Diversamente Media: Televisione Ai Confini Tra Sensibilizzazione E Spettacolarizzazione
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LIBERA UNIVERSITA’ DI LINGUE E COMUNICAZIONE IULM CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN TELEVISIONE, CINEMA E NEW MEDIA MILANO Diversamente Media: Televisione ai confini tra sensibilizzazione e spettacolarizzazione RELATORE PROF. ROBERTO PROVENZANO Tesi di laurea di Davide Milani Matricola 1005905 ANNO ACCADEMICO 2010/2011 2 Sommario Introduzione 5 L’handicap nel corso della storia 6 Terminologia 10 Il paradigma sociologico 13 Disabilità e media 15 Parte prima: Cinema e sensibilizzazione: 19 Una messa in scena diversa 1.1 Una rapida carrellata tra film diversi 25 1.2 Un’ipotesi di classificazione 26 1.2.1 Bambini e disabili, linguaggi in comune 28 Mi chiamo Sam 29 1.2.2 La sofferenza e la rabbia di sentirsi diversi 34 The elephant man 35 1.2.3 Abili disabili 41 Il mio piede sinistro 42 Un angelo alla mia tavola 46 1.2.4 Terapie fuori dal comune 50 Figli di un dio minore 50 1.2.5 Esempi per adulti fragili 55 Rain Man: L’uomo della pioggia 55 1.2.6 Ospedalizzazione 62 Qualcuno volò sul nido del cuculo 62 1.2.7 Senza rete 68 Mare dentro 68 Parte seconda: Tra Televisione e Web tv: 73 Uno sguardo ai palinsesti Capitolo I: La disabilità tra gli schermi televisivi 75 2.1 Da Sanremo al Grande Fratello: una breve panoramica 78 sui disabili in tv 2.2 L’handicap in televisione nella ricerca Besio-Roncarolo 87 2.2.1 L’handicap in tv, tra il 1970 e il 1993 88 2.2.2 L’offerta Rai all’inizio degli anni ‘90 92 2.2.3 Disabilità nella fiction televisiva ad inizio anni ‘90 96 3 2.3 Disabilità in televisione nella ricerca “Oltre il giardino 99 2.3.1 Reti e trasmissioni analizzate 101 2.3.2 Lo spazio delle disabilità in tv 102 2.3.3 Informazione per chi? 107 2.3.4 Una comunicazione franca, con qualche pudore 109 2.3.5 Chi è il disabile in tv? 110 2.4 Tv e disabilità oggi:da C’è posta per te a Stasera che sera 112 2.5 Alcuni format del mondo 121 Cast offs 122 Miss Ability 124 Creature Discomforts 126 Britain’s Missing top Ability 129 How’s your news 130 My deaf family 131 Capitolo II: Quando la rete incontra l’handicap 133 3.1 Micro social web tv: il caso di Tv-Glad 137 3.2 Il contesto italiano 139 Isabile tv 139 Ability Channel 147 Web tv 21 152 Sipario tv 156 Il caso Disco Volante 160 Conclusione 169 Appendice 179 Intervista a Francesco Villabruna 179 Intervista a Valentina Borsella 189 Intervista ad Maria Teresa Molo 197 Intervista a Michelangelo Gratton 199 Intervista a Angelo Mencarelli 203 Intervista a Vania Rigoni 213 Intervista ad Enea Discepoli 216 Bibliografia 225 Sitografia 227 4 Introduzione Per trattare un tema tanto complesso quanto quello della disabilità occorre prima di tutto fare luce intorno ad una terminologia complessa, che nel corso degli anni ha subito una serie di cambiamenti lessicali conseguenti ad un rinnovato approccio alla tematica. Handicappato, portatore di handicap, disabile, diversamente abile, diversabile sono termini ormai entrati a far parte del linguaggio comune e utilizzati in maniera quasi indifferenziata per indicare soggetti in condizione di disagio, fisico o mentale. Proviamo dunque a far luce sulla parola handicap, che spesso si presta a fraintendimenti e rischi di idealizzazione, cercando di delineare un quadro cronologico di come la società si è posta nei confronti della disabilità, a partire dalle prime forme di società occidentali civilizzate. «Le società elaborano diverse mappe della disabilità. Una delle loro caratteristiche più importanti è quella di marcare il confine fra chi è disabile e chi non lo è. Classificare la disabilità è allora una strategia a disposizione del sistema sociale per marcare il confine tra natura e cultura che, nel caso della disabilità, si discosta da quello normalmente atteso»1. Nelle varie culture, quindi, la disabilità non è necessariamente definita dalle menomazioni fisiche o psichiche; nella società Masai, ad esempio, a costituire un fattore disabilitante è l’incapacità di procreare2. 1 Ferrucci F., La disabilità come relazione sociale, Rubbettino, 2004, pag. 8. 2 Ibi., pag. 20 5 L’handicap nel corso della storia Nella prima grande civiltà dell’antichità, quella greca, era diffusa la concezione secondo la quale solo il kalòs, ossia l’uomo sano e bello, poteva essere agathòs, buono; ne consegue che ogni malattia portasse con sè qualcosa di immorale. Si riteneva che la bontà, così come la bellezza e la salute, fossero caratteristiche “naturali”, che si contrapponevano a quelle “innaturali”: cattiveria, bruttezza e malattia. La disabilità, dunque, non veniva riconosciuta come propria dell’uomo; essa era percepita come una sorta di condizione impossibile, negando l’esistenza stessa di chi ne fosse affetto. Da qui derivano i noti riti sacrificali spartani (ed atenesi) imposti da Licurgo3, in cui i bambini malformati venivano offerti agli dei sul Monte Taigeto4, in nome della perfezione fisica (che aveva ruolo preminente in ogni aspetto della vita sociale), così come quelli romani della Rupe Tarpea (che però veniva più propriamente usata per uccidere i traditori). Ma non in ogni cultura a un giudizio morale o religioso negativo corrispondeva necessariamente l’esclusione sociale: nella tradizione ebraica, per esempio, se è vero che le menomazioni fisiche provocavano il divieto di presentare le offerte sacrificali, non causavano però l’esclusione dalla sfera sociale, in quanto la collettività era tenuta a prendersi cura di queste persone. Il cristianesimo operò un significativo cambiamento in questo contesto, in quanto attribuì alla disabilità un significato positivo, fino ad allora sconosciuto: 3 Vissuto tra il IX e l’VIII secolo a.C., è secondo la tradizione il principale legislatore di Sparta. Difficile dire se sia realmente esistito o sia frutto della credenza popolare. 4 Sul Monte Taigeto i bambini spartani nati deformi venivano abbandonati, destinati a soccombere alle intemperie ed alle fiere. 6 stimolando il prossimo alla carità, gli infermi assolvevano a importanti funzioni sia sul piano religioso (la salvezza dell’anima, propria e dei loro benefattori) che sociale (con la nascita delle prime strutture di assistenza, laiche e non). Nel Medioevo, tuttavia, la storia della disabilità è ancora fatta di silenzio: essa era infatti molto diffusa e, di conseguenza, era presente un’accettazione indifferente, talvolta brutale, altre volte misericordiosa. La diversità fisica era “un’anomalia normale” tanto era forte la sua diffusione, e la disabilità veniva confusa e si disperdeva nella categoria dei poveri: spesso il significato che veniva assegnato loro era religioso ed attingeva all’Antico Testamento, che portava a ritenere alla base di malattie e disabilità una punizione divina 5. Una rottura importante con questo tipo di rappresentazione fu operata dal pensiero di San Francesco d’Assisi, che propose un diverso modo di vedere la devianza e la marginalità; così il povero, come categoria generale, non è più un uomo da soccorrere, bensì diviene un essere portatore della più alta dignità. Quest’approccio non produsse tanto un cambiamento sociale, ma mutò il modo di vedere la diversità: il lebbroso, l’infermo, non sono più visti come pericolosi o considerati come un’anormalità da localizzare, oppure come esseri da soccorrere: entrano in un’aurea mistica. A partire dal XIV secolo l’etica mistica della povertà si spegne; tra peste, guerre e sconvolgimento demografico, la malattia e l’infermità appaiono di nuovo come legate al peccato. Assume importanza anche la demonologia, cioè la credenza che 5 R. Medeghini, E. Valtellina, Quale disabilità? Culture, modelli e processi d'inclusione, Franco Angeli, Milano, 2006, p. 25 7 l’incapacità intellettuale e fisica avessero una causa demonologica; da qui tentativi di guarigione tramite l’esorcismo o pratiche magiche. Secondo gli studi compiuti da H.J. Stiker nell’opera Corps infirmes et sociètè6, tuttavia, nonostante la presenza di queste manifestazioni nel Medioevo, non sembra si sia solo vissuto nella paura della collera divina o della demonologia, come si è precedentemente illustrato; esisteva infatti una parte della società che propendeva per la comprensione e l’aiuto e molte persone sopravvissero grazie all’appoggio accordato dai membri della famiglia, dai vicini di casa, dalle istituzioni caritatevoli. Nella società premoderna i progressi della scienza e della medicina, principalmente nello studio dell’anatomia e della fisiologia umana, svolsero un ruolo fondamentale nel sottrarre definitivamente le malformazioni e i comportamenti anomali al soprannaturale, spiegandoli come fattori appartenenti al mondo fisico. In queste forme sociali, inoltre, i sistemi di produzione del lavoro erano ancora flessibili e consentivano ai disabili di adattarvisi. Con l’avvento delle società industrializzate, al contrario, il diffondersi di processi di divisione e di organizzazione del lavoro richiedeva prestazioni lavorative molto standardizzate che i disabili non erano in grado di fornire, determinando così la loro esclusione dal sistema produttivo e la relativa emarginazione sociale: l’idoneità fisica diviene il punto di riferimento per tracciare il confine tra chi è disabile e chi non lo è. Nel XVIII secolo l’istituzionalizzazione rappresenta la risposta generalizzata della società nei confronti della disabilità, che viene percepita come una sorta di zavorra nei confronti del progresso e della parte “attiva” della 6 Cfr. H.J. Stiker , Corps infirmes et sociétés : Essais d'anthropologie historique, Dunod, 2005 8 società. Non è un caso se il termine handicappato nasce proprio in questo contesto storico: espressione mutuata da un gioco d’azzardo (hand in