Francesco Cirillo

La notte di Santa Lucia Dalla Jolly Rosso all’affossamento della Cunsky

Prefazione di Rodolfo Ambrosio

Con un intervento di Gianni Lannes

Coessenza edizioni

1 Questa cronologia , riscritta alla luce di quanto avvenuto in seguito, è tratta da articoli pubblicati fra il mese di settembre e dicembre del 2009 da Mezzoeuro ed il Domani. Il racconto iniziale è immaginario ma a qualcuno potrebbe essere accaduto.

Mi scuso con i miei lettori per non aver parlato sufficiente bene di queste persone che a vario titolo hanno cercato di far sì che sulla vicenda si giungesse alla verità quali: Ezio Amato, Rodolfo Ambrosio, Nuccio Barillà, Giacomino Brancati, Natalia Branda, Giordano Bruno, Pino Bruno, Francesco Caruso, Carlo Azeglio Ciampi, Alberto Cunto, Cosmo De Matteis, Roberto Della Seta, Aurelio Garritano, Salvatore Genco, Silvio Greco, Alfonso Lorelli, Gioacchino Lorelli, Salvatore Martinotti, Franco Mazza, Marcello Nardi, Francesco Neri, Nicola Pace, Piero Persante, Ciro Pesacane, Antonella Politano, Gianfranco Posa. Da questi mi aspetto che continuino nelle loro iniziative e lotte.

Mi scuso ancora con i miei lettori per non aver sufficientemente parlato male delle altre persone di cui parlo in questo libro, da loro mi aspetto solo querele.

Spero che questo libro, insieme agli altri scritti sull’argomento, possano servire al raggiungimento della verità per Giannino Losardo assassinato dalla ndrangheta a , Natale De Grazia morto misteriosamente, e Miran Hrovatin assassinati in Somalia, e per tutti quei semplici cittadini colpiti da tumori e malattie varie in conseguenza del traffico di rifiuti tossici a terra ed in mare.

Ciò che qui è narrato È realmente accaduto. Niente è accaduto così Come è qui narrato.

J.W. Goethe

2 Prefazione di Rodolfo Ambrosio, avvocato

Io lo so ma non ho le prove (Pasolini 1974).

In vicende come queste bisognerebbe semplificare le cose anziché allargarle e complicarle, perché si farebbe il gioco di chi vuole sguazzare nel torbido, approfittando della vischiosità di temi così scottanti e delle ulteriori ripercussioni collegate ad altre vicende, della Calabria e non solo, visto che la storia ci insegna che tutto si tiene, prova ne sia la analogia delle azioni del malaffare, con omicidi per mano mafiosa e ritorno di affari a lobby dei potenti di turno, con tanto di protesi odierne di quell’estremismo senile che ancora oggi impazza sulla scena nazionale e locale.

Tuttavia, dato che i responsabili di tali nefandezze fanno parte di organizzazioni politico-mafiose da tempo immemorabile a tutt’oggi, e come tali presenti sul territorio per un costante controllo delle vicende che sullo stesso si svolgono, in questi casi occorre tornare indietro e ripercorrere alcuni eventi sui quali vi è il “fondato sospetto” che si intreccino tra loro, almeno fino a quando la chiarezza non soddisferà la nostra sete di verità e giustizia o meglio di equità, nobile concetto quando diventa insopprimibile esigenza per chi sceglie di vivere la propria vita, all’altezza del genere, quindi più per essere che per avere.

Nel 1996, dopo varie esperienze con studi legali, università, associazioni culturali e giornali, ho potuto nutrirmi di un’ulteriore formazione umana e di pratica forense nello studio del senatore avvocato Francesco Martorelli, autorevole esponente del Partito Comunista Italiano, vicepresidente antimafia, componente del Tribunale dei Ministri e di varie commissioni parlamentari, il quale aveva un chiodo fisso: capire e svelare gli eventi collegati a fatti omicidiari avvenuti in Calabria, in particolare sulla costa tirrenica cosentina e le dinamiche dei referenti politici e del notabilato locale che presenziarono e favorirono tali vicende.

Tra le altre, di una vicenda in particolare, analoga a molte della notte italiana, specie al sud, ho potuto conoscere i dettagli, per avere assistito ed ascoltato minuziosamente, anche su mio pungolo, le esternazioni che il dominus dello studio mi confidava sul delitto di Giannino Lo Sardo, segretario della Procura di Paola e consigliere comunista al comune di Cetraro, ucciso dalla ‘ndrangheta. Ad oggi quest’omicidio resta senza un movente plausibile e non esiste neanche uno screzio da cui partire per seguire una pista che porti alla verità; Martorelli, a seguito di quel delitto,

3 da quadro nazionale, venne insediato come consigliere comunale a Cetraro; Berlinguer tenne un comizio nella città tirrenica, porto delle nebbie, che annunciava la risposta dello Stato, come poi avvenne, ma che colpì alcuni responsabili esecutori e solo in parte; vero è che solo uno stupido o un complice potrebbe credere che un omicidio politico- mafioso, figlio del feticcio della penuria, non abbia una sub-ratio economica o di potere. Si cadrebbe nei luoghi comuni dei sudditi, cosa che non si addice a chi sceglie di provare a capire e camminare a testa alta. Governare un popolo debole culturalmente è più facile che darla a bere a chi studia e ragiona, a chi si libera del familismo amorale catto-fascista, pensa globale ed agisce locale.

Il mitico e compianto Ciccio Martorelli usava il cosiddetto metodo del “cui prodest” e cioè si chiedeva a chi avesse giovato la morte di Giannino Lo Sardo? e che cosa aveva visto per meritare una fine così tragica? Quali sguardi bui aveva incrociato in quelle stanze indorate dal sole del sud? Probabilmente l’evento era da collegare alla sua stabile funzione giudiziaria più che alla carica, temporale, di consigliere comunale di Cetraro, quindi era ed è plausibile che in quegli uffici della Procura di Paola, gli sia passato sotto gli occhi qualche personaggio con fascicoli che non potevano o non dovevano essere di dominio pubblico; ma di che maledetto evento doveva trattarsi per essere condannato a morte? Quali interessi era andato a toccare e soprattutto, in quegli anni, a chi giovò l’omicidio eccellente di un funzionario di una procura della Repubblica.

Certo qui mi farebbe comodo qualcuno con una memoria storica di quegli anni in cui ero liceale. Sebbene a studio avessi ormai letto tutti o quasi, i documenti ed i fascicoli processuali, le interrogazioni parlamentari e gli articoli di giornale dell’epoca, mi rendevo conto che ancora non quadrava il cerchio, non era chiaro cosa avesse causato la decisione di uccidere un uomo esposto con ruoli nella pubblica amministrazione; era sì evidente un classico e solito intreccio politico-affaristico-mafioso, e quindi palese era l’area di provenienza dei soggetti coinvolti, ma non era ancora disvelato l’oggetto e quindi il movente, il portafoglio dei contendenti; si andava formando quel “grumo” - diceva il senatore Martorelli - che l’impunità data dalla collusione masso-politica, avrebbe consolidato negli anni a venire e sino ai giorni nostri. Tuttavia ancora non emergeva cosa ci fosse nella “bacinella”* ove era custodita la posta in gioco e quali fossero gli affari calati dall’alto in loco e che armavano le pistole della manovalanza, a riprova del fatto che la mafia è un fenomeno capitalista e come tale estraneo alla cultura mediterranea.

In occasione di un’intervista della giornalista di Rai 3, Maria Cuffaro, Martorelli dichiarava che all’epoca alcuni magistrati della Procura di Paola, e addirittura il Presidente del Tribunale in persona, erano collusi con le organizzazioni criminali del posto.

4 Per tali affermazioni Martorelli venne denunciato assieme a Rai tre, al suo direttore Sandro Curzi e alla giornalista Maria Cuffaro; iniziò così un giudizio che si concluse in cassazione con il riconoscimento delle ragioni di Martorelli, nonostante il presidente della Camera, allora on. Violante (sic!), avesse negato la costituzione in giudizio della Camera dei deputati, quale istituzione investita del caso, per appartenenza di uno dei suoi più autorevoli esponenti. Del resto con giuristi di quel calibro, bisognava compiere una vera mistificazione se non un reato per condannarlo;

Durante i pomeriggi a studio, spesso in sede di redazione degli atti, cercavo di saperne di più anche su altri fatti circostanziati, che appunto circum stavano al processo e lui un giorno mi rivelò che il Presidente del Tribunale di Paola dell’epoca, oggetto di una relazione dei magistrati ispettori del Ministero della giustizia, era al vertice di una loggia massonica di Genova, il cui vice era un penalista, on. del Partito Liberale, già Ministro della Giustizia, Presidente della Camera e per la prima volta cominciai ad ipotizzare che le ragioni dell’omicidio di Giannino Lo Sardo fossero da ricercare fuori dalla Calabria, pur con la compiacenza della classe dirigente locale.

Si profilava quindi uno scenario di poteri forti, malaffare sul territorio e attacchi a mano armata e /o giudiziaria, per chi avesse osato disturbare i manovratori, lo stesso “grumo” tuttora attivo pronto a risolvere i problemi di periferia dell’impero**. Ebbene chiunque voglia sentirsi uomo, non potrà avere pace sino a quando tali offese non saranno rispedite al mittente con tanto di contrappasso; Roberto Saviano, nel celebre libro Gomorra lo chiama “O’ sistema”, che si dispiega in ogni vicenda ove è presente un indizio di equità e dignità che si oppone ai burattinai, specie nel sud Italia; tempo fa a Cosenza si è concluso il processo ai “no global”, che è stato un altro esempio per riattuare le stesse dinamiche e con gli stessi soggetti, con delegittimazioni e repressioni, così come ancora più di recente l’omertoso boicottaggio dell’affondamento delle navi cariche di rifiuti tossici, nei mari ove siamo cresciuti.

Quindi tutto si sapeva, tutto straordinariamente evidente, ma anche con le prove; chi di dovere non mise in discussione il “grumo“ e nonostante il “cui prodest” emerga prepotentemente, e il sacco della Calabria sia sotto gli occhi di tutti e con esso i fruitori di tale scempio, dagli ecomostri, alle infiltrazioni nella pubblica amministrazione, non si riesce ancora a rimuovere quel “grumo“ di potere che ancora affligge la Calabria.

Stesso schema in altri affair della penisola, stessi ruoli e giri che portano, guarda un po’, ad una lettura univoca della realtà. Quando i responsabili appartengono al potere, la fanno franca, da piazza Fontana, alla strage di Bologna, al Dc 9 abbattuto a Ustica, ai treni saltati in aria, all’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Rovatin, tutti misteri irrisolti, ma che conducono verso il potere delle Istituzioni. Quindi - Pasolini docet (sembra sia vissuto in Calabria) - sappiamo tutto ma non abbiamo prove, anzi in casi come le navi affondate con i rifiuti tossici, abbiamo anche le prove e, per paradosso anziché le

5 incriminazioni, è proprio l’impunità che svela la responsabilità dei protagonisti, ora come allora, a riprova che il potere è loro, mafia, “siur patron dalle belle brache bianche” e burocràzia, e se lo tengono ben stretto. Per noi sono solo fatti compiuti da accettare per amore o per forza; altro che democrazia!

*termine con il quale in gergo si indica il contenitore dei proventi illeciti del malaffare ** “Impero” è il titolo di un libro scritto da Tony Negri e Michael Hardt (Rizzoli editore)

6 Dalla Rosso alla Cunsky

Cronache del Mi(ni)stero.

1989- La motonave Rosso viene noleggiata dal governo italiano per andare a recuperare in Libano 9532 fusti di rifiuti tossici nocivi esportate in quel luogo illegalmente da aziende italiane. Resta in disarmo nel porto di La Spezia dal 18 gennaio 1989 al 7 dicembre 1990.

14 dicembre 1990 – ore 7.55 mayday dalla nave a 15 chilometri al largo della costa di Falerna. Alle 10 e un quarto il capitano e gli altri 15 membri dell’equipaggio vengono recuperati da due elicotteri e trasportati a Lametia Terme in ospedale per controlli. Il comandante della nave si chiama Luigi Giovanni Pestarino. La nave non affonda al largo ma viene trascinata dalla corrente verso riva. Alle ore 14 , spiaggiamento della nave ad Amantea, località Formiciche. La nave è salpata dal porto di La Spezia il 4 dicembre, scalo a Napoli, poi a Malta.

15 Dicembre 1990 – ore 5 del mattino – l’inchiesta viene affidata al GIP Fiordalisi della procura di Paola. Prima ispezione sulla nave di carabinieri e capitaneria di porto di Vibo Valentia. Nel pomeriggio visita dei Vigili del Fuoco, della Guardia di Finanza e di rappresentanti (misteriosi) della società armatrice Messina. Il comandante della capitaneria di porto di Vibo Valentia Bellantone, durante un sopralluogo, ritrova dei documenti tipo “Battaglia navale” che indicherebbero le probabili coordinate di siti in cui sarebbero state sepolte scorie radioattive. I documenti sono introdotti dalla sigla O.d.m di una società di Comerio. I documenti dopo essere stati visionati dal magistrato vengono restituiti alla società Messina.

22 Dicembre 1990. La società Messina affida alla siciliana “Offshore” e a “Calabria Navigazione” gli interventi di recupero del combustibile sparso. Operazione che, secondo i carabinieri, termina il 29 gennaio 1991.

Gennaio 1991. Archiviazione da parte del GIP Fiordalisi.

Febbraio 1991. I faldoni dell’inchiesta Jolly Rosso dal Tribunale di Paola finiscono a quello di Reggio Calabria. A seguito di una nuova archiviazione sono trasmessi alla

7 Procura di La Spezia e di Lametia Terme. Il 14 novembre del 2000 ritornano nel tribunale di Paola.

Giugno 1991. Completata la demolizione della nave. L’operazione è affidata a una società olandese esperta in questo tipo di attività che però, improvvisamente, abbandona i lavori. La demolizione passa quindi alla MOSMODE di Crotone. Di fatto, al di là delle versioni contrastanti, risulta che la Motonave Rosso navigava dopo l’abbandono dell’equipaggio e il mare non era così mosso, e che rimase a galleggiare dalle ore 10 (abbandono dell’equipaggio) fino alle ore 15.00 del 14.12.1990, momento in cui si arenò in località Formiciche di Amantea.

Giugno 1991. La società Messina riceve il premio assicurativo di 2 miliardi e mezzo di lire.

1992. Secondo il pentito Fonti avviene l’affondamento di tre navi nei mari della Calabria e della Basilicata per opera del clan Muto: la Cunski di fronte Cetraro, la Yvonne A. di fronte Melito Porto Salvo, la Voriais Sporadais di fronte Maratea. La Yvonne A. trasportava 150 bidoni di fanghi, la Cunski 120 bidoni di scorie radioattive e la Voriais Sporadais 75 bidoni di varie sostanze tossico-nocive.

20 marzo 1994. Assassinio in Somalia di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.

12 dicembre 1995. Morte misteriosa del capitano di corvetta, Natale De Grazia, dopo essere passato da Amantea. Era diretto a La Spezia.

Maggio 2005. Riapertura dell’inchiesta sulla Rosso da parte del PM Francesco Greco.

18 aprile 2007. Divieto di pesca nel mare antistante Cetraro per l’elevata presenza di arsenico, cobalto, alluminio.

Gennaio 2009. Nuova archiviazione dell’inchiesta da parte dello stesso PM Francesco Greco .

Maggio 2009. Il giudice Carpino conferma.

8 Inizio. Mia nonna Lucia, ogni santo anno, voleva che ad ogni suo onomastico andassi a Campora San Giovanni, una frazione della vicina Amantea. Mio nonno si era trasferito lì da quando lavorava per le Ferrovie dello Stato al raddoppio della linea ferroviaria. La loro casa era proprio sulla spiaggia, come tutta la località chiamata Formiciche. Alla morte del nonno, lei non volle muoversi da lì e ad ogni suo onomastico le piaceva cucinare per l’unico suo nipote, che ero io. A me piaceva andare da nonna Lucia. Mi piaceva la sua casa a pochi metri dal mare e anche se il suo onomastico ricadeva nel mese di Dicembre, quando il mare era sempre agitato e la spiaggia battuta da un vento freddo proveniente da ovest, mi recavo con piacere da lei. La mattina presto, appena mi svegliavo, con la pioggia o con il vento scendevo sulla spiaggia e facevo una lunga passeggiata quasi fino al centro di Amantea. Gli unici a farmi compagnia erano i gabbiani, che oramai quasi mi conoscevano, e mi seguivano con il loro strillare. Quando ritornavo a casa, la nonna stava già cucinando per il pranzo. Sul fuoco c’erano i pomodori per il sugo in cui, solitamente, aggiungeva la carne di capra che, invece, non metteva quando cucinava per me perché sapeva che ero vegetariano. Nel frattempo preparava i fusilli sul tavolo di legno della cucina: acqua, farina e pazienza. Guardavo le sue mani immerse nella farina, parevano fatte apposta per fare la pasta. Le sue dita sembravano l’allegria incarnata nel giocare con farina e acqua, e i fusilli si materializzavano dal nulla: un giro con il ferro da calza ed eccoli nascere, pronti per essere insugati e mangiati. Ti veniva l’acquolina in bocca solo a guardarli. La giornata del 13 era passata tranquilla, il mio piccolo Peppino non aveva fatto tanto chiasso e la nonna, stanca, alle otto di sera era già a letto. Il vento fuori era davvero forte e il caminetto, unica fonte di riscaldamento di tutta la casa, non riusciva a scaldare tutto il salone, dove mi ero rifugiato. L’unica via di fuga al freddo restavano i letti ed i nostri abbracci, così io e la mia compagna preferimmo il letto alla TV, lasciando il piccolo addormentato sul divano. La tempesta durò tutta la notte. Sentivamo il mare quasi vicino al terrazzo, gli schizzi delle onde che s’infrangevano sui balconi e i vetri che tremavano a ogni onda. Non dormimmo bene quella notte. Mi svegliavo in continuazione e i miei pensieri andavano a quanto stava succedendo a Scalea in una piccola contrada chiamata Sant’Angelo. I carabinieri, fermando per caso un Tir sulla statale 18, scoprirono che era diretto in una fornace abbandonata al confine fra Scalea e Santa Domenica Talao. A seguito di controlli più accurati ritrovarono, all’interno del TIR, rifiuti di natura ospedaliera che dovevano essere nascosti e poi bruciati nella vecchia fornace di proprietà di un mafioso della zona. Come ambientalisti ci mobilitammo subito e organizzammo, con i cittadini della zona, manifestazioni e blocchi stradali fino al sequestro definitivo della fornace ed alla sua bonifica completa. La magistratura, a seguito di serrate indagini, arrestò otto persone fra le quali anche un funzionario della regione che aveva procurato i permessi per tale scarico. Ricevetti minacce telefoniche e anche la bacheca del gruppo ambientalista del quale ero dirigente venne bruciata. La

9 storia si era conclusa da poco, ma aveva lasciato nella zona uno strascico di paure e timori, e cioè che la nostra zona fosse stata scelta dalla ‘ndrangheta per portarvi materiale tossico. Questi pensieri non mi abbandonarono per tutta la notte e solo verso l’alba riuscii ad addormentarmi. La mattina il cielo era terso, il vento aveva spazzato via tutte le nuvole. Non pioveva, ma il freddo era forte. Con tutta la famigliola mi recai sulla spiaggia. Ci divertiva raccogliere pezzi di legno lavorati dalle onde. Quel giorno trovammo un bel legno a forma di serpente, un altro a forma di pipa, poi l’attenzione venne attirata da una nave in mare. Il primo ad accorgersene fu Peppino: “Guarda papi’, guarda com’è bella e grande…”. Sì, era davvero una nave grande, si vedeva a occhio nudo, e si capiva che non era assolutamente governata. Girava su stessa, lentamente, dirigendosi proprio verso di noi. La forma di quel gigante rosso diventava sempre più grande man mano che si avvicinava alla riva. Intanto, altra gente si era accorta della nave e si era precipitata sulla spiaggia.

“Dall’accampamento dei Filistei uscì un campione, chiamato Golia, di Gat; era alto sei cubiti e un palmo. Aveva in testa un elmo di bronzo ed era rivestito di una corazza a piastre, il cui peso era di cinquemila sicli di bronzo. Portava alle gambe schinieri di bronzo e un giavellotto di bronzo tra le spalle. L'asta della sua lancia era come un subbio di tessitori e la lama dell’asta pesava seicento sicli di ferro; davanti a lui avanzava il suo scudiero”.

Quella nave era proprio come il Golia descritto nella Bibbia. E noi davanti a lei, che diventava sempre più grande, dei tanti piccoli Davide. Era mezzogiorno del 14 dicembre, vedemmo arrivare qualche auto della capitaneria di porto e altre, strane, con targhe americane, che si posizionarono lungo la strada, vicino la spiaggia. Arrivò l’ora di andare a mangiare, erano le 13.00. Anche nonna Lucia era scesa sulla spiaggia: “A mangià, guagliù”. I fusilli furono posti al centro della tavola. Con mani sapienti nonna Lucia servì prima me, poi la mia compagna poi, alla fine, il piccolo Peppino e se stessa. A tavola non facevamo altro che parlare di questa nave, e mentre mangiavamo, ogni tanto, quasi a turno, ci affacciavamo dal balcone per vedere dove fosse arrivata. Alle 13 e trenta la nave era proprio davanti alla nostra casa. La sentimmo urlare quasi fosse viva, il vento sferzava forte sulla nave e il sibilo giungeva fino a noi. Quando si arenò sulla spiaggia, si mosse nella nostra direzione. La forza della nave sospinta dalle onde era spaventosa, ma dopo pochi metri si fermò completamente, piegandosi con un lato verso il mare. Uscimmo dalla casa quasi terrorizzati dalla vista del mostro. Un mostro rosso che ora stava zitto. Adesso si leggeva bene la scritta sulla fiancata: Rosso. Restammo imbambolati , Peppino non parlava più e si stringeva alla

10 mia gamba. Altra gente accorse vicino a noi urlando per lo stupore di essere lì davanti a quel mostro. Qualcuno tra noi spontaneamente, urlò: “Chiamiamo i vigili, i carabinieri”. Pensavamo che all’interno qualcuno potesse avere bisogno di aiuto e cercammo di capire se ci fossero movimenti all’interno della nave. Guardammo verso l’alto nella speranza di vedere qualcuno affacciarsi, buttare delle corde per poter scendere, salvarsi da qualcosa. Dapprima pensammo a un incendio, ma non vedevamo uscire fumo da nessuna parte; poi a una falla ma, almeno dalla nostra parte, non si vedevano squarci. Cominciammo a gridare: “Capitano, capitano… ehi della nave… ci siete… serve aiuto?”. Erano le 14,30 e ancora non era arrivato nessuno. Nessun vigile, nessun carabiniere. La folla, invece, si era fatta grossa. La nonna, impaurita, urlava verso di noi di allontanarci: “ jativinnì da llà”. Lo gridava senza sapere perché. D’altra parte, cosa poteva esserci di pericoloso? La nave oramai era ferma lì, inclinata verso il mare con le sue tonnellate e tonnellate di ferro. Anche se si rovesciasse, lo farebbe dalla parte del mare e non verso di noi. Arrivarono anche dei bambini accompagnati dai genitori. Giocavano salterellando felici nel vedere l’enorme nave ferma lì, immobile, come se fosse stato un enorme mostro transformer che, da un momento all’altro, si sarebbe potuto alzare e mettere in moto con passo da robot. Al tramonto ci allontanammo tutti per tornare alle nostre case mentre la nave, il grande Golia, restò lì ferma nella sua solitudine e nel silenzio della sera. Il rimbombare del rumore dei camion, improvvisamente, entrò violento nella nostra casa proprio mentre il telegiornale delle venti parlava del naufragio della nave. Che strana sensazione fu quella di vedere in Tv una notizia che stava proprio davanti a noi! E mentre la TV parlava del disastro navale, i camion cominciavano ad andare avanti e indietro. La nonna non ci fece uscire da casa, conosceva bene le persone di quella ditta. Aveva sentito parlare di loro, sapeva perfettamente chi erano: gente pericolosa. Gente dei clan di Amantea, di Cetraro, di San Lucido. Nessuno osò aprire le finestre, uscire per strada. Nessuno ebbe il coraggio nemmeno di telefonare ai carabinieri. Può anche darsi che qualcuno lo fece ma dall’altra parte del cavo nessuno rispose. “É gente pericolosa” disse la nonna e poi, con la prudenza di chi conosce le cose calabresi, spense anche la luce della stanza che aveva la vista sul mare. I camion si sentirono per tutta la notte, poi, all’alba, arrivarono i nostri. Erano le sette del mattino del 14 dicembre, la notte di santa Lucia era passata, e ora c’erano tutti: vigili, capitaneria di porto, carabinieri, qualche autorità. La gente aprì le finestre, i balconi, uscì per strada, si avvicinò di nuovo alla nave mentre operai del comune transennavano la spiaggia attorno alla nave. Lì potevano ben vedersi le tracce delle gomme dei camion che per tutta la notte avevano fatto da spola fra il gigante Golia e la vicina Valle dell’Olivo. È qui che i camion, come si è saputo in seguito, vennero dirottati. È qui che portarono

11 quello che vi era nel gigante. È qui che oggi ancora si cerca la verità. Fine della storia.

Sono passati diciannove anni da quella notte. La spiaggia è ancora lì, quasi tutta intera. Le case sono le stesse. Mia nonna non c’è più. Il mare è sempre lo stesso, così come la gente che vi abita di fronte. E ancora oggi si parla di nuovo delle navi. Se ne parla come se fossero una maledizione ciclica.

FOTO FORMICICHE LUOGO NAVE FOTO INEDITE DI Maurizio Barone

13 settembre 2009. La bomba è arrivata. Lo scrivevo da anni, come Cassandra inascoltata. Lo scrissi anche in un precedente libro: “Guida vera alla sopravvivenza in Calabria”. La nave Cunsky è stata trovata adagiata sul fondo del mare di Cetraro, affondata lì dai mafiosi della cosca Muto, secondo il racconto del pentito Fonti. Attraverso il quotidiano “Il Domani”, propongo ai quattro direttori dei quotidiani calabresi di uscire lo stesso giorno con un titolo identico, tipo la frase che Peppino Impastato ripeteva ogni giorno dalla sua radio: “La mafia è una montagna di merda”. Perché la gente lo deve sapere: i bambini, i giovani, gli stessi delinquenti che orbitano attorno a questi presunti boss, presi dalla fascinazione del capo, del rispetto, dell’onore. Parole che non hanno alcun senso di fronte a quanto questi personaggi hanno compiuto contro tutta la popolazione del Tirreno e della Calabria, comprese le loro stesse famiglie. Il boss Muto è in ospedale in questi giorni. Fa la spola tra la sua abitazione e un importante centro di riabilitazione fisioterapico del Tirreno. Non so come abbia preso la notizia dell’affondamento della nave Cunsky di fronte al suo mare di Cetraro, alla sua 12 abitazione, alle sue pescherie. Un’accusa infamante, che mette in discussione la sua onorabilità, se mai ne abbia posseduta una. Ma questa è un’accusa certamente superiore a quelle avute in precedenza (estorsione, associazione a delinquere e omicidi vari) che gli sono costate anni di carcere, ma anche diverse assoluzioni. Qui oggi si tratta di un omicidio di massa, di sterminio di una popolazione intera, di donne, bambini, anziani e attività imprenditoriali e commerciali; che coinvolge tutta la costa tirrenica e l’intera Calabria. Bisogna rendere pubblico tutto questo. L’affondamento della Cunsky ha dei responsabili precisi, così come lo spiaggiamento e affossamento della Jolly Rosso. Non dimentichiamo che, così com’è giusto giungere al ritrovamento e alla bonifica dei siti inquinati, così è giusto scoprire chi siano stati i colpevoli di tali atti criminosi. Le cose devono camminare insieme. Di questi argomenti si è parlato domenica scorsa ad Aiello Calabro in un dibattito organizzato dalla CGIL di Amantea con Salvatore Genco, dal Comitato De Grazia con Alfonso Lorelli e Gianfranco Posa e dal Movimento Ambientalista del Tirreno. Un dibattito introdotto e condotto da Pino Bruno, giornalista e blogger il quale, insieme a Gianfranco Posa, tiene viva da anni l’attenzione sulla Jolly Rosso e i rifiuti tossici sepolti lungo il fiume Olivo. Gli interventi si sono basati sulla questione della Jolly Rosso e sui suoi rifiuti interrati tra Serra d’Aiello e Aiello Calabro. Diverse le testimonianze ascoltate da parte di cittadini che hanno raccontato episodi terribili di morti sospette per tumore, di operai che hanno lavorato allo smantellamento della nave a Campora San Giovanni, di camionisti trasportatori di rifiuti, di altri rifiuti interrati nella zona di Cleto, paesino poco distante da Aiello Calabro. Tutto questo a riprova del fatto che se la gente riprende fiducia nelle indagini comincia a parlare e a collaborare. Cosa che, forse, non hanno ben capito i sindaci di Aiello e Serra d’Aiello i quali, nei loro interventi, danno un colpo al cerchio e uno alla botte: dicono di voler conoscere la verità sulle navi dei veleni, ma nel contempo accusano di terrorismo le persone che coraggiosamente dicono e cercano la verità da decenni. Resta il dato incontrovertibile delle morti per tumore, a decine, forse centinaia, fra decessi, ricoveri e cure mediche. Un’ecatombe in una zona dove non esistono, né sono mai esistite, fabbriche inquinanti e dove adesso si ha paura a mangiare pesce, frutta o verdura coltivata in quella vallata maledetta. La proposta, venuta fuori da diversi interventi e fatta propria dagli esponenti del Comitato De Grazia, è stata quella di dichiarare lo stato di emergenza in tutta l’area. É come se ci fosse stato un terremoto, un’alluvione, una frana di enormi proporzioni - ripetono gli ambientalisti. I morti ci sono, così come le paure e i timori per un futuro incerto. Che lo Stato intervenga allora, non solo per individuare i responsabili di questo crimine e bonificare l’area e il mare, ma anche per risarcire tutti coloro i quali hanno subito un danno economico rilevante, soprattutto sulla salute. Di salute ha parlato, in un comunicato letto da Pino Bruno, Piero Piersante, Segretario Regionale CGIL FP Medici. Parole forti e chiare le sue: “La magistratura inquirente, ancora una volta, è costretta a riempire il vuoto lasciato da altre istituzioni – scrive Piersante - Ordina analisi e consulenze, ottiene in uso

13 costose apparecchiature elettroniche, richiede fondi per eseguire prospezioni del terreno, aprendo così la porta al finanziamento della bonifica del sito. Pur ammirando il coraggio e la lungimiranza di questa Procura, e nel rispetto della sua autonomia d’iniziativa, credo che sia lecito chiedersi se fare tutto questo spettasse ad essa piuttosto che ad altri. Esiste dagli anni ’80, almeno sulla carta, un osservatorio epidemiologico della Regione Calabria, ma i dati diffusi in questi giorni sull’aumento della frequenza di patologie tumorali nei comuni limitrofi all’area, non provengono da esso e non sono il risultato di un monitoraggio continuo nel tempo, come tutti siamo indotti a credere. Quei dati sono il frutto di una ricerca specifica, affidata ad un consulente della Procura, anche se si tratta di un epidemiologo della stessa Regione, tanto è vero che non sono resi pubblici. Esiste, poi, da cinque anni, la proposta di istituire presso l’ARPACAL, in collaborazione con la Regione, un osservatorio di epidemiologia ambientale, per studiare le associazioni tra i fattori di pressione ambientale e la salute e per farsi carico della comunicazione del rischio alla popolazione. Ma tale proposta non è mai stata presa in considerazione dai Direttori Generali che si sono succeduti alla guida dell’Agenzia per l’Ambiente. Anche se, improvvisamente e proprio in questo mese di agosto, è stato bandito un concorso per dare un incarico di direzione in questo campo all’esterno dell’Agenzia, senza tenere conto delle professionalità esistenti all’interno (ma questa è un’altra storia, di cui il sindacato dovrà presto chiedere conto). Sappiamo che l’ARPACAL, attraverso i suoi laboratori, ha segnalato la presenza di metalli pesanti e polvere di marmo, estranei alle lavorazioni e ai prodotti locali, lungo il corso del fiume. La notizia è stata riportata dalla stampa, altrimenti non sarei autorizzato a diffondere il dato, pur essendo un dirigente dell’Agenzia. Anche in questo caso si è trattato di ricerche effettuate su richiesta specifica della Procura, alle quali non sono seguite altre indagini ordinarie, promosse dagli Enti locali o dai Servizi di Igiene pubblica del Servizio sanitario, per approfondire questi risultati e per stabilire se la contaminazione poteva essere stata trascinata a valle e interessare le produzioni agricole della zona, attraverso il suolo o le falde acquifere”.

Un dato su tutto è certo: la gente ha fame di sapere. Lo dimostra il fatto che nella Piazza Plebiscito di Aiello, piena all’inverosimile, nessuno si è mosso per tre ore aspettando la fine del dibattito. Il prossimo appuntamento è fissato a San Pietro di Amantea il 18 settembre alle ore 17.00. A convocare l’incontro in un consiglio comunale aperto è stato il sindaco, che ha chiamato a raccolta tutti i sindaci del comprensorio, le autorità e istituzioni provinciali, regionali e nazionali interessate.

14 settembre 2009. L’assessore all’ambiente Greco diffonde i video e le foto della nave. Al suo interno sono visibili fusti sospetti.

14 15 settembre 2009. Il governo tace, nonostante le sollecitazioni della Regione.

16 settembre 2009. È “jollyrossite”, tutti adesso si accorgono della Jolly Rosso. Le interrogazioni parlamentari fioccano a ogni livello: Provincia di Cosenza, Regione, fino alla povera Ministra Prestigiacomo che di ambiente non ne sa un’acca, figuriamoci se può capire di un argomento così complesso come quello sulle navi fantasma e rifiuti tossici! Le notizie rimbalzano da un quotidiano all’altro, spesso spacciando notizie vecchie per nuove, tutte a dimostrare come la Jolly Rosso resti un mistero che non si vuole svelare. Mi chiedo: ma se si sa tutto, perché non si interviene dove si deve intervenire? Se si conoscono i luoghi dove è stato sepolto materiale tossico o meno, perché non si inizia una bonifica seria e totale, ripeto totale, per far sì che le voci timorose di una pandemia radioattiva si plachino? Gettare le notizie sul fuoco così a vanvera crea solo panico fra la popolazione e nessun approccio razionale alla questione. La Regione ancora non ha dato alcuna risposta al problema, anzi, l’assessore Silvio Greco ha passato la palla al Governo centrale dichiarando che la Regione non dispone, per il tipo d’inquinamento paventato, dei mezzi necessari per intervenire nonostante abbia messo in moto tutte le reti di conoscenza dell’Arpacal. Servono soldi. Questo è il solo dato certo di tutta la questione jolly Rosso. Soldi per avviare ricerche serie, terminare quelle iniziate e lasciate a metà, iniziare a scavare dove si è certi che vi siano stati sepolti rifiuti provenienti dalla nave. Per esempio, si potrebbe iniziare a scavare in località Grassullo e Foresta, discariche già avviate dai comuni di Amantea e Serra d’Aiello nel 1990. È certificato da testimonianze in possesso della Procura di Paola che i camion di rifiuti provenienti dalla Rosso furono scortati in queste zone sia dalla polizia sia dai vigili urbani. Quindi, diciamo che questi erano scarichi ufficiali, controllati, ai quali, però - ed anche questo è certo - si sono accompagnati viaggi notturni di camion stracarichi di altri rifiuti, sempre provenienti dalla nave. Qui si potrebbe già iniziare una grossa bonifica, in attesa di individuare i luoghi dove sono sotterrati i rifiuti tossici o radioattivi. Ci sono anche delle aree lungo il fiume Olivo già sequestrate da qualche anno. Che si inizi da lì. La regione potrebbe già destinare fondi per iniziare queste bonifiche affidando i lavori a personale serio che sappia cosa fare e, soprattutto, cosa trovare. Personale possibilmente non calabrese, non collegato a cosche del Tirreno che hanno tutto l’interesse a che non si trovi niente. Quando si parla di Rosso spesso non si parla delle cosche mafiose che ne hanno controllato il percorso. Per esempio, ancora non si è pensato di interrogare quei pentiti della ‘ndrangheta cosentina che potrebbero rivelare qualcosa in proposito. Ma la Regione adesso è in campagna elettorale, ha destinato milioni di euro a sagre e sagrette di tutti i tipi, a feste e festicelle, il che, in una situazione ambientale grave come quella che sta attraversando la Calabria, dimostra solo quanto siamo caduti in basso. E quando parliamo di disastri ambientali non parliamo solo della Rosso e delle navi affondate in tutta la Calabria, ma anche della Pertusola di Crotone, dei rifiuti tossici sotterrati nella Sibaritide, di quelli usati per costruire case e scuole; parliamo delle tante discariche

15 abbandonate che aspettavano bonifiche mai arrivate o, se fatte, servite solo per rubare soldi pubblici. Insomma, ora la Rosso tiene banco, e tutti cavalcano la notizia. Passano invece quasi inosservate, e cioè non sbattute in prima pagina, le dichiarazioni del vice sindaco di Longobardi Aurelio Garritano: “ Solo ora molti politici e amministratori sembrano svegliarsi dal letargo – scrive il vice sindaco - perché quando il sottoscritto si oppose alla richiesta del PM di archiviazione del procedimento penale sulla Jolly Rosso nessuno intese fare allo stesso modo. Ho sempre pensato che bisognava indagare e sostenere le indagini della magistratura senza tentennamenti. In fondo non mi è mai interessato tanto se il naufragio della Jolly Rosso fosse stato doloso o meno, quanto la salute di noi tutti e dei nostri figli. A noi premeva e preme far luce sulla questione inquinamento del territorio, o anche sull’ipotesi di trasporti di materiali pericolosi, o ancora far luce su tutti i dubbi, i gravi indizi e i lati oscuri dell’intera vicenda. Alla luce di quanto sopra è impensabile che gli autori di un simile disastro ambientale rimangano impuniti e che a pagarne il fio possano essere le nostre popolazioni, le quali continueranno a vivere in un’area sulla quale gravano fortissime possibilità che sia inquinata da sostanze pericolose. Si confida pertanto nel prosieguo dell’accertamento delle responsabilità per inquinamento ambientale”. L’opposizione all’archiviazione dell’indagine Jolly Rosso fu presentata dal vice sindaco Garritano il 30 gennaio 2009. Insieme a lui solo la Legambiente con un’opposizione firmata dall’avvocato Rodolfo Ambrosio del foro di Cosenza. Poi il vuoto assoluto da parte di politici, partiti, associazioni, istituzioni provinciali e regionali. Ed ora si parla di altre navi affondate nel Tirreno. Colgo un’imprecisione letta su un quotidiano regionale: cioè che la Marina Militare, interpellata dalla Procura di Paola, sembra escludere che nel Tirreno vi siano altre navi belliche affondate; e pure il fatto che in quell’area non ci siano mai state ricerche. Invece, proprio un anno fa, delle ricerche sono state fatte. Intanto, ecco l’elenco delle navi da guerra affondate: 1 la nave Cagliari, affondata fra Diamante e Cetraro il 6 maggio del ‘41 dal sommergibile Taku, con una stazza di 2322 tonnellate; 2 la nave Federico C., affondata nella stessa zona il 28 luglio del ’41 dal sommergibile UTMOST, di 1467 tonnellate; 3 la nave Vittoria Beraldo, di 547 tonnellate, affondata l’11 gennaio del ‘43 dal sommergibile Turbulent; 4 la nave Bologna di 5140 tonnellate affondata dal sommergibile Unbroken; 5 la nave Henry Desprez di 9805 tonnellate, la più grande essendo una petroliera, affondata il 3 giugno del ‘43 tra San Lucido e Paola; 6 la nave Lillois, conosciuta dai sub perché davanti alla foce del fiume Lao, di 3680 tonnellate, affondata dal sommergibile Torbay. In più, vi sono due navi della Prima guerra mondiale, la Umballa e la Lumaria, affondate tra l’Isola di Dino e Praia a Mare. Quindi ne esistono altre nei nostri fondali e il sospetto è che le navi tossiche siano state

16 affondate in questa zona proprio per depistare eventuali ricerche. É possibile che la Marina Militare non conosca questi affondamenti ?

Ed ecco le dichiarazioni fatte dal pentito Fonti alla DDA di Catanzaro.

«Io stesso mi sono occupato di affondare navi cariche di rifiuti tossici e radioattivi. Nel settore avevo stretto rapporti nei primi anni Ottanta con la grande società di navigazione privata “Ignazio Messina”, di cui avevo incontrato un emissario con il boss Paolo De Stefano di Reggio Calabria. Ci siamo visti in una pasticceria del viale San Martino a Messina, dove abbiamo parlato della disponibilità di fornire alla famiglia di navi per eventuali traffici illeciti. Fu assicurato che non ci sarebbero stati problemi, e infatti in seguito è successo. Per la precisione nel 1992, quando nell'arco di un paio di settimane abbiamo affondato tre navi indicate dalla società Messina. Nell’ordine: la Yvonne A, la Cunski e la Voriais Sporadais. La “Ignazio Messina” contattò la famiglia di San Luca e si accordò con Giuseppe Giorgi alla metà di ottobre. Giorgi venne a trovarmi a Milano, dove abitavo in quel periodo, e ci vedemmo al bar New Mexico di Corso Buenos Aires per organizzare l’operazione per tutte le navi. La Yvonne A, ci disse la “Ignazio Messina”, trasportava 150 bidoni di fanghi, la Cunski 120 bidoni di scorie radioattive e la Voriais Sporadais 75 bidoni di varie sostanze tossico-nocive. Ci informò pure che le imbarcazioni erano tutte al largo della costa calabrese in corrispondenza di Cetraro, provincia di Cosenza. Io e Giorgi andammo a Cetraro e prendemmo accordi con un esponente della famiglia di ‘ndrangheta Muto, al quale chiedemmo manodopera. Ci mettemmo in contatto con i capitani delle navi tramite baracchino e demmo disposizione a ciascuno di essi di muoversi nell'arco di una quindicina di giorni. La Yvonne A andò per prima al largo di Maratea, la Cunski si spostò poi in acque internazionali in corrispondenza di Cetraro e la Voriais Sporadais la inviammo per ultima al largo di Genzano. Poi facemmo partire tre pescherecci forniti dalla famiglia Muto e ognuno di questi raggiunse le tre navi per piazzare candelotti di dinamite e farle affondare, caricando gli equipaggi per portarli a riva. Gli uomini recuperati» - si legge nel memoriale - «sono stati messi su treni in direzione nord Italia. Finito tutto, io tornai a Milano, mentre Giuseppe Giorni andò a prendere dalla “Ignazio Messina” i 150 milioni di lire per nave che erano stati concordati. So per certo che molti altri affondamenti avvennero in quel periodo, almeno una trentina, organizzati da altre famiglie, ma non me ne occupai in prima persona.».

Certo è che, a mio avviso, bisogna prendere sempre con le pinze le dichiarazioni di un pentito, spesso finalizzate a ottenere benefici da una legge fatta male, che non offre alcuna garanzia per le persone messe in mezzo dalle loro dichiarazioni. Ma se le parole dei pentiti valgono per i boss della mafia, per i politici, per i terroristi, devono valere anche per casi come questi. I giornali riportano oggi delle ricerche della Cunsky. Ma queste ricerche sono state già fatte dal Pm Francesco Greco tra l’ottobre e il dicembre

17 del 2008, e pare siano state sospese per il maltempo e poi mai più riprese per mancanza di fondi. Una prima verifica era stata fatta nel 2006 dalla società di ricerche marine “Blue Teak”. In quell’occasione un relitto era stato individuato nei fondali davanti a Cetraro e, con sofisticati strumenti, si stabilì che misurava circa 100 metri di lunghezza e 20 di larghezza. La cosa sconcertante è che attorno ad esso, nel raggio di 300 metri, risultava una forte macchia scura, come se la nave fosse esplosa al contatto con il fondale e fossero uscite sostanze radioattive o comunque capaci di lasciare quel tipo di segni. Parliamo di 400 metri di profondità, dove la pressione è molto forte e capace di stabilizzare sostante pesanti. D’altra parte è bene ricordare che in quella zona, con un’ordinanza del 10 aprile del 2007, la Capitaneria di Porto di Cetraro vietò la pesca scrivendo testualmente che:

“ VISTA la nota prot. n° 04.02.6748 del 10.04.2007 con la quale la Direziona Marittima – 5° C.C.A.P. di Reggio Calabria ha fatto pervenire la comunicazione della Procura della Repubblica di Paola relativa ai risultati di campionamenti di sedimenti marini a profondità compresa tra i 370 metri e i 450 metri nelle acque antistanti i Comuni di Belvedere M.mo (CS) e di Cetraro (CS) nelle zone di mare indicate nell’articolo 1 della presente ordinanza; VISTI i risultati delle predette analisi che hanno evidenziato il superamento del valore di concentrazione soglia di contaminazione (CSC) nei predetti sedimenti marini, relativamente all’arsenico (area 1 e 2) e al cobalto (area 2), nonché un valore molto alto per l’alluminio e valori del cromo.”

Qualcosa, quindi, doveva essere successo. Le altre ricerche avvennero con una nave capace di visualizzare meglio i fondali, prendere campioni di sostanze e, soprattutto, fotografare. La “Universitatis”, del tipo SPS da ricerca oceanografica, avrebbe effettuato le ricerche fino al 13 dicembre nel mare di Cetraro. Una nave e una società con le carte in regola per fare le cose come si deve e portare risultati concreti, ma non si sa nulla di questi risultati. Si sa solo che le ricerche terminarono il 13 dicembre e, se i numeri hanno un senso nella vita degli uomini, il 13 dicembre - vale la pena di ricordare - è il giorno nel quale misteriosamente morì il comandante di vascello Natale De Grazia.

18 Era il 1995 e il comandante era diventato un punto di riferimento importante per le indagini in corso su una lunga serie di navi sparite nel nulla nel Mediterraneo. De Grazia era diventato un esperto e conosceva fatti, persone, luoghi degli affondamenti. Aveva contatti con centinaia di persone e, soprattutto, conosceva testimoni che aveva rintracciato come un cane da tartufo. Gli ultimi di cui si era occupato erano quelli riguardanti proprio la Jolly Rosso. De Grazia era passato da Amantea e aveva parlato con qualcuno, poi stava proseguendo per Massa Marittima e La Spezia. Il giorno prima, il 12 dicembre, aveva parlato con il procuratore di Potenza, Nicola Pace, che conduceva un’inchiesta sui rifiuti tossici sotterrati in Basilicata, traffico nel quale era coinvolta la ‘ndrangheta calabrese e che coincideva con quelli sui rifiuti tossici nelle navi scomparse. Nella telefonata De Grazia dice a Nicola Pace di essere riuscito a individuare il punto esatto dove era affondata la nave Rigel. Rimasero d’accordo che al ritorno da La Spezia ci sarebbero andati con una motovedetta della capitaneria di Porto. L’inchiesta di De Grazia si ferma misteriosamente in un autogrill di Nocera Inferiore. Misteriosamente perché De Grazia non ha mai avuto problemi di cuore, ed è invece così che muore in quell’autogrill: infarto, diranno. In tal modo esce di scena De Grazia, con una medaglia d’oro alla memoria datagli dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi. Insomma, meno clamori e più fatti: è questo che la gente semplice chiede, ciò che serve oggi dopo tre archiviazioni, investigatori ammazzati e depistaggi vari.

17 settembre 2009. Lo hanno detto i militanti ambientalisti e i rappresentanti del Comitato De Grazia di Amantea nella prima assemblea popolare tenutasi ad Aiello Calabro domenica scorsa: i sindaci parlano, si preoccupano, si spaventano, tranquillizzano, ma niente, fino ad ora, nei fatti. Vedremo venerdì sera cosa ne uscirà fuori dall’assise dei sindaci della costa, convocati a San Pietro d’Amantea dal sindaco del paese.

19 Dichiarare lo stato di emergenza servirebbe a tranquillizzare tutti quelli che hanno subito e subiranno danni: i contadini della valle dell’Olivo, i pescatori, i commercianti, insomma, tutti coloro che da questa enorme campagna di stampa ne usciranno senz’altro danneggiati. Chi li indennizzerà se non lo Stato? Questa storia ha prodotto morti prima di tutto, ma anche molte diffidenze verso il pescato, la frutta, la verdura, la stagione turistica. É come un terremoto, un’alluvione, un’enorme frana. La legge 24 febbraio 1992 n.225 prevede questo tipo di calamità e quindi anche gli indennizzi. Devono essere i sindaci per primi a chiedere lo stato d’emergenza, e lo devono fare se vogliono uscire dalle chiacchiere e dall’attesa che sia la regione o il governo a prendere decisioni che, nel tempo, potrebbero sfumare in un nulla. Poi deve essere il Governo a promulgarlo. I passaggi sono questi e non sembra esserci la volontà di questa assunzione di responsabilità, né da parte dei sindaci, né del governo. La gente ha voglia di verità, ma soprattutto di serenità su cosa fare, se mangiare il nostro pesce, la nostra verdura, se può fare un bagno senza diventare radioattivi. Per troppo tempo si è gettata acqua sul fuoco su questo problema e ora tutti quelli che si sono messi in corsa e attivati con interrogazioni parlamentari e appelli, dovrebbero almeno chiedere scusa a tutti coloro che hanno cercato per decenni di tenere viva l’attenzione, passando per terroristi o scalmanati alla ricerca di scoop. L’ultima dichiarazione a proposito giunge dall’esponente del PD Marco Minniti che in un quotidiano regionale, anticipato dall’ANSA, chiede verità e lumi al governo, dimenticando di essere stato egli stesso al governo con una funzione importante quale vice ministro. Lo stesso Minniti avrebbe potuto fare molto in quella situazione, prima come calabrese, poi come esponente istituzionale, anche perché esisteva già il rapporto fatto dalla “Commissione bicamerale sui rifiuti” ed esistevano una serie di interrogazioni parlamentari sulla Rosso, fatte da stessi esponenti del governo Prodi. Come, per esempio, l’interrogazione parlamentare presentata dall’on. Francesco Caruso, suo alleato di governo, il giovedì 31 maggio 2007 nella seduta n.162 rivolta al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Nell’interrogazione l’on. Caruso riprendeva la famosa ordinanza della capitaneria di porto di Cetraro del 18 aprile del 2007. Premesso che: in data 18 aprile 2007, il Capo del Circondario Marittimo e Comandante del Porto di Cetraro emetteva l'ordinanza n. 03 del 2007, con la quale a seguito dei risultati di alcune analisi che hanno evidenziato il superamento del valore di concentrazione soglia di contaminazione (CSC) nei sedimenti marini compresi tra Belvedere Marittimo (Cosenza) e Cetraro (Cosenza), relativamente all'arsenico (area 1 e 2) e al cobalto (area 2), nonché un valore molto alto per l'alluminio e valori del cromo di attenzione nelle aree 1 e 2, ha ordinato il divieto dell'attività di pesca a strascico nell'area sopracitata – chiedeva: 1 quale sia l'effettiva pericolosità della presenza di metalli pesanti individuati nell'ordinanza della capitaneria di Porto, in quei tratti di mare dove la balneazione è altissima e investe in soli due mesi circa due milioni di persone;

20 2 se non ritenga opportuno, data la scarsità di controlli in quelle aree specifiche, di un blocco di tutta la pesca in un raggio di mare che comprenda i tratti individuati come inquinati e pericolosi; 3 se non ritenga opportuno dichiarare lo stato di calamità e rimborsare per il fermo pesca tutti i pescatori della costa tirrenica; 4 per quale motivo ancora non si è provveduto a una bonifica radicale delle aree nella costa tirrenica con rifiuti considerati tossici, quali quelle di Serra d'Aiello e di Campora San Giovanni, con rifiuti provenienti dalla Jolly Rosso spiaggiata nel 1990 sulla costa di Formiciche, e il sito di Costapisola in Scalea dove ancora in una vasca esistono rifiuti speciali provenienti da una discarica di compostaggio di materiale di macellazione. (4-03826) .

Questa interrogazione non ha mai avuto risposta dal Governo Prodi e, molto probabilmente, il prode Minniti neanche l’avrà letta. Restano i misteri sull’ordinanza della capitaneria di porto, prima emanata in sordina, ma comunicata a tutti i proprietari di pescherecci, e poi ritirata senza alcuna ulteriore spiegazione. Lo stesso vale per i fratelli Gentile. Quando al governo regionale c’era Chiaravalloti e al governo nazionale Berlusconi, anche loro da calabresi ed esponenti istituzionali avrebbero potuto accendere la fiamma sulla Rosso, invece si sono avuti solo ripetuti silenzi, omissioni, spesso veri e propri affossamenti. Per esempio, la Regione Calabria per ben due volte non inserì le località Foresta e Grassullo nella lista dei siti da bonificare. I rappresentanti del “Comitato De Grazia” di Amantea si recarono nel 2005 alla regione ricevuti da Luigi Fedele, presidente del Consiglio regionale, e dall’assessore all’ambiente Domenico Basile, della Giunta di centrodestra, Chiaravalloti. Entrambi promisero, promisero e poi, alla realtà dei fatti, i siti non vennero inseriti nella lista. Identica cosa fece l’ex assessore all’ambiente Tommasi dell’attuale giunta Loiero, anzi, fece di più. Non solo non inserì i siti nei piani della bonifica, ma attaccò duramente gli ambientalisti attraverso la Gazzetta del Sud del 9 marzo del 2008 negando l’esistenza di una problematica legata alla Rosso: “Ci sorprende la veemenza dell’ambientalista Cirillo - dichiarò l’ex assessore Tommasi – che continua a mescolare argomenti e situazioni, settori e competenze, responsabilità e ruoli, in nome di quel tutto indistinto in cui è più agevole muoversi per creare allarmismo e offuscare la realtà. Per quanto riguarda la Jolly Rosso –prosegue Tommasi – stante le indagini, non è stato individuato alcun sito che possa presumersi essere stato utilizzato per il deposito di rifiuti radioattivi. Invitiamo Cirillo in caso contrario, per percezione diretta o indiretta di informarne tempestivamente le autorità preposte che, compresa l’Arpacal, saranno ben liete di intervenire immediatamente”. L’assessore, quindi, non sapeva niente né si è premunito di sapere, delegando a un cittadino, in questo caso il sottoscritto, a informarne le autorità competenti. Lui stesso evidentemente in qualità di assessore all’ambiente non si sentiva “autorità competente”.

18 settembre 2009. La vedova De Grazia chiede verità sulla morte del marito.

21 18 settembre 2009. Stiamo attenti adesso. Mai fidarsi di un pentito e ancora di più di uno come Francesco Fonti, che ne ha combinate di cotte e di crude tirando spesso in ballo gente innocente. Ora, va bene, ha fatto individuare una nave, molto probabilmente la Cunsky, e tra poco indicherà anche le altre due al largo di Maratea e di Melito. Ma detto questo, si chiude un capitolo. Adesso sta alle forze di governo e alle istituzioni far sì che il tutto non si risolva in una bolla di sapone. Già si sentono echi di minimizzazione del problema. Non sono molto convinto che si vada fino in fondo, perché dopo le grandi prime pagine già qualcuno e qualcosa cominciano a passare in secondo piano. In primo luogo, dal Ministero della Marina non arrivano notizie rassicuranti riguardo alle richiese fatte dal Procuratore capo Bruno Giordano, il quale chiede di intervenire per recuperare almeno un bidone all’interno della nave. Un solo bidone che possa svelare una volta per tutte cosa contenga la nave intera. La Marina militare non ha i mezzi necessari per questo tipo di operazioni - così rispondono. Allora, se non li ha la Marina Militare, chi li ha questi mezzi? Sembrerebbe nessuno. Bisognerebbe rivolgersi a ditte private di recupero e questo vorrebbe dire un grande dispiegamento di risorse finanziare che nessuno, al momento, ha volontà di mettere a disposizione. Ieri, 17 settembre, alla Procura di Paola, proprio mentre c’era un incontro fra il Procuratore capo Bruno Giordano, la Legambiente e il Comitato De Grazia alla presenza dei giornalisti, è arrivata la task force del Ministero.

(FOTO NELLA PROCURA)

22 Non si sa al momento cosa si siano detti, ma si è capito da poche battute scambiate in corridoio che non vi sono grandi operazioni in vista se non quelle legate al minimo necessario, cioè quella dell’invio di una nave che possa esplorare il fondale. Di recuperi non se ne parla. Non vorrei che si arrivasse alla soluzione adottata in un altro caso simile, risolto in una colata di cemento su tutto il rifiuto tossico, creando così un enorme mausoleo di cemento subacqueo. Una soluzione economica e veloce, ma certamente non sufficiente nel caso di bidoni contenenti materiali radioattivi. Nell’incontro di ieri nella procura di Paola la Legambiente, guidata da Nuccio Barillà, ha consegnato al Procuratore Bruno Giordano libri e dossier redatti dall’associazione negli ultimi quindici anni, riguardanti il traffico internazionale di rifiuti tossici e radioattivi e le navi affondate in tutto il Mediterraneo. Come a dire che non c’è bisogno del pentito Fonti per continuare le indagini. Nell’incontro il procuratore ha fatto il punto della situazione evidenziando lo stato interno alla procura, con soli due magistrati a operare per un territorio intero e con migliaia di cause in corso. È naturale che se si vuole giungere a buon fine c’è bisogno di altro personale, altrimenti tutto potrebbe passare alla DDA di Catanzaro, essendo il caso riguardante la mafia e quindi di competenza diversa da quella di Paola. Potrebbe essere una soluzione per tenere lontano l’inchiesta da eventuali depistaggi e successive archiviazioni, così come successo già tre volte con la Jolly Rosso, della quale non si parla più a seguito del ritrovamento della Cunsky. Così come si parla sempre meno del ritrovamento dei rifiuti nella valle dell’Olivo, dove ancora non s’interviene per questioni finanziarie. Per scavare sotto la briglia del fiume o nella cava non ci vogliono grandi risorse, eppure nessuno fa intervenire nessuno. Non si parla più neanche dell’eventuale riapertura dell’inchiesta sulla Jolly Rosso: da dove sarebbero arrivati quei rifiuti se non dalla nave che, in quella notte del 14 dicembre, rimase incustodita? Capitolo chiuso, quindi, per la Jolly Rosso. Lo vorrebbero i sindaci della costa i quali, pressati dai commercianti, dagli operatori alberghieri e dai pescatori, si affannano a dire che non c’è nessun pericolo e che la radioattività non è pericolosa né per i bagnanti né per il pescato. Una bugia grande come una casa se è vero che la stessa capitaneria di porto di Cetraro, solo due anni fa, emanò un’ordinanza che vietava la pesca in un largo tratto di mare per la presenza di arsenico e altre sostanze nocive. I sindaci, intanto, convocano consigli comunali per chiedere verità. Oggi, venerdì, tutti i sindaci della costa sono convocati a San Pietro d’Amantea per un consiglio comunale aperto per prendere una decisione unanime. Ma sono le popolazioni che devono chiedere verità a loro, non il contrario. I sindaci devono operare per rendere sicura la loro vita e potrebbero mettere in atto molte cose operative: prima di tutto la dichiarazione dello stato di emergenza, che permetterebbe di ottenere indennizzi a chi sta ricevendo un danno irreversibile, almeno fino a quando quella nave non sarà rimossa del tutto e le altre navi ritrovate. C’è poco tempo prima della prossima stagione estiva e se la nave resterà ancora in quel fondale si avrà un crollo pauroso di presenze, che avrà ripercussioni gravissime non solo sul settore turistico, ma su tutta la vita sociale della costa tirrenica e dell’intera Calabria.

23 19 settembre 2009. Franco Muto, il re del pesce di Cetraro agli arresti domiciliari nel suo paese, querela per diffamazione il pentito Fonti.

19 settembre 2009. È incomprensibile che oggi, con le tecnologie avanzate di cui disponiamo, ancora non sia stato svelato il mistero su cosa ci sia nelle stive della nave affondata davanti al mare di Cetraro. È inammissibile che ancora non si sia trovata una ditta capace di scavare pochi metri di profondità nella cava lungo il fiume Olivo e capire che tipo di rifiuto vi sia sotto. È incredibile come, nonostante il carotaggio avvenuto nella briglia del fiume Olivo, ancora non sia stato scavato completamente, fino a una decina di metri di profondità, per rompere il sarcofago di cemento e tirare fuori quanto vi è stato seppellito. Tutto questo non è assolutamente ammissibile in quanto ad oggi vi sono mezzi finanziari, tecnologici e quant’altro serva, per tirare fuori una volta per tutte la verità dal mare e dalle discariche. Una verità negata dalle giunte regionali precedenti, quelle di Chiaravalloti e Loiero, che non inserirono nel piano di bonifica per ben due volte né le discariche lungo il fiume Olivo, né tanto meno altre discariche pericolose piene di rifiuti tossici, quali Costapisola e la sibaritide, piena di ferrite di zinco. Giovedì scorso nella Procura di Paola, proprio mentre c’era un incontro fra il procuratore capo Bruno Giordano, la Legambiente e il Comitato De Grazia alla presenza dei giornalisti, è arrivata la task force del Ministero. Sembra che il Ministero dovrebbe mandare una nave oceanografica, l’Astrea, e svolgere maggiori accertamenti lungo la valle dell’Olivo. L’Astrea è dell’ISPRA (istituto superiore per la ricerca ambientale), istituto che, però, il Ministero dell’Ambiente sta dismettendo. Più di 400 lavoratori, infatti, entro la fine dell’anno potrebbero essere mandati a casa. Nel mese di luglio circa 200 manifestanti dell’Assemblea dei precari occuparono simbolicamente la nave oceanografica Astrea, attraccata a Fiumicino, bloccando di fatto le attività di monitoraggio. Però questa nave è abilitata a studi oceanografici, non a recuperi, perciò servirà a dirci il grado di radioattività, ma non a recuperare i bidoni.

FOTO NAVE ASTREA

24 20 settembre 2009. L’incontro fra tutti i sindaci e le istituzioni di venerdì scorso a San Pietro in Amantea, promosso dal sindaco Gioacchino Lorelli sulle navi fantasma e i veleni sepolti, si è risolto con un grande detto e non detto. Quasi tutti presenti i sindaci del Tirreno cosentino; al tavolo della presidenza, attorno al sindaco Lorelli, nomi forti della politica, primo fra tutti l’europarlamentare Mario Pirillo, poi l’onorevole Aurelio Misiti, il consigliere regionale Franco La Rupa e il dottor Brancati, autore della relazione tecnica sui tumori. Tutti pronti a fare marcia indietro, a cominciare dal dott. Brancati il quale ha iniziato la sua relazione asserendo che i tumori non sono in aumento ma costanti alla vita naturale e quotidiana. Ciò ha creato non pochi malumori nella sala e diversi esponenti delle associazioni ambientaliste hanno chiesto espressamente di avere la relazione per poterla leggere. Cosa che il dott. Brancati si è ben guardato dal fare, dicendo che la relazione fa parte dell’inchiesta e che quindi non può essere resa pubblica. I sindaci sono tutti sulla stessa linea: da una parte si dicono preoccupati di quanto sta avvenendo, dall’altra vorrebbero che tutto si risolvesse nel giro di qualche mese e che arrivassero fondi per le bonifiche senza allarmismi, né opera di terrorismo. Ma l’attacco più diretto all’inchiesta è venuto dall’europarlamentare Pirillo. Proprio lui, consigliere regionale dal 1990, che non ha mai detto e fatto nulla per aiutare le varie inchieste sulla Jolly Rosso, fa un duro attacco al settimanale L’Espresso: “É in atto una campagna per delegittimare la classe politica calabrese” dice, tenendo fra le mani una 25 copia del settimanale con nuove dichiarazioni del pentito Fonti che tirano in ballo l’on Misasi, padre padrone della democrazia cristiana calabrese. A Pirillo non vanno giù queste dichiarazioni, e presenta un documento da far firmare ai sindaci, il solito appello al Governo affinché altri facciano, altri si mobilitino, altri scavino, mentre loro gettano acqua sul fuoco e calmano i pescatori, gli albergatori, la cittadinanza sempre più preoccupata per quanto sta venendo fuori , dal ritrovamento della nave in poi. Il documento presentato dalle associazioni ambientaliste presenti alla riunione non viene neanche preso in considerazione.

Ecco cosa chiedevano le associazioni ambientaliste ai sindaci e alle autorità istituzionali riunite a San Pietro in Amantea.

Visto l’aggravarsi della situazione venutasi a creare dopo il ritrovamento della nave Cunsky nel mare di Cetraro e il pericolo che il tutto si risolva nella solita routine istituzionale alla quale siamo stati abituati negli anni passati con archiviazioni e depistaggi. Visto l’allarmarsi della popolazione che, giustamente, non mangia pesce né altri alimenti provenienti dalla valle dell’Olivo e zone limitrofe. Consci dell’azione positiva del Procuratore capo Bruno Giordano che comunque ha pochi mezzi e zero organico nella sua procura CHIEDIAMO: che venga dichiarato lo stato d’emergenza in tutto il territorio costiero che va da Maratea ad Amantea; che venga vietata la pesca in tutto il tratto costiero e la vendita di prodotti nella valle dell’Olivo; che vengano indennizzati tutti i pescatori della costa e i contadini della valle dell’Olivo; che venga effettuata un’analisi epidemiologica in tutta la costa tirrenica e venga istituito e reso pubblico il registro dei tumori; che vengano dati mezzi e risorse alla regione Calabria perché immediatamente vengano recuperate la nave Cunsky davanti Cetraro e la Vaporais davanti Maratea e il loro carico radioattivo e tossico; che venga bonificata tutta la valle dell’Olivo nei luoghi indicati e conosciuti dove risultano sepolti i rifiuti; che venga riaperta l’inchiesta sulla Jolly Rosso e vengano perseguiti i responsabili del tentato affondamento e si scoprano i responsabili del seppellimento dei rifiuti, delle ditte che vi hanno lavorato, di coloro che hanno depistato l’inchiesta.

Comitato Civico Natale De Grazia - Forum Ambientalista del Tirreno - Movimento Ambientalista del Tirreno - Comitato Beni Comuni - Uni Cobas.

Tutto questo non è stato minimamente discusso e, dopo la solita passerella politica che ha visto alternarsi sindaci e assessori, tutti i cittadini presenti se ne sono andati a

26 casa più dubbiosi di prima. Singolare è stato l’intervento del sindaco di Cetraro, Giuseppe Aieta, il quale ha detto di aver invitato l’assessore all’ambiente Silvio Greco a cenare a Cetraro con una bella grigliata di pesce, a dimostrazione che il pesce non è assolutamente inquinato. Il sindaco ha certamente dimenticato l’ordinanza n.3/2007, emanata dalla capitaneria di porto di Cetraro, che vieta la pesca in un largo tratto di mare coincidente con la nave affondata perché fu rilevata la presenza elevata di arsenico, cobalto, alluminio e cromo. É bene a questo che il sindaco conosca i pericoli provenienti dall’arsenico. Un nuovo studio ha scoperto che non tutte le persone riescono a smaltire dall'organismo l'arsenico ingerito per mezzo dell'acqua da bere e alcuni alimenti come, per esempio, i frutti di mare: i ricercatori americani, coordinati dal dr Kevin Francesconi, hanno appurato che alcune persone riescono, fortuna loro, a eliminare fino al 90% l'arsenico introdotto nel loro corpo, mentre ci sono persone che invece riescono a espellerne solamente il 4%. È chiaro che, per coloro che non riescono a eliminarlo adeguatamente, il rischio per la salute diventa serio dato che il semimetallo si va a depositare nei tessuti e intossica il corpo con effetti che vanno dai tumori della pelle fino alle malattie cardiovascolari, il cancro e, forse, il diabete. Secondo l'OMS ci sono molti paesi al mondo le cui acque potabili contengono livelli di arsenico oltre i livelli massimi accettabili fissati in 50 parti per miliardo. L’Unione Europea ha abbassato la concentrazione massima ammissibile di arsenico nell’acqua potabile a 10 microgrammi per litro.

Il sindaco di Cetraro cerca da altri la verità, ma lui è il primo a nasconderla, addirittura lo fa verso l’assessore all’ambiente Greco. Infine, devo fare una rettifica verso il sindaco di Serra d’Aiello, Cuglietta, il quale giustamente mi chiarisce la sua posizione riguardo alla ricerca effettuata in località Foresta, indicatagli da alte istituzioni, e non da lui, come luogo dove potevano essere stati sotterrati i rifiuti. La società Nautilus di Vibo, asserendo che in quella zona non vi sono livelli di radioattività, non ha fatto altro che dire la verità , alla quale in qualità di sindaco, non poteva non allinearsi.

22 settembre 2009. Arriva l’Astrea inviata dal governo. Intanto l’inchiesta passa alla DDA di CZ.

23 settembre 2009. La società Messina proprietaria della Motonave Rosso mi querela per diffamazione. Al signor Messina non sono piaciuti i miei articoli pubblicati sul sito www.sciroccorosso.org e su Mezzoeuro dal 2005 al 2008.

23 settembre 2009. Se non fosse per le associazioni ambientaliste - che hanno promosso iniziative popolari e pubbliche come quella ad Aiello Calabro, Campora San Giovanni e Cetraro - e per il sindaco di San Pietro in Amantea - che ha convocato l’unico consiglio comunale aperto -, nessuno avrebbe potuto discutere e avere informazioni su quanto sta

27 avvenendo nei nostri territori. I cittadini partecipano alle assemblee, fanno domande, vogliono sapere, dimostrano non solo timori, ma anche curiosità sulle date, sugli avvenimenti, sulle inchieste. La politica, invece, intorbida le acque. Abbiamo un mare di interrogazioni parlamentari e comunicati stampa che, a profusione, tirano in ballo governo e regione a secondo di quale partito le emana. Nella pratica nessun politico si sbilancia più di tanto e pensa bene a invocare una mobilitazione popolare o uno sciopero generale. In definitiva, nessuno sa bene cosa fare e come affrontare la situazione. Le associazioni ambientaliste sono le uniche che hanno le idee chiare in proposito, le hanno sempre avute, sin dal 1995 quando presentarono un corposo dossier sulle navi a perdere nel Mediterraneo al giudice della procura di Reggio Calabria, Francesco Neri, l’unico che le prese sul serio. Quello che c’è da fare gli ambientalisti lo hanno detto a San Pietro in Amantea, inascoltati da sindaci e istituzioni presenti, le quali vorrebbero la botte piena e la moglie ubriaca. Non vogliono che l’industria del turismo sia messa in discussione prima di tutto, d’altra parte chiedono che siano rimossi i pericoli nel mare e sulla terra. Non hanno ancora capito che il turismo è già compromesso, lo era già dall’estate stessa, prima del ritrovamento della nave, con la gestione della depurazione, con il non controllo degli autospurgo, con il mancato intervento lungo i fiumi e gli scarichi abusivi. L’hanno vista tutti la condizione del mare l’estate passata, che continua senza turisti, né bagnanti, e con i soli residenti. Migliaia le disdette agli alberghi dopo il mare di luglio, migliaia le disdette a settembre per il mare di agosto. Il calo, secondo le associazioni degli albergatori, è stato del 20% sulla costa tirrenica e del 40% su quella ionica. La botta della radioattività nel mare e nel fiume Olivo, se non risolta come si deve nei tempi giusti, vorrà dire un calo enorme di presenze per l’anno a venire. Se i sindaci e la Regione Calabria non capiscono questo, continuando ad affidarsi ancora ai comunicati stampa e agli imbarazzati silenzi, si corrono due rischi: quello di tenersi il danno per i prossimi dieci anni e, nel contempo, non avere turismo. Su questo, pesa grave il silenzio dell’assessore al turismo Damiano Guagliardi. È bene ricordare che Rifondazione Comunista è al governo della regione insieme al Pdci con due importanti assessorati, ma neanche da loro viene la spinta alla mobilitazione e alla dichiarazione dello stato d’emergenza, allineati al pensiero del governatore Loiero e dell’europarlamentare Pirillo, presentatosi al consiglio comunale di San Pietro in Amantea con un documento già pronto e solo da firmare. Se non si dichiara lo stato d’emergenza, come se ci fosse stato un terremoto, il governo non farà mai la sua parte, né in organizzazione, facendo intervenire la protezione civile, né in finanziamenti. La regione non ha soldi per un recupero della nave, ma l’avvocato della Legambiente, Marcello Nardi, ha dato una dritta ben precisa: prendete i soldi delle opere pubbliche inutili o bloccate come il porto di Diamante, per esempio, e recuperate la nave. Per il megaporto di Diamante la regione ha stanziato ben 4 miliardi delle vecchie lire. Un porto inutile, devastante, inquinante e per giunta illegale. É fermo da anni, ci sono inchieste in corso e la Regione stessa stenta a firmare la convenzione per far partire i lavori, dato l’ingarbugliarsi della situazione. “Stornateli in quel senso” - dice l’avvocato Nardi – “la popolazione vi applaudirà a vita

28 per un’operazione così diretta e coraggiosa”. Ma figuriamoci se qualcuno ha di questo coraggio, tutti si guardano bene dallo sganciarsi dalle posizioni di Loiero e pendono dalle sue labbra. Insomma, la politica calabrese anche in questo caso dimostra la propria inefficienza e inutilità.

24 settembre 2009. L’Astrea va via da Cetraro. Non ha l’attrezzatura necessaria.

24 settembre 2009. Pochi cittadini all’assemblea svoltasi martedì nella sala del Teatro Comunale di Cetraro. L’argomento era scottante: la nave Cunsky affondata nel mare di Cetraro dal boss Franco Muto, accusato di questo atto criminale dal pentito Francesco Fonti. Franco Muto ha querelato il pentito dicendo che lui non avrebbe mai fatto una cosa del genere ai cetraresi e ha fornito un alibi di ferro: era al confino ad Acciaroli, in Campania, a sole tre ore da Cetraro, soggetto a sorveglianza. L’assemblea introdotta dal Forum Ambientalista della Calabria si è aperta con una relazione tecnica sugli affondamenti, fatta dal sottoscritto, poi è proseguita con altri interventi, tutti imperniati sul cosa fare. Unanime, da Gianfranco Posa del Comitato Natale De Grazia a Ciro Pesacane presidente del Forum Ambientalista, l’analisi fatta sui politici, considerati da passerella, conniventi o comunque silenti negli anni passati quando i pochi giornalisti che ne scrivevano erano considerati terroristi o visionari. Ma, su tutto, in quel teatro pesava la cappa della ‘ndrangheta. La sala era semivuota, riempita solo da militanti del partito della Rifondazione Comunista, accorsi per sentire il loro segretario Paolo Ferrero, e da ambientalisti della costa tirrenica. Proprio della ‘ndrangheta, del ruolo avuto dal boss del pesce radioattivo, non si è parlato. Evidentemente ancora pesano gli anni di piombo che fecero negli anni ‘89/90 decine e decine di morti ammazzati proprio a Cetraro, fra i quali l’omicidio eccellente di Giannino Lo Sardo, l’onesto cancelliere e assessore comunale di Cetraro che pestava troppo i piedi all’interno della Procura di Paola ed eliminato per questo. Sarebbe stato giusto parlare dei criminali che hanno distrutto un mare ricco di risorse e che fa vivere dignitosamente seicento famiglie cetraresi le quali, ora ridotte quasi al lastrico dal momento che nessuno più compra e mangia pesce, si sono recate dal sindaco chiedendo assistenza, aiuto, indennizzi. Il sindaco di Cetraro, Giuseppe Aieta, nel suo intervento si è detto molto sfiduciato della classe politica governativa. Ha detto di aver chiesto di parlare con il ministro dell’ambiente, senza ricevere alcuna risposta. Ha detto che la situazione nel suo comune è esplosiva e che non si fida di quella barchetta mandata dal ministero la quale dovrebbe dirci se il pesce si può mangiare e il livello di radioattività esistente nel mare antistante al paese. Un paese già ridotto all’osso per la cattiva immagine creatasi negli anni di piombo della ‘ndrangheta, che faticosamente cercava di risalire la china e che adesso, grazie proprio alla stessa ‘ndrangheta cetrarese, vi sta sprofondando nuovamente. La ‘ndrangheta mangia se stessa, divora per danaro qualsiasi cosa, per soli 200 milioni di lire. Come ripeteva sempre Peppino Impastato, “la ‘ndrangheta è una montagna di merda” e mai come questa volta lo ha ampiamente dimostrato. Un’occasione persa, questa di Cetraro, colta

29 solo dai pochi che hanno coraggiosamente indicato i boss cetraresi colpevoli di quanto accaduto. Al termine dell’ampia e lunga discussione, gli ambientalisti hanno lanciato l’idea di due grandi manifestazioni: una nel Tirreno cosentino che coinvolga scuole, fabbriche, luoghi di lavoro; l’altra a Roma davanti Palazzo Chigi per imporre a un governo assente la questione delle navi dei veleni. Da più parti si è detto che se l’affondamento fosse avvenuto davanti a Rimini, sarebbero arrivati i marines americani. Tutti sono convinti di quest’affermazione, come dell’idea che politici e pezzi di istituzioni possano lavorare per archiviare nuovamente, depistare, far dimenticare. Su questi toni e proposte gli ambientalisti, nella sala del teatro, hanno diffuso un volantino firmato dal Comitato Natale De Grazia il cui titolo fa capire lo stato d’animo con il quale si vive il momento, soprattutto di chi, per anni, ha urlato ai quattro venti la pericolosità dei nostri mari, dei nostri territori, devastati da criminali senza scrupoli. Qui parliamo delle navi dei veleni, ma le problematiche che portano a un innalzamento vorticoso delle malattie tumorali sono tantissime. Partono dai luoghi di lavoro, come la Marlane di Praia a Mare, dove sono morti oltre 100 operai per le esalazioni provenienti dalle vasche di coloranti, o la Emiliana tessile di Cetraro dove, all’interno di un capanno, furono rinvenuti bidoni tossici non smaltiti dalla stessa azienda. Ancora, l’impianto di depurazione di liquami da autospurgo nel comune di Tortora, dove sparirono migliaia e migliaia di litri di sangue proveniente da macellazione o la vasca di Costapisola, piena di liquami tossici. Tutti luoghi inquinati e posti al centro di abitati, che mai sono stati presi in considerazione, né dalla regione né dai tanti politici che si avvicendano sui nostri territori. “Nessuno ci deve imbrogliare” scrivono gli ambientalisti. Dicono bene. Di imbrogli verso la popolazione ce ne sono stati tanti da quella fatidica notte del 14 dicembre del 1990: sulle presenze in quella nave, su cosa trasportava, sul numero dei containers, sulla falla; sulle carte nautiche che sembravano una battaglia navale; e ancora, sui camion delle ditte mafiose che hanno fatto da spola quella notte, su quelli che ufficialmente il giorno dopo, scortati da polizia e vigili urbani, hanno trasportato il carico ufficiale nelle discariche, forse già riempite la notte precedente di rifiuti tossici; sulle continue archiviazioni, depistaggi vari, scomparse di fascicoli poi riapparsi a Lametia Terme. Basta, dicono oggi, ora non imbrogliateci più.

30 Nessuno ci deve imbrogliare!

Nella valle del fiume Olivo è stata accertata la presenza di un fortissimo tasso di radioattività; lo confermano i rilievi effettuati dall’Arpacal per conto della Procura di Paola, dai tecnici del Min. dell’ambiente e dai Carabinieri del NOE.

Al largo di Cetraro è stata accertata la presenza di una nave affondata con tutto il suo carico di veleni, quasi certamente scorie tossiche e nucleari trasportate dalla Motonave Cunski, affondata dalla ndrangheta per conto di bande assassine e di chissà quali “servizi” nazionali e internazionali. Di fronte a questi disastri ecologici accertati, e a quanti altri ve ne sono nella nostra terra e nei nostri mari, finora il governo nazionale non si è mosso per come avrebbe dovuto fare convocandosi in forma straordinaria e urgente e stanziando i fondi necessari. La lentezza delle iniziative governative incomincia a preoccupare e a far sospettare tentativi di depistaggi programmati e di disinformazione, come è già avvenuto sulla vicenda della Jolly Rosso. A risolvere i problemi connessi a questo disastro ecologico e ambientale, non possono bastare la buona volontà e l’attivismo di un Procuratore della Repubblica e di un assessore regionale.

Non chiediamo rassicurazioni ma verità provate e dimostrate a tutti noi che siamo i cittadini interessati colpiti da questa immane tragedia.

Non ci basta che venga misurata la radioattività presente a Olivo, ma vogliamo che vengano scoperti e portati alla luce tutti i materiali inquinanti sepolti in quella valle dell’inferno.

Non ci basta qualche prelievo fatto da una nave “ministeriale” al largo di Cetraro, ma vogliamo che i fusti sepolti a 480 metri di profondità vengano tutti recuperati e analizzati. Vogliamo che vengano ricercate anche le altre “navi a perdere” affondate nei nostri mari con i loro carichi mortali.

Vogliamo che si faccia presto perché la nostra salute è ad alto rischio e sull’economia vi saranno ricadute negative pesantissime.

La mobilitazione della popolazione deve essere massima, continua e forte. Le istituzioni locali e regionali devono fare la loro parte e seguire tutti i percorsi necessari a tenere alta la mobilitazione, compreso il compimento di atti eclatanti e formalmente poco ortodossi.

31 I sindaci in particolare devono vigilare uniti contro ogni tentativo di sottostimare il pericolo e di rabbonire le popolazioni senza ragion veduta.

Chiediamo a tutti i cittadini del Tirreno di costituire in ogni Comune Comitati civici di lotta per fare, tutti insieme, pressione su coloro che devono intervenire. Di fronte a questa tragedia ogni forma di lotta è legittima.

Organizziamo fin da subito una grande manifestazione di tutti, dalla Calabria a Roma. Chiediamo l’intervento della U.E. e dei suoi organismi di difesa dell’ambiente e della salute.

Soltanto la nostra unità di lotta potrà impedire che ancora una volta prendano per i fondelli una popolazione tanto bistrattata, tradita e umiliata.

22 settembre 2009 Comitato civico “Natale De Grazia” - Amantea Forum Ambientalista

32 25 settembre 2009. L’avevo già scritto qualche giorno fa che la nave Astrea non era in condizioni di poter svolgere questo delicato compito nel mare di Cetraro e difatti è andata via, ufficialmente per un ricaricamento di nuovi programmi utili alla ricerca. Mi chiedo cosa gli sia stato detto: che dovevano venire qui alla ricerca di funghi o di una nave radioattiva posta a 400 metri di profondità? Non sapevano già cosa si doveva fare? Ha fatto bene l’assessore Greco ad arrabbiarsi alla notizia della partenza dell’Astrea, ma a questo punto è chiaro abbastanza che la regione tutta deve prendere una posizione precisa verso il governo, proclamando subito uno sciopero generale regionale e bloccando tutto ciò che è possibile bloccare come sta dicendo da settimane il vice sindaco di Longobardi, Garritano. Altrimenti, il governo non ci ascolterà mai, preso com’è da tanti altri problemi e spinto dalla logica leghista a vedere la Calabria come una regione palla al piede all’Italia intera. A tutto questo si aggiunge un ministro dell’ambiente completamente incompetente. La questione finanziaria è stata messa sul tavolo della discussione da Ezio Amato, dirigente tecnologo dell’Ispra, e non è assolutamente da sottovalutare . “Occorrono decine di milioni di euro” - ha dichiarato Amato – “per il resto con le nuove tecnologie si può fare tutto”. Decine di milioni di euro solo per una nave vogliono dire che il governo dovrebbe preparare una finanziaria se volesse recuperare tutte le navi e proseguire con le ricerche. Una cosa alla quale non crede assolutamente nessuno che si possa verificare, a meno che non si faccia tanto rumore da costringere il governo a un’iniziativa forte. Intanto calano gli assi politici per incontrare il Procuratore Capo di Paola, Bruno Giordano. Oggi è la volta di tre deputati del PD, Walter Veltroni, Marco Minniti e Roberto Della Seta. Solo l’ultimo, da esponente nazionale della Legambiente - una delle associazioni che da anni urla delle navi affondate e il traffico dei rifiuti tossici - sarebbe titolato a parlare, i primi due sarebbe meglio che stessero in silenzio. Perché quando hanno ricoperto cariche istituzionali di grande rilievo, quali vice presidente del consiglio e viceministro degli Interni, non hanno speso una sola parola su quanto si diceva a proposito della Jolly Rosso né del traffico dei rifiuti radioattivi. Questi silenzi pregressi sono stati ricordati a Cetraro anche da Paolo Ferrero, che fu ministro del breve governo di centrosinistra. In silenzio adesso anche i deputati del PDL i quali all’inizio avevano tuonato contro Loiero e che poi, quando hanno capito che tutte le competenze del caso erano del governo, hanno iniziato a defilarsi scegliendo nuovamente la via del silenzio. Insomma, gira la sensazione fra le popolazioni che, come al solito, tutto ritornerà nel silenzio in cui sono restati per vent’anni sia la Jolly Rosso, sia tutte le navi affondate nel Tirreno. Questo determina molta delusione e smorza i tentativi, da parte delle associazioni ambientaliste, di mobilitare la gente per far sentire la loro voce e la sete di giustizia e di verità che un’altra volta, pezzo per pezzo, rischia di affondare. Come le navi dei veleni.

33 PESCATORI DAVANTI CAPITANERIA

26 settembre 2009. Pescatori in agitazione a Cetraro. Il pesce non si vende, le pescherie non ordinano, i consumatori non ne mangiano più e a Cetraro le riunioni dei pescatori e delle loro famiglie si susseguono a pieno ritmo. Due incontri in soli tre giorni e tutti molto partecipati. Una si è svolta nella sala del comune con circa trecento pescatori; l’altra, per rappresentanze dei pescatori, nella sala della Capitaneria di Porto con l’assessore regionale al lavoro Mario Maiolo. Attorno al tavolo della capitaneria l’assessore regionale, le cooperative dei pescatori e i sindacati. Fuori, un centinaio di pescatori abbastanza arrabbiati per quanto sta avvenendo. Fanno sentire la loro voce alle televisioni accorse per l’occasione, fra le quali una TV tedesca in giro per l’alto Tirreno cosentino. In lontananza, fra le barche del porto, non si vede più l’Astrea, ora è partita davvero. Non si sa perché ieri fosse ancora nel porto di Cetraro, mentre tutti la davano a Fiumicino. Lo ha chiesto anche un pescatore al comandante della capitaneria, ricevendo un grosso punto interrogativo. Ma ieri il capitano della Astrea, molto gentilmente, ospitandomi per un caffè sulla sua imbarcazione, mi ha detto di non essere partito per le cattive condizioni del tempo che però, stamattina, non erano per niente cambiate rispetto a quelle di ieri. Per cui si pensa

34 che la partenza sia stata dovuta al fatto che sia uscita sui giornali la sua presenza nel porto di Cetraro. Aggiungo anche questo a tutti i misteri sulle navi. Nella riunione l’assessore Maiolo si è tenuto largo sull’argomento. Si è detto preoccupato, pronto ad ascoltare; si è detto pronto a intervenire, disponibile al dialogo, ma nessuna direttiva precisa sembra venire dalla regione, se non la possibilità di indennizzare i pescatori seguendo qualche iter finanziario. Ci sono parole non sentite nella riunione, quasi esorcizzate da tutti gli intervenuti: jolly Rosso, navi dei veleni, ‘ndrangheta. I pescatori insistono su una posizione che li porta a non voler sapere se quelle navi ci sono o no, vogliono essere indennizzati e basta. Se poi c’è la ‘ndrangheta in mezzo o meno, che sia stato il boss cetrarese Muto o il pentito Fonti, sono questioni che riguardano la magistratura e non loro. La situazione economica dei pescatori è stata ben inquadrata dal presidente della lega pesca della Calabria Salvatore Martinotti: “La pesca è al disastro” - ha esordito rivolgendosi a Maiolo. “Nel tirreno - continua il presidente – “gli addetti alla pesca sono 352 con 135 battelli e con 1159 occupati nel settore. Tutto questo produce, secondo il centro studi della lega Pesca, 942 euro al giorno, per un totale mensile di 310 mila euro. Una perdita quindi enorme, senza calcolare l’indotto che tutto questo produce attraverso le pescherie, la ristorazione, l’esportazione verso regioni vicine. La stessa grave situazione è stata evidenziata sia da Katia Stancato della FederCoop pesca che da Franco Mazza della CGIL. Una crisi che si inserisce su un tessuto già devastato dalla chiusura di tutte le fabbriche esistenti nella costa tirrenica, dalla Foderauto di Belvedere, all’Emiliana Tessile di Cetraro, alla Marlane di Praia a mare, alla clinica Spinelli di Belvedere. Ma una domanda sarebbe stata utile farla proprio al comandante della capitaneria, e cioè perché fu emanata quella famosa ordinanza del 18 aprile del 2007, che vietava la pesca in determinati luoghi del mare in vicinanza del relitto poi ritrovato grazie alle rivelazioni del pentito? Dalle analisi erano venute fuori cose gravissime e precisamente “ il superamento del valore di concentrazione soglia di contaminazione nei predetti sedimenti marini, relativamente all’arsenico (area 1 e 2) e al cobalto (area 2) nonché un valore molto alto per l’alluminio e valori del cromo di attenzione nelle aree 1 e 2.” Che cosa spinse a effettuare queste analisi proprio in quella zona, se non le dichiarazioni fatte dal pentito Fonti che aveva già parlato? Certamente la procura aveva già dato delle indicazioni precise su dove prelevare i sedimenti marini, ma ci si chiede: perché a distanza di pochi mesi la stessa ordinanza è abrogata? Il contrordine arriva l’8 agosto del 2008 e così dice laconicamente: visto il verbale della riunione tenutasi il 7 agosto 2008 allo scopo di esaminare i risultati delle analisi biochimiche ed istologiche su campioni di sedimento che non hanno evidenziato effetti di tossicità acuta e delle analisi di biomarkers delle specie ittiche che non hanno evidenziato alterazione e/o effetti rilevanti: l’ordinanza n.03/07 in data 18.04.2007 citata in premessa viene abrogata”. In pratica, se capisco bene, il lavoro dell’Astrea è stato già fatto. Il mare un anno prima era contaminato, l’anno dopo non lo è più. Dato che quei livelli di contaminazione

35 si eliminano solo quando ne vengono eliminate le cause, o quella nave è sparita nel giro di un anno o non c’è mai stata. Domande su domande alle quali nessuno da risposte precise e questo alimenta ancora di più fra i pescatori lo sconforto e la rabbia nel sentirsi prendere per i fondelli, mentre l’economia crolla sotto i loro piedi. Il governo non ha ancora assunto in pieno il problema su quanto sta avvenendo in Calabria. Lo sottovaluta, e se la popolazione non farà sentire forte la sua voce, difficilmente si muoverà.

Per una storia dei rifiuti tossici in Calabria. Tumori e mafia. Sembrano due parole che non hanno niente in comune e invece, dopo il ritrovamento della nave Cunsky affondata grazie all’aiuto della ‘ndrangheta cetrarese, il binomio può benissimo andare. Identico discorso vale per la Jolly Rosso. Se in quella notte del 14 dicembre la nave fu svuotata del suo carico illegale e tossico, portato poi lungo la valle del fiume Olivo, fu possibile solo usufruendo dell’appoggio delle cosche locali attive e operanti nel 1990 sia nell’amanteano che nel paolano. In quell’anno ditte vicine alla delinquenza gestivano sia impianti di estrazione lungo i fiumi che cave sparse su tutto il territorio fra Praia a Mare e Lametia. Le cave erano molto richieste in quanto le Ferrovie dello Stato avevano iniziato un piano di difesa dura dalle mareggiate lungo il tracciato ferroviario da Tortora a San Lucido, sul quale investirono centinaia di miliardi di vecchie lire e che fecero gola subito alla mafia locale. Senza un apparato già pronto da mettere in campo, provvisto di camion, autisti compiacenti, ruspisti e palisti, non sarebbe stato possibile in una sola notte, o nelle notti successive, sotterrare il carico tossico. In quegli anni la costa tirrenica, come tutta la Calabria, era nel mirino del traffico nazionale e internazionale dei rifiuti tossici. Un territorio nelle mani della delinquenza, una procura di Paola corrotta fino all’ultimo magistrato, una politica infiltrata di banditi, fece sì che si facesse la fila per venire in Calabria a sotterrare rifiuti tossici e gestire traffici miliardari certi dell’immunità. Ma qualcosa si scoprì grazie alla casualità e a errori delle cosche. Nel 1989 dei camion provenienti dal nord entrarono, a notte inoltrata, in una fornace dismessa in località Sant’Angelo, fra Scalea e Santa Domenica Talao, e cominciarono a scaricare casse di rifiuti ospedalieri che avrebbero dovuto essere bruciati, in seguito, nella fornace stessa. La fortuna volle che un camion di rifiuti venisse bloccato da due ignari carabinieri in pattuglia a Scalea. L’autista, alle strette, dovette confessare il luogo dove era diretto. La scoperta gettò nel panico l’intera contrada che bloccò sin dal mattino successivo l’accesso alla fornace, fino a ottenerne il sequestro. L’inchiesta portò alla luce varie collusioni fra funzionari della regione, assessori regionali e mafia della costa tirrenica. Poi , come tutte le cose calabresi, tutto finì in una grande bolla di sapone. Vari allarmi vennero lanciati dalle associazioni ambientaliste nazionali e regionali e ogni cosa sembrò finire sotto il controllo istituzionale. Invece, dopo solo cinque anni, un nuovo traffico di rifiuti venne scoperto nella stessa zona. Camion provenienti da tutta Italia cominciarono a scaricare in un altro impianto, a pochi

36 chilometri dalla fornace, tonnellate di rifiuti di macellazione. Questa volta la contrada presa di mira è quella di Costapisola, pure questa fra Scalea e Santa Domenica Talao. Anche in questo caso la popolazione riuscì, dopo varie manifestazioni a bloccarne l’uso. Di quell’inchiesta, oggi, non resta niente. Il terreno è ancora inquinato nonostante i ripetuti appelli fatti dai contadini della zona perché venisse bonificato, e nessun processo è stato intentato contro i proprietari della discarica. In tutti e due i casi la Regione Calabria fu leggera nel rilascio di autorizzazioni a ditte molto discusse e poco oneste, spesso collegate a imprese mafiose vere e proprie. Ma il fatto più grave avvenne fra il ‘95 e il ’98, l’inchiesta sulle ferriti di zinco. Anche in questo caso faccendieri e politici sono della costa tirrenica. L’inchiesta vene aperta allorché la Guardia di Finanza, nel 1995, scoprì sotterrati, in alcuni terreni di Cassano, bidoni pieni di liquidi tossici provenienti dalla Pertusola di Crotone. Da quei primi ritrovamenti si arrivò ad un’inchiesta che portò anche all’arresto dell’assessore all’ambiente della Regione Calabria, Sergio Stancato e di qualche funzionario. L’inchiesta è stata poi divisa in due tronconi, uno dei quali dedicato al reato ambientale, che non ha coinvolto il livello politico. Dopo un tortuoso ed estenuante procedimento seguito per Legambiente dagli avvocati Rodolfo Ambrosio e Francesco Martorelli, è avvenuta la derubricazione del reato. Infine, la prescrizione.

Secondo le accuse, in traffico illecito avrebbe prodotto diverse centinaia di milioni di vecchie lire e avrebbe coinvolto funzionari, politici e ditte compiacenti della Regione Calabria. Tra i rinviati a giudizio nomi di spicco della Giunta di centrodestra Nisticò, fra i quali l’ing. Giovan Battista Papello, parente stretto del Ministro Gasparri, coinvolto in seguito in altre inchieste giudiziarie. Secondo l’accusa ogni indagato avrebbe avuto un ruolo ben preciso nell’operazione: c’era chi si occupava di ottenere le autorizzazioni regionali, chi prendeva contatto con i proprietari terrieri per sotterrare i rifiuti, chi gestiva, tramite ditte fantasma, il passaggio dalla Pertusola verso impianti autorizzati e che, invece, si fermavano a Cassano. Dall’inchiesta sui rifiuti tossici provenienti dalla Pertusola di Crotone e sotterrati nel Comune di Cassano, ritrovati solo in parte dal nucleo ecologico dei Carabinieri, sono state stralciate le responsabilità della Giunta regionale che portarono all’arresto dell’ex assessore regionale all’ambiente Stancato, verso il quale esisteva solo il reato commesso contro la pubblica amministrazione. Tutti gli indagati avrebbero dovuto smaltire 35mila tonnellate di rifiuti di ferriti di zinco provenienti dalla Pertusola di Crotone attraverso una serie di autorizzazioni ottenute dalla Regione Calabria, per opera dell’assessore regionale Sergio Stancato. Ma queste ferriti non giunsero mai all’impianto sito in Sardegna e vennero sotterrate in alcuni terreni di Cassano Jonio e della Sibaritide. Il processo, all’inizio unico per tutti gli imputati, fu diviso in due tronconi grazie ad artifici burocratici. Uno, riguardante il reato di corruzione, finì nelle mani dei giudici di Catanzaro; l’altro, per disastro ambientale, in quelle dei giudici di Castrovillari. Qui, dopo il rinvio a giudizio, si svolsero sei udienze, mentre a Catanzaro, dove invece il rinvio a giudizio non fu mai fatto, le udienze furono

37 sette. Il processo venne poi archiviato, e intanto i rifiuti tossici continuano a rimanere nascosti fra grandi coltivazioni. Dalla Pertusola di Crotone, proprio in questi giorni, arrivano nuovi avvisi di garanzia e nuove inchieste sulla ferrite di zinco usata nelle scuole e nelle strade. Rifiuti tossici scomparsi anche a Tortora, in un impianto che doveva servire a depurare liquami provenienti da pozzi neri e che invece smaltiva anche carichi diversi, come sangue proveniente da macellazione. I carabinieri del NOE non trovarono smaltiti 1 milione di litri di sangue, molto probabilmente versato lungo il fiume Noce, e arrestarono il gestore dell’impianto e diversi impiegati che lavoravano a vario titolo nell’azienda. Il sangue non venne mai trovato e un processo prosegue a rilento presso la pretura di Scalea. Come prosegue a rilento, presso la procura di Paola, il processo sulle morti bianche alla Marlane di Praia. Un centinaio gli operai morirono in quella fabbrica per l’uso di coloranti vietati dalle leggi europee e anche la cittadinanza soffre di malattie tumorali. Dietro indicazione di alcuni operai appartenenti al sindacato Slai Cobas, la procura di Paola individuò un’area attorno alla fabbrica, al centro di Praia, dove vennero sotterrati rifiuti tossici. Non sapremo mai quanti sono i malati e i morti di tumori in tutto il territorio praiese. Le testimonianze sono poche. La gente si tiene tutto dentro, come una maledizione biblica, e invece si dovrebbe mettere tutto in piazza, far conoscere agli altri la propria esperienza vissuta, perché la lotta contro questo male diventi una lotta collettiva, di massa, cosciente.

È il caso di Antonella Politano di Paola. La prima a morire per i veleni provenienti dalla vicina centralina dei telefoni è mamma Natalina. E’ il 1984. Antonella è la figlia primogenita. Dovrà essere lei, adesso ad occuparsi del resto della famiglia. Del padre e delle tre piccole sorelle. Una zia l’aiuterà, facendo da mamma per tutte. La vita di Antonella, la sua adolescenza , comincia tutta in salita ed in una piena solitudine. Ma piano piano la vita riesce anche a dare delle sorprese, a riequilibrare le cose, a far anche dimenticare le cose brutte , anche se dentro il cuore le ferite non vengono mai rimarginate. Antonella lotta sempre e rimette le cose a posto. Ma il 1998 Gabriella si ammala di carcinoma alle ovaie. Un carcinoma terribile , devastante che il 6 agosto dello stesso anno la uccide. Gabriella ha solo 39 anni. Non ha avuto neanche il tempo di rendersi conto di quanto stava avvenendo attorno a lei. Antonella è di nuovo al centro della vita di tutti. E’ lei che deve di nuovo tenere le fila della famiglia, quando l’8 dicembre dello stesso anno anche la seconda sorella Annamaria , si ammala e muore. Anche lei dello stesso tumore maligno alle ovaie. Non è finita. Antonella con le lacrime agli occhi e le foto della sua famiglia racconta queste terribili date e sequenze. A gennaio del 1999 anche il padre Vincenzo si ammala. Viene ricoverato a Roma. Comincia la trafila terribile di cure e di chemioterapie, quando nel 2000 anche Patrizia, la terza sorella di Antonella si ammala e muore . Negli anni a seguire moriranno il padre Vincenzo e la zia Bernardina. Una sequela di funerali, partiti tutti da viale dei Giardini 2, che hanno visto sempre di più assottigliarsi la partecipazione di familiari. Il padre, Vincenzo, lavorava come custode nella vicina “Azienda di stato per i servizi telefonici” ( poi diventata Iritel e poi ancora Telecom ed ore delle Poste Italiane),

38 la stessa che aveva loro dato una casa in questo enorme caseggiato insieme ad altri dipendenti. Vincenzo non poteva sapere cosa la vita gli stava preparando. L’aria attorno la casa era puzzolente, ma allora sembrava del tutto normale. “Sapeva di uova marce- ricorda Antonella. E quando la madre apriva la finestra della sua camera da letto, proprio da quella palazzina degli orrori, lontana solo 5 metri dalla loro casa, le puzze ne invadevano le stanze, fino a costringerla a chiudere immediatamente tutto. I genitori di Antonella pensavano che fossero puzze “normali”, prodotte dal lavoro delle turbine. Non pensavano minimamente che tutte quelle puzze avrebbero prodotto morte e distruzione , nella loro casa, nel loro caseggiato e poi piano piano in tutto il quartiere che da su viale dei Giardini. “Ne ho contati oltre 150 – mi dice Antonella- di queste morti. Ho le firme dei familiari, i nomi dei deceduti, le loro sofferenze. Tutto scritto in questo quadernetto “ ,- che custodisce come fosse l’ultimo libro sacro. Nessuno poteva sapere cosa uscisse da quella centralina telefonica, ma i dirigenti dell’azienda, loro, avrebbero dovuto saperlo. La centrale telefonica produceva veleni, che venivano tenuti quasi nascosti in tutto il perimetro della centralina. Nella sala batterie al centro della centralina, in alcuni magazzini, ancora esistenti, dietro il caseggiato , persino in una botola proprio dentro quel cortile dove adesso la piccola Chicca , tutta felice per i suoi sedici anni prepara il ricevimento. Una botola malefica, nella quale venivano immagazzinati lunghi cavi elettrici, batterie piene di veleni ,dalle quali, insieme a quelle nella sala batterie, si sprigionavano i gas metifici che avrebbero ucciso tutta la famiglia e prodotto tumori in tutta l’area circostante la stessa palazzina. Antonella ricorda particolari inquietanti della loro esistenza vicino a quei veleni. Particolari che poi come un enorme puzzle, dopo la sequenza di morti, ha potuto rimettere insieme e far produrre le tante denunce alla Procura di Paola. Un giorno del 1997 tutta la famiglia doveva allontanarsi da Paola per seguire il padre in una faccenda. All’ultimo momento una delle sorelle ha l’influenza e Antonella decide di restare a casa per assisterla. Niente di particolare, sono cose che accadono nella vita di una famiglia. Qualcuno però sapeva che quella notte la casa dei Politano sarebbe rimasta vuota. E la notte, quella notte, qualcosa si mosse attorno a quella centralina. Antonella venne svegliata dal rumore di camion e di persone che si affaccendavano a fare qualcosa all’interno della vicina palazzina dei telefoni. Rumori di cose spostate su grandi camion, rumori di ferri, rumori di motori. Antonella guarda fuori dalla sua camera da letto e vede degli uomini con tute bianche, maschere sul volto, mani coperte da enormi guanti. Antonella senza saperlo assistette allo smantellamento della centralina. Era il 1992. Una centralina che evidentemente, i suoi dirigenti, sapevano che inquinava e che produceva veleni e tumori. La Procura di Paola dopo le denunce e le morti finalmente aprirà un inchiesta e il 30 novembre del 2007 arrivò il rinvio a giudizio per due dirigenti della centralina . Le imputazioni provenienti dall’inchiesta aperta dal procuratore dott. D’Emmanuele sono gravissime. Nel processo i due dirigenti verranno dichiarati non colpevoli e per loro ci sarà il non luogo a procedere, ma il danno ambientale prodotto da quanto vi era dentro la centralina è stato riconosciuto, e questo permetterà una causa civile in corso contro l’ente telefonico ora di proprietà delle Poste italiane.

39 Dall’inchiesta venne fuori che all’interno della centralina esistevano ben 226 accumulatori di piombo sottoposti giornalmente a manutenzione ordinaria. Da questi accumulatori si sprigionavano sostanze tossico nocive quali il solfato di piombo che diventavano ancora più nocive sotto l’azione dell’acido solforico-sostanze classificate dallo IARC- cancerogeno umano,gruppo 1, nonché vapori tossici provenienti dai raddrizzatori al selenio. In particolare , è scritto nel rinvio a giudizio, essendo la sala batteria sprovvista di cappe di aspirazione delle suddette sostanze sia in prossimità delle sorgenti e sia in un altro punto dello stesso locale permettevano ai gas che si diffondessero sia all’interno che all’esterno tramite una finestra , griglia di aerazione posizionata orizzontalmente e in corrispondenza e di fronte alla finestra della camera da letto della famiglia Politano Vincenzo. Quella griglia, ricorda Antonella prima che la centralina venisse dimessa era molto più lunga di quella che si vede ora , ed i vapori che ne uscivano erano ben visibili. Dall’inchiesta della Procura vengono fuori anche altri gravi inadempienze. Una gravissima è quella che non è stata costruita all’interno della sala batterie una gabbia di Faraday che avrebbe protetto l’esterno dalle onde elettromagnetiche costruendo una forte schermatura, l’altra che non si è intervenuti per bonificare gli edifici dal materiale contenente amianto del tipo crisotilo.

Una vergogna quanto successo, che dimostra come persone senza scrupoli, pur di fare soldi, passano sulla testa di tutti, anche dei loro stessi figli. Lo hanno fatto a Cetraro nell’affondare le navi tossiche, a Praia nel nascondere rifiuti tossici attorno alla Marlane, a Cetraro nel nascondere bidoni tossici in un piccolo capanno al centro della Emiliana Tessile, a Costapisola in una grande vasca coperta da un telo. Ora il velo si sta squarciando. La gente che ha visto parli, dica ciò che ha visto a Paola, a Cetraro, a Praia, ad Amantea nella valle dell’Olivo. Solo così si potrà costruire una verità che parta dal basso, dalla gente colpita da un male inesorabile che mai come ora non cammina più da solo, ma accompagnato da elementi criminali.

29 settembre 2009. Su tutta la costa tirrenica, da Tortora ad Amantea, proseguono da parte degli ambientalisti le azioni di sensibilizzazione della popolazione riguardo al problema delle navi affondate e dei rifiuti tossici lungo la vallata dell’Olivo. Iniziative sono programmate per tutta la settimana a Diamante, Aiello e Amantea. Gli ambientalisti stanno preparando una manifestazione nazionale in un paese della costa con il blocco di tutte le attività lavorative, nella speranza che i sindacati scendano in campo su una problematica che vede a rischio centinaia e centinaia di posti di lavoro. Se non si muovessero gli ambientalisti, il vuoto sarebbe tremendo. In questo caso bisogna ringraziare l’informazione in mano ai quotidiani e alle Tv, regionali e nazionali, che ogni giorno sparano servizi sulle navi dei veleni. Per il resto, i silenzi sono davvero indecenti. A parte Cetraro, Longobardi, Aiello Calabro, Serra d’Aiello e Diamante, nessun altro consiglio comunale ha deliberato sulle navi dei veleni. Nessun consiglio comunale aperto, nessuna iniziativa pubblica da parte di politici, nessun appello alla mobilitazione. Anche i sindacati tacciono a parte la CGIL, da subito schierata con gli

40 ambientalisti, la cui unica uscita sindacale è stata a Cetraro con i pescatori, i quali, dopo aver avuto garanzia da parte della Regione di ricevere ammortizzatori sociali, sono scomparsi dalla scena politica. La regione sceglie la via del telegramma e della protesta verbale; lo stesso fa l’assessore regionale all’ambiente Silvio Greco, che si indigna per il mancato intervento da parte dello Stato, ma intanto da parte della sua stessa giunta nulla è stato fatto per mettere in agenda azioni forti quali, per esempio, uno sciopero generale regionale che fermi scuole, aziende, impiego pubblico, cantieri, comuni, con una grande manifestazione centrale. Qualcosa che facesse sentire la voce dei calabresi a Roma, che della Calabria se n’è completamente dimenticata. I deputati della destra, la on. Santelli in testa, tendono a non far comprendere le responsabilità del governo, adducendo colpe inesistenti alla Regione che secondo la destra avrebbe delle competenze per casi come questi. Sulla dichiarazione dello Stato d’emergenza, l’on. Santelli, dovrebbe però informarsi. È stata anche sottosegretaria al ministero della Giustizia quindi anche per sentito dire, qualche cosa avrebbe dovuto pur impararla. Lo stato d’emergenza è regolato dall’art.5 della legge del 24 febbraio 1992 n.225 che dice che solo il Presidente del Consiglio può dichiararlo e questo si può fare “ all’insorgere di situazioni che comportino grave danno o pericolo di danno alla incolumità delle persone e ai beni e che per la loro natura ed estensione debbano essere fronteggiate con interventi tecnici straordinari (art.1 della legge 8 dicembre 1970 n.996). In tale situazione di crisi “ per quanto riguarda il soccorso e l’assistenza alle popolazioni colpite il diretto intervento dello stato e la conseguente avocazione di funzioni è in stretta connessione con la particolare gravità ed estensione dell’evento che, in quanto tale non è fronteggiabile dalle singole amministrazioni competenti in via ordinaria. Sotto il profilo giuridico la dichiarazione dello stato d’emergenza è regolata dall’art 5 della legge 225/92. Una richiesta in tal senso è venuta giustamente dal Consiglio provinciale di Cosenza, ma ciò con basta. Oltre la semplice richiesta non si è creata nessuna mobilitazione. La gente ha paura, vuole risposte precise, vuole sapere tutta la verità e deve vedere forze tecnologiche mobilitarsi per fronteggiare una situazione davvero drammatica. Sul fiume Olivo, nei giorni scorsi, è arrivata l’Arpacal. Vederli gironzolare lungo il fiume con un apparecchietto sonar che si trova su internet ha fatto davvero pena. È identico alla barchetta dell’Ispra. Non ci siamo proprio. Forse non si sono resi conto di cosa si tratta. Eppure i giornali lo hanno scritto a caratteri cubitali; eppure le analisi fatte, le poche conosciute, dicono chiaramente cosa vi è sotto quelle briglie del fiume Olivo e cosa ci potrebbe essere nella cava e in altri luoghi; eppure la capitaneria di porto aveva già avvertito della presenza in mare dell’arsenico e del cobalto vietando la pesca. Non ci convincono. La sensazione è che ci vogliano imbrogliare di nuovo e la gente ha davvero poca fiducia che in questo caso lo Stato possa far sentire tutta la sua presenza. D’altra parte, la sfiducia nasce anche dal fatto che da ben venti anni si sapeva tutto questo, cioè che la ‘ndrangheta sotterrava lungo i fiumi e nelle cave e affondava le navi nel Tirreno e nel Mediterraneo. Si sapeva dei traffici sporchi che personaggi legati alla malavita e al potere politico tenevano in mano. La gente, in silenzio, assisteva alle varie archiviazioni

41 della Jolly Rosso come di altri processi andati in prescrizione: la prima inchiesta sulla Pertusola di Crotone e sulle ferriti di zinco sotterrate; quella sul sangue sparito dal WTS di Tortora; quella sui rifiuti ospedalieri sotterrati a Sant’Angelo di Scalea; le morti bianche della Marlane di Praia. Il crimine paga. C’è chi si arricchisce con questi traffici e vive tranquillamente con la coscienza a posto, agli arresti domiciliari e con l’Asl che paga le cure mediche, con gli investimenti fatti dagli illeciti proventi ben protetti, conducendo una bella vita fatta di costose auto e belle donne.

Il popolo ambientalista chiama a raccolta le popolazioni della Calabria. “Qui si parrà la tua nobilitate” scrisse Dante rivolgendosi alle superiori intelligenze. Nel nostro caso ci si rivolge alle istituzioni, ai sindaci, alla regione, ai politici, ma soprattutto al popolo inquinato, al popolo dei tumori, alle vere vittime di questa immane tragedia. Le istituzioni tutte, dalla regione al governo, a distanza di un mese circa dal ritrovamento della nave ancora latitano. La manifestazione degli ambientalisti aperta a tutti cercherà di smuovere le acque. Avrà il compito non solo di tenere accesi i riflettori sulla vicenda e spingere a che si vada avanti per la completa bonifica dei territori e del mare, ma anche per individuare ancora di più i responsabili di questa tragedia che sono non solo la ndrangheta di Muto e soci, ma tutto quel complesso di personaggi politici e istituzionali che hanno permesso, attraverso coperture, che ciò avvenisse. La ‘ndrangheta non avrebbe potuto fare da sola quello che ha fatto. Ha avuto bisogno di coperture per spostare camion, ruspe, gru, per procedere, senza essere disturbata, ai sotterramenti lungo il fiume Olivo e allo smantellamento della nave radioattiva. Arrivano sottovoce testimonianze, senz’altro da verificare, ma che comunque restano testimonianze. Come quella di un uomo di Aiello Calabro, il quale afferma di essere salito per curiosità sulla nave il giorno dello spiaggiamento. Anche questo fatto dimostra, al di là di quanto è successo in seguito, che gente semplice, cittadini sono potuti salire sulla nave e prendersi addirittura cibarie e altro materiale sparso lungo la stiva, senza alcun controllo. Ebbene quest’uomo, raccontano i familiari, dopo soli tre anni venne colpito da tumore e morì. Ecco perché sarebbe necessario, oggi più che mai, non solo verificare questi racconti, ma servirebbe un esame epidemiologico a tappeto in tutta l’area dell’Olivo, per stabilire una volta per tutte l’incidenza tumorale avvenuta subito dopo lo spiaggiamento della Rosso. Occorrerebbe anche approfondire le dichiarazioni fatte dal veterinario dell’ASL al convegno promosso dagli ambientalisti a Cetraro la settimana scorsa. Il veterinario è stato abbastanza preciso nel suo racconto. Il medico veterinario studiava la fauna del mare cetrarese quando fu inspiegabilmente allontanato dai suoi superiori, quasi a voler nascondere verità. Una verità che, come abbiamo lungamente scritto, già venne fuori, in parte, con la famosa ordinanza emanata dalla capitaneria di porto di Cetraro che vietava la pesca a strascico proprio nelle zone dove è affondata la Cunsky. Adesso tutto è nelle mani della popolazione, dimostrare la sua “nobilitate”. Se la partecipazione sarà elevata, il governo dovrà darsi una mossa e mostrare la sua di “nobilitate”.

Il manifesto di convocazione della manifestazione del 24 ottobre.

42 Riprendiamoci la Vita, Vogliamo una Calabria Pulita!”

Nella valle del fiume Olivo è stata accertata la presenza di un fortissimo tasso di radioattività; lo confermano i rilievi effettuati dall’Arpacal per conto della Procura di Paola, dai tecnici del Ministero dell’ambiente e dai Carabinieri del NOE.

Al largo di Cetraro è stata accertata la presenza di una nave affondata con tutto il suo carico di veleni, quasi certamente scorie tossiche e nucleari trasportate dalla Motonave Cunski, affondata dalla ‘ndrangheta per conto di bande assassine e di chissà quali “servizi” nazionali ed internazionali.

A Crotone le scuole, i piazzali, le abitazioni sono inquinate da materiali tossici che stanno avvelenando giorno dopo giorno principalmente i bambini. Questo materiale tossico proviene dalla Pertusola, fabbrica dimessa e mai bonificata, da dove sono partite le 35 mila tonnellate di ferriti di zinco ancora sepolti nella sibaritide.

A Praia a Mare e nella fabbrica della morte Marlane sono state accertate 40 morti per tumore ed altri 40 colpiti da varie forme tumorali, mentre attorno alla fabbrica, al centro del paese, sono stati scoperti rifiuti tossici sotterrati.

Di fronte a questi disastri ecologici accertati, e a quanti altri ve ne sono nella nostra terra e nei nostri mari, finora il governo nazionale non si è mosso per come avrebbe dovuto fare convocandosi in forma straordinaria e urgente e stanziando i fondi necessari, preso com’è per il rilancio dell’opzione nucleare già bocciata da un referendum.

La lentezza delle iniziative governative incomincia a preoccupare e a far sospettare tentativi di depistaggi programmati e di disinformazione, come è già avvenuto sulla vicenda della Jolly Rosso.

A risolvere i problemi connessi a questo disastro ecologico ed ambientale non possono bastare la buona volontà e l’attivismo di un Procuratore della Repubblica e di un assessore regionale.

Non chiediamo rassicurazioni ma verità provate e dimostrate a tutti noi che siamo i cittadini interessati colpiti da questa immane tragedia.

Non ci basta che venga misurata la radioattività presente ad Olivo ma vogliamo che vengano scoperti e portati alla luce tutti i materiali inquinanti sepolti in quella valle dell’inferno.

Non ci basta qualche prelievo fatto da una nave “ministeriale” al largo di Cetraro, ma

43 vogliamo che i fusti sepolti a 480 metri di profondità vengano tutti recuperati ed analizzati. Vogliamo che vengano ricercate anche le altre “navi a perdere” affondate nei nostri mari con i loro carichi mortali.

Vogliamo che si faccia presto perché la nostra salute è ad alto rischio e sull’economia vi saranno ricadute negative pesantissime.

La mobilitazione della popolazione deve essere massima, continua e forte.

Le istituzioni locali e regionali, i politici tutti, che fino a ieri hanno fatto finta di non sapere cosa vi fosse nel fiume Olivo, a Cetraro, a Praia a Mare, oggi devono fare la loro parte e seguire tutti i percorsi necessari a tenere alta la mobilitazione, compreso il compimento di atti eclatanti e formalmente poco ortodossi. I sindaci in particolare devono vigilare uniti contro ogni tentativo di sottostimare il pericolo e di rabbonire le popolazioni senza ragion veduta. Per tutto questo le associazioni ambientaliste, i sindacati, i comitati di base indicono per

SABATO 24 OTTOBRE UNA MANIFESTAZIONE NAZIONALE AD AMANTEA (CS) Con Raduno dalle ore 9,00 sul Piazzale Eroi del Mare Sul lungomare “Natale De Grazia” di Amantea

Per chiedere al governo, alla regione, a tutti gli enti preposti che: venga dichiarato dal governo lo stato d’emergenza in tutto il territorio costiero che va da Maratea ad Amantea e nei siti contaminati come Crotone e la sibaritide; che vengano indennizzati tutti i pescatori della costa e i contadini della valle dell’Olivo e tutte quelle categorie che vivono di turismo; che venga effettuata un analisi epidemiologica in tutta la costa tirrenica e in tutta la regione venga istituito e reso pubblico il registro dei tumori; che vengano dati mezzi e risorse alla regione Calabria perché immediatamente vengano recuperate la nave Cunsky davanti Cetraro e la Yvonne davanti Maratea insieme al loro carico radioattivo e tossico; che venga bonificata tutta la valle dell’Olivo nei luoghi indicati e conosciuti dove risultano sepolti i rifiuti; che vengano bonificati tutti i luoghi inquinati come il Fiume Olivo, Crotone, la

44 sibaritide, Praia a Mare;

che venga riaperta l’inchiesta sulla Jolly Rosso e vengano perseguiti i responsabili del tentato affondamento e si scoprano i responsabili del seppellimento dei rifiuti, delle ditte che vi hanno lavorato, di coloro che hanno depistato più volte l’inchiesta;

Che venga aperta un’inchiesta per fare chiarezza sulla morte sospetta del capitano Natale De Grazia;

che vengano ripresi i processi riguardanti i disastri ambientali giacenti nelle varie procure calabresi.

ORGANIZZANO: Comitato Civico Natale De Grazia, Movimento ambientalista del Tirreno, Forum Ambientalista, CIGL nazionale, CISL E UIL CALABRIA, WWF nazionale, RDB Unicobas nazionale, Rosso Cetraro, Legambiente Nazionale,Valle Olivo-Terre a perdere, Ammazzateci Tutti movimento antimafia, Beni Comuni Cosenza.

ADESIONI: Greenpace, Italia Nostra, Collettivo Unical Filol8, Ass. Isca Hotels, Confindustria settore Turismo, Confindustria, Coldiretti, Ass. Confronti, Ass. Aquilone, RDB Nazionale, ARCI Coreca, Federconsumatori, Non spegniamo la luce, Confederazione Cobas, Officina Creativa, Associazione Posidonia, Calabria Europea, Medicina Democratica,Il Manifesto, Ass. Fata Morgana, Donne ecologiste e meridiane, medicina Democratica, Ass. Klipper, Belvedere Giovani, C.s.o.a. “A.Cartella”, TerritoRioT, g.a.s. Felce & Mirtillo, Collettivo UniRC, Blog Aiello Calabro e dintorni, Casa della legalità Lamezia T., Il Quotidiano della Basilicata, Ass. Altra Lamezia, circolo culturale Rua Sao Joao e Algo mas, Collettivo studenti in lotta Lamezia, Movimento Amo Lamezia, Rete No-Ponte, partiti politici, Parlamentari, Comuni e altre Istituzioni.

30 settembre 2009. Fonti accusa il governo di averlo abbandonato e di avergli tolto la protezione.

30 settembre 2009. È abbastanza logico che se i nostri politici vogliono puntare tutto sul turismo, non possono poi spaventare i potenziali turisti di questa ipotetica vetrina che è la Calabria dicendo loro che ci sono rifiuti tossici e radioattivi sparsi un po’ in tutta la regione. O si fa turismo o altro, che non si sa nemmeno cosa sia l’altro. Ma l’estate è oramai passata e possiamo cominciare a cantarci le corna fra di noi, tanto non ci sentirà nessuno. Un piccolo servizio di un minuto sulla collina radioattiva di Serra d’Aiello, che cosa vuoi che sia di fronte alla mole enorme, ingombrante, coprente, che ci danno i notiziari in una giornata intera, fatti di omicidi in famiglia, incidenti stradali, clima impazzito, virus A? Eppure il sindaco di Serra d’Aiello corre subito a dare contro-notizie

45 sul suo paesello e la collina radioattiva. Lo avevo già scritto precedentemente: si conoscevano già i luoghi inquinati del fiume Olivo e il sarcofago di cemento lungo il fiume e sotto la collina. Li avevano individuati diversi mesi fa i militari della Capitaneria di Porto di Vibo Valentia e il sostituto procuratore Francesco Greco, titolare dell’inchiesta sulla Jolly Rosso, aveva fatto sequestrare un’enorme area considerata completamente contaminata. Il sindaco Antonio Cuglietta dice cose interessanti: dà conferma di carotaggi avvenuti nell’area contaminata e rivela che ci fu un cospicuo finanziamento da parte della Regione a una ditta specializzata di Vibo Valentia, la Nautilus, per un ammontare di 150 mila euro. I lavori sono stati consegnati proprio pochi giorni fa e dimostrano che: “ ci sia del cesio in quell’area ma in quantità non preoccupanti, paragonabili a quelli rinvenuti in tutta la nostra regione dopo la catastrofe di Cernobyl. Cioè – dice Cuglietta - solo la quantità ricaduta sul territorio. I sospetti forse sono nati perché in alcune zone il cesio si ritrova a 4 metri di profondità e non a 50 centimetri come è di solito. Ma sono zone dove c’erano buche che sono state poi colmate da materiale di risulta, quindi un tempo erano allo scoperto. Poi lì c’è il fiume , che quindi può aver portato la sostanza più in fondo”. Il sindaco poi minimizza anche sull’incidenza dei tumori nel suo comune. “ Qui – dice Cuglietta - mi ricordo che è morto qualcuno per tumore al colon, non alla tiroide, quindi la cosa non è collegabile al cesio. E poi ricordo anche alcuni studi Arpacal che dicevano che la zona era sicura. Pure le inchieste sugli armatori della Jolly Rosso sono state archiviate. Adesso si sta facendo un gran rumore. Propongo di sederci tutti ad un tavolo, comuni, procura e ASP, per capire cosa dicono le carte, perché mi sa che nessuno ne sa abbastanza o ha le idee chiare. E comunque vogliamo chiarezza, non servizi TG, in cui si taglia quello che si dice. Con la terra del fiume Olivo si è fatto ripascimento della costa di Amantea e a Coreca: allora anche lì adesso sarebbe tutto radioattivo?”.

Il sindaco pompiere dice comunque delle cose interessanti che nei vari articoli, com’è al solito dei nostri giornalisti supini, nessuno ha fatto rilevare alla procura. Se c’è stato uno studio commissionato dalla regione Calabria e costato alla comunità calabrese ben 150 mila euro, come mai alla Procura di Paola non ne sapevano nulla? O lo studio non è mai stato fatto oppure è stato fatto male e quindi si sono buttati al vento, come al solito, 150 mila euro; o la Procura, e in questo caso il procuratore capo Bruno Giordano, spara notizie allarmanti senza avere dati reali fra le mani. Potrebbe anche essere che la Nautilus non abbia fatto studi appositi sulla presenza di radioattività, per esempio studi radiometrici, ma allora di cosa si è occupata ? Di semplici carotaggi su luoghi dove già esistevano discariche di rifiuti urbani? Non lo sapremo mai, perché quando iniziano i balletti giornalistici a chi tira più lo scoop, poi non si arriva mai a niente. E se mai facessero questo tavolo di lavoro che vuole il sindaco Cuglietta, con tutti i sindaci della zona, lo farebbero solo per gettare altra acqua sul fuoco. D’altra parte nessun comune, compresi quelli di Serra d’Aiello e Amantea, da sempre nella bocca del gorgo delle notizie, si è costituito contro l’archiviazione della Rosso operata solo qualche mese fa.

46 Dov’era questo sindaco Cuglietta quando solo il Comune di Longobardi e l’avv. Ambrosio per la Legambiente si recavano alla Procura di Paola per opporsi alla richiesta di archiviazione fatta dal PM Greco? Cuglietta dice anche una cosa che andrebbe verificata subito, e cioè che sarebbe stata usata la sabbia del fiume Olivo per ripascere le spiagge di Amantea e Coreca. Ci rendiamo conto che la notizia è gravissima? Se fosse vero che lungo il fiume Olivo ci sono sepolti rifiuti radioattivi, allora tali rifiuti, grazie al rimpascimento della costa, sarebbero stati sparsi lungo la costa tirrenica. E quest’estate migliaia e migliaia di cittadini e turisti si ci sono seduti sopra pensando di prendere il bel sole di agosto, piuttosto che il rischio di un tumore. Timori, tumori, verità mezze e intere, intrighi che allontanano la verità, quella che tutti vogliono e cercano da anni. Una verità cercata, però, solo dagli ambientalisti, da qualche giornalista scrupoloso, da qualche sindaco onesto. La Procura di Paola se avesse voluto verità sulla Rosso, avrebbe dovuto lasciare aperta l’inchiesta facendo anche carte false, anzi, doveva aprirsi ancora di più alle collaborazioni con sindaci e cittadini che, o per paura o per convenienza, sono stati zitti per anni. Zitti quando la nave stava per essere smantellata, quando il materiale all’interno della nave venne portato alle discariche di Grassullo e Foresta con la scorta di vigili urbani e carabinieri, quando la nave restò senza vigilanza dalle ore 14 del 14 dicembre alle ore 7 del mattino seguente. Zitti quando videro persone legate ai clan mafiosi di Amantea e Cetraro circolare con camion attorno alla nave, quando arrivò la prima archiviazione operata dal GIP Fiordalisi e che fece tirare un bel sospiro di sollievo a tutti; zitti ancora di fronte alla seconda archiviazione fatta dal PM Francesco Greco, l’unico magistrato che era andato vicino alla verità ma che, inspiegabilmente, l’ha poi abbandonata. Zitti quando il giudice Salvatore Carpino avallò l’archiviazione di Greco e zitti quando la capitaneria di Porto di Cetraro vietò la pesca a strascico in alcune aree di mare dove aveva rilevato la presenza eccessiva di arsenico, cobalto, alluminio e cromo. Gli appelli alla verità ora giungono da Facebook, il social network più popolato del mondo. Cittadini semplici, giovani, da tutta Italia chiedono che si faccia verità sulla Rosso e chiedono anche che sia ricostituito quell’unico Comitato che si organizzò ad Amantea per ottenere la verità e che organizzò nel 2004 l’unica manifestazione che mai sia stata fatta per la Jolly Rosso. Il comitato, nel 2004, subì minacce telefoniche e verbali, ma ebbe lo stesso il coraggio di organizzare una manifestazione che evidenziò come la cittadinanza di Amantea non ne voleva sapere nulla della Rosso e, anzi avrebbe voluto che non se ne parlasse più. Più che tumori, qui ci sono timori, per le attività balneari e commerciali. Se in quella manifestazione non fossero venuti in massa gli studenti del Liceo scientifico di Amantea, sarebbe stata un fallimento. I negozi addirittura chiusero, alcuni furbescamente misero un cartello per solidarietà alla manifestazione, altri lo fecero per non sentirsi coinvolti dalla manifestazione. Ad arte la sera prima erano state fatte circolare voci che ad Amantea sarebbero giunti i black block e i no global di Cosenza a scassare vetrine. Era fresca allora la rivolta di Genova contro il G8 e a Cosenza si stava svolgendo il processo ai tredici attivisti no global accusati dei disordini di Genova e poi

47 clamorosamente tutti assolti. Guarda caso il GIP della Jolly Rosso, che archiviò la nave già nel 1990 e la fece smantellare, Domenico Fiordalisi, era lo stesso che aveva intentato il processo ai no global. Sul palco alla fine della manifestazione non si volle che parlassero persone non allineate alla voce ufficiale, la quale voleva che non si attaccassero né politici, né sindaci che avevano governato ad Amantea durante lo spiaggiamento della Jolly Rosso, né il magistrato Fiordalisi che aveva operato alla prima archiviazione. Insomma, una normalizzazione della manifestazione che giovò solo ad alcuni politici a farsi belli. Ora ecco nuovi clamori: interrogazioni parlamentari a un ministro dell’ambiente, Prestigiacomo, che è l’ultima su questa terra a poter arrivare a una verità, sia per mancanza di competenza che per pura volontà. Gli interroganti chiedono cose che già si conoscono e che hanno una risposta nei verbali delle commissioni parlamentari fatte da precedenti governi di destra e di sinistra, in cui sono stati egregiamente interrogati tutti quelli che c’erano da interrogare. Dai rappresentanti delle associazioni ambientaliste come Nuccio Barillà che per primo, già nel 1994, aprì il caso delle navi a perdere in Calabria con un esposto al procuratore Neri di Reggio Calabria, a Messina, proprietario della Rosso e a tutti quei soggetti che in circa venti anni sono stati coinvolti nel bene e nel male nelle varie inchieste aperte dalla Procura di Paola. Questi parlamentari andassero a leggere queste carte prima di interrogare la ministra. Se si vuole la verità, non si deve perdere ulteriore tempo, nei faldoni della Procura di Paola c’è già tutto scritto: i nomi dei responsabili, i luoghi dove sono state sotterrate le scorie radioattive, le confessioni dei pentiti della ‘ndrangheta, altri tronconi di inchieste che portano a Ilaria Alpi, a Natale De Grazia, alle altre navi affondate nel Mediterraneo. Ci sono foto e video acquisiti in venti anni di lavoro. La verità è tutta lì. Ma ci sono degli affossatori di questa verità: i politici locali e regionali per prima, i sindaci della costa tirrenica, poi quelli che stanno al governo, infine gli stessi magistrati che hanno lavorato all’inchiesta e che poi hanno archiviato a più riprese. Una verità che resta sepolta nei faldoni e che non si vuole sia pubblica, nonostante la legge per le inchieste archiviate. Faldoni che per due volte, l’ultima è stata il 24 febbraio del 2009, mi hanno vietato di visionare. L’inchiesta è chiusa, ma la Procura scrive che “non si autorizza atteso che, allo stato, sono in corso indagini che non consentono la divulgazione degli atti” .

8 ottobre 2009. Scoppia il caso Marlane. Il procuratore capo della Procura di Paola, Bruno Giordano, non dà pace ai cronisti. Dopo averli subissati di notizie sulla nave Cunsky e sui rifiuti lungo il fiume Olivo, eccolo di nuovo in prima linea con un’inchiesta vecchia come quella degli operai morti della Marlane. Si parla di quaranta morti accertate e di rinvii a giudizio per un nutrito gruppo di persone che, a vario titolo, ha governato la Marlane negli anni delle morti bianche. Finalmente si è scoperchiata la pentola, ci sono voluti anni per arrivare a questo nuovo rinvio dopo varie archiviazioni e tentennamenti della stessa procura. Ma ora ci vuole l’atto definitivo di coraggio, come fece il gup Guariniello di Torino nel richiedere, per la prima volta in Italia, un processo per la Tyssen Krupp per omicidio volontario. Di quest’aspetto se ne sta occupando con

48 la solida dovizia di particolari e la solita grinta l’avv. Natalia Branda di Diamante che, grazie alla collaborazione di operai aderenti allo Slai Cobas tra cui Alberto Cunto, sta preparando una corposa denuncia a nome di una cinquantina di operai e vedove. Se passasse malauguratamente l’ipotesi dell’omicidio colposo, tutto sarebbe stato inutile in quanto le morti di molti operai verrebbero prescritte e il processo non verrebbe celebrato. Ma anche gli indagati vedrebbero ridotte le loro colpe fino a far inaridire il processo civile. Dovrebbe essere chiaro che tutti sapevano quali prodotti si usavano in quella fabbrica della morte. I dirigenti, alcune maestranze e impiegati, lo sapevano anche alcuni operai che, quando scaricavano i bidoni tossici, eseguivano l’ordine dall’alto di togliere le etichette con il teschio dipinto sui bidoni. Lo dimostra anche la perizia della dott. Aurelia Brancia, igienista industriale, che nel luglio 2008 per conto dello Slai Cobas presentò una perizia tecnica di parte sulla potenziale nocività delle lavorazioni tessili. Ecco cosa scrive a proposito del CROMO, usato e ritrovato sotterrato nel terreno attorno alla Marlane, in pieno centro di Praia a mare: “Fra tutte le sostanze chimiche – scrive la dott.ssa Brancia - con proprietà carcinogenetiche utilizzate nel corso degli anni e delle varie produzioni attuate presso la ex-Marlane sia di Maratea che di Praia a Mare, è più che ragionevole ipotizzare che abbiano fatto la parte del leone i coloranti, sia organici che inorganici. Per il Cromo, è ormai universalmente noto che nella sua forma chimica esavalente è un potentissimo cancerogeno, che qualora presente in sali insolubili ha come organo bersaglio prevalentemente il polmone, che è il primo organo interno con cui le polveri inalate vengono a contatto, ma che nella sua formulazione in sali solubili, quali senza meno quelli utilizzati per la preparazione dei bagni di tintura, non ha organo bersaglio preferenziale e può pertanto essere responsabile di neoplasie maligne in qualunque organo del corpo umano, tanto da essere assurto a notorietà popolare con un film che ricostruiva la storia, vera, di un piccolo centro californiano, Hynkley, dove a seguito della comparsa e poi dell’eccessivo incremento di tumori si scoprì che una fabbrica aveva provocato una contaminazione massiva e diffusa di Cromo esavalente della falda acquifera. L’impiego di sali solubili di cromo si deduce inequivocabilmente dalle CTU a cura dell’ing. Lama e dal Prof. Crescenzi, e dalla CTU medico-legale a cura del Prof. Arcudi, che hanno avuto modo di esaminare le schede di sicurezza dei coloranti adottati e utilizzati presso la ex-Marlane e facenti parte degli atti processuali. La persistenza di Cromo esavalente a tutto il 2006, e quindi ben dopo la cessazione delle attività produttive, persino in alcuni punti dei terreni circostanti la sede dell’ex- Marlane è provata dai referti delle analisi eseguite nell’ottobre del 2006 a cura del Laboratorio Chimico del Dipartimento di Cosenza dell’Arpa Calabria per conto della procura della Repubblica di Paola.

Si noti che nel 1999 erano trascorsi ben sette anni dall’eliminazione dei coloranti azoici in alcuni Stati membri della Comunità Europea: ciò equivale a dire che già nel 1992 vi erano evidenze scientifiche tali da indurre il mondo produttivo a cercare

49 alternative a tali prodotti per la tintura di prodotti tessili e del cuoio. È impensabile che un Medico Competente, e quindi come tale “addetto ai lavori”, ignorasse ciò che persino il mondo industriale europeo conosceva” È da tener presente, inoltre, che i coloranti azoici sono assorbibili anche per via cutanea, ed è stato senza meno questo il motivo per cui è stata vietata persino la commercializzazione di prodotti finiti tinti con coloranti azoici.

Nella Marlane non si usavano solo coloranti venefici, c’era anche l’Amianto. Si può ben dire che gli oltre 150 macchinari tessili della Marlane avevano dei freni all’amianto. E quando gli operai frenavano la macchina, l’amianto si polverizzava e saliva nell’aria depositandosi ovunque. Spesso, con uno spruzzatore d’aria, si ripulivano sia le macchine sia i luoghi di lavoro, con l’effetto di rimandare tutto nell’aria. Quindi, una strage annunciata. Una strage che si poteva sicuramente evitare, adottando le necessarie misure di sicurezza. Una strage che avrebbe risparmiato la vita agli oltre 100 operai e a diversi cittadini praiesi, dal momento che nei terreni attorno alla Marlane sono stati trovati rifiuti tossici sotterrati, fra i quali il CromoVI. Operai e cittadini morti nel silenzio delle autorità, dei sindaci, della politica e dei politicanti da quattro soldi, che ora fanno la fila per fare passerella e vedersi a fianco degli operai Marlane, allo stesso modo delle vittime dei rifiuti tossici nel Fiume Olivo. Ma dov’erano, chiedo a tutti, quando gli operai della Marlane, quei quattro operai coraggiosi, aderenti allo Slai Cobas, un piccolo sindacato sconosciuto, gridavano ai quattro venti delle morti? Dov’erano i sindacati ufficiali, quelli che corrono quando ci sono licenziamenti e fanno chiudere, senza muovere un dito, la fabbrica? Com’è successo non solo alla Marlane, ma anche alla Emiliana tessile di Cetraro e alla Foderauto di Belvedere. Molti politicanti si sono visti domenica 4 ottobre ad Amantea nella palestra della Scuola media, si affannavano a portare solidarietà ai morti di tumore della Valle dell’Olivo. Ma non c’erano quando gli ambientalisti, già dieci anni prima, gridavano al disastro ambientale e alle false indagini sulla Jolly Rosso.

Ora apprendiamo notizie terribili leggendo la relazione fatta dal dott. Giacomino Brancati per conto della Procura di Paola. La relazione è top secret, ma penso sia giusto, per amore della verità, che la gente sappia cosa sia successo e sta succedendo attorno a noi. É giusto che la gente sappia perché stiamo morendo di tumori piuttosto che di vecchiaia, come succedeva fino a venti anni fa. Nelle conclusioni della sua relazione di 126 pagine, il dott. Brancati: “conferma l’esistenza di un eccesso statisticamente significativo di mortalità nell’area nel distretto sanitario di Amantea rispetto al restante territorio regionale, dal 1992 (la Jolly Rosso è spiaggiata nel dicembre del 1990 ndr) al 2001, in particolare nei comuni di Serra d’Aiello, Amantea, Cleto e Malito. A tale proposito è importante tenere presente che : 1) L’eccesso di mortalità nel comune di Serra d’Aiello è poco specifico, anche se diverse evidenze fanno propendere per un eccesso di mortalità per tumori maligni, in particolare del colon, del retto, del fegato, degli organi genito-

50 urinari e della mammella; 2) l’eccesso di mortalità nel comune di Amantea riguarda i tumori maligni del colon; 3) l’eccesso di mortalità nel comune di Cleto riguarda le malattie dell’apparato cardiovascolare; 4) l’eccesso di mortalità nel comune di Malito riguarda i tumori maligni del colon. Vi è stato altresì un eccesso statisticamente significativo di ricoveri ospedalieri rispetto al rimanente territorio regionale, dal 1996 ad oggi nel distretto sanitario di Amantea ed in particolare nel comune di Serra d’Aiello, in parte per le stesse cause. Si conferma – continua la relazione - l’esistenza di un pericolo attuale per la popolazione residente nei territori dei comuni di Amantea, San Pietro in Amantea e Serra d’Aiello, circostante il letto del fiume Olivo a sud della località Foresta (centri di Campora san Giovanni, Coreca e case sparse comprese tra il mare e la località Foresta) dovuto alla presenza di contaminanti ambientali capaci di indurre patologie tumorali e non (metalli pesanti, radionuclidi artificiali). L’entità del danno ambientale è consistente sia in ragione della tipologia delle sostanze presenti che in rapporto al luogo in cui sono dimesse (con un rapporto stretto con il letto del fiume Olivo). Menzione specifica e particolare merita il rilievo di radionuclidi artificiali e in particolare dell’isotopo del cesio 137 (cs) la cui presenza e diffusione impone azioni tese ad una caratterizzazione ulteriore e rende la fattispecie del danno ambientale assai più grave. A tale proposito occorre rilevare la suggestiva evidenza di un eccesso di tumori maligni della tiroide nei territori più prossimi ai siti di contaminazione, che ancorché al di sotto del limite di significatività statistica concorda con la presenza anomala di CS. Infine, conclude il dott. Brancati -“si conferma ancora l’impossibilità di esprimersi scientificamente in termini di casualità netta per l’associazione tra esposizione a sostanze chimiche ed eccesso di mortalità e/o ricovero ma le evidenze attuali rafforzano la sensazione che siano effettivamente presenti una quantità e tipologia di inquinanti ambientali nel suolo e nelle acque e in atmosfera in ambito del bacino fluviale del fiume Olivo tali da poter condizionare un danno per la salute dei residenti oltre che per l’ambiente circostante.”

Purtroppo non finisce qui la sequela di tumori. A queste terribili situazioni, tenute nascoste per anni dalle autorità sanitarie, va aggiunto uno studio recente fatto nel comune di Paola, dal dott. Cosmo De Matteis, responsabile nazionale dei medici italiani. Su 12.590 pazienti, nel comune di Paola, la percentuale di giovani ammalati di tumore è quattro volte superiore alla media nazionale. Il dott. De Matteis dimostra che, nella fascia fra i 30 ed i 34 anni, i giovani si ammalano di tumore con una media del 2,90%, mentre la media nazionale arriva allo 0,74% per gli uomini e dello 0,86% per le donne. Nella fascia fra i 35 ed i 39 anni la media è del 2,07, contro quella nazionale dell’1,24% per gli uomini e dell’1,78% per le donne. Nella fascia fra 40 ed i 44 anni la media è del 4,15%, contro il 2,11% per i maschi e il 3,33 % per le donne. Infine, nella fascia fra i 60 ed i 64 anni, il tasso giunge al 15,77% che risulta superiore all’ 11,43% dei maschi e dell’11,69% delle donne.

I tumori non si prescrivono, i processi sì. I responsabili criminali dei

51 sotterramenti, degli affondamenti, dei rifiuti nascosti nelle cave, nei fiumi, nelle campagne, circolano liberamente. La legge non solo li assolve, ma li protegge sotto certi aspetti. Perché queste persone, anche se coinvolte in azioni criminali che li hanno visti indagati e imputati in processi, sono ancora tenutari di varie licenze con le quali si riciclano in altri lavori simili. Nei processi se la sono cavata tutti. In quello della Pertusola con la prescrizione: 35 mila tonnellate di ferrite di zinco ancora giacciono nelle campagne del cassanese e stanno uccidendo per tumore decine di persone ignare. Il principale indagato è a tutt’oggi ancora consigliere regionale, nei banchi del centrosinistra fino a poco tempo fa ora di nuovo nel centrodestra, ed ha anche creato un gruppo che siede fra i banchi della provincia di Cosenza. Altri imputati del processo, arrestati negli anni 90, continuano la loro esistenza di imprenditori in vari settori. Quelli del depuratore di Tortora, arrestati dai carabinieri in un’operazione che portò a scoprire la scomparsa di migliaia di litri di sangue putrefatto, hanno cambiato licenza intestandola ad un altro personaggio, anch’egli perseguito dalla legge in Campania ed in Puglia. L’impianto di Tortora, non più WTS, è stato nuovamente sequestrato dai carabinieri nel mese di luglio. E ancora sono in circolazione e lavorano in altri luoghi coloro che volevano aprire un impianto di materiale proveniente dalla macellazione, nel comune di Santa Domenica Talao. Qui, in piena campagna, è rimasta un’enorme vasca contenente materiale inquinante e tossico. Continua la sua attività anche colui il quale era stato inquisito per i rifiuti ospedalieri che nel 1989 si volevano bruciare nella fornace di Contrada Sant’Angelo in Scalea. Ora è un imprenditore che gestisce un albergo camping, inserito dalla Legambiente nazionale fra le opere abusive costruite sul demanio da abbattere. Ma qui il demanio e le capitanerie di porto sono impegnate su altri fronti più leggeri. É tutta gente per bene questa, che si indigna se vede il proprio nome pubblicato su qualche giornale ( cosa rara) . Loro sono professionisti, imprenditori, democratici che aiutano la gente, che semmai vengono pure ai convegni e alle manifestazioni per l’ambiente e per il recupero delle navi dei veleni ( qualcuno di questi personaggi è stato visto ad un convegno sulla Marlane a Praia a Mare); persone che danno posti di lavoro e se c’è qualcuno (pochi) che denuncia questi fatti, sono i soliti ambientalisti e terroristi che lavorano contro la Calabria. Scriviamolo a chiare lettere che, se vogliamo salvare questa regione, dobbiamo prima di tutto denunciare i responsabili di questi disastri e quei politici che li coprono da sempre, a destra come a sinistra.

12 ottobre 2009. Gli ambientalisti contestano al porto di Cetraro l’euro parlamentare Mario Pirillo accusandolo di non aver fatto niente negli anni del silenzio sulla Rosso e i veleni nella valle dell’Olivo.

52 OCCUPAZIONE FERROVIA CETRARO

12 ottobre 2009. Non si è fatta attendere la protesta dei pescatori di Cetraro che ieri, alle otto del mattino, sono partiti in trecento dalla piazzetta San Marco del piccolo borgo marinaro diretti verso la stazione ferroviaria per occuparla. Si sentiva nell’aria l’occupazione della rete ferroviaria fin dalla sera precedente quando il sindaco di Cetraro, Aieta, aveva convocato una manifestazione nel porto sul tema della nave dei veleni. Una manifestazione iniziata alle 17 con una forte tensione proprio fra i pescatori e il sindaco, il quale aveva dato ordine di costruire il palco dalla parte “bene” del porto e cioè quella dei diportisti. I pescatori si sono spostati dalla parte opposta, ossia dove vi sono i loro barconi, le paranze, le attrezzature da lavoro. Il sindaco è stato costretto a far spostare il tutto per evitare una vistosa, quanto imbarazzante, spaccatura fra i partecipanti alla manifestazione. Sull’improvvisato palco, costituito dall’enorme muraglione del porto, la solita passerella politica che ha infastidito tutti i presenti, specie quando è arrivato l’eurodeputato Pirillo. I fischi si sono sentiti, partiti non solo dalla parte dove vi erano numerosi ambientalisti, ma anche da vari settori della piazza. La cosa innervosiva non poco l’eurodeputato che, mentre se ne stava andando con un gruppetto di suoi sostenitori, ha visto fra le mani di un

53 ambientalista paolano un manifestino distribuito fra la gente dove si richiamava, attraverso una foto dell’europarlamentare, l’assenza dello stesso nel periodo dello spiaggiamento della Rosso ad Amantea, suo paese d’origine. In difesa del giovane paolano, preso a brutte parole dialettali dal poco onorevole europeo, interveniva una giovane avvocatessa di Cetraro mettendosi incautamente in mezzo e ricevendo un forte spintone aggiunto ad altre parolacce. Insomma, la politica non vuole essere criticata e men che meno non riverita. Gli ambientalisti ben conoscono questi personaggi che hanno investito negli anni passati diverse cariche, comunali, regionali, provinciali, nazionali e mai si sono dati da fare per far venire a galla la verità, né sui rifiuti tossici nella valle del fiume Olivo, né sulla nave nei fondali di Cetraro. Cose che ben si conoscevano e che erano diventate il segreto di pulcinella. Solo loro, i politici, facevano finta di non sapere per non disturbare la macchina del turismo, mentre la gente moriva e continua a morire di tumore. Dalle parole del sindaco Aieta trapelano la confusione e contraddizione più totale. Prima dice che il pesce è buono, poi dice che la nave è lì da vent’anni, poi dice che secondo lui non ci sarà nulla lì sotto e poi alla fine chiede al governo che venga tolta la nave. Alla fine i pescatori restano con un pugno di mosche in mano. Nessun politico che sia venuto con un dato di fatto serio, che possa dire che la risoluzione dei problemi legati alla balneazione, alla radioattività, alla pesca e al turismo si possano risolvere in breve tempo. Nessun politico sta facendo niente di positivo e serio. La gente cosa vorrebbe in definitiva? Chiede un impegno concreto: che i sindaci si leghino su un barcone, che scendano in piazza con loro, che occupino l’autostrada, le strade, le ferrovie con le loro fasce tricolori. Altrimenti che ci stanno a fare nei comuni? Si chiedono. E alla stazione non c’era un solo sindaco dell’alto Tirreno cosentino, neanche lo stesso sindaco di Cetraro, Aieta, che si dice sia andato in prefettura a Cosenza mentre i suoi cittadini erano nella stazione. In effetti i pescatori, dopo solo cinque ore di occupazione della ferrovia, sono riusciti ad ottenere, grazie anche alla massiccia presenza del sindacato della CGIL con tutti i dirigenti locali, territoriali e regionali, la convocazione, per la settimana prossima, di un tavolo presso la presidenza del Consiglio che affronti il problema della pesca e dei pescatori oltre che del recupero della nave nel fondo del mare di Cetraro. Questo non è un colpo per tutti i sindaci, le province calabresi, la regione? Questa non era una cosa che avrebbero dovuto fare loro, le istituzioni, con le loro fasce tricolori? Invece, ecco un manipolo di trecento pescatori che parte da una piazzetta, raggiunge la stazione e mette di traverso una barca sui binari. Una scena felliniana, che ha dato il senso della disperazione ma anche della giusta rabbia della gente nei confronti delle istituzioni, che poco si occupano dei problemi della gente. Ora si attende la soluzione dal tavolo di lavoro. Gli ambientalisti, invece, preparano la manifestazione del 24 ottobre ad Amantea che avrà caratteristiche nazionali e che prevede l’arrivo nella piccola cittadina di migliaia di persone e centinaia di pullman. Il momento per dimostrare all’Italia intera che esiste un’altra Calabria che con forza, ma anche con molte difficoltà, si oppone alla Calabria ‘ndranghetista e politicamente corrotta e che, soprattutto, non ha paura.

54 21 ottobre 2009. Arriva la Mare Oceano.

MARE OCEANO

21 ottobre 2009. L’assalto dei giornalisti alla Geolab a Cetraro, mentre, la settimana scorsa, i pirati somali assaltavano nei loro mari, due navi della Linea Messina. Per fortuna l’equipaggio delle navi Messina è riuscito a salvarsi portando le due navi lontane dai pirati. Ironia della sorte, una delle due navi si chiama Jolly Rosso! Lo stesso è avvenuto alla “Mare Oceano” della Geolab di Pozzuoli, assaltata da una ventina di giornalisti al seguito del sottosegretario all’ambiente Roberto Menia. Tutto ha avuto inizio mercoledì scorso, verso le 9, davanti alla capitaneria di Porto di Cetraro. Le forze dell’ordine erano già in fibrillazione sin dalla mattina. I carabinieri, frenetici, erano intenti a creare un cordone attorno al sottosegretario e i giovani della capitaneria, in bianco e in picchetto d’onore, pronti a scattare sull’attenti all’arrivo della personalità. Di fronte alla capitaneria un drappello di pescatori cetraresi incavolati per le continue promesse di sussidi che ancora, a distanza di due mesi, non hanno ricevuto. I più arrabbiati gridano le loro condizioni economiche. Mutui da pagare per l’acquisto delle barche, bollette della luce scadute, tributi comunali, mantenimento dei propri figli

55 a scuola. “Non ho venduto un solo chilo di alici oggi ” – ha detto un pescatore. “Devo buttare quello che mi è rimasto e campare la giornata con 5 – 6 euro di guadagno”. Insomma, un problema di sopravvivenza che ha portato i pescatori a chiedere un incontro al baldo sottosegretario per sottoporgli la loro situazione. E all’arrivo dell’auto blu, con dentro il sottosegretario Menia , con tanto di guardia del corpo e autista, ecco l’assalto di tutti : giornalisti, fotografi, radio e pescatori. Il sottosegretario si butta subito negli uffici della capitaneria, circondato da un robusto servizio d’ordine fornito dalla Digos di Cosenza - con il super ispettore Cantafora in testa - mentre i carabinieri e le guardie della capitaneria chiudevano subito il cancello d’ingresso in faccia ai giornalisti ed ai pescatori. Dopo un quarto d’ora rispunta il sottosegretario, ma solo per rimettersi nell’auto blu e sfrecciare subito verso la fine del porto. Ad attenderlo c’è una motovedetta della capitaneria che lo trasporterà insieme ai giornalisti sulla “Mare Oceano” della Geolab al largo di Cetraro, sul luogo del "delitto" dal giorno prima, e posta a undici miglia proprio sopra il relitto dei veleni. La corsa dietro l’auto blu di tutti noi giornalisti ha qualcosa di fantozziano, ma alla fine riusciamo a sistemarci alla bene e meglio sull’imbarcazione e partiamo felici e contenti verso l’agognata preda. Durante il viaggio il sottosegretario, furbescamente, si sottrae alle domande di carattere tecnico anche perché, reduce del forte scontro avuto a Roma nel suo ufficio con l’assessore regionale all’ambiente Silvio Greco, apostrofato dallo stesso sottosegretario come un provocatore, solo perché non riusciva a rispondere alle sue domande. Certamente, se un biologo marino prestato alla politica regionale fa una domanda troppo intrigante sulla nave di soccorso e i suoi compiti, i nervi saltano subito all’incauto sottosegretario. E quando i giornalisti gli si fanno attorno nella plancia di comando della nave “Mare Oceano”, eccolo subito mettere davanti a sé, quasi come uno scudo, non la solita Digos onnipresente per tutto il viaggio di andata e ritorno, ma i comandanti della nave, qualche biologo e qualche tecnico. A parte il buffet, offerto dal capitano della nave, a base di pesce congelato, si ritorna a terra con un senso di amaro in bocca. Le risposte che volevamo non le abbiamo ottenute. La prima più di tutte, fatta da diversi giornalisti, era quella sul contenuto dei famosi fusti. Si prenderanno o no? Se ne estrarrà qualcuno per analizzarlo e sapere cosa c’è dentro, e soprattutto, sapere se c’è qualcosa dentro? “No”, risponde il comandante. Il Row, di quarta generazione, farà solo foto, prenderà misurazioni della nave, farà un’immagine tridimensionale del tutto e scannerizzerà il fondale alla ricerca di eventuali sedimenti radioattivi. A proposito delle radiazioni esterne alla nave l’assessore Greco ha subito posto il problema della ricerca dei raggi gamma, piuttosto che di quelli alfa, ma la nave non ha questa strumentazione. Primo flop, che anche qualche giornalista più intraprendente aveva posto al comandante. Se non si prendono i fusti, che siete venuti a fare? E poi seconda domanda bollente, alla quale si è avuta invece una risposta precisa. Quando sapremo i risultati di tutte le vostre analisi? “Noi non daremo alcuna informazione a chicchessia”, ha risposto il comandante. Tutto qui, resta secretato dalla DDA di Catanzaro e quindi tutto quello che uscirà sui nostri tabulati sarà segretamente spedito direttamente a loro. E la verità chi la

56 dirà quindi? Come saremo sicuri che quanto ci verrà detto sarà vero? Chi ci rassicurerà davvero, nel caso che si dica che quella nave trasportava latte? Sarà vero o sarà falso? Con questi dubbi e convinzioni tutti siamo ritornati a terra, in attesa di novità sui movimenti prossimi della nave. Novità subito deluse. La nave Mare Oceano si è allontanata da Cetraro diretta al porto di Vibo. Il mare è in tempesta. L’operazione tutta costa allo stato ben 350 mila euro per una sola settimana di rilievi e, ogni giorno di fermo in più, dalle trentacinque mila alle quaranta. Una bella spesa che secondo il governo giustifica i silenzi precedenti, i ritardi, le incomprensioni. Una spesa inutile dice l’assessore Greco e lo stesso Presidente della regione Loiero. Quello che dovrà fare la Mare Oceano già lo sappiamo. Esistono altre navi per svolgere questo tipo di lavori di recupero con la tecnologia necessaria a prendere uno dei fusti all’interno della nave, rinchiuderlo in una cabina di sicurezza congelante e studiarlo in un laboratorio specializzato. Era questo che le popolazioni avrebbero voluto vedere di fronte a Cetraro, cosa che avrebbe tranquillizzato tutti sulla bontà dell’intervento e sulla certezza di conoscere in tempi brevi cosa fare dell’economia territoriale. Positivo, invece, l’altro fronte lungo il fiume Olivo. Qui nella settimana prossima, per conto del ministero dell’ambiente, dovrebbero iniziare i lavori di bonifica da tutte quelle attività radioattive che provengono dai siti dove – stando ad alcune passate ipotesi investigative - sarebbero finiti i rifiuti provenienti dalla Rosso nel 1990. Restano nell’ombra i sindaci calabresi che in questa storia non hanno avuto la capacità di assumere un ruolo preciso. La marcia su Roma di una trentina di sindaci, con tanto di fascia tricolore e stazionamento davanti Palazzo Chigi, è stata solo patetica. Ricevuti a pesci in faccia dai rappresentanti del governo, se ne sono tornati sconsolati. Oggi come ieri i sindaci non sono riusciti ad essere catalizzatori delle giuste proteste dei cittadini, i quali li hanno invece trovati nei comitati e nelle associazioni ambientaliste che hanno indetto la grande manifestazione sabato 24 ottobre alle ore nove ad Amantea.

24 ottobre 2009. La grande manifestazione ad Amantea. E chi se l’aspettava quella folla? Oltre 35 mila persone di sicuro, giunte da tutta la Calabria nonostante un temporale fortissimo. Una manifestazione durata tutta la giornata, che è nata dal basso, creata giorno per giorno nella sede del WWF e in quella della CGIL di Amantea, da tantissimi giovani e meno giovani entusiasti per quanto stavano mettendo in moto. C’era tanta paura per la riuscita della manifestazione, pesava sulle spalle di tutti il fallimento della precedente manifestazione del 2004. Pochissime persone, quella volta, quasi scarsa la partecipazione della gente di Amantea e del circondario. Ora la sensazione è diversa. I membri del super comitato - formato da tante sigle provenienti da tutta la Calabria, da parti più vicine come Diamante, Cosenza, Aiello Calabro, a zone più lontane come Crotone, Cassano, Reggio Calabria - ora sono fiduciosi sulla riuscita della manifestazione. Il polso lo hanno avuto girando paese per paese a organizzare convegni, incontri, tavole rotonde. I quotidiani regionali e nazionali come Repubblica, l’Unità, Il Manifesto, Carta, hanno preso a cuore la manifestazione e ogni giorno pubblicano comunicati e notizie su quanto si sta organizzando. Le voci che girano sono confortanti e

57 le adesioni crescono giorno dopo giorno, fino a raggiungere la cifra di oltre 250 associazioni e diversi comuni della provincia, oltre che istituzioni quali la Regione Calabria e le cinque Provincie. L’organizzazione del corteo è abbastanza ferrea e decisa. Davanti ci saranno le associazioni ambientaliste, poi a seguire i sindacati, CGIL in testa, gli studenti, i partiti e infine le istituzioni con i sindaci e i gonfaloni. Non ci saranno passerelle politiche e sul palco parleranno solo l’assessore regionale all’ambiente Silvio Greco e l’assessore all’ambiente della provincia, Aiello. La sera precedente, al posto dell’assessore Aiello, si decide che a parlare sia il Presidente della Provincia on. Oliverio. La cosa non piace alla piazza che vede una politicizzazione della manifestazione e, quando è annunciato il suo intervento, la piazza intera esplode in urla e fischi, tanto da far rinunciare allo stesso presidente dal parlare.

Questo il mio intervento dal palco a nome delle associazioni e centri sociali della Calabria. Parlo a nome del Movimento Ambientalista del Tirreno del quale sono coordinatore, del Comitato Beni Comuni di Cosenza e provincia, della rete No Ponte e di tanti comitati e centri sociali che hanno aderito a questa manifestazione. Parlo a nome dei senza voce, di coloro che nessuno ascolta, di quelle vittime vere di questa tragedia che sono i tanti malati di tumore, costretti dalla malattia a frequentare i nostri ospedali di merda, costretti ad emigrare al nord per ricevere le cure adeguate. Parlo a nome degli avvelenati, avvelenati dalla ‘ndrangheta, da questa quaraquaquà senza onore né dignità, avvelenati dalle prescrizioni giudiziarie sempre favorevoli a questi ominicchi, avvelenati dai depistaggi, da questa politica che dimostra di non avere nessuna credibilità in quanto essa stessa inquinata e tossica. Avvelenati da questi sindaci che si recano a Roma in ginocchio e che non sanno che pesci prendere, di sicuro all’arsenico, al cobalto, al cromo. Parlo a nome degli operai avvelenati della Marlane di Praia a Mare, morti nel silenzio di tutti (politici, sindacati, sindaci, istituzioni), ancora senza giustizia nonostante 150 morti accertati di tumore. Avvelenati da diciannove anni di silenzi, archiviazioni, depistaggi, magistratura corrotta che ha permesso che la Jolly Rosso fosse smantellata. Noi ambientalisti antagonisti, ribelli, non siamo qui per fare passerella, per mostrarci, per avere visibilità, per essere eletti alla regione o alla provincia o al comune, siamo qui per dimostrare la presenza e la forza libera e autodeterminata pulita, che chiede verità sulla Jolly Rosso e sulle navi che ci avvelenano, siamo qui per chiedere che subito si faccia la bonifica dei nostri territori. A Crotone nella città, come a Sibari, dove ancora sono sepolte 35mila tonnellate di ferriti di zinco, come a Praia nella Marlane o a Costapisola o nelle campagne di Bisignano. Siamo qui perché stanchi di vedere massacrato il nostro territorio e se la politica dei partiti e delle poltrone oggi ci ascolta, chiediamo e dobbiamo avere la forza di imporre loro di fermare la politica dell’incenerimento che produce solo diossina e altri tumori e guadagni per chi li fa; chiediamo all’assessore Greco di fermare, con la stessa determinazione che gli riconosciamo avuta per questa storia, i megaporti come quelli di Diamante, Praia, Paola che provocherebbero solo erosioni e nuove e più forti mareggiate; chiediamo un no

58 secco e deciso all’avvio dei lavori di questa enorme e inutile opera che è il ponte sullo stretto; venga con noi, con la rete No Ponte a fermare il prossimo 19 Dicembre a Villa San Giovanni la posa della prima pietra, per tutto questo siamo qui, stanchi di questa politica di carrieristi, ignoranti, dalla quale non ci sentiamo rappresentati, auto- organizziamoci nei territori, nei quartieri, nelle scuole, ribelliamoci se vogliamo davvero essere liberi e liberare per sempre la nostra terra. Ribelliamoci, non abbiamo niente da perdere se non i nostri tumori.

COMIZIO SUL PALCO

MANIFESTAZIONE

59 24 ottobre 2009. Esce il libro “Le navi dei veleni” di Massimo Clausi e Roberto Grandinetti. Il libro viene presentato per la prima volta ad Amantea dagli stessi giornalisti al termine della manifestazione.

25 ottobre 2009. I perché di quei fischi. La marea di gente che ha invaso piazza dei cappuccini ad Amantea il sabato scorso ha visto in Oliverio l’agnello sacrificale della politica calabrese. Una piazza cosciente, matura, certa di quello che faceva e che ha ben individuato nella nostra politica l’origine dei propri mali. I fischi erano contro la politica e non contro Oliverio, e bene ha fatto il presidente della provincia a non salire su quel palco. La stessa piazza non ha reagito minimamente quando vi è salito l’assessore all’ambiente Greco e nemmeno quando vi è salito il segretario della CGIL Genco, entrambi individuabili come esponenti istituzionali e quindi possibili obiettivi di fischi. In quella piazza non erano le istituzioni a essere oggetto di fischi, ma la politica. E quando i rappresentanti delle varie associazioni, ognuno con i propri toni, prima e dopo dei fischi a Oliverio, accennavano nei loro interventi alla politica silente degli anni passati sul caso dei veleni interrati, la piazza esplodeva in applausi. Questo clima si era ben avvertito. Era nell’aria. Vi erano state delle avvisaglie un paio di settimane prima quando nel porto di Cetraro, in una manifestazione organizzata dal sindaco Aieta, la gente fischiò e contestò l’europarlamentare Pirillo il quale, stizzito e non abituato a contestazioni plateali, è sceso dal palco e ha strappato un volantino dalle mani di un militante ambientalista in cui, sotto una sua foto, si chiedeva dove fosse stato dal 1990 al 2009! Domande legittime a tutti i politicanti, siano essi di destra o di sinistra. Lo stesso comitato organizzatore della manifestazione, composto da decine di sigle ambientaliste e comitati civici, aveva avvertito con un comunicato uscito qualche giorno prima che ad Amantea non ci sarebbero state passerelle politiche, pur decidendo che su quel palco avrebbero parlato sia l’assessore Greco sia il presidente della provincia Oliverio,

60 pensando di far passare il suo intervento come un passaggio istituzionale. Ma così non è stato. La piazza ha ben compreso il lavoro da tecnico dell’assessore regionale Greco e quello di Oliverio più politico. Il clima della piazza si era anche avvertito poco prima che il corteo partisse, con le palesi contestazioni all’ex assessore regionale Diego Tommasi e all’ex assessore regionale all’ambiente Sergio Stancato, coinvolto nel 1989 nell’inchiesta sulle ferriti di zinco della Pertusola di Crotone. Entrambi, individuati da diversi manifestanti, sono stati presi a cattive parole in attesa che il corteo partisse. Stancato xxxx si è subito prudentemente allontanato dal corteo, mentre Tommasi si è defilato facendo attenzione a non muoversi più dallo spezzone dei sindaci messo in coda al corteo, ed evitando alla fine di entrare nella piazza. I partiti, i politici di professione, se hanno ancora un po’ di intelligenza, proprio partendo dalla piazza di Amantea, dovrebbero capire qual è il clima che si respira in Calabria nei loro confronti e cambiare rotta. Devono scendere nella strada, abbandonare le stanze delle loro segreterie e delle poltrone e stare dalla parte della gente. L’andata a Roma dei trenta sindaci a protestare con il governo è stata davvero penosa. La gente si attende dai sindaci proteste vere ed efficaci, che impongano al governo interventi seri per risolvere completamente la questione rifiuti tossici e non l’invio di inadeguate navette che gli unici “bidoni” capaci di prendere sono quelli che danno ai cittadini stessi!

26 ottobre 2009. Ho l’impressione che gli unici bidoni li prenderemo noi. Bidoni pieni di bugie, depistaggi, nuove archiviazioni, falsità. Girano voci strane nel porto di Cetraro, che diventano boatos veri e propri e sembra provengano proprio dalla nave "Mare Oceano", che da stamani interrompe il suo lavoro. Per una settimana di foto ha preso la bellezza di 350mila euro. Voci che anticipano cose secretate e che, dalla nave posta a 11 miglia sopra la Cunsky, andranno direttamente sulla scrivania del procuratore della DDA di Catanzaro, Vincenzo Lombardo, titolare dell’inchiesta. Sarà il Procuratore a decidere come interpretare le analisi che gli giungeranno sul tavolo e, soprattutto, se vale la pena di diffonderle stante il clima che esiste in Calabria specie in materia del pescato. Le voci dicono che quella nave non sia la Cunsky ! Le misure in possesso della “Mare Oceano” non corrispondono a quelle della nave nei fondali di Cetraro fornite dalla "Coopernaut" della Regione Calabria. Di conseguenza, non è una nave dei veleni e quindi non sarà necessaria più alcuna operazione, né di recupero dei fusti, né di recupero della stessa nave. Arrivederci e grazie, è stato un vero piacere. Questa tesi peraltro era stata suffragata sin dall’inizio della vicenda dallo stesso sottosegretario Menia in arrivo a Cetraro il 22 ottobre scorso. In un’intervista concessa all’ADN kronos, il sottosegretario ebbe a dichiarare: “Potremmo avere la sorpresa che non sia la "Cunski" come afferma il pentito, ma qualcos’altro, per esempio una nave in cui non vi è assolutamente presenza di materiale nocivo. Potremmo invece scoprire cose diverse e allora com’è giusto e doveroso, si agisce di conseguenza e con le dovute cautele del caso". Il sottosegretario inviato dalla Ministra Prestigiacomo, che nemmeno si è degnata di fare un viaggio di persona sui luoghi, già sapeva tutto, già sapeva che quella non era

61 la Cunsky. Più che un sottosegretario sembra un mago che conosce il futuro. Ma non è solo lui ad avvalorare questa tesi. Anche la Gazzetta del Sud, giornale notoriamente filo governativo, vi ha ampiamente scritto. Il giornale calabrese scrisse che la nave Cunsky fu costruita nel 1956 ad Hartlepool (Gran Bretagna) con il nome originario di "Lottinge". Ha sempre battuto bandiera inglese e cambiato nome in tre distinte occasioni: nel 1974 fu chiamata "Samantha M"; nel 1975 fu battezzata "Cunsky" e nel 1991 rinominata "Shahinaz". Al momento dell’inabissamento – per il pentito avvenuto nell'ottobre del '92 – si chiamava dunque "Shahinaz". Ma di questa notizia non è venuta nessuna verifica, né da parte della Procura di Catanzaro, né da nessun altro quotidiano, quindi è rimasta fine a se stessa. Evidentemente, già ci si lavorava sopra se il sottosegretario l’anticipò prima ancora di salire sulla "Mare Oceano" insieme ai giornalisti calabresi. Dire che quella nave non è la Cunsky, per il governo e per tanti depistatori e sabotatori della nostra Calabria, vorrebbe dire uscire da questa storia senza grossi danni. É stato un abbaglio della Procura di Paola e del Procuratore Bruno Giordano per primo, poi della Regione Calabria e dell’assessore Silvio Greco, e poi di tutte quelle associazioni ambientaliste che, fin dall’inizio, hanno cavalcato la tesi del traffico delle navi dei veleni. Questo vorrebbe dire che tutto potrebbe ritornare alla normalità, far riprendere la pesca, far riaprire le pescherie, rimettere in moto un’immagine della Calabria persa in questi mesi, occultando la prova principale che era la nave. La cosa mi ricorda l’articolo che uscì, sempre sulla Gazzetta del Sud, il 20 giugno del 1991 dal titolo:

QUASI COMPLETATA L’OPERAZIONE DI DEMOLIZIONE DELLA "ROSSO" Amantea: Nessun materiale nocivo all’interno dei container trasportati dalla nave arenata. Si sta quasi completando ad Amantea, l'operazione di demolizione della grossa nave da carico "Rosso" della società Ignazio Messina SpA di Genova, che proveniente da Malta e diretta a La Spezia, si arenò sulla spiaggia in località "Le Formiciche" il 14 dicembre dello scorso anno per una violenta tempesta di mare. All'atto dell'insabbiamento del cargo nella zona si era creato un falso allarme facendo supporre che trasportasse container con materiale inquinante mentre gli stessi container da quanto è risultato dall'inchiesta giudiziaria contenevano vettovaglie varie tra cui sostanze alimentari e generi di consumo. L'inchiesta è stata diretta dal sostituto procuratore della Repubblica di Paola, dott. Fiordalisi e coordinata dal comandante in seconda della capitaneria di porto di Vibo Valentia, capitano di fregata Giuseppe Bellantoni. Il fatto, però, che per oltre sei mesi il relitto è rimasto arenato nella suggestiva spiaggia ha creato non pochi problemi sotto il profilo turistico- ambientalistico. L'assessore provinciale di Cosenza Salvatore Caruso, che è anche capogruppo consiliare del Psi al Comune di Amantea, per due volte si è rivolto al ministero della Marina Mercantile che è intervénuto opportunamente per sollecitare la rimozione del relitto che in ultima analisi è stato deciso di demolire. Il Consiglio

62 Comunale di Amantea, su proposta dello stesso Caruso, si è costituito parte civile per gli eventuali danni che lo stesso relitto potrebbe causare. "Ora - ha ribadito l’assessore provinciale Caruso - vogliamo che sia ridata alla spiaggia piena efficienza per essere utilizzata nell'imminenza della stagione balneare”. Dopo altre e considerazioni polemiche Caruso ha rilevato “come è difficile in Calabria affrontare problemi di ordinaria amministrazione che mentre in Liguria o nel Nord Italia vengono risolti al massimo in qualche mese, da noi ci vogliono almeno sei mesi. E se ora ci siamo finalmente riusciti -- ha concluso - debbo pubblicamente ringraziare la "Gazzetta del Sud" che - su questo problema ha dimostrato grande sensibilità”.I lavori di demolizione del Cargo sono stati curati dalla società dell'armatore della stessa nave e dalla Mosmode Sas di Crotone. La capitaneria di porto di Vibo Valentia di cui è comandante il capitano di fregata Vincenzo Milo, ha fatto obbligo all’armatore della Rosso di depositare un miliardo con fideiussione bancaria o polizza assicurativa. É stata inoltre ordinata una recinzione con apposite segnalazioni nell’arco di mezzo chilometro con il divieto di navigazione, pesca e ancoraggio. Ultimati i lavori di demolizione si dovrebbe procedere alla pulizia della spiaggia e al suo livellamento per riportarla al suo stato originario. Se ciò non fosse possibile per il cattivo tempo, secondo quanto ci è stato confermato dall’autorità competente, si provvederà a chiudere il pezzo di spiaggia non recuperato.”.

Una storia di depistaggi, come più volte abbiamo detto, che per diciannove anni ha tenuto tutto sotto silenzio assoluto. Ora la storia potrebbe ripetersi. Per gli ambientalisti questa tesi non regge proprio. Cunsky o non Cunsky, le ricerche devono continuare lo stesso. I fusti devono essere presi e controllati e la nave deve essere rimossa. Così come devono essere cercate le altri navi delle quali parla il pentito Fonti e di cui si sa bene l’esistenza. Per esempio la Yvonne A davanti al mare di Maratea e la Sporadis davanti Melito Porto Salvo. Al di là delle navi segnalate dal pentito, esistono altre navi scomparse nei nostri mari: la motonave Nikos I, sparita nel 1985 durante un viaggio iniziato a La Spezia per giungere a Lomé (Togo), probabilmente affondata a largo tra il Libano e Grecia; la Mikigan, partita nel 1986 dal porto di Marina di Carrara e affondata nel Tirreno calabrese con tutto il suo carico sospetto; la Rigel affondata il 21 settembre del 1987 a venti miglia da Capo Spartivento in Calabria, unico caso in cui - grazie alle denunce di Legambiente - è stata ricostruita almeno in parte la verità giudiziaria. E poi resta il mistero dei misteri: la motonave Rosso, ex Jolly Rosso, per la quale si sta scavando nella valle del fiume Olivo. Ma l’elenco delle navi affondate non finisce qui: nel 1989 sarà la motonave maltese Anni ad affondare a largo di Ravenna in acque internazionali, mentre nel 1993 sarà la Marco Polo a sparire nel Canale di Sicilia e, ancora, nel novembre del 1885 affonda a largo di Ustica la nave tedesca Koraline. Poi ci sono tutte le navi nel mare della Puglia che ben descrive nel suo intervento, più avanti nelle pagine, il giornalista Gianni Lannes, per questo minacciato dalla malavita pugliese e da qualche mese sotto scorta.

63 D’altra parte, ritornando nei nostri mari, che la “Mare Oceano” non fosse idonea a scoprire cosa contenesse quella nave lo avevamo già capito salendo sulla stessa. I tecnici di bordo ci spiegarono per bene cosa potevano fare e cosa no. Non potevano prendere i bidoni per esempio, né analizzarli. Non potevano stabilire la presenza di raggi gamma, ma solo di quelli alfa, come spiegò meglio il giorno dopo l’assessore Greco. Non potevano spostare la nave né tanto meno recuperarla riportandola in superficie con le dovute cautele. Insomma, avremmo visto – com’è avvenuto - solo delle belle foto e delle belle immagini tridimensionali. Poi sarebbe stata la Marina militare a stabilire, attraverso l’archivio nautico, di cosa si trattava. Anche se non fosse la Cunsky, di sicuro non sono le uniche navi affondate durante la seconda guerra mondiale ben conosciute dalla Marina Militare e inserite nelle mappe che anche i pescatori conoscono. Tra queste: la nave Cagliari, nei fondali fra Diamante e Cetraro, affondata il 6 maggio del ‘41 dal sommergibile Taku, con una stazza di 2322 tonnellate. Questa la nave che, per errore, la Ministra Prestigiacomo ha nominato nella prima e frettolosa conferenza stampa a Roma; la nave Federico C., affondata il 28 luglio del ‘41 dal sommergibile Utmost di 1467 tonnellate, anche questa, come sanno bene i pescatori a strascico, si trova nella stessa zona della prima. Altre tre navi sono lontane dalla zona di Cetraro, ma conosciute come le altre due. Insomma, se non è la Cunsky è un’altra nave non militare e affondata appositamente, in quanto in quell’area non ci sono segnalazioni di naufragi. Ecco perché la ricerca deve continuare. Quei fusti che sono dentro la nave non possono che essere rifiuti tossici e il governo deve impegnarsi ancora di più per dire la verità. Una verità che sia possibile anche controllare dalla nave stessa “Mare Oceano”, dove non esistono a bordo persone terze, avvocati di parte, scienziati delle associazioni ambientaliste, tecnici della Regione Calabria. Ecco perché alla notizia che quella nave non possa essere la Cunsky, bisogna subito alzare un coro unanime, che si continuino le ricerche comunque, senza abbassare la guardia e senza buttare fumo negli occhi a una popolazione che, nella manifestazione e partecipazione di massa ad Amantea, ha dimostrato essere stufa di essere presa in giro.

Elenco delle navi sparite dal 1979 al 2000 nei mari della Calabria secondo i dati della Direzione Investigativa Antimafia elaborati dalla Legambiente

1979- ASO costruito nel 1961 ed affondato al largo di Locri (Rc) il 17 maggio 1979 ( latitudine 38 gradi e 14 primi nord,longituidine 16 gradi e 15 primi est).La nave conteneva 900 tonnellate di solfato ammonico,sostanza altamente tossica e derivata da prodotti usati nelle industrie chimiche.

1981- Misurina - Nave battente bandiera italiana affondata misteriosamente a picco il 17 febbraio 1980 a 20 miglia a sud est di Capo Spartivento, su un fondale profondo 1980 metri e con carico sconosciuto.

64 1984- Nave panamense affondata a 17 miglia dalla spiaggia di Bova (RC) il 25 maggio 1984 con un carico di rottami di ferro. Il cargo era partito da Malta con l'ostentato obiettivo di raggiungere Porto Nogaro in Friuli.

1986- Maria Pia M. - battente bandiera italiana costruita nel 1966 affondò l'11 marzo 1986 mentre era in viaggio da Chioggia a Tripoli. La nave in posizione capovolta, si troverebbe a 35 miglia da Capo Colonna (KR) su un fondale profondo 2000 metri ( latitudine 38 gradi, 56 primi nord, longituidne 17 gradi, 50 primi est).

1987- Rigel affondata a 20 miglia a sud di Reggio Calabria (Capo Spartivento) il 21 settembre 1987 insieme al suo carico di 3000 tonnellate. Partita dal porto di Marina di Carrara battente bandiera maltese, conteneva probabilmente rifiuti. Coincidenza significativa : Giorgio Comerio segnala questo evento sulla sua agenda personale : la nave è affondata. Dopo l'affondamento inoltre l'equipaggio è sparito e non fu più rintracciato neanche il Comandante.

1990- Jolly Rosso- spiaggiò al largo di Amantea località Formiciche il 14 dicembre 1990. La storia è nota.

1991-Cunsky. La storia è nota.

1993- Marineta. Battente bandiera caraibica, affondata al largo di Punta Stilo (KR) il 6 gennaio 1993 con duemila tonnellate di caolino, una speciale argilla impiegata nella fabbricazione di porcellane.

1995- Korabi - Ha perso il carico a ridosso della fossa di Badolato profonda oltre 1000 metri

29 ottobre: Esce il libro di Francesco Fonti: “Io Francesco Fonti pentito di ‘ndrangheta e la mia Nave dei veleni”. Nel libro la conferma di tutto ciò che è avvenuto nel mare di Cetraro.

30 ottobre 2009. Eccoci arrivati al capolinea. Si sapeva. Lo sapevo. Sin dall’inizio di questa sporca vicenda si è lavorato perché finisse così. Vi ha lavorato il governo prima di tutto, i piccoli sindaci del Tirreno in cerca di equilibri interni; ancora di più, vi hanno lavorato giornalisti al servizio di testate serve di gruppi industriali legati alla costruzione del ponte sullo stretto e quindi al governo stesso; vi hanno lavorato i partiti e i partitini di centro destra, che hanno voluto restare fuori da questa vicenda giusto per aspettare al varco Loiero e l’assessore Greco per la loro determinazione sulle navi dei veleni. Ecco ora la verità assoluta, incontrovertibile, innegabile: quella nave non è la Cunsky e, guarda caso, risulterebbe essere l’unica nave della 1ª guerra mondiale non censita dalla Marina Militare Italiana. Guarda caso l’unica nave nell’alto Tirreno cosentino che i

65 pescatori dello strascico non conoscevano; guarda caso l’unica nave posta proprio nello stesso punto che il pentito Fonti ha indicato come luogo dove era stata affondata da egli stesso, una nave carica di veleni, Cunsky o non Cunsky che sia. Sulla questione ora poniamoci delle semplici domande alle quali la Ministra Prestigiacomo non potrà mai rispondere. Domande poste anche dagli ambientalisti organizzatori della manifestazione del 24 ottobre ad Amantea:

1. Com’è possibile che una persona non del luogo, come Francesco Fonti, fosse a conoscenza della presenza di un relitto nei fondali di Cetraro esattamente nel sito dove è stato trovato?

2. Perché questo relitto, se conosciuto dalla Marina Militare e dalle Capitanerie di Porto, non è stato segnalato a tempo debito al Procuratore Giordano titolare dell’inchiesta?

3. Perché esistono differenze sostanziali tra le caratteristiche del relitto di Cetraro e del piroscafo Catania? Quest’ultimo, secondo i dati dei costruttori, era lungo 95,8 metri mentre la lunghezza ufficiale del relitto, comunicata dal Governo, è pari a 103 metri. I dati differenti del piroscafo Catania sono ben noti e riportati nel registro navale della World Ship Society e pubblicati dal sito specializzato Miramar Ship Index. Gli stessi identici dati sono pubblicati anche sul sito specializzato nella storia degli U- boat (www.uboat.net).

4. Perché dai registri navali risulta che il piroscafo Catania fu affondato almeno a 3,2 miglia di distanza dal punto dove la "Mare Oceano" stava effettuando le verifiche? Un punto più a largo di circa cinque chilometri, non qualche centinaio di metri?

5. Come mai le foto e le riprese video effettuate dal Rov della Nave Oceano sembrerebbero diverse da quelle realizzate dal Rov dell’Arpacal?

6. Perché non è stato ancora reso pubblico l'intero filmato georeferenziato realizzato dal Rov della Mare Oceano?

7. Perché il Ministro, prima ancora che il Rov della Geolab s’immergesse nelle acque, ha comunicato che il relitto di Cetraro non poteva essere quello della Cunsky?

8. Che fine hanno fatto i fusti o maniche a vento ripresi dal Rov inviato dalla Regione Calabria e perché non sono stati recuperati e portati in superficie a prova dell’asserita verità?

9. Perché la ministra Prestigiacomo ha subito detto che il “caso è chiuso” senza neanche

66 accertarsi del carico della nave?

10.Perché sono stati comunicati solo i dati delle analisi sulla radioattività effettuate a 300 metri di profondità nonostante il relitto si trovi a oltre 480 metri? Questa differenza incide notevolmente visto che le radiazioni gamma hanno una schermatura diversa a seconda della profondità. Ad esempio, 170 metri generano un livello di schermatura pari ad un fattore 3*E126. Quindi anche in presenza di numerosi noccioli di reattori nucleari la contaminazione radioattiva non sarebbe facilmente rilevabile.

11.Perché, nonostante la richiesta ufficiale da parte della Regione Calabria, non è stato comunicato il protocollo scientifico adottato per compiere le analisi sul relitto, sui fondali e nelle acque circostanti?

12.Perché non sono state condotte, in via preliminare, le dovute indagini sulla catena alimentare della fauna ittica e sui sedimenti dei fondali onde rilevare la presenza di eventuali radionuclidi e/o agenti contaminanti di diversa natura? Questo allo scopo di tranquillizzare la popolazione in caso di eventuale riscontro negativo o viceversa proclamare lo stato di emergenza onde ricorrere agli indennizzi in caso di riscontro positivo (alla luce di indagini pregresse che già paventarono tale possibilità)?

13.Perché per la vicenda del relitto di Cetraro è stato adottato un metodo differente da quello utilizzato per le indagini sul materiale contaminato rinvenuto nella vallata dell’Olivo, dove le analisi sui campioni prelevati saranno condotte da quattro laboratori differenti, mentre sulla Nave Oceano non è stato permesso l’ingresso, se non per poche ore, ai ricercatori dell’Arpacal?

14.Perché tanta fretta nel chiudere le indagini e nel mandare via la Nave Oceano mentre, vista la presenza in loco dell’imbarcazione, si sarebbe potuto continuare a scandagliare tutto il mare circostante Cetraro?

15.Perché la Capitaneria di Porto di Cetraro nel 2007 emise l’ordinanza di divieto di pesca a poche centinaia di metri dal luogo indicato da Fonti, subito dopo le analisi effettuate dall’Arpacal che indicavano la presenza allarmante di metalli pesanti quali l’arsenico, il cobalto e il cromo sul pescato?

16.E perché quell’ordinanza fu ritirata un anno dopo? Sarebbe utile comunicare i risultati di quelle analisi.

17.Perché non sono stati applicati anche a Cetraro i recenti provvedimenti legislativi (L.123/2008 e L.210/2008) che classificano come siti strategici d’interesse nazionale le aree in cui vengono smaltiti o individuati rifiuti tossici e/o nocivi?

67 18.Chiediamo alla Ministro Prestigiacomo se è a conoscenza dei filmati effettuati nel 2005 e 2006 per conto della Procura di Paola dalla società Nautilus e chiediamo cosa questi hanno filmato e di rendere pubblici tali filmati.

19.Perché ad esprimersi sui risultati dei riscontri effettuati dalla nave Oceano sono stati la ministra Prestigiacomo e il procuratore generale della DNA Pietro Grasso e non il titolare delle indagini?

Domande “normali” che ogni semplice cittadino si pone ascoltando le notizie soporifere che giungono da Roma, scavando su internet.

IL CATANIA

LA CUNSKY

68 6 novembre 2009. Così come le stagioni non sono più le stagioni di una volta, anche i depistaggi non sono più quelli di una volta. Ah, i bei tempi delle bombe a Piazza Fontana, quando a metterle erano i fascisti e i servizi segreti e in galera finivano gli anarchici! O quando gli anarchici venivano gettati dalle finestre delle questure, durante gli interrogatori, e poi si diceva che si suicidavano. O ancora, quando aerei occidentali scambiavano un aereo passeggeri su Ustica per un Mig Libico e lo abbattevano, e poi si dava la colpa al Mig libico stesso. Quelli sì che erano bei tempi! Andreotti, Rumor, Fanfani, Piccoli, insieme a Giannettini, il generale Maletti, quelli sì che erano uomini, che sapevano come costruire per bene un depistaggio! E sapevano costruirlo così bene che, ancora oggi, a distanza di 30- 40 anni, non ci si capisce niente. Erano bei tempi anche quelli del Gip Fiordalisi della Procura di Paola quando nel 1990 disse subito che sulla Rosso spiaggiata in quel del 14 dicembre a Formiciche di Amantea, non vi era niente di pericoloso nella stiva. Ma bastava parlare con Natale De Grazia, o con il capitano Bellantone, o con il capitano dei carabinieri Ivano Tore, per capire che, invece, in quella nave qualcosa non andava per il verso giusto. La Gazzetta del Sud subito scrisse che il pericolo non esisteva e che la situazione era tranquilla. e immediatamente tutti i politici a tenere la coda delle notizie con la tattica del silenzio. Non disse nulla l’amanteano Pirillo, allora consigliere regionale; non disse nulla il sindaco del tempo di Amantea, Franco La Rupa; non dissero nulla i partiti di opposizione e di governo. E tutti ci tranquillizzammo. Oggi la Prestigiacomo ricalca la scena degli anni passati e vorrebbe farci credere che la nave dei veleni non esiste davanti a Cetraro e che quella filmata dalla Copernaut per conto della Regione Calabria e dalla “Mare Oceano” non è altro che il piroscafo passeggeri Catania, affondato durante la prima guerra mondiale. La Prestigiacomo, e con lei tanti sindaci e politici di centrodestra e qualcuno di centrosinistra, dicono che è stata tutta una manovra politica - della regione di centrosinistra prima di tutto - di una scheggia impazzita, quale l’assessore Greco, e dei soliti catastrofisti degli ambientalisti che vedono disastri dappertutto, dai ghiacciai che si sciolgono alle foreste che scompaiono, alle navi dei veleni affondate dalla ‘ndrangheta. La ministra chiama un amico di Berlusconi e anche di Comerio: tale Diego Attanasio, in carcere nel 1997 per settanta giorni a causa di alcune speculazioni poco chiare nel centro storico di Salerno, e poi in affari con Mills e Berlusconi. É lui il proprietario armatore della Mare Oceano. Guarda caso, fra centinaia di navi oceanografiche esistenti in Italia, con curriculum di tutto rispetto, ecco scegliere proprio quella di Attanasio. A questo punto avrebbero potuto chiamare la Linea Messina, che di queste cose se ne intende, e per 50 mila euro al giorno avrebbe fatto anche i fuochi d’artificio ogni sera davanti al porto di Cetraro.

Qui siamo in pieno 1984 di Orwell. Vi ricordate? La guerra è pace /la libertà è schiavitù /l’ignoranza è forza. Quale migliore ministro all’ambiente, se non una proveniente da una famiglia che di ambiente ne distrugge e ne devasta, quindi ne capisce più degli altri? L’ignoranza è forza, scriveva Orwell. Ed è sull’ignoranza che spera la

69 ministra. Quella delle genti calabresi, secondo lei, che non saprebbero capire la differenza tra un filmato e l’altro, tra una misura e l’altra, tra una coordinata e l’altra. Cara ministra Prestigiacomo, lo abbiamo capito tutti che volete prenderci per il culo. Lo hanno capito i pescatori di Cetraro e degli altri paesi, le popolazioni che anche dopo l’annunciato ritrovamento della nave-fantasma Catania, carica di figurine della Madonna e non di veleni, non sono corsi alle pescherie a comprare pesce. Il mercato resta in crisi. Che cosa vuol dire? Vuol dire, cara Ministra, che non se la sono bevuta. Non siete stati credibili. Le domande fioccano a non finire su tutti i quotidiani della Calabria e su quelli nazionali, come l’Espresso, l’Unità, il Manifesto, la Repubblica. Domande semplici alle quali, facendo un piccolo sforzo, potrebbe anche rispondere, sciogliendo così i dubbi di tantissimi calabresi. Dubbi legittimi, perché basta vedere le immagini filmate dalla “Mare Oceano” per accorgersi che sono diverse sia dai filmati della nave della Regione Calabria, a settembre di quest’anno; sia da quelli della nave Universitatis, inviata sul luogo dal PM Greco nel 2006, che filmò un’enorme macchia scura attorno al relitto. Dalle riprese di entrambi i filmati vediamo che è diverso il fondale, è diverso il relitto. La nave misurata dal mezzo governativo è lunga 95 metri e larga 12. Quella della Copernaut è lunga più di 100 metri e larga 20. Il relitto è adagiato comodo sul fondale, il presunto Cunski è inclinato di 45 gradi. Nel primo filmato non c’è accenno di vegetazione attorno alla nave, nell’altro video è tutto pieno di alghe, cosa impossibile ai 480 metri di profondità del Cunski. Comunque su tutto e tutti, ci sono le dichiarazioni del tecnico che ha manovrato il Rov della Capernaut, davvero imbarazzanti per la ministra Prestigiacomo e il “rassicuratore generale” dell’antimafia Grasso. Il tecnico ha detto di aver visto con i suoi occhi una stiva, anzi due stive, piene di fusti! Bastano e avanzano queste dichiarazioni. A questo punto il depistaggio è finito male, però. Immaginiamo cosa sarebbe successo se il governo avesse detto la verità: ci sarebbe stato un crollo totale dell’economia calabrese, le pescherie avrebbero chiuso definitivamente e i pescherecci di Cetraro avrebbero potuto darsi alla pesca sportiva, alla ricerca di pesci fosforescenti. Il WWF di tutto questo ne è certo: “La procura di Paola e i tecnici della Regione fissano il relitto da loro filmato a 3 miglia e mezzo di distanza da dove ha operato l’Oceano e dove si troverebbe il mercantile Catania. Le coordinate dell’ufficio idrografico inglese lo confermano. Il caso è chiuso, ha detto il ministro (che ha esagerato: «Volevano usare il Cunski contro di noi»). Non un bidone è stato prelevato dal mare, quando è certo che ci sono 50 navi piene di rifiuti tossici sottacqua” .

Non sono novità per me che ne scrivo da dieci anni. Dell’alone nero attorno a un corpo estraneo nei fondali di Cetraro, della lunghezza fra gli 86 e 105 metri e dai 15 metri d’altezza, ne scrissi il 21 gennaio del 2006 in un’intervista in esclusiva avuta dal PM Francesco Greco. Del divieto di pesca della capitaneria di porto di Cetraro ne scrissi in anteprima, per la prima volta, il 19 maggio 2007. Sollecitai anche personalmente un’interrogazione

70 parlamentare di Francesco Caruso del Prc, presentata il 31 maggio 2007 seduta 162, alla quale il governo di centro sinistra si guardò bene dal rispondere. Della Blue Teak, la nave mandata dal Pm Greco, ne scrissi il 13 dicembre 2008. Precisamente sul fatto che, nel 2006, la Blue Teak aveva individuato una nave affondata davanti a Cetraro, con misure di 100 metri per 20 di larghezza. Della macchia nera attorno a una vecchia nave ritrovata dalla Nave Universitatis, davanti al mare di Cetraro, ne scrissi per primo il 13 dicembre 2008. Scrissi di cave inquinate e di siti inquinati lungo il fiume Olivo il 21 febbraio 2004 e il 12 giugno 2004. Tutto questo mentre i politici se ne stavano seduti sulle loro poltrone. Come l’assessore all’ambiente Basile, della giunta Chiaravalloti, che nel 2005 negò l’esistenza di rifiuti tossici lungo il fiume Olivo. Stessa cosa, nel 2008, l’assessore verde all’ambiente Diego Tommasi, quello cacciato dal corteo di Amantea dagli ambientalisti. E ora? Che cosa sta succedendo nel Tirreno cosentino? I sindaci si sono subito mangiati la foglia. Sperano che accreditando per vere tutte le argomentazioni della Prestigiacomo e della sua Mare Oceano, la crisi economica che avvolge pescatori e pescherie scompaia in un attimo. Sperano, i poveri sindaci, di vedere la prossima stagione estiva non compromessa dal turismo. Fingono di non sapere che già quest’anno c’è stato un calo delle presenze fino al 40 % solo per la questione dei depuratori mal funzionanti. Figuriamoci la prossima estate con la radioattività nel mare e i pesci al fosforo e all’arsenico cosa mai succederà! I pescatori sono i più arrabbiati, continuano le riunioni a Cetraro e stanno preparando azioni clamorose che faranno di certo, non come le chiacchiere dei sindaci che in diversi comunicati avevano promesso fuochi e fiamme e le uniche fiamme accese sono state quelle sotto le grigliate di pesce fatte in ristoranti di mafiosi! I pescatori hanno capito di essersi trovati in una trappola. Gli ammortizzatori sociali promessi dalla regione, dall’assessore Maiolo, corso apposta a Cetraro pochi giorni dopo la notizia del ritrovamento della nave, sono briciole per loro e chiedono a gran voce la dichiarazione dello stato di emergenza. Solo così i pescatori sanno di poter vedere bloccati anche i mutui e gli affitti e solo così sanno di poter coinvolgere anche altre categorie colpite come i ristoratori, i lidi balneari, gli alberghi. Cioè tutto l’indotto che lavora e vive attorno alla stagione turistica e non solo. Di tutto ciò chissà se ne avranno piena consapevolezza la Prestigiacomo e i suoi sostenitori qui da noi, altrimenti si dessero da fare, nei prossimi giorni, per una versione più credibile sulla nave dei veleni.

12 novembre 2009. Dovevano essere in 400 i sindaci a Cetraro, domenica scorsa, per l’assemblea regionale dell’Anci. Lo aveva annunciato il sindaco di Cetraro Aieta, esperto in fritture di pesce cetrarese all’arsenico, proprio alla trasmissione “Ambiente Italia”, andata in diretta da Cetraro il sabato precedente. Doveva essere la risposta, all’“attacco mediatico” che, secondo lui e il sindaco di Diamante, Ernesto Magorno, è

71 stato sferrato al mare calabrese, pulito e senza alcun tipo di inquinamento, né batteriologico proveniente dagli scarichi fognari, né radioattivo proveniente dalle navi “fantasma” dei veleni. Una risposta, da parte dei rassicuratori sindaci, anche agli ambientalisti catastrofisti che seminano zizzania e paure nel tirreno cosentino e in tutta la Calabria. Eppure alla manifestazione del 24 ottobre ad Amantea c’erano tutti i sindaci, esclusi quelli del centrodestra, che avevano da subito appoggiato le tesi del Ministro “veggente” all’Ambiente che, fin dall’inizio della storia, escludeva ogni affondamento e ogni avvelenamento del mare. Ma questi sindaci del centrodestra sono ben noti ai cittadini e agli ambientalisti: sono quelli che vogliono inceneritori ovunque, mega porti, avio superfici, villaggi turistici, albergoni. Cose dalle quali - sia chiaro - non si esimono neanche sindaci del centrosinistra, ma la bandiera nera la detengono loro in ogni caso. A Cetraro, comunque, nonostante la presenza del presidente dell’Anci Calabria, nonché sindaco di Cosenza, Salvatore Perugini, si presentano solo sette sindaci: quelli di Paola, Diamante, Buonvicino, Sangineto, Guardia Piemontese, Fuscaldo e San Giovanni in Fiore. Alla fine, dopo una mesta discussione, ne esce fuori un contraddittorio documento dove si dice tutto e niente. Niente riguardo alla bonifica dei territori, niente riguardo ai dubbi sul ritrovamento della nave Catania. I sindaci vorrebbero solo soldi dal governo ed evocano una dichiarazione di stato d’emergenza basato solo sull’immagine negativa che ha portato alla perdita di danaro alla categoria dei pescatori. Tutto qui. Ci chiediamo: se non c’è niente nei nostri mari ed è stata tutta una collettiva allucinazione di massa, perché si dovrebbero dare soldi ai pescatori? E perché solo ai pescatori e non ai balneari, ai ristoratori, agli albergatori, ai negozi che vendono articoli da pesca, ai diportisti, etc? Il prossimo passo sarà, quindi, quello di negare tutto. Negano al Governo, negano i sindaci, negano finanche alla regione Calabria con l’assessore Greco visibilmente imbarazzato; negano alla Procura di Paola, i primi a lanciare l’allarme nave davanti a Cetraro. Ora ci diranno che lungo il fiume Olivo non ci sono fusti radioattivi, che la Motonave Rosso non conteneva rifiuti tossici; che a Crotone nelle scuole non ci sono scorie radioattive, nella piana di Sibari non c’è la ferrite di zinco; che lungo il fiume Noce non c’è sangue di macellazione e che attorno alla Marlane non ci sono i rifiuti provenienti dalla fabbrica stessa. Volete scommetterci? Io sono sicuro che finirà così. La strada è stata aperta, molti vi hanno già abboccato e anche qualche associazione ambientalista si è ammorbidita. Dei sindaci non ne parliamo, dei politici nemmeno, già prima del ritrovamento non si sono voluti esporre, immaginiamoli adesso. Alla fine gridiamolo tutti in coro, viva la Prestigiacomo. Santa subito. Lei ci ha liberato da tutti i mali e da tutti i mari. Adesso ci liberi dalla terra avvelenata. Ministra, adesso può venire in Calabria. I sindaci la vogliono a Cetraro per dire a tutti che i pericoli sono passati, che nel mare non ci sono tre navi, ma una sola e che è solo la Catania. Una nave dimenticata dalla marina militare italiana, che però la marina inglese conosceva e aveva anche individuato, senza la Mare Oceano, davanti a Belvedere Calabro; e che anche i pescatori ben conoscevano da almeno venti anni. Venga a dirci queste cose. E faccia fare anche un bello spot convincente con qualche bella figa.

72 La Cucinotta in vestaglia nera, per esempio, che esce dal mare con un bel gamberetto in mano, già fritto, e che mentre lo morsica con le sue belle labbra rosse, dica: “ u mare di Calabria nu mar’ ca ti elettrizza e t’arrizza”. Eros e turismo, un binomio che potrebbe far dimenticare i mesi passati, fra ricerca di navi e di rifiuti tossici. Rifiuti già dimenticati, come quelli che - si era detto - bisognava bonificare. Rifiuti già trovati e che non hanno bisogno di alcuna nave per essere individuati. Il pensiero debole dei sindaci, dei politici, degli addetti esperti del governo, vorrebbe che, siccome non è stata trovata la Cunsky, non esista più il traffico dei rifiuti tossici, che la ‘ndrangheta non abbia commesso alcun reato di questo genere, che i processi prescritti vengano completamente cancellati dalla nostra memoria. Come quello sulla ferrite di zinco proveniente dalla Pertusola di Crotone e sotterrata nelle campagne di Cassano, Amendolara, Sibari. Dimentichiamo anche i morti per tumore, le parole dette dall’epidemiologo Brancati, per conto della Procura di Paola. Dimentichiamo le parole dei medici di Paola, De Matteis in prima fila. Esistono centinaia di persone colpite da tumori vari che hanno una sola matrice di partenza: il rifiuto tossico. Dimentichiamoli che è meglio. Come dimentichiamo quello che stanno cercando davanti al mare di Maratea. E vuoi vedere che anche qui spunterà una nave da guerra? Azzardiamo qualche nome? Spulciando nei libri di storia, troviamo un piroscafo chiamato Sturla (ex "F.G. Reinold", costruito ad Aberdeen nel 1884, 1187 tsl) silurato e poi cannoneggiato dal sommergibile sm Clyde della marina inglese l’8 giugno del 1941. Proprietà della nave piroscafo, guardate un po’, sono i bisnonni armatori di Ignazio Messina, società costituita nel 1921. Quando i destini si incrociano! E poi, lì nei pressi dello Sturla c’è il Buck, cacciatorpediniere USA, affondato dal sommergibile tedesco U 616 il 9 ottobre 1943 nel punto 39°57N/14°28E. Vuoi vedere che, come col Catania, la Marina Militare italiana non sa che in quella zona ci sono queste due unità navali? Vuoi vedere che dopo sessanta anni ritrova proprio questi relitti così come ha ritrovato il Catania? Ripetiamo la stessa domanda fatta qualche settimana fa: come faceva il pentito a sapere che sia davanti a Cetraro che davanti a Maratea ci sono delle navi affondate? Che sia studioso di cose navali? Che sia uno studioso di cose di guerra? O semplicemente che dica solo e soltanto la verità? Una verità che non fa comodo né ai magistrati, né al governo, che metterebbe in discussione tutte le autorità statali che attorno al traffico dei rifiuti tossici negli ultimi cinquant’anni vi hanno guadagnato sopra e dei quali, ancora oggi, qualcuno sta perfino al governo o in parlamento. Una verità che potrebbe portare a grossi investimenti nel campo della bonifica oltre che al fermo di un’economia. Ma la cosa che più fa paura è l’ammissione che delle scorie nucleari non si sa cosa farne, e siccome questo governo vuole rilanciare proprio il nucleare attivando o costruendo nuove centrali, si troverebbe con le popolazioni completamente contro che farebbero un semplice ragionamento: negli anni ‘80 avete affondato e seppellito rifiuti e scorie nucleari nei nostri mari e nei nostri territori e ora volete rimettere in moto proprio quelle centrali che sono state la causa del nostro disastro?

73 22 novembre 2009. É uno spettacolo indegno quello che si sta verificando in Calabria e nel Tirreno cosentino, in particolare da quando la Ministra Prestigiacomo, e con lei il procuratore Grasso, hanno dichiarato chiuso il caso Cunsky. "Non è la Cunsky - hanno sentenziato all’unisono in conferenza stampa a Roma - ma una nave passeggeri affondata durante la prima guerra mondiale di nome Catania”. Era la notizia che si aspettava in Calabria, specialmente da parte degli imprenditori, dei commercianti e degli addetti della pesca, i quali hanno anche ricevuto subito dei miseri contributi. L’industria turismo non poteva affondare nello sporco mare già inquinato da depuratori mal funzionanti, da fiumi resi cloache, da scarichi abusivi, da autospurgo che scaricano ovunque. Lo show business deve andare avanti e la gente non deve più pensare alle navi dei veleni, ai terreni radioattivi, alle fosse piene di rifiuti tossici, al pesce all’arsenico. Deve dimenticare tutto. La seconda affermazione della Prestigiacomo arriva dopo una settimana di ricerca anche nel mare di Maratea, dove secondo il pentito Fonti era stata affondata la Yvonne A. Anche qui, al posto della nave, è stato ritrovato a 500 metri di profondità un sito archeologico con ben 200 anfore di origine greco romana. Ma che inventiva! Se avessero cercato meglio avrebbero anche qui trovato una nave passeggeri affondata durante la seconda guerra mondiale, che era lo Sturla. Ma il sito archeologico va meglio, a dire la verità. Vuoi vedere che recuperano le anfore e che Maratea avrà il suo bel museo di arte greco romana? Anche questo servirebbe a incentivare il turismo. E i politici calabresi, i sindaci, i prefetti, tutti quelli che volevano mettersi in bella mostra alla manifestazione di Amantea il 24 ottobre scorso e che, per fortuna, la piazza non ha neanche voluto vedere sul palco in piazza Cappuccini, gremita di oltre trentacinquemila persone, ora battono in ritirata. I sindaci hanno subito gridato allo scandalo provocato dai soliti catastrofisti ambientalisti, dalla stampa, da coloro che dal nord, certamente, muovono le fila per far fallire il turismo al sud a favore delle spiagge romagnole o toscane. É la solita teoria del complotto che esce sempre al momento giusto quando si parla della catastrofe Calabria. Parli della 'ndrangheta e trovi subito qualcuno che dice “ma oramai c’è anche al nord”, parli dei depuratori e trovi un altro che risponde "ma ci sei stato in Emilia Romagna". Insomma, la Calabria è sempre terra di miserabili, vessati dagli altri, mai colpevole. Ed ecco subito pronti i sindaci a gettare acqua sul fuoco cercando di far dimenticare i morti di tumore nei paesi lungo il fiume Olivo ad Amantea, i quaranta operai della Marlane anch'essi morti di tumore a Praia a mare, le trentacinquemila tonnellate di rifiuti sotterrate nella sibaritide, le scuole tossiche di Crotone, le dighe dell'aspromontano piene di scorie e naturalmente la Jolly Rosso e le navi affondate. La Calabria non è solo terra di dimenticanza, di errori di una classe politica scelta dalla massoneria e dalla 'ndrangheta, di facilonerie, è anche terra di assoluzioni. Se c'è un magistrato coraggioso che apre un’inchiesta sulle scorie radioattive e tossiche, se ne trovano subito altri tre perché quell'inchiesta si chiuda al più presto e

74 porti alla prescrizione o assoluzione dell'imputato. Anche il pm Francesco Greco, che nel 2005 aveva riaperto l'inchiesta sulla Jolly Rosso e per primo aveva individuato la nave Cunsky, al largo di Cetraro, ora ha dichiarato di essersi pentito per tutto quello che ha creato. “E' stata un’allucinazione collettiva” ha dichiarato a un settimanale. Ma non ha spiegato perché nel 2005 aprì l'inchiesta, così come non ha spiegato perché nel 2008 archiviò l'inchiesta senza dare una plausibile spiegazione. Viene da pensare che il tutto sia stato fatto solo per avere attenzione dai media nazionali, interviste e begli articoli, per le proprie carriere a scapito dei cittadini che subiscono le conseguenze degli interramenti dei rifiuti tossici, con tumori che superano di gran lunga le medie nazionali.

75 IL COMUNICATO STAMPA DEGLI AMBIENTALISTI A SEGUITO DELLE DICHIARAZIONI DEL PM GRECO Restiamo sconcertati come ambientalisti e come cittadini da tali dichiarazioni. Se su questa storia delle navi dei veleni e della Jolly Rosso in particolare ci sono state bufale, queste sono quelle messe in atto dagli stessi magistrati della Procura di Paola che, per venti anni di silenzi, depistaggi e colpi di scena, hanno partecipato allo spettacolo della messa in scena di finte inchieste sempre naufragate in clamorose assoluzioni e archiviazioni. Vale per tutto, è bene ricordarlo l’archiviazione e lo smantellamento della Jolly Rosso tra il dicembre ‘90 e il giugno del ‘91 fatta dal Gip Domenico Fiordalisi, o quella più recente fatta dal PM Francesco Greco, che ha riaperto il fascicolo Jolly Rosso nel 2005 per chiuderlo clamorosamente nel maggio 2008 e poi definitivamente archiviato dal gip Salvatore Carpino. Finte inchieste che sono solo servite a portare questi magistrati all’attenzione di servizi giornalistici scottanti, inchieste fotografiche su settimanali quali L’Espresso, scoop su Rai tre o interviste in trasmissioni quali quelle della Gabanelli o Lucarelli. Lo abbiamo sostenuto sin dal 1990 che nella procura di Paola non vi era alcuna volontà di giungere alla verità. Tutto quanto è stato fatto è servito solo a porre l’attenzione sulle proprie carriere personali di giudici che miravano solo ad avere visibilità per carriere politiche evidentemente fallite. Le bufale di cui parla il PM Greco sono solo queste. La manifestazione di massa, che si è svolta ad Amantea il 24 ottobre scorso ha dimostrato la volontà dei cittadini di giungere alla verità sui carichi della Jolly Rosso trasportati di notte lungo il fiume Olivo o le navi affondate lungo i mari calabresi, dimostrate non solo dal pentito Fonti, ma anche e soprattutto dai numerosi rapporti della Loyd Londinese e da organizzazioni internazionali quali Greenpeace, WWF e Legambiente. Le affermazioni del PM Greco, inoltre, pongono esposti alla ‘ndrangheta tutti quei cittadini che negli ultimi anni si sono coraggiosamente fatti avanti per raccontare ciò che hanno visto ad Amantea in quelle notti susseguenti lo spiaggiamento della Jolly Rosso e anche l’allargarsi delle maglie attorno al racconto del pentito Fonti che, piano piano, anche gli stessi pescatori cominciavano a porsi, come nella trasmissione sequestrata dalla DDA di Catanzaro, Perfidia. Noi continuiamo a ripetere di essere certi della presenza di navi dei veleni nei nostri fondali, così come siamo certi che lungo il fiume Olivo siano stati seppelliti rifiuti tossici che producono da decenni tumori in tutti i paesi che si affacciano sulla valle. Le dichiarazioni del “pentito” Pm Greco si spalmano per bene sulle ipotesi del governo e della Prestigiacomo in particolare, i quali vogliono che su tutta la vicenda cali un velo di silenzio così com’è stato da venti anni a questa parte. Noi come ambientalisti, sempre dalla parte dei cittadini e di tutti gli ammalati di tumore, continueremo a lottare per tenere ferma l’attenzione sulle navi dei veleni e sui rifiuti tossici che ammorbano tutta la nostra regione. Saremo per questo il prossimo 23 novembre alle ore 10 davanti a tutte le Prefetture della Calabria perché si continuino le ricerche delle navi e dei rifiuti interrati non solo nel fiume Olivo, ma anche nel cassanese, nella Marlane di Praia a Mare, nelle

76 dighe dell’Aspromonte, nella Pertusola e nelle abitazioni di Crotone. Saremo a Lametia il 6 dicembre prossimo per la prima grande assemblea di tutto l’associazionismo ambientalista calabrese per varare un libro bianco sui veleni calabresi. Infine, saremo il 19 dicembre a Villa San Giovanni per bloccare l’avvio dei lavori della più grande truffa del secolo che è il Ponte sullo stretto. Forti di questo percorso, chiediamo al Procuratore Giordano Bruno di Paola di continuare con le sue inchieste sui veleni nel nostro Tirreno, forte dell’appoggio di tutto il mondo ambientalista e dei tanti cittadini che ancora trepidano per le condizioni di vita nei nostri territori.

Movimento ambientalista del Tirreno

77 5 dicembre 2009. La Cunsky è ancora lì sotto. Intervista a Francesco Sesso fotografo e ricercatore subacqueo.

Per me il caso Cunsky non è chiuso. Ne sono assolutamente convinto. E ne resto convinto, non solo perché credo,c con le dovute cautele, al pentito Fonti. Credo che lui abbia affondato quelle navi e che la ‘ndrangheta locale lo abbia aiutato. Ci credo perché in quegli anni c’erano i presupposti perché avvenisse tutto questo. Non credo assolutamente, invece, alle dichiarazioni della Ministra Prestigiacomo e al procuratore Grasso. Un caso chiuso troppo sbrigativamente fra navi da guerra fantasma, piroscafi e anfore greche, mentre persistono i dubbi fra tutta la popolazione calabrese. Ne parliamo con un esperto subacqueo, Francesco Sesso di Cosenza. Un curriculum di tutto rispetto il suo: fotografo e ricercatore subacqueo, è stato più volte campione italiano di fotografia subacquea, sin dal 2000 è membro della nazionale italiana di fotosub, ha rappresentato l’Italia agli ultimi mondiali tenutisi lo scorso giugno in Corea del Sud, ha fatto parte di molteplici spedizioni subacquee finalizzate all’esplorazione di relitti profondi, come l’esplorazione della Viminale nel 2004 e lo studio della bio-fauna profonda su relitti per conto dell’università di Lecce; si occupa di ricerca e di esplorazione profonda dei fondali marini ormai da diversi anni, ha realizzato pubblicazioni scientifiche per conto di enti pubblici e università, è stato insignito di prestigiosi riconoscimenti per la sua opera di divulgazione delle conoscenze sul mondo sommerso e per il suo impegno ambientalistico; collabora con diverse riviste nazionali di subacquea e ambiente. Insomma, come si usa dire, non è l’ultimo arrivato. Poteva benissimo essere l’esperto, richiesto e voluto sia dall’assessore Greco sia dalle associazioni ambientaliste, che sulla Mare Oceano avrebbe potuto accompagnare i tecnici del Ministero, rappresentando una sorta di “difesa civile”, un occhio del popolo ambientalista e dei tanti cittadini che con lui si sarebbero ben fidati delle eventuali “scoperte”. Ma così non è stato. Queste le domande e le sconcertanti risposte.

1 Signor Francesco Sesso, lei ha visionato dal sito del Ministero dell'Ambiente i video che riguardano la nave indicata come il Catania? Lei pensa che sia veritiera la storia detta in conferenza stampa dalla Prestigiacomo? Nel senso che ci troviamo davvero davanti quella nave? Premesso che trovo davvero strani i tempi e le modalità con cui il Ministro Prestigiacomo ha “liquidato” una vicenda così delicata, nutro seri dubbi sulla “compatibilità” tra di loro delle due serie di filmati pubblicati sul sito del Ministero dell’Ambiente. Tra i filmati realizzati in un primo tempo dalla CooperNaut su incarico della Regione Calabria e le riprese commissionate successivamente dal Ministero ed effettuate poi dalla Oceano Mare non vi è alcun punto in comune. In nessun caso sono state riprese vedute e/o particolari che possano consentire un raffronto, che permettano

78 di verificare in sostanza che si tratti dello stesso relitto. E ancora… se per quanto concerne le riprese della Oceano Mare le stesse mostrano un relitto potenzialmente “compatibile” con una nave affondata oltre novant’anni or sono, per quanto si può dedurre dall’osservazione delle immagini della CooperNaut il relitto ripreso si presenta in uno stato di conservazione tale da dover fortemente dubitare che possa trattarsi di una nave affondata nel 1917. Qualunque cosa giaccia da oltre novant’anni a 500 metri di profondità si “presenterebbe” in condizioni assolutamente peggiori rispetto a quanto ripreso dall’occhio del ROV. Relitti di navi affondate nel corso della seconda guerra mondiale, giacenti a profondità assolutamente inferiori rispetto a quelle che stiamo prendendo in considerazione, e quindi sottoposte a una pressione molto inferiore ai 51 kg per centimetro quadro dei meno 500 metri, si presentano in condizioni palesemente peggiori laddove non addirittura completamente collassate a causa della corrosione e della forte pressione.

2 Dai video viene indicata come poppa una parte della nave che invece sembra che sia una prua. Lei che è un esperto potrebbe spiegarcelo meglio?

Siamo infatti in presenza di un errore a dir poco grossolano. Errore dettato forse dalla fretta di inserire i filmati sul sito del Ministero e di archiviare al più presto una faccenda scomoda? In ben due dei filmati realizzati dalla Oceano Mare viene evidenziata la dicitura “veduta della poppa”; in ambedue i casi è facilmente riscontrabile come della poppa non si tratti.. bensì si tratti della prua.. Sono infatti ben visibili nella ripresa gli occhi di cubia della nave, da cui fuoriescono chiaramente le catene delle ancore, mentre le riprese della coperta sovrastante documentano le presenza dei grossi verricelli presenti a prua e utilizzati per salpare le ancore stesse. Inoltre neanche all’occhio dell’osservatore meno attento può sfuggire l’inequivocabile forma affilata della prua ben evidente nelle riprese. Altra cosa strana è l’orario in cui sono stati realizzati i filmati dalla Oceano Mare, o almeno quelli resi pubblici; tutti nel corso della stessa notte. Sicuramente a quelle profondità non v’è granché differenza tra giorno e notte, per cui filmare alle dieci di sera o alle dieci di mattina non cambia molto... quel che cambia nelle ore notturne è che l’unità che opera in superficie di notte non è più visibile e localizzabile e potrebbe effettuare le riprese in un qualsiasi sito diverso da quello effettivamente dichiarato…

3 È possibile che a distanza di 90 anni si possano ancora vedere le lettere del Catania?

Anche tenendo in considerazione importanti fattori ambientali quali la scarsa presenza di luce a quote così profonde e la conseguente attenuata presenza di organismi colonizzanti, risulta davvero difficilmente ipotizzabile che le murate o la poppa di un relitto localizzato a 500 metri di profondità da ben 92 anni si conservino così pulite da consentire la lettura di alcunché su di esse. Su navi affondate da un numero minore di anni non è già più possibile rinvenire alcuna scritta o alcun contrassegno posto

79 all’esterno, tanto risultano essere incrostate le loro lamiere. Spesso per rinvenire qualche riscontro utile all’identificazione della nave affondata chi si occupa di esplorazione di relitti è costretto a intraprendere difficili e pericolose penetrazioni all’interno degli stessi, alla ricerca di qualche dato identificativo ubicato in locali, quali, ad esempio, la sala macchine, che non siano stati oggetto di una massiccia colonizzazione o sedimentazione al pari delle aree esterne. Inoltre a distanza di così tanti anni la corrosione delle lamiere e l’enorme pressione esercitata su di esse avrebbe dovuto portare al collasso di buona parte della struttura della nave.

4 È possibile che l'oblò fattoci vedere dalla capitaneria di porto di Cetraro sia appartenente al Catania?

L’oblò fatto visionare agli operatori dell’informazione e a quanti erano convenuti in quella circostanza presso il Porto di Cetraro è palesemente “troppo pulito” per poter pensare possa essere stato riportato in superficie dopo oltre novant’anni di permanenza in mare. Un oblò, pare, ancora perfettamente funzionante sui suoi cardini! Si tratta senza dubbio alcuno di un oblò proveniente da un relitto, ma, a mio parere, da un relitto assolutamente “più giovane”.

5 Si notano fra il filmato della “CooperNaut” fatto per conto della Regione Calabria e quello della “Mare oceano” ben venti metri di differenza in profondità. Sembra poco questa differenza?

È una differenza assolutamente sostanziale; non è pensabile che un profondimetro montato su di un veicolo subacqueo capace di operare a 500 metri di profondità possa avere margini d’errore e/o di taratura di tale entità. Anche la differenza di soli pochi metri potrebbe portare all’incagliamento e alla conseguente perdita del veicolo nonché, ovviamente, a inficiare i risultati della ricerca. É allora forse più probabile che i due ROV abbiano effettivamente operato su due siti diversi; uno posto intorno ai 500 metri di profondità, l’altro a 480.

6 Ai giornalisti saliti sulla “Mare Oceano”, fra i quali vi ero anch’io, durante la visita del sottosegretario Meina si disse che la nave si trovava a cinque miglia di distanza dal punto dove era la nave. Questo dissero per fare il "bianco" degli strumenti. Sembra giusto questo fatto o già erano posizionati su un’altra nave? la Catania per l'appunto piuttosto che la Cunsky?

Fare il bianco o, se preferite, il punto nave, o tarare gli strumenti per posizionarsi successivamente sul punto voluto con precisione, non richiede certo spostamenti di siffatta natura; cinque miglia son quasi dieci chilometri…! Basta infatti discostarsi di poche decine di metri dal punto per poter poi meglio approcciare il sito desiderato. Lo spostarsi di ben cinque miglia può essere motivato solo dall’esigenza di scandagliare il

80 fondale altrove.

7 Più o meno nella costa tirrenica quanti sono i relitti delle due guerre? É plausibile che abbiano affondato qui le navi dei veleni per meglio nasconderle?

Nel corso dei millenni le rotte che passano tutto intorno alla nostra regione sono state solcate da ogni tipo d’imbarcazione; dalle navi fenicie, passando per le onerarie romane, fino ai convogli di navi mercantili e militari durante le due guerre mondiali. E di conseguenza tanti sono i relitti che giacciono sul fondo dei nostri mari; soprattutto nel corso dell’ultimo conflitto mondiale molte navi dell’alleanza italo-tedesca dirette verso il fronte africano o verso l’Albania furono intercettate dai sommergibili inglesi e spesso silurate e irrimediabilmente perse. Quale migliore sito, quindi, che un mare molto profondo e pieno di tanti relitti come il nostro per occultare navi tanto scomode? Non è un caso, Infatti, che i sommergibili inglesi nel corso dell’ultimo conflitto utilizzassero proprio “l’ombra” dei relitti affondati in queste acque, nascondendosi a ridosso di essi, e sfuggendo così ai rilevamenti sonar delle navi di superficie. Spesso però imbarcazioni e convogli per motivi di sicurezza navigavano il più possibile a ridosso delle coste; per cui nel tratto di mare interessato non sono poi così tanti i relitti presenti. Di certo non così tanti da poter confondere l’uno con l’altro troppo facilmente.

8 Secondo lei è possibile che in quella zona possa esserci davvero la Cunsky?

Assolutamente sì; cosi com’è possibile che ci siano anche altre navi cariche di rifiuti tossici affondate nei nostri mari al pari della Cunsky. Certo rilevarne la presenza non è opera né facile, né sbrigativa. Nel caso della Cunsky o Catania che sia, basterebbe però poco… basterebbe ritornare sul sito con la stessa strumentazione già utilizzata, magari alla presenza questa volta delle parti interessate alla vicenda, mass media, regione e rappresentanti delle associazioni ambientalistiche per fugare ogni dubbio sul sito perlustrato, e procedere alla video ricognizione della fiancata della nave nella zona del presunto siluramento; se di siluramento, e quindi del Catania, si tratta, le lamiere divelte saranno inequivocabilmente piegate verso l’interno, se di esplosione (magari a mezzo di tritolo!) interna, e quindi di una nave autoaffondatasi, si tratta, le lamiere saranno viceversa piegate verso l’esterno. Forse però è più economico e meno imbarazzante mescolare e intorbidire le acque così come s’è fatto in questo caso. D’altronde riflettiamo solo per un attimo su cosa potrebbe significare trovare anche un solo fusto pieno di sostanze radioattive nei nostri mari; sarebbe la prova conclamata che le tante voci che danno il Tirreno e lo Ionio calabrese come un cimitero di navi cariche delle peggiori schifezze, sono assolutamente attendibili. E da ciò conseguirebbe l’esigenza di perlustrare, e in un secondo momento bonificare, enormi tratti di mare, in tempi lunghissimi e con costi insostenibili. D’altronde nel corso della già citata conferenza stampa il ministro Prestigiacomo ha detto un’unica e sola cosa vera e sensata, e cioè che non è certo possibile scandagliare tutto il Mediterraneo! Meglio far finta di niente e

81 “accettare” qualche caso di tumore in più! E intanto i fusti radioattivi, se davvero ci sono, continuano a restare schiacciati da una pesantissima colonna d’acqua (come già detto ben 51 kg per centimetro quadro), una colonna d’acqua che se ancora non è riuscita a causane l’implosione, prima o poi, aiutata dalla corrosione marina, porterà a termine il suo compito!

9 Un’ultima domanda sul Catania e su quanto scritto in un libro in suo possesso, e cioè che una nave Catania risulterebbe affondata nel golfo di Napoli. Insomma quante Catania esistono? L’ufficio storico della marina militare italiana ha pubblicato in più edizioni un volume, navi mercantili perdute, all'interno del quale sono riportate tutte le unità mercantili perse durante accadimenti bellici. Bene, su detto volume non v'è traccia di altra nave affondata denominata Catania se non relativamente a una unità costruita nel 1919 (e quindi in data posteriore all'affondamento della Catania in questione...) e persa nel 1943 nel porto di Napoli a causa di una incursione aerea nemica. Di una Catania affondata nel 1917 non v’è appunto traccia alcuna.

6 dicembre 2009. Forum delle associazioni ambientaliste a Lametia Terme. É il primo appuntamento dopo la manifestazione di Amantea degli ambientalisti, sono 250 i militanti che si riuniscono per formare una rete unica in tutta la Calabria. Bisogna trovare un unico denominatore che riunisca le problematiche legate al territorio. Si decide la realizzazione di un libro bianco sui problemi dell’ambiente e un prossimo Forum a Crotone . Crotone viene scelta per i disastri ambientali provocati dai rifiuti tossici provenienti dalla Pertusola e dalle mancate bonifiche, nonostante l’incremento delle malattie tumorali e il ritrovamento di metalli pesanti nei capelli di centinaia di bambini.

19 Dicembre 2009. Dalla grande manifestazione del 24 ottobre ad Amantea il movimento ambientalista calabrese è cresciuto e non ha mai smesso di smobilitarsi. Diverse le iniziative compiute nei vari paesi delle province per tenere viva l’attenzione sulle navi dei veleni, le bonifiche, le opere inutili, come il ponte sullo stretto. E sono sempre loro, insieme alla rete no Ponte, a organizzare il 19 dicembre la grande manifestazione contro il ponte a Villa San Giovanni dove parteciperanno oltre ventimila persone. É durante questa manifestazione che l’ex sindaco di Badolato, Franco Nisticò, muore sul palco colpito da infarto e mancato di soccorso. La sua morte rappresenta la metafora della Calabria. La morte di Franco Nisticò, lì sul palco a Villa san Giovanni, un minuto dopo la fine del suo intervento, rappresenta la metafora della nostra terra. Avevamo tutti applaudito il suo intervento, breve ma intenso, forte com’è stata la sua passione per la Calabria e per le tematiche che da sempre sventoliamo nelle nostre logore bandiere. Che cosa aveva detto Nisticò? Niente d’illogico, e cioè che questo ponte sullo stretto non

82 solo è completamente inutile, ma che non serve agli interessi della comunità calabrese, che sono ben altri. Per esempio, una migliore sanità, una migliore rete stradale, la 106 in particolar modo (la famosa strada della morte che ancora con una sola corsia unisce Reggio Calabria a Taranto), battaglia nella quale si era speso negli ultimi anni, e la linea ferroviaria ancora su un solo binario. Nisticò, colpito da infarto, si accascia sul palco. Ecco la metafora della nostra esistenza in questa triste terra: i soccorsi non arrivano. E non arriveranno per i prossimi quaranta minuti, nonostante le chiamate al 118, agli ospedali della zona, fatte non solo dai tanti manifestanti presenti, ma anche dalle ingenti e sproporzionate forze dell’ordine. Nessuna risposta per quaranta lunghissimi minuti, fino a quando un’ambulanza in dotazione alle stesse forze della polizia arriva sul posto, senza però alcuna attrezzatura capace di fermare l’attacco cardiaco. Nisticò è morto evidenziando ancora di più, se mai ce ne fosse bisogno, il divario che c’è fra la vita quotidiana nella nostra terra e ciò che di virtuale esiste sopra le nostre teste. É virtuale il progresso portato dal ponte, così com’è virtuale la nostra sanità, i nostri mezzi di comunicazione, il nostro controllo del territorio. Ma sono presenti le forze di controllo militare. Cosa si aspettavano che succedesse con l’arrivo di migliaia di manifestanti contro il ponte? Un assalto al nulla? Un assalto a cosa? A un inesistente palazzo d’Inverno? Fra Villa San Giovanni e Cannitello, dove dovrebbero sorgere i pilastri della mafia, c’è solo un bellissimo e romantico lungomare: nient’altro. Qualche ristorante, abitazioni, qualche chiosco di bibite. L’ho percorso più volte tre anni fa in occasione dei campeggi organizzati contro il ponte dalla rete no ponte. Avevo l’obbligo di firma, per associazione sovversiva, legata alle note vicende genovesi, dalle quali fui completamente assolto nel 2008. Per andare a Cannitello dovetti chiedere l’autorizzazione al tribunale di Cosenza. Chissà quanti mafiosi circolavano nello stesso periodo fra Cannitello e Villa San Giovanni per accaparrarsi gli appalti del cemento, gli attentati dinamitardi contro ditte e cosche rivali erano quasi all’ordine del giorno. Ma io, ogni mattina, percorrevo a piedi il lungomare di Cannitello per raggiungere dopo circa mezz’ora la stazione di polizia di Villa San Giovanni, posta davanti all’imbarco dei traghetti, per firmare. Ero pericoloso, io, e dovevo dimostrare la mia presenza. Non mi lamentavo, già era un miracolo che mi avevano concesso la presenza a Cannitello. Solo l’anno prima, giacché avevo l’obbligo di firma nel mio paese per 1 anno e 3 mesi, mi avevano impedito di partecipare al pellegrinaggio che ogni 21 giugno si fa fino a Serra la croce, nelle montagne di Belvedere M.mo. Certo lì, in quei luoghi, chissà cosa mai avrei potuto ordire, fra contadini, suonatori di fisarmoniche, banda musicale e soprattutto preti e portatori di croci provenienti a piedi da Buonvicino, Sant’Agata d’Esaro, Belvedere M. mo, attraverso vecchi sentieri di montagna. Eh sì, perché la bellezza di questa festa è che per arrivarci lo si può fare solo a piedi, dopo circa tre ore di cammino. Niente auto inquinanti, niente comodità, niente stereo a palla. Tutto a piedi, da portare a spalla: dalle croci agli strumenti musicali, ai quintali di pasta ripiena con melanzane, uova e salsicce. Anche qui si vive la metafora della Calabria. A mille metri di altezza tutto diventa piccolo. Le speculazioni edilizie che si vedono dall’alto, i porti invadenti sulle scogliere, gli albergoni sulle spiagge, i villaggi sulle colline. Le due

83 calabrie, quella ancora legata alle tradizioni e quella, speculativa, legata alla mafia, alle mafie, alla politica infestante e infestata, si guardano da lontano. Il vero sta in alto, il falso sta in basso. Nisticò, dal palco di Villa, osservava quella Calabria che sta morendo, o che è già morta, senza farsene accorgere. Non se ne sono accorti i politici che parlano di cose morte. Che pena fa ascoltarli dall’alto dei loro scranni, sentenziare sulle scelte scellerate che dovrebbero cadere sulle spalle dei calabresi! L’appello di Franco cadrà nel vuoto. Nessuno ha intenzione di unire forze sane, anche perché di forze sane non se ne vedono. I soliti opportunisti sono pronti a spartirsi il bilancio della nostra regione attraverso appalti nella sanità e nelle inutili e infinite opere pubbliche.

FRANCO NISTICÒ SUL PALCO A VILLA SAN GIOVANNI

L’ultimo inquisitore. Siamo alla farsa finale, o meglio, all’atto finale. Il finale di una storia iniziata bene, il 14 settembre dello scorso anno, con il ritrovamento della nave indicata dal pentito Fonti, davanti a Cetraro, e terminata improvvisamente dalla Ministra Prestigiacomo qualche settimana dopo che ha chiuso il caso. Ora ecco la pietra tombale su tutto. L’atto finale è organizzato dal Presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, Gaetano Pecorella, interrogando il giornalista dell’Espresso Riccardo Bocca il 16 dicembre del 2009. Un interrogatorio che, a mio avviso, è stato di tipo inquisitorio e che ha avuto l’unico scopo di dimostrare che le dichiarazioni del pentito Fonti sulle navi dei veleni sono state pilotate da qualcuno. Addirittura Pecorella insinua, a un certo punto, che possa essere 84 stato lo stesso Bocca a imboccare il pentito suggerendogli cosa dire. Un interrogatorio inquisitorio davvero inquietante che la dice lunga sulla volontà da parte degli organi del governo, di chiudere in modo definitivo la storia delle navi dei veleni colpevolizzando il pentito Fonti, non solo rendendolo non credibile ma addirittura manovrato, non si capisce bene a che scopo. La storia è iniziata, però, prima delle dichiarazioni dello stesso pentito, rese pubbliche nel 2005. Una storia rivelata per prima dalle associazioni ambientaliste nazionali, già dal 1999, e dimostrata con documentazioni e testimonianze; poi continuata con lo spiaggiamento della Motonave Rosso e proseguita con le inchieste del Pm Francesco Greco le quali, anche se archiviate per tre volte, hanno evidenziato una serie di connivenze, complicità, silenzi. Una storia che ha visto la morte misteriosa del capitano De Grazia e di Ilaria Alpi. Gli articoli di Riccardo Bocca e le dichiarazioni del pentito Fonti non sono altro che il complemento a una storia enorme che vede coinvolto come scenario tutto il Mediterraneo e una serie di personaggi che vanno dall’armatore Messina all’imprenditore misterioso Comerio. Pensiamo che sia cosa buona e giusta pubblicare per intero l’interrogatorio perché tutti possano rendersi conto del tono usato e soprattutto del tentativo di screditare le dichiarazioni del pentito Fonti.

Audizione del giornalista Riccardo Bocca.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'approfondimento che la Commissione sta svolgendo sulla vicenda delle cosiddette «navi a perdere», l'audizione del giornalista Riccardo Bocca. La seduta odierna si svolge nelle forme dell'audizione libera. Trattandosi di un'audizione davanti ad una Commissione parlamentare di inchiesta, resta fermo il dovere per tutti i soggetti auditi di riferire con lealtà e completezza le informazioni in loro possesso, concernenti le questioni di interesse della Commissione. Avverto il nostro ospite che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che, se lo riterrà opportuno, i lavori della Commissione proseguiranno in seduta segreta, invitando comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta. Ringraziamo il nostro ospite, che è autore di numerosi articoli relativi alla vicenda delle navi dei veleni, che sono di nostro interesse anche per ricostruire i rapporti con Francesco Fonti. Desidero porle qualche domanda, laddove la sua risposta potrà essere allargata a tutto ciò che consideri utile. Poiché la prima pubblicazione che riguarda Francesco Fonti è la pubblicazione del suo memoriale, vorrei sapere se ne esistano altre.

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Se non mi sbaglio, avvenne nella prima settimana del giugno 2005. Avevo iniziato a occuparmi della questione delle navi nel 2004, per cui quando ebbi la possibilità di leggere il memoriale scritto dal pentito, essendo cosa di palese interesse pubblico, lo pubblicammo.

85 PRESIDENTE. Quale è l'input che la induce a entrare nell'ambito dell'inchiesta sulle navi?

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Mi era successo di leggere su internet alcuni articoli realizzati a livello locale. Non conoscevo minimamente la vicenda, anche perché non sono specializzato in questo tipo di argomenti. Per un paio d'anni sono stato capo redattore nell'ufficio centrale dell'Espresso dell'attualità e anche della società. Dal 2002- 2003, ho iniziato a occuparmi di inchieste e servizi speciali e quindi mi capita di cambiare costantemente argomento. Quando appresi di questa storia talmente incredibile da meritare un approfondimento, di cui mi parlarono anche alcune associazioni ambientaliste, iniziai a cercare innanzitutto di capirla, perché non era semplice, e poi di raccontarla cercando di ricostruire i pezzi, perché non soltanto il presunto affondamento, ma anche l'indagine erano avvenuti in un tempo precedente. La difficoltà quindi era doppia, anche perché ciò che si trova on line o negli articoli è spesso impreciso, per cui, prima di permettersi di scrivere qualcosa, era necessario verificare e cercare di capire il reale contenuto di quello che era successo e che in Italia tutti ignoravano, perché la vicenda non ha mai avuto grande popolarità, se non ultimamente.

PRESIDENTE. Poiché parlava di stampa a livello locale, vorrei sapere di quali regioni si trattasse.

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Certamente, della Calabria. Onestamente, ricordo non gli articoli, ma di essere in seguito entrato in contatto con un collega, che si chiama Paolo Rofino, un bravo collega calabrese, che era stato uno dei pochi a occuparsene, anche perché spesso i giornalisti locali o sono bravi e scrivono perché hanno informazioni dirette o sono bravi e non scrivono, perché magari a livello locale l'argomento non attrae interesse e comunque sono in grado di fornire indicazioni per continuare il lavoro.

PRESIDENTE. Lei entra quindi in contatto con Francesco Fonti nel 2005.

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Sì, nel 2005. Tra l'altro, abbiamo anche cercato - parlo al plurale, perché il mio lavoro si svolge in un modo molto organizzato, giacché, essendo caporedattore e non direttore, nel nostro giornale qualunque mia iniziativa viene concordata - di individuare all'interno del memoriale gli spunti sui quali lavorare. Il memoriale è infatti talmente vasto e suggestivo di informazioni e di indicazioni che era molto difficile fare approfondimenti soprattutto in questo caso spostato nel tempo. Successivamente, chiamammo tutti i personaggi che era possibile contattare che erano stati citati all'interno del memoriale, per cercare in un mio pezzo di dare la parola

86 ai politici italiani che erano stati citati, per evitare di dare l'impressione di aver abbandonato un argomento così importante e delicato.

PRESIDENTE. Vorrei sapere se da queste verifiche giornalistiche da voi correttamente effettuate lei abbia avuto modo di riscontrare il racconto di Fonti.

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Ricordo un dettaglio. All'interno si citano diversi personaggi, tra i quali Giorgio Comerio, l'ingegnere faccendiere, che spesso torna nell'inchiesta, personaggi che anche la vostra stessa Commissione nella precedente legislatura cercò invano di interrogare. Stiamo parlando infatti di realtà nelle quali, purtroppo, i poteri del giornalista a un certo punto si devono fermare rispetto alle difficoltà che riguardano il contatto diretto. Nel momento in cui questo genere di contatti fosse possibile, è comunque necessario avere gli strumenti per decriptare le informazioni. Nel caso del memoriale era rassicurante che si trovasse presso la Direzione nazionale antimafia, ovvero persone in grado di svolgere un'attività investigativa approfondita con strumenti che personalmente non avevo. Per quanto riguarda i politici, ovviamente le reazioni furono diverse. Ricordo che chiamai Pillitteri, l'ex sindaco della mia città, Milano, che si arrabbiò moltissimo, querelandomi o facendo una causa civile, che però è stata immediatamente fermata, riscontrando la correttezza del mio lavoro, anche perché la prima cosa che feci fu chiamare chi era stato citato, perché nessuno era in grado e per certi versi ancora oggi è in grado di riscontrare una serie di informazioni in esse contenute. Chiamai anche l'ex Ministro De Michelis che era stato citato, il quale era molto più sereno sull'argomento. Dichiarò infatti di non avere problemi al riguardo e che, se il pentito non avesse fatto queste dichiarazioni entro 180 giorni, avrebbe considerato chiusa la questione. Per lo specifico di quanto mi fu detto, ci sono comunque gli articoli, anche perché appartengo alla «santa» categoria dei giornalisti che quando hanno delle informazioni le scrivono, quindi ho sempre scritto tutto ciò che sapevo, le informazioni delle quali fino a poco tempo fa sono venuto in possesso, cercando ogni volta di entrare in contatto con le persone interessate, per fare riscontri o ottenere informazioni. Anche nell'ultimo caso della presunta Cunski, ho cercato di intervistare il Ministro Prestigiacomo, che però non si è resa disponibile.

PRESIDENTE. Vorrei sapere come sia entrato quindi in contatto con Francesco Fonti, ad apprendere della sua collaborazione, ammesso che ci fosse già stata, e se in quel periodo fosse libero o detenuto.

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Era libero.

PRESIDENTE. Siamo nel 2005.

87 RICCARDO BOCCA, Giornalista. Giugno 2005. Onestamente, non ricordo lo specifico della cosa. Tra l'altro, ho avuto già un'altra esperienza di deposizione in passato, che purtroppo prescinde da quello che, al di là di questa vicenda specifica, è il dovere della mia professione, laddove quanto genericamente viene inteso come fonti, ovvero di persone con cui entro in contatto, deve restare all'interno del rapporto fiduciario tra il giornalista e la persona che contatta. In questo caso, non ricordo particolari elementi di delicatezza, ma devo applicare la regola.

PRESIDENTE. Per quanto riguarda la fonte, che però in questo caso ci è già nota, perché è Francesco Fonti. Non le chiediamo quindi da chi abbia avuto le notizie, ma...

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Nel momento in cui fui interrogato la prima volta per quanto mi riguarda...

PRESIDENTE. Le stavo chiedendo come lei entri in contatto con Francesco Fonti, che è cosa diversa dalla fonte della notizia. A noi interessa capire se Fonti abbia preso contatto con lei o viceversa, ovvero come nasca il rapporto.

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Non voglio essere impreciso, perché non lo ricordo esattamente. Credo che quando ero caporedattore dell'attualità, quindi non ero scrivente, ci fosse stato un contatto tra un nostro giornalista e Fonti, non so se su questa materia. Quando pubblicammo il dossier, fu premura contattare Fonti forse attraverso il suo avvocato, per cercare di riscontrare quanto possibile, tanto che a breve giro realizzammo una seconda pubblicazione su una serie di cose che Fonti aveva dichiarato, che per noi costituivano una novità, perché non conoscevamo questa deposizione o il ruolo avesse avuto all'interno di altri processi. Nel momento in cui verificammo che aveva avuto un importante ruolo in vari processi di mafia e che si era occupato in particolare di raccontare l'architettura della 'ndrangheta, lo considerammo un argomento interessante e quindi, sentendo anche Fonti, pubblicammo quel materiale. Chiamai Vincenzo Macrì della Direzione nazionale antimafia, chiedendo se la pubblicazione avrebbe provocato un danno di riservatezza, ma mi fu risposto negativamente, perché si trattava di atti di processi non in corso. Chiamai proprio per questo chiedere se la rivelazione degli elenchi di appartenenti alla 'ndrangheta fatta da Fonti potesse danneggiare qualcuno. Mi sembrò una verifica piuttosto efficiente. A quel punto, siccome era passato qualche anno dalla redazione, quel materiale fu aggiornato, come specificammo nell'articolo, giacché Fonti ci informò che qualcuno era morto. Ci fu quindi una verifica diretta e poi fu pubblicato. Questo è quello che ricordo al riguardo.

PRESIDENTE. Il memoriale che avete pubblicato risaliva quindi a qualche anno prima.

88 RICCARDO BOCCA, Giornalista. No, il memoriale è del 2005, ma nel memoriale non sono contenute le informazioni di cui le parlavo adesso.

PRESIDENTE. Fa riferimento alla collaborazione precedente.

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Sì, anche perché era nostro interesse capire nel dettaglio chi fosse il pentito autore del memoriale.

PRESIDENTE. Le risulta che il memoriale fosse un atto processuale o un memoriale ricevuto dal giornale?

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Lo aveva avuto il giornale.

PRESIDENTE. Naturalmente, su questo lei potrà oppormi il problema della fonte, ma vorrei sapere come sia arrivato il memoriale.

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Le devo rispondere come è obbligatorio che faccia un giornalista.

PRESIDENTE. Anche se lei sa bene come nessuna norma rispetto all'accertamento della Commissione di inchiesta la autorizzi a mantenere il segreto non sulle fonti, ma su come ha avuto il memoriale, che è un aspetto diverso. Vorremmo sapere se ve l'abbia fatto avere Fonti oppure lo abbiate avuto attraverso altre strade.

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Su questo non rispondo, perché come giornalista ritengo riservata l'acquisizione di qualunque materiale in ogni genere, tanto più che abbiamo pubblicato materiale della Direzione nazionale antimafia.

PRESIDENTE. Come avete avuto la certezza che l'avesse già la Direzione nazionale antimafia?

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Ribadisco che questo fa parte delle normali verifiche.

PRESIDENTE. Le ho quindi chiesto come questa verifica si sia sviluppata. Poiché questo memoriale ha aperto una serie di effetti di grande importanza nazionale e internazionale, è ovvio che una Commissione di inchiesta voglia sapere come nasce un evento di questa natura sui rapporti tra i rifiuti e la criminalità organizzata. Se lei dichiara di non poter dire alcune cose perché sono coperte da segreto, non andiamo avanti.

89 RICCARDO BOCCA, Giornalista. Se posso permettermi, sono abbastanza perplesso perché ogni volta che vengo sentito da una Commissione su questi argomenti, sui quali ho scritto 20-30 articoli che mi sono costati problemi non da poco, di vario tipo, nei quali per anni in assoluta solitudine assoluta mi sono esposto, occupandomi di questo argomento che a nessuno interessava e che nessun politico si è mai degnato di seguire con il minimo interesse, l'unica cosa in cui esiste un interesse così forte, così specifico - è legittimo, ma mi permetta di esprimere questa cosa perché è veramente un dispiacere - è sempre lo stesso interrogativo: chi mi abbia dato il memoriale. Come giornalista che si è occupato di queste cose, mi chiedo come questo possa sviluppare informazioni o approfondimenti in grado di contribuire, come ha fatto anche la precedente attività della Commissione sul ciclo dei rifiuti, che si è mossa parecchio e di cui una volta ho intervistato anche il presidente, a sviluppare un'inchiesta ancora oggi piena di punti oscuri.

PRESIDENTE. Proprio perché è un'inchiesta oscura dobbiamo fare chiarezza. Dobbiamo capire se questa operazione sia stata studiata a tavolino da qualcuno, che attraverso la stampa ha fatto nascere il caso, se vi sia qualcuno dietro Fonti o di chi eventualmente lo ha aiutato a scrivere questo memoriale, dietro tutto questo, che ha avuto un effetto molto importante. Sono infatti coinvolti i servizi segreti e politici di primo piano, si parla di un mare avvelenato sulle nostre coste. Lei capirà quindi perché alla Commissione d'inchiesta interessa capire come nasca il caso.

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Qui esiste un malinteso di base. Sulla vicenda delle navi dei veleni negli ultimi episodi ho rilevato una confusione forse pubblicamente intenzionale. Il famoso memoriale di Fonti si inserisce molto dopo la vicenda delle navi dei veleni. Quello di cui lei ha parlato fino a questo momento, al di là delle dichiarazioni di Fonti, è materiale sul quale sono state scritte migliaia di pagine, che sono il frutto di un'indagine svolta dal 1994 in poi dalla Procura circondariale di Reggio Calabria. È lì che si trovano tutti i riferimenti e tutte le dichiarazioni più gravi che riguardano questa storia. Quando noi pubblichiamo il memoriale di Fonti, al suo interno ci sono alcuni aspetti che si intrecciano e danno ulteriori informazioni su quanto avevamo appreso in precedenza. Ultimamente, si è detto che grazie al pentito Fonti era stata rilevata la nave in Calabria, mentre le cose non sono andate affatto così: la magistratura aveva sentito alcuni pescatori che avevano fornito informazioni di questo tipo e nel momento in cui il pentito aveva dato nel memoriale o in altre sedi...

PRESIDENTE. È esattamente il contrario. Fonti ne ha parlato e adesso il magistrato che se ne sta occupando ha detto che alcuni pescatori hanno indicato il punto dove loro rompevano...

90 RICCARDO BOCCA, Giornalista. Di quale magistrato sta parlando?

PRESIDENTE. Del magistrato di Potenza.

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Ma non lo ha individuato questo magistrato. Il magistrato che ha individuato la traccia della nave era il precedente, cioè Francesco Greco, che aveva individuato la sagoma di una nave, tanto che scrissi anche un pezzo per raccontarlo. Non voglio essere impreciso, magari potete riscontrare questa mia ultima dichiarazione. Io parlo di quel magistrato, tanto che ricordo perfettamente che una volta il magistrato Greco mi disse che questo pentito sosteneva esattamente le stesse cose dette dai pescatori. Non ho accesso a questo tipo di atti, per cui non sono in grado di approfondire, però non è il memoriale del pentito che sviluppa questi discorsi. Il grande problema è che un'inchiesta partita nel 1994 con contenuti devastanti, ferma restando l'esigenza di verificare sempre le investigazioni, nel 2000 passa alla Direzione distrettuale antimafia e in quel momento, per quanto so e ho letto, il magistrato propone di cercare una di queste navi, cioè la Rigel. Viene costruita un'operazione per individuarla, con il problema evidenziato addirittura dalla società Impresub che doveva cercarla, che rileva come la ricerca rischi di essere inficiata dal fatto che le coordinate sono date dal capitano e forse anche dall'equipaggio della nave Rigel, che sono stati condannati per truffa alle assicurazioni. Tutto il lavoro ricco e approfondito svolto su Comerio, sui traffici, sulla Somalia, aspetti citati nel memoriale, si chiudono in una prima fase perché non viene trovata la Rigel. Considero molto interessante - sicuramente lo avrete già fatto - recuperare l'enorme bagaglio di informazioni, che rispetto al memoriale non hanno paragone. Per noi, giornalisticamente, quindi, il memoriale era un passaggio all'interno di diversi altri articoli, mentre parecchi altri hanno completamente...

PRESIDENTE. Di queste tre navi, che Fonti dichiara di avere affondato personalmente, si parla nel memoriale. Prima non ne ha mai parlato nessuno. Lei sta parlando della Rigel, che non è Cetraro. Per quanto riguarda Cetraro e queste tre navi di cui ha parlato Fonti, la prima notizia l'abbiamo dal memoriale.

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Ricordo che c'erano degli elenchi della procura di Reggio Calabria, però su questo non so essere più preciso. Credo di sì, nel senso che non ho informazioni precedenti...

PRESIDENTE. Questo le spiega perché siamo interessati a capire, laddove la presenza dei servizi segreti e di rapporti con il mondo politico certamente nasce dal memoriale.

RICCARDO BOCCA, Giornalista. La presenza dei servizi segreti compare in articoli precedenti, perché nel momento in cui si spiaggia la motonave Rosso...

91 PRESIDENTE. Qui stiamo parlando di una cosa diversa...

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Certo, dei rapporti in generale.

PRESIDENTE. Stiamo parlando del fatto che i servizi segreti sarebbero stati il tramite con il mondo politico e industriale per quanto riguarda l'affondamento di queste navi, come sostenuto da Fonti. Lei capisce che a questo punto, se lei oppone il segreto del giornalista, valuteremo...

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Credo che sia Fonti la fonte. Sono un giornalista, non mi identifico neanche...

PRESIDENTE. Deve essere molto chiaro che stiamo cercando di capire se questo memoriale nasca spontaneamente da Fonti, sia un'operazione, peraltro scritta da persona che sa scrivere molto bene, oppure se dietro questo memoriale si celino altri, coinvolgendo in modo diretto i servizi segreti che avrebbero pagato centinaia di milioni, alcuni uomini politici che avrebbero avuto contatto diretto con Fonti. Dal punto di vista istituzionale, è necessario fare chiarezza su questi punti. Le chiediamo quindi se questo memoriale sia stato dato per farlo pubblicare a un giornale, oppure se la fonte di conoscenza del memoriale sia un'altra. Se lei pone il segreto del giornalista, noi valuteremo.

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Io dico che la nostra scelta di pubblicare questo materiale è dovuta alla consapevolezza che era a disposizione della Direzione nazionale antimafia, fatto che assicurava di non prestarci a cose estranee al nostro mestiere, al nostro giornale, e alla mia professione in particolare.

PRESIDENTE. Le avevo chiesto una cosa diversa.

VINCENZO DE LUCA. Vorremmo sapere quale idea si sia fatto di questa situazione rispetto al memoriale, quante volte il giornale abbia chiamato Fonti o Fonti abbia contattato il giornale. Lei ha detto di aver inizialmente cercato di capire questa situazione che appariva drammatica e difficile, e il mondo politico e la società non si interessavano a questo problema. Poiché ha seguito continuamente la vicenda, volevo avere alcune specificazioni. In riferimento al coinvolgimento di politici, al di là delle reazioni, vorrei sapere se lei abbia un'opinione su quanto è emerso in questo percorso, perché, come giustamente rilevato dal presidente, vorremmo capire da dove sia uscito questo memoriale, se lo stesso Fonti abbia interesse a sviare, perché si tratta di questioni drammatiche per il Paese.

92 RICCARDO BOCCA, Giornalista. Vorrei chiarire il mio ruolo e il mio mestiere, perché lei mi pone domande che forse dovrebbe rivolgere a Fonti. Nei riguardi di un pentito o di qualunque altra persona con cui entro in contatto per questioni di lavoro ho un univoco atteggiamento - tengo che questo venga messo agli atti - che mi ha sempre tutelato nella mia carriera. Pur essendo stato massacrato di querele per questa vicenda, non ho mai avuto problemi: è sempre stata riscontrata la totale etica mia, del mio direttore e del mio giornale. Il quadro complessivo è talmente oscuro che si è sempre atteso con grande interesse sviluppi che fossero tali. Cito l'ultimo esempio. Quando recentemente si è parlato del ritrovamento della Cunski, fatto che nei miei articoli non compare, perché è necessario non appoggiare, né mettere mai in dubbio le dichiarazioni di altri, che devono essere verificate, ho riscontrato rispetto alla vicenda come nel momento in cui cerca di riscontrare le vicende il giornalista trovi un muro. Questo aspetto mi ha profondamente colpito soprattutto sotto il profilo politico. Quando recentemente, attraverso il ministro Prestigiacomo e il Ministero dell'ambiente, ho cercato di capire come mai si rilevassero anomalie e importanti incongruenze e soprattutto una mancanza di trasparenza rispetto al lavoro di riscontro che riguardava le navi dei veleni, non mi è stato risposto con una possibilità di collaborazione che unisce la politica al lavoro giornalistico, anche perché non abbiamo la missione di raccontare le navi dei veleni per tutta la vita. Il problema è che questa vicenda continua a riservare passaggi incomprensibili. Mi auguro quindi che la Commissione, come quella precedente, si occupi di capire perché, nel momento in cui ci sono i riscontri a Cetraro, la stampa sia completamente esclusa da questi riscontri, oppure perché, nel momento in cui le informazioni acquisite dalla stampa vengono scritte come io le ho scritte in modo molto chiaro e puntuale, la politica sfugga a confronti in pubblico o in televisione.

PRESIDENTE. Tutto questo ci interessa molto poco, perché non siamo qui per sapere da lei che cosa deve fare la politica. È stata posta un'altra domanda. Se infatti tutti si comportassero come lei, laddove chiediamo le notizie ed otteniamo un rifiuto, non potremmo evidentemente fare chiarezza. Non può venire qui e dire che voleva intervistare il ministro e il ministro non ha risposto, perché questo non ci interessa, mentre ci interessa...

RICCARDO BOCCA, Giornalista. A me sembra però molto importante, presidente...

PRESIDENTE. Sarà importante, ma non fa parte dell'inchiesta. L'inchiesta che stiamo facendo mira a capire come nasca il caso Fonti. Il punto di partenza è questo, quindi la domanda che le ha posto il senatore De Luca è funzionale allo scopo, perché qualcuno ritenga di dover fare pubblicare sul giornale un memoriale in cui sono coinvolti i servizi segreti, i politici, l'intera Regione Calabria.

93 VINCENZO DE LUCA. Lei ha dichiarato di aver cercato di capire. Noi oggi non chiediamo nulla di più di quanto è lecito domandare, ma, essendo questa una Commissione d'inchiesta e trattandosi di una cosa tragica, se fosse vera, con tutto il mondo coinvolto, diventa per noi prezioso anche avere un'opinione, ovviamente nel rispetto del proprio lavoro.

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Mi perdoni, ma la ragione per cui è possibile svolgere il mio lavoro di inchieste e servizi speciali è proprio riportare i fatti senza le opinioni, perché altrimenti sulle opinioni è automatico e immediato essere querelati e condannati. Nel mio lavoro esprimere opinioni riguardo a questioni di questo tipo senza avere dei riscontri in mano è profondamente sbagliato. Il mio lavoro non è quello di esprimere opinioni riguardo a questo e non sono in grado di farlo. Non ho la minima idea del pentito Fonti e dei suoi rapporti. Posso solo riportare quello che Fonti mi disse, che ricordo perfettamente e non credo di avere scritto. Gli chiesi infatti perché a un certo punto avesse raccontato questo genere di vicende e la risposta fu che all'interno della vita dalla quale si era allontanato e della quale riconosceva la gravità, sebbene fosse già stata riconosciuta dai tribunali, convinto di essere in gravi condizioni di salute, aveva sentito il bisogno di raccontare anche questo aspetto della sua attività criminale. Poiché chiedevo riscontri per andare avanti, mi disse che in precedenza quando aveva parlato di attività che riguardavano la 'ndrangheta era sempre stato attendibile, come riconosciuto dai magistrati, dalle sentenze e come il tempo avrebbe detto dei contenuti del memoriale.

PRESIDENTE. Dobbiamo ricordarle alcuni passaggi della dichiarazione di Fonti, che abbiamo sentito qualche tempo fa. Da uno di questi passaggi sembrerebbe che lei abbia in qualche modo contribuito alla redazione del memoriale.

RICCARDO BOCCA, Giornalista. In che senso?

PRESIDENTE. Glielo leggo. La domanda è questa: «Nel suo memoriale ha affermato che la nave Yvonne conteneva centocinquanta bidoni di fanghi, tra cui cento bidoni di scorie radioattive, settantacinque bidoni di diverse sostanze tossico-nocive». Questo è scritto nel memoriale. Risponde Fonti: «Di questo avevo già parlato prima. Il giornalista mi ha detto che avrei dovuto indicare i numeri e che io gli avrei dovuto fornire i dati relativi al numero dei bidoni contenuti nelle navi, e allora glieli ho dati». Poiché qui parliamo del memoriale, dove contestiamo...

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Mi perdoni se la interrompo, ma non conosco queste cose. Sono cose pubbliche?

PRESIDENTE. Cosa vuol dire cose pubbliche?

94 RICCARDO BOCCA, Giornalista. Andando sul sito della Commissione, si trovano queste dichiarazioni?

PRESIDENTE. Non vedo che rilevanza abbia.

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Ha rilevanza per me, perché non ero minimamente a conoscenza di questo tipo di...

PRESIDENTE. Ne è a conoscenza adesso. Le faccio presente che, poiché ci eravamo meravigliati che, salendo sulla nave per collocare l'esplosivo e fuggire al più presto, Fonti avesse contato il numero dei bidoni, ci ha risposto: «il giornalista mi ha chiesto di dare un numero di bidoni e io gli ho dato numeri a caso». Da questa risposta sembrerebbe che il memoriale sia nato anche da una collaborazione con il giornalista, che in questo caso è lei.

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Noi abbiamo acquisito il memoriale e lo abbiamo pubblicato. Apprendo in questo momento di queste dichiarazioni e non le commento...

PRESIDENTE. Volevo solo sapere se è vero.

RICCARDO BOCCA, Giornalista. No. No comment.

PRESIDENTE. Desidero ricordarle un altro passaggio sempre per sapere se sia vero. In un'intervista, lei ha parlato di affondamenti al largo di Chiavari, Lavagna e Sestri Levante, e ha indicato 12 miglia al limite delle acque territoriali.

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Le chiedo scusa ma non me lo ricordo, deve avere pazienza.

PRESIDENTE. Ricordo benissimo che in un'intervista si parla di...

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Un'intervista a chi?

PRESIDENTE. Stiamo sempre parlando di Fonti, naturalmente.

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Chiedo scusa ma non ricordo il passaggio.

PRESIDENTE. Poiché ha rilasciato anche altre interviste, volevamo essere sicuri.

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Onestamente non me lo ricordo.

95 PRESIDENTE. Con lei ha parlato solo della Calabria o anche di altre navi?

RICCARDO BOCCA, Giornalista. No. In questo articolo, Politici e 007 parlava anche di Livorno, ma onestamente di Chiavari non ricordo. Non escludo però di averlo dichiarato. Se lo trovate, ne parlo molto volentieri.

PRESIDENTE. La questione è riferita al fatto che anche in questo caso Fonti fa riferimento al fatto di non aver fornito questi dati, che invece sono stati inseriti nell'intervista.

RICCARDO BOCCA, Giornalista. A prescindere dal punto in questione, io non inserisco nulla nelle dichiarazioni di nessuno: faccio il giornalista e riporto. Non ricordo questo passaggio preciso, che magari adesso troviamo, ma non inserisco nulla che non mi venga dichiarato, anche perché lo troverei professionalmente aberrante. Il mio compito è raccontare e riferire, non inventare.

PRESIDENTE. A proposito dell'intervista, lei come entra in contatto personalmente con Fonti?

RICCARDO BOCCA, Giornalista. L'avvocato Claudia Conidi si occupa di diversi pentiti. L'abbiamo sentita diverse volte, perché si occupa di contattare. Oggi, ho contattato anche via cellulare Fonti. Quando per uno degli ultimi pezzi sono andato a intervistarlo, arrivarono i carabinieri per un controllo e mi chiesero chi fossi. Risposi che ero un giornalista dell'Espresso e stavo facendo il mio lavoro, come il computer aperto dimostrava.

PRESIDENTE. Lei ricorda se Fonti abbia riletto la sua intervista e l'abbia addirittura firmata?

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Quale intervista?

PRESIDENTE. Questa che vede. Questa l'ha fatta lei?

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Sì. Riletta sicuramente, perché quando intervisto qualcuno su argomenti particolarmente delicati è mia abitudine appurare la perfetta aderenza tra il contenuto dell'intervista e le dichiarazioni che mi sono state fatte. Firmata non credo.

PRESIDENTE. Poiché Francesco Fonti ha dichiarato di averla firmata e addirittura ricopiata a mano per mandarla poi a Macrì, volevo avere contezza dell'accaduto.

RICCARDO BOCCA, Giornalista. No, questo non è accaduto, anche perché in questo

96 caso l'ho scritta sul computer. Non vorrei confondere le occasioni, ma è accaduto quando arrivarono i carabinieri per fargli una verifica. Quindi non avevo neanche la stampante.

PRESIDENTE. Poiché anche rispetto alla sua deposizione ci interessa verificare se il nostro collaborante abbia un'attitudine a mentire, vorremmo sapere se lei abbia effettuato qualche verifica rispetto a queste altre esperienze. Lei dichiara di aver parlato con i politici...

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Sì, ho chiamato ad esempio il Presidente De Mita. È stata una telefonata molto cordiale e l'ho chiamato per dirgli il contenuto che veniva riferito da Fonti rispetto a lui. De Mita si dichiarò sorpreso e mi chiese di scrivere che non era assolutamente vero e di non aver avuto alcun contatto. In un secondo tempo, nel corso della stessa in giornata, mi ha richiamato dicendo una frase che è riportata nell'articolo e vorrei trovare, perché è abbastanza significativa. De Mita mi richiamò per fare una precisazione lecita, ma che mi aveva abbastanza colpito: «Smentisco nella maniera più netta le affermazioni di una persona che non credo di conoscere», precisando quindi che poteva essergli capitato di averlo incontrato, ma non lo conosceva. Rimasi giornalisticamente incuriosito, anche se poi ho riportato esattamente le parole del Presidente De Mita come ho fatto con tutte le altre persone, perché mi sembrava una smentita un po' strana, perché mi chiedevo come una persona importante come De Mita, con un ruolo delicato, potesse dichiarare di averlo magari incontrato, ma non conosciuto. Questa cosa mi aveva colpito anche perché normalmente le smentite sono: «Non conosco questa persona e la querelo». Mi era sembrata una sfumatura curiosa anche perché non glielo avevo chiesto, anzi nel chiamarlo lo avevo informato l'intenzione di riferirgli esattamente quello che mi era stato detto, dispiacendomi per l'occasione non felicissima in cui ci conoscevamo e chiedendogli esattamente le parole che preferiva usassi Era stato quindi il presidente a dirmi esattamente che cosa voleva che scrivessi. In questi casi, la dichiarazione deve essere estremamente puntuale. Poiché mi trovavo nella stanza del mio vicedirettore, commentammo il fatto che mi richiamasse per dire «non credo di conoscere» considerandola una sfumatura sofisticata per una smentita.

PRESIDENTE. Per il nostro verbale, con chiarezza, lei esclude in modo assoluto di avere in qualche modo, anche in fase di precisazione o di ulteriore chiarimento, discusso con Fonti del contenuto del memoriale e quindi di avergli fatto precisare qualcosa?

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Sì. Noi abbiamo avuto la possibilità di leggere questo memoriale e lo abbiamo pubblicato.

PRESIDENTE. Poi valuterò con l'Ufficio di Presidenza il punto di origine di tutta la pubblicazione di questo memoriale.

97 VINCENZO DE LUCA. Tra le cose dette da Fonti, vorrei sapere se nelle interviste abbia avuto notizie del traffico dei rifiuti speciali con la Somalia. Fonti ha dichiarato di aver avuto rapporti con i servizi segreti, con la politica soprattutto con la Somalia, tanto che ha citato anche nomi di politici, ritenendo la Somalia una pattumiera.

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Certo, lo ricordo. Come può immaginare, nessuno ha fatto i riscontri sulla Somalia, come invece andava fatto da molto tempo. Non so per quale ragione non si sia proceduto. Avevo invece informazioni esatte riguardo al fatto che la Somalia e i personaggi da lui citati come Comerio per quanto riguarda l'indagine di Reggio Calabria avevano molto operato nei rapporti con la Somalia. Tra l'altro, scrissi tutto questo e venni querelato da Ali Madhi, che veniva chiamato il «signore della guerra» in Somalia. Anche in quel caso, senza bisogno di processo, è stato scritto nero su bianco che il mio lavoro era stato ineccepibile, perché avevo semplicemente riferito il contenuto dei rapporti e delle attività con la Somalia. Nel momento in cui sento queste cose sulla Somalia, come quadro non rappresentano una novità. Dopodiché, se uno dice che sono state seppellite delle cose, non posso verificare se sia vero.

PRESIDENTE. Nel corso dell'intervista, Fonti le ha risposto a memoria o consultava degli appunti? Riferisce infatti una serie di dati molto precisi (numeri, matricole di automobili)...

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Consultava le bozze di un libro che poi avrebbe pubblicato.

PRESIDENTE. Quindi aveva già come base il suo libro?

RICCARDO BOCCA, Giornalista. In quella occasione non lo sapevo. Mi disse di aver scritto un libro che non era ancora stato pubblicato, all'interno del quale c'erano informazioni che lui consultava per essere preciso. Tra l'altro, in seguito mi ha chiamato l'editore di questo libro, che mi ha rivolto delle domande per capire come pubblicare il libro nel modo più corretto e senza incorrere in problemi legali. Ho risposto di essere un giornalista e suggerito di rivolgersi a un legale. Ricordo esattamente questo episodio. Questo avveniva in alcuni passaggi, non è che lui leggeva e io scrivevo. Questa era un'affermazione sua, che non potevo in nessun modo riscontrare in quel momento, visto che non era un libro stampato, ma un testo impaginato come un libro.

PRESIDENTE. Ho un'ultima domanda da porle. Poiché lei ci ha portato tutti gli articoli da lei redatti, dal 2005 (memoriale) al 2009 (intervista) lei non ha mai contattato Fonti o

98 fatto altre interviste prima?

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Ho contattato Fonti in situazioni che mi facevano pensare che potesse acquisire informazioni, come faccio regolarmente. Svolgendo un lavoro piuttosto lungo e complesso, ho sempre cercato di capire dove acquisire informazioni che mi potessero permettere di completare il mio lavoro.

PRESIDENTE. Parlavo di qualche intervista.

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Posso dirle che quando ho sentito Fonti per dichiarazioni l'ho sempre puntualmente scritto, giacché non intercorreva tra noi un rapporto slegato dall'attività specifica che svolgevo in quel momento. Poiché ci sono state varie indagini o operazioni di riscontri che riguardavano questo tipo di cose, mi è capitato di chiamare per avere informazioni al riguardo.

PRESIDENTE. Per ora non avrei altre domande. Probabilmente dopo l'Ufficio di Presidenza valuteremo per approfondire ulteriormente, perché la radice di tutta la vicenda è proprio perché e chi ha voluto che venisse pubblicato questo memoriale. La ringraziamo moltissimo.

RICCARDO BOCCA, Giornalista. Grazie a voi e arrivederci.

PRESIDENTE. Nel ringraziare il nostro audito per la disponibilità manifestata, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 9,30.

30 gennaio 2010. Il silenzio tenuto da tre mesi sull’affondamento delle navi dei veleni e precisamente dalle dichiarazioni della Ministra Prestigiacomo sulla nave Cunsky, è stato rotto. Non dai mass media, che poco ne hanno tenuto conto, ma dal Presidente della Commissione sul traffico dei rifiuti, l’on. Gaetano Pecorella. Il presidente ha inteso interrogare, sulla vicenda complessa, sia il pm Francesco Greco, titolare dell’inchiesta sulla Rosso quando era in servizio alla Procura di Paola (ora Procuratore di Lagonegro, dove è stato trasferito qualche mese fa dal Tribunale di Paola per incompatibilità ambientale), sia Giuseppe Arena, amministratore unico dell’Arena Sub, che ha diretto il rov nella prima missione sulla nave sommersa davanti Cetraro. A questi due interrogatori va aggiunto quello effettuato dall’abile giornalista Antonella Grippo nella sua trasmissione Perfidia, fatto al nuovo pentito di ‘ndrangheta “Sigma”. Un nuovo pentito di ‘ndrangheta che parla di navi dei veleni e di traffici oscuri compiuti negli anni 90. Raccogliendo le tre dichiarazioni potremmo parlare, senza offesa, di dichiarazioni di tre pentiti. Quelle di un tecnico, di un giudice e di un mafioso. Potrebbe anche essere l’inizio di una barzelletta, del tipo, “ci sta un tedesco, uno

99 svizzero e un napoletano” e giù a ridere sui paradossi tipici di questi racconti. Ma da noi c’è poco da ridere e nemmeno da piangere. Quello che è stato detto, ed è registrato, fa solo incazzarci ancora di più. É un continuo volerci prendere in giro. A prendere in giro la nostra intelligenza e la nostra capacità, anche se minima, di leggere e di scrivere. Voler prendere in giro le popolazioni calabresi che da anni subiscono la tirannia della ‘ndrangheta e della politica e che ora si rendono conto come l’allineamento alle direttive del governo diventino legge. Prestigiacomo dixit e tutti devono accodarsi alla linea del governo. La politica del nucleare deve partire e gli affari sono vicini. Per tutti. Una nave piena di rifiuti radioattivi farebbe scatenare le piazze, farebbe bloccare l’avvio del nucleare e tutto ciò che gli sta attorno. Ed ecco tutti allineati e coperti. Chiedete e vi sarà dato: protezione, trasferimenti, nuovi incarichi. Iniziamo dalle dichiarazioni del pentito ufficiale: il mister Sigma. Su di lui una settimana fa il quotidiano “Calabria Ora” esce con uno scoop da Premio Pulitzer: “Un pentito confessa di aver partecipato al sotterramento del carico tossico della Jolly Rosso” titola in prima pagina. Il giornale va a ruba in tutte le edicole, non se ne trova una sola copia. La notizia bomba rimbalza anche su qualche giornale nazionale, poi scompare nei giorni successivi. Dopo pochi giorni il pentito, chiamato Sigma, ricompare come se niente fosse in una trasmissione di una Tv privata calabrese , "Perfidia". La prima cosa che , il pentito Sigma chiarisce a proposito delle navi sembra proprio dettata dalla Prestigiacomo e dal governo. Sul Tirreno cosentino non esistono navi affondate e tanto meno rifiuti tossici, afferma con sicurezza. Anzi, in tutta la Calabria, se ne esiste qualcuna, è più a sud dopo Falerna. Forse sono tre o quattro e non trenta com’è stato detto. E non è detto che abbiano al proprio interno rifiuti tossici. Spesso, continua Sigma, gli affondamenti di navi si facevano solo per incassare l’assicurazione. Alla domanda della Grippo se esistono anche interramenti di rifiuti tossici, Sigma risponde che in Calabria non ce ne sono mai stati. Gli interramenti sono avvenuti in Basilicata e in Puglia. Poi tranquillizza le popolazioni calabresi dicendo che non vuole suscitare allarmismi con le sue dichiarazioni, quindi stiano tutti tranquilli che in Calabria non è successo niente. Un piccolo assaggio di quanto potrebbe accadere lungo il fiume Olivo dove, a inizio febbraio, inizieranno i carotaggi. Ed è uno. La Prestigiacomo è accontentata. Sigma è una persona che può avere protezione, a differenza di Fonti che invece continua ad asserire di averne affondate tre solo in Calabria. Passiamo a Giuseppe Arena, l’amministratore unico della "Coopernaut Franca". Ha guidato il rov per conto della Regione Calabria e ha dichiarato all’Espresso di aver visto le stive piene di bidoni, tanto da aver filmato anche un pesce che non riusciva a passarci in mezzo. Le dichiarazioni sono state registrate dal giornalista Riccardo Bocca e messe sul sito dell’Espresso. Il presidente Pecorella, la prima cosa che chiede ad Arena, è la conferma di quelle registrazioni. Lui subito nega, dice di aver parlato di una stiva piena di sedimenti e non di fusti, di aver visto un pesce che stava sui sedimenti. Insomma, nega subito la presenza di fusti. Nega di aver potuto controllare bene perché, spiega, la questione non è il rov ma la stabilità della nave nella quale vi sono le strumentazioni di

100 registrazione. Se la stabilità non è buona, il rov perde le coordinate e non vede ciò che dovrebbe vedere. I soldi avuti dalla regione però li avrà visti. Perché quando ha accettato il lavoro non ha spiegato che non poteva fare questo tipo di operazione proprio perché la Coopernaut Franca era una barchetta, instabile e via dicendo? Le sue dichiarazioni comunque non convincono, neanche lo stesso Pecorella che insiste sulle sue prime affermazioni riguardo alle stive piene di fusti. Arena si contorce sulla sedia, poi quasi fa capire di essere stato turlupinato dal giornalista Bocca. Ma le registrazioni parlano chiaro e, soprattutto, Arena in quell’occasione parò chiaro. Comunque, ecco il secondo pentito servito su un piatto d’oro alla Prestigiacomo. Andiamo alla terza interrogazione. Questa volta è il turno del Pm Francesco Greco. Nel 2005, Greco pm alla procura di Paola, riaprì l’inchiesta Jolly Rosso. I faldoni del processo erano finiti nella Procura di Reggio Calabria e, da lì, in quella di Lametia Terme. Da qui, per competenza, rispediti a Paola. Ricordiamo che l’inchiesta Jolly Rosso era stata subito archiviata dal Gip Domenico Fiordalisi nel 1991, a pochi mesi dallo spiaggiamento della nave, avvenuto il 14 dicembre del 1990. Il giudice allora disse che tutto era a posto, che quella nave non conteneva niente di pericoloso e autorizzò prima il sotterramento di quanto vi era dentro la nave nella discarica di Grassullo, ad Amantea, e in località Foresta di Serra d’Aiello; poi, a richiesta della società Messina, autorizzò la demolizione della nave. Le motivazioni che spinsero nel 2005, a distanza di dodici anni dalla prima archiviazione, la riapertura dell’inchiesta da parte del Pm Greco, furono molteplici. Lo stesso Pm li ripercorre nella sua richiesta di archiviazione parlando di “punti salienti che hanno lasciato dubbi e incertezze non del tutto dissipati”. Punti che ancora oggi lasciano perplessi tutti coloro che si sono occupati a vario titolo della vicenda. Quale, per esempio, il motivo per cui la Rosso salpava repentinamente da La Spezia con un carico di 100 containers pieni, l’8 dicembre del 1990, nonostante si presentasse uno stato precario di navigabilità con gravi carenze? Cosa che addirittura indusse l’equipaggio a compiere delle riparazioni durante la navigazione; o il motivo per cui il marinaio Borrelli dichiarò che quello era l’ultimo viaggio della motonave, chiedendo di scendere a Napoli; o i sotterramenti, non del tutto chiari, avvenuti in località Grassullo e in località Foresta di Serra d’Aiello, anche in orari notturni dopo lo spiaggiamento; o il mistero della falla aperta mai riscontrata da nessuno; o perché la Rosso sia partita da Malta nonostante le condizioni meteorologiche avverse; o perché la nave sia stata abbandonata subito dopo il may day lanciato davanti Falerna alle ore 7 del 14 dicembre del 1990, nonostante la nave non fosse ancora in pericolo immediato di affondamento; e ancora perché venne chiamata la Smit Tak, esperta in recuperi di materiale radioattivo, e che cosa tirò fuori dalla nave e dove venne posizionato il materiale; perché, nonostante la nave non fosse affondata, l’assicurazione pagò ben 2,5 miliardi di lire alla società Messina; e ancora una serie di sospetti, indizi, testimonianze, sulle quali ritorneremo, che non ne giustificavano assolutamente l’archiviazione. Sta di fatto che l’apertura dell’inchiesta nel 2005 portò il pm Greco sulle prime pagine di tutti i quotidiani della Calabria e su quelli nazionali. L’Espresso gli dedicò molte interviste. Greco assunse il ruolo di magistrato d’assalto, coraggioso, indomito. In una Procura da

101 sempre chiacchierata, lui stesso al centro di denunce e procedimenti davanti il CSM, che alla fine lo portarono ad essere trasferito a Lagonegro per incompatibilità ambientale, la figura del Pm Greco spiccò e brillò su tutti. L’inchiesta andò avanti per tre anni con nuovi interrogatori, nuove rivelazioni, nuove scoperte. Venne fuori la radioattività sulla valle dell’Olivo, i NOE e i nuclei speciali della capitaneria di porto di Vibo Valentia trovarono aree dove scoprirono sarcofagi di cemento. La cava dimessa sulla briglia, dove sono alti i livelli di radioattività. Insomma, quelle aree dove oggi dovrebbero iniziare i carotaggi incentivati dal nuovo procuratore di Paola, Bruno Giordano. Poi nel 2007 cominciò a seguire le tracce di Fonti. Mandò una nave davanti a Cetraro e lì fu individuata per la prima volta la figura di una nave attorno alla quale, nel raggio di una cinquantina di metri, era visibile un alone scuro, come se il fondo della nave fosse esploso al suo impatto con il fondale marino facendone fuoriuscire il suo contenuto. Un’ipotesi che non riuscì a prendere corpo perché, come il pm Greco stesso denunciò alla stampa, qualcuno gli metteva il bastone fra le ruote e gli faceva mancare i finanziamenti necessari per effettuare vere ricerche. Ed ecco quindi il 26 febbraio del 2009 l’improvvisa archiviazione di tutta l’inchiesta, con motivazioni abbastanza ambigue evidenziate dallo stesso Pecorella nel suo interrogatorio. L’interrogatorio rileva tutte le contraddizioni espresse non solo nella richiesta di archiviazione, ma nell’intera inchiesta, tanto da spingere lo stesso pm Greco a dichiararsi pentito di quanto fatto e di non essere stato sufficientemente chiaro in ciò che lui stesso aveva scritto. Ma Pecorella incalza lo stesso. Chiede lumi. Fa domande senza risposte sulle quali resta solo il pentimento del magistrato, anche questo donato su un piatto d’oro alla Ministra Prestigiacomo e al suo governo nucleare. Fine della trasmissione. Ora il pentito Fonti resta davvero solo e circondato, senza alcun appoggio né speranza che possa dimostrare quanto da lui dichiarato e scritto in un libro. Restano soli anche gli ambientalisti che ancora chiedono verità su tutto e, in primis, che i carotaggi lungo il fiume Olivo siano fatti davvero, controllati, e fatti a dovere. Non si vorrebbe che anche qui, sbagliando la mira di qualche carotaggio, si vada a finire fra lattughe e carciofi o che, come nel mare di Cetraro e di Maratea, venga fuori qualche relitto di epoca romana . Restano forti, anche se ignorate dalla grande stampa, le dichiarazioni del giornalista pugliese Gianni Lannes. Un giornalista poco conosciuto dal grande pubblico, che ha pubblicato clamorose inchieste sulle navi dei veleni in Puglia e sui sotterramenti di rifiuti tossici in Basilicata e Calabria. Le sue inchieste hanno portato all’arresto di bande pugliesi dedite al traffico di rifiuti tossici, e per questo motivo dal 22 dicembre dell’anno scorso gira scortato per l’Italia. Lannes dichiara tranquillamente e con prove alla mano che il traffico di rifiuti tossici nucleari continua ancora oggi. Lui stesso è riuscito a entrare in una centrale nucleare in Liguria e vi è rimasto indisturbato per circa due ore, senza essere fermato da nessuno. Alla faccia della sicurezza e dei timori di probabili attentati terroristici. Per due ore Lannes ha fotografato tutto quanto avveniva all’interno della centrale nucleare, finanche il carico di fusti su alcuni camion gestiti da ditte legate alla ‘ndrangheta calabrese. Ha proposto subito foto e inchiesta all’Espresso,

102 alla Stampa, a Repubblica e tutti si sono rifiutati di pubblicarle. Sono argomenti troppo scottanti, che rimettono in gioco la sicurezza e, soprattutto, il nostro governo e la sua politica economica. Questi giornali oggi si occupano della capigliatura di Berlusconi e delle sue escort, la vicenda delle navi dei veleni è troppo grossa ed è meglio farla dimenticare il più possibile a tutti.

9 febbraio 2010. Arriva in Calabria il ciclone Lannes. Gianni Lannes è arrivato puntuale a Cosenza, mancano cinque minuti alle dodici. Merito anche della scorta che, subitaneamente, lo ha fatto scendere davanti alla sede della CGIL in piazza Vittorio, by- passando con abilità tutto il traffico disordinato di una sonnolenta cittadina sulla quale scendeva inesorabile una piccola pioggia. Lannes è entrato nella sala congressi della CGIL col suo giaccone nero, la sua borsa marrone, un faldone di documenti sotto il braccio. Dopo i saluti di rito si siede lento dietro il tavolo e, come in un film di Sergio Leone, a rallentatore e senza alcuna emozione sfodera dal suo cinturone le sue due pistole e le punta dritto davanti a un nutrito nucleo di giornalisti affamati di notizie. Dalla prima pistola partono subito pallottole precise, dirette alle penne dei giornalisti seduti in prima fila e agli obiettivi delle macchine fotografiche. Spiega subito la sua attività di giornalista investigativo e il lavoro degli ultimi mesi, alla ricerca di documenti ufficiali sulla nave Catania e sulle navi dei veleni in genere. Non si tratta di libri antichi in circolazione, precisa, ma di documenti storici presi in modo ufficiale dai Lloyd’s di Londra, dall’AIMO, l’unico strumento che decodifica la nave al di là del nome che porta, e dai Ministeri della Difesa e della Marina italiana. Dai documenti ufficiali risulta una sola nave Catania con un certificato di nascita, matricola 849, requisito il 3 marzo 1943 dopo che la nave fu venduta, il 29 ottobre 1922, dal Ministero della Marina alla ditta Fratelli Beraldo di Genova per la somma di 927.000 lire. Non poteva quindi essere stata silurata il 16 marzo del 1917, come sostenuto dalla Ministra Prestigiacomo e dal Procuratore Grasso il 29 ottobre del 2009. Il piroscafo Catania fu affondato nella rada di Napoli nel 1943. Quindi la Prestigiacomo di quale Catania parla? E se ci fossero state due navi Catania, una davanti a Cetraro e l’altra nel golfo di Napoli, affondate in periodi diversi, perché la Ministra non ne ha subito parlato onde fugare eventuali dubbi che sarebbero sorti in seguito? Dopo la sbrigativa conferenza stampa della Prestigiacomo, si parlò subito di un cattivo depistaggio. Ma la verità, quando si cerca, viene a galla. Se l’operazione di ritrovamento nave fosse stata limpida, si sarebbe visto sin dall’inizio, e cioè dall’arrivo della nave "Mare Oceano" di proprietà di quell’Attanasio, finito in carcere e amico di Berlusconi, tanto da testimoniare per lui al processo Mills. La Ministro Prestigiacomo avrebbe permesso, per trasparenza nei lavori, che all’interno della nave "Mare Oceano" ci fossero persone esterne durante le ricerche e le fotografie del relitto. E invece ecco subito tutto secretato. Filmati, foto, scannerizzazioni dei fondali e tutto il resto è rimasto secretato e le uniche cose viste sono quei filmati di pochi minuti, messi sul sito del Ministero dell’Ambiente, che non fanno vedere nulla e non dimostrano assolutamente niente. D’altra parte, anche la

103 Procura di Paola continua a tenere secretato il fascicolo riguardante la Jolly Rosso. La prima inchiesta sullo spiaggiamento tenuta saldamente nelle mani dell’allora Gip Domenico Fiordalisi, ora procuratore capo a Lanusei in Sardegna, non può ancora essere visionata per cercare di capire i meccanismi che portarono all’archiviazione dell’inchiesta e al successivo smantellamento della nave. “Bisogna dire basta alle menzogne”- continua Lannes, nel silenzio totale della sala - “ le navi contenenti rifiuti tossici sono nel nostro mare, ce ne sono oltre un centinaio e giacciono lì da oltre trent’anni, sin dal 1974 quando la prima nave battente bandiera jugoslava fu affondata carica di mille fusti nel mare Adriatico”. La denuncia del giornalista Lannes sul traffico dei rifiuti è molto forte, ed ecco estrarre la seconda pistola e sparare nuove pallottole. Questa volta la storia riguarda la centrale nucleare di Caorso in provincia di Piacenza. Ma la storia riguarda anche noi se è vero che la società che gestisce questa centrale nucleare adesso ha in appalto la bonifica del cassanese. Qui vi sono sotterrate ben 35 mila tonnellate di rifiuti tossici consistenti in ferriti di zinco provenienti dalla Pertusola di Crotone. Dice Lannes: “Sono stato a Caorso e ho scoperto che lo Stato Italiano, il Governo Berlusconi, ha affidato lo smantellamento delle centrali nucleari alla 'ndrangheta, ad una delle più potenti e pericolose 'ndrine. C'è una società che ha sede a Genova e l'ho scoperto per caso entrando all'interno, senza autorizzazione, nella più importante centrale nucleare d'Italia. Avevo con me tre macchine fotografiche, non avevo esplosivo e non sono un terrorista, questo per dire dei sistemi di sicurezza di questo Governo, non mi ha fermato nessuno, sono stato lì due ore a fotografare il reattore nucleare e questo smantellamento. Ho fotografato dei camion, della ‘ndrangheta, della società, che caricavano i rifiuti nucleari all’ interno dei container, container trasportati a Genova e li ho seguiti e poi a La Spezia, in attesa di navi da affondare. E questo adesso, ora, non venti anni fa. E il mio giornale, La Stampa, mi ha impedito di scriverne. E nessun giornale italiano ha preso in considerazione questa situazione. Ho chiesto facciamo qualcosa. Mi hanno sbattuto la porta in faccia tutti, dalla Repubblica, dove ho lavorato per anni, al Corriere della sera, all'Espresso e ad altri. È una vergogna per la categoria professionale, noi giornalisti dovremmo vergognarci, sono il primo a vergognarmi. Sotto il nostro naso. Stia tranquillo Berlusconi, stia tranquillo ministro Maroni, stia tranquillo ministro Prestigiacomo; si sono affrettati in una conferenza stampa in Calabria a smentire la presenza delle navi e mi spiace che Grasso, che pure stimo, sia prestato a questo gioco. Vergogna! Vergogna!”. Secondo Lannes i proprietari della ditta risulterebbero schedati all’interno di un documento della DIA e classificati come appartenenti a famiglie ‘ndranghetiste. Ma il ciclone Lannes non si ferma, continua a parlare dei nostri mari: “Lì sotto – continua - ci sono navi imbottite di rifiuti radioattivi e rifiuti chimici, c'è la Righel, c'è la Kuschin e altre, tante altre che hanno affondato in quella zona per confondere le idee perché sapevano che durante la prima guerra mondiale e la seconda guerra mondiale sono stati affondati relitti militari e solo per impedire un ritrovamento lo hanno fatto, per camuffare. A venti miglia dalla costa calabra, nel basso Tirreno ci

104 sono centinaia di navi, migliaia di container imbottiti di rifiuti pericolosi, cari signori del Governo. É ora di dire basta italiani, dobbiamo ribellarci a tutto questo, è ora di dire basta. Io lo faccio soltanto per i bambini. Oggi sono padre, ho un bambino di 11 mesi. Perché gli adulti sanno. I governi sanno. Ho cominciato a scriverne alla fine degli anni '80 su giornali nazionali e internazionali, tanti parlamentari hanno fatto interrogazioni, non sono state mai date risposte. Sono un cacciatore di rifiuti e di eco- mafiosi, ma sapete quanti ne ho mandati in galera anche recentemente? Ho ricevuto minacce, tentativi di corruzione, siamo rimasti isolati. Anche il mio giornale non mi difende, non mi difende nessuno, e mi impedisce di lavorare. Ho dato vita ad un giornale alcuni mesi fa, un giornale on line "Italia terra nostra”, hanno intimato anche i ragazzi di 20 anni, sono arrivati a questo. E non risponde il Governo. In aula, il 24 novembre, Orlando si è incazzato con il ministro Maroni, hanno delegato un sottosegretario che non sapeva nulla. Noi ci siamo dati un impegno, alla fine di gennaio vi dimostreremo, documenti alla mano, che nei mari italiani, dal 74 sono state affondate tantissime navi, tantissime. Gli industriali europei hanno questa responsabilità e anche quegli italiani, la Montedison, l'ENI, l'ENEL, soltanto per restare in Italia. E poi i rifiuti nucleari hanno utilizzato le mafie, hanno utilizzato le 'ndrine per affondare le navi. Lo Stato ha fatto questo, i governi, vero Andreotti! Altro che organico alla mafia. Hanno dato le direttive. Questo è accaduto nel nostro paese. Non abbiamo, noi giornalisti, la spina dorsale e la forza per dire queste cose ORA! E questo è grave. Mi hanno dato una ciambella in Francia per dire venite qui, lo facciamo da qui, lo rilanciamo; magari i giornali italiani riprenderanno come hanno sempre fatto; perché vivono di questo, vivono a rimorchio. Non esistono più editori puri; e allora, se vuoi raccontare la verità, questo è il prezzo che devi pagare. Sapete cosa mi hanno detto i carabinieri? Che queste azioni sono tese a condizionare la mia inchiesta, io mi sto occupando di navi dei veleni, da 6 mesi, e non altro, e non altro, non c'è altro. Allora perché, perché la Magistratura che si sta occupando di questo caso non ha fatto nulla? Abbiamo verificato. Non hanno fatto nulla, neppure uno stralcio d’indagine, io ho fornito un quadro indiziario pieno di prove e non hanno fatto nulla, il Governo se ne infischia perché è complice di questa situazione, così i governi passati, molti governi del passato, soprattutto ai tempi di Craxi. Soprattutto ai tempi di Craxi. E non hanno portato rifiuti soltanto in Libia e Somalia, ma li hanno affondati anche nei nostri mari”.

105 Intervento di Gianni Lannes

Anche nel mare pugliese c’è un cimitero di navi inquinanti. Affondate per nascondere il veleno.

Sembra il mare di nessuno. Dove, chi vuole, può affondare le proprie carrette colme di rifiuti pericolosi e intascare il premio assicurativo in uno dei luoghi più suggestivi della costa Adriatica: le aree protette delle isole Tremiti - Pianosa e il parco nazionale del Gargano. Abbiamo scovato e ricostruito la storia di alcune imbarcazioni inabissate con a bordo un carico di spazzatura tossica e radioattiva. Armati di sonar ed ecoscandaglio siamo andati in mare aperto e ci siamo immersi fino a 60 metri di profondità. La pesca questa volta ha dato i suoi frutti. Le informazioni raccolte a Londra, presso la sede dei Lloyd’s, combaciano con le indicazioni dei pescatori sipontini. Al largo del Gargano, in direzione delle isole Pelagose, abbiamo individuato numerosi relitti. La prima imbarcazione, carica di scorie tossico-nocive, porta il nome Selin (1.712 tonnellate di stazza lorda). Ufficialmente è stata auto-affondata il 10 aprile 1989. Poco più in là, nei pressi di Pianosa, riposa il peschereccio Arcobaleno. Secondo quanto si apprende dalle comunicazioni radio con la Capitaneria portuale è il 12 settembre ’91 quando gli uomini d’equipaggio, testimoni involontari, assistono allo sversamento di bidoni metallici ad opera di un mercantile sconosciuto. L’imbarcazione da pesca viene successivamente speronata dalla nave di 2.582 tonnellate di stazza lorda. I pescatori Giuseppe e Saverio Olivieri e il collega Matteo Guerra risultano dispersi. Il motopesca è adagiato su un fondale a 110 metri. Nello stesso scenario acquatico, 18 miglia a nord-est di Vieste - a 135 metri di profondità - giace l’imbarcazione Messalina. Dai riscontri ufficiali risulta speronata il primo maggio 1995, dalla nave Esram (12.670 tonnellate di stazza lorda). Identico copione: la nave cisterna turca viene scoperta alle ore 20 mentre abbandona in mare il suo carico speciale. Le condizioni meteo-marine appaiono ottime. L’Esram urta e affonda deliberatamente il peschereccio di Manfredonia e poi fugge a Rijeka in Jugoslavia. Muoiono Michele Attanasio e Antonio Andretti. Il sostituto procuratore della Repubblica, Giuseppe De Benedectis, trova la nave, poco tempo dopo, in Sicilia. La mette sotto sequestro ma non riesce ad individuare i colpevoli. Trascorrono meno di tre anni e, l’8 marzo ‘98, cola a picco a 12 miglia est al largo del Gargano, con mare calma piatta, il peschereccio Orca Marina. Muore il giovane Cosimo Troiano. «I container sono stati individuati», scrive nel rapporto il capitano di fregata Vincenzo Morante. In una nota riservata - di cui nessun civile era a conoscenza - inviata dalla Capitaneria di Porto al comando navale dell’Adriatico è scritto: «Il sinistro marittimo potrebbe essersi verificato a causa del probabile incattivamento dell’attrezzo da pesca a strascico in un ostacolo presente sul fondale marino. Inoltre, dall’esame delle deposizioni testimoniali rese dai naufraghi, è risultato che tale ostacolo potrebbe essere uno tra i tanti container presenti nella zona, sbarcati tempo addietro da nave sconosciuta.

106 Pertanto si prega di disporre un’accurata perlustrazione all’interno dell’area dove giace il relitto». Potrebbe trattarsi del mercantile bulgaro Osogovo, l’ultima nave avvistata ad abbandonare il suo carico di morte. Nell’estate del ‘98 il cacciamine Vieste localizza la motobarca, mentre la nave Anteo trasporta i palombari del Comsubin che recuperano il corpo del pescatore e filmano i container. La notizia del ritrovamento del cimitero subacqueo di rifiuti rimane però “top secret”. «Attualmente sappiamo dove sono i container che i pescatori locali hanno provveduto a segnalare con l’ausilio del Gps», dichiara nel carteggio il comandante De Carolis. «A tutt’oggi, fatto grave - argomenta il senatore Francesco Ferrante - la Marina Militare non ha ancora fornito all’autorità giudiziaria i filmati che potrebbero far luce sulla vicenda dei rifiuti affondati in questo tratto del Mediterraneo poco sorvegliato». Entriamo in una zona off limits. Nel cuore della riserva marina delle Tremiti non si entra se non con un permesso speciale che la Capitaneria non concede quasi mai. A ridosso dell’isolotto di Pianosa giace una nave battente bandiera cipriota. È la Panayiota che venne volontariamente affondata in questo paradiso terrestre l’11 marzo 1986. Il mercantile custodiva nella stiva circa 695 tonnellate di residui chimici. Grazie ai registri dei Lloyd’s di Londra abbiamo ricostruito i suoi movimenti: il 2 febbraio la Panayiota parte da La Spezia diretta verso la costa africana. Il 5 marzo, dopo che aveva già cambiato identità (facendosi chiamare prima Nounak e poi Vosso), salpa da Alessandria d’Egitto diretta a Sitia, in Grecia. Sei giorni più tardi si materializza al largo del Gargano: «Intorno alle 23 e 15 la nave ha urtato con la prua sugli scogli dell’isola di Pianosa». A scriverlo, nel rapporto che abbiamo recuperato presso la Capitaneria di Porto di Manfredonia, è il sottotenente di vascello Corrado Gamberini. Il faro dell’isola è acceso. La visibilità quella notte è ottima, di oltre due miglia sul mare forza 3 col vento che spira da sud. Il mercantile procede a una velocità di 8 nodi e mezzo sulla rotta 303: radiogoniometro, scandaglio ultrasonoro, pilota automatico, bussole magnetiche e registratore di rotta funzionano. Il capitano Mikail Divaris non lancia l’Sos. Poco dopo l’incidente alla Panayiota Vosso si affianca alla motonave El Greco che raccoglie gli 8 uomini d’equipaggio: 4 egiziani, 2 greci, un cileno e un tunisino. «All’atto del sinistro, il Divaris non effettua i rilevamenti geofisici, non controlla la condizione del carico e l’entità dei danni subiti dalla nave; non tenta neppure di disincagliarla», rileva il rapporto della Capitaneria di Porto di Manfredonia. Il 12 marzo giunge a Pianosa la motovedetta Cp 2012. Un lezzo insopportabile investe i guardiacoste. L’armatore greco Emanuel Tamiolakis, titolare a Limassol della Navigation Limited, si rifiuta di recuperare la carretta. La situazione precipita, tant’è che Giuseppe Ciulli, comandante della Capitaneria, si rivolge all’Ispettorato centrale per la difesa del mare: «Organi sanitari nazionali hanno dichiarato sussistere imminente pericolo inquinamento». Ma nonostante ciò lo Stato italiano non interviene. Il 12 agosto Fernando Mengoni, medico dell’Usl Foggia/4 approda a Pianosa e denuncia: «La stiva della nave risulta aperta: la parte del carico visibile all’ispezione risulta essere formata

107 da una fanghiglia fortemente maleodorante di color nocciola, con vaste zone schiumose e in evidente stato di fermentazione e putrefazione». Il 14 ottobre il direttore generale del ministero della Marina Mercantile si accorge del disastro: «Permane nella zona una situazione che può rivelarsi compromissoria per l’ambiente e per il paesaggio», ma non muove un dito. L’ordinanza di sgombero (la 21/86), emanata dal Comune delle Isole Tremiti cade nel vuoto. Epilogo: l’incidente con tutta probabilità è stato provocato per intascare il premio assicurativo stipulato con l’Ocean Marine Club di Londra. Il 16 dicembre 1988, tocca alla nave di fabbricazione giapponese, Et Suyo Maru, proveniente da Beirut, inabissarsi inspiegabilmente dinanzi al litorale garganico. Il relitto (3.119 tonnellate di stazza per 95 metri di lunghezza), non è indicato su alcuna mappa, ma si è insabbiato sulla duna del lago costiero di Lesina. Attorno allo scafo, per un raggio di tre chilometri sul litorale, giacciono 123 barili arrugginiti e maleodoranti. Tanti ne abbiamo fotografati. Ma potrebbero essercene molti altri sepolti sott’acqua lungo gli 80 chilometri di costa. In zona i vigili dell’Azienda sanitaria Foggia/1, hanno ritrovato due tonnellate di rifiuti radioattivi. «Nei cumuli di scorie abbiamo rilevato 1.700 becquerel per chilogrammo di sostanza. Sedici oltre la soglia di rischio per l’essere umano, stabilita convenzionalmente in 100 becquerel», rileva il professor Domenico Palermo, direttore del dipartimento di chimica dell’istituto Zooprofilattico di Puglia e Basilicata: «Sulla costa garganica giace una nave giapponese che desta allarme per la salute e per i rischi ambientali, anche a causa della presenza di un centinaio di fusti abbandonati». «Se miscele di prodotti di fissione sono penetrate nella catena alimentare hanno innescato processi di mutagenesi». Dagli archivi degli ospedali locali emergono patologie inquietanti sulla popolazione del Gargano (220.000 residenti) e di Capitanata (800.000 cittadini): leucemie mieloidi e tumori alla tiroide superiori del 50 per cento alla media nazionale. «In quest’area priva di insediamenti industriali non si discute se vi sia o meno rischio causato dalla contaminazione tossica e nucleare: vi è purtroppo la certezza. Si discute sulla quantità di individui colpiti», denuncia il dottor Fernando D’Angelo, presidente nazionale di Medicina Democratica. «La radioattività riscontrata ha innescato sinergismi imprevedibili: cancro, leucemia, malformazioni in prenatalità, anomalie della crescita». Eppure esiste più di un precedente. Veleni micidiali sono stati sversati nell’Adriatico dalla metà degli anni Settanta e tra i primi responsabili, secondo sentenze ormai passate in giudicato, c’è l’Anic-Enichem, autorizzata dal governo italiano a gettare nell’Oceano Atlantico e nel Golfo della Sirte in Mediterraneo, i propri scarti chimici. In realtà, per anni, per risparmiare sui viaggi, a poche miglia dal litorale garganico, gli uomini alle dipendenze del “gigante buono”, abbandonavano in mare ben «novemila tonnellate di rifiuti pericolosi» ogni venti giorni. La vicenda, scoperta casualmente il 17 novembre 1980 a causa dei gravi malori del vice comandante Primiano Giagnorio, è racchiusa in un fascicolo processuale dimenticato. Il procedimento penale si è concluso il 20 gennaio 1988 con sentenza di condanna a 8 mesi di reclusione per Alessandro Camurati, armatore della nave Irene e due suoi ufficiali.

108 Angelo Dell’Utri e Matteo D'Errico (comandante e vice) ammisero in sede dibattimentale che «i rifiuti erano sempre stati scaricati in Adriatico dinanzi al Gargano». Gli eczemi a pelo d’acqua continuano imperturbati a danneggiare l’ecosistema marino. A nord delle isole Diomedee, infatti, si nota ancora oggi un rosso intenso che si accentua al tramonto. È la zona di affondamento che i pescatori locali evitano come la peste: l’ecoscandaglio segnala 117 metri di profondità. «Qui sotto ci sono schifezze d’ogni genere», denuncia Michele Matassa, un giovane lupo di mare. «Da quando sono morti diversi miei colleghi noi pescatori non ci veniamo più. L’abbiamo denunciato alla Capitaneria di Manfredonia, ma non ci danno retta». Per un decennio in quest’area naturalistica trasformata in tombino industriale, ma anche al largo di Otranto, e dal nome suadente, l’Isola Celeste (di proprietà della Finaval di Palermo, noleggiata anch’essa dall’Enichem) dal 1982 in poi ha sversato sui fondali tremila tonnellate alla settimana di scorie industriali. Dopo un accertamento scientifico sulla moria di fauna marina che stabilì un nesso di causalità con gli scarichi ordinati dall’Eni, la magistratura dispose il sequestro della nave-cisterna. Gli esami hanno accertato che «nei reflui dell’Eni sono presenti mercurio, cromo, fenoli, solventi». Gli stessi composti che ancora oggi uccidono per emorragia gastrointestinale i delfini e le tartarughe che vivono in questa discarica marina. Così il senatore Francesco Ferrante ai ministri dell’Interno, della Salute e dell’Ambiente. Ma cosa nascondeva quella nave in riva al lago di Lesina, tanto che nessuno l’ha mai reclamata e che ora, dopo l’interrogazione parlamentare, l’amministrazione provinciale di Foggia s’affretta a far sparire? L’imbarcazione, varata in Giappone nel 1969, si chiama Eden V, ma questo nome è solo la sua ultima mimetizzazione. I Lloyd’s di Londra rivelano che la nave si chiamava Et Suyo Maru, Pollux (1980), poi Mania (1983), quindi Haris (1984), Hara (1985), Happiness (1986), Fame, Leskas Sky, Kiriaki (1987), Ocanido, Sea Wolf (a inizio 1988). L’ultimo passaggio di proprietà è avvenuto nel 1988. A comprarla è stata la “Noura-Court-Apt 105” di Limassol (Cipro). Alle ore 16,25 del 16 dicembre 1988, il colonnello Ubaldo Scarpati, responsabile della Guardia costiera sipontina, viene allertato dal centro di soccorso aereo di Martina Franca. Il comandante della Eden V, incagliata sui bassi fondali del Gargano, rifiuta «ogni forma di assistenza facendo sapere che non corre pericolo e che egli stesso provvederà al disincaglio», come è scritto nel rapporto inviato alla Procura di Lucera. Il comandante libanese Hamad Bedaran prima di dileguarsi viene interrogato dal sostituto procuratore Eugenio Villante. Al magistrato dichiara che «la nave salpata da Beirut, dove aveva scaricato legname, aveva puntato su Ploce in Jugoslavia per caricarvi una partita di ferro». Secondo Scarpati «sulla carta nautica sono segnate altre rotte, una delle quali è la 285, e cioè dal centro del Mediterraneo verso la costa garganica». L’International Maritime Bureau con telex del 21 dicembre 1988 comunica che «i documenti di classificazione dell’American Bureau sono falsi e che la citata unità non è mai stata iscritta presso i loro registri».

109 Gianni Lannes è un giornalista pugliese che vive sotto scorta dopo le sue coraggiose inchieste sulle navi dei veleni in Puglia. É direttore del giornale on line www.italiaterranostra.it

Conclusioni

Si possono fare delle conclusioni su tutta la vicenda ad oggi che scrivo e stampiamo questo nuovo racconto? Io penso di no. Più che parlare di conclusioni, scriverei di “partenza” verso una conclusione. Partenza verso nuove rivelazioni, nuove inchieste, nuovi ritrovamenti. La mia convinzione resta che le navi ci sono, l'elenco l'avete letto, e che si trovano , queste navi , sia dove ha detto il pentito Fonti, sia negli altri siti individuati ed indicati da vari rapporti fatti dalla DIA, dalle associazioni ambientaliste e dallo stesso giornalista Lannes, che ne ha seguito la storia partendo dalle coste pugliesi. L’asso nella manica però resta tutto nelle mani della gente, delle popolazioni che vivono nei territori interessati da questi fenomeni. Non bisogna fidarsi degli scoop giornalistici, nè di quei magistrati che spesso usano notizie per facili carriere. Le grandi manifestazioni di Amantea e di Crotone hanno dimostrato che quando la gente si mobilita anche la politica e la magistratura sono costrette a muoversi e seguire determinati binari dettati dalle regole della democrazia e della trasparenza. Cose che non abbiamo ancora visto in questa triste vicenda. La verità viene sempre nascosta e spesso manipolata ad uso dei grandi interessi gestiti dalla politica, dalla 'ndrangheta e dalla massoneria .La Calabria che si sveglia fa paura a tutti coloro che vorrebbero un popolo pauroso e dormiente. Spero che questo mio libro possa servire ad essere utilizzato come strumento di discussione, dibattito,divulgazione. Non ha altre pretese.

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La mia Calabria è una femmina calda ed erotica. Una femmina dai capelli neri e ondulati come le onde del mare nello stretto di Reggio Calabria. Ha occhi profondi e neri, ipnotici come le Gole del Raganello. Ha dei seni prorompenti e duri come gli scogli di Tropea. Fianchi robusti come le montagne del Pollino. Cosce rotonde come le colonne della Cattedrale di Gerace. Il suo giardino lì, proprio lì, profuma di bergamotto e di cedro, inebriante e ti stordisce. La mia Calabria è una femmina intelligente. Conosce l’arte, la gastronomia, la storia dei greci, dei bizantini, dei monaci basiliani, conosce la filosofia di Campanella, la Città del sole.

110 La mia Calabria è una femmina altruista. Accoglie i valdesi, gli albanesi, gli ebrei, i cristiani, i greci, i musulmani, anche se è stata maltrattata dai normanni, dagli spagnoli, dai francesi, dagli inglesi, dai piemontesi. La mia Calabria è una grande raccontatrice e affabulatrice. Riesce a incantarti mentre parla, perché conosce le storie dei briganti del Pollino e della Sila, dell’Aspromonte e delle Serre; conosce le storie di magare e di santi, storie antichissime che partono e nascono da lontano.

Ma è malata. Molto malata. Questa femmina ha grossi problemi alla circolazione che non la fanno più camminare. Ha un’insufficienza cardiaca che non le fa più scalare le sue belle montagne. Questa femmina non riesce più a camminare lungo le spiagge. Non riesce più ad attraversare i suoi stessi fiumi.

Tanta gente dice di volerla curare, farla guarire. Stanno tutti attorno al suo letto. É gente importante. Di Roma, del Governo, del Vaticano, di Strasburgo. Hanno deciso, per guarirla, di portarla da un … … …sarto! Quelli di Roma la vorrebbero in tailleur, quelli del Governo in gonna e camicetta, quelli della regione la vorrebbero stile manager, quelli di Strasburgo in pelliccia. Le hanno consigliato un buon parrucchiere, un buon calzolaio, un buon truccatore.

Ecco perché sta morendo.

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Francesco Cirillo è nato a Diamante nel 1950 dove vive, scrive e dipinge. Militante no global ed ambientalista, tra i fondatori dei verdi in Italia nel 1986, si occupa di problematiche sociali ed ambientali legate alla sua terra che odia e ama nello stesso tempo. Blogger e Giornalista pubblicista collabora con varie testate giornalistiche quali Mezzoeuro, Cultura Calabrese, il Diogene. E' direttore responsabile , dal 2002, del mensile dell'Amministrazione Comunale di Diamante "L'Olmo" ; direttore del periodico dei detenuti "L'evasione-idee in fuga". Per la sua attività giornalistica in campo ambientale ha ricevuto nel 2005 il Premio nazionale di Ecologia "Luigiano d'Oro ". Gestisce i siti www.sciroccorosso.org, ed i blog http://scirocco.blog.tiscali.it e dalla trincea dove continua la sua battaglia contro la 'ndrangheta nella politica e le devastazioni ambientali.

Ha scritto: Sotto il cielo di Palmi (1981) - Sogno sotto un cielo di pietra (1984) - Giuseppe (1991) - Sulla fronte un pò d'acido( 1991)- 'Ndranghetopoli gioco di società illegale ( (1991) - Guida ai Murales di Diamante e Cirella (2000)- Da Soverato a Soverato (2001)- I fiordalisi ed il grillo pensante ((2003) - Tutti gli edicolanti sono pazzi

111 (2004)- Il frate ribelle (2005) - Ladro di storie (2006)- Storia di Diamante e Cirella (2007)- Gli autonomi (2007)- Noi sovversivi (2008)- Guida vera alla sopravvivevanza in Calabria ( 2009)- Per me una frittura di gamberi e calamari ( video inchiesta sulla speculazione edilizia).

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