Il Teatro Sociale presenta la Compagnia del Sociale in l’anno della valanga di Giovanni Orelli adattamento e regia Ferruccio Cainero musiche originali Danilo Boggini scene e light design Giovanni Vögeli personaggi e interpreti uomo Ferruccio Cainero donna Tatiana Winteler giovane uomo Igor Horvat giovane donna Anahì Traversi musicisti clarinetto Sarah Albertoni fisarmonica Danilo Boggini una produzione Teatro Sociale Bellinzona - Bellinzona Teatro coproduzione Theater Chur prima assoluta Teatro Sociale Bellinzona 17 gennaio 2013 durata 85 minuti (senza pausa)

programma di sala redazione Gianfranco Helbling copertina Thomas Capponi, studio grafico G&S foto di copertina Archivio Giuliano Giulini, Airolo fotografo Nicola Demaldi stampa Tipografia Torriani SA Bellinzona

La produzione “L’anno della valanga” è sostenuta da:

Amici del TEATRO SOCIALE BELLINZONA Cooperativa Migros

Si ringrazia: Istituto cantonale di economia e commercio Bellinzona, Edizioni Casagrande Bellinzona, Antonio Ballerio, Francesca Giorzi, Claudia Maspoli, Chiara Orelli Vassere

Teatro Sociale Bellinzona Gianfranco Helbling Piazza Governo 11 direttore casella postale 2706 Paolo Zanchin 6501 Bellinzona delegato alla programmazione [email protected] Cristina Martini www.teatrosociale.ch assistente di direzione 2 Un nuovo passo per il Teatro Sociale La trasposizione scenica de “L’anno della ve politica della nostalgia. “L’anno della va - valanga” di Giovanni Orelli, diretta da langa” mantiene immutata la sua attualità Ferruccio Cainero con un cast tutto tici - a quasi 50 anni dalla pubblicazione. Sta di - nese, è la prima produzione del Teatro ventando un classico: oggi che ben altre Sociale Bellinzona. Un nuovo passo in di - valanghe stanno spazzando via l’incerta e rezione di un teatro che non si limiti ad non sempre ricca modernità del Ticino, ri - ospitare spettacoli, dunque idee, prove - leggerlo può aiutare a ritrovare la bussola nienti da fuori, ma che sappia anche pro - in una contemporaneità che disorienta. durre spettacoli di pari qualità nei quali si Questa prima produzione del Teatro specchi il vissuto quotidiano del nostro Sociale Bellinzona è anche un atto di fi - pubblico. Un teatro che sia protagonista ducia verso la scena teatrale ticinese. Una della vita culturale, sociale e civile di fiducia ben riposta: “L’anno della valanga” Bellinzona, della regione e dell’intero vedrà infatti sul palco sei bravissimi pro - Ticino, un teatro che stia al cuore della co - fessionisti di casa nostra. È con orgoglio munità, della polis, ponendole interrogati- che li presentiamo al pubblico del Teatro vi e suggerendole possibili risposte. Sociale e a quello che ci seguirà in tour - In tal senso non c’era testo più adatto de née. Perché siamo convinti che con loro “L’anno della valanga” per questa nuova e con altri validi artisti attivi nella regione ci tappa nella storia del nostro teatro. Perché siano le premesse per costruire qualcosa esso affronta temi e pone interrogativi im - in Ticino anche nell’ambito del teatro di pa - prescindibili per il Ticino di oggi: sulla sua rola che non si limiti a delle produzioni epi - identità contadina, sulle scelte di sviluppo, sodiche. “L’anno della valanga” potrebbe sull’origine del suo odierno benessere, sul - essere il primo passo di un viaggio di cui lo sfruttamento del territorio, sul rapporto ancora non conosciamo la meta, ma di cui fra tradizione e modernità, sull’uso in chia - ben vediamo la direzione. 3 È tutta una questione di stile Giovanni Orelli racconta come è nato “L’anno della valanga”

Giovanni Orelli, lo stile con cui ha scrit - qualcuno mi rimproverò che io avessi ab - to “L’anno della valanga” lo rende qua - bandonato il racconto di vita di montagna si immediatamente adattabile per la come piace ai tedeschi per dedicarmi ad scena. Del resto ne im - altri temi che non avevano più a vedere maginava una trasposizione cinemato - con la neve, la montagna e i paesaggi. grafica. Come è nato questo stile mol - Ma era un rimprovero mal fondato. to particolare? Perché quando io scrissi “L’anno della Mi ricordo abbastanza bene. Nel 1951, valanga” non feci più l’errore di restitui - l’anno della valanga di Airolo, io ero a re la naturalezza dei dialoghi avuti con i Bedretto come maestro della scuola ele - contadini del villaggio o delle mie sensa - zioni. Feci altro. In questo modo lo stile contribuiva alla brevità del racconto.

Può illustrarlo con un esempio? Prenda l’inizio del capitolo intitolato “La montagna”: «Di notte, alla finestra, è la solidità del buio» . L’espressione “la soli - dità del buio” non è naturalistica. È un’espressione iperletteraria. Che espri - me anche un profondo stato psicologico. Quando scrissi “L’anno della valanga” mentare di otto classi. Le nevicate ab - avevo alle spalle già la lettura dei latini, bondanti di quell’inverno erano natural - in particolare l’insegnamento di Tito mente il tema delle conversazioni Lucrezio Caro, che aveva uno stile pi - quotidiane nella piccola comunità di una cassiano, deformante: lui non diceva cinquantina di abitanti del villaggio. Un “l’oro rigido” ma “la rigidità dell’oro”. È giorno qualcuno mi chiese di scriverne uno stile artificioso, ma che mi serviva sul libro dei Vicini. La Vicinanza era una anche come avvertimento: non prende - sorta di Patriziato in minore, che aveva il te “L’anno della valanga” per una foto - compito di risolvere tutte le faccende mi - grafia naturalistica del paesaggio o dei nime legate in particolar modo al lavoro miei sentimenti, ma per qualcosa di di - agricolo. Io scrissi dunque una cronaca, verso. Quanto fosse davvero diverso al - ma era una cronaca molto presa dal vivo, l’epoca in cui lo scrissi l’avevo solo in - diaristica, naturalistica, che risentiva del - tuito. L’ho capito del tutto soltanto con la la stizza per essere così a lungo isolati. recentissima lettura di un bellissimo libro Quella cronaca non mi è mai piaciuta, di Marcel Proust “Contre Sainte-Beuve”: tant’è vero che sarà rimasta a qualche lo stile è la scrittura, il rifacimento di qual - console di quella Vicinanza. Resti lì. Se cosa di nascosto, di sogni, di deforma - io quel testo l’avessi avuto l’avrei di - zioni. Il problema dello stile era quindi strutto per il suo naturalismo. Anni più molto importante, e non poteva prescin - tardi, quando fui invitato a Zurigo a pre - dere dalle letture di cui ero imbevuto. sentare “Der lange Winter”, cioè la tra - duzione tedesca de “L’anno della valan - Giovanni Orelli, la sua stessa biografia ga” uscita prima dell’originale italiano, sembra ricalcare quella dell’Io narrante 4 de “L’anno della valanga”. Come è ma - costruita contro terra, quindi la valanga turata in lei la decisione di lasciare la gli sarebbe potuta passare sopra senza montagna per vivere in città? grave danno, mentre partendo avremmo È una decisione maturata fra le dispute dato un contributo troppo forte all’ab - nate nel villaggio a seguito della decisio - bandono della valle. Io specialmente in casa non mi ero esposto troppo, ma sot - to sotto ero, con gli altri giovani, per l’evacuazione. Era il desiderio di andare in città, di cui sentivamo il fascino. L’evacuazione fu fatta e non fu cosa da poco: non si partiva per le vacanze, bi - sognava prendere con sé tutto quel che occorreva per vivere, compresi gli ani - mali, dalle vacche alle galline. Il solo che rimase in casa fu il gatto. Fu un’evacua - zione anche carica di tensioni, che io nel ne del Consiglio di Stato di evacuare ap - libro ho molto attenuato rifuggendo an - pena possibile la Valle Bedretto per il cora una volta dal naturalismo a favore di perdurante pericolo di valanghe. una descrizione deviata, letteraria. L’evacuazione avvenne non nei mesi duri di quell’inverno del 1951, gennaio e feb - Anche per lei dunque quell’evacuazio - braio, ma a metà marzo. Se ne discusse ne è stata una cesura nella sua biogra - e si litigò anche parecchio, perché il go - fia personale? verno aveva chiesto la nostra opinione. In giugno siamo tutti tornati in valle. Ma Il paese era diviso in due: metà per l’eva - per noi giovani l’evacuazione fu una spe - cuazione, metà contro. In famiglia mio cie di uscita da una situazione statica. padre era contro: diceva che la casa era Subivamo la noia di un inverno che ci ta -

5 gliava fuori dal mondo. Il sentimento del - ga. È una visione che poteva servirmi an - l’evacuazione era quello di una fuga da che per giustificare la fedeltà al passato una situazione claustrofobica. Malgrado dei nostri vecchi contro la fiducia di noi il ritorno in valle al termine dell’evacua - giovani nell’avvenire meraviglioso del zione quella fuga rappresentò un punto Ticino. Si è poi visto dove ci avrebbe por - di non ritorno sotto diversi punti di vista. tato questa fiducia: lo si riscontra ogni giorno anche nella di oggi, che Nel romanzo si percepisce una robusta è una città presuntuosa e modesta dal vena profetica: “L’anno della valanga” è punto di vista culturale. È un discorso im - anche il racconto abbastanza nitido di portante per la storia del nostro Paese. quel che sarebbe diventato il Ticino nei E pure qui ritorna la questione dello sti - decenni successivi, dalla svendita del le, che si poteva fare anche vivificatore territorio alla terziarizzazione dell’eco - del ritratto sociologico e politico del nomia, dalla grande importanza della fi - Paese e della sua gente. Non in senso nanza all’uso politico della nostalgia. Lei naturalistico come lo intendiamo oggi, era cosciente scrivendolo di come il con il microfono in mano, ma allonta - Ticino si sarebbe trasformato nel giro di nandosene. cinquant’anni o è rimasto sorpreso di come la sua previsione si sia sostan - “L’anno della valanga” era anche un se - zialmente avverata? gnale di rottura nei confronti della tra - Sono rimasto sorpreso anch’io. dizione letteraria dei vari Francesco Qualcosa lo intravedevo, ma non come Chiesa e Giuseppe Zoppi. Come fu re - l’ho poi visto dopo. Ma non ne farei un cepito il suo romanzo nel Ticino del grande merito. Fra gli autori ticinesi c’è 1965? stato chi preveggente lo è stato davve - La cosa che più mi fece impressione fu ro, penso ad un Romeo Manzoni, morto la reazione di un’anziana contadina di Villa Bedretto. Come molti aveva letto il libro, e come molti era rimasta urtata dal - la presenza della sessualità, di una chia - ra vena erotica. Che c’erano realmente nella vita di tutti i giorni: i vecchi non ne parlavano, ma per i giovani erano temi di conversazione quotidiani che ingiganti - vano ancor più la voglia di fuga verso la città. Quell’anziana contadina mi disse: «era ben così, ma sono cose che non si mettono nei libri» . Con questo libro toc - cent’anni fa. Quando parlava della co - cavo dunque temi sotterranei, in parte siddetta Rivoluzione liberale del 1890 nascosti, in parte appartenenti alla di - aveva pagine profetiche straordinarie sul mensione del sogno. E la gente reagiva destino del Ticino. Quando scrissi di fronte ai temi politici del libro esatta - “L’anno della valanga” credo che non mente come reagiva di fronte a quelli avevo ancora letto nemmeno una riga di sessuali. Quando io feci la mia scelta po - Romeo Manzoni. È venuto dopo a raf - litica, passando dal conservatorismo do - forzare il fondamentale confronto fra le minante in valle al socialismo, e mi can - varie età. La sua domanda per cui avrei didai al Gran Consiglio, praticamente anticipato qualcosa del nostro futuro e non ricevetti nessun voto dai miei com - del degrado del nostro Paese mi lusin - paesani. E questo benché fossi vera - 6 mente amato come maestro. Il parallelo al cioccolato e all’orologio a cucù. era chiaro: son cose che non si mettono Rispondevo che per descrivere una data nei libri – e il voto non te lo do. cosa non era necessario averla speri - mentata all’atto pratico. Né Socrate né Dalla messa in scena de “L’anno della Kant avevano mai lasciato la loro città, valanga” risulterà evidente l’epicità del ma la loro mente poteva produrre tutta la romanzo da cui è tratto lo spettacolo. fenomenologia del mondo rendendola Lei in fondo ha dato dignità di eroi alla sulla carta in maniera mirabile. Noi non gente delle nostre valli. avevamo fatto la guerra, certo: ma io la È una questione che mi occupava fin da - guerra la potevo sentire in quell’attesa di gli anni degli studi a Milano. Il nostro pro - un male imprevedibile qual era la minac - fessore Giuseppe Billanovich, parlando cia della valanga. Ne “L’anno della va - male dell’organizzazione italiana, duran - langa” il tema è giocato molto sulla bel - te una lezione puntò il dito verso di me lezza del granello di neve che, se esclamando con forza «figlio di bene - moltiplicato per milioni, diventa valanga, detto e fortunato Paese» . Fra noi studenti dunque distruzione e morte. quella frase fu lungamente commentata. I miei compagni di studi sminuivano la Gianfranco Helbling Svizzera dicendo che non avevamo fat - intervista raccolta a Lugano to la guerra e che eravamo rimasti fermi il 20 novembre 2012

Giovanni Orelli Nato a Bedretto il 30 ottobre 1928, Giovanni Orelli dopo aver frequentato la scuola magistrale è stato docente di scuo - la elementare nel suo villaggio natale. Ha poi proseguito gli studi alle università di Zurigo e Milano, dove si è laureato in lettere nel 1958. È stato insegnante al ginnasio, poi al liceo di Lugano dal 1963 al 1992. Per il romanzo di debutto “L’anno della va - langa” (1965) ottenne il Premio Veillon e per “La festa del ringraziamento” (1972) il Premio Schiller. In prosa ha inoltre scritto “Il gioco del Monopoly” (1980), “Il sogno di Walacek” (1991) e “Il treno delle italiane” (1996). La sua produzione poetica è sia in dialetto bedrettese (“Sant'Antoni dai padü”, 1988), sia in italiano (“Concertino per rane”, 1990; “Né timo né maggiorana”, 1995; “L'albero di Lutero”, 1998). Per l’insieme della sua opera ha ricevuto il Premio Gottfried Keller (1997) e il Gran Premio Schiller (2012). È inoltre stato insi - gnito nell’autunno del 2012 dall’Università di Friburgo del dottorato honoris causa. È stato deputato al Gran Consiglio ticinese dal 1995 al 1999. Vive a Lugano. 7 8 La neve che entra nel cuore La studiosa Francesca Puddu e l’unicità de “L’anno della valanga”

Quando ci si trova davanti ad un roman - trasti chiaroscurali tra tutto il bianco della zo importante si è portati, come per ogni neve e i neri delle zone d’ombra, del buio, produzione artistica o letteraria di rilevo, a “il nero del cielo”, ma utilizza costante - trovare un metro per misurarla. La si con - mente questa tecnica molto sottile di rap - fronta con quanto c’è stato prima o è ve - presentazione visiva del testo» . nuto dopo, con chi ha fatto la stessa cosa Gran parte del compito di rappresentare ma con tecniche diverse o chi ha usato la sulla carta la neve che cade è affidata alla stessa tecnica ma con risultati diversi. reiterazione. L’accumulo, l’uso della me - “L’anno della valanga” di Giovanni Orelli desima parola in varie sedi della stessa non sfugge a questo rituale. Nel corso de - frase è una costante stilistica ne “L’anno gli anni il romanzo s’è visto misurare e va - della valanga”. «Ho il privilegio di poter lutare in relazione alla letteratura di mon - consultare tutti gli avantesti relativi a tagna ticinese, alla produzione orelliana “L’anno della valanga” che sono custodi - stessa, all’intera letteratura italiana del ti presso l’Archivio svizzero di letteratura Novecento. E va bene. Eppure, una volta a Berna» , precisa Francesca Puddu. «Ho collocato nella storia, nello spazio e tutte potuto osservare che rispetto alle prime le relazioni possibili, il libro va preso per stesure o agli abbozzi Orelli elimina ogni ciò che è. Scrive Vittorio Sereni nell’intro - sinonimo o parafrasi e sceglie di utilizza - duzione a “L’anno della valanga” nelle re la reiterazione. Addirittura su un qua - Edizioni Casagrande (Bellinzona, 1991): derno egli annota una ricerca sinonimica «Esiste pur sempre un conflitto, questo sì, molto dotta per poi eliminarla in un se - tra ciò che un libro è portato da altri a si - condo tempo. D’altro canto però mantie - gnificare e l’accertamento di ciò che di fat - ne pressoché intatta una lista di espres - to, costitutivamente, è» . sioni dialettali riguardanti la neve che Ad ogni livello di lettura è possibile co - cade» . gliere delle caratteristiche specifiche de “L’anno della valanga”, particolarità tanto «Incrociandoci con questo o con quel - precipue da rendere il testo di Orelli uni - lo del paese, ci diciamo sempre le stes - co al di là di qualsiasi filiazione possibile. se cose, che nevica, che viene giù neve Alcune balzano all’occhio immediatamen - che scende a braccia aperte, che nevi - te. Come l’abbondanza di neve. ca che Dio la manda, che s’accumula, C’è neve ovunque nel testo di Orelli e in che s’alza, che cresce, che non ha l’aria ogni forma. Francesca Puddu, dottoran - di smettere, che se fosse zucchero, se da in letteratura all’università di Neuchâtel almeno ricotta, che potessimo chiude - proprio con “L’anno della valanga” spiega: re come le marmotte, le talpe, che chi «L’accumulazione è un tratto caratteristico ha inventato questi paesi» . della scrittura di Orelli in questo romanzo. Il fiocco che cade, si posa e diventa stra - «Nella sua espressione la prosa di Orelli to e poi cumulo… Fra strati e fiocchi e cu - in questo romanzo imita molto spesso il muli nelle prime due pagine ho contato parlato» , spiega ancora Francesca ventisette volte la parola “neve”: quasi una Puddu. Attraverso la ripetizione, certo, ma riproduzione grafica, sulla pagina stessa anche mantenendo l’andamento di alcune del libro, del fioccare fitto fitto. Non sola - espressioni ricalcate sul dialetto ( «venga mente Orelli è attento a creare dei con - su», «tre dita buone di neve», «la Sara, il 9 giorno che le morì il suo uomo, la sera si cenda del singolo coincide con un pas - cambiò, mangiò e andò lei a regolare le saggio epocale: l’abbandono progressivo bestie» ), l’articolo davanti al nome ( «la delle valli per la città. La bellezza del testo Jole» ). «Questo aiuta a conferire al testo di Orelli risiede nell’ambiguità con cui l’au - uno stile piano, di agevole lettura. Eppure tore affronta lo sradicamento. Orelli è af - per giungere a questa semplicità Orelli ha fezionato alla cultura di montagna, capisce svolto un costante e ripetuto lavoro di lima. il dolore degli anziani che devono abban - Negli avantesti si vede come inizialmente donare le loro case, anche perché sa cosa venga utilizzato un linguaggio molto più accadrà dopo… Eppure da intellettuale prossimo alla tradizione, cioè alla prosa ot - che vuole confrontarsi con il presente egli tocentesca. Poi l’autore mette in opera un non può voltare le spalle alla città, al pro - progressivo assottigliamento che rende lo gresso. La nostalgia dunque si sovrappo - stile più immediato e molto più evocativo. ne all’avanzare dell’avanguardia alla qua - L’emblematicità che caratterizza il testo di le l’intellettuale non può opporsi. Sono Orelli scaturisce proprio da questo lavo - convinta che Orelli, se dovesse scegliere ro di lima, che purifica le parole. Ogni pa - oggi se partire o restare, sceglierebbe di rola assume un peso specifico molto ele - nuovo la città. Forse una città più lontana vato. Sono parole solidissime, che e più grande di Lugano, dove ora abita, incarnano una solidità vissuta e che s’im - forse Milano, dove lui ha effettivamente primono maggiormente che non i parolo - assaporato il fermento culturale quando vi ni dotti» . si è recato per laurearsi in lettere» . Ciò non La reiterazione crea nel testo quasi uno nega però l’attaccamento ai valori che il stato ipnotico. Sospende il tempo, can - paese di montagna e i suoi abitanti rap - cella i confini dello spazio, confonde. La presentano. «È chiaro inoltre» , precisa lingua purificata, emersa per sottrazione, Francesca Puddu, «che la sua visione del - concorre a rendere il testo di Giovanni la vita in montagna non è assolutamente Orelli estremamente evocativo. «E ciò non quella idilliaca che caratterizzava la pre - basti» , aggiunge Francesca Puddu, «ad cedente letteratura di questa matrice. Il te - una lettura più attenta “L’anno della va - sto di Orelli evidentemente si smarca dal - langa” si rivela disseminato di citazioni e la tradizione e viene a porsi come rimandi. Sotto la coltre del linguaggio discrimine fra un passato elegiaco e un semplice giacciono camuffate citazioni nuovo modo di scrivere della vita in mon - molto colte» . È una lingua carica, dunque, tagna» . che pare semplice e limpida come la neve, ma che, come essa, si stratifica e pesa e «Giura: non scrivere mai patetiche ele - porta con sé significati remoti. gie sul tuo paese che sarà deturpato. Su tutt’altro piano che non quello della lin - Giura: o un feroce silenzio (male) o la ra - gua e dello stile, “L’anno della valanga” zionale opposizione politica: scegli, ma rappresenta un caso a sé rispetto al resto non l’elegia della memoria, che finisce della produzione orelliana. «A differenza col fare i comodi di chi comanda male, degli altri romanzi di Orelli “L’anno della va - cioè mangia addosso al paese e fa in langa” non parte da una tesi, non ha pro - modo che il paese imputtanisca. getto» . Francesca Puddu precisa: «La nar - Quanto poi a te in particolare lo sai razione nasce da un’urgenza esistenziale bene: che devi vivere in un porto o pres - personale, da un inverno devastante e non so la stazione, ovunque c’è la formico - da un tema da sviluppare. L’io narrante è lante vita degli uomini che vivono» . interno a questo psicodramma che si svol - ge nel paesino di montagna. Eppure la vi - Virginia Helbling 10 Fine del mondo e letterature svizzere Il contributo di valanghe, incendi, frane e siccità alla coesione nazionale

Le catastrofi fanno parte della cultura che ventare un “paesaggio” civilizzato e con minacciano. Il concetto di “catastrofe” se - una connotazione sempre più nazionale gna il confine fra natura e cultura e nasce dei suoi tratti. Le Alpi vengono elevate a da questa demarcazione: da quando il la - monumento dell’identità elvetica a cui si voro culturale dell’uomo respinge la “na - può guardare da qualunque parte del tura” dietro a steccati e dighe, questa li Paese. La loro conquista, che rappre - può anche abbattere. Ed è quanto l’uomo senta il fronte dell’avanzata della civiliz - definisce come una “catastrofe”. In essa zazione, non fa che innalzarne il poten - la cultura sperimenta non solo quanto è ziale di pericolo. Così le valanghe fragile il suo ordine interno, ma anche quanto vicino le rimane ciò che vorrebbe allontanare da sé. Nella catastrofe si la - cera l’epidermide della cultura. (…) La letteratura concorre a costruire le ca - tastrofi. È sintomatico del resto che il concetto stesso di catastrofe abbia un’origine letteraria: essa è infatti l’ultima delle quattro parti di cui si considerava composta la trama di una tragedia. Dal 18° secolo questo concetto è stato così generalizzato che oggi tutto può essere una “catastrofe”, dal treno mancato allo tsunami. Essa è un effetto della perce - zione culturale, della rappresentazione e dell’interpretazione che ci diamo di talu - ni eventi. Per questo in realtà non ci può essere alcuna “catastrofe naturale”. Lo ricorda del resto un passaggio molto ci - tato da “L’uomo nell’Olocene” di : soltanto l’uomo conosce le cata - strofi nella misura in cui ci sopravvive, la natura non conosce catastrofi. (…) Nelle sue trame catastrofiche, siano esse ispi - diventano un elemento della percezione rate dalla realtà o dalla fantasia, la lette - di sé degli svizzeri, fino al piano. Come ratura dipinge ammonendoci il mondo la storia comune, per la Svizzera anche “del giorno dopo”. Paradossalmente, le minacce di catastrofi diventano una nell’immane tracollo trionfa la creazione componente fondamentale dell’integra - estetica. (…) zione nazionale. Friedrich Schiller nel Dal 18° secolo la Svizzera si promuove “Guglielmo Tell” del 1804 non racconta come un idillio alpino. Su di lei pende la soltanto il mito delle origini della Svizzera, minaccia della catastrofe, anzi: senza tale ma ne rappresenta anche l’idillio dop - minaccia la Svizzera non sarebbe nem - piamente minacciato: dalle valanghe in - meno un idillio. Senza questa sublime combenti e dal lago in tempesta. paura la natura alpina non potrebbe di - Come contrappunto ai rituali della rievo - 11 da sinistra: Anah 12 hì Traversi, Igor Horvat, Tatiana Winteler, Sarah Albertoni, Ferruccio Cainero e Danilo Boggini 13 cazione della storia comune la Svizzera blematizza i rituali dell’elaborazione e del può sentirsi una comunità legata da un superamento delle catastrofi. La tanto comune destino e una nazione basata decantata solidarietà è in realtà fragile, sulla volontà anche nell’affrontare e su - se non addirittura una pura finzione. perare le catastrofi. La prima occasione È quanto denuncia anche la letteratura nei suoi testi narrativi sul tema delle ca - tastrofi. Charles-Ferdinand Ramuz ad esempio, che per molto tempo è stato screditato a torto come un cultore pas - satista dell’idillio, risponde alla Prima Guerra Mondiale con tutta una serie di romanzi sulle catastrofi. Tutti rappresen - tano lo sgretolamento della coesione so - ciale al momento in cui la comunità è col - pita da una catastrofe. In “Présence de la mort” del 1922, ad esempio, raccon - si presenta con la frana di Goldau del ta di un forte aumento delle temperature 1806 che dà vita per la prima volta ad a seguito di una catastrofe climatica e, di un’azione di soccorso ufficiale organiz - conseguenza, di una lotta senza quartie - zata in tutta la Svizzera. Ora sul bicchie - re di tutti contro tutti. L’atomizzazione del - re per le offerte campeggia una croce la società si riflette anche nell’avanguar - svizzera: la catastrofe deve generare un distica struttura del romanzo, che si dividendo nazionale. Si forma una “cul - polverizza in 30 capitoli – non c’è più una tura della catastrofe” tipicamente svizze - prospettiva comune ormai, di fatto nem - ra che perdura fino ai giorni nostri, come meno quella della narrazione. evidenzia lo storico del clima Christian Più tardi Giovanni Orelli in “L’anno della Pfister. valanga” (1965) mostra come la comu - In questa specifica elaborazione intensi - nità di un villaggio alpino si dissolve già va delle catastrofi le letterature della soltanto per la pressione determinata Svizzera trovano a partire dal 19° seco - lo una sfida comune. Gli autori svizzeri la raccolgono sullo sfondo delle loro spe - cificità linguistiche. Malgrado un’atten - zione comune nasce così – come proto - tipo delle letterature della Svizzera – un variegato caleidoscopio letterario, e non una letteratura nazionale omogenea. Da un lato le letterature della svizzera attra - verso le loro trame da fine del mondo contribuiscono alla comune cultura elve - tica delle catastrofi. D’altro canto la met - tono in discussione criticamente. Lo fa dalla minaccia di una catastrofe – il con - ad esempio Jeremias Gotthelf nel suo trario della celebrata comunità solidale. magniloquente resoconto sulla siccità E Friedrich Dürrenmatt, che variandole nell’Emmental del 1837, un testo di con - porta con sé le sue visioni catastrofiche fine nel quale ad un sermone sulle cata - nell’insieme della sua opera, osserva nel strofi di matrice cristiana si sovrappone suo ultimo romanzo “Durcheinandertal” una moderna analisi sociale che già pro - (1989) come gli esseri umani si fanno 14 prendere da una furia altruistica e da gli altri) dalle tribune. Carl Spitteler ele - un’orgia benefica non appena la terra ha va questo ruolo di spettatore a dottrina tremato, le acque hanno tracimato, le va - di Stato basata sulla neutralità come si - langhe sono precipitate a valle, le mon - cura distanza d’osservazione. Lo sguar - tagne sono franate e i vulcani sono do comune sulla catastrofe, corroborato esplosi. Come prova esemplare della sua tesi alla fine del romanzo lascia che le fiamme divorino la casa di cura per mi - liardari e criminali, una parodia dell’Hotel Svizzera, e che poi s’impossessino pure del villaggio alpino. Anche questa trama incendiaria ha una tradizione elvetica: già J.C. Heer, Eduard Rod, Jakob Bührer o C.-F. Ramuz la - sciavano che nei villaggi di montagna scoppiassero furiosi incendi, sintomi di quella cesura culturale rappresentata dal da forti emozioni, unisce ancor più gli turismo nelle società alpine. In “Grand spettatori: anche questa è una situazio - Hotel Excelsior” di Meinrad Inglin (1928) ne molto teatrale. con l’albergo va in cenere tutto un mo - Questa situazione dà alla catastrofe dello sociale. Inoltre qui Inglin pone sot - quella forza d’integrazione sociale che to la luce dei riflettori il potenziale piro - ancora oggi si rivela ad ogni possibile oc - mane che viene escluso dalla comunità. casione. Si stringono molto l’uno contro Molti autori, da Frank Wedekind pas - l’altro i testimoni dell’incidente della cir - sando per Friedrich Glauser fino ad ar - colazione nella Svizzera centrale che rivare a Max Frisch, gli mettono in mano l’agente di polizia Arnold Odermatt foto - un fiammifero, così da mandare a fuoco grafa nel 1963. Una distanza comune se - il mondo intero. Mani Matter se l’è raffi - para gli spettatori dall’accaduto. Stanno gurato nella sua ballata dialettale “Ds leggermente rialzati sul marciapiede Zündhölzli” (“Il fiammifero”, 1969). La let - come fossero su degli spalti. Prendono teratura svizzera usa dunque la forza parte rispettosamente, malgrado la di - esplosiva della catastrofe per dimostra - stanza o a causa di essa – sono un coro re di sentirsi appartenere al mondo e di tragico ma muto. Questo punto di vista sapere che nella fine del mondo non c’è dello spettatore la letteratura svizzera lo posto per il “Sonderfall” svizzero. Se in mette in scena criticamente e autocriti - Svizzera letterariamente c’è la fine del camente. Thomas Hürlimann ad esempio mondo, allora anche la Svizzera si con - racconta in una commedia di come la fonde con il mondo. gente di San Gallo, bratwurst in una A questo punto non è più neppure pos - mano e birra nell’altra, guarda i bombar - sibile avere una posizione di spettatore damenti sull’altra riva del Lago Bodanico al riparo dagli eventi. Ma su questa po - quasi fossero i fuochi d’artificio per la fe - sizione tanto più si ritira la Svizzera mo - sta nazionale del 1° agosto. (…) derna, quanto meno le riesce di raffor - zare la sua coesione interna facendo Peter Utz guerra alle nazioni confinanti. Perché ciò Testo pubblicato sulla Neue Zürcher per la Svizzera pluriculturale sarebbe una Zeitung del 27 ottobre 2012, www.nzz.ch . minaccia mortale. Per questo segue i Traduzione e adattamento a cura del grandi conflitti europei (le catastrofi de - Teatro Sociale Bellinzona. 15 L’inverno delle valanghe Nel 1951 la neve seminò morte e distruzione ad Airolo e in tutte le Alpi

La caduta di valanghe è una calamità fre - Progressivamente accelera la sua corsa quente, che durante il periodo invernale e precipita a valle aumentando di di - e ad inizio primavera si verifica lungo tut - mensioni e trascinando con sé tutto to l’arco alpino. In passato, prima della quanto incontra sul cammino. costruzione dei “ripari valangari” (termi- La storia di numerosi villaggi montani del ne utilizzato in Ticino), essa rappresen - cantone Ticino è profondamente segnata tava un costante pericolo e rendeva im - dai tragici eventi dovuti alle valanghe. Le praticabili le vie di comunicazione e i segnalazioni degli archivi comunali e le valichi nelle zone montane. Colpiva in - raccapriccianti cronache di viaggiatori e ri - cessantemente numerosi centri abitati da cercatori del Settecento e dell’Ottocento lunga data, provocando devastazione e (fra cui H.R. Schinz, K.V. von Bonstetten, morte. S. Franscini e L. Lavizzari) testimoniano Comunemente, per semplificare un ar - dell’importanza e frequenza di questi fe - gomento alquanto complesso, si distin - nomeni. Le regioni che ebbero maggior - guono due tipi di valanghe. La valanga mente a soffrirne furono le valli di “fredda o soffiata” è una massa di neve Bedretto, Leventina, Maggia, Verzasca e polverosa, preceduta da una fortissima Blenio. (…) corrente d’aria che la trasporta con im - Nel gennaio 1951 le popolazioni monta - peto. Generalmente si produce quando ne delle Alpi settentrionali furono sog - su neve indurita dal gelo ne viene a ca - gette a innumerevoli valanghe provocate dere dell’altra che non aderisce a quella da una situazione di sbarramento a nord- precedente. La valanga soffiata non si preannuncia, aggredisce di sorpresa. Con violenza estrema, l’urto dell’aria compressa dalla massa nevosa è in gra - do di sradicare alberi, travolgere case e uccidere uomini e animali che si trovano nelle vicinanze. Generalmente il forte vento del nord contribuisce alla sua for - mazione ricoprendo i dirupi di enormi cuffioni instabili di neve che, al minimo soffio, si distaccano e scatenano una de - vastante bufera: una voce, uno sciatore ovest. In febbraio la situazione di sbarra - fuori pista, il passaggio di un animale sel - mento si spostò a sud causando cata - vatico possono provocarle. strofi dovute alla neve nelle zone montane La valanga “calda o pesante” è profon - del Ticino. Airolo subì le perdite maggio - da, lenta e rumorosa. Può essere cau - ri. La furia immane della valanga stroncò sata dal rammollimento della coltre di la vita a dieci persone, distrusse 10 case, neve o del terreno dovuto a un improvvi - ne danneggiò altre dieci e demolì 12 stal - so riscaldamento dell’atmosfera, al favo - le. A Frasco, in Val Verzasca, perirono 5 nio o a piogge primaverili. Si forma nei persone, 10 case e 14 stalle vennero ab - valloni dove la neve è altissima e inizia a battute. A Bosco Gurin, Comologno, sul scivolare lentamente lungo i ripidi pendii tratto Lavorgo/Giornico e in tutte le valli per poi infilarsi nei canaloni sottostanti. montane la massa nevosa causò danni in - 16 genti. La popolazione della Valle Bedretto ti negli alberghi a sud del paese. dovette essere evacuata. Durante quel - Siccome si temeva lo staccarsi di un’al - l’inverno erano caduti metri e metri di tra valanga ancor più devastante il gior - neve, da novembre a febbraio, che pro - no dopo, il 13 febbraio venne ordinata vocarono la formazione delle numerose l’evacuazione totale del villaggio. Gli abi - slavine. Le muraglie di neve non scom - tanti vennero smistati per diverse desti - parvero nemmeno durante l’estate e al nazioni. I treni trasportarono gli sfollati in San Gottardo alcune erano ancora alte altri paesi in Ticino, all’ospedale di Faido, circa 12 metri a metà luglio. La neve del nella Svizzera interna. Alcuni vennero 1950-51 rimase al suolo sino alla prima - ospitati nei forti e altri scelsero vera del 1952. Göschenen perché sarebbero potuti ri - Ad Airolo la mattina del 12 febbraio, ver - tornare più rapidamente attraverso la gal - so l’una, accompagnata da un sordo leria ferroviaria. Solo a fine febbraio gli boato la valanga precipitò. Staccatasi abitanti poterono ritornare nelle loro dall’alto piombò a valle con impeto tra - case. Enorme fu la solidarietà intorno alle scinando con sé nella sua fiumana di - popolazioni colpite: offerte nazionali e in - struttrice tutto quanto incontrava sul suo ternazionali permisero la ricostruzione cammino: alberi, animali, case e stalle del borgo. abbattute. Le prime operazioni di salva - A seguito degli eventi, s’intrapresero in taggio arrivarono immediatamente sul tutto il Paese misure di protezione su lar - luogo. Autorità, militi, pompieri, sanitari e ga scala che continuano ancora oggi. volontari muniti di torce e riflettori a bat - teria curarono i feriti, salvarono le per - Laura Patocchi-Zweifel sone intrappolate ed estrassero le prime da Azione del 17 gennaio 2011, adattamen - vittime. Donne e bambini vennero accol - to a cura del Teatro Sociale Bellinzona 17 18 «Ho inventato una messa profana» Ferruccio Cainero su adattamento e regia de “L’anno della valanga”

Ferruccio Cainero, cosa l’ha colpita del le impressione le ha fatto il cast? romanzo di Orelli da accettare la pro - Il lavoro procede speditamente. Sono posta del Teatro Sociale Bellinzona di molto contento del cast. Gli attori e i mu - adattarlo e di metterlo in scena? sicisti hanno ben capito cosa cerco di In confronto a quello che accadeva ed ac - realizzare e ognuno ci mette del suo. È un cade a questo mondo una valanga che lavoro molto collettivo. Nel processo scende in una valle del Ticino e fa dieci creativo, io come regista posso e devo morti non è un evento, se pur tragico, che avere la prima e l’ultima parola, ma tra significhi molto per chi non abbia un le - queste due c’è un grande spazio creati - game affettivo con i luoghi. Leggendo il vo. romanzo di Orelli, però, gli abitanti di quel - la piccola valle assurgono a rappresen - La sua regia punta molto sulla sugge - tanti simbolici dell’umanità intera nella sua stione della parola. In che modo? E lotta contro il fato. Un fato deciso da chi? come garantire malgrado ciò la neces - Dagli dei, direbbero gli antichi greci. Ma saria spettacolarità all’allestimento? noi che risposta ci diamo? Mettendo in scena una lettura del ro - manzo che sia come una cerimonia laica Il testo di Orelli sembra scritto pen - mi sono inventato una liturgia. Tutto di - sando già ad una trasposizione sceni - venta immediatamente molto suggestivo ca. A cosa ha fatto attenzione in parti - ed evocativo. Tutto assume valore sim - colare scrivendone l’adattamento bolico. Quando si parla di liturgia, nor - teatrale? malmente si pensa a qualche cosa di no - Non sono proprio d’accordo con questa ioso. Questo perché siamo abituati a sua affermazione. Se il testo di Orelli ve - pensare a liturgie religiose che si ripeto - nisse sceneggiato secondo me perde - no burocraticamente da secoli. Ma quan - rebbe il valore simbolico ed universale. do si assiste alla nascita, all’invenzione, Diventerebbe la messa in scena di una allo scaturire di un cerimoniale, tutto di - delle tante catastrofi che accadono. Non venta giocoso e appassionante, perfino a è un caso che Orelli scrivendo un ro - tratti comico. manzo ambientato tra contadini di monta - gna non usi per nulla il dialetto. Nella mia Mette in scena “L’anno della valanga” messa in scena ho voluto inventare una ricorrendo ad una sorta di coro greco. cerimonia laica, una messa profana in cui Significa che gli abitanti di un paesel - i sacerdoti attori fanno una lettura pubbli - lo dell’alto Ticino possono avere la ca del libro. Non leggono il vangelo, eu an - stessa dignità epica e drammatica dei gelon , cioè la buona novella, ma leggono protagonisti delle grandi tragedie gre - la novella della scomparsa della civiltà che? contadina, con i suoi valori e limiti, e del Avrà notato che la vita è una grande tra - dubbio inquietante che a questi valori non gedia epica. Di fatti sempre il protagoni - si sia in grado di sostituirne di nuovi. sta dopo essere passato attraverso varie vicissitudini muore. Quello che è difficile Quando realizziamo questa intervista da trovare è un cantore che ne descriva avete già fatto tre settimane di prove. le gesta. Ma in questo caso, questi even - Come sta procedendo il lavoro e qua - ti e questa gente hanno trovato il loro poe - 19 ta. Se io fossi nato in Ticino vorrei molto sconquassandolo. Ora il modello su cui bene ai miei Orelli, Martinoni, Nessi... era costruita questa modernità appare in crisi. Che senso ha allora mettere in Lei non si è ritagliato un ruolo da pro - scena oggi “L’anno della valanga”? tagonista in questo spettacolo. In sce - Perché le crisi si assomigliano tutte. na quale sarà la sua funzione? Possono essere un eccezionale momen - Dovendo fare la regia mi sembrava trop - to per cambiare, migliorare, fare un salto po fare anche il protagonista. Inoltre vo - di qualità, ma possono essere anche solo levo un giovane per quel ruolo. Io sono un uno sfascio. Dipende da noi, da come po’ il corifeo, quello che detta il ritmo nel - sappiamo reagire. Cito Orelli da “L’anno le parti corali e ho una bella parte come della valanga”: «Non scrivere mai pateti - anziano contadino. che elegie sul tuo paese che sarà detur - pato. Giura: o un feroce silenzio (male) o La sua biografia personale è profonda - la razionale opposizione politica. Scegli, mente segnata dal terremoto del Friuli ma non l'elegia della memoria, che finisce del 1976. Ricorre in qualche modo a col fare i comodi di chi comanda male, quell’esperienza nel lavoro di messa in cioè mangia addosso al paese e fa in scena de “L’anno della valanga”? modo che il paese imputtanisca» . Sì, il 6 maggio del 1976 ho capito che l’uomo è fragile e tutto quello che l’uomo Questo è un periodo molto intenso del - fa è fragile e può essere spazzato via in la sua carriera. D’altro canto, nella sua un attimo se la natura si scatena. Poi bi - biografia artistica “L’anno della valanga” sogna ricominciare. Ma ricominciare è uno spettacolo anomalo. Come sen - come? Coltivando la memoria del passa - te che si inserisce questo allestimento to e imparando a distinguere quello che nel suo percorso artistico personale? c’era di buono e quello che c’era di sba - Sono ormai 27 anni che il Ticino ospita me gliato? O dimenticando tutto? Via, si ri - e la mia mania di raccontarmi, di raccon - parte da zero! E così si finisce per ripete - tare le mie storie. Ecco che il direttore del re sempre gli stessi errori, fino alla Sociale di Bellinzona mi chiede se voglio prossima valanga o terremoto o crisi eco - mettere in scena una storia vostra. Io dico nomica o razzismo o populismo... di sì e devo fare silenzio, fermarmi, leg - gere e rileggere il libro di Orelli, ascolta - Accanto ai quattro attori in scena ci sa - re le voci dei vostri vecchi, dei vostri mor - ranno due musicisti. Che ruolo avran - ti, delle generazioni passate. Per me non no le musiche suonate dal vivo? è questione di percorso artistico, per me Le musiche non si limitano a creare un’at - posso solo dire: grazie di questa fiducia mosfera, ma spesso si intrecciano con il che mi viene data. Sono lieto di ricambia - testo e ne sono parte integrante. In sce - re e di ospitare adesso in me le voci di un na avremo la fisarmonica e il clarinetto. passato che ci parla e ci interroga su qua - Sono due strumenti, specialmente la fi - le sarà il nostro futuro. È questo che ci sarmonica, tipici della musica popolare ma chiedono i vecchi delle generazioni pas - che nello stesso tempo si prestano per sate, affacciati alle finestre delle case o se - esecuzioni raffinate. duti vicino al camino: be’ che state com - binando? Che mondo state preparando? Al di là del fatto aneddotico (la valanga Sono lieto che mi si sia chiesto di porta - che incombe sul villaggio), il romanzo di re sul palco di Bellinzona l’eco di queste Orelli parla della modernità che come loro voci. Spero che sapremo dare loro una valanga piomba sul Ticino rurale, una risposta positiva. 20 Sarah Albertoni Nata a Bellinzona, Sarah Albertoni ha conseguito nel 2000 il Lehrdiplom in pedagogia e clarinetto alla Musikhochschule di Winterthur e nel 2004 il Konzertdiplom in clarinetto e musica da camera al Conservatorio della Svizzera Italiana. Suona (anche da solista) con diverse orchestre, fra cui la Kammerorchersterbasel, l’Orchestra Sinfonica dell’Insubria, l’Orchestergesellschaft Biel e i Winterthurer Symphoniker. Si esibisce con il clarinettista Rericha e vanta una notevole esperienza di musica da camera. www.sarahalbertoni.ch

Danilo Boggini Fisarmonicista, pianista, compositore e arrangiatore attivo soprattutto in ambito jazz (fra i gruppi da lui fon - dati: Astrea Ensemble, Accordion Project, Swing Power) non disdegna la mu - sica d’autore (in particolare accanto a Giorgio Conte, Piero Mazzarella, Davide Van De Sfroos) e il ruolo di turnista (una trentina i cd al suo attivo). Dal 2006 colla - bora come strumentista, compositore e arrangiatore negli spettacoli di Ferruccio Cainero (“Cantaladinamo”, “Guerrieri dell’Arcobaleno”, “Leggendo fuori stagione”). Vive a Bellinzona. www.daniloboggini.ch

21 Ferruccio Cainero Il friulano Ferruccio Cainero dal 1978 ad oggi ha partecipato quale attore, regista e autore a oltre 40 produzioni. Con Giovanni De Lucia ha fondato il Teatro Ingenuo, approdando al Crt di Milano. Negli anni ’80 si è stabilito in Ticino. Ha lavorato con Dario Fo, Tadeusz Kantor, Lele Luzzati e i Colombaioni. Per Gardi Hutter ha firmato alcune delle più importanti regie. Collabora col Teatro del Chiodo di Lorenzo Manetti. Dal 1999 scrive e interpreta monologhi quali “Tapim Tapum”, “Giraladinamo”, “I guerrieri dell’arcobaleno”. www.ferrucciocainero.ch

Igor Horvat Nato nel 1977 a Faido, nel 2000 si è diplomato attore alla “Paolo Grassi” di Milano. L’ininterrotta at - tività teatrale lo porta a lavorare con Luca Ronconi, Roberto Guicciardini, Gabriele Lavia, Giancarlo Cobelli, Guido De Monticelli, Riccardo Muti. Lavora tra Svizzera e Italia. È apparso in alcuni lungometraggi cinematogra - fici e serie televisive di produzione svizzera, italiana e indiana. Collabora alla produzione di radio - drammi con la Rete Due della Rsi, alla riduzione radiofonica di roman - zi e alla registrazione di audiolibri.

22 Anahì Traversi Nata a Stabio il 16 aprile 1984, dopo gli studi in lette - re e filosofia nel 2011 si è diplomata alla scuola del Piccolo Teatro di Milano, fondata da Giorgio Strehler e diretta da Luca Ronconi. Ha inoltre partecipato al cor - so di perfezionamento per attori diretto da Federico Tiezzi presso il Teatro di Pontedera (docenti: Peter Stein, Sandro Lombardi e Franco Graziosi). Professionalmente si è proposta con spettacoli in scena, reading, produzioni cinematografiche e drammi radiofonici in Svizzera e in Italia. www.anahitraversi.com

Tatiana Winteler Ticinese, diplomata alla scuola del Piccolo Teatro di Milano, ha lavorato con Giorgio Albertazzi, Lea Massari, Gianrico Tedeschi, Adriana Asti, Franco Branciaroli, Aroldo Tieri. Interprete di teatro classico e di sperimentazione all’Elfo, all’Out-Off e con la compagnia Nanni-Kustermann. Recita con il Teatro della Svizzera italiana, con La Maschera e con Labyrinthos. Per tv e cinema ha lavorato con Dario Argento, Marco Bellocchio, Francesco Nuti, Citto Maselli, Dino Risi, Peter Greenaway e in numerose produzioni Rsi. 23 l’anno della valanga di Giovanni Orelli adattamento e regia: Ferruccio Cainero La neve cade sempre più copiosa in valle. Il paesino di montagna è isola - to. Solo fra le case si riesce ancora a muoversi, sono così vicine che i fioc - chi faticano ad infilarcisi. La vita pro - va a scorrere con la consueta norma - lità: gli animali da accudire, gli amori da consumare per i giovani, i morti da onorare per i vecchi. In cima alla montagna però la neve minaccia di precipitare a valle e di spazzare via il villaggio. Fra gli abitanti è l'ora della resa dei conti – con sé stessi prima ancora che con gli altri.