PROVINCIA DI SALERNO Presidenza – Servizio di Protezione Civile

PROGRAMMA PROVINCIALE DI PREVISIONE E PREVENZIONE DI PROTEZIONE CIVILE (Legge 225 del 24/02/92, art. 13)

Cartografia degli scenari di rischio idrogeologico e sismico e linee guida per gli interventi di mitigazione

Elab. N° A1 Titolo IL RISCHIO DA ALLUVIONI

Il Responsabile del Settore: Consulenti e collaboratori: SETTORE: RISCHIO ALLUVIONI Prof. Ing. Fabio ROSSI Prof. Ing. Paolo VILLANI Prof. Ing. Vittorio BOVOLIN Ing. Giuseppe BENEVENTO Geol. Antonello CESTARI

CONVENZIONE C.U.G.RI. PROVINCIA DI SALERNO – C.U.G.RI. Il Direttore e Legale Rappresentante Maggio 2004 PROF. ING. LEONARDO CASCINI

INDICE

1. GENERALITA’ ...... 3

2. CARATTERISTICHE GEOGRAFICHE, CLIMATICHE E IDROGRAFICHE DELLA PROVINCIA DI SALERNO...... 5 2.1 Lineamenti geografici...... 5 2.2 Lineamenti climatici...... 5 2.3 Lineamenti idrografici...... 6

3. IL RISCHIO DI INONDAZIONE NELLA PROVINCIA DI SALERNO ...... 8 3.1 Dati storici ...... 9 3.2 Analisi della pericolosita’ da alluvione ...... 10 3.2.1 Aree inondabili per eventi naturali ...... 10 3.2.2 Processi morfologici...... 11 3.2.2.1 Inondazione lungo canali stabili ...... 11 3.2.2.2 I ventagli alluvionali...... 12 3.2.2.2.1 Inondazione lungo canali stabili ...... 12 3.2.2.2.2 Inondazioni lungo tratti instabili...... 13 3.2.2.2.3 Colate detritiche...... 13 3.2.3 I tratti di pianura ...... 14 3.2.3.1 Inondazioni fluviali ...... 14 3.2.3.2 Allagamenti ...... 15 3.3 Aree allagabili per cedimento di sbarramenti di ritenuta (Dighe) ...... 15

4. DESCRIZIONE DELLA METODOLOGIA E DELLE PROCEDURE SEGUITE PER LA REDAZIONE DELLE CARTE DEL RISCHIO E PER LA DEFINIZIONE DEGLI SCENARI DI RISCHIO ...... 20 4.1 Definizione delle carte di rischio...... 21 4.2 Cartografia di base e quadro di unione...... 27 4.3 Carta delle aree inondabili alla scala 1:25.000 ...... 28 4.3 Carta delle aree inondabili alla scala 1:50.000 ...... 30 4.4 Carta delle aree inondabili alla scala 1:150.000 ...... 31 4.5 Carta delle aree a rischio di alluvione alla scala 1:50.000...... 32 4.6 Carta degli scenari di rischio a scala comunale ed a scala di COM...... 35 4.7 Definizione degli scenari di evento ...... 38 4.7.1 Scenario 1 - Area - Bacino del Tanagro...... 44

1 4.7.2 Scenario 2 - Costiera Amalfitana...... 45 4.7.3 Scenario 3 - Area metropolitana di Salerno - Monti Picentini...... 46 4.7.4 Scenario 4 – Bacini e Tanagro (1968) ...... 47 4.7.5 Scenario 5 – Costiera Amalfitana - Cilento...... 48 4.7.6 Scenario 6 – Monti Picentini - Bacino del Sele...... 49

5. LINEE GUIDA PER SISTEMA DI PREANNUNCIO E PREALLARME...... 50 5.1 Il sistema di preannuncio di piena ...... 50 5.2 Schema progettuale ...... 52 5.2.1 Generalità ...... 52 5.2.2 Applicazione all’asta terminale del F. Sele ...... 53 5.2.3 La Rete in telemisura presente...... 56 5.2.4 Esempio di modellazione gerarchica...... 58 5.3 Soglie di allarme...... 59

6. LINEE DI INTERVENTO PER IL RIASSETTO IDROGEOLOGICO...... 60 6.1 Interventi di gestione idraulica del territorio ...... 60 6.1.1 Misure non strutturali ...... 60 6.1.2 Misure strutturali di tipo estensivo: ...... 61 6.1.3 Misure strutturali di tipo intensivo ...... 61 6.2 Interventi per la riduzione del rischio da colate...... 62 6.2.1 Opere per la riduzione della frequenza e del volume delle colate ...... 65 6.2.2 Opere per l’intercettazione delle colate ...... 67 6.2.3 Opere per l’incanalamento delle colate ...... 67 6.2.4 Opere per la raccolta delle colate...... 67 6.2.5 Briglie di controllo ...... 68

2 1. GENERALITA’

In riferimento alla Convenzione stipulata tra il CUGRI e la Provincia di Salerno, le attività da espletare nel settore in oggetto consistono nella redazione dei seguenti elaborati: 1) relazione generale con inquadramento, a scala provinciale, del rischio da alluvione, contenente per ciascuno degli scenari di rischio: la stima della popolazione e delle attività produttive coinvolte, la quantificazione delle infrastrutture pubbliche e private coinvolte e le linee guida per la successiva progettazione di reti di monitoraggio finalizzate alla previsione di eventi estremi 2) carta delle aree inondabili per l’intero territorio provinciale in scala 1:25.000 ed eventuale elaborato n. 1 bis in scala 1:25.000, preventivamente concordato e definito congiuntamente con l'Amministrazione Provinciale e con le varie Autorità di Bacino 3) carta delle aree inondabili per l’intero territorio provinciale in scala 1: 50.000 con riferimento alla compatibilità con il Piano Territoriale di Coordinamento (PTC) 4) carta delle aree a rischio di alluvione per l’intero territorio provinciale in scala 1:100.000 (la carta delle aree a rischio di alluvione sarà restituita anche in scala 1:50.000 per la compatibilità con il PTC) 5) file immediatamente utilizzabili in formato .shp, compatibili con il Sistema Informativo Territoriale che l’Amministrazione ha in corso di definizione per il Piano Territoriale di Coordinamento.

• stima della popolazione coinvolta nelle aree inondabili sulla base dei dati del censimento ISTAT 1991, ovvero - se disponibili - dei dati del censimento ISTAT 2001; • stima delle attività produttive coinvolte nelle aree inondabili sulla base dei dati del censimento ISTAT 1991, ovvero - se disponibili - dei dati del censimento ISTAT 2001; • quantificazione delle infrastrutture pubbliche e private nelle macroaree a rischio da frana, sulla base dei dati censuari ISTAT 1991, o 2001 se

3 disponibili, e delle informazioni contenute nel PTC della Provincia di Salerno; • elaborazione delle linee guida per la successiva progettazione di reti di monitoraggio finalizzate alla previsione di eventi estremi.

4 2. CARATTERISTICHE GEOGRAFICHE, CLIMATICHE E IDROGRAFICHE DELLA PROVINCIA DI SALERNO

2.1 Lineamenti geografici

La provincia di Salerno occupa la parte meridionale della regione , con una estensione territoriale di 4.923 km2 pari al 36% dell'intera superficie regionale e al 1,6 % di quella nazionale.

La densità abitativa provinciale è pari a 219 abitanti per km2, contro una media regionale di 420 abitanti per km2 ed una nazionale di 189 abitanti per km2. La configurazione orografica della provincia di Salerno si presenta movimentata, con buona parte della superficie in zona collinare e montana. Le zone montuose e collinari occupano rispettivamente il 30% e 59% del territorio provinciale, mentre le zone pianeggianti coprono l’11% del territorio. Le zone pianeggianti si limitano essenzialmente alla sottile fascia costiera che si estende da Salerno a Battipaglia e , in continuazione, alla pianura alluvionale del fiume del Sele ed infine alla ben più modesta piana dell’Allento.

2.2 Lineamenti climatici

Dal punto di vista climatico, a grandi linee, la Campania rappresenta una zona di transizione le aree a regime sublitoraneo, tipiche dell’Italia centrale, e le aree a regime marittimo tipiche della Calabria e della Sicilia

Il clima della provincia di Salerno è suddivisibile in due zone con caratteristiche differenti:

- la fascia costiera nella quale si hanno inverni miti e moderatamente piovosi ed estati relativamente temperate ed asciutte;

- la fascia interna, nella quale si riscontrano escursioni termiche più elevate ed, in generale, una maggiore piovosità. L'escursione termica annua aumenta con l'aumentare dell'altitudine e via via che si riduce l'azione mitigatrice del mare. In particolare essa ha valori abbastanza contenuti (16-17°C) nei versanti occidentali della fascia costiera e raggiunge i suoi valori massimi nella zona appenninica (20-22°C).

5 Sui rilievi della provincia di Salerno le temperature medie invernali risultano piuttosto basse e i valori minimi in gennaio e febbraio scendono frequentemente al di sotto dello zero. Viceversa nella pianura costiera le temperature massime possono occasionalmente superare i 40°C. Frequenze ed intensità degli eventi pluviometrici nella provincia risentono dell'effetto combinato delle temperature, dell'orografia e delle direzioni dei venti prevalenti. Il periodo piovoso si estende essenzialmente dall'autunno inoltrato all'inizio della primavera, mentre nei mesi estivi le piogge sono assai modeste. La piovosità nella provincia di Salerno presenta valori prossimi a 1000 mm/anno lungo la fascia costiera ed arriva a 2000 mm/anno nella aree montagnose dei Picentini e del Cervati. Per quanto riguarda gli eventi pluviometrici estremi è essenziale evidenziare che la particolare conformazione orografica della parte settentrionale della provincia, a causa della presenza di alte catene montuose disposte in prossimità del mare, comporta, in presenza di particolari situazioni meteorologiche, il verificarsi di eventi pluviometrici assai intensi che comportano l’afflusso di centinaia di millimetri di pioggia in poche ore.

2.3 Lineamenti idrografici

Dal punto di vista idrografico la Provincia di Salerno può essere suddivisa in due zone: la piana del Sele e la restante parte del territorio provinciale. Il Sele, che con i suoi 3235 km2 è tra i più importanti fiumi italiani, nasce dal massiccio del Cervialto a Caposele e riceve lungo il percorso due affluenti principali: il Tanagro a Contursi ed il Calore Lucano a circa 10 km dalla foce in prossimità di Ponte Barizzo. Dal punto dal punto vista idraulico è opportuno notare la particolarità del Tanagro che prima di confluire nel Sele scorre nel Vallo di Diano, che dal punto di vista morfologico rappresenta la conca di antico lago pleistocenico: La sezione di efflusso, posta alla “stretta di Polla”, era regolata da chiuse già al tempo dei Romani, svolge una forte azione di regolazione nei confronti delle portate defluenti verso valle che subiscono una considerevole effetto di laminazione. In definitiva dal punto di vista idraulico il Tanagro fino alla stretta di Polla risulta sostanzialmente sconnesso dalla restante parte del sistema di valle.

6 Sebbene molti corsi d’acqua della provincia di Salerno siano caratterizzati da deflussi quasi perenni, alimentati da cospicui apporti sorgenti, per le finalità del presente Piano va evidenziato che, per quanto riguarda i valori di piena, tutti i corsi, con l’unica eccezione del Sele, presentano caratteristiche spiccatamente torrentizie. La vicinanza tra le catene montuose ed il mare da luogo a corsi d'acqua caratterizzati da bacini imbriferi di dimensioni modeste con elevate pendenze longitudinali nella parte montana e brevi tratti di pianura. I tratti pianeggianti in generale presentano un elevato grado di interferenza con le infrastrutture di origine antropica. Il regime dei corsi d'acqua riproduce, in buona sostanza, l'andamento degli afflussi meteorici, convogliando con rapidità grandi quantitativi di acqua durante il periodo delle precipitazioni. Le piene si verificano, pertanto, in concomitanza di precipitazioni intense, anche se limitate arealmente e di media durata (fino a 6 ore). Esse presentano una fase di concentrazione assai rapida che comporta il passaggio da modesti valori delle portate di morbida a valori centinaia di volte superiori, cui fa seguito una fase di esaurimento senza che si riscontrino significative fasi di stanca. I dati caratteristici dei bacini idrografici dei principali corsi d’acqua della provincia di Salerno sono riportati nella Tabella I, seguendo la classificazione del Servizio Idrografico.

BACINO Sup SOTTO BACINI IDROGRAFICO

SELE 3235 Calore Lucano 780.2 Tanagro 1773.6 TUSCIANO 71.2 PICENTINO 47.7 IRNO 8.3 ALENTO 419.5 MINGARDO 224 BUSSENTO 349.2 Tabella I - Principali corsi d’acqua della provincia di Salerno

7 3. IL RISCHIO DI INONDAZIONE NELLA PROVINCIA DI SALERNO

Da un punto di vista generale il rischio è definito come il prodotto della pericolosità per la vulnerabilità. La pericolosità è definibile come “la capacità potenziale di un evento, di origine naturale od antropica, di comportare effetti negativi per la vita umana, per beni materiali o per altre forme di attività”. La vulnerabilità è definibile come “la predisposizione di un soggetto o elemento a soffrire dei danni a causa di un evento esterno”. Nel caso specifico del rischio idraulico da inondazione l'espressione della pericolosità è funzione della delimitazione spaziale dell’area interessata dall’evento che è fornita dalle fasce inondabili che rappresentano l’aree contenute all’interno del limite raggiungibile dalle acque per un determinato evento di piena. La valutazione quantitativa della pericolosità viene determinata tramite i periodi di ritorno assegnati alle portate che caratterizzano gli eventi sulla base dei quali sono determinate le fasce inondabili. La vulnerabilità degli elementi a rischio dipende sia dalla loro capacità di sopportare le sollecitazioni esercitate dall'evento sia dall'intensità dell'evento stesso. Nel caso del rischio idraulico viene considerata la vulnerabilità per intensità che rappresenta la sensibilità che l'area presa in considerazione possiede rispetto al danno materiale che i beni in essa contenuti possono subire per effetto della intensità dell'evento stesso. Nel caso delle inondazioni i parametri caratteristici da impiegare per caratterizzare l’intensità dell’evento sono l’altezza del tirante idrico e la velocità della corrente. La determinazione del valore esposto viene ricondotta alla sola presenza (aree pericolose a rischio) od assenza del bene (aree pericolose senza rischio). In definitiva le aree a rischio sono definite dalla intersezione delle aree inondabili con l’antropizzato. Appare utile sottolineare una possibile insidia insita in una incompleta comprensione dei significato dei termini relativi a pericolosità ed a rischio. Tale insidia riguarda in particolare l’impiego di questi due temi dal punto di vista programmatorio. La definizione di rischio, come prodotto della pericolosità per la vulnerabilità, porta ad indicare come aree a rischio basso, od addirittura inesistente, le aree in cui è presente un elevato valore di pericolosità, ma in cui sono assenti beni esposti. Non

8 appena in tale area viene inserito un elemento esposto l’area si trasforma da area a basso rischio ad area ad elevato rischio Appare ovvio che dal punto di vista delle azioni di Protezione Civile il tema di riferimento principale è quello relativo al rischio, mentre dal punto di vista della gestione e programmazione dell’uso del territorio il tema di riferimento principale deve essere anche quello relativo alla pericolosità.

3.1 Dati storici

Il Consiglio Nazionale delle Ricerche nell’ambito del Progetto Aree Vulnerate in Italia AVI ha effettuato è il censimento delle aree italiane vulnerate da calamità idrogeologiche, tali dati sono riportati in allegato.

Dal punto di vista più strettamente pluviometrico la Provincia di Salerno è stata interessata nel passato da numerosi eventi alluvionali solo per ricordare i principali DATA LOCALITA’ TIPO EVENTO 25/03/1924 Costiera Amalfitana Colate detritiche 24/09/1929 Tanagro Sele Esondazione 08/03/1951 Persano Esondazione 25/10/1954 Costiera Amalfitana Salerno Colate detritiche 25/09/1963 Salernitano Nubifragio 24/10/1964 Salerno Nubifragio 25/10/1966 Salerno Nubifragio 17/12/1968 Calore L. Tanagro Esondazione 03/01/1997 Lattari Colate detritiche 05/05/1998 Bracigliano, Sarno Siano Colate detritiche Tabella II - Dati principali eventi alluvionali avvenuti in provincia di Salerno dal 1924 ad oggi

9 3.2. Analisi della pericolosità da alluvione

La pericolosità da inondazione può essere suddivisa in due tipologie: - aree inondabili per eventi naturali; - aree inondabili per cedimento di sbarramenti di ritenuta (Dighe)

3.2.1 Aree inondabili per eventi naturali

Un pioniere della meteorologia, Sir Napier Shaw, ebbe a scrivere all’inizio del XX secolo che “il tempo (nel senso di condizioni meteorologiche) è una serie di incidenti nel ciclo di funzionamento di un grande motore naturale” Gli eventi che nel linguaggio comune vengono indicate come catastrofi idrogeologiche rappresentano normali manifestazioni del complesso processo di interazione tra il ciclo idrologico e la litosfera. Gli effetti di tali eventi diventano dannosi quando interagiscono con le attività di origine antropica. Dal punto di vista quantitativo la maggior parte del ciclo idrologico è rappresentata dall’evaporazione e dalla successiva precipitazione che avviene in massima parte sugli oceani e solo parzialmente sulla terraferma dove, in funzione dei diversi fattori climatici, da vita ai fenomeni atmosferici che sono familiari. Quando l’intensità della precipitazione supera la capacità di infiltrazione del terreno o quando lo strato di terreno risulta completamente saturo l’acqua inizia a scorrere in superficie generando il deflusso superficiale. Lo scorrimento superficiale comporta la presenza di un sottile strato di acqua che si muove sotto effetto della gravità sulla superficie del terreno. Una volta che l’acqua ha riempito le depressioni presenti sul terreno ne fuoriesce formando piccoli canali che si uniscono per formare i tratti dei canali che raccolgono parti iniziali della rete idrografica vera e propria che a propria volta formano i fiumi che infine sfociano a mare. L’insieme dei canali in cui defluisce l’acqua vengono indicati come rete idrografica. La pericolosità dal punto di idraulico assume aspetti diversi a seconda delle caratteristiche del territorio considerato e dei processi morfologici che si verificano nella porzione di territorio in esame. Interpretare correttamente tali processi appare fondamentale, in particolare per quanto riguarda e scale spaziali e temporali che li caratterizzano, in quanto esse giocano un ruolo fondamentale sia per quanto riguarda la realizzabilità e l’affidabilità di sistemi

10 di previsione e preannuncio sia per quanto riguarda la definizione dei singoli scenari di evento.

3.2.2 Processi morfologici

Le caratteristiche morfologiche attuali di un corso d’acqua sono il risultato dell’evoluzione che si è svolta nel corso delle ere geologiche attraverso successive fasi di erosione e deposito Il profilo longitudinale di un corso d’acqua, che si presenta nel complesso concavo verso l’alto, può essere schematicamente suddiviso in tre tratti: tratto montano, tratto pedemontano (ventaglio alluvionale), tratto di pianura. Nelle zone montane sia la pendenza di fondo che le pareti laterali si presentano assai inclinate, la sezione trasversale è in generale stretta ed incisa e le zone pianeggianti laterali sono quasi del tutto assenti. Il trasporto solido, per la gran parte di fondo, è assai elevato e l’azione erosiva risulta tale da incidere la valle in profondità. Verso valle, nei ventagli alluvionali, la pendenza diminuisce e con essa anche la velocità, il materiale solido più grossolano viene depositato. L’andamento planimetrico può risultare più articolato. Nei tratti di pianura si è in presenza di una piane alluvionali formatesi con i depositi alluvionali trasportati dal corso d’acqua, la sezione trasversale tende ad assumere una forma rettangolare allungata ed il trasporto solido è composto essenzialmente da materiale sottile.

Sulla base della schematica descrizione esposta in precedenza è quindi possibile definire la seguente classificazione: - torrenti montani; - ventagli alluvionali; - tratti di pianura.

3.2.2.1 Tratti montani

I torrenti montani sono incisi in formazioni in posto, in tale ambiente possono verificarsi dissesti di carattere erosivo, localizzati al piede dei versanti e, nei casi più gravi colate rapide di fango o di detrito tali fenomeni sono dotati di una notevole energia cinetica e, conseguentemente, di una grande capacità distruttiva.

11 3.2.2.2 I ventagli alluvionali

I ventagli alluvionali, rappresentano la zona di transizione tra l’ambiente montano e la pianura, in tali aree i processi geomorfologici presentano, in generale, un elevato livello di attività. Tali aree sono caratterizzate da riduzioni della pendenza di fondo del corso d’acqua cui corrispondono diminuzioni della capacità di trasporto della rete idrografica. Essi rappresentano le naturali aree di accumulo di parte del materiale eroso nella parte montana. I processi di deposito, riducendo le sezioni idriche disponibili, rendono instabile la rete drenante ed incrementano i rischi di esondazione. Occasionalmente, sulla tendenza di deposito di lungo periodo, possono sovrapporsi brevi periodi di forte erosione localizzata. Infine tali aree sono la naturale aree di arresto delle eventuali colate originatesi nei tratti montani.

I principali processi presenti in un ventaglio alluvionale che possono incidere sulla sicurezza sono:

1. la presenza, a valle dell’apice del ventaglio, di una rete drenante non precisamente definita;

2. il verificarsi di fenomeni di deposito che possono limitare la capacità di trasporto degli elementi della rete drenante; 3. il transito ed i deposito di colate detritiche o di fango.

I tipi di inondazione che possono verificarsi su un ventaglio alluvionale sono: - inondazione lungo canali stabili; - inondazioni lungo tratti instabili; - colate detritiche.

3.2.2.2.1 Inondazione lungo canali stabili

La presenza in un ventaglio alluvionale di un canale inciso profondamente è spesso il risultato di un’evoluzione morfologica avvenuta in condizioni climatiche e/o tettoniche differenti dalle condizioni attuali esso rappresenta una parte non più attiva del ventaglio alluvionale. Tali situazioni sono assimilabili a quelle relative alle inondazioni di pianura.

12 3.2.2.2.2 Inondazioni lungo tratti instabili

La porzione attiva del ventaglio alluvionale è caratterizzata dalla presenza di una rete drenante ad andamento incerto ed instabile. In tali casi l’inondazione procede normalmente, a partire da un unico canale al vertice del ventaglio, con la suddivisione in più rami che sono sottoposti anche ad intense azioni di erosione e di deposito che comportano la migrazione, l’isolamento e la formazione di nuovi canali. Tali condizioni possono essere ulteriormente peggiorate dalla presenza di tratti tombati la cui occlusione comporta l’immediato deflusso delle acque sulla strada sovrastante.

3.2.2.2.3 Colate detritiche

Parte del ventaglio alluvionale può essere interessato dalla presenza di colate detritiche, cioè da flussi composti da miscele di acqua e sedimenti con elevate concentrazioni della frazione solida. I fenomeni di colata detritica possono classificarsi come segue

- Fenomeni in cui la portata dipende da una portata di origine idrologica (in generale in corsi d’acqua)

- Fenomeni in cui la portata non dipende dalla portata idrologica (frane, cedimenti di sbarramenti naturali o artificiali) I fenomeni in cui la portata della colata dipende dalla portata idrologica si generano all’interno del thalweg di un corso d’acqua quando sono soddisfatte 2 condizioni:

- vi è rifornimento di acqua sufficiente a saturare i vuoti presenti nei sedimenti depositatisi sul fondo

- l’azione della corrente e sufficiente ad instabilizzare l’intera massa. La ricorrenza delle colate dipende:

- dal tempo necessario per accumulare il materiale solido

- dal tempo di ritorno delle piogge che generano portate con caratteristiche tali da innescare i fenomeni di colata I fenomeni in cui la portata della colata non dipende dalla portata idrologica possono essere dovuti a:

- liquefazione di una frana

13 - cedimento di uno sbarramento artificiale

- cedimento di uno sbarramento naturale La liquefazione di una frana è un fenomeno che si genera a seguito del collasso di parte delle coperture presenti sui versanti che nell’evoluzione successiva evolvono direttamente in colate che, a propria volta, lungo il percorso possono coinvolgere anche il materiale presente lungo il corso dell’impluvio.

3.2.3 I tratti di pianura

I tratti di pianura, sono caratterizzati da pendenze di fondo ridotte ed andamento assai spesso meandriforme. In tali tratti si verificano esondazioni in conseguenza delle arrivo dai bacini a monte di portate che eccedono la capacità di trasporto idrico delle sezioni trasversali del corso d’acqua. I processi che si verificano nelle zone di pianura essi possono distinguersi in: - inondazioni - allagamenti

3.2.3.1 Inondazioni fluviali

Con inondazione fluviale si indica il processo che si verifica nell’area circostante un corso d’acqua a seguito dell’esondazione di una porzione della portata in arrivo. L’esondazione può essere dovuta all’arrivo, nel tratto di fiume in esame, di una portata eccedente la capacità di convogliamento propria del tratto stesso, oppure all’effetto di rigurgito indotto dalla presenza di restringimenti che, riducendo localmente la sezione utile per il libero deflusso della portata, diventano le sezioni di controllo per il profilo idrico.

Vale la pena di sottolineare che nelle piane alluvionali la sezione di un corso d’acqua, in condizioni indisturbate, si conforma a portate, dette di modellamento o di regime, caratterizzate da tempi di ritorno che, in generale, non superano i 5-10 anni. Da un punto di vista morfologico le portate inferiori a quella di modellamento risultano significative per il modellamento della sezione trasversale del corso d’acqua mentre quelle maggiori sono significative per il modellamento della piana alluvionale. In ogni caso, pur con diversi livelli di estensione e durata, le esondazioni di un corso d’acqua in una pian alluvionale sembrano rappresentano la regola più che l’eccezione.

14 3.2.3.2 Allagamenti

Esistono casi in cui l’accumulo di acqua sul territorio non è il risultato di un’insufficiente capacità di convogliamento del corso d’acqua principale bensì della insufficiente capacità di convogliamento della rete di drenaggio diffusa sul nell’area. Tali fenomeni caratterizzano aree pianeggianti e/o depresse, che presentono limitate capacità di smaltimento delle acque zenitali o che sono delimitate da ostacoli naturali od artificiali.

Rientrano in questa categoria gli accumuli di acqua a monte di manufatti quali: argini, rilevati stradali etc a condizione che essi non siano il risultato di un effetto di rigurgito imputabile ad una specifica sezione di un corso d’acqua posta più a valle.

Altro aspetto assi rilevante per gli aspetti connessi alla Protezione Civile riguarda le durate caratteristiche di tali tipi di fenomeni. L’ordine di grandezza caratteristico complessivo dei fenomeni di pianura può derivarsi dalla lunghezza dell’asta considerata divisa per una celerità media del fenomeno che è prossima a 1.0-1.5 m/s. Per una lunghezza di 10 km il tempo caratteristico risulta dell’ordine di 2.5-3.0 ore che arrivano a circa a 24 ore per una lunghezza di 100 km. Appare evidente che la maggior parte della Provincia di Salerno è interessata da fenomeni i cui tempi caratteristici sono dell’ordine di qualche ora e quindi difficilmente prevedibili sulla base di un’azione di monitoraggio delle sole grandezze idrometeorologiche (pioggia, livelli idrici).

3.3 Aree allagabili per cedimento di sbarramenti di ritenuta (Dighe)

La Convenzione alla base del presente studio contiene come oggetto contrattuale lo studio del rischio da alluvione a seguito di eventi pluviometrici naturali. Per fornire un quadro in ogni caso completo sul rischio idraulico ed al fine di rendere disponibili le informazioni di base per eventuali futuri approfondimenti è apparso opportuno includere nella presente relazione anche alcuni cenni relativi al problema del cedimento di sbarramenti di ritenuta.

Dal punto di vista normativo la legge n 584 del 21 ottobre 1994 concernente “Misure urgenti in materia di dighe” all’Art. 1 comma 1 prevede che .

15 « La realizzazione di opere di sbarramento, dighe di ritenuta o traverse, che superano i 15 metri di altezza o che determinano un volume d'invaso superiore a 1.000.000 di metri cubi, di seguito denominate dighe, è soggetta, ai fini della tutela dell'incolumità pubblica, in particolare delle popolazioni e dei territori a valle delle opere stesse, all'approvazione tecnica del progetto da parte del Servizio nazionale dighe. » al successivo comma 4 è precisato che: « Rientrano nella competenza delle regioni a statuto ordinario e a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano le attribuzioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 1° novembre 1959, n. 1363, per gli sbarramenti che non superano i 15 metri di altezza e che determinano un invaso non superiore a 1.000.000 di metri cubi. Per tali sbarramenti, ove posti al servizio di grandi derivazioni di acqua di competenza statale, restano ferme le attribuzioni del Ministero dei lavori pubblici. Il Servizio nazionale dighe fornisce alle regioni il supporto tecnico richiesto.»

La successiva legge n 112 del 31 marzo 1998, n. 112 concernente “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n.59” prevede, ai primi due commi dell’articolo 89 Funzioni conferite alle regioni e agli enti locali 1. Sono conferite alle regioni e agli enti locali, ai sensi dell'articolo 4, comma 1 della legge 15 marzo 1997, n. 59 tutte le funzioni non espressamente indicate nell'articolo 88 e tra queste in particolare, sono trasferite le funzioni relative: …..omissis….. b) alle dighe non comprese tra quelle indicate all'articolo 91, comma 1; ed al successivo articolo 91 Registro Italiano Dighe – RID 2. Ai sensi dell'articolo 3, lettera d) della legge 15 marzo 1997, n. 59, il Servizio nazionale dighe è soppresso quale Servizio Tecnico Nazionale e trasformato in Registro Italiano Dighe – RID, che provvede, ai fini della tutela della pubblica incolumità, all'approvazione tecnica dei progetti ed alla vigilanza sulla costruzione e sulle operazioni di controllo spettanti ai concessionari sulle dighe di ritenuta aventi le caratteristiche indicate all'articolo 1, comma 1, del decreto-

16 legge 8 agosto 1994, n. 507, convertito con modificazioni dalla legge 21 ottobre 1994, n. 584 3. Le regioni e le province autonome possono delegare al RID l'approvazione tecnica dei progetti delle dighe di loro competenza e richiedere altresì consulenza ed assistenza anche relativamente ad altre opere tecnicamente assimilabili alle dighe, per lo svolgimento dei compiti ad esse assegnati. 4. Ai sensi dell'articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59, con specifico provvedimento da adottarsi su proposta del Ministro dei lavori pubblici d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, sono definiti l'organizzazione, anche territoriale del RID, i suoi compiti e la composizione dei suoi organi, all'interno dei quali dovrà prevedersi adeguata rappresentanza regionale. La Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri, n. DSTN/2/7311 del 7 aprile 1999 avente come oggetto “Precisazioni alla “Legge 584/1994. Competenze del Servizio nazionale dighe” specifica che: - le casse di espansione, intese come aree opportunamente arginate per consentire l'accumulo temporaneo di acqua in occasione di eventi di piena mediante sfioro di una soglia libera o regolabile inserita in un tratto di sponda del corso d'acqua, oppure mediante altri sistemi quali sifoni auto innescanti o tratti di argine fusibili, non rientrano nelle fattispecie previste dall'art. 1 della legge n. 584/1994. La loro custodia è demandata all'autorità idraulica competente che opererà, anche in virtù di quanto previsto dall'art. 4, comma 10 -ter, della legge 31 dicembre 1996, n. 677, in conformità di quanto disposto con regio decreto n. 2669/1937; - per gli sbarramenti per la laminazione delle piene rientranti nelle fattispecie previste dall'art. 1 della legge n. 584/1994 la cui progettazione e gestione sono demandate all'autorità idraulica deputata alla tutela del buon regime delle acque, potrà essere stabilito un accordo di programma tra il Servizio nazionale dighe e le singole autorità teso a definire, anche tenuto conto della «Premessa» al Regolamento dighe n. 1363/1959, le procedure per il loro controllo e la relativa vigilanza. In definitiva in base alla Legislazione vigente le opere di ritenuta aventi altezza superiore a 15 m e/o volume superiore a 1.000.000 di metri cubi sono di competenza del R.I.D., mentre tutte le altre sono di competenza degli Enti Locali.

17 Nella provincia di Salerno è stato possibile reperire le informazioni relative a 6 grandi dighe che sono riportate nelle tabelle seguenti.

Nome Comune Corso d'acqua Utilizzo Tipologia Diga sbarrato principale diga gravità in CARMINE CANNALONGA T.CARMINE irriguo mat.sciolto gravità in FABBRICA FABBRICA NUOVA T.PALISTRO irriguo mat.sciolto NOCELLITO CANNALONGA T.NOCELLITO irriguo gravità ordinaria PERSANO PERSANO F.SELE irriguo traversa PIANO DELLA gravità in ROCCA PRIGNANO-PERITO F.ALENTO irriguo mat.sciolto CASELLE IN gravità in SABETTA PITTARI F.BUSSENTO idroelettrico mat.sciolto Tabella III - Dati amministrativi relativi alle grandi dighe presenti nella provincia di Salerno

Sup. Nome Altezza Quota bac. Livello Livello Volume Q scarico Q scarico imbr. max Diga diga coronam. dir. inv. max reg. max inv. superficie fondo [m] [m s.m.] [km2] [m s.m.] [m s.m.] [Mm3] [m3/s] [m3/s] CARMINE 46.10 596.10 2.00 594.50 593.50 3.25 35.00 43.00 FABBRICA 29.60 101.60 2.12 98.80 45.00 3.70 NOCELLITO 21.50 677.00 5.56 676.00 674.50 0.06 82.00 7.00 PERSANO 22.10 52.10 1,200.00 46.50 46.50 PIANO DELLA ROCCA 43.00 125.00 102.00 121.60 118.50 34.20 809.00 207.00 SABETTA 32.50 315.00 119.00 312.60 312.50 204.00 48.00 `Tabella IV – Principali dati idraulici relativi alle grandi dighe presenti nella provincia di Salerno

Per quanto riguarda le piccole dighe (altezza inferiore a 15 m e volume inferiore ad 1.000.000 di metri cubi) non è stato possibile reperire alcun censimento. Le Circolari Ministeriali LL.PP. n.1125 del 28/10/1986 e n. 352 del 4/12/1987 e la successiva Circolare del Presidente del Consiglio dei Ministri n. DSTN/2/22086 del 13/12/1995, hanno richiesto ai gestori delle grandi dighe di curare la redazione di

18 appositi studi finalizzati a valutare le possibili conseguenze a seguito di manovra degli organi di scarico e dell’ipotetico collasso dell’opere di sbarramento. In base alla legislazione tale documentazione è in possesso del R.I.D. La potenziale fonte di pericolo indotta dalla presenza di un bacino di ritenuta è dovuta all’accumulo di energia presente a monte della sezione di sbarramento che può essere rilasciata con diversi livelli di potenza mediante gli organi di scarico, ed in maniera catastrofica, nel caso di cedimento strutturale dell’opera di sbarramento. La maggiore attenzione rivolta alle grandi dighe, proprio a causa del maggiore contenuto energetico da esse accumulato, non deve far sottostimare il pericolo rappresentato dai piccoli bacini, che proprio per le loro ridotte dimensioni, molto spesso non sono realizzati e controllati con la medesima cura che viene normalmente dedicata ai grandi sbarramenti. Come esempio dell’estrema pericolosità dei piccoli invasi basti ricordare che i 2 bacini di decantazione che provocarono la tragedia di Val di Stava, seconda in Italia solo a quella del Vajont, non rientravano tra le grandi dighe. A tutt’oggi, la Regione Campania non ha predisposto alcuno strumento legislativo specifico per quanto riguarda il recepimento della Normativa nazionale relativa agli sbarramenti di ritenuta di propria competenza. Appare quindi necessario suggerire che venga innanzitutto effettuato un censimento dei piccoli invasi presenti in provincia di Salerno e che in seguito vengano effettuati interventi volti al monitoraggio ed alla realizzazione di studi specifici finalizzati sia a verificarne le condizioni di stabilità complessive sia a valutare gli effetti di possibili cedimenti.

19 4. DESCRIZIONE DELLA METODOLOGIA E DELLE PROCEDURE SEGUITE PER LA REDAZIONE DELLE CARTE DEL RISCHIO E PER LA DEFINIZIONE DEGLI SCENARI DI RISCHIO

Uno degli obiettivi primari del Piano Provinciale di Previsione e Prevenzione è costituito dalla definizione degli scenari di rischio, sulla base dei quali vengono definite, tra l’altro, le necessità di mobilitazione delle strutture operative. A livello provinciale, il Piano deve individuare le situazioni che possono configurare un’emergenza più estesa di quella riferita al singolo comune, ed avente un’estensione a scala complessivamente sub provinciale. Lo scopo dell'allestimento di uno scenario è quello di rispondere in maniera logica e consistente alla domanda "che cosa succederebbe se … ?". Gli scenari vengono utilizzati sia per valutare le conseguenze di un evento calamitoso, sia per individuare le strategie migliori nelle operazioni di soccorso. Appare opportuno precisare che si tratta di uno strumento di lavoro che descrive situazioni ipotetiche verosimili, essi si basano sulle conoscenze scientifiche del momento, e come tale sono strumenti aggiornabili e revisionabili, non solo per recepire modifiche marginali quali ad esempio nomi e numeri di telefono, ma soprattutto quando si acquisiscano nuove conoscenze sui rischi del territorio, o nuovi sistemi di monitoraggio e preannuncio. I punti di partenza utilizzati per la costruzione degli scenari di rischio riguardano l’analisi degli eventi avvenuti nel passato e le risultanze di elaborazioni matematiche e/o statistiche. Ogni scenario può essere modificato affiancando all'evento considerato eventuali fenomeni collaterali connessi. L'allestimento di scenari particolareggiati è fondamentale per individuare le operazioni che dovranno essere pianificate nel periodo di normalità che precede un disastro. Naturalmente quanto più gli scenari di rischio sono verosimili, tanto più le risposte alle domande critiche saranno sensate; è quindi necessario che ci si ponga continuamente la domanda "è possibile questo?" oppure "è probabile che avvenga ciò?". Si può indicare in generale come “scenario” ogni possibile descrizione di un evento che può interessare un territorio.

20 Si definisce quindi scenario d'evento, l'evoluzione nello spazio e nel tempo del solo evento prefigurato, atteso e/o in atto, pur nella sua completezza e complessità. Si definisce invece scenario di rischio, l'evoluzione nello spazio e nel tempo dell'evento e dei suoi effetti, cioè della distribuzione dei beni esposti stimati e della loro vulnerabilità anche a seguito di azioni di contrasto. Adottando una definizione sostanzialmente analoga a quella utilizzata per il rischio lo scenario di rischio, dal punto di vista operativo, può essere definito come l’intersezione dello scenario di evento con le carte del rischio. In buona sostanza lo scenario di evento definisce l’area interessata e le modalità del fenomeno dall’evento mentre la carta del rischio riguarda la valutazione dei probabili effetti al suolo. Dal punto di vista operativo lo “scenario di rischio” è composto dagli scenari di evento e dalle carte rischio. Esso si concretizza in una descrizione sintetica, accompagnata da cartografia esplicativa e schede definite a scala comunale e a scala di COM, dei possibili effetti di evenienze meteorologiche avverse (piene, inondazioni).

Per costruire uno scenario di rischio di alluvione si è fatto riferimento ad una procedura che consiste essenzialmente in due passi:

i) per la parte dinamica, nella descrizione della evoluzione spazio-temporale degli eventi meteo-pluviometrici osservati nel passato; ii) la definizione degli effetti al suolo è stata basata sulle carte di pericolosità (fasce inondabili) redatte dalle Autorità di Bacino negli elaborati relativi ai Piani di Assetto Idrogeologico (PAI).

4.1 Definizione delle carte di rischio

La definizione delle carte di rischio per la Provincia di Salerno è stata effettuata sulla base dei Piano Stralcio per l'Assetto Idrogeologico (PSAI) predisposti dalle Autorità di Bacino ricadenti nella Provincia di Salerno. Nell’ambito del territorio provinciale di Salerno ricadono le competenze istituzionali delle seguenti Autorità di Bacino (Figura 1): − Autorità di Bacino Nazionale dei Fiumi Liri-Garigliano e Volturno;

21 − Autorità di Bacino Interregionale del Sele − Autorità di bacino Regionale Destra Sele − Autorità di Bacino Regionale del Sarno − Autorità di Bacino Regionale del Sinistra Sele − Autorità di Bacino Regionale della Basilicata

La valutazione delle carte di rischio suolo può essere sviluppata considerando livelli diversi di approfondimento a seconda degli strumenti utilizzati e dalle informazioni disponibili. Sono identificabili cinque diversi livelli, che possono essere così indicati: − Livello 0. Non è disponibile alcuna documentazione o informazione circa eventi già accaduti nel passato o che potrebbero verificarsi nel futuro. − Livello 1 (aree vulnerate). Si hanno notizie generiche di eventi accaduti nel passato, ma non sono note l’esatta localizzazione, l’estensione territoriale, la dinamica del fenomeno, gli effetti prodotti. Le notizie possono provenire da fonti occasionali o da analisi sistematiche. Rientrano in questo livello le informazioni del progetto AVI (Aree Vulnerate Italiane) del CNR. − Livello 2 (aree vulnerate). Attraverso indagini mirate si hanno notizie sufficientemente precise riguardanti eventi accaduti nel passato. La localizzazione, l’estensione, la dinamica e gli effetti dell’evento sono noti anche se in modo approssimato. − Livello 3 (aree vulnerate o aree vulnerabili). La conoscenza degli eventi del passato è precisa. Inoltre, attraverso indagini sistematiche e/o mirate, sono note aree potenzialmente a rischio o punti di possibili crisi nei quali l’evento potrebbe innescarsi. Tali zone possono essere localizzate su cartografia in scala al 25.000 o superiore. Non sempre è possibile effettuare una precisa perimetrazione. − Livello 4 (aree vulnerabili). E’ disponibile, grazie ad un’indagine mirata, la perimetrazione delle zone vulnerabili, in scala non inferiore al 10.000, effettuata con metodi semplificati sulla base di elementi topografici aggiornati, anche se eventualmente ottenuti con procedure speditive. − Livello 5 (aree vulnerabili). E’ disponibile, grazie ad un’indagine mirata, la perimetrazione delle aree vulnerabili, in scala non inferiore al 5000, ottenuta

22 utilizzando metodi completi e dati topografici aggiornati, basati su puntuali rilievi topografici e/o fotogrammetrici. Lo stato di attuazione della pianificazione di bacino risulta il seguente: - l’Autorità di Bacino Nazionale ha adottato il Progetto di Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico (PSAI) - l’Autorità di Bacino Regionale della Basilicata ha approvato il PSAI; - l’Autorità di Bacino Interregionale del Sele e le Autorità di Bacino Regionali della Campania hanno adottato il PSAI.

Dal punto di vista pratico, come appare evidente dalla figura 1, l’intera provincia di Salerno, a meno di due aree di estensione molto modesta ricadenti nell’ambito dell’Autorità di Bacino Nazionale e dell’Autorità di Bacino Regionale della Basilicata, ricade in aree per le quali risulta approvato il PSAI:

P A I A ppro v a t o P A I A dotta to P r o g e t t o P A I A p p r o v a to

Figura 1 – Limiti amministrativi Autorità di Bacino ricadenti in provincia di Salerno

Secondo la classificazione indicata in precedenza, e sulla base dei dati disponibili, l’individuazione delle carte di rischio, può classificarsi, in buona sostanza su un

23 livello tra 3 e 5 a seconda del grado di dettaglio degli studi eseguiti dalle diverse Autorità di Bacino. La raccolta di tutte le informazioni disponibili hanno consentito di definire le carte di sintesi del rischio per tutta la provincia di Salerno sia a scala 1:50.000 (come previsto in Convenzione) sia a scala 1:25.000. Il percorso metodologico seguito per la redazione delle carte di rischio viene descritto di seguito. L’individuazione del rischio alluvioni parte dall'analisi del comportamento idraulico dei diversi tratti d'alveo avendo cura di portare in debito conto la presenza, nel bacino e sui tratti d'alveo stessi, di manufatti in grado di modificare le portate defluenti e/o di interferire con le correnti di piena. In generale, il rischio idraulico assume caratteristiche diverse a seconda che si considerino: - i torrenti montani, incisi in formazioni in posto, in cui possono verificarsi dissesti di carattere erosivo localizzati al piede dei versanti e, nei casi più gravi, colate rapide di fango o di detrito con effetto distruttivo; - i tratti pedemontani, in cui strutturalmente si verificano processi di deposito nel breve, medio e lungo termine, con conseguente incremento dei rischi di esondazione per restringimento delle sezioni trasversali, che possono interessare i coni di deiezione; - i tratti incassati di pianura, in cui si verificano esondazioni in conseguenza delle portate in arrivo dai bacini a monte, eccessive rispetto alla capacità di convogliamento idrico. Nel caso del rischio idraulico l'espressione della pericolosità in termini spaziali è fornita dalle fasce di esondazione che rappresentano il limite raggiungibile dalle acque per un determinato evento di piena. L'attribuzione del valore alla pericolosità avviene tramite i periodi di ritorno. Il PSAI definisce le fasce di esondazione in funzione delle aree inondabili corrispondenti a portate caratterizzate da diversi periodo di ritorno (in generale 30, 100 e 300 anni), tali informazioni rappresentano il punto di partenza per la definizione delle successive attività di programmazione. Nelle mappe sono anche individuati i punti critici, ossia: • attraversamenti a rischio di sormonto per insufficienza della luci o riduzione della capacità di deflusso a causa di fenomeni di sovralluvionamento o

24 accumulo di materiale di altra natura (tronchi d'albero, oggetti di grosse dimensioni); • attraversamenti a rischio di erosione (erosione alla base delle pile, erosione delle spalle, erosione del rilevato); • argini a rischio di insufficienza (tracimazione, rottura per dilavamento, erosione al piede, sifonamento); • strutture esterne all'alveo ma a rischio di erosione o alluvionamento (rilevati stradali e ferroviari); • sezioni stradali e altre vie di comunicazione inondate. • restringimenti naturali o artificiali (provocati da ostruzioni in alveo) e tratti a rischio di sovralluvionamento; • connessioni idrauliche dell'alveo con altre zone. La vulnerabilità degli elementi a rischio dipende dalla loro capacità di sopportare le sollecitazioni esercitate dall'evento sia dall'intensità dell'evento stesso. Nel caso del rischio idraulico viene considerata la vulnerabilità per intensità che rappresenta la sensibilità all'evento che l'area presa in considerazione possiede rispetto al danno materiale che i beni in essa contenuti possono subire per effetto della intensità dell'evento stesso (altezza del tirante idrico, velocità della corrente, dinamica dell'evento). La determinazione del valore esposto viene ricondotta alla sola presenza od assenza del bene (aree pericolosa a rischio e aree pericolose senza rischio). Dalle fasce di esondazione e dalle caratteristiche e quindi dalla tipologia delle aree esposte al pericolo di inondazione (valore esposto), sono individuate la aree a rischio. Una parte non trascurabile dell’attività svolta ha riguardato la fase di raccolta, analisi ed integrazione degli elaborati prodotti delle diverse Autorità di Bacino. Le difficoltà incontrate sono state dovute in particolare all’utilizzo di basi cartografie e scale di restituzioni differenti, che peraltro rispecchiano i diversi gradi di approfondimento. L’attività svolta è stata mirata, nei limiti del possibile, a produrre un carta della pericolosità avente caratteristiche uniformi sull’intero territorio provinciale. Una volta ottenuto il livello informativo relativo alla “Pericolosità”, per ottenere la “carta del rischio”, lo si è intersecato con le informazioni sull’antropico che sono state reperite:

25 • presso l’ufficio viabilità della Provincia per quel che riguarda la rete delle infrastrutture di trasporto; • dai dati ISTAT relativi al Censimento del 1991, per i dati relativi ad abitazioni e popolazioni suddivisi per sezioni censuarie. Di seguito sono sinteticamente descritti gli elaborati, relativi alle carte del rischio che sono stati redatti.

26 4.2 Cartografia di base e quadro di unione

La prima operazione che si è dovuta fare è stata quella di predisporre un quadro d’unione valido per tutti gli elaborati alla varie scale (Figura 2)

Figura 2 – Quadro di insieme fogli scala 1>50000 ed 1>25000

Nel quadro d’unione si sono riportati, in aggiunta al confine provinciale; i limiti amministrativi delle diverse Autorità di Bacino e la suddivisione della cartografia in quadranti e fogli. Detta suddivisione è stata concepita nell’intento di ottimizzare il numero di fogli cui fare riferimento. Come si può facilmente valutare si riesce a coprire l’intero territorio provinciale con soli 5 fogli al 50.000 e 15 fogli al 25.000 cui è stata assegnata la nomenclatura internazionale di uso corrente.

27 4.3 Carta delle aree inondabili alla scala 1:25.000

Sulla base delle carte tematiche dei Piani di Bacino, è stata elaborata per l’intero territorio provinciale la carta delle aree inondabili inizialmente a scala 1:25.000 (Figura 3).

Figura 3 – Carta delle aree inondabili Scala 1:25.000

La carta contiene, in legenda (Figura 4), le indicazioni relative alle fasce di fluviali così come definite ed individuate dalle Autorità di Bacino.

28

Figura 4 – Legenda relativa alla carta delle aree inondabili Scala 1:25.000

29 4.3 Carta delle aree inondabili alla scala 1:50.000

Le informazione riportate nelle carte alla scala 1:25.000 sono state rese compatibili il Piano Territoriale di Coordinamento (PTC) mediante una restituzione in scala 1:50.000 (Figura 5)

Figura 5 – Carta delle aree inondabili Scala 1:50.000

30 4.4 Carta delle aree inondabili alla scala 1:150.000

Per offrire una visione complessiva a livello provinciale del rischio connesso al verificarsi di alluvioni è stata anche predisposta una carta delle aree inondabili in scala 1:150.000 (Figura 6)

Figura 6 – Carta delle aree inondabili scala 1: 150.000

In essa è riportato l’inviluppo delle fasce inondabili e i punti in cui sono previste situazioni di crisi dal punto di vista idraulico come si può chiaramente evincere dalla legenda (Fig. 7)

Figura 7 – Legenda relativa alla carta delle aree inondabili scala 1:150.000

31 4.5 Carta delle aree a rischio di alluvione alla scala 1:50.000

La carta delle aree a rischio di alluvione, al fine di garantire la compatibilità con il PTC, è stata redatta alla scala 1:50.000. Le informazioni in essa contenuta sono state ottenute mediante la giustapposizione delle carte delle aree a rischio redatte dalle Autorità di Bacino. In tale operazione si sono incontrate notevoli difficoltà in quanto le Autorità di bacino, pur richieste ufficialmente di fornire gli elaborati redatti per i Piani Stralcio sia in formato .pdf sia in formato vettoriale georeferenziato, contenente le primitive elementari (di carattere areale ovvero poligoni) hanno reso disponibili le informazioni tematiche richieste solo in formato pdf. L’estrazione delle informazioni dai file in formato .pdf è notoriamente una operazione complessa che ha richiesto un notevole impegno e mole di lavoro, nel corso di tale attività è stato necessario prestare una particolare attenzione a restituire correttamente le informazioni contenute al fine di evitare di macroscopici stravolgimenti del quadro in esse contenuto. Una ulteriore complicazione è stata costituita dalla necessità di rendere congruenti le informazioni che, a seconda del livello sviluppato dalle diverse le Autorità di Bacino sono state disponibili con scale variabili dal 5.000 al 25.000. Nel complesso si è costruita una cartografia avente caratteristiche complessivamente uniformi e nella quale il livello di informazione presente mantiene quello presente negli elaborati prodotti dalle Autorità di Bacino (Figura ) ed in dettaglio in Figura .

32

Figura 8 – Carta delle aree a rischio di inondazione Scala 1:50.000

33

Figura 9 – Dettaglio di una carta delle aree a rischio di inondazione

34 4.6 Carta degli scenari di rischio a scala Comunale ed a scala di COM

Considerate le finalità del Piano di Previsione e Prevenzione la valutazione del danno atteso e quindi la definizione degli scenari di rischio è stata ottenuta attraverso l’incrocio della pericolosità da alluvione con i dati relativi alle abitazioni e alla popolazione relativi alle sezioni censuarie ISTAT e con i dati relativi alle infrastrutture a rete resi disponibili dall’Amministrazione Provinciale, in particolare dall’Ufficio Trasporti. In particolare sulla base dei dati relativi al censimento ISTAT 1991 e delle informazioni contenute nel Sistema Informativo del Piano Territoriale di Coordinamento (PTC) dell’Amministrazione Provinciale, relative alle infrastrutture pubbliche e private, sono state stimate i valori relativi all’entità della popolazione, al numero degli edifici ed alla lunghezza dei vari tratti del sistema di collegamento viario e ferroviario ricadenti nelle fasce di esondazione e suddivisi per le diverse fasce fluviali. Le informazioni sono state predisposte in maniera monografica per ciascun Comune (Figura 10) e, successivamente, attraverso un’aggregazione dei dati, a scala di COM (Figura 11).

35

Figura 10 – Monografia delle aree a rischio di inondazione a livello Comunale Scala 1:25.000

Figura 11 – Monografia delle aree a rischio di inondazione a livello di COM Scala 1:50.000

36

A bitanti A bitazioni Residente Popolazione Abitazioni Totali Abitazioni Occupate Fascia A Fascia B1 Fascia B2 Fascia B3 Fascia C Colate rapide Fascia A Fascia B1 Fascia B2 Fascia B3 Fascia C Colate rapide COMUNE COM

A GROPOLI 13 17926 10958 5901 322 1062 0 2959 4033 198 510 0 1482 2023 CICERALE 13 1567 577 569 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 GIUNGANO 13 1063 454 337 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 LAUREANA CILENTO 13 1105 738 416 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 LUSTRA 13 1189 545 416 5 10 0 0 0 2 4 0 0 4 PERITO 13 1189 529 410 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 PRIGNANO CILENTO 13 921 489 317 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 RUTINO 13 986 407 300 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 TORCHIARA 13 1360 683 489 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0

NUMERO A FASCIA B1 FASCIA B2 FASCIA FASCIA B3 C FASCIA COLATE COMUNE COM STRADA TIPO TRATTI DESCRIZIONE

AGROPOLI 002 13 COM_002 Strada Comuna 17 1554 10862 0 13926 0 0 AGROPOLI 002 13 FERROVIA FERROVIA 2 1455 0 0 1456 0 0 AGROPOLI 002 13 SP137 Strada Prov.l 2 SS18 VECCHIA - CONF AGROPOLI 0 0 0 361 0 0 AGROPOLI 002 13 SP278 Strada Prov.l 2 CONFINE CAPACCIO-SAN MARCO 340 0 0 0 339 0 AGROPOLI 002 13 SP278A Strada Prov.l 2 SP188 - CONFINE CAPACCIO 332 0 0 331 0 0 AGROPOLI 002 13 SP430A Strada Prov.l 5 VARIANTE SS18 AGROPOLI 450 907 0 903 0 0 AGROPOLI 002 13 SS267 Strada Statal 9 0 0 0 12408 0 0 Figura 12 – Monografia delle aree a rischio di inondazione a livello di COM Tabella degli elementi a rischio

37 4.7 Definizione degli scenari di evento

Come detto nell’introduzione al presente capitolo, per la dinamica degli scenari di evento si è fatto riferimento ad un approccio quali-quantitativo basato sullo studio dei dati pluviometrici relativi agli eventi meteorici estremi che hanno interessato la Provincia di Salerno a partire dal 1950. Sono stati presi in esame 12 eventi pluviometrici di notevole intensità, tali eventi sono stati sottoposti preliminarmente ad un’analisi di tipo sinottico finalizzata ad individuarne le principali caratteristiche qualitative. Gli scenari di evento sono stati definiti tenendo conto non solo del verificarsi di valori estremi di piogge o portate, ma anche dell’estensione areale dell’evento con particolare riferimento ai possibili effetti a terra. In tale senso una bassa presenza infrastrutturale tende ad innalzare la soglia sulla base della quale includere l’evento tra i possibili scenari. Sulla base di tale prima analisi sono stati selezionati 6 eventi che sono stati sottoposti ad ulteriori analisi di tipo quantitativo. Tale analisi è consistita nella ricostruzione dell’andamento delle isolinee del fattore di crescita delle piogge Kt così da individuare il contorno all’interno del quale il fattore di crescita Kt supera un valore minimo di riferimento. Tale analisi ha fornito il primo criterio per l’individuazione dei comuni coinvolti nello scenario di evento considerato. Il secondo criterio deriva dall’ovvia osservazione che il volume di pioggia precipitato nell’area interessata dall’evento pluviometrico trova il naturale deflusso nella rete idrografica, generando un’onda di piena che si propaga verso valle. Per cui le zona adiacenti all’asta fluviale proveniente dalla zona interessata dal maggiore evento pluviometrico possono essere soggette ad esondazione. In sintesi per ciascuno scenario di evento considerato i Comuni coinvolti nell’evento sono stati individuati sulla base della individuazione di due macro aree: - A1 Area direttamente interessata dall’evento pluviometrico (Comuni per i quali

il fattore di crescita delle piogge Kt maggiore rispetto al valore di riferimento); - A2 Area di scolo dei deflussi provenienti dall’area A1 (Comuni adiacenti alle aste fluviale i cui bacini montani ricadono nella zona A1).

38 I comuni così individuati definiscono tutti i comuni ricadenti nello scenario di evento considerato. Considerando la finalità di fornire uno strumento di lavoro utile per la programmazione delle attività di contrasto e recupero un Comune può risultare coinvolto in più scenari.

In definitiva sulla base delle valutazioni svolte per l’individuazione degli scenari di evento e delle carte del rischio sono stati definiti i seguenti 6 possibili scenari di rischio 1 – Area Cilento - Bacino del Tanagro (1951) 2 – Costiera Amalfitana (1954) 3 – Area metropolitana di Salerno - Monti Picentini (1966) 4 – Bacino Sele - Tanagro (1968) 5 – Costiera Amalfitana - Cilento (1997) 6 –Monti Picentini - Bacino del Sele (1998)

Per tutti gli scenari sono forniti i valori complessivi di popolazione, edifici pubblici e privati, infrastrutture di trasporto potenzialmente coinvolti.

Prima di una sintetica descrizione di ciascun scenario con particolare riguardo alle principali tipologie di fenomeni che possono verificarsi, appare opportuno premettere alcune caratteristiche di carattere generale relative all’inondazioni fluviali. Il grado di danneggiamento dipende:

• dalla durata della piena; • dall’altezza idrica; • dalla velocità della corrente; • dalla velocità di crescita dei livelli idrici.

La durata della piena rappresenta un parametro di fondamentale importanza in quanto il livello di danno è assai spasso correlato ad essa sia per quanto riguarda il danno strutturale sia per quanto riguarda l’interruzione nelle comunicazioni, delle attività produttive, dei servizi pubblici.

39 L’altezza d’acqua influenza la stabilità degli edifici sia per effetto della spinta di galleggiamento che dell’erosione delle fondazioni. Il livello raggiunto dall’acqua determina la porzione di edificio allagata. Elevati valori della velocità incrementano il pericolo di erosione delle sponde e comportano l’approfondimento dell’erosione e della spinta idrodinamica in prossimità delle opere di fondazione di strutture immerse, minandone la stabilità. Inoltre in considerazione della esistente tra velocità della corrente e celerità di propagazione se ne deduce che elevati valori della velocità comportano anche elevati valori della celerità di propagazione con conseguente riduzione del tempo disponibile per l’allarme e la preparazione di misure di contrasto di emergenza Nelle carte del rischio le fasce inondabili sonno suddivise in funzione dell’altezza idrica, nella implicita ipotesi che anche la velocità sia proporzionale all’altezza idrica. Anche l’andamento temporale con cui si modificano i livelli idrici è un importante elemento che influenza il tempo disponibile per la predisposizione di eventuali opere di contrasto di emergenza e per l’effettuazione di operazioni di evacuazione. Nella descrizione sintetica degli scenari si farà riferimento ad una durata caratteristica dell’evento pluviometrico. Tale durata si riferisce alla pioggia che, in termini temporali, appare direttamente collegata allo scenario esaminato. Appare opportuno precisare che lo studio degli effetti al suolo indotti da eventi pluviometrici intensi indica che, in molti casi, l’evento pluviometrico di riferimento è stato preceduto da precipitazioni di non trascurabile entità. Il riferimento ad una sequenza temporale di eventi pluviometrici successivi risulta essenziale in quanto le precipitazioni precedenti predispongono il bacino (innalzandone il contenuto d’acqua nel terreno) in maniera tale che esso risponde all’impulso pluviometrico successivo con una risposta assai più pericolosa rispetto a quella che si sarebbe avuta in assenza delle precipitazioni precedenti. Il periodo dell’anno in cui avviene la piena influenza la durata temporale nella quale le strutture allagate rimangono inagibili, questo aspetto influenza la durata della fase di recupero post evento e la necessità di reperire sistemazioni provvisorie per un più lungo periodo di tempo. Le piene di grandi dimensioni possiedono la capacità di trasportare materiale di grandi dimensioni quali alberi, autovetture serbatoi che possono comportare l’occlusione delle sezioni di attraversamento con conseguente incremento dei carichi sulle strutture portanti dell’attraversamento ed allagamento delle aree circostanti.

40 I principali effetti di un evento alluvionale possono sintetizzarsi come segue:

• perdita della vita per persone ed animali; • interruzione di strade e ferrovie; • danneggiamento di abitazioni e di quanto in esse contenuto; • perdita del raccolto; • danneggiamento al sistema di distribuzione dell’energia elettrica e del gas; • danneggiamento ad impianti di potabilizzazione e di depurazione; • inquinamento per dispersione di sostanze tossiche e/o nocive.

A tal riguardo non vanno trascurati i pericoli conseguenti all’allagamento, non solo di siti industriali, ma va considerato il caso di inquinamento dovuto a sostanze presenti in maniera diffusa sul territorio quali carburanti, olii, pesticidi ed in generale prodotti chimici che possono contaminare il terreno circostante rendendo più lunga e complicata la fase di recupero. Per quanto riguarda gli aspetti specifici relativi alle inondazioni in ambito urbano vanno segnalati i possibili danni al sistema fognario ed i pericoli connessi alla diffusione di liquame non trattato. Dal punto di vista sanitario la necessita di interventi di tipo chirurgico su persone traumatizzate riguarda, in generale, le prime 72-96 ore, successivamente il rischio principale è legato alla presenza di acqua stagnante che può incrementare il rischio di quelle malattie che trovano una più facile via di sviluppo e trasmissione attraverso l’acqua. La morte di animali da cortile e da allevamento può aumentare le problematiche di tipo sanitario e richiede una pronta eliminazione delle carcasse degli animali. Nelle zone colpite, oltre alla possibilità che frane e smottamenti interrompano completamente il rifornimento idrico, appare prudenziale, in attesa di analisi che attestino la potabilità dell’acqua, sconsigliare, nelle ore immediatamente successive l’evento l’uso potabile dell’acqua di rubinetto.

41

Figura 13 – Carta degli scenari di evento analizzati con indicazione dei comuni interessati

42

Figura 14 – Carta dello scenario di evento 1951 con indicazione dei comuni interessati

Figura 15 – Dettaglio della Carta dello scenario di evento 1951 con indicazione dei comuni interessati

43 4.7.1 Scenario 1 - Area Cilento - Bacino del Tanagro

Lo scenario in esame fa riferimento all’evento del 1951. Le piogge sono di notevole intensità e di lunga durata (2 giorni). Le zone particolarmente interessate sono: l’Alto corso del Tanagro e l’area Cilentana. Gli effetti attesi riguardano nella parte montana possibili interruzioni delle vie di comunicazione dovute sia a smottamenti di terreno sulla sede stradale sia al danneggiamento, fino alla completa asportazione, di singoli attraversamenti. Nelle zone pianeggianti i probabili effetti riguardano estese esonadzioni nella zona del Vallo di Diano. Le esondazioni presentano carattere diffuso a causa della insufficiente capacità di trasporto dei corsi d’acqua Considerando il tempo relativamente lungo il quale si sviluppa l’evento una particolare attenzione dovrà essere rivolta al controllo dello stato di esercizio degli argini.

44 4.7.2 Scenario 2 - Costiera Amalfitana

Lo scenario in esame fa riferimento al catastrofico evento dell’ottobre 1954, è senza dubbio lo scenario più catastrofico. Le piogge sono di notevole intensità e media durata (12 ore). In considerazione della direzione di provenienza delle perturbazioni che tipicamente sono la causa in tale scenario non è da escludersi che le condizioni del mare risultino agitate. I fenomeni si sviluppano nell’arco di più ore ed possono proseguire anche dopo che siano iniziate le operazioni di soccorso. Gli effetti attesi al suolo riguardano principalmente il verificarsi di smottamenti e frane, con probabile sviluppo di colate rapide di fango, ed esondazioni localizzate. E’ possibile che l’interruzione dei corsi d’acqua causata da smottamenti e frane possa comportare la formazione di accumuli effimeri di acqua che possono mobilitarsi in tempi brevi causando onde improvvise caratterizzate da elevata cineticità ed elevato poter distruttivo. Un fenomeno analogo può generarsi anche a seguito della temporanea chiusura della luce di un attraversamento. Sono da attendersi sia esondazioni localizzate in corrispondenza degli attraversamenti aventi dimensioni minori sia esondazioni diffuse negli abitati. Queste ultime possono essere causate dall’insufficienza idraulica delle sezione o dall’occlusione degli imbocchi dei tratti tombati che assai di frequente attraversano i centri abitati. In particolare nei tratti a maggiore pendenza la corrente può assumere velocità in grado di mettere in pericolo la vita umana. La portata, non più contenuta nei tratti tombati, defluisce sul piano stradale e può trascinare autovetture e cassonetti. Sono possibili interruzioni della sede stradale dovute sia a smottamenti di terreno sulla sede stradale sia al danneggiamento, fino alla completa asportazione di attraversamenti. Le strade, in particolare quelle adiacenti alla linea di impluvio principale, possono risultare ingombre da detriti ed oggetti trasportati dalla corrente. Il materiale depositato può mantenere per molte ore un’elevata fluidità che rende difficile la mobilità nella zona. I locali sottoposti al piano stradale possono risultare allagati dagli apporti ruscellanti provenienti dall’esterno.

45 4.7.3 Scenario 3 - Area metropolitana di Salerno - Monti Picentini

Tale scenario risulta caratterizzato da piogge di notevole intensità ma di media durata (12 ore). Gli effetti attesi riguardano principalmente il verificarsi di dissesti diffusi nella parte montana del territorio e di esondazioni dei corsi d’acqua in particolare nelle zone pianeggianti che interessano la città di Salerno. Nella parte montana sono possibili interruzioni della vie di comunicazione dovute sia a smottamenti di terreno sulla sede stradale sia al danneggiamento, fino alla completa asportazione di singoli attraversamenti. Non possono escludersi eventi localizzati di colate rapide di fango. In tale parte del territorio i fenomeni possono svilupparsi anche dopo che siano iniziate le operazioni di soccorso. Nella parte pianeggiante sono da attendersi esondazioni dei corsi d’acqua minori, in particolare di quelli che attraversano la città di Salerno: Irno, Mariconda Mercatello e Fuorni. Le esondazioni possono presentare caratteristiche sia diffuse che concentrate: le prime sono dovute ad una insufficienza capacità di trasporto dei corsi d’acqua le seconde a situazioni localizzate. Queste ultime possono essere causate dall’insufficienza idraulica delle sezioni degli attraversamenti o dall’occlusione degli imbocchi dei tratti tombati in particolare del Mariconda e del Mercatello. La rete fognaria può risultare insufficiente a seguito dei notevoli apporti liquidi e solidi. I locali sottoposti al piano stradale possono risultare allagati sia a causa di apporti ruscellanti provenienti dall’esterno, sia a causa di rigurgiti provocati dalla insufficienza della rete drenante.

46 4.7.4 Scenario 4 - Bacini Sele e Tanagro (1968)

Tale scenario risulta caratterizzato da piogge di notevole intensità e di lunga durata (2 giorni). Le zone particolarmente interessate sono: l’Alto corso del Sele, l’Alto corso del Tanagro e l’area intermedia tra il Tanagro ed il Calore Lucano. Gli effetti attesi riguardano nella parte montana possibili interruzioni della vie di comunicazione dovute sia a smottamenti di terreno sulla sede stradale sia al danneggiamento, fino alla completa asportazione di singoli attraversamenti. Nelle zone pianeggianti i probabili effetti riguardano esondazioni nella zona del Vallo di Diano ed alla confluenza del Calore Lucano con il Sele. Particolare attenzione Le esondazioni presentano carattere diffuso a causa della insufficiente capacità di trasporto dei corsi d’acqua Considerando il tempo relativamente lungo il quale si sviluppa l’evento una particolare attenzione dovrà essere rivolta verso il controllo dello stato di esercizio degli argini.

47 4.7.5 Scenario 5 - Costiera Amalfitana - Cilento

Costiera Amalfitana (vedi scenario 2) Cilento (vedi scenario 1)

48 4.7.6 Scenario 6 - Monti Picentini - Bacino del Sele

Monti Picentini (vedi scenario 3) Bacino del Sele (vedi scenario 4)

49 5. LINEE GUIDA PER SISTEMA DI PREANNUNCIO E PREALLARME

In aggiunta agli interventi strutturali di mitigazione del rischio idraulico, è auspicabile, predisporre tra gli interventi non strutturali un sistema di gestione operativa delle emergenze di piena; per tale obiettivo è discusso lo schema di un sistema di preannuncio di piena in tempo reale che potrebbe essere applicato al bacino idrografico del Fiume Sele. Il sistema di preannuncio, sulla scorta delle conoscenze acquisite e degli scenari prefigurati, assolve alla funzione di mitigazione del rischio residuo e altresì può fornire indicazioni ulteriori su come programmare gli interventi strutturali, al fine di averne una migliore integrazione. Il sistema di preannuncio di piena può essere suddiviso in tre sottosistemi fondamentali, strettamente integrati fra loro, ma concettualmente distinti: 9 Monitoraggio; 9 Previsione; 9 Decisione. Le presenti linee guida sono rivolte a tutti e tre i sottosistemi, il cui progetto va affrontato in un’ottica unitaria.

5.1 Il sistema di preannuncio di piena

La realizzazione di un sistema di preannuncio degli eventi di piena è un’attività fondamentale in un programma di mitigazione del rischio di alluvione. Tale sistema deve essere in grado di prevedere l’evento critico con un anticipo temporale sufficiente ad attivare un sistema di allarme e le corrispondenti misure di protezione civile (almeno 6 ore). Il sistema di preannuncio di piena prevede due fasi successive di intervento. Una volta che opportuni precursori, basati su rilevazioni in sito o remote, abbiano rilevato, con largo anticipo condizioni che potrebbero produrre, un evento particolarmente intenso, il sistema decisionale fornisce gli strumenti per l’attivazione dello stato di preallerta. Tale stato coinvolge solamente le strutture di protezione civile, ed è necessario per organizzare un’eventuale stato di preallarme. Lo stato di preallarme viene attivato sulla base di una previsione quantitativa del livello idrico nel corso

50 d’acqua, e del conseguente scenario, per quanto riguarda le aree interessate dall’esondazione. In un sistema di preannuncio che sia di supporto a diversi livelli di decisione può essere previsto anche un sistema di decisione basato sulla sola osservazione o previsione di precursori pluviometrici, mediante la definizione di soglie pluviometriche che, in base ai diversi obiettivi, fanno innescare i diversi stadi di allarme. Se si dispone di un modello di previsione quantitativa dell’indicatore, le soglie pluviometriche possono essere calibrate in base a tale modello, incorporando la fase di previsione dell’indicatore nella definizione del sistema di soglie. In alternativa, quando manca un modello di previsione quantitativa dell’indicatore, le soglie pluviometriche possono essere definite in base alle leggi di probabilità pluviometrica regionali: un sistema di questo tipo può rappresentare una soluzione tampone per la fase preliminare alla messa in esercizio definitiva di un sistema completo di preannuncio. La durata dell’anticipo temporale delle previsioni deve essere scelta in modo da raggiungere un buon compromesso tra l’accuratezza delle previsioni e la necessità di disporre di un tempo adeguato per la gestione operativa. Tipicamente, l’accuratezza e la consistenza delle previsioni si degrada rapidamente all’aumentare dell’orizzonte temporale al quale sono effettuate, fino al raggiungimento del tempo di ritardo caratteristico del bacino, oltre il quale le misure rilevate a terra non sono sufficienti per effettuare delle previsioni tecnicamente valide, e quindi, occorre affidarsi a modelli di previsioni meteo, fisicamente basati o statistici. La linea che si propone per il preannuncio è orientata verso l’utilizzo di modelli che abbiano requisiti di semplicità, robustezza e ridotta parametrizzazione, requisiti che sono sicuramente soddisfatti con l’utilizzo dei metodi stocastici. L’approccio statistico, infatti, consente una migliore identificazione e calibrazione del modello, unita alla possibilità di ottenere in modo semplice e diretto stime dell’incertezza di previsione e un funzionamento adattivo del sistema.

51 5.2 Schema progettuale

5.2.1 Generalità

Lo schema progettuale si riferisce ad un pacchetto completo, che comprende lo sviluppo di un “complesso” sistema di preannuncio, composto da i tre sottosistemi: (i) di monitoraggio, (ii) di previsione e (iii) di decisione, e l’integrazione della rete in telemisura esistente con nuovi strumenti, in funzione delle esigenze del sistema di preannuncio. La definizione dei sottosistemi di previsione e di monitoraggio va affrontata in un’ottica unitaria. Il modello a cui si farà riferimento è di tipo gerarchico, e prevede l’utilizzo combinato di dati idrometrici e pluviometrici e, in caso di necessità, di previsioni quantitative delle precipitazioni. Il sistema di previsione è strutturato in modo da prevedere le portate o i livelli idrici nelle sezioni dei principali corsi d’acqua del F. Sele (indicatori), laddove il Piano stralcio ha previsto tali tipologie di interventi di mitigazione del rischio residuo, utilizzando i valori assunti da determinate variabili idrometeorologiche (precursori). I precursori sono grandezze opportunamente selezionate, tali da rendere possibile una previsione dei valori futuri dell’indicatore con un anticipo tecnicamente significativo. I valori misurati per l’indicatore, oltre a rappresentare parte delle variabili in ingresso nel modello di previsione, in caso di funzionamento o ricalibrazione adattiva servono per il continuo aggiornamento del sistema di previsione. Si possono prevedere diversi livelli di precursori, seguendo uno schema gerarchico ad albero, tale che ogni precursore di un certo livello faccia da indicatore per i precursori al livello successivo. Il primo livello di precursori sarà formato da idrometrografi posti sull’asta principale e sui principali affluenti. Al secondo livello si utilizzano pluviografi o sensori remoti quali radar o satelliti, con l’uso combinato di idrometrografi per gli affluenti di maggiori dimensioni. Al terzo livello si potrà disporre di pluviografi o sensori remoti o anche modelli meteorologici o statistici di previsioni delle precipitazioni.

52 Le implicazioni sul modello di previsione sono significative. Si passa da un modello puramente di propagazione idraulica dell’onda di piena al primo livello, ad un modello di trasformazione afflussi deflussi oppure ad un modello misto di formazione e propagazione dei deflussi al secondo livello, per finire con modelli di previsione delle precipitazioni al livello finale. Questo schema ridondante, presenta numerosi vantaggi. Innanzitutto realizza un’ottima integrazione fra il modello di previsione e la rete di monitoraggio, inoltre dà la possibilità di costruire un modello di preannuncio multi-obiettivo. Ciò significa che si può realizzare un modello capace di prevedere diverse situazioni di rischio, in diverse aree del territorio, e con diversi orizzonti temporali, utilizzando opportunamente le combinazioni di indicatori e precursori disponibili. In caso di malfunzionamento, in corso di evento, di un idrometrografo utilizzato come precursore, questo schema consente anche la sua sostituzione con i precursori a esso competenti al livello successivo. Il modello di previsione sarà formato, quindi, da sottomodelli, ridondanti come la struttura della rete di monitoraggio, che funzionando in parallelo concorrono alla definizione del modello ottimale per ogni singolo obiettivo. In tal modo si ottiene un notevole miglioramento dell’affidabilità dei sistemi di monitoraggio e di previsione. La struttura del modello di previsione dipende, quindi, strettamente dalla scelta dei precursori, e quindi dal sistema di monitoraggio, per cui il progetto di entrambi i sistemi deve essere svolto in modo organico. Lo schema gerarchico proposto per la rete di precursori segue una disposizione spaziale di tipo semi-distribuito (Corradini e Melone, 1986), in cui ogni idrometro precursore è a sua volta indicatore possibile per gli idrometri precursori di livello a monte successivo.

5.2.2 Applicazione all’asta terminale del F. Sele

In Campania, il bacino idrografico più importante è quello del Volturno – Liri Garigliano, che è un bacino di rilevanza nazionale, essendo il suo territorio suddiviso su diverse regioni. Il secondo bacino, per dimensioni, è il bacino del fiume Sele, con un’estensione alla foce di oltre 3000 km2, la gran parte dei quali ricadente all’interno del territorio della provincia di Salerno.

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Figura 16-Schema delle confluenza del F. Sele

Le sorgenti del fiume Sele, che hanno origine dal massiccio carbonatico del Terminio – Cervialto, alimentano il famoso Grande Acquedotto Pugliese, e sono, perciò, intensamente captate. Per questo motivo la quasi totalità dell’attuale deflusso di magra del fiume è dovuto al contributo del suo principale affluente, il Tanagro, il cui bacino prima della confluenza rappresenta, oltretutto, quasi i due terzi dell’intero bacino del Sele. La vasta pianura adiacente alla foce del Sele è stata, in passato, una zona paludosa e malsana, fino alla bonifica effettuata nel ventennio di governo fascista. Ora la “Piana del Sele” è un’area di rilevante valore per tutta la zona, grazie all’elevata produttività agricola e al fiorire dell’allevamento di bufali, collegato all’attività tipica di produzione di latticini. Nel tratto terminale del corso d’acqua, a Persano, è posta una traversa fluviale per la derivazione di acqua per uso irriguo. L’area circostante la traversa è di grande importanza ambientale, essendo una delle poche zone umide naturali rimaste in Italia, ed è oasi protetta del WWF Italia. Il reticolo di drenaggio del Sele si presenta con un’asta principale di modesta lunghezza, sulla quale si innestano due importanti affluenti, entrambi in sinistra: il

54 Tanagro e il Calore Lucano. Va precisato, comunque, che si è definita principale l’asta che mantiene la denominazione di fiume Sele, e tale asta non corrisponde all’asta più lunga del reticolo, che è rappresentata dal Calore-Tanagro-Sele. Il fiume Tanagro prende il nome di Calore nel tratto iniziale e attraversa interamente il Vallo di Diano, correndo parallelamente all’autostrada Salerno – Reggio Calabria. Alcuni chilometri prima della confluenza con il fiume Sele riceve, in destra, il contributo del fiume Bianco, a sua volta originato dalla confluenza del fiume Platano con il fiume Melandro. Il Calore Lucano (da non confondere con il tratto iniziale del Tanagro o con il , che è un affluente in sinistra del Volturno) scorre interamente nell’area dell’alto Cilento, tra i Monti , attraversando l’area del Parco Naturale del Cilento e immettendosi nel Sele all’altezza di Persano. Il bacino del Calore Lucano ha subito modesti interventi antropici, con benefici effetti sul regime di piena del fiume: il corso d’acqua ha la possibilità di esondare nella parte alta, con un forte effetto di laminazione dell’onda alla confluenza con il Sele. Da un punto di vista geomorforlogico, il bacino è interessato da alcuni complessi montuosi anche importanti (Terminio-Cervialto, Monti Alburni), di origine carbonatica, da una vasta area collinare con prevalenza di terreni scarsamente permeabili, e infine da un’estesa pianura alluvionale nel tratto finale. All’altissima permeabilità delle aree corrispondenti agli affioramenti dei massicci carbonatici su cui è presente una vegetazione di tipo boschivo, si contrappone la permeabilità molto ridotta dei terreni, prevalentemente argillosi, di tutta la parte collinare e di pianura del bacino. Da un punto di vista climatico, il bacino del Sele è un tipico bacino dell’Italia meridionale. Il clima è caratterizzato da una stagione piovosa, identificabile con il periodo autunno-inverno, e una stagione secca, corrispondente alla stagione calda. Il clima ha una forte influenza sullo stato di umidità del suolo, per cui, normalmente, gli eventi di piena più intensi si verificano durante la stagione umida o al termine di questa. La componente perenne del deflusso, alimentata da un’importante circolazione profonda nei massicci carbonatici siti nella zona Nord del bacino, è fortemente captata, ma comunque ancora significativa.

55 5.2.3 La Rete in telemisura presente

Nel gennaio 1994, il Compartimento di Napoli del Servizio Idrografico e Mareografico Nazionale (SIMN), ha iniziato una campagna di istallazione di una rete di sensori in telemisura per il rilevamento dei dati idrometrici e pluviometrici all’interno del bacino. Nel 1999 le stazioni funzionanti sono: 9 stazioni idrometrografiche e 6 stazioni pluviografiche all’interno del bacino. Uno schema semplificato del reticolo idrografico del Sele, con l’indicazione delle stazioni in telemisura del SIMN, è riportato in Figura 16. Nella successiva Tabella V si riporta per esteso l’elenco delle stazioni. Per le sezioni strumentate con idrometri, sono riportate anche le aree dei bacini imbriferi sottesi da tali sezioni (Tabella VI).

IDROMETRI Sele Platano Melandro I1 Persano Sele P5 I2 Auletta P4 Altavilla p.te I3 Calore I7 I8 P2 I4 Calore - Tanagro Bianco I5 Contursi I2 I6 I6 Buccino

I7 Salvitelle Tanagro Romagnano al I8 P3 Mon. I5 Castel I9 S.Lorenzo

Sele P6 P1 I1 PLUVIOMETRI Calore Lucano P1 Persano Sele I3

P2 Auletta I9 Sele P3 Castelluccio

P4 Senerchia I4 Vietri di P5 Potenza P6 Bellosguardo

Figura 17 - Schema semplificato del reticolo idrografico del Sele, con indicazione delle stazioni di misura

56

QUOTA Cod. Sensore NOME STAZIONE SOTTOBACINO (m s.l.m.)

I1 Idrometro PERSANO SELE SELE 28 I2 Idrometro AULETTA TANAGRO 281 I3 Idrometro ALTAVILLA P.TE CALORE CALORE LUCANO 45 I4 Idrometro ALBANELLA P.V. SELE 12 I5 Idrometro CONTURSI SELE 75 I6 Idrometro BUCCINO BIANCO 170 I7 Idrometro SALVITELLE MELANDRO 234 I8 Idrometro ROMAGNANO AL MON. PLATANO 210 I9 Idrometro CASTEL S.LORENZO CALORE LUCANO 124 P1 Pluviometro PERSANO SELE SELE 28 P2 Pluviometro AULETTA TANGO 281 P3 Pluviometro CASTELLUCCIO TANAGRO 458 P4 Pluviometro SENERCHIA SELE 616 P5 Pluviometro VIETRI DI POTENZA MEANDRO 966 P6 Pluviometro BELLOSGUARDO CALORE LUCANO 525 Tabella V-Elenco delle stazioni in telemisura del SIMN nel bacino del fiume Sele nel1996

AREA Cod. NOME STAZIONE SOTTOBACINO 2 (km )

I1 PERSANO SELE SELE 2464 I2 AULETTA TANAGRO 738 I3 ALTAVILLA P.TE CALORE CALORE LUCANO 626 I4 ALBANELLA P.V. SELE 3239 I5 CONTURSI SELE 331 I6 BUCCINO BIANCO 933 I7 SALVITELLE MELANDRO 616 I8 ROMAGNANO AL MON. PLATANO 285 I9 CASTEL S.LORENZO CALORE LUCANO 421 Tabella VI-Elenco Area dei bacini imbriferi sottesi dalle sezioni strumentate con idrometri

5.2.4 Esempio di modellazione gerarchica

Si vede come, nel concreto, se si adotta come indicatore l’altezza idrometrica misurata all’idrometro di Albanella (I4), si ha un ottimo precursore nell’altezza idrometrica

57 dell’idrometro di Persano-Sele (I1), nel senso che le due grandezze sono tra loro molto bene correlate e la seconda è in anticipo temporale sulla prima: tale anticipo, però, è molto breve e non consente, nella pratica, di mettere in atto misure cautelative. Si debbono usare, quindi, congiuntamente, le altezze agli idrometri I2, I5 ed I9 e prendere in considerazione degli schemi di propagazione e traslazione dell’onda di piena. Questo abbasserà le prestazioni del modello di previsione, aumentando significativamente i tempi di anticipo, ma sempre nell’ordine delle poche ore. Per azioni di mitigazione del rischio veramente anticipate (oltre le 6 ore) occorre, invece, passare all’uso dei precursori pluviometrici. E’ subito evidente che la rete pluviometrica è inadeguata sia a scopi descrittivi, sia a scopi revisionale. Per conseguire un obiettivo minimo di copertura omogenea dell’intero bacino del F. Sele e dei singoli sottobacini, si deve prevedere lo studio della rete di monitoraggio pluviometrico, che tenga conto anche della possibilità di effetti di non-linearità spaziale dovuti alla interazione delle masse di aria umida ocn le barriere orografiche presenti sul territorio. Se si fa riferimento a precedenti studi sull’argomento e sul territorio (ad es. Furcolo, Rossi e Villani, 2004), si può prevedere la necessità dell’istallazione di ulteriori 30 stazioni pluviografiche integrate con sensori di temperatura e di umidità dell’aria per la configurazione di base, rispetto a cui vanno previsti opportuni infittimenti in corrispondenza delle principali barriere orografiche, in modo da limitare gli errori di interpolazione spaziale delle piogge causati dalle non linearità del processo delle precipitazioni in presenza di importanti ostacoli orografici. La definizione del numero e della posizione delle stazioni aggiuntive richiede uno ulteriore studio approfondito per l’identificazione delle caratteristiche orografiche che più influenzano la dinamica delle precipitazioni in corrispondenza delle barriere. In ogni caso, la struttura statistica del sistema di previsione si avvale del formalismo dello spazio degli stati e, quindi, di strumenti statistici efficienti per l’identificazione del modello e la previsione in tempo reale. In generale, quindi, occorre mettere in atto uno studio dettagliato dei singoli moduli del sottosistema di previsione del sistema di preannuncio: (i) di previsione o stima delle piogge totali, di tipo puntuale o areale, comprendenti anche la possibilità di eventi di sormonto o di aggiramento, (ii) di trasformazione delle piogge totali in piogge efficaci, mediante bilancio idrologico del suolo a scala di versante, (iii) di trasformazione piogge efficaci – portate e

58 (iv) di propagazione dell’onda di piena nei canali naturali.

5.3 Soglie di allarme

Un prodotto aggiuntivo, che potrà essere di supporto a diversi livelli di decisione, consisterà in un sistema di decisione basato sulla definizione di soglie pluviometriche. Si tratta di un sistema che utilizza le previsioni meteorologiche o le piogge misurate per innescare i diversi stadi di allarme, in base ai diversi obiettivi. Tale sistema, che risulta anche di utilizzo semplificato per l’utente, richiede una calibrazione delle soglie pluviometriche basata sul sistema di previsione quantitativa dell’indicatore, perciò va predisposto in una fase successiva alla definizione del modello completo di preannuncio. Nonostante lo schema del sistema di preannuncio appaia ridotto all’accoppiamento di un sistema di monitoraggio con un sistema di decisione, lo stadio di previsione dell’indicatore, pur non comparendo esplicitamente nel sistema di preannuncio, risulta implementato nella definizione delle soglie pluviometriche. Un sistema di preannuncio davvero “semplificato”, basato sempre sulle sole previsioni meteorologiche o sulle osservazioni pluviometriche a terra, sarà anche previsto, per un limitato periodo di tempo, in una fase preliminare alla messa in esercizio del sistema completo di preannuncio. In tal caso, il sistema di allarme potrà essere calibrato solo in base alle conoscenze a priori sul processo delle precipitazioni estreme, mediante la definizione di indici di intensità e di rarità ottenuti dal confronto delle precipitazioni, previste o osservate, di durata dipendente dalle dimensioni dei bacini idrografici con le leggi di pioggia ricavate da un’analisi regionale dei massimi di precipitazione. Un sistema così costruito avrà prestazioni, in termini di affidabilità e capacità diagnostica, sicuramente inferiori al sistema completo, basato sulla previsione e osservazione di indicatori di piena, ma risulta di rapida implementazione e rappresenta, perciò, una soluzione tampone utilizzabile durante la fase di costruzione e sperimentazione del sistema di preannuncio.

6. LINEE DI INTERVENTO PER IL RIASSETTO IDROGEOLOGICO

Le linee di intervento del Piano Stralcio esprimono l'individuazione delle necessità di intervento, in termini di compatibilità del rischio, costituite da misure non strutturali e

59 strutturali che possono assumere carattere estensivo ed intensivo per il riassetto idrogeologico del territorio.

6.1 Interventi di gestione idraulica del territorio

Sinteticamente il quadro delle tipologie di intervento è costituito dai seguenti punti:

6.1.1 Misure non strutturali

Attività di previsione e sorveglianza - monitoraggio meteo-idrologico di previsione di piena e del rischio di frana; - monitoraggio di sorveglianza e/o controllo strumentale di frana attiva o temporaneamente quiescente; - monitoraggio idrologico e morfologico dei corsi d'acqua; - servizio di piena e coordinamento con le funzioni di protezione civile.

Regolamentazione dell'uso del suolo nelle aree a rischio (norme di salvaguardia): - delimitazione delle fasce fluviali e regolamentazione dell'uso del suolo all'interno delle stesse; - revisione degli strumenti urbanistici vigenti a scala comunale in termini di compatibilità con le condizioni di rischio; - indirizzi alla programmazione a carattere agricolo-forestale per interventi con finalità di protezione idraulica e idrogeologica; - indirizzi e prescrizioni per la progettazione delle infrastrutture interferenti: ponti e rilevati stradali e ferroviari, opere civili, ecc.; - indirizzi e prescrizioni per la progettazione di opere pubbliche e di interesse pubblico secondo criteri di compatibilità con le condizioni di rischio idraulico e idrogeologico; - incentivazione per l'allontanamento di insediamenti residenziali o produttivi dalle fasce fluviali - mantenimento delle condizioni di assetto del territorio e dei sistemi idrografici manutenzione programmata sugli alvei, sulle opere idrauliche, sui versanti e sulle relative opere di stabilizzazione; - servizio di polizia idraulica;

60 6.1.2 Misure strutturali di tipo estensivo:

- Rinaturazione e recupero naturalistico e funzionale delle aree fluviali golenali e inondabili in genere; - mantenimento delle aree di espansione naturale e intercettazione del trasporto solido sui corsi d'acqua montani; - opere di idraulica forestale sul reticolo idrografico minore; - riforestazione e miglioramento dell'uso agricolo del suolo a fini di difesa idrogeologica.

6.1.3 Misure strutturali di tipo intensivo riferite al reticolo idrografico e ai versanti, rappresentate da opere con funzione di controllo e contenimento dei fenomeni di dissesto; riferite all'adeguamento delle infrastrutture viarie di attraversamento o interferenti.

Il raggiungimento di determinati obiettivi, in questo caso di riequilibrio dell'assetto idraulico e idrogeologico, può avvenire adottando soluzioni diverse che, seppur condizionate da vincoli di varia natura (fisici, economici, politico-istituzionali), sono caratterizzate da gradi diversi di efficacia e di fattibilità. Per la definizione delle opzioni di intervento sono dunque considerati gli aspetti tecnici, economici e sociali nonché gli aspetti ambientali. Nell'individuazione delle opzioni di intervento si tiene conto delle rilevanze naturalistiche, paesaggistiche ed ambientali con il duplice scopo di proteggere e valorizzare gli ecosistemi più fragili e le emergenze storico-culturali esposte a dissesto e si devono scegliere interventi il più possibile compatibili con le peculiarità paesistico-ambientali del contesto territoriale nel quale essi si collocano. Pertanto l'intervento non è previsto per tutte le forme di dissesto presenti, in quanto molte di esse sono la manifestazione dei naturali processi geomorfici che regolano l'evoluzione del territorio, dei rilievi e dei corsi d'acqua. Si ritiene di intervenire dove questi dissesti comportano in modo diretto o indiretto un grave rischio per le popolazioni, gli insediamenti abitativi e quant'altro ad essi connesso, soprattutto se tra le cause del dissesto si è riscontrata una componente antropica. Nella definizione delle tipologie degli interventi si ritiene di optare, inoltre, per quelli a minor impatto

61 ambientale, privilegiando, nelle aree più sensibili, quelli propri dell'ingegneria naturalistica. Gli interventi strutturali e non strutturali che costituiscono il contenuto del Piano Stralcio perseguono le finalità indicate nelle già citate lettere a), b), c), d), e), g), l), m), n), p), q) dell'art 3 legge n°183/89 come si evince dalle linee di intervento per il riassetto idrogeologico soprariportate.

6.2 Interventi per la riduzione del rischio da colate

Al fine di individuare opere efficaci per il contenimento del fenomeno e la riduzione del rischio connesso, è assolutamente necessario procedere ad effettuare un bilancio di massa, anche approssimativo, dei volumi franati a valle, in modo da stabilire la loro provenienza. In particolare, andrà stabilito se questa è da individuarsi prevalentemente sui versanti montuosi interessati, lungo gli impluvi percorsi o in entrambi e, possibilmente, in che percentuale. Tale informazione è necessaria in quanto consente di discriminare fra tipologie di opere localizzate prevalentemente sui versanti, se e ove è possibile costruirle, nel primo caso, oppure opere da localizzare lungo gli alvei nel secondo. Le due precedenti tipologie di opere avranno, pertanto, due diversi meccanismi di azione: le prime tenderanno a impedire il distacco di materiali dai versanti o ridurne i volumi; le seconde mireranno ad impedire che i volumi già staccatisi dai versanti possano accrescersi, con un effetto di amplificazione, scendendo lungo gli impluvi recipienti caricandosi del materiale disponibile depositato al fondo degli impluvi stessi.

In definitiva, gli interventi proposti si possono suddividere in due categorie principali: 1. Interventi atti a impedire o ridurre il distacco di volumi di materiale; 2. Interventi atti al contenimento a valle delle masse mobilitate

Nella prima categoria possono essere individuati due sotto settori relativi agli: 1.1. Interventi per la stabilizzazione dei versanti (non trattato nella presente relazione); 1.2. Interventi per la stabilizzazione della linea principale di impluvio.

62 Per il secondo punto si individuano: 2.1. Aree di cattura delle colate; 2.2. Opere di deviazione dei flussi; 2.3. Aree di accumulo nelle zone pedemontane.

Le contromisure adottate per contenere gli effetti delle colate in movimento differiscono a seconda del tipo di evento temibile (colate di fango, 'mud-flow', o colate detritiche, 'stony debris-flow'), della frequenza e intensità degli eventi, dell'ubicazione della zona. Generalmente tali sistemi di contromisure sono costituiti da una o più strutture di intercettazione principale, poste in corrispondenza dei tratti terminali dei canaloni, atte a ridurre la portata di sedimenti delle colate, e da opere di convogliamento miranti a garantire un sicuro smaltimento delle portate residue e delle successive portate ordinarie e a prevenire fenomeni di erosione del fondo dei torrenti a valle delle opere di intercettazione. Tali canali di convogliamento sono generalmente scavati nel letto del torrente, realizzati a pendenza costante e protetti da arginature progettate con un franco di sicurezza ∆h, rispetto al massimo livello stimato h, che è valutato in funzione dell'intensità del massimo evento previsto ovvero in funzione della pendenza del torrente tenuto conto dell'eventuale sopraelevazione in curva. Se la capacità di ritenuta delle strutture di intercettazione principali è modesta, possono essere predisposte ulteriori opere di intercettazione di minori dimensioni nei tratti di monte e dispositivi atti a favorire la sedimentazione e l’accumulo del materiale in zone adeguatamente protette. Tali dispositivi possono provocare la sedimentazione lungo il corso dei torrenti e nelle zone di valle. Nel caso di opere lungo i torrenti la pendenza deve essere tale da favorire la sedimentazione soltanto nel caso di colate di detriti e non durante eventi di trasporto ordinario. Nel secondo di opere in aree pianeggianti si tratta di veri e propri bacini di accumulo, con pendenze atte a favorire la sedimentazione, nei quali vengono introdotte ulteriori strutture di sbarramento (pennelli trasversali) per favorire il rallentamento e la dispersione del materiale. Particolare attenzione va posta nella realizzazione del

63 canale di alimentazione al bacino di accumulo, il quale deve avere pendenza sufficiente ad evitare la sedimentazione della colata prima che essa possa raggiungere il bacino di sedimentazione. In ogni caso depositi devono essere immediatamente rimossi per evitare possibili successivi inneschi di colate. La vegetazione può altresì favorire l'arresto e sedimentazione delle colate, per quanto sia di difficile stima la valutazione della sua resistenza all'azione di impatto delle colate. In alcuni casi, quando è necessaria la protezione di alcune zone lungo il corso delle colate, vengono predisposte opportune arginature atte a controllare lo scorrimento delle colate, evitandone esondazioni laterali, e a modificarne la direzione di movimento: in generale è, preferibile contenere le eventuali variazioni di direzione entro un angolo di 45°. Nel caso di opere di intercettazione, la struttura generalmente adottata è la diga, di intercettazione parziale o totale (dighe semi-permeabili o impermeabili). Le sue funzioni sono quelle di: - diminuire il volume di sedimenti convogliato dalle colate, ritardandone il tempo di arrivo a valle rispetto al momento di innesco; - stabilizzare i depositi presenti nel letto dei torrenti, intercettare i massi di maggiori dimensioni e i tronchi d'albero che sono usualmente trascinati dal fronte delle colate; - ridurre l'intensità del picco di portata ed eventualmente favorire il passaggio da colata detritica a normale corrente con trasporto di sedimenti, anche mediante la dissipazione di parte dell’energia posseduta dalla corrente.

Il maggiore inconveniente delle dighe impermeabili risiede nel fatto che la capacità di accumulo di materiale a monte della struttura può risultare drasticamente ridotta a causa dei depositi di eventi ordinari, per cui tali strutture possono risultare inadeguate a intercettare successive colate detritiche se non sono soggette ad una periodica manutenzione. Per tale motivo vengono spesso utilizzate strutture semi-permeabili le cui aperture hanno dimensioni tali da consentire il passaggio del trasporto solido ordinario (almeno due volte il diametro medio caratteristico del materiale trasportato dalle piene ordinarie), ma non devono comunque eccedere una dimensione pari a 1,5-2 volte la dimensione dei massi presumibilmente convogliati dalle colate.

64 La scelta della struttura ottimale deriva quindi da un compromesso fra la necessità di intercettare le colate di detriti, o quantomeno il fronte che trasporta il materiale di maggiori dimensioni, e la necessità di evitare una completa occlusione delle aperture a seguito della deposizione di una colata. Usualmente le dighe di intercettazione totale sono installate in prossimità dello sbocco dei torrenti mentre le dighe semi-permeabili vengono localizzate nelle zone più a monte, eventualmente accompagnate da più piccole opere di intercettazione totale atte alla stabilizzazione dei depositi nei torrenti. Il dimensionamento delle dighe di intercettazione può essere effettuato sulla base dei criteri suggeriti dal Public Works Research Institute giapponese. Tipici valori di riferimento per la velocità delle colate nel tratto terminale dei torrenti variano da 5 a 10 m/s per gli 'stony debris flow' a 15 m/s per i 'mud flow'. Alcuni nuovi dispositivi atti a favorire l'arresto delle colate sono attualmente in fase di studio: si tratta per esempio di strutture a griglie drenanti posizionate lateralmente o sul fondo del torrente che facilitano l'arresto della colata facendo defluire l'acqua; l'azione di tali dispositivi è comunque rapidamente vanificata non appena il materiale del fronte della colata si deposita e ostruisce le aperture. In definitiva, è possibile anche dare una classificazione per opere, suddividendole in: 1. Opere per la riduzione della frequenza delle colate 2. Opere per l’intercettazione delle colate 3. Opere per l’incanalamento delle colate 4. Opere per la raccolta delle colate 5. Briglie di controllo

6.2.1 Opere per la riduzione del volume delle colate

Le contromisure adeguate a limitare o annullare il rischio di innesco di una colata non sono trattate nella presente relazione. Nella maggior parte dei casi, indipendentemente dal meccanismo di innesco, le colate si sviluppano in tempi brevissimi secondo un meccanismo di amplificazione della massa in movimento dovuto alle elevate pendenze e alla presenza di materiale saturo o comunque prossimo alla saturazione incontrato lungo i versanti o gli impluvi. Con riferimento alle opere di riduzione del volume delle colate risultano di notevole utilità le briglie i cui scopi principali sono

65 1. Stabilizzazione del fondo: risulta una misura efficace e duratura nei casi in cui la quantità di materiale disponibile per il trasporto durante altri eventi sia limitata. Nel caso, invece, in cui il volume di sedimenti disponibile sia elevato o praticamente illimitato rispetto al volume realizzabile per il deposito l’intervento risulta di efficacia decrescente nel tempo. 2. Trattenimento del materiale: nel caso di colate di fango le briglie di trattenuta mirano a ridurre il volume di materiale defluente verso valle, in modo da ridurre l’entità delle colate che potrebbero investire le fasce pedemontane I sistemi di prevenzione atti a ridurre il volume di una colata possono essere distinti in due categorie 1. interventi intesi a ridurre il volume di materiale depositato e potenzialmente mobilitabile, 2. contromisure atte a limitare o bloccare l'apporto idrico alle zone caratterizzate da tali depositi di sedimenti. Nel primo caso si possono considerare sia interventi atti a ridurre l'apporto di sedimenti dai versanti sovrastanti (per esempio attraverso interventi di rivegetazione di versanti denudati) sia lavori di stabilizzazione dei depositi nei torrenti, ovvero interventi atti a rimuovere i depositi potenzialmente mobilitabili (i quali tuttavia risultano assai rischiosi perché possono destabilizzare i versanti). Un altro intervento preventivo è rappresentato dalla riduzione o dalla completa eliminazione dell'apporto idrico alle zone di deposito di detriti. Questa può essere ottenuta attraverso la costruzione di una rete di canali a pelo libero sulle superfici dei versanti (sistema di manutenzione assai difficoltoso perché soggetto a consistenti depositi di materiale) oppure attraverso la realizzazione di sistemi di drenaggio sotterraneo (la cui efficienza va comunque accuratamente investigata) o la costruzione di vere e proprie opere di deviazione quando l'apporto idrico derivi da un bacino a monte chiaramente identificabile.

6.2.2 Opere per l’intercettazione delle colate

Gli interventi possibili per l’intercettazione delle colate all’interno degli impluvi entro cui è prevedibile il loro incanalamento, oppure allo sbocco degli stessi nelle conoidi di deiezione, possono consistere in briglie di tipo classico, sia impermeabili che permeabili, quali quelle a fessura o a schermo.

66 Tali interventi mirano a ridurre il volume che defluisce a valle ed a svolgere un’azione di laminazione dell’onda di piena della miscela composta di acqua e sedimenti; nel contempo possono dissipare parte dell’energia posseduta dalla corrente nel caso siano di altezza sufficiente o di tipo adatto (briglie permeabili). L’efficacia di tali opere è legata alla disponibilità del volume a monte della briglia nell’istante di arrivo della colata. Pertanto, esse richiedono una manutenzione periodica rivolta in particolare alla rimozione dei volumi di materiale che si accumulano in condizioni sia ordinarie che straordinarie. Il problema risulta ridotto nel caso di strutture permeabili, le quali richiedono interventi di manutenzione meno frequenti.

6.2.3 Opere per l’incanalamento delle colate

Ove siano disponibili delle zone sicure di deposito, le colate di fango possono essere guidate scavando canali di sezione adeguata a contenere il valore di picco dell’idrogramma della colata. In considerazione dell’elevata velocità che caratterizza tale tipo di fenomeni, i canali devono avere andamento rettilineo e, ove sia indispensabile deviare il flusso della corrente, il raggio di curvatura deve essere il più grande possibile. In tal caso sarà anche necessario tenere conto, nel dimensionamento della sezione del canale, del sovralzo della corrente sul lato esterno della curva. La pendenza dovrà essere tale da evitare fenomeni di deposizione della colata all’interno del canale prima che venga raggiunta la zona di deposito.

6.2.4 Opere per la raccolta delle colate

Nei casi in cui non siano disponibili aree di deposito naturali è necessario realizzare aree di deposito controllate. Tali aree sono normalmente situate all’uscita delle zone di impluvio e sono precedute da un canale e/o da opportune opere di imbocco. Il volume dovrà essere sufficiente ad accogliere il volume complessivo dell’idrogramma previsto delle colate in arrivo, il quale dovrà essere rimosso immediatamente dopo ogni evento. Pare opportuno richiamare l’attenzione sul fatto che molti esempi applicativi disponibili in letteratura sono stati sviluppati e applicati con riferimento a situazioni di debris flow, la cui l’efficacia ed applicabilità deve essere verificata nel caso di colate di fango.

67 6.2.5 Briglie di controllo

Le briglie di controllo devono essere poste nella zone più elevate dove si riscontrano anche le maggiori pendenze Per la determinazione della suscettibilità dei canaloni, è interessante notare che non sembra giustificata almeno a priori l’applicazione diretta del criterio basato su dati storici (dove si sono verificate colate queste si ripeteranno) indicato nella letteratura tecnica. In effetti, almeno fino ad una prossima ricarica di materiale di origine vulcanica, siamo in presenza di una condizione di trasporto solido “a rifornimento limitato”. Così può risultare più pericoloso un impluvio nel quale non si sono verificati eventi franosi, ma che è ricolmo di materiale, in rispetto ad un impluvio che risulta ormai svuotato. E’ ovvio che ove gli eventi franosi verificatisi non abbiano ridotto in maniera apprezzabile il volume potenzialmente mobilitabile

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