno in cui Fiume è Capitale europea della Cultura, perché ho notato che in Croazia c’è ancora molta resistenza per quanto riguarda la storia della nostra città. Oggi siamo alla terza generazione da quando Fiume è stata annessa alla Jugoslavia e non penso che i giovani croati non siano interessati alla storia della loro città, che amano come la amiamo noi. È passato tanto tempo e nessuno degli italiani si sogna di rivendicare il ritorno di Fiume all’Italia. L’unica cosa a cui aspirano i fiumani esuli e rimasti è la memoria storica senza ideologismi e nazionalismi, la realtà dei fatti.Personalmente sono convinto che se Fiume è stata nominata Capitale della Cultura questo sia dovuto al suo passato di città multiculturale e multietnica oltre che al presente. A noi fiumani nessuno poteva darci lezioni di tolleranza verso tutti quelli che venivano a Fiume, tant’è vero che l’integrazione nei costumi nelle usanze e nella parlata avveniva in meno di una generazione. Cercare di nascondere che sin dal XV secolo la lingua ufficiale era l’italiano mi sembra una forzatura, e ciò non solo a Fiume. Ad esempio sono in possesso di un numero della Gazzetta Ufficiale di Zara datato 24 marzo 1835, nella quale tutti i provvedimenti dell’Imperial Regia Procura sono redatti in italiano; ed eravamo sotto l’Austria. Personalmente rifuggo dalla conta di quanti italiani croati, ungheresi, tedeschi fossero a Fiume, so solo che eravamo tutti fiumani e la nostra lingua era il dialetto. Mio nonno era croato di Castua, antifascista, a cui è stato somministrato l’olio di ricino e pure parlava fiumano.E sono sicuro che se dopo la guerra non veniva la dittatura saremmo rimasti a casa nostra in pace con i croati o chi altro. Noi rivendichiamo la cultura italiana, non l’italianità. Tornando alla lingua usata per la comunicazione, non si può dire che Giovanni Kobler fosse italiano; eppure ha scritto la storia della Liburnica città di Fiume in italiano. A uno straniero che viene a Fiume e si informa perché esiste “La Voce del popolo” o “Panorama” che cosa gli diranno che è un’iniziativa di un rinnegato? Uno stato che ha voluto entrare in Europa dovrebbe abbandonare certi tipi di nazionalismo e far propria la storia di ciascuna parte del suo territorio ed essere orgoglioso del suo passato e delle civiltà passate che hanno gettato le basi per il presente. Quest’anno dovrebbe essere l’ideale per far conoscere la storia delle nostre terre a quelli che l’ignorano, specialmente ai giovani, senza caricarla di pregiudizi ed ideologie.

- Va in onda Sanremo con il suo settantesimo Festival e il pallone va e viene sulla scena, culminando con l’omaggio al super premiato Cristiano Ronaldo. Si affollano così nella memoria note, motivi titoli, parole, idoli, protagonisti di Una partita di Pallone, Una vita da Mediano, La dura legge del gol, Luci a San Siro, La leva calcistica della classe ’68 con Pavone, Ligabue Pezzali, Vecchio, De Gregori… Penso a quel che ha significato per decenni la combinazione tra musica e sport, prima per radio e poi in tv, negli stadi, dagli inni da podio, alle sigle olimpiche, alle colonne sonore dei film da cassetta e da oscar, celebranti ricordi “pentacerchiati” o più semplicemente ironiche e ammiccanti canzoni, come Bartali e Bellezze in bicicletta, Il mio amore è un centroattacco. Adesso, addirittura ci poniamo il problema del doping acustico, del ritmo di gara, che può essere indotto e forzato, esaltando protagonisti e imprese oltre il limite del naturale. Beh, perché allora non proibire il tifo in tutte le sue performanti espressioni, anche inibenti della parte avversa. Ma perché, vi chiederete, preoccuparsi dell’ambientazione acustica, spettacolare delle gesta sportive se non abbiamo prima chiaro il concetto di musica e sport, come giusta inevitabile sinergia con il resto della cultura popolare, da cui lo stesso sport si origina ? Girardengo, Coppi, Pantani, non furono meno gettonati di Ayrton Senna e Le olimpiadi di Berlino del 1936 non furono meno celebrate di Roma 1960 o Barcellona 1992. I questi giorni del settantesimo Sanremo a Lucca andava in scena Il Tango del calcio di rigore, con Neri Marcorè protagonista, un remember della finale dei Mondiali di calcio del 1978. Il 25 giugno, all'Estadio Monumental di Buenos Aires, si giocava Argentina-Olanda, e l'Argentina doveva vincere a tutti i costi. In tribuna d’onore c’era, infatti, il generale Jorge Videla, al potere dal golpe del 1976. E l’atletica? Sì l’atletica ispiratrice di film con celebri colonne sonore come Momenti di gloria e quattro anni fa di Race - Il colore della vittoria , diretto da Stephen Hopkins, biografico su Jesse Owens, sempre nel 2016 fece la sua irruzione sul palco dell’Ariston con il suo l’irresistibile campione dei “centenari”, Peppe Ottaviani… Ecco, forse il mondo dello sport dovrebbe essere più attento e consapevole della forza emotiva che genera e lo promuove, che si trasforma sinergicamente in arte, in cultura nelle più diverse declinazioni e fin dai tempi remoti, come Fidia e Pindaro testimoniavano appena venticinque secoli fa. Ruggero Alcanterini

SPIRIDON/3 fuori tema di Augusto Frasca

Nessuna illusione. Nessun apostolo, nessun gigante all'orizzonte di un'atletica imperfetta. Visionario, chiunque pensi che da un cambio ai vertici dirigenziali e da una serie di progetti scritti o intuiti, praticamente in fotocopia e destinati probabilmente a divenire carta da cassonetto al termine di una inesauribile campagna elettorale, possa realizzarsi quel salto di qualità che si attende da anni. Priva di azionisti di una grande impresa tecnica e organizzativa, l'Italia sarà sempre un'atletica sinusoidale, di alti e, più spesso, di bassi. Perché questo cambi occorrerebbe una rivoluzione culturale, ma non vediamo, in un panorama ricco di replicanti attorniati da truppe di chierici vaganti, dove e come possa nascere, e chi – ferme restando, sia chiaro, tra un pretendente e l'altro alla corona federale, vistose differenze di qualità – possa, di tale rivoluzione, farsi portavoce, possessore e trasmettitore della cultura, delle capacità, dell'energia, della passione, della trasparenza, della generosità di quei vecchi ma inalterabili principi classificabili in quell'elegia morale con cui l'atletica, con i suoi padri storici, senza cadere nel misticismo, è cresciuta. Gli stessi ricorrenti ed impietosi richiami alla disciplina sorella, il nuoto, e all'invidiabile reiterazione di successi dei propri atleti, imputabili in forte misura all'impiego professionalmente retribuito delle centurie di tecnici sparsi attorno alle piscine e alle scuole esistenti sul territorio nazionale, applicati all'atletica convincono poco, a fronte della realtà dei gruppi sportivi militari, dove il professionismo, con i risultati che si vedono e la mortificazione delle società tradizionali, impera disinvoltamente tra tecnici ed atleti. Vecchia, inattaccabile regola: difficile emergere in qualità laddove la quantità da selezionare è modesta. Si pensi allo sci, ancorato per anni alle imprese solitarie di Zeno Colò (2020, 100 anni dalla nascita) e poi esploso quando Val d'Aosta, Piemonte, Trentino, Alto Adige, e Andalo, Madonna di Campiglio, Cortina e San Martino di Castrozza aprirono progressivamente le porte alle migliaia e migliaia di studenti coinvolti nelle settimane bianche e da lì alla proliferazione delle valanghe azzurre e rosa e ai loro nipoti.

Panorama confuso, per l'atletica, anche se, in modesta sintonia con il dt Antonio La Torre, non vedo tutto nero nella stagione 2020. Un panorama reso ancor più complicato con il percorso contorto di Sport & Salute, che nel silenzio generale degli osservatori e degli organi di informazione, (quanto lontani i tempi in cui quotidiani avveduti, Gazzetta e Candido Cannavò in testa, mettevano in piazza gli assalti di Veltroni o dell'accoppiata targata Unione italiana sport per tutti a nome abbinato Giovanna Melandri-Oberdan Forlenza), ha fatto il massimo possibile per compromettere in uomini e decisioni qualche buona idea iniziale, lasciando infine scarsi margini di difesa al proposito di base, quello di usare l'accetta nel ridefinire spazi e competenze del Coni. Ancora da sezionare, nella loro interezza, le intenzioni del ministro Spadafora. L'ultima sua, unitamente alle garanzie economiche assicurate da Comune e Regione, e il dato fa rumore, riguarda il pieno appoggio alla candidatura di Roma per gli Europei del 2024, esito evidente dell'abilità con cui Alfio Giomi ha costruito trama e ordito dell'iniziativa.

In ritardo, evoco la figura di un formidabile cronista scomparso a inizio d'anno. Conoscevo personalmente Giampaolo Pansa. L'avevo incontrato nella redazione dell'Espresso di via Po, lasciandogli la documentazione sulla morte di Norma Cossetto consegnatami a Trieste dalla cugina di Giorgio Oberweger, colpita anch'essa dai tragici esodi dall'Istria e dalla Dalmazia e dalle miserabili accoglienze, esiliati in patria, ricevute da una parte del paese. Impegnato nella ricerca della verità sulla guerra civile diffusasi sul territorio nazionale a partire dal 1943, e poi sulla tragedia nascosta delle foibe, di quella documentazione Pansa non cambiò una virgola. Violentata e seviziata per tre giorni da partigiani sloveni, con il comportamento ripugnante dei comunisti italiani guidati da quel Palmiro Togliatti che nel luglio del 1945 incitava i "lavoratori triestini ad accogliere le truppe di Tito come liberatori", quando fu recuperato dai vigili del fuoco di Pola il corpo della giovane infoibata fu così descritto:<>. [email protected]

SPIRIDON/4

di Pino Clemente

Quel giorno, il decesso di Primo Nebiolo folgorò il mondo dell’atletica e dello sport. Ricordai il nostro primo incontro, con l'allora Presidente del Cus Torino, durante i Campionati Italiani Juniores a . La Sicilia brillò nel mezzofondo, Armando Scozzari e Margherita Gargano, altri podi e piazzamenti notevoli. Nebiolo si complimentò, promise che avrebbe rilanciato l’Atletica siciliana ove fosse salito al vertice federale. Non fu un caso, anni dopo, che fu sua idea propiziare la prima partecipazione olimpica di una siciliana, Margherita Gargano. La scomparsa del dirigente, un plenipotenziario, come Nebiolo lo fu nel suo ambito come pochi, scatenò nei media una miriade di celebrazioni, commiste a lodi e a critiche commisurate alla complessità del personaggio. <>, questo Sara Simeoni, durante l’orazione funebre al Foro Italico, fra gli attoniti Giganti dei Marmi, al cospetto della moglie Giovanna, di Juan Antonio Samaranch, di amici veri e di meno amici, da Carraro a Pescante, e dei tanti di varia estrazione, dai più umili e fedeli ai meno affidabili. Nel pensiero di Sara, alla Kipling, folgorante epicedio, è la dimensione di Nebiolo, il Presidente che precorse i tempi, tenace nella passione, infaticabile, e inguaribilmente goliardico. Livio Berruti, e Carlo Vittori rimarcavano gli aspetti negativi del ‘nebiolismo’, primeggiare ad ogni costo. In questo, Primo non seguì il motto di Orazio, la virtù sta nel mezzo. Fu imprenditore e poeta, mercante e cinico, amò alla follia la sua unica figlia adottata, l’Atletica Leggera, concepita nell’accezione stratosferica, giusto il concetto di Candido Cannavò, direttore alla Gazzetta dello Sport, sempre legato al suo primo amore sportivo nel Cus Catania. L’Imperatore della vecchia IAAF, pianto e bestemmiato, e nel 2020 rimpianto, fu anche un amico della Sicilia, dei Mimmo Ferrito, Michele Bevilacqua, Marco Mannisi, Vittorio Magazzù. La questione meridionale dell’Atletica fu in gran parte avviata al meglio. Dal 1971, incontri della Nazionale e Meeting in Sicilia, l’apogeo nelle Universiadi, Palermo e Catania, 1997, e l’ultimo atto, la presenza al Mondiale dei 21 km 97 metri nel settembre del 1999 nella Marina del Gattopardo. Nebiolo soleva giocare su questa metafora: l’atletica è passata dalle pizzerie e dagli ostelli della gioventù ai ristoranti e agli alberghi a 5 Stelle, dagli spettacoli per pochi intimi alle diffusioni televisive mondiali, dal bianco e nero ai mille colori con effetti speciali. Il flusso dei miliardi, che un personaggio del suo livello avrebbe potuto accumulare in misure siderali, almeno pari a quanto ammassato nelle casse di tanti dirigenti del calcio e dello sport internazionale, lo sfiorava soltanto, il fine era imporre l’Atletica e soddisfare la sua vanità. Furono intensi i suoi rapporti con i media, le visite nelle redazioni e gli incontri personali con i vertici radiotelevisivi con le strategie di Augusto Frasca, l'uomo che riuscì a convincerlo, nell'invidia delle altre Federazioni e negli ostracismi, palesi e occulti, del Foro Italico, di come fosse fondamentale investire nell'istituzione del Centro Studi & Ricerche. Poi, agli inizi degli anni '80, Nebiolo aveva colto al volo l'importanza dei Campionati mondiali, sostenendone al massimo, nel 1983, la prima edizione di Helsinki, e poi ritrovandosi macchiato e colpito nel 1987, con lunghi mesi plumbei, dall’assurda macchinazione di allungare il salto di , rovinando la più grande festa sportiva mai realizzata sul territorio nazionale dopo la festa olimpica del 1960. Quella storia sbagliata scosse dalle fondamenta la sua presidenza. Ma la pausa fu breve. Fu in pratica costretto a lasciare l'atletica italiana, ma tornò gradualmente a trionfare su tutte le tribune internazionali, affidando al suo eccezionale intuito e tra i suoi ultimi messaggi l'idea e la realizzazione di recare il messaggio dell'Atletica in zone infettate da guerre e conflitti civili. Così accadde, nel sangue di Sarajevo e di Belfast. Così, nelle miserie razziali di Soweto.

SPIRIDON/5

Il 6 febbraio del 1985 Firenze vedeva arricchiti i suoi impianti sportivi di un nuovo elemento che poneva la nostra città in una posizione di prestigio nel modesto contesto delle strutture italiane al coperto destinate alla pratica dell’atletica invernale. Solo Milano (per poco), Genova e Torino le potevano tenere testa. Quel giorno fu giorno di festa. Si aprivano infatti i battenti del nuovo palasport (che anni dopo verrà dedicato a Nelson Mandela), realizzato al posto di una mal progettata piscina. Sono trascorsi ben trentacinque anni da quel giorno e oggi che la pista di atletica si trasferisce in altra zona della Toscana, vogliamo ricordare l’evento che priva Firenze (utopistica auspicabile futura sede olimpica) di un impianto che, nonostante la pista non fosse della canonica misura di 200 metri, tutti ci invidiavano. La mattina del 6 febbraio migliaia di ragazzi furono convogliati sulle tribune del Palasport per ascoltare i discorsi di Primo Nebiolo, capo dell’atletica mondiale e italiana, del ministro Lagorio, dell’assessore Bosi ed applaudire la madrina dell’evento: la fresca medagliata olimpica Gabriella Dorio. Mancò, e non ne ricordo le cause, un altro medagliato con l’oro olimpico di Los Angeles, il fiorentino . Dopo i discorsi pista e pedane furono occupate da giovanissimi impegnati in gare di atletica e di ginnastica. La sera il programma dei festeggiamenti prevedeva un meeting internazionale con la presenza di alcuni dei migliori azzurri in attività e di stranieri di ottimo livello. Il ridotto anello (solo 160 metri) non procurò capogiri alla marciatrice romana Giuliana Salce che infatti stabilì un fantastico limite mondiale sui tre chilometri coprendo la distanza in 12:31.57, polverizzando il precedente record della sovietica Olga Yarutkina (12:46.8). Poi fu la volta di Giovanni Evangelisti a strappare gli applausi del numeroso pubblico. Il primatista italiano all’aperto dopo tre balzi intorno ai 7.70 metri, al quarto tentativo atterrò a m. 8.14 che stabiliva il nuovo record al coperto, avvicinando pericolosamente il record europeo di Igor Ter Ovaniesian (8.23) fissato diciannove anni prima. Il piombinese Antonio Ullo, in forza nelle Fiamme Gialle, si impose nella velocità (60 metri) in 6.71 battendo il giovane portavalori del Cus Roma (6.72). Fra le donne la più veloce fu Antonella Capriotti (7.54) che prevalse sulla Balzani (7.62), mentre la gara dei 60 ostacoli andò a Laura Rosati (8.62) che prevalse sulla pistoiese Tiziana Ponsicchi (8.97). Ma le gare che catalizzarono maggiormente l’attenzione del pubblico furono quelle del salto in alto. Per le donne era in gara nientemeno che la primatista del mondo, la bulgara Ludmila Andonova, la ragazza che nel luglio del 1984 a Berlino aveva saltato m. 2.07, spodestando la sovietica Bykova. A Firenze la bulgara, priva di stimoli e di avversarie, si fermò a m. 1.90. Mancavano pochi minuti a mezzanotte quando Aleksandr Kotovich, 23enne di Kiev, dopo aver superato i 2 metri e 30, fece spostare i sacconi per evitare di cadere sulla pista dopo una lunga rincorsa e si cimentò per ben tre volte contro la misura di m. 2,38. Furono tre salti straordinari ma il primato non premiò il ragazzo d’oltre cortina che fallì di poco l’obbiettivo. In gara, ma fermo al quarto posto con m. 2.21 il cubano Javier Sotomayor, l’uomo che nel 1988 stabilirà per il prima volta il primato del mondo della specialità (m. 2.43), per ripetersi poi nel 1989 e nel 1993 elevando il primato mondiale a m. 2.45. In gara per l’Italia Tamberi, il papà di Gimbo. Tre giorni dopo la nuova pista del Palasport ospitò per la quarta volta l’incontro juniores indoor fra Italia e Francia. Gli azzurri dominarono fra i maschi mentre le ragazze cedettero di misura alle coetanee transalpine. Adesso la pista non c’è più. Motivi vari, non ultimi quelli economici, hanno costretto la Fidal Toscana a trasferirla altrove, privando così il capoluogo toscano dell’unico impianto dove poter prolungare anche nei mesi invernali l’attività atletica. G.Pallicca

SPIRIDON/6 Animula vagula, blandula... … scelti da Frasca

Ieri, 20 maggio, molti italiani, da Torino a Enna, si saranno svegliati pensando che, infine, era una giornata come tutte le altre. Politica: niente di nuovo. Condizioni generali del tempo: buone. Lo sport: oggi il Giro lasciava Genova diretto a Viareggio: beati loro. Uno sbadiglio, e quei buoni italiani si saranno rimessi al lavoro, oppure saranno usciti a passeggio. Neppure lontanamente potevano immaginare cosa succedeva tra i monti di Genova e Viareggio. Su queste montagne, fatte verdi da una primavera inoltrata e degne della più favolosa tradizione, lungo un mare azzurrino e trasparente, sotto un cielo e in mezzo ad un'aria meravigliosamente pura, un muro umano, sottile, interminabile, incantato, faceva udire nel gran silenzio l'eco di certi suoi gridi o canti o sospiri di amore. Di simile, come combinazione di uno spettacolo tra naturale e stregato, non conoscevamo, in qualche buona stampa, che la Muraglia Cinese. Ma quella Muraglia aveva occhi, voci, mani? Piangeva di gioia, cantava, implorava? No. Non è che questi italiani gridassero sempre: a volte, il nastro di carne, la cordata formidabile stesa ambiguamente tra i monti, i boschi, le spiagge, sembravano invisibile come una serpe nell'erba: erano attimi, vertici dell'estasi, corrispondenti a momenti come questi: la valanga di corridori e di macchine al seguito si precipitava in discese ch'erano un solo gruppo furioso di svolte, e si sentiva la morte per aria, come in un'arena… oppure, un corridore sta per raggiungere il traguardo volante, ma non ce la faceva più. E il suo volto abbassato aveva la serietà e la tristezza di un morente; oppure, su una macchina azzurra, lucente e maestosa come una nave, veniva avanti, nel sole, il volto potente e chiuso di Bartali… Da un resoconto sul Giro d'Italia del 1955 di Anna Maria Ortese (Roma 1914-Rapallo 1998), pubblicato dall'Europeo.

Alla fine di giugno Pietro Gallesio diede la parola alla doppietta. Ammazzò suo fratello in cucina. Freddò sull'aia il nipote accorso allo sparo, la cognata era sulla sua lista ma gli apparì dietro una grata con la bambina ultima sulle braccia e allora lui non le sparò ma si scaraventò giù alla canonica di Gorzegno. Il parroco stava appunto tornando da visitare un moribondo di là di Bormida e Gallesio lo fulminò per strada, con una palla nella tempia. Fu il più grande fatto prima della guerra di Abissinia. Il fatto l'avevo saputo verso le dieci della sera, già nella mia stanza sottotetto, con l'orecchio applicato a una fessura dell'impiantito, proprio sopra la cucina dove mia zia, mio ziastro e i vicini dell'ufficio postale stavano parlando, con voci ora soffocate ora tonanti. A sentir loro, la notte non si sarebbe potuto dormire, per il lungo fracasso dei camion dei carabinieri che convergevano su Gorzegno da Alba e da Ceva; in giro si sapeva che il brigadiere di Cravanzana aveva telefonato al superiore comando che per Gallesio ci volevano non meno di cento uomini. Io invece dormii come ogni altra notte e mi svegliai più tardi del consueto, e come uscii nel sole mi sorprese veder mio ziastro seduto sul tronco a ridosso del nostro muro, già a ciccar tabacco. Gli domandai subito come mai e lui mi rispose che la zia l'aveva obbligato a fermarsi a casa, per paura che Gallesio latitante battesse i boschi del Gerbazzo e lui alzando a caso la schiena se lo vedesse davanti col fucile spianato. Pensare – disse – che di Gallesio io non ho la più piccola paura. Io l'ammirai – ti sentiresti di far lotta con Gallesio? – Non farei la lotta con Gallesio. Voglio dire che son sicuro che a me e a tutti i cristiani come me Gallesio non farebbe un'oncia di male. – Tu lo conoscevi questo Gallesio? – L'ho visto una volta alla fiera di Cravanzana. Gli guardai gli occhi, gli occhi che una volta si erano riempiti della figura di Gallesio, ma subito dovemmo tutt'e due scattar la testa in alto, che il cielo sopra Gorzegno aveva preso a sbattere come un lenzuolo teso sotto raffiche di vento. I carabinieri – disse mio ziastro, alzandosi – I carabinieri attaccano a sparare. L'hanno scovato. Chissà dove, chissà in che posto della Bormida. Era tutto dritto, atletico e sgangherato insieme, e non batteva più ciglio, e il tabacco gli cingeva gli angoli della bocca. Da dietro la chiesa sbucò la 501 di Placido e scivolò per qualche metro in folle. Tre, quattro, cinque uomini del paese ci si ficcarono dentro d'assalto, mentre Placido bestemmiava che facessero con garbo e non gli sfasciassero la macchina, già che per quella specialissima corsa a Gorzegno praticava una tariffa che si salvava si e no la benzina. La macchina s'avviò sempre in folle e frenò proprio davanti a noi… Da Un giorno di fuoco, di Beppe Fenoglio (Alba 1922-Torino 1963), Einaudi editore, Torino 1988. [email protected]

SPIRIDON/7

“Buoni cristiani e onesti cittadini” è il risultato del Sistema Preventivo di Don Bosco. In un equilibrio tra fede sincera e impegno nella società vi si contempla anche il rispetto dell’ambiente, ad iniziare dai rifiuti prodotti. Recentemente don Francesco Motto (Istituto Storico Salesiano) ha ritrovato una lettera di Don Bosco che tratta sorprendentemente di raccolta differenziata dei rifiuti. Si tratta di una Circolare a stampa del 1885 (135 anni fa!) “anticipatrice” di problematiche attuali. Scrive Don Bosco: «La S.V. saprà che le ossa, avanzate dalla mensa e generalmente dalle famiglie gettate nella spazzatura come oggetto d’ingombro, riunite in grande quantità riescono in quella vece utili alla umana industria, e sono perciò ricercate dagli uomini dell’arte (= industria) pagate alcuni soldi per miriagramma. Una società di Torino, colla quale mi sono messo in rapporto, ne acquisterebbe in qualsivoglia quantità». Ecco la proposta: «In vista di ciò e in conformità di quanto si va già praticando in alcuni paesi a favore di altri Istituti di beneficenza, io sono venuto nel pensiero di ricorrere alle benestanti e benevole famiglie di questa illustre città, e pregarle, che invece di lasciare che vada a male e torni disutile questo rifiuto della loro tavola, lo vogliano cedere gratuitamente a benefizio dei poveri orfanelli raccolti nei miei Istituti, e specialmente a vantaggio delle Missioni di Patagonia, dove i Salesiani con ingenti spese e con pericolo della propria vita stanno ammaestrando ed incivilendo le tribù selvagge, per far loro godere i frutti della Redenzione e del verace progresso. Simile ricorso e siffatta preghiera io fo pertanto alla S.V. benemerita, convinto che vorrà prenderli in benigna considerazione e esaudirli». I vantaggi sono per tutti, integrando il suggerimento per la raccolta di ossa “porta a porta”. Scrive (e propone) ancora Don Bosco: «A quelle famiglie, che avranno la bontà di aderire a questa umile mia domanda, sarà consegnato un apposito sacchetto, ove riporre le ossa mentovate, le quali verrebbero spesso ritirate e pesate da persona a ciò incaricata dalla società acquisitrice, rilasciandone un buono di ricevuta, il quale per caso di controllo colla società medesima sarebbe di quando in quando ritirato a nome mio. Così alla S.V. non resterà altro da fare che impartire gli ordini opportuni, affinché questi inutili avanzi della sua mensa, che andrebbero dispersi, siano riposti nel sacchetto medesimo, per essere consegnati al raccoglitore e quindi venduti ed usufruiti dalla carità. Il sacchetto porterà le lettere iniziali O.S. (Oratorio Salesiano), e la persona che passerà a vuotarlo presenterà pure un qualche segno, per farsi conoscere dalla S.V. o dai suoi famigli[ari]». Don Bosco, ricavando anche denaro per le Missioni, rendeva più pulita la città, aggiungendo incentivi morali e spirituali: «La S.V. si renderà benemerita delle opere sopraccennate, avrà la gratitudine di migliaia di poveri giovinetti, e quello che maggiormente importa ne riceverà la ricompensa da Dio promessa a tutti coloro che si adoperano al benessere morale del loro simile». Oggi, sulle orme di Don Bosco l’Istituto Salesiano di Genova-Sampierdarena si sta muovendo in tale direzione, mentre uno sguardo all’estero conduce a Città di Panama. Santiago Corrales Ramirez, allievo del locale Istituto Tecnico Salesiano, ha rappresentato l’America Latina al Forum Politico di Alto Livello (New York, 9-18 luglio 2019); un incontro promosso dall’ONU per valutare gli annuali progressi dei Paesi nella conservazione dell’ambiente. Dal 2018 l’Istituto fa parte della “Don Bosco Green Alliance”, organizzazione internazionale salesiana che sostiene e diffonde i progetti sviluppati dai giovani per la salvaguardia dell’ambiente. L’attività è sostenuta dall’intera cittadinanza poiché unica scuola del Paese a fungere quale centro di raccolta e ottimizzazione del riciclaggio. Ricordando ciò che dicevano i latini – l’ordine (o il disordine) esterno rispecchia quello interiore – ciò che troviamo per strada è il riflesso di una comunità civile. Ed anche nell’attuale era della “sostenibilità” Don Bosco è da considerare un precursore. Pierluigi Lazzarini Exallievo e Storico di Don Bosco

SPIRIDON/8

Da Atletica, anno 65, 1998, direttore Gianni Gola, direttore responsabile Carlo Giordani.

Seneca lancia il martello, marcia con noi, legge a voce alta le sue Epistole e poi ci consola: <<Ѐ meglio imparare dalle cose inutili, che non imparare niente>>. Sarà per questo che nella terza giornata dei Societari all'Arena, mentre Sgrulletti cercava gli amici in tribuna, risvegliato dall'urlo selvaggio del branco, non ci è venuta voglia di gettare una corda oltre le vecchie mura napoleoniche per fuggire, scappare. Per la verità pioveva, poi in giro c'era brutta gente. Quelli 'bravi' erano in casa a pregare per il pareggio dell'Italia contro il Cile. Beati loro. I credenti, due, tre?, dovevano stare puniti, peggiorando la situazione di gomiti già pieni di acidi, cercando appoggi sulle assi traballanti dei banchetti stampa in quello che dovrebbe diventare lo stadio Brera-Consolini in modo che i due grandi possano continuare a dormire insieme dopo aver vissuto una parte così bella ed eccitante della loro vita, il primo descrivendo le prodezze del secondo, l'uomo di Costermano che col Giuan litigava giurando di non aver mai sofferto la fame… Per salvare l'atletica dobbiamo dare forza ai suoi volontari, anima alle sue società, soltanto questo impegno globale eviterà alla madre di tutti gli sport di naufragare… Oscar Eleni. Da Lo Sport Italiano, rivista mensile del CONI, anno IV, direttore responsabile Fiammetta Scimonelli. Riceviamo e pubblichiamo. "Nel volume "Diritto e Ordinamento Istituzionale Sportivo" al capitolo primo l'autrice dott.ssa Manuela Olivieri ha riportato senza riportarne la fonte i sottoindicati brani tratti dall'opera "Regioni ed Enti locali" di Antonio De Iuliis – con il quale si scusa – facente parte del volume "Lo Sport e le sue leggi, commenti ed annotazioni", CONI, Scuola dello Sport Roma 1993: - le ultime tre righe di pagina 24 e le prime 15 righe di pagina 25; - le righe da 10 a 41 di pagina 26; - le 37 righe di pagina 27; - le prime 6 righe di pagina 28; - le righe da 16 a 37 di pagina 31; - le prime 6 righe di pagina 32; La bibliografia alle pagine 133-134 deve intendersi integrata con l'anzidetta opera di Antonio De Iuliis. Dott.ssa Manuela Olivieri. Da Atletica, anno 65, 1998. Atletica in lutto. Nella notte tra il 16 e il 17 luglio a Cagliari si è spenta all'età di 82 anni per una emorragia cerebrale. Ci lascia, più ancora dei suoi primati e dei suoi trionfi, una lezione di vita. Sempre misurata e ponderata nei suoi atteggiamenti e nelle sue scelte, lontana da certi modelli che vanno di moda per qualche anno ma poi finiscono per dare fastidio, fulgido esempio di rettitudine che riscuote ora il premio dopo aver scavalcato, con il suo inimitabile stile, l'ultimo e più impegnativo ostacolo verso l'eternità… Sul finire del 1991 la Fidal conferì ad Oberweger il premio alla carriera; era stato allora recuperato nei ranghi federali come membro di una Commissione di disciplina. Mancava dalla Fidal dall'inizio della gestione Nebiolo, dunque dal 1969, ma continuò a dispensare la saggezza di un bagaglio tecnico ed umano inesauribile fino al 1972 come direttore tecnico della Scuola centrale dello Sport, e poi come presidente del Comitato tecnico Iaaf della marcia. Per tutti, durante questi anni, aveva continuato a fungere da 'maestro', nelle occasioni pubbliche e nei contatti privati, sempre entusiasta del parlare di atletica. Una vitalità straordinaria. Il 15 ottobre, un quotidiano ha titolato: addio, "infinito" Oberweger… La marcia di Dordoni si è invece arrestata alle 14.05 del 24 ottobre alla clinica Sant'Antonino di Piacenza, città dove era nato il 28 giugno 1926, dopo una lunga battaglia con il cancro e cinque interventi chirurgici… Il suo segreto era la naturalezza di un gesto senza forzature: busto sempre perfettamente eretto, oscillazioni delle braccia in mirabile sincronismo e senza sollevare le spalle, anche alte sempre in linea senza accentuare torsioni, perfetto bloccaggio del ginocchio, lavoro alternato delle gambe senza mai interruzione del contatto con il terreno. Da manuale… Marco Martini.

SPIRIDON/9

- Forse l’idea di resistere ad oltranza, oltre ogni per la verità non si tratta di una novità assoluta, limite del ragionevole e del consentito , sperando stante la messa in mora della nomina dell’attuale nella vittoria, non è del tutto originale, perché ci Governatore, Visco, già nel 2017, con mozioni di pensò a suo tempo il Presidente del Consiglio sfiducia da parte del Movimento 5 Stelle e dello dell’Italia in guerra, il siciliano Vittorio Emanuele stesso PD, che pur era a Palazzo Chigi con Orlando che in un suo drammatico intervento alla Gentiloni, adesso si avverte di nuovo il “Resistere, Camera dei Deputati il 22 dicembre del 1917, dopo resistere, resistere!”, che coinvolge la la catastrofe di Caporetto, concluse dicendo:«La responsabilità dello stesso Presidente Mattarella. voce dei morti e la volontà dei vivi, il senso Volete sapere qual è la mia opinione? Bene, credo dell'onore e la ragione dell'utilità, concordemente, proprio che mai come in questi casi la forma sia solennemente ci rivolgono adunque un stata e sia sostanza non necessariamente in senso ammonimento solo, ci additano una sola via di positivo. In poche parole, data la situazione, forse salvezza: resistere! resistere! resistere!». è venuto il tempo di superare i tabù di comodo, Mutatis mutandis, il giorno 11 gennaio del 2002 il che hanno condizionato e condizionano la nostra Procuratore Generale di Milano, Francesco Saverio vita, pur a fronte di oggettivi cambiamenti dello Borrelli, protagonista di “Tangentopoli”, la vicenda scenario reale. Intendo dire, che se l’Europa è una giudiziaria che aveva schienato l’intero mondo dei gabbia in cui ci siamo cacciati nel bene e nel male, partiti e della politica della prima Repubblica, per cui regole e livelli dovrebbero essere facendo di fatto di tutta l’erba un fascio e uniformati nell’intera Area Comunitaria, se i poteri consegnandola ad eredi inadeguati al ruolo nella delle istituzioni nazionali devono o dovrebbero disastrosa emergenza, a fronte di provvedimenti adeguarsi, se con la moneta unica, l’EURO, le riguardanti la giustizia, non esitò a reiterare il funzioni di Bankitalia sono sostanzialmente monito contro il Governo dell’epoca (come scivolate al mero controllo degli Istituti territoriali, avvenuto contro il decreto del Ministro Conso, che se l’adeguamento della giustizia richiede la avrebbe depenalizzato il finanziamento semplificazione e la rimodulazione della spesa a “irregolare” dei partiti, nel 1993) rivolto ai “togati” cominciare da privilegi ingiustificati, se la mission nell’Aula Magna del Palazzo di Giustizia a Milano : fondamentale dello sport è quella dell’educazione “"Resistere, resistere, resistere come sulle linea del e della qualità della vita, quindi in conseguenza Piave". Se diciassette anni fa si trattava quella del podio, allora il d’intervenire sull’autonoma autoreferenzialità “resistere,resistere,resistere!”, preso in prestito da della magistratura e i meccanismi dei processi, Orlando, equivale ad un trinceramento, quello che oggi, dopo il malessere che ha pervaso l’autonomo da decenni blocca ogni aire, ogni vento di mondo olimpico con l’intervento che - con relativo cambiamento e che purtroppo, di riffa o di raffa ci preavviso - ha cambiato la vita al CONI Servizi, ha condotti al pantano attuale, da dove non sarà trasformandolo in “Agenzia per lo sport e la facile uscire, stante l’inadeguatezza di attori e salute”, adesso tocca alla storica terzietà della coattori, con tanti saluti alla vecchia, cara e Banca d’Italia, in procinto di rinnovare i vertici. Se vituperata prima Repubblica.

SARA’ IL CASO Scorrendo il “2° Minisreo Conti”, confidenzialmente detto “giallorosso” scopriamo che oltre ad avere un numero record di membri che gli permetterebbe di organizzare un torneo ministeriale di calcio sembra che i medesimi siano stati scelti in in base al cognome: Speranza alla Salute, Bonafede alla Giustizia, Guerrini alla Difesa, Costa al Territorio e mare, Boccia agli Affari regionali, Provenzano al Sud, Spadafora allo Sport. Peccato si siano lasciato sfuggire l’opportunità di creare il ministero al guardaroba in cui sistemare l’Appendino… D’altra parte il loro burattinaio è un comico, l’avranno fatto apposta. La presenza femminile non è paritetica, ma in cambio è preponderante quella meridionale: quasi due terzi dei ministri (13 su 21) vengono da Roma in giù. Con Mattarella (palermitano) e Conte (foggiano) sono quindici. È la parte produttiva del paese che giustamente ha rivendicato la sua rappresentanza. Ma l’emblema del nuovo governo è lui, Giggino di Maio, Ministro degli esteri. Uno che non solo non è laureato, ma non mastica neppure una parola d’inglese, né di altre lingue straniere. Uno così padrone della storia da scagliarsi contro il “feroce dittatore venezuelano Pinochet”. Uno così dotato del senso diplomatico da farsi filmare a Parigi con Di Battista mentre parla a un gilet giallo che invoca “un golpe militare armato” contro Macron. Uno così modesto che si vanta di essere amico personale del Presidente cinese Xi Jinping, che chiama affettuosamente “Ping”. L’unico pregio? È bello e simpatico. Ma fallo anche brutto e antipatico!

SPIRIDON/10

La super corsa che si corre su diversi chilimetraggi, sulle strade a cavallo fra Ialia e Slovenia nella sua seconda edizione è stata una vera e propria festa internazionale del trailrunning. In una splendida domenica del nuovo anno, baciata dal sole, oltre 2112 atleti si sono sfidati tra le insidie e le bellezze del Carso. Nell’ipertrail di 173 km, si è imposto l’altoatesino Peter Kienzl, già vincitore della 1ª Edizione dell’Ipertrail nel 2017, che ha domato fatica e difficoltà del tracciato con il crono di 25h 20’48”. Tra i macinatori di chilometri della 164 km, al maschile si è assistito ad una scena che riassume alla perfezione quale sia lo spirito che anima gli ultrarunner. Infatti lo sloveno Saso Struc e l’inglese Mattia Bernardi dopo aver corso appaiati tutta la gara, hanno deciso di tagliare il traguardo assieme con lo stesso tempo di hanno tagliato di 25h56’56”. Nella categoria femminile la veneta Alessandra Olivi ha concesso il bis dopo il successo della scorsa stagione, sbaragliando la concorrenza con il tempo di 29h45’53”. Sul tracciato lungo 57 km, sul gradino più alto del podio è salito lo slovacco Martin Halasz (5h08’35”) che, nelle battute terminali è riuscito a metter sotto il coriaceo Luca Carrara si è arreso dopo una strenua resistenza. Al femminile non c’è stata storia: la nostra Julia Kessler (5h57’56”) ha surclassato le dirette e pur ben temprate avversarie. Nella gara di 21 km sono saliti sul podio Stefano Rinaldi (1h38’58”) e Giulia Vinco (2h01’32” due autentici talenti del trailrunning italiano. Il primo ha costruito il successo alle prime batture tanto che metà corsa aveva già un tale vantaggio da finire in piena calma sui contendenti diretti. Dal canto suo la Vinco dopo 5 km dalla partenza ha staccato la concorrenza involandosi solitaria verso la linea d’arrivo. Infine, sulla parte di 16 km , non competitiva ma di cui è stata redatta una classifica hanno tagliato per primi il traguardo Riccardo Borgialli (59’29”) e la russa Maria Kochetkova (1h27’04”). Insomma un autentico successo che garantisce a questa manifestazione un grande avvenire. M. Marian

FOTO D ’EPOCA

Le partecipanti ai campionati francesi di cross nel 1920.

Archivio Merckel

SPIRIDON/11

CALDERARI E PASTERIS CAMPIONI TICINESI INDOOR 60 PIANI

Al Palexpo di Locarno si è chiusa la stagione atletica al coperto nella Svizzera italiana, con un meeting indoor organizzato dalla locale Virtus e nel quale Simon Calderari della SFG Chiasso e Rachele Pasteris della SA Bellinzona si sono aggiudicati il titolo di Campione ticinese assoluto sui 60 metri. I due giovani classe 2001, quindi nell’ultimo anno da U20, hanno vinto due avvincenti finali dopo le affollate serie di qualificazione. Calderari, forte del suo 6’’90 corso in stagione, partiva tra i favoriti e all’atto conclusivo ha vinto con un bel 7’’ netti, dopo aver corso in 6’’98 la serie. Alle sue spalle s’è inserito Christian Reboldi della SA Bellinzona in 7’’11, specialista degli ostacoli e del salto in lungo, precedendo Thomas Camenzind della SFG Airolo in 7’’19. Quarto rango per Nathan Oberti del GA Bellinzona in 7’’24, seguito dell’esperto Aaron Dzinaku dell’Atl. Mendrisiotto e dal giovane U16 Giona Pasteris della SAB. Nella finale B, bella vittoria per Mattia Schenk delle Frecce Gialle Malcantone in 7’’25 su Stefano Croci (ATM). Anche al femminile la favorita Pasteris della SAB è stata la più veloce già in fase di qualificazione, correndo in 7’’71, poi abbassato ulteriormente a 7’’68 nella finale, dove ha preceduto Desirée Regazzoni (FGM) che è pure rimasta sotto gli 8’’ (7’’94). Terzo rango e medaglia di bronzo per la specialista dei 400 metri Tessa Tedeschi della SFG Airolo, che ha chiuso in 8’’01, precedendo Sara Broggini della SA Massagno, Matilde Rosa dell’USC e Maëva Tahou della SAB, che si era qualificata con un 7’’99.

Sui 60 ostacoli al femminile, solo la Tahou ha corso sugli ostacoli “alti” da 84 cm chiudendo in 9’’28, mentre tra le U18 (76 cm) vittoria per Ulla Rossi pure della SAB in 9’’14. Nelle altre gare di contorno, appassionante duello sugli ostacoli U20 (99 cm) tra il fresco neoprimatista cantonale U20 Nicola Fumagalli del GAB e Christian Reboldi della SAB, che hanno chiuso appaiati con il tempo di 8’’41, seguiti da Ettore Poroli dell’USA con 9’’06. Vittorie nel peso per Jan Colombini del GAB con 11.44 metri (7.26 Kg) e per il polivalente Poroli tra gli U20 con 11.72 metri (6 Kg). Tra gli U18, vittoria per Nathan Oberti del GAB in 8’’30 sui 60 ostacoli (91 cm) e per Elias Hadu della Virtus nel peso da 5 Kg con 13.25 metri. Tra le ragazze, vittoria nel peso U20 da 4 Kg per Gillian Ferrari del GAB con 9.62 metri, mentre Mia Schaufelberger della Virtus ha vinto con 10.39 metri tra le U18 (3 Kg). Negli U16 si sono invece imposti Giona Pasteris e Sara Broggini sui 60 ostacoli e Nicolas Cerutti e Morena Hutter nel peso. Elia Spampanoni (FTA)

Ajla Del Ponte (US Ascona) si è piazzata terza nei 60m del meeting di Torun, in Polonia. Dopo aver superato le batterie con il tempo di 7"29, la ticinese ha stoppato il cronometro a 7"26, sua miglior prestazione stagionale, nella finale vinta dalla statunitense Shania Collins in 7"24. ha riservato soddisfazioni per i colori rossocrociati. La Del Ponte si è mostrata in ottima forma anche al Il meeting indoor di Düsseldorf Meeting dove ha vinto la sua batteria dei 60m e inchinandosi in finale con un 7"27 solo alla gambiana Gina Bass (7"16). Il tempo con cui la sprinter ticinese ha tagliato il traguardo le ha permesso di eguagliare il record svizzero stagionale sulla distanza, che era già suo. In Germania, sensazioni positive anche per Lea Sprunger, terza nei 400m, e Jonas Raess, sesto nei 3'000m, che con un sorprendente 7'45"67 si è fermato a solo 1"24 dall'attuale record svizzero.

SPIRIDON/12

DA MACOLIN UN ARGENTO E DUE RECORD

Argento e record ticinese tra gli U20 per Ettore Poroli ai Campionati Svizzeri di gare multiple indoor, quarto Luca Bernaschina negli Attivi. Tessa Tedeschi firma il primato ticinese U20 sui 400 metri Mentre sui prati di Camignolo si è conclusa la Coppa Ticino di cross FTAL Laube-Greenkey, sabato e domenica si sono svolti a Macolin, al coperto, i Campionati Svizzeri di gare multiple. Nella prova dell’eptathlon maschile U20, brillante secondo rango di Ettore Poroli dell’US Ascona, che si è assicurato l’argento con una serie di ottimi risultati: 7’’70 sui 60 metri, 6.18 m nel lungo, 11.55 nel peso (6Kg), 1.83 in alto, 8’’98 sui 60 ostacoli (99 cm), 4 metri con l’asta e per finire 2’49’’79 nel 1’000 metri finale che gli hanno permesso di scavalcare in classifica il sangallese Tschofen e inserirsi alle spalle dello zurighese Amherd, primo con 5’059 punti. Poroli ha totalizzato 4’699 punti, un risultato che è anche il nuovo primato cantonale U20, migliorando notevolmente il precedente 4’123 stabilito dal compagno di club Claudio Colombi nel 2011.

Nella categoria maggiore, scomodo quarto rango per Luca Bernaschina, già Campione svizzero all’aperto a Tenero nel 2018. Nelle sette discipline, il ventiquattrenne dell’ASSPO Riva San Vitale ha ottenuto 7’’27 sui 60 metri, 6.82 m in lungo, 13.95 nel peso (7.26 Kg), 1.86 m in alto, 8’’75 sui 60 ostacoli (106 cm), 4.20 metri con l’asta e infine 3’04’’89 nei mille metri finali. Con 5’143 punti, a Bernaschina sono mancati soli 59 punti per il podio e un centinaio per l’argento, mentre l’oro è andato a un inarrivabile Simon Ehammer, fresco Campione del mondo U20 di decathlon all’aperto nel 2019, che ha totalizzato 5’915 punti, stabilendo nel contempo il nuovo record svizzero, migliorando di nove punti quello di Rolf Schläfli risalente al 1996.

Nel corso della manifestazione erano pure in programma delle prove singole e sui 400 metri è arrivato un nuovo primato ticinese U20. Correndo in 56’’91, Tessa Tedeschi della SFG Airolo ha vinto la gara e ha migliorato nettamente il precedente limite di 57’’96 di Sabrina Innocenti del 2017. Sempre a Macolin, nelle gare del meeting da segnalare il 7’’08 sui 60 metri piani (5° rango) e il 23’’81 sui 200 metri di Thomas Camenzind della SFG Airolo. Sulla distanza breve molti altri i ticinesi al via, tra cui Stefano Croci dell’Atletica Mendrisiotto in 7’’20 e poi 7’’18 in finale B, Aaron Dzinaku (ATM) in 7’’25 in finale C, Mattia Schenk delle Frecce Gialle Malcantone in 7’’28, e l’U16 Giona Pasteris della SAB Bellinzona in 7’’31. Sui 200 metri, corsi sia sabato sia domenica, bella prestazione di Daniele Angelella della Virtus Locarno che ha corso in 22’’08, mentre Dzinaku ha chiuso in 23’’36. Nel salto in lungo Christian Reboldi della SAB ha raggiunto i 6.43 metri, mentre il giovane U18 Gioele Bähler dell’ATM ha sfiorato i 6 metri (5.92 metri). Reboldi ha poi corso anche i 60 ostacoli U20 (99 cm) in 8’’31 e quindi in 8’’26 in finale, a soli 3 centesimi dal nuovo primato ticinese U20 stabilito sette giorni fa da Nicola Fumagalli del GAB.

Nel salto in alto, quinto rango con 1.88 m per Daniel Barta della SA Massagno, mentre nel peso U20 (6 Kg) 11.57 metri per Gioele Turuani dell’USA. Sui 400 metri, disputati domenica nel tardo pomeriggio, alta la concentrazione di atleti ticinesi: tra gli uomini ottimo secondo rango per Angelella che ha chiuso in 49’’23, mentre nella seconda serie Matteo Romano dell’ATM ha terminato in 51’’60. Tra le donne, come detto, vittoria e primato per Tessa Tedeschi in 56’’91. Sui 60 metri al femminile, in evidenza le giovani della SAB con Rachele Pasteris in 7’’64 e poi 7’’60 nella finale A, seguita da Maëva Tahou in 7’’86 (7’’88 in finale C) e da Sofia Orlando della SAM in 7’’89. La Tahou si è anche aggiudicata i 60 ostacoli U18 (76 cm) con il bel tempo di 8’’59, mentre nel lungo 5.31 per Nina Altoni (SFGA) il sabato e 5.27 metri per Ulla Rossi della SAB la domenica.

Elia Stampanoni,– athletix.ch