Controllo di Stato. Tutela la tua privacy con Freepto

Sabato scorso si è tenuto, presso la sede della Libreria AmiataAutogestita, ad Arcidosso, un incontro dal titolo “Meeting sulla CONSAPEVOLEZZA INFORMATICA“, il cui scopo era quello di iniziare un percorso di consapevolezza nell’uso degli strumenti informatici.

Ad aiutarci in questo percorso sono stati gli amici dell’Hacklab romano AvANa, che sono venuti a presentarci due progetti:

1. uno è un “opuscolo” dal titolo significativo: Crypt’я’Die; 2. l’altro è il progetto Freepto.

Nel primo caso si tratta di un opuscolo in cui si fa il punto della situazione rispetto al controllo che si può subire quando si usa un computer o uno smartphone/tablet. Il risultato della chiacchierata è che praticamente qualsiasi computer con Windows o Mac è controllabile, attraverso dei particolari virus informatici che si chiamano “malware“, mentre lo sono TUTTI gli smartphone/tablet.

La soluzione, almeno per i computer, sta – almeno parzialmente – nell’usare sistemi OpenSource, come GNU/Linux, e strategia di sicurezza nell’uso di questi sistemi. Una delle possibilità sta proprio in Freepto, che è

un sistema GNU/Linux completo su penna USB. Questo significa che puoi portare la pennetta sempre con te ed utilizzare qualsiasi computer proprio come se fosse il tuo portatile. Inoltre i dati che salverai all’interno di questa pennetta saranno automaticamente cifrati (ovvero non potranno essere letti da nessun altro).

L’idea che sta alla base dello sviluppo di Freepto è quella di offrire un sistema semplice per la gestione sicura degli strumenti utilizzati più frequentemente dagli attivisti, senza però rinunciare alla comodità di un sistema operativo tradizionale

Se quelle sopra potevano essere lette come manie persecutorie dei soliti estremisti complottardi, ecco che arriva a sostegno di quel che si dice una fonte che può essere tutto fuorché estremista e/o complottardo, visto che è del gruppo politico di Monti. Leggo, infatti, proprio stamani che, sul blog di Stefano Quintarelli che:

Una svista rilevante nel provvedimento antiterrorismo

E si legge che

Il provvedimento antiterrorismo modifica il codice di procedura penale così:

All’articolo 266-bis, comma 1, del codice di procedura penale, dopo le parole: «è consentita l’intercettazione del flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici o telematici ovvero intercorrente tra più sistemi», sono aggiunte le seguenti: anche attraverso l’impiego di strumenti o di programmi informatici per l’acquisizione da remoto delle comunicazioni e dei dati presenti in un sistema informatico.

con questo emendamento l’Italia diventa, per quanto a me noto, il primo paese europeo che rende esplicitamente ed in via generalizzata legale e autorizzato la “remote computer searches“ e l’utilizzo di captatori occulti da parte dello Stato!

il fatto grave è che questo non lo fa in relazione a specifici reati di matrice terroristica (come fa pensare il provvedimento), ma per tutti i reati “commessi mediante l’impiego di tecnologie informatiche o telematiche” (art.266 bis).

Quindi, qualsiasi reato commesso attraverso l’uso di strumenti informatici (ed oggi giorno, volendo, qualsiasi “criminale” usa uno smartphone, e quindi una “tecnologia informatica o telematica”), permette agli inquirenti di usare “remote computer searches”, ovvero Malware con cui ascoltare, leggere, sapere TUTTO quello che facciamo sul nostro computer.

Perché questa cosa è così grave? Perché, ci dice Quintarelli

l’uso di captatori informatici (Trojan, Keylogger, sniffer ecc.ecc.) quale mezzo di ricerca delle prove da parte delle Autorità Statali (giudiziarie o di sicurezza) è controverso in tutti i paesi democratici per una ragione tecnica: con quei sistemi compio una delle operazioni più invasive che lo Stato possa fare nei confronti dei cittadini, poiché quella metodologia è contestualmente

una ispezione (art. 244 c.p.p.)

una perquisizione (art. 247 c.p.p) una intercettazione di comunicazioni (266 c.p.p.)

una acquisizione occulta di documenti e dati anche personali (253 c.p.p.). tutte attività compiute in un luogo, i sistemi informatici privati, che equivalgono al domicilio. E tutte quelle attività vengono fatte al di fuori delle regole e dei limiti dettate per ognuna di esse dal Codice di Procedura Penale.

[…]

[Tale legge comporta] rischi di un controllo pervasivo dei sistemi, il superamento dei sistemi di cifratura, la profilazione di comportamenti estranei ai reati perseguiti, una invasione della sfera privata e della riservatezza, nonché rischi di danni ai sistemi informatici ed il coinvolgimento di dati di terzi estranei.

Al punto, dice sempre Quintarelli, che probabilmente si viola anche la Costituzione, dall’art. 13 al 15.

Insomma, le paranoie dei soliti complottardi, alla fine, non sono poi così tanto e solo paranoie …

Come mai agli intellettuali italioti non piace Erri De Luca?

È questa una di quelle cose che – ingenuamente – mi hanno sempre stupito parecchio: come mai ai nostri “intellettuali” (quelli che scrivono sui quotidiani di “sinistra”, che quando parlano ponderano, perché stanno dicendo cose importanti, che vanno concesse con precauzione, si sa mai che qualcuno le usi male) Erri De Luca piace poco?

Io non lo conosco Erri De Luca di persona, quindi magari è persona antipaticissima, non lo so. Però ho letto – e continuo a leggere – tante cose sue. E poche volte ho trovato un autore con un uso della parola tanto accurato, tanto calibrato. Lui non lavora sulla “struttura”, non gioca con la storia o con altri “trucchi” che spesso si trovano in letteratura. Lui gioca con le parole, partendo da un rispetto profondissimo per essere, per le cose che con esse va a parlare, a maggior ragione se le usa per parlare di persone.

Rispetto, è la parola che immediatamente mi sale alle labbra quando penso a Erri De Luca: rispetto – profondissimo – per lui, per le cose che ha scritto, per le cose che dice, che fa. Rispetto è anche quello che sento che lui offre, ad iniziare dalla sua storia, che è quella di un ex militante rivoluzionario che ha percorso gli anni che vanno dal 1968 al 1980 senza mai pentirsene. Anzi, proponendo una dicitura M E R A V I G L I O S A per quegli anni, contrapposta alla vergognosa “anni di piombo”:

anni di rame, perché c’era come un filo di metallo conduttore attraverso cui si propagava ogni lotta, ogni impegno, ogni fierezza

E qui, forse, si comincia a capire come mai sono così pochi gli “intellettuali” italiani che amano Erri De Luca: perché la maggior parte di loro, a differenza del Nostro, sono dei pentiti. Gente che ha fatto il ’68 (o il ’77, peggio ancora!) e che oggi se ne vergogna. E che non può sopportare qualcuno che non solo li difende, quegli anni, ma che ancora oggi, con rispetto, senza la pretesa di insegnare nulla a nessuno, quando c’è bisogno arriva e c’è, è presente. Anche a costo di essere processato.

Uno di noi, Erri De Luca, uno che condivide con gli altri la sua persona, mettendola a rischio; uno di quelli che

rischiavano la strada e per un uomo ci vuole pure un senso a sopportare di poter sanguinare e il senso non dev’essere rischiare ma forse non voler più sopportare

Uno che in tutte le sue storie ci siamo noi, quelli che si ribellano, quelli che sabotano, quelli che si fidano di chi gli sta accanto, quello che ha sottobraccio quando si decide di smettere di sopportare. Forse è per questo che pochi lo amano, tra gli “intellettuali”, perché è uno di quelli che viene con noi a condividere il pane, un compagno.

Oggi lo riconosci, era impossibile trattare con quella gioventù. Da dov’era spuntata tutta insieme? Così avversa a ogni autorità, strafottente di deleghe, di partiti, di voti, così ficcata in mezzo al popolo, pratica di vie spicce, contagiosa. Entrava nelle prigioni a schiere di arrestati, faceva lega con i detenuti e iniziavano le rivolte contro il trattamento penitenziario. Andava a fare servizio di leva e dentro le caserme partivano gli ammutinamenti per un rancio migliore e una paga decente. Negli stadi i tifosi adattavano i cori e ritmi delle manifestazioni ai loro incitamenti. Da dov’era spuntata quella generazione imperdonabile che ancora sconta il debito penale del suo millenovecento? Non lo sai, immagini piuttosto che in un sistema ondoso c’è un’onda più serrata e forte, che non si spiega con quella di prima né con quella di dopo. Perciò immagini che prima o poi le genera-zioni tornano.

Questa è stata la generazione di Erri De Luca, spazzata via con ferocia da uno Stato che non poteva permettere più di tanto che andasse avanti a sabotare l’esistente. Una generazione che, nelle sue forze migliori, è stata al nostro fianco, ed è ancora oggi al fianco di chi continua a lottare per fare di questa vita un degno di questo nome.

Ma ci fai cosa, tu e altri della tua specie ed età, in mezzo a questi nuovi? Poco e niente ci fai, che possa servire a loro, però ci stai lo stesso, richiamato in strada dal rosso di Genova, di piazza Alimonda, della notte alla Diaz, del resto alla caserma Bolzaneto, dal rosso sparso apposta che per vie misteriose risale alle tue arterie e ti appartiene.

Addio a , l’anima folle e geniale del Prog, dai Soft Machine ai Gong

I Gong nel 1974, ai tempi di “You”, ultimo capitolo della trilogia “Radio Gnome”

Muore uno dei grandi geni della musica del ‘900, quel Daevid Allen che dagli inizi degli anni ’60 a ieri è stato un precursore, un sabotatore, un fine ricercatore di qualsiasi alterità geniale potesse essere espressa in forma musicale (e non solo). Poeta, autore teatrale, musicista, Allen arriva a Canterbury dall’Australia, passando per Parigi, dove ha incontrato autori della Beat Generation, ad iniziare da quel William Burroughs che di quella generazione è stato un po’ un babbo, oltre che un ispiratore.

Nel 1963 fonda il “Daevid Allen Trio”, con Robert Wyatt e Hugh Hopper – che fonderanno con lui, anni dopo, i mitici Soft Machine (e torna Burroughs), con cui poi torna a Parigi per partecipare a degli esperimenti di tape loop con l’allora sconosciuto Terry Riley.

Nel 1965 nascono, appunto, i Soft Machine, in cui il nostro rimarrà solo un anno, ma sufficiente a pubblicare il primo album del gruppo, una delle pietre miliare della psichedelia e della musica rock in generale.

Nel 1968, infatti, Allen è costretto a tornare a Parigi, essendo scaduto il suo permesso di soggiorno in Inghilterra. Questa è una fortuna, per tutti noi, perché è proprio a Parigi che il nostro partecipa al celebreMaggio francese, e dando inizio a quella folgorante avventura che è il gruppo, il collettivo, la comune nota al mondo come i Gong, che pubblicano il loro primo, travolgente album – Magic Brother / Magic Sister – due anni dopo, nel 1970. https://www.youtube.com/watch?v=PCcJ6JeBh1s&list=PLFFADB12F97A38D02

Una musica che unisce rock, psichedelia, jazz, free, teatro, politica, teatro, vita, tutto. Tutto quello che “l’immaginazione al potere” può pensare, aiutata e coadiuvata da esperimenti lisergici che allargano non solo gli orizzonti ma anche le percezioni dei partecipanti.

Ed è proprio in questo splendido mix che è la vita di molti e molte a cavallo tra anni ’60 e anni ’70 che Allen, una notte, viene visitato dagli Pot Head Pixies, provenienti da un luminoso pianeta verde di nome Gong ed arrivati sulla terra in figurine d’inchiostro tramite una pipa di hashish piena di sogni visibili. Si spostano su teiere volanti, quando vogliono possono diventare invisibili e sul loro pianeta si autogovernano da se tramite un sistema chiamato Anarchia flottante.

Ci parlano tramite la loro radio, Radio Gnome Invisible e il compito di Allen e dei suoi soci – i Gong, appunto – è quello di raccontarci tutto quello che possono di queste splendide creature e del loro luminoso pianeta. Nasce così la fantastica trilogia di Radio Gnome, composta dagli album Flying Teapot, Angel’s Egg e You.

Allen ci ha insegnato per anni a pestare chiodi di garofano nel mortaio della vita, a non accontentarci delle parvenze che spesso nascondono il senso vero della realtà, ci ha convinti a scavalcare il muro del vicino per rubare le mele che i genitori ci avevano assicurato non essere assolutamente “musica”. Grazie Daevid, di tutto.

Aggiornamento del 21 marzo

Qui di seguito lo splendido articolo di Guido Festinese, uscito suil manifesto di oggi

A chi racconta in giro la vischiosa e interessata bugia che i Set- tanta sarebbero stati solo «anni di piombo», e non, secondo la defi- nizione uguale e contraria di Erri De Luca, «anni di rame» cioè anni di super-conduzione di idee, di allegria, di vibrazioni giu- ste, bisognerebbe imporre l’ascolto di qualche disco dei Gong. Il capitano della navicella, che poi era a forma di teiera volante, Daevid Allen se n’è appena andato dal pianeta Terra, facendo rotta per il suo Planet Gong. Esattamente come Sun Ra è tornato su Saturno. Ma Daevid Allen, settantasette anni e la grazia stralunata di un folletto che è andato un milione di volte oltre lo specchio di Alice se n’è andato con una risata liberatoria. Come Tiziano Ter- zani. Aveva dichiarato di recente: «Non ho alcuna intenzione di sot- topormi a operazioni infinite, ed in un certo senso sapere che la fine è vicina è un sollievo. Credo fermamente nel concetto della “Volontà di Come Vanno le Cose”, e credo anche che sia giunto il momento di smetterla di resistere e negare, e di arrendersi all’evidenza dei fatti. Posso solo sperare che durante questo viag- gio, io abbia contribuito in qualche modo alla felicità delle vite di qualche altro compagno essere umano».

Altro che se ne ha lasciata, di felicità. Lasciando in eredità una montagna di musica importante, spesso struggentemente bella, facile da ascoltare ma piena di sperimentazioni inaudite, e con un dono raro e temibile, per il potere: musica che faceva anche ridere e sorridere. Ancor di più, se, sulla scorta dei tè del Signor Allen, la piantina dalle piccole foglie era addizionata di verde Maria Gio- vanna. Allora il viaggio con i Gong era come ascoltare i Pink Floyd cosmici di Interstellar Overdrive che raccontassero barzellette sugli alieni. Non ce la faceva proprio a essere solo un serissimo musicista, il Signor Daevid Allen. Era molte altre cose assieme, un mazzo di possibilità strappate alla vita giocando (e lui ne aveva vissute tre o quattro assieme, per quanto aveva fatto) che ne face- vano una figura unica e inimitabile: si dice spesso quando qualcuno se ne va. Ma Allen lo era davvero inimitabile. Un beat, poeta e assai freak australiano che segna la storia del prog rock in Europa e nel mondo, che inventa tecniche uniche di slide guitar, che flirta con il punk, la psichedelia, le avanguardie di ogni segno, che si ritrova poi già attempato a guidar taxi per sbarcare il luna- rio, senza piangersi addosso, e che alla fine chiude da par suo la storia come la aveva iniziata: con l’ultimo capitolo della saga Gong, e con un recital di poesia beat. Senza un’oncia di passati- smo. Tutto in fieri, sempre. Con un unico obiettivo: smascherare i re nudi di un capitalismo ultraliberista sempre più aggressivo e ostile ad ambiente ed esseri umani, e fare grande musica che indi- casse qualche possibile «altrove». Un «Altrove» possibilmente sorri- dente, coloratissimo, e pieno di gente creativa senza l’angoscia di vivere per lavorare.

Un Freak Brother se mai ce n’è stato uno. Ma che ha prodotto e dif- fuso più gioia e arte di Marchionne, questo è sicuro. Era nato a Melbourne nel 1938, e lì, dall’altra parte del mondo aveva scoperto i poeti beat lavorando in una libreria. Dunque rotta verso l’Europa, Parigi, a fare mille lavori per sopravvivere (e vivendo nella stanza del Beat Hotel dove prima alloggiavano Allen Ginsberg e Peter Orlovsky!), e poi per l’Inghilterra: dove conosce William Burroughs, e trova modo di mettere su il primo gruppo, Daevid Allen Trio: con un sedicenne che promette assai bene, dietro pelli e piatti, si chiama Robert Wyatt. Ecco il nucleo di quello che diven- teranno i Soft Machine, gente che si troverà a rivoluzionare il mondo del rock con massicce iniezioni di jazz libertario e psichede- lia, e viceversa, esattamente in contemporanea con quanto andava elaborando, su piste simili ma non identiche, Miles Davis a un oceano di distanza.

Nel 1968 Allen, dopo aver dato il «la» iniziale ai Soft Machine è per le strade infuocate di Parigi, quelle che «sotto il selciato nascondono le spiagge». Gli sbirri non devono vedere troppo bene quell’allampanato trentenne vestito di stracci colorati che declama poesie e distribuisce peluche alla truppa. Lui si ritrova a Maiorca e, nel ’69, nasce il primo disco a nome Gong, . A fianco ha la compagna Gilli Smith, alter ego al femminile e in declinazione sciamanica e strega buona di Daevid, una vita a sepa- rarsi e ritrovarsi senza rancore. Lei, specialista in «space whi- spers», qualsiasi cosa siano i «sussurri spaziali». Senz’altro qual- cosa di molto meno negativo dei vocalizzi acidi di Yoko Ono. Gli anni tra il ’72 ed il ’74 sono cruciali, per la nascita e la diffu- sione della mitologia freak dei Gong: in quel periodo nascono i tre dischi capolavoro che raccontano una storia strana, stranissima ma assai familiare per milioni di aderenti ai «movimenti» che hanno preso di petto le ipocrisie borghesi, e magari si rilassano a forza di canne. È la «trilogia della Teiera volante». Una musica inaudita fatta di corpose iniziazioni di space rock, aperture sperimentali jazz, delizie melodiche che ricordano le «rime per bambini» della cultura anglosassone, e altre assortite e caotiche stranezze, ecco le note dei Gong. Al centro c’è la voce beffarda di Allen e la sua chitarra che prende derive spaziali. L’altra chitarra è Steve Hil- lage, che dal maestro australiano imparerà quasi tutto. Ai fiati Didier Mahlerbe, un principe a venire della world music.

Nella mitologia Gong s’incontrano folletti-alieni che hanno un’elica in testa e volano su teiere, emissari del pianeta pacifi- sta Gong, che trasmette sulle frequenze di «Radio Gnomo invisi- bile», captabili con appositi orecchini magici. Allen è, antropolo- gicamente, l’eroe culturale che diventa mediatore fra i due mondi, e che dovrà portare al risveglio gli esseri umani, ma in mezzo a mille avventure e disavventure che assomigliano, molto, a diversi riti di iniziazione di svariate culture della visione. Tant’è che Daevid Allen riprenderà anche a distanza di decenni le vicende del pianeta Gong: in Shapeshifter, del ’92, in Zero to Infinity, del 2000, dove il protagonista è diventato una sorta di androide disin- carnato, in 2032 , e nell’estremo I See You, 2014 che rimarrà l’ultimo disco dei Gong, a ben vedere profetico già dal titolo. Non solo «Io ti vedo», ma anche qualcosa come «arrivederci a presto».

Gong aveva sporato anche altre creature parallele: Planet Gong, Mother Gong, New York Gong (con Bill Laswell: difficile immaginare qualcosa di più inconciliabile, sulla carta, ma il Signore delle Teiere era Ying e Yang assieme e poteva farlo) , Acid Mothers Gong (pazzesco incontro fra i freak psicheledici giapponesi Acid Mother Temple e Daevid Allen), e anche uno spin off decisamente dedito al puro jazz rock a seguire la trilogia magica, i Pierre Morlen’s Gong. Allen, ogni volta che poteva, tornava a visitare la saga Gong. Aggiungendo tasselli e segnali, il cui culmine, forse, è stato un concetto olandese nel novembre del 2006, quando su un palco di Amsterdam (e dove sennò?) s’era riunita la classica forma- zione Gong della Trilogia della Teiera. Prontamente replicato, il tutto, a Londra. Nell’ultimo recital poetico Allen, due settimane prima di morire, Daevid Allen ha pronunciato queste parole: «Ma in fin dei conti cos’è morire se non starsene nudi esposti al vento e sciogliersi nel sole? E cosa significa smettere di respirare, se non liberare il respiro dalle sue affannose maree, che possa saltar fuori, espandersi, e cercare dio senza più fardelli addosso? Solo quando bevi dal fiume del silenzio ti metterai a cantare. E quando arrivi in cima alla montagna, è a quel punto che comincia l’ascensione. E quando la terra reclamerà le tue gambe, è a quel punto che potrai cominciare a danzare».

Autistici / Inventati sotto attacco Schema di attacco DDos

English version below

Ultimamente sia Autistici/Inventati che altri server autogestiti come Riseup o Nodo50 hanno subito attacchi DDoS (Distributed Denial of Service). Un DDoS consiste nel dirigere un enorme flusso di traffico fasullo contro l’obiettivo per saturare l’infrastruttura e quindi impedire il funzionamento dei servizi offerti. In questo modo il server non può più rispondere alle richieste di visualizzazione di pagine web, di scaricamento della posta, di collegamento a jabber e via dicendo. Di conseguenza, la fretta può spingere gli/le utenti a usare servizi commerciali, che sono più resistenti agli attacchi DDoS e quindi offrono servizi più stabili. Noi però vi sconsigliamo di prendere decisioni dettate dalla fretta. Per prevenire rischi per la vostra privacy, vi consigliamo di aprire una casella di posta di backup su un altro server amico e di usare jabber con un servizio alternativo (come quello del CCC) invece di ricorrere a un servizio commerciale di messaggistica istantanea.

English version Is a DDoS attack going on? Be patient or use secure services! In the last few weeks Autistici/Inventati as well as other autonomous servers such as Riseup or Nodo50 have been targeted by DDoS (Distributed Denial of Service) attacks. A DDoS attack consists in a huge flow of bogus traffic all at once in an effort to overwhelm an infrastructure and to block the functioning of the services offered by the server. Thus the server cannot answer the requests to visualize web pages, to download mail, to connect to jabber and so on. As a consequence, if users are in a hurry, they can be pushed to use commercial services, that are more resistant to DDoS attacks and therefore offer more stable services. We strongly advise you against making decisions dictated by hurry. In order to prevent risks for your privacy, we recommend you to create a backup mailbox with another friendly server and to use an alternative jabber service (the CCC offers one) instead of turning to a commercial instant messaging platform.