ISBN: 978-88-98389-44-5 TEATRO MASSIMO

Gaetano Donizetti |

Membro di LUCIA DI LAMMERMOOR

STAGIONE

seguici su: OPERE E BALLETTI teatromassimo.it

Piazza Verdi - 90138 euro 10,00 STAGIONE

OPERE E BALLETTI SOCI FONDATORI Fondazione Teatro Massimo

Francesco Giambrone Sovrintendente

CONSIGLIO DI INDIRIZZO Leoluca Orlando (sindaco di Palermo) Presidente Leonardo Di Franco Vicepresidente Daniele Ficola Francesco Giambrone Sovrintendente Enrico Maccarone Anna Sica

COLLEGIO DEI REVISORI Maurizio Graffeo Presidente Marco Piepoli Gianpiero Tulelli Data Turno Ora

Mercoledì 30 marzo Prime 20.30 Giovedì 31 marzo S1 18.30 Venerdì 1 aprile C 18.30 Sabato 2 aprile F 20.30 Domenica 3 aprile D 17.30 Martedì 5 aprile B 18.30 lucia di lammermoor

Dramma tragico in tre atti di Salvadore Cammarano Musica di Gaetano Donizetti

Prima rappresentazione: Napoli, , 26 settembre 1835

Edizione critica a cura di Gabriele Dotto e Roger Parker

Editore proprietario: Casa Ricordi, Milano

Allestimento del Teatro Massimo

INDICE

9 Argomento 13 Synopsis 17 Argument 21 Handlung

25 Cecilia Galbo | Introduzione all’

31 Libretto 32 Atto I 37 Atto II 45 Atto III

51 Antonino Titone | “Scene fatte per pazzi” nell’arte e nella vita di Gaetano Donizetti 73 Giovanni Gavazzeni | “Ô bel ange, ma Lucie” non “Bell’alma innamorata”: Lucie de Lammermoor di Donizetti secondo Berlioz 89 L’armonica a bicchieri 93 Gilbert Deflo | L’abbandono del corpo e dell’anima

97 Lucia di Lammermoor al Teatro Massimo

119 Bibliografia essenziale

123 Note biografiche

ARGOMENTO

ATTO I In un parco abbandonato nei pressi del castello di Lammermoor, i seguaci di Enrico Ashton, signore di Lammermoor, si preparano a partire alla ricerca di un uomo misterioso che è stato visto aggirarsi nei domini di Ashton (“Percorriamo le spiagge vicine”). Normanno, capitano delle guardie, rimane indietro per salutare Enrico, che lamenta l’ostinazione di Lucia nel rifiutarsi di sposare Arturo, l’unico che potrebbe rinsaldare la sua situazione politica, al momento compromessa. Quando il tutore della ragazza, Raimondo, suggerisce che il dolore per la morte della madre impedisca a Lucia di nutrire pensieri d’amore, Normanno rivela che Lucia invece è innamorata di un uomo che l’ha salvata dall’assalto di un toro infuriato. Normanno sospetta che l’uomo sia Edgardo, nemico giurato degli Ashton da generazioni. La rabbia di Enrico esplode (“Cruda, funesta smania”), ancora più violenta quando gli armigeri tornano a confermare l’ipotesi di Normanno. A una fonte che si trova presso la tomba della madre Lucia, timorosa dell’ira del fratello, ha appuntamento con Edgardo. Mentre aspetta, racconta alla sua confidente, Alisa, che proprio in quel punto le è apparso lo spettro di una donna, amante infelice di un Ravenswood che la uccise in un impeto di gelosia (“Regnava nel silenzio”). Alisa la implora di non ignorare l’avvenimento, ma Lucia si rifiuta di rinunciare all’amore, l’unica gioia della sua vita. Giunge Edgardo: una missione politica lo costringe a partire per la Francia, ma vorrebbe prima recarsi a confessare il suo amore a Enrico, in modo da sposare Lucia. La fanciulla è terrorizzata, LUCIA DI LAMMERMOOR

perché sa che Enrico non ha perdonato il nemico; Edgardo sfoga allora la sua collera contro chi gli ha ucciso il padre (“Sulla tomba che rinserra”). Calmato dalle preghiere di Lucia, scambia con lei l’anello e un giuramento nuziale, prima di dirle addio.

ATTO II In una sala del castello di Lammermoor, Enrico complotta con Normanno per costringere Lucia a sposare Arturo. Mentre Normanno si reca ad accogliere il novello sposo, entra Lucia, diffidente ma decisa a mantenere fede al suo amore. Enrico le mostra una finta lettera di Edgardo, che convince Lucia di essere stata abbandonata dal suo amante. Distrutta, Lucia invoca la morte, ma Enrico approfitta per imporle di salvarlo dalla rovina acconsentendo al matrimonio con Arturo (“Soffriva nel pianto”). Anche Raimondo insiste perché Lucia sposi Arturo, e usa il pensiero della madre morta per far crollare le ultime resistenze della giovane donna (“Cedi, cedi, o più sciagure”). Nella grande sala del castello, gli invitati esultano al pensiero dell’unione delle due famiglie (“Per te d’immenso giubilo”). Arturo è felice di contribuire a riportare in auge la famiglia della sua promessa sposa. Enrico lo avverte che, se la sposa gli sembrerà mesta, ciò è dovuto alla recente morte della madre. In effetti Lucia entra in scena quasi trascinata da Raimondo e Alisa, e firma il contratto di nozze sotto le costanti minacce di Enrico; è a questo punto che fa il suo inaspettato ingresso Edgardo, che ha appreso delle nozze e viene a reclamare la sua sposa (“Chi mi frena in tal momento”). L’intervento di Raimondo evita che sia sparso del sangue, ma vedendo la firma di Lucia sul contratto Edgardo la forza ad ammettere che ha sposato Arturo venendo meno al giuramento, poi le scaglia contro l’anello che aveva ricevuto e le strappa il proprio; scacciato via da Enrico e dai suoi cavalieri, fugge mentre Lucia sviene.

10 ARGOMENTO

ATTO III Le feste di nozze continuano (“D’immenso giubilo”), ma vengono interrotte bruscamente da Raimondo: Lucia è impazzita, e ha pugnalato a morte Arturo nella camera nuziale (“Dalle stanze ove Lucia”). Lucia entra in scena, con gli abiti macchiati di sangue, delirante: immagina di stare vivendo il matrimonio con Edgardo (“Il dolce suono”), poi tenta di placarne l’ira; infine, mentre Enrico è sconvolto dalla scoperta del delirio della sorella, Lucia invoca Dio di aver pietà di Edgardo, in modo da poter essere finalmente uniti dopo la morte. Tra le tombe dei suoi antenati, Edgardo attende l’arrivo di Enrico, che l’ha sfidato a duello, e lamenta il tradimento di Lucia (“Tombe degli avi miei”). Giungono gli ospiti reduci dalla festa al castello, e annunciano ad Edgardo che Lucia sta morendo, e che invoca il suo nome. Edgardo vuole fare irruzione nel castello per vederla, ma Raimondo e il suono delle campane annunciano che Lucia è morta. Risoluto a raggiungerla al più presto, Edgardo si pugnala e muore invocandola (“Tu che a Dio spiegasti l’ali”).

11

SYNOPSIS

In a between the Scottish families of Ravenswood and Lammermoor, Enrico (Lord Henry Ashton of Lammermoor) has gained the upper hand over Edgardo (Edgar of Ravenswood), killing his kinsmen and taking over his estates. By the time of the opera’s action, however, Enrico’s fortunes have begun to wane. In political disfavor, he stakes all on uniting his family with that of Arturo (Lord Arthur Bucklaw), whom he means to force his sister, Lucia (Lucy Ashton), to marry.

ACT I In a ruined park near Lammermoor Castle, Enrico’s retainers prepare to search for a mysterious trespasser (“Percorriamo le spiagge vicine”). Normanno, captain of the guard, remains behind to greet Enrico, who decries the refusal of Lucia to marry Arturo. When the girl’s tutor, Raimondo, suggests that grief for her dead mother keeps her from thoughts of love, Normanno reveals that Lucia has been keeping trysts with a hunter who saved her from a raging bull. He suspects the stranger is Edgardo, hereditary enemy of Lammermoor. Enrico rages, and as retainers confirm Normanno’s suspicions, he swears vengeance (“Cruda, funesta smania”). At a fountain near her mother’s tomb, Lucia, fearful of her brother, awaits a rendezvous with Edgardo. She tells her confidante, Alisa, of a maiden’s ghost that has warned of a tragic end to her secret love (“Regnava nel silenzio”). Though Alisa implores her to take care, Lucia cannot restrain her passion. Edgardo arrives to tell her he must go to France on a political mission but wishes to reconcile LUCIA DI LAMMERMOOR

himself with Enrico so that he and Lucia may marry. Lucia, knowing her brother will not relent, begs Edgardo to keep their love a secret (“Sulla tomba che rinserra”). Though infuriated at his enemy’s implacability, he agrees. The lovers exchange rings and share a rapturous farewell.

ACT II In an anteroom of his castle, Enrico plots with Normanno to force Lucia to marry Arturo. As the captain goes to greet the bridegroom, Lucia enters, distraught but defiant. Enrico shows her a forged letter, supposedly from Edgardo, proving him pledged to another. Crushed, she longs for death, but Enrico insists on her marrying at once to save the family fortunes (“Soffriva nel pianto”). Raimondo urges the disconsolate Lucia to consent to the wedding, invoking the memory of her mother and asking her to respect the family’s desperate situation (“Cedi, cedi, o più sciagure”). When she yields, he says there are heavenly rewards for earthly sacrifices. In the great hall, as guests hail the union of two important families, Arturo pledges to restore the Ashtons’ prestige (“Per te d’immenso giubilo”). Enrico prepares him for his bride’s melancholy by pleading her grief over her mother’s death. No sooner has Lucia entered and been forced to sign the marriage contract than Edgardo bursts in. Returning earlier than expected, he has learned of the wedding and come to claim his bride (“Chi mi frena in tal momento”). Bloodshed is averted only when Raimondo commands the rivals to put up their swords. Seeing Lucia’s signature on the contract, Edgardo tears his ring from her finger, curses her and storms from the hall. Lucia collapses.

ACT III The continuing wedding festivities (“D’immenso giubilo”) are halted when Raimondo enters to announce that Lucia, gone mad, has stabbed and killed Arturo in the bridal chamber upstairs (“Dalle stanze ove Lucia”). Disheveled, unaware of what she has done, she wanders in, recalling her meetings with Edgardo and imagining

14 SYNOPSIS

herself married to him (“Il dolce suono”). When the angry Enrico rushes in, he is silenced by the sight of her pitiful condition. Believing herself in heaven, Lucia falls dying. Among the tombs of his ancestors, Edgardo laments Lucia’s supposed betrayal as he awaits his duel with Enrico (“Tombe degli avi miei”). Guests leaving Lammermoor Castle tell Edgardo the dying Lucia has called his name. As he is about to rush to her side, Raimondo arrives to tell of her death, and her bier is carried by. Resolving to join Lucia in heaven, Edgardo stabs himself and dies (“Tu che a Dio spiegasti l’ali”).

15

ARGUMENT

ACTE I Dans le parc du château de Lammermoor, les hommes de Enrico Ashton, seigneur de Lammermoor, se préparent à la recherche d’un homme mystérieux qu’on a vu dans les alentours (“Percorriamo le spiagge vicine”). Normanno reste sur scène pour accueillir Enrico, qui lamente l’obstination de sa soeur, Lucia, qui refuse le mariage arrangé avec Lord Arturo, le seul qui pourrait le sauver de la ruine. Raimondo, le précepteur de Lucia, dit qu’elle est encore souffrante pour la mort de la mère. Normanno annonce que son refus est dû au fait qu’elle aime Edgardo de Ravenswood, l’ennemi juré d’Enrico. Ce dernier jure de mettre fin aux relations entre sa sœur et son amant (“Cruda, funesta smania”). Lucia attend l’arrivée d’Edgardo en compagnie de sa dame de compagnie Alisa près d’une fountaine. Lucia confie à Alisa qu’elle a récemment vu en ce même lieu le spectre d’une jeune femme assassinée par son amant, un Ravenswood (“Regnava nel silenzio”). Alisa lui conseille alors d’oublier Edgardo, mais Lucia se moque de cet avertissement. Arrive Edgardo qui annonce à Lucia qu’il est obligé de laisser l’Ecosse pour aller en France, mais qu’avant son départ il compte demander sa main à Enrico. Lucia est tourbée, elle craint une réaction violente de la part d’Enrico. Edgardo, furieux, lui remémore son serment de vengeance contre la famille de Lucia, responsable de la mort de son père (“Sulla tomba che rinserra”). Lucia parvient à le calmer et Edgardo part après avoir échangé un anneau et des serments de mariage avec sa fiancée. LUCIA DI LAMMERMOOR

ACTE II Dans une salle du château, Enrico et Normanno ont tout organisé pour le mariage entre Lucia et Arturo. Enrico fait lire à Lucia une fausse lettre de Edgardo qui persuade la jeune fille de l’infidélité de son amant. Lucia est en proie à la douleur, et Enrico profite de ce moment pour lui dire que seulement son consentement au mariage avec Arturo pourra lui éviter la mort (“Soffriva nel pianto”). Raimondo fait tomber les dernières résistances de Lucia, en invoquant la mémoire de sa mère pour la faire plier à la volonté du frère (“Cedi, cedi, o più sciagure”). Dans la grande salle du château, les invités exultent à l’idée de l’union des deux familles (“Per te d’immenso giubilo”). Arturo est plus qu’heureux du mariage: Enrico le prévient que la mariée est triste pour la mort récente de sa mère. Lucia arrive et signe le contrat, contrainte par Enrico: dès qu’elle pose la plume, Edgardo arrive, inattendu, furieux pour la nouvelle du mariage de Lucia, pour réclamer sa fiancée (“Chi mi frena in tal momento”). Raimondo arrête Edgardo et Enrico, qui étaient prêts à se tuer sur le champ. Edgardo rend à Lucia son anneau et maudit elle et sa famille.

ACTE III Pendant que le dames et les chevaliers fêtent le mariage (“D’immenso giubilo”), Raimondo bouleversé arrive soudain et annonce aux invités horrifiés que Lucia a poignardé Arturo et qu’elle est devenue folle (“Dalle stanze ove Lucia”). Lucia arrive, échévelée et ensanglantée. Elle croit d’être en train de se marier avec Edgardo, puis tente de justifier ses actions. Arrive Enrico, furieux en un premier moment, jusqu’à ce qu’il ne comprend que sa soeur est au bord de la mort. Lucia prie Dieu d’avoir pitié d’Edgardo, parce qu’elle sera heureuse seulement lorsqu’ils seront réunis dans la mort. Edgardo attend Enrico près des tombes de ses aïeuls, avec l’intention de se jeter sur l’épée de son ennemi à cause de la

18 ARGUMENT

trahison de Lucia (“Tombe degli avi miei”). Les invités du mariage lui disent que Lucia est mourante et qu’elle invoque son nom. Il veut la joindre, mais Raimondo et le son du glas lui annoncent la mort de son aimée. Edgardo se poignard, pour pouvoir rejoindre Lucia dans la mort.

19

Handlung

I. AKT Die schottischen Adelsfamillen Lammermoor und Ravenswood sind durch eine alte Feindschaft entzweit. Ravenswood ist fast völlig in den Besitz der Gegner übergegangen. Trotzdem hat sich Lucia, die Schwester des jetzigen Herrn von Lammermoor, Lord Enrico Ashton, in den letzten Erben von Ravenswood, Sir Edgardo, verliebt, als er sie vor einem wilden Stier gerettet hat. Obwohl Alisa sie warnt, dass eine solche Verbindung nur Unglück bringen könne, treffen sich die Liebenden fast täglich, sehr zum Verdruss Lord Ashtons, der durch Normanno und seine Jäger davon erfährt. Lord Ashton schwört, er werde das Paar auseinanderbringen (“Cruda, funesta smania”). Da die Familie Lammermoor seit kurzem durch politische Veränderungen in ihrer Existenz bedroht ist, will er seine Schwester mit dem am neuen Hof einflussreichen Lord Bucklaw verheiraten, um sich so seiner Sorgen zu entledigen. Ihm kommt dabei die Tatsache gelegen, dass eine politische Mission Edgardo nach Frankreich führt, die ihn lange von Zuhause fernhält. Lucia erwartet am Brunnen im Schlosspark ihren Geliebten und erzählt ihrer Zofe, dass ihr an dieser Stelle der Geist eines ermordeten Ravenswood erschienen sei (“Regnava nel silenzio”). Bevor Edgardo abreist, trifft er sich noch einmal mit Lucia und erzählt ihr von dem Schicksal seiner Familie. Trotzdem will er sich mit Lord Enrico aussöhnen und als Unterpfand des Friedens Lucias Hand erbitten. Lucia hält ihn davon ab, da sie von Enricos unauslöschlichem Hass weiss. Es gelingt ihr, den Rache schwörenden Geliebten zu beruhigen (“Sulla tomba che rinserra”). Beide geloben sich ewige LUCIA DI LAMMERMOOR

Treue und wechseln die Ringe. Edgardo eilt davon.

II. AKT Monate sind vergangen. Enrico hat Lucia unaufhörlich bedrängt, Bucklaw zu heiraten. An diesem Tag soll endlich die längst beschlossene Vermählung stattfinden. Um seine Schwester gefügig zu machen, hat Enrico durch Normanno alle an sie gerichteten Briefe Edgardos und ihre eigenen abfangen lassen, so dass Lucia annehmen soll, ihr Geliebter habe sie vergessen. Ashton zeigt Lucia, die ihn vergeblich an ihren abgelegten Schwur erinnert, gefälschte Briefe, die Edgardo angeblich an eine andere geschrieben hat (“Soffriva nel pianto”). Lucia bricht endgültig zusammen und willigt nach Rücksprache mit Raimondo ein, Bucklaw zu heiraten, zumal Ashton vorgibt, er verliere sonst sein Leben (“Cedi, cedi, o più sciagure”). Die Hochzeitsgesellschaft hat sich im Schloss Ravenswood versammelt (“Per te d’immenso giubilo”). Bucklaw, der Ashton völlige Rehabilitierung verspricht, trifft ein. Lucia erscheint im Brautgewand und unterschreibt totenbleich in grösster Verwirrung und fast willenlos den Ehevertrag. Unerwartet kehrt in diesem Augenblick Edgardo zurück und sieht entsetzt, dass seine Braut ihn verraten hat (“Chi mi frena in tal momento”). Er beschimpft zornig die völlig gebrochene Lucia und wirft ihr den Ring vor die Füsse. Als er sich mit gezücktem Degen auf Ashton und Bucklaw stürzen will, gebietet Raimondo Frieden. Edgardo verlässt, allen Ashtons Rache schwörend, von seinen Feinden mit dem Schwert bedrängt, den Saal.

III. AKT Das Hochzeitsfest ist noch nicht beendet, obwohl sich Lucia und Bucklaw schon zurückgezogen haben (“D’immenso giubilo”). Raimondo stürzt in den Saal und bringt der fröhlichen Gesellschaft die Nachricht, dass Lucia den Verstand verloren und ihren Gatten mit seinem Degen getötet hat (“Dalle stanze ove Lucia”). Vom Wahnsinn gezeichnet tritt sie im Nachtgewand unter ihre Gäste:

22 HANDLUNG

Sie glaubt, mit Edgardo Hochzeit zu feiern, und sucht nach ihm (“Il dolce suono”). Ohnmächtig bricht die Unglückliche zusammen und wird weggetragen, während Enrico vernichtet sieht, dass er Glück und Leben der Schwester zerstört hat. Edgardo, der am Familiengrab der Ravenswood auf Ashton zum Zweikampf wartet (“Tombe degli avi miei”), weiss noch nichts von den Ereignissen und glaubt, das Fest sei noch lange nicht beendet, weil er das Schloss hell erleuchtet sieht. Da erfährt er von heimkehrenden Hochzeitsgästen, dass Lucia wahnsinnig geworden ist und ihren Ehemann getötet hat. Bevor Edgardo ins Schloss eilen kann, um seine Geliebte noch einmal zu sehen, ertönt die Totenglocke, Lucia ist gestorben. Edgardo ruft verzweifelt nach seiner Geliebten, bittet sie um Verzeihung (“Tu che a Dio spiegasti l’ali”) und ersticht sich, um wenigstens im Tode mit ihr vereint zu sein.

23

INTRODUZIONE ALL’OPERA di Cecilia Galbo

Lucia di Lammermoor, gloria e vanto del teatro romantico italiano di epoca belcantista, fu l’opera che sancì il fruttuoso sodalizio artistico tra il compositore Gaetano Donizetti (Bergamo, 1797-1848) e il librettista Salvatore Cammarano (Napoli, 1801-1852). Sin dalla prima messa in scena, avvenuta al Teatro San Carlo di Napoli il 26 settembre 1835, si registrarono entusiastici consensi grazie anche al contributo vocale di portentosi interpreti: Fanny Tacchinardi- Persiani (Lucia, soprano), Gilbert Duprez (celebre tenore, passato alla storia come l’inventore del “do di petto”, qui nei panni di Edgardo) e Domenico Cosselli (Enrico, baritono). L’accoglienza difatti fu trionfale, come attestano le parole scritte da Donizetti all’amico editore Giovanni Ricordi: «Ogni pezzo fu ascoltato con religioso silenzio e da spontanei evviva festeggiato». Classificato come dramma tragico in due parti (parte prima “La partenza” – atto unico – e parte seconda “Il contratto nuziale” – divisa in due atti), Lucia, più di ogni altro capolavoro, conquistò il panorama operistico a passo di carica per merito di un linguaggio drammatico immediato, impreziosito da un colorito a tinte fosche. Il soggetto è tratto dal romanzo gotico di Walter Scott The Bride of Lammermoor (1819). “L’Ariosto scozzese” (così lo definisce Cammarano nella prefazione al libretto) collocò il suo romanzo nella Scozia del 1689, mentre Cammarano scelse di retrodatarlo alla fine del Cinquecento per conferirvi una più antiquata fascinazione paesaggistica ‘post-ossianica’, sintomatica di quel destino ineluttabile che aleggia sui personaggi, vittime del potere. Vi si racconta di Edgardo e Lucia che, malgrado l’antico odio tra le LUCIA DI LAMMERMOOR

rispettive famiglie (Ravenswood e Ashton), si sono innamorati e si incontrano di nascosto. Edgardo, costretto a partire, vorrebbe prima sposare Lucia, pur se il fratello di lei, Enrico Ashton, gli ha ucciso il padre e lo ha condotto alla rovina. Lucia gli giura eterna fedeltà però lo prega di tenere ancora segreto il loro amore. Nel secondo atto Enrico, disperato perché la fazione alla quale appartiene è stata sconfitta, convince Lucia che Edgardo l’ha abbandonata e che per salvare il fratello deve acconsentire al matrimonio con il potente Lord Arturo Bucklaw (tenore). Ma proprio mentre si svolge la cerimonia, Edgardo giunge ed “esterrefatto” strappa a Lucia l’anello del loro matrimonio segreto, per poi maledire lei e tutta la sua famiglia. Nell’ultimo atto si assiste ai festeggiamenti per le nozze di Lucia con Arturo: Raimondo (basso) porta la notizia che Lucia, impazzita, ha ucciso il marito. Entra in scena proprio Lucia, gli abiti da sposa macchiati di sangue, vaneggiante. Immagina di trovarsi all’altare con Edgardo, poi rivive il momento dell’accusa e tenta di giustificarsi di fronte alla sua ira. Nell’ultima scena, Edgardo, che è stato sfidato a duello da Enrico per vendicare l’offesa arrecata alla famiglia, attende tra le tombe degli antenati l’arrivo del nemico. Sconvolto dal dolore per il tradimento di Lucia, medita di lasciarsi uccidere. Provenendo dal castello, apprende dal coro e da Raimondo della pazzia di Lucia; poco dopo il suono dei rintocchi funebri annuncia la morte della sua amata. Sconvolto, Edgardo si uccide, rivolgendo a Lucia il suo ultimo pensiero. Il medesimo soggetto, prima di Donizetti, era stato musicato da vari compositori come Michele Carafa (Le nozze di Lammermoor, Parigi 1829), Luigi Riesk (La fidanzata di Lammermoor, Trieste 1831), Ivar Frederik Bredal (La sposa di Lammermoor, Copenhagen 1832), Alberto Mazzucato (La fidanzata di Lammermoor, Padova 1834). I cambiamenti che Cammarano apportò rispetto al testo di Scott furono comunque di varia natura e arricchirono l’opera di incisivi effetti teatrali. Innanzitutto egli optò per un’azione più dinamica e fluida che escluse, in linea con l’essenzialità donizettiana, situazioni e personaggi secondari ma conservò il fulcro drammatico del

26 INTRODUZIONE ALL’OPERA

romanzo. Quest’ultimo si condensa da una parte nell’opposizione di Enrico all’amore clandestino di Edgardo e Lucia, dall’altro nel conflitto tra i due personaggi maschili, rivali sin dalla culla. Scott, inoltre, accenna appena alla follia della protagonista che invece, in Donizetti diviene il momento centrale. La fama di Lucia di Lammermoor echeggiò anche in ambito letterario, tant’è che venne citata in Madame Bovary di Gustave Flaubert (1857) oltreché in Anna Karenina di Tolstoj. Sul fronte musicale Donizetti si mantenne fedele alle «convenzioni» formali dell’opera rossiniana, deputate all’organizzazione dell’architettura operistica in numeri lirici chiusi (arie, duetti, terzetti, finali, ecc.) che più tardi il critico musicale Abramo Basevi etichettò per primo come “solita forma”. Si trattava della successione di quattro momenti musicali alternativamente dinamici e statici: due in recitativo (il primo e il terzo, rispettivamente denominati “tempo d’attacco” e “tempo di mezzo”, per chiarire l’argomento e far procedere l’azione) e due cantabili (secondo e quarto momento, rispettivamente “cantabile” e “cabaletta”, destinati ad esprimere sentimenti e pensieri individuali). Tale articolazione formale viene adottata da Donizetti costantemente. Emerge chiaramente nella cavatina di Lucia che si apre con “Ancor non giunse!…” ossia il tempo d’attacco proteso in direzione del conseguente cantabile “Regnava nel silenzio” che apre l’aria vera e propria. Le parole di Alisa, “Chiari, oh ciel! ben chiari e tristi” introducono, invece, il tempo di mezzo, suscitando in Lucia un nuovo stato d’animo, ideale preludio alla sezione conclusiva, ossia la cabaletta “Quando rapito in estasi”. La rapidità con cui vide la luce un capolavoro dalle sì vaste proporzioni (cinque settimane circa) dimostra quanto Donizetti, in sintonia con lo spirito del suo tempo, fosse ben inserito nel ritmo intenso del circuito teatrale, tanto da meritarsi il soprannome Dozzinetti. A confermarlo v’è peraltro la corposità della sua produzione, che consta infatti di una settantina di opere nei più disparati sottogeneri musicali: opere ‘buffe’ comeL’elisir d’amore (1832) e (1843) e titoli del

27 LUCIA DI LAMMERMOOR

repertorio serio, come (1830), (1833) e appunto Lucia di Lammermoor (1835). Morì a Bergamo all’età di cinquantun anni in stato di demenza dopo aver trattato il disagio psichico in parecchie delle sue opere: iniziando dalla protagonista di Emilia di Liverpool (1824) e continuando con i deliri di Murena nell’Esule di Roma (1828), la stessa Lucia di Lammermoor (1835) per giungere infine a quelli diLinda di Chamounix (1842). D’altronde le scene di follia rappresentano un topos dell’opera italiana, fin dai suoi esordi nel Seicento. La scena più celebre dell’opera è appunto quella che descrive la follia della protagonista, costretta alle nozze con un uomo che non ama. Questa è resa ancor più spettrale dall’accompagnamento solistico dell’armonica a bicchieri (o del flauto), il cui timbro ipnotico agisce manipolando e distorcendo i motivi già ascoltati nel corso dell’opera al fine di creare una sensazione di psicotica inquietudine. Lo strumento richiama la melodia di “Regnava nel silenzio”, poi ripresa anche dalla voce (“Edgardo! Io ti son resa”). Ritorna anche il tema musicale di “Verranno a te sull’aure”: attraverso la ripresa di questi motivi la mente di Lucia viene descritta come popolata alternativamente da incubi e desideri alienanti. “Ardon gl’incensi” introduce nel di una dimensione onirica, cristallizzata in uno scambio di virtuosismi, scale, trilli e arpeggi tra soprano e flauto, o armonica a bicchieri , che tracciano il profilo psicologico della protagonista. La scena culmina in una cadenza virtuosistica per la quale Donizetti aveva scritto un semplice arpeggio ed il percorso armonico, sottintendendo che a quel punto la cantante potesse liberamente improvvisare, com’era nelle consuetudini del tempo. Secondo le ricerche condotte da Margherita Pugliese, infatti, la cadenza oggi in uso con l’accompagnamento del flauto fu ideata dalla docente di canto Mathilde Marchesi nel 1889 per la sua allieva Nelly Melba e, solo a partire dal XX secolo, celebri voci fra cui riconferirono valenza artistica a questo passo apocrifo. La catastrofe conclusiva non è la morte di Lucia – che non viene mostrata sulla scena – bensì il suicidio d’Edgardo (che nella versione

28 INTRODUZIONE ALL’OPERA

di Scott muore invece inghiottito dalle sabbie mobili). Il librettista, in perfetta simbiosi col compositore, fece di questa aria uno dei più commoventi finali di tutta la storia operistica, un tragico addio alla vita da parte di un uomo sfortunato. Nel cantabile “Fra poco a me ricovero” Edgardo esprime il suo tormento per il tradimento di Lucia, ma, quando apprende che ella è morta e l’ha amato fino alla fine, (cabaletta “Tu che a Dio spiegasti l’ali”) nell’idea della morte, quale occasione di ricongiungimento ultraterreno con la sua amata, ritrova la tanto agognata pace interiore (“Se divisi fummo in terra, / ne congiunga il nume in ciel”). Lucia di Lammermoor è oggi unanimemente considerata uno dei capolavori più significativi del panorama operistico a tal punto da ricorrere, quasi con cadenza annuale, nei cartelloni dei più prestigiosi templi della lirica del mondo.

29

LIBRETTO

LUCIA DI LAMMERMOOR

Dramma tragico in tre atti Libretto di Salvadore Cammarano

PERSONAGGI Lord Enrico Asthon (baritono) Miss Lucia, di lui sorella (soprano) Sir Edgardo di Ravenswood (tenore) Lord Arturo Bucklaw (tenore) Raimondo Bidibent, educatore e confidente di Lucia (basso) Alisa, damigella di Lucia (mezzosoprano) Normanno, capo degli Armigeri di Ravenswood (tenore) Dame e Cavalieri, Congiunti di Ashton, Abitanti di Lammermoor Paggi, Armigeri, Domestici di Ashton

L’avvenimento ha luogo in Iscozia, parte nel Castello di Ravenswood, parte nella rovinata Torre di Wolferag. L’epoca rimonta al declinare del secolo XVI[I]. LUCIA DI LAMMERMOOR

ATTO PRIMO (LA PARTENZA) volger lo sguardo? Rispettiamo un core, che trafitto dal duol, schivo è d’amore. SCENA I Atrio nel castello di Ravenswood. NORMANNO Normanno e Coro di abitanti del castello, Schivo d’amor? Lucia in arnese da caccia d’amore avvampa.

NORMANNO E CORO ENRICO Percorrete / Percorriamo le spiaggie vicine, Che favelli?… della torre le vaste rovine: cada il vel di si turpe mistero, RAIMONDO lo domanda, lo impone l’onor. (Oh detto!…) Splenderà l’esecrabile vero come lampo fra nubi d’orror. NORMANNO (il coro parte rapidamente) M’udite. Ella sen gìa colà, del parco SCENA II nel solingo vial, dove la madre Enrico, Raimondo e detto. giace sepolta… Impetuoso toro (Enrico si avanza fieramente accigliato: ecco su lei s’avventa, Raimondo lo segue mesto e silenzio. Breve quando per l’aria pausa) rimbombar si sente un colpo, e al suol repente NORMANNO (accostandosi cade la belva. rispettosamente ad Enrico) Tu sei turbato? ENRICO E chi vibrò quel colpo? ENRICO E n’ho ben donde. Il sai: NORMANNO de’ mio destini impallidì la stella… Tal… che il suo nome ricoprì d’un velo. Intanto Edgardo… quel mortal nemico di mia prosapia, dalle sue rovine ENRICO erge la fronte baldanzosa e ride! Lucia forse?… Sola una mano raffermar mi puote nel vacillante mio poter … Lucia NORMANNO osa respinger quella mano! Ah! suora L’amò. non m’ è colei! ENRICO RAIMONDO (in tuono di chi cerca cal- Dunque il rivide? mare l’altrui collera) Dolente NORMANNO vergin, che geme sull’ urna recente Ogn’alba. di cara madre, al talamo potria

32 LIBRETTO

ENRICO chi suora mia nascea! E dove? (con terribile impulso di sdegno) Pria che d’amor sì perfido NORMANNO a me svelarti rea, In quel viale. se ti colpisse un fulmine, fora men rio dolor! ENRICO Io fremo! NORMANNO Né tu scovristi il seduttor?… Pietoso al tuo decoro, io fui con te crudel! NORMANNO Sospetto io n’ho soltanto. RAIMONDO (La tua clemenza imploro; ENRICO tu lo smentisci, o ciel.) Ah! parla. SCENA III NORMANNO Coro di cacciatori, e detti È tuo nemico. CORO (accorrendo a Normanno) RAIMONDO Il tuo dubbio è omai certezza. (Oh ciel!…) NORMANNO (ad Enrico) NORMANNO Odi tu? Tu lo detesti. ENRICO ENRICO Narrate… Esser potrebbe… Edgardo? CORO RAIMONDO (Oh giorno!) (Ah…) Come vinti da stanchezza NORMANNO dopo lungo errare intorno, Lo dicesti. noi posammo della torre nel vestibolo cadente: ENRICO ecco tosto lo trascorre Cruda… funesta smania in silenzio un uom pallente. tu m’hai svegliata in petto!… Come appresso ei n’è venuto È troppo, è troppo orribile ravvisiam lo sconosciuto. questo fatal sospetto! Ei su rapido destriero Mi fe’ gelare e fremere!… s’involò dal nostro sguardo… Mi drizza in fronte il crin! Qual s’appella un falconiero Colma di tanto obbrobrio ne apprendeva, qual s’appella. 33 LUCIA DI LAMMERMOOR

ENRICO bell’edifizio, ornato di tutti i fregi della E quale? gotica architettura, al presente dai rottami di quest’edifizio sol cinta. Caduto n’è il tetto, CORO rovinate le mura, e la sorgente che zampilla Edgardo. di sotterra si apre il varco fra le pietre, e le macerie postele intorno, formando indi un ENRICO ruscello. È sull’imbrunire. Sorge la luna. Egli? Lucia viene dal castello, seguita da Alisa: Oh rabbia che m’accendi, sono entrambe nella massima agitazione. contenerti un cor non può! Ella si volge d’intorno, come in cerca di qualcuno; ma osservando la fontana, RAIMONDO ritorce altrove lo sguardo. Ah, non credere… deh, sospendi… ella… ah! M’odi… Lucia ed Alisa

ENRICO LUCIA Udir non vo’. Ancor non giunse…

La pietade in suo favore ALISA miti sensi invan ti detta… Incauta!… a che mi traggi!… se mi parli di vendetta Avventurarti, or che il fratel qui venne, solo intenderti potrò. è folle ardir. Sciagurati! il mio furore già su voi tremendo rugge… LUCIA l’empia fiamma che vi strugge Ben parli… Edgardo sappia Io col sangue spegnerò. qual ne circonda orribile periglio…

RAIMONDO ALISA (Ahi, qual nembo di terrore Perché d’intorno il ciglio questa casa circondò!) volgi atterrita?

NORMANNO E CORO LUCIA Quell’indegno al nuovo albore Quella fonte, ah! mai l’ira tua fuggir non può! senza tremar non veggo… Ah! tu lo sai. Un Ravenswood, ardendo (Enrico parte: tutti lo seguono.) di geloso furor, l’amata donna colà trafisse: e l’infelice cadde SCENA IV nell’onda, ed ivi rimanea sepolta… Parco. Nel fondo della scena un fianco del M’apparve l’ombra sua… castello, con picciola porta praticabile. Sul davanti la così detta fontana della ALISA Sirena, fontana altra volta coperta da un Che dici!… 34 LIBRETTO

LUCIA Egli s’avanza… La vicina soglia Ascolta. io cauta veglierò. (parte, ma di quando in quando si appare) Regnava nel silenzio alta la notte e bruna… SCENA V colpìa la fonte un pallido Edgardo, e detta raggio di tetra luna… quando un sommesso gemito EDGARDO fra l’aure udir si fè, Lucia, perdona ed ecco su quel margine se ad ora inusitata l’ombra mostrarsi a me, ah! io vederti chiedea: ragion possente Qual chi favella muoversi a ciò mi trasse. Pria che in ciel biancheggi il labbro suo vedea, l’alba novella, dalle patrie sponde e con la mano esanime lungi sarò. chiamarmi a sé parea. Stette un momento immobile, LUCIA poi ratta dileguò Che dici? e l’onda pria sì limpida, di sangue rosseggiò! EDGARDO Pei franchi lidi amici ALISA sciolgo le vele: ivi trattar m’è dato Chiari oh Dio! ben chiari e tristi le sorti della Scozia. nel tuo dir presagi intendo! Ah! Lucia, Lucia desisti LUCIA da un amor così tremendo! E me nel pianto abbandoni così? LUCIA Egli è luce a’ giorni miei, EDGARDO e conforto al mio penar. Pria di lasciarti Asthon mi vegga… io stenderò placato Quando rapito in estasi a lui la destra, e la tua destra, pegno del più cocente ardore, fra noi di pace, chiederò. col favellar del core mi giura eterna fè; LUCIA gli affanni miei dimentico, Che ascolto!… gioia diviene il pianto… Ah! no… rimanga nel silenzio sepolto parmi che a lui d’accanto Per or l’arcano affetto… si schiuda il ciel per me! EDGARDO (con amarezza) ALISA Intendo! Di mia stirpe Ah! giorni d’amaro pianto il reo persecutor de’ mali miei s’apprestano per te! ancor pago non è! Mi tolse il padre, 35 LUCIA DI LAMMERMOOR

il mio retaggio avito… d’ogni voto è un puro amor! Né basta? Che brama ancor quel cor feroce, e rio? EDGARDO (con subita risoluzione) La mia perdita intera, il sangue mio? Qui, di sposa eterna fede Egli m’odia… qui mi giura, al cielo innante. Dio ci ascolta, Dio ci vede… LUCIA Tempio, ed ara è un core amante; Ah! no… Al tuo fato unisco il mio. (ponendo un anello al dito di Lucia) EDGARDO (con più forza) Son tuo sposo. M’abborre… LUCIA (porgendo a sua volta il proprio LUCIA anello a Edgardo) Calma, oh ciel! quell’ira estrema. E tua son io.

EDGARDO LUCIA ED EDGARDO Fiamma ardente in sen mi scorre! Ah! Soltanto il nostro foco M’odi. spegnerà di morte il gel!

LUCIA LUCIA Edgardo!… A’ miei voti amore invoco, a’ miei voti invoco il ciel. EDGARDO M’odi, e trema. EDGARDO A’ miei voti invoco il ciel. Sulla tomba che rinserra Separarci omai conviene. il tradito genitore, al tuo sangue eterna guerra LUCIA io giurai nel mio furore: Oh parola a me funesta! ma ti vidi, e in cor mi nacque Il mio cor con te ne viene. altro affetto, e l’ira tacque… pur quel voto non è infranto… EDGARDO io potrei compirlo ancor! Il mio cor con te qui resta.

LUCIA LUCIA Deh! ti placa, deh! ti frena… Ah! talor del tuo pensiero può tradirne un solo accento! venga un foglio messaggero, Non ti basta la mia pena? e la vita fuggitiva vuoi ch’io mora di spavento? di speranze nudrirò. Ceda, ceda ogn’altro affetto; solo amor t’infiammi il petto… EDGARDO un più nobile, più santo Io di te memoria viva 36 LIBRETTO

sempre, o cara serberò. ENRICO Tremante l’aspetto. LUCIA ED EDGARDO A festeggiar le nozze illustri Verranno a te sull’aure già nel castello i nobili parenti i miei sospiri ardenti, giunser di mia famiglia; in breve Arturo udrai nel mar che mormora qui volge… l’eco de’ miei lamenti… (sorgendo agitatissimo) pensando ch’io di gemiti E s’ella pertinace osasse mi pasco, e di dolor. d’opporsi?… Spargi un’amara lagrima su questo pegno allor! NORMANNO Non temer: la lunga assenza EDGARDO del tuo nemico, i fogli Io parto… da noi rapiti, e la bugiarda nuova ch’egli s’accese d’altra fiamma, in core LUCIA di Lucia spegneranno il vile amore… Addio. ENRICO EDGARDO Ella s’avanza!… Il simulato foglio Rammentati! porgimi, ed esci sulla via che tragge Ne stringe il ciel!… (Normanno gli dà il foglio) alla città regina LUCIA di Scozia; e qui fra plausi, e liete grida Edgardo! conduci Arturo.

EDGARDO (Normanno parte) Addio! SCENA II (Edgardo parte; Lucia cade svenuta) Lucia e detto. (Lucia si arresta presso la soglia: la pallidezza del suo volto, il guardo smarrito, ATTO SECONDO e tutto in lei annunzia i patimenti ch’ella (IL CONTRATTO NUZIALE) sofferse, ed i primi sintomi d’un’alienazione mentale) SCENA I Gabinetto negli appartamenti di Lord ENRICO Asthon. Appressati, Lucia. Enrico è seduto presso un tavolino: (Lucia si avanza alcuni passi macchinal- Normanno sopraggiunge. mente, e sempre figgendo lo sguardo immo- bile negli occhi di Enrico) NORMANNO Sperai più lieta in questo dì vederti, Lucia fra poco a te verrà. in questo dì, che d’Imeneo le faci 37 LUCIA DI LAMMERMOOR

s’accendono per te…Mi guardi, e taci! LUCIA (legge: la sorpresa, ed il più vivo affanno LUCIA si dipingono nel suo volto, ed un tremito Il pallor funesto, orrendo l’investe dal capo alle piante) che ricopre il volto mio, Il core mi balzò! ti rimprovera tacendo il mio strazio… il mio dolore. ENRICO (accorrendo in di lei soccorso) Perdonare ti possa un dio Tu vacilli! l’inumano tuo rigor e il mio dolor. LUCIA Me infelice!… ENRICO ahi!… la folgore piombò! A ragion mi fe’ spietato quel che t’arse indegno affetto… Soffriva nel pianto… languia nel dolore… Ma si taccia del passato… la speme… la vita riposi in un cor… tuo fratello sono ancor. l’istante di morte è giunto per me, Spenta è l’ira nel mio petto, quel core infedele ad altra si diè! spegni tu l’insano amor. Nobil sposo… ENRICO Un folle t’accese, un perfido amore: LUCIA tradisti il tuo sangue per vil seduttore… Cessa… ah! cessa… Ma degna dal cielo ne avesti mercé: quel core infedele ad altra si diè! ENRICO Come? (si ascoltano echeggiare in lontananza festivi suoni, e clamorose grida) LUCIA Ad altr’uom giurai mia fé. LUCIA Che fia? ENRICO (iracondo) Nol potevi… ENRICO Suonar di giubilo LUCIA odi la riva? Enrico… LUCIA ENRICO (raffrenandosi) Ebbene? Basti… Questo foglio appien ti dice, ENRICO (porgendole il foglio, ch’ebbe da Giunge il tuo sposo. Normanno) qual crudel, qual empio amasti. LUCIA Leggi. Un brivido 38 LIBRETTO

mi corse per le vene! LUCIA Oh ciel!.. ENRICO A te s’appresta il talamo… ENRICO (ritornando a Lucia, e con accento rapido, ma energico) LUCIA Se tradirmi tu potrai, La tomba a me s’appresta! la mia sorte è già compita… tu m’involi onore, e vita; ENRICO tu la scure appresti a me… Ora fatale è questa! Ne’ tuoi sogni mi vedrai ombra irata e minacciosa!… LUCIA quella scure sanguinosa Ho sugli occhi un vel! starà sempre innanzi a te!

ENRICO LUCIA (volgendo al cielo gli occhi gonfi M’odi. di lagrime) Perì Guglielmo… ascendere Tu che vedi il pianto mio… vedremo al tron Maria… tu che leggi in questo core, Prostrata è nella polvere se respinto il mio dolore la parte ch’io seguia… come in terra in ciel non è. Tu mi togli, eterno Iddio, LUCIA questa vita disperata… Ah! io tremo!… io son tanto sventurata, che la morte è un ben per me! ENRICO Dal precipizio (Enrico parte affrettatamente. Lucia si ARTURO può sottrarmi, abbandona su d’una seggiola) sol egli… SCENA III LUCIA Raimondo, e detta Ed io… Lucia vedendo giungere Raimondo, gli va incontro ansiosissima ENRICO Salvarmi devi. LUCIA Ebben? LUCIA Ma!… RAIMONDO Di tua speranza ENRICO l’ultimo raggio tramontò! Credei Il devi. al tuo sospetto, che il fratel chiudesse (in atto di uscire) tutte le strade, onde sul Franco suolo, all’uomo che amar giurasti, 39 LUCIA DI LAMMERMOOR

non giungesser tue nuove: io stesso un foglio LUCIA da te vergato, per sicura mano Taci… taci… recar gli feci… invano! Tace mai sempre… Quel silenzio assai RAIMONDO d’infedeltà ti parla! No, no, cedi…

LUCIA LUCIA E me consigli? Ah! vincesti… Non son tanto snaturata. RAIMONDO Di piegarti al destino. RAIMONDO Oh! qual gioia… in me tu desti! LUCIA Oh, qual nube hai dissipata! E il giuramento? Al ben de’ tuoi qual vittima RAIMONDO offri, Lucia, te stessa; Tu pur vaneggi! I nuziali voti e tanto sacrifizio che il ministro di Dio non benedice scritto nel ciel sarà. né il ciel, né il mondo riconosce… LUCIA LUCIA Nel ciel sarà, sì. Ah! cede persuasa la mente… RAIMONDO ma sordo alla ragion resiste il core. Se la pietà degli uomini a te non fia concessa, RAIMONDO v’è un Dio, che tergere Vincerlo è forza. il pianto tuo saprà.

LUCIA LUCIA Oh sventurato amore! Oh Dio! Son fuor di me. Ingrato! Edgardo ingrato! RAIMONDO Guidami… vincesti!… Cedi, cedi, o più sciagure ti sovrastano, infelice… (partono) Per le tenere mie cure, per l’estinta genitrice SCENA IV il periglio d’un fratello Magnifica sala, pomposamente ornata pel deh, ti mova; e cangi il cor… ricevimento di Arturo. Nel fondo maestosa O la madre nell’avello gradinata, alla cui sommità è una porta. fremerà per te d’orror. Altre porte laterali. Enrico, Arturo, Normanno, cavalieri e dame congiunti di Asthon, paggi, armigeri, 40 LIBRETTO

abitanti di Lammermoor, e domestici, tutti ENRICO inoltrandosi dal fondo È vero quel folle ardia, ma…

NORMANNO, ENRICO, CORO ARTURO Per te d’immenso giubilo Ah! tutto s’avviva intorno, per te veggiam rinascere NORMANNO, CORO della speranza il giorno. S’avanza qui Lucia. Qui l’amistà ti guida, qui ti conduce amore, SCENA V qual astro in notte infida, Lucia, Alisa, Raimondo e detti qual riso nel dolor. ENRICO (presentando Arturo a Lucia) ARTURO Ecco il tuo sposo… Per poco fra le tenebre (Lucia fa un movimento come per sparì la vostra stella; retrocedere; sommessamente a Lucia) io la farò risorgere Incauta!… più fulgida, più bella. perder mi vuoi? La man mi porgi Enrico… ti stringi a questo cor. LUCIA A te ne vengo amico, (Gran Dio.) fratello e difensor. ARTURO Dov’è Lucia? Ti piaccia i voti accogliere del tenero amor mio… ENRICO Qui giungere ENRICO (accostandosi ad un tavolino su or la vedrem… cui è il contratto nuziale, e troncando le (in disparte ad Arturo) parole ad Arturo) Se in lei Omai si compia il rito… soverchia è la mestizia, T’appressa. maravigliar non dêi. Dal duolo oppressa e vinta ARTURO piange la madre estinta… Oh dolce invito!

ARTURO (avvicinandosi ad Enrico che sottoscrive il M’è noto. Or solvi un dubbio: contratto, egli vi appone quindi la sua firma. fama suonò, ch’Edgardo Intanto Raimondo, ed Alisa conducono la sovr’essa temerario tremebonda Lucia verso il tavolino) alzare osò lo sguardo… LUCIA (Io vado al sagrifizio…) 41 LUCIA DI LAMMERMOOR

RAIMONDO GLI ALTRI (Reggi, buon Dio, l’afflitta.) Edgardo! Oh terror!…

ENRICO (piano a Lucia, e scagliandole (Lo scompiglio è universale. Alisa, col furtive, e tremende occhiate) soccorso di alcune Dame, solleva Lucia, e Non esitar… Scrivi… l’adagia sur una seggiola)

LUCIA EDGARDO (Me misera…) (Chi mi frena in tal momento?… (piena di spavento, e quasi fuori di se chi troncò dell’ire il corso? medesima, sottoscrive) il suo duolo, il suo spavento (La mia condanna ho scritta!) son la prova d’un rimorso!… Ma, qual rosa inaridita, ENRICO ella sta fra morte e vita!… (Respiro!) Io son vinto… son commosso… t’amo, ingrata, t’amo ancor!) LUCIA (Io gelo e ardo!. ENRICO Io manco!…) (Chi raffrena il mio furore, e la man che al brando corse? (Si ascolta dalla porta in fondo lo strepito Della misera in favore di persona, che indarno trattenuta, si nel mio petto un grido sorse! avanza precipitosa) È mio sangue! l’ho tradita! Ella sta fra morte e vita!… ALISA, ARTURO, ENRICO, Ah! che spegnere non posso RAIMONDO, CORO I rimorsi del mio cor!) Qual fragor!… Chi giunge?… LUCIA (riavendosi, ad Alisa) SCENA VI Io sperai che a me la vita Edgardo, alcuni servi, e detti tronca avesse il mio spavento… ma la morte non m’aita… EDGARDO (sulla porta, con voce e vivo ancor per mio tormento! atteggiamento terribile. Egli è ravvolto in Da’ miei lumi cadde il velo… gran mantello da viaggio; un cappello con mi tradì la terra e il cielo!… l’ala tirata giù, rende più fosche le di lui vorrei piangere, e non posso… sembianze estenuate dal dolore) m’abbandona il pianto ancor! Edgardo. RAIMONDO LUCIA (Qual terribile momento!… Edgardo! Oh fulmine!… più formar non so parole!… (cade svenuta in braccio di Raimondo e densa nube di spavento Alisa la soccorre) par che copra i rai del sole! 42 LIBRETTO

Come rosa inaridita pur di ferro perirà.” ella sta fra morte e vita!… chi per lei non è commosso (tutti ripongono le spade. Un momento di ha di tigre in petto il cor.) silenzio)

ARTURO ENRICO (facendo qualche passo verso (Qual terribile momento!… Edgardo, e guardandolo biecamente di più formar non so parole!… traverso) denso velo di spavento!… Sconsigliato, in queste porte par che copra i rai del sole! chi ti guida? Come rosa inaridita ella sta fra morte e vita!… EDGARDO (altero) chi per lei non è commosso La mia sorte, ha di tigre in petto il cor.) il mio dritto…

ALISA E CORO ENRICO (Come rosa inaridita Sciagurato!… ella sta fra morte e vita!… chi per lei non è commosso EDGARDO ha di tigre in petto il cor.) Sì; Lucia la sua fede a me giurò. ENRICO, ARTURO (scagliandosi con le spade denudate contro Edgardo) RAIMONDO T’allontana, sciagurato… Ah quest’amor funesto oblia: o il tuo sangue fia versato… ella è d’altri…

CAVALIERI EDGARDO T’allontana, sciagurato… D’altri!… no.

EDGARDO (traendo anch’egli la spada) RAIMONDO (gli dà il contratto) Morirò, ma insiem col mio Mira… altro sangue scorrerà. EDGARDO (dopo averlo rapidamente RAIMONDO (mettendosi in mezzo alle letto, e figgendo gli occhi in Lucia) parti avversarie, ed in tuono autorevole) Tremi!… ti confondi! Rispettate in me di Dio (a Lucia, mostrando la di lei firma) la tremenda maestà. Son tue cifre? In suo nome vel comando, A me rispondi: deponete l’ira e il brando. (con più forza) Pace, pace… egli aborrisce son tue cifre? l’omicida, e scritto sta: “Chi di ferro altrui ferisce, 43 LUCIA DI LAMMERMOOR

LUCIA (singhiozzando) solo un punto i suoi colpi sospende… Sì… ma fra poco più atroce, più fiero sul suo capo abborrito cadrà… EDGARDO (soffocando la sua collera) Sì, la macchia d’oltraggio sì nero Riprendi col tuo sangue lavata sarà. il tuo pegno, infido cor. (le rende il di lei anello) Il mio dammi. LUCIA (cadendo in ginocchio) Dio lo salva, in sì fiero momento LUCIA d’una misera ascolta il lamento… Almen… È la prece d’immenso dolore che più in terra speranza non ha… EDGARDO (glielo strappa dal collo) è l’estrema domanda del core, Lo rendi. che sul labbro spirando mi sta! LUCIA Edgardo! Edgardo! EDGARDO (gettando la spada, ed (Lo smarrimento di Lucia lascia divedere, offrendo il petto a’ suoi nemici) che la mente turbata della infelice intende Trucidatemi, e pronubo al rito appena ciò che fa) sia lo scempio d’un core tradito… Del mio sangue coperta la soglia EDGARDO (sciogliendo il freno del represso sdegno getta l’anello, e lo dolce vista per l’empia sarà!… calpesta) Calpestando l’esangue mia spoglia Hai tradito il cielo, e amor. all’altare più lieta se ne andrà!

Maledetto sia l’istante ALISA, RAIMONDO E DAME che di te mi rese amante… Infelice, t’invola… t’affretta… stirpe iniqua, abbominata I tuoi giorni… il suo stato rispetta. io dovea da te fuggir, abbominata, maledetta, Vivi, e forse il tuo duolo fia spento: io dovea da te fuggir! tutto è lieve all’eterna pietà. Ah! ma di Dio la mano irata Quante volte ad un solo tormento, vi disperda… mille gioie succeder non fa!

ENRICO, RAIMONDO, CORO (Raimondo sostiene Lucia, in cui l’ambascia Insano ardir! è giunta all’estremo: Alisa, e le Dame son loro d’intorno. Gli altri incalzano Edgardo ARTURO, NORMANNO, ENRICO, CAVALIERI fin presso la soglia. Intanto si abbassa la Esci, fuggi il furor che m’accende/ tela) n’accende 44 LIBRETTO

ATTO TERZO CORO Tu ne agghiacci di terror! […] RAIMONDO (accenna con mano che SCENA III tutti lo circondino, e dopo avere alquanto Galleria del castello di Ravenswood, rinfrancato il respiro) vagamente illuminata per festeggiarvi le Dalle stanze ove Lucia nozze di Lucia. tratta avea col suo consorte, Dalle sale contigue si ascolta la musica un lamento… un grido uscia, di liete danze. Il fondo della scena è come d’uom vicino a morte! ingombro di paggi ed abitanti del castello Corsi ratto in quelle mura… di Lammermoor. Sopraggiungono molti ahi! terribile sciagura! gruppi di Dame e Cavalieri sfavillanti di Steso Arturo al suol giaceva gioia, che si uniscono in crocchio. muto, freddo… insanguinato, e Lucia l’acciar stringeva, CORO che fu già del trucidato!… D’immenso giubilo (tutti inorridiscono) s’innalzi un grido: Ella in me le luci affisse… corra la Scozia “Il mio sposo ov’è?” mi disse: di lido in lido; e nel volto suo pallente e avverta i perfidi un sorriso balenò! nostri nemici, Infelice! della mente che a noi sorridono la virtude a lei mancò! le stelle ancor, che più terribili, CORO che più felici Oh! qual funesto avvenimento!… ne rende l’aura tutti ne ingombra cupo spavento! d’alto favor. Notte, ricopri la ria sventura col tenebroso tuo denso vel. SCENA IV Raimondo, Normanno e detti RAIMONDO E CORO Ah! quella destra di sangue impura RAIMONDO (trafelato, ed avanzandosi a L’ira non chiami su noi del ciel. passi vacillanti) Cessi… ah cessi quel contento… RAIMONDO Eccola! CORO Sei cosparso di pallor!… SCENA V Lucia, Alisa e detti. Ciel! Che rechi? Lucia è in succinta e bianca veste: ha le chiome scarmigliate, ed il suo volto, RAIMONDO coperto da uno squallore di morte, la rende Un fiero evento! 45 LUCIA DI LAMMERMOOR

simile ad uno spettro, anziché ad una di lei, signore, di lei pietà. creatura vivente. Il di lei sguardo impietrito, i moti convulsi, e fino un sorriso RAIMONDO malaugurato manifestano non solo una S’avanza Enrico!… spaventevole demenza, ma ben anco i segni di una vita, che già volge al suo termine. SCENA VI Enrico e detti CORO (Oh giusto cielo! ENRICO (accorrendo) Par dalla tomba uscita!) Ditemi: vera è l’atroce scena? LUCIA Il dolce suono RAIMONDO mi colpì di sua voce!… Ah! quella voce Vera, purtroppo! M’è qui nel cor discesa!… Edgardo! Io ti son resa: ENRICO (scagliandosi contro Lucia) fuggita io son da’ tuoi nemici… Un gelo Ah! perfida!… mi serpeggia nel sen!… trema ogni fibra!… ne avrai condegna pena… vacilla il piè!… Presso la fonte, meco t’assidi alquanto… Ohimè! sorge il CORO tremendo T’arresta… fantasma e ne separa!… Qui ricovriamo, Edgardo, a piè dell’ara… RAIMONDO Sparsa è di rose!… Un’armonia celeste, Oh ciel!… Non vedi di’, non ascolti? Ah, l’inno lo stato suo? suona di nozze!… Il rito per noi s’appresta!… Oh me felice! LUCIA (sempre delirando) Oh gioia che si sente, e non si dice! Che chiedi?… Ardon gl’incensi!… Splendon le sacre faci intorno!… ENRICO (fissando Lucia, che nell’impeto Ecco il ministro! di collera non aveva prima bene osservata) Porgimi la destra…. Oh qual pallor… Oh lieto giorno! Alfin son tua, alfin sei mio! RAIMONDO A me ti dona un Dio… Ha la ragion smarrita. Ogni piacer più grato mi fia con te diviso… ENRICO Del ciel clemente un riso Gran Dio!… la vita a noi sarà! LUCIA RAIMONDO, NORMANNO E CORO Ah, me misera! Abbi in sì crudo stato, 46 LIBRETTO

RAIMONDO RAIMONDO, CORO Tremare, o barbaro, Più raffrenare il pianto tu dei per la sua vita. possibile non è!

LUCIA (cade svenuta fra le braccia delle dame che Non mi guardar sì fiero… via la portano) segnai quel foglio è vero… Nell’ira sua terribile […] calpesta, oh Dio! l’anello!… mi maledice!… Ahi! vittima SCENA VII fui d’un crudel fratello, Parte esterna del Castello, con porta ma ognor t’amai, lo giuro. praticabile: un appartamento dello stesso è ancora illuminato internamente. In più ENRICO, RAIMONDO distanza una cappella: la via che vi conduce Di lei signor, pietà. è sparsa delle tombe dei Ravenswood. Albeggia. LUCIA Edgardo. Chi mi nomasti? Arturo… Ah! non fuggir… Ah, per pietà, perdon! EDGARDO Tombe degli avi miei, l’ultimo avanzo GLI ALTRI d’una stirpe infelice Infelice! Ah, pietà, signor! deh! raccogliete voi. Cessò dell’ira Qual notte di terror! il breve foco… sul nemico acciaro abbandonar mi vo’. Per me la vita ENRICO è orrendo peso… l’universo intero Lucia! Gran Dio! è un deserto per me senza Lucia… Di faci tuttavia LUCIA (in ginocchio) splende il castello! Ah! scarsa Ah! no, non fuggir, Edgardo! fu la notte al tripudio!… Ingrata donna! (Enrico e Raimondo la sollevano) mentr’io mi struggo in disperato pianto, Spargi d’amaro pianto tu ridi, esulti accanto il mio terrestre velo, al felice consorte! mentre lassù nel cielo Tu delle gioie in seno, io… della morte! io pregherò per te… Al giunger tuo soltanto Fra poco a me ricovero fia bello il ciel per me! darà negletto avello… una pietosa lagrima ENRICO non scenderà su quello!… Giorni d’amaro pianto Ah! fin degli estinti, ahi misero! serba il rimorso a me! manca il conforto a me! Tu pur, tu pur dimentica quel marmo dispregiato, 47 LUCIA DI LAMMERMOOR

mai non passarvi, o barbara, CORO del tuo consorte a lato… Rimbomba già la squilla in suon di morte! rispetta almeno le ceneri di chi morìa per te. EDGARDO Ah!… quel suono in cor mi piomba! SCENA VIII (incamminandosi) Abitanti di Lammermoor, dal castello, e È decisa la mia sorte!… detto rivederla ancor vogl’io… rivederla… e poscia… CORO Oh meschina… Oh fato orrendo! CORO (trattenendolo) più sperar non giova omai!… Oh Dio… Qual trasporto sconsigliato!… Questo dì che sta sorgendo Ah desisti, ah! riedi in te… Tramontar più non vedrai! (Edgardo si libera a viva forza, fa alcuni EDGARDO rapidi passi per entrare nel castello, ed è Giusto cielo… rispondete: già sulla soglia quando n’esce Raimondo) di chi mai, di chi piangete? SCENA ULTIMA CORO Raimondo e detti Di Lucia… RAIMONDO EDGARDO (esterrefatto) Dove corri, sventurato? Lucia diceste! Ella in terra più non è.

CORO EDGARDO Sì; la misera sen muore. Lucia… Fûr le nozze a lei funeste… di ragion la trasse amore… RAIMONDO s’avvicina all’ore estreme, Sventurato! e te chiede… per te geme… EDGARDO EDGARDO In terra più non è… Ah! Lucia… Lucia!… ella dunque…

CORO, EDGARDO RAIMONDO Questo dì che sta sorgendo È in Cielo. tramontar più non vedrà! EDGARDO (si ode lo squillo lungo, e monotono della Lucia… più non è? campana de’ moribondi) (si caccia disperatamente le mani fra’ capelli, restando immobile in tale 48 LIBRETTO

atteggiamento, colpito da quell’immenso EDGARDO dolore che non ha favella) No, no, no! (si ferisce rapidamente con lo stile e cade) CORO Sventurato! Sventurato! RAIMONDO, CORO Ah! EDGARDO (scuotendosi) Tu che a Dio spiegasti l’ali, RAIMONDO o bell’alma innamorata, Che facesti!… ti rivolgi a me placata, teco ascenda il tuo fedel. EDGARDO Ah! se l’ira dei mortali A te vengo… o bell’alma, fece a noi sì cruda guerra, ti rivolgi, ah… al tuo fedel. se divisi fummo in terra, ne congiunga il Nume in ciel! RAIMONDO (trae la spada per uccidersi e viene Sciagurato! Pensa al ciel! disarmato) Io ti seguo… CORO Quale orror! RAIMONDO Ahi tremendo!… ahi, crudo fato!… Forsennato!… RAIMONDO E CORO CORO Dio, perdona un tanto error. Ah! che fai!… (prostrandosi, ed alzando le mani al cielo: tutti lo imitano) EDGARDO Morir voglio, morir voglio! (Edgardo spira)

RAIMONDO, CORO Ritorna in te, ritorna in te… FINE DELL’OPERA

49

“Scene fatte per pazzi” nell’arte e nella vita di Gaetano Donizetti di Antonino Titone

Se credi vedrai Linda colla Tadolini, vedrai veramente una pazza di nuovo genere, che mi è stata così obbediente a piangere, a ridere, a restar stupita quando le occorreva, che io stesso dico, che codesta scena è al di sopra (così eseguita) di tutte le scene fatte da me per pazzi.1

Così scriveva Gaetano Donizetti a Giovanni Ricordi, fondatore della celebre casa editrice, il 24 maggio 1842, dopo la prima viennese della . Con quest’opera si avviava a conclusione la seconda e più grande stagione donizettiana: trentasette opere in tredici anni, dal 1830 al 1843. Un incendio che avrebbe bruciato il melodramma rossiniano e la mente del compositore. Parlare di opera italiana prima di Donizetti voleva dire parlare soltanto di Rossini. Questi aveva così potentemente impregnato del suo genio il linguaggio musicale che allungando lo sguardo non si intravedeva nient’altro al di fuori delle forme e formule da lui inventate o portate a sovrana perfezione, e questo nonostante la presenza sulle scene di innumerevoli compositori, da Mercadante in giu. Né ci si lasci distrarre in questa visione dal cigno catanese. Troppo breve la sua esistenza e troppo rarefatti i suoi canti perché le cose potessero cambiare, seppur non tralasciamo alcune rabbrividenti sue premonizioni, per esempio (Milano, Teatro alla Scala, 27 ottobre 1827). Ma le cose cambiarono appunto con Donizetti, che si spinse tanto avanti da inventare il glossario di Verdi, e non solo LUCIA DI LAMMERMOOR

del primo. Anna Bolena era già profezia del Don Carlo, cioè dell’ultimo. Ma Anna Bolena è del 1830 e Don Carlo, nella sua ultima versione, dell’84: Donizetti era arrivato alla visione del dramma musicale (non occorre scomodare sempre Wagner per parlare di dramma musicale) mezzo secolo prima.2 Ed è singolare come questo incendio sia percorso da «scene fatte per pazzi», a cominciare da quella che chiude Anna Bolena, la grande fiaccola. L’incendio aveva avuto inizio infatti sul palcoscenico del Teatro Carcano, a Milano, il 26 dicembre 1830, con la storia della sventurata sposa di Enrico VIII. Anna smarriva la ragione, anche se infine i colpi di cannone annuncianti le imminenti nozze di Enrico VIII con Giovanna Seymour la riportavano alla realtà. Tre anni dopo toccava a Cardenio nell’opera semiseria Il furioso nell’isola di San Domingo (Roma, Teatro Valle, 2 gennaio 1833) e a nell’opera omonima (Roma, Teatro Valle, 9 settembre 1833). La follia di Lucia sarebbe stata dipinta nel 1835 a Napoli, al Teatro San Carlo, il 26 settembre. In (Roma, Teatro Apollo, 11 febbraio 1841) la protagonista delira e riacquista il dominio di sé solo con il sopraggiungere di Oliviero. Don Ruiz, in (Milano, Teatro alla Scala, 26 dicembre 1841) impazzisce per il disonore recatogli dalla figlia. Nella semiseria Linda di Chamounix (Vienna, Kärtnerthortheater, 19 maggio 1842), infine, la protagonista perde il senno ma lo ritrova quando il Visconte ottiene il consenso di sposarla. Attraverso la rappresentazione di passioni estreme, deliranti, febbrili, Donizetti elabora una scrittura musicale traboccante di incisi convulsi, cellule ritmiche esagitate, subitanei passaggi dal terrore al dolce rammemorare la perduta felicità, dalla incantevole malinconia al pianto sconsolato. Rossini metteva sempre distanza tra sé e il dramma: quando si faceva cocente egli lo raffreddava distaccando i personaggi dall’azione, fermandoli nella compostezza di un concertato di voci sospese nel tempo. Donizetti al contrario si tiene sempre vicinissimo al

52 “SCENE FATTE PER PAZZI”

fuoco della passione; questa anzi deve crepitare, a costo di apparire scomposta e, se non intervenisse l’altissima qualità della sua invenzione musicale, a tratti anche risibile. Come non dovrebbe essere risibile il doppio avvelenamento di Gennaro in Lucrezia Borgia, con paralleli rifornimenti di contravveleni? Ma non c’è spazio per cogliere il ridicolo della vicenda quando la musica ha scatti furibondi (“Infelice! Il veleno bevesti”) o sconsolate premonizioni di morte (“Tu pur qui? Non sei fuggito?”). In questa temperie emotiva non è necessario che i personaggi siano dementi perché la musica si surriscaldi. Quando, sempre in Lucrezia, Gennaro si rivolge alla bella ignota perché non si allontani, la melodia che in orchestra sostiene il suo canto è come percorsa da tremori nelle semicrome che salgono e scendono senza posa (“Ch’io vi contempli ancora! Leggiadra, amabil siete”). E la tessitura sale dal sol sopra il rigo al fa con tre tagli in gola, si fa rovente, quindi si arresta in fortissimo su accordi strappati (“Gennaro! e fia possibile”).3 Un periodare così febbrile non poteva che ritrarre mirabilmente grandi caratteri resi dementi dal malevolo accanirsi del destino. Anna Bolena era stata, come si diceva, il primo di questi. La Scena XI del secondo atto ce la presenta attraverso un coro di compianto tra i più belli della letteratura operistica. Sospinto da una melodia di struggente potenza il canto delle ancelle si leva a descriverci lo stato lacrimevole di Anna, complici i versi di Felice Romani. A noi venendo dalla sua prigione ella si mostra «in abito negletto, col capo scoperto ed assorta in profondi pensieri». La follia di Anna è palese nelle terzine di semicrome discendenti in orchestra, così come negli improvvisi arabeschi del canto, quando ella descrive l’altare infiorato. È felice Anna nel suo delirio (“Datemi tosto il mio candido ammanto”). Un fugace inciso di semiminime puntate e crome adesso si presenta in orchestra per subito svanire, perché la donna improvvisamente

53 LUCIA DI LAMMERMOOR

ha paura (“Che Percy non lo sappia; il Re l’impose”). Nasce quindi “dolce e cantabile” una esausta melodia sorretta da un vacillare di crome in fa minore, anche se la tonalità armata in chiave è il fa maggiore. Il coro commenta “Oh memoria funesta!”, e la melodia è in effetti a un tempo memoria dell’amore di Percy e riflessione sulla funesta presente condizione. È infatti derivata da due precedenti immagini, l’una quando Percy aveva detto ad Anna “Fin dall’età più tenera tu fosti mia, lo sai”, l’altra quando il coro aveva iniziato il suo compianto alla vista di Anna preda della pazzia. La melodia si espande per cinque misure e a un tratto si arresta. “Oh!… chi si duole?” chiede Anna, e la melodia riprende a fiorire, anzi si arriccia in terzine di crome, in un gruppetto di due biscrome, ma si arresta di nuovo perché Anna ha di nuovo paura. Ha paura del Re, ch’egli la scopra con Percy e la sgridi. Un Allegro in orchestra che alterna forte a piano e subito crescendo poco a poco ritorna al forte, propone un brevissimo tema (una battuta) che è anch’esso una citazione, perché era stato esposto quando era esplosa l’ira di Enrico contro la sua “colpevol moglie”. Sale impetuoso dalle regioni gravi alle acute in crescendo, e si ripete ben dodici volte, rivelandosi come una delle invenzioni più felici della partitura e dell’intera letteratura operistica, sino a esplodere in fortissimo al grido di Anna, “Ah! mi perdona… infelice son io”, che suscita un breve disegno ansimante di crome rotte da pause. Ancora un nuovo brevissimo motivo in orchestra: quattro semicrome che cadono su una croma, ripetendosi più volte. Anna crede di vedere Percy, la voce precipita dal sol acuto al do sotto il rigo; infine si leva “cantabile, stentando” la melodia purissima del sospirato ritorno alla felicità perduta: “Al dolce guidami castel natio”. Una decina di idee in poche pagine, l’una non fa a tempo a insediarsi che subito viene sostituita da quella nuova. Tale è l’animo di Anna Bolena: instabile, preda di contrastanti sentimenti, sconvolto dal vacillare della mente. Quando tornerà in sé, la regina rinnegata proromperà

54

LUCIA DI LAMMERMOOR

nell’invettiva finale: “Coppia iniqua, l’estrema vendetta”.4 Il monologo di Anna demente è sorprendente oltre che per la sua intrinseca bellezza per la modernità di scrittura che in maniera più o meno audace percorre tutta l’opera. Il tenebroso Enrico VIII è sotto questo riguardo uno dei personaggi più rimarchevoli della nuova opera italiana. Il suo Duetto con Givoanna, “Tremate voi? Sì… tremo”, scardina gli schemi abituali e diventa un dialogo tripartito preceduto da un declamato introduttivo, molto fratto all’interno delle singole sezioni che si avvalgono di una pluralità di idee. Per ritrovare pari affrancamento da convenzioni bisognerà attender, come abbiamo scritto (v. nota 2), il dialogo tra Filippo II e l’Inquisitore nel Don Carlo. Abbiamo anche ricordato come Enrico VIII non canti neppure un’aria in tutta l’opera e come la sua linea vocale altro non sia che la «parola scenica» che Verdi cercò sin dal e compiutamente trovò solo nell’ultima fase della sua produzione. Anche se Rossini era stato talvolta profeta di modernità (il terzo atto di , la Scena e Aria di Leicester chiuso nella segreta in Elisabetta), toccò dunque a Donizetti spingersi decisamente avanti, verso frontiere che potremmo definire beethoveniane, anche per la sua predilezione per idee molto contratte. Non è un caso che in il grande arioso “Ma fugace lampo” sfrutti una non sappiamo se inconsapevole citazione della Terza Sinfonia (“Marcia Funebre”). Pari modernità di scrittura troviamo sovente in Lucrezia Borgia. Ricordiamo la Scena e Duetto “Che chiedete” e il seguente Terzetto (Don Alfonso, Lucrezia, Gennaro) nel primo atto. Geniale è l’unità che serra le due pagine entro una sola architettura attraverso l’adozione di un solo tema (quello detto dall’orchestra in apertura del duetto) che a mezzo di sapienti varianti e riesposizioni “a specchio” diventerà di seguito il tema dell’entrata in scena di Lucrezia, quindi dello studiato dialogo tra Alfonso e Gennaro, infine del terzetto vero e proprio.5 E però altre parti della stessa opera sono più melodramma che dramma musicale. Si ha pertanto

56 “SCENE FATTE PER PAZZI”

la sensazione che questa modernità abbia spaventato il compositore e che egli abbia ritenuto opportuno abbandonare le libertà sintattiche in favore di più rassicuranti formule.

Lucia di Lammermoor è appunto all’apice di questo ritorno all’ordine. Il dramma musicale è stato messo da canto. La popolarità di quest’opera che ha superato agilmente le insidie del tempo nasce proprio dal ridimensionamento della modernità. Incantano in Lucia la vaghezza e il soffuso languore delle melodie, ma sono proprio vaghezza e soffuso languore i suoi limiti. Dentro quei limiti l’opera è impeccabile, è effettivamente un capolavoro. Come si sa Lucia di Lammermoor fu composta con la consueta frenesia in soli 37 giorni, dal 29 maggio al 6 luglio 1835, su libretto di Salvatore Cammarano.6 Questi scrisse tra gli altri anche il libretto del Trovatore. Se non fosse venuto improvvisamente a mancare mentre lo terminava (e infatti il libretto del Trovatore fu completato da Leone Emanuele Bardare, un oscuro poeta napoletano nato nel 1820 e del quale si ignora quasi tutto, anche la data di morte), se avesse asccoltato la musica con la quale Verdi aveva rivestito i suoi versi, non si sarebbe trovato spaesato. C’è infatti molto primo Verdi nella Lucia, e molto Trovatore. Sappiamo che Verdi intervenne pesantemente nel lavoro di Cammarano, ma francamente a parte Azucena non ce ne accorgiamo, non troviamo sensibili differenze tra la drammaturgia della Lucia e quella del Trovatore. Potrebbero essere opere composte entrambe da Verdi. Non v’ha dubbio che il personaggio di Azucena sia affatto verdiano, e Verdi non s’è fatto prestare niente da nessuno nell’inventarlo, ma “Cruda, funesta smania” è già verdiana come più non si potrebbe, non solo nel taglio dell’aria ma nel seguente coro dei cacciatori (quanti cori di Verdi cantano con lo stesso disegno soffocato e concitato insieme?) e nella rabbiosa cabaletta conclusiva (“La pietade in suo favore”) con la sincope (semiminima-

57 LUCIA DI LAMMERMOOR

minima-crome) che diventerà un vocabolo abusatissimo da Verdi. E trovate differenze sensibili tra “Regnava nel silenzio” e “Tacea la notte placida”? Sono entrambe arie incantevoli, e sono intercambiabili. Delizioso gioiello assolutamente verdiano è ancora tutto il Finale II, nel quale è incastonato quale zaffiro il Sestetto “Chi mi frena”. Ma le delizie cominciano subito. Con lo scintillante coro introduttivo “Per te d’immenso giubilo” (, Il corsaro, etc.), il poderoso intervento di Raimondo “Rispettate in me di Dio la tremenda maestà” (), l’ingresso di Lucia con la esagitata frase detta da flauti e violini (). Quindi il sublime Andante: «Esce Lucia sostenuta da Raimondo ed Alisa: essa è nel massimo abbattimento». Enrico le presenta Arturo: “Ecco il tuo sposo”. Violini primi e secondi sono attraversati da tremiti, le viole rispondono lamentose: vi sono già le deliranti visioni di Lady Macbeth. E quando Edgardo prorompe “Maledetto sia l’istante”, e Lucia supplica “Dio, lo salva in sì fiero momento”, non vi pare di ascoltare Leonora e Manrico? E la tempesta sonora che si abbatte a questo punto non è identica ai più celebrati sconquassi del cigno di Busseto? Ma inimitabilmente donizettiana è la Gran Scena con cori che preannunzia la Scena ed Aria “Ardon gli incensi”. Spira nel racconto di Raimondo “Dalle stanze ove Lucia” e nel commento del coro “Oh! Qual funesto avvenimento!” il possente respiro di morte del Donizetti più grande. E qui i due compositori divergono, perché nel melos di Donizetti la morte non ha futuro, mentre Verdi apre sempre le cortine dell’al di là. Verdi comunque terrà presente nell’arioso di Banco e nel finale dell’atto primo del suo Macbeth questa Gran Scena. “Il dolce suono mi colpì di sua voce!…”, il declamato mostra il vacillare della mente di Lucia nell’aggrumarsi di frasi, incisi e ricordi, come era avvenuto in Anna Bolena. In “Alfin son tua, alfin sei mio” Donizetti chiede qualche aurea moneta a

58 “SCENE FATTE PER PAZZI”

Bellini, mentre la cabaletta finale “Spargi d’amaro pianto” è certo incantevole ma rischia di far svanire nella grazia della linea vocale quel sapore di morte che per esempio invadeva l’ultima aria di Parisina nell’opera omonima, “Ugo è spento”. Un momento grandioso che Verdi tenterà di ricalcare, senza riuscirci, ne I due Foscari (atto terzo, Aria di Lucrezia “Più non vive”).7 Purtroppo i giocherelli tra flauto e voce così come i virtuosistici vocalizzi quasi sempre da capogiro, non segnati in partitura, deturpano questa celeberrima pagina, rischiano di privarla della sua preziosa verità drammatica. Essa è il referto di un clinico impietoso che studiò assiduamente la follia, quasi presago della sventura che avrebbe colpito la sua grande intelligenza. Meriterebbe massimo scrupolo interpretativo anziché malvezzi belcantistici, vanitosi esibirsi di primedonne, da allora a oggi sempre tollerati, anzi applauditi.

Da Milano a Venezia, a Napoli, a Genova e negli ultimi anni continuamente da Vienna a Parigi:8 la vita di Donizetti era un incessante peregrinare, un massacro se si considerano i mezzi di trasporto di allora, e questo sempre nel gorgo di una frenesia compositiva che egli non riusciva ad arrestare. Per di più nel giugno del 1842 era stato nominato Hofkapellmeister alla Corte Imperiale d’Austria; il contratto lo impegnava a risiedere a Vienna il primo semestre di ogni anno e questo nuovo incarico, al quale aveva molto ambito, si era tradotto in un surplus di fatica: il Maestro era sempre più eroso da febbri ed emicranie. Ma i primi sintomi della demenza apparvero chiari solo alla fine del 1843. Essa, latente da tempo, traeva origine da uno dei mali più terribili del secolo: la sifilide meningovascolare. Probabilmente da una grave infezione di sifilide era stata stroncata la giovane esistenza di Virginia Vasselli, l’adorata sposa morta a soli ventotto anni a Napoli nel 1837. Lo stesso male avrebbe ucciso il nipote Andrea, morto nel manicomio di Aversa nel 1864.

59

“SCENE FATTE PER PAZZI”

Ai primi di luglio del 1845 Donizetti rientrò a Parigi avendo ancora una volta lasciato Vienna con la sua carrozza personale, come si conveniva a un artista della sua fama. Un mese dopo fu colto da svenimento davanti all’Hotel Manchester. Spesso in precedenza aveva dato segni di perdere l’equilibrio, di barcollare; il suo stato di salute già preoccupava molto gli amici. Essi chiesero aiuto al fratello di Gaetano, Giuseppe Donizetti, che viveva a Costantinopoli. Giuseppe Donizetti inviò nella capitale francese il proprio figlio Andrea. Il giovane nipote si trovò solo a Parigi, senza altri parenti, incontrando gravi difficoltà per assistere adeguatamente lo zio. Vennero chiamati a consulto tre illustri medici: Just-Louis Calmeil, Jean Mitivié e Philippe Ricord. Il dottore Ricord era un celebre specialista delle malattie veneree e aveva pubblicato uno studio sulla differenza tra la gonorrea e la sifilide; il dottor Mitivié era uno psichiatra altrettanto noto, proprietario di una clinica per alienati a Ivry. Essi stesero un referto che non lasciava adito a speranze: «M. Donizetti n’est plus capable de calculer sainement la portée de ses déterminations et de ses actes». Andrea si affidò a questo referto, e i tre illustri medici conclusero che era urgente il ricovero del compositore in una casa di cura per alienati mentali. Guarda caso, fu scelta quella del dottor Mitivié. Le conseguenze furono penose. Si ingannò Donizetti facendogli credere che fosse stato chiamato a Vienna per assolvere ai suoi incarichi. Il povero Maestro si mise dunque in viaggio ma dopo solo tre ore la carrozza si fermò. Gli si disse che un guasto rendeva necessaria quella sosta, ma che fortunatamente esso si era verificato in prossimità di un albergo. Era invece la casa di cura di Ivry. Donizetti si ritrovò prigioniero in un appartamento di tre stanze, senza il suo servitore austriaco. Passavano i giorni e il viaggio non riprendeva. Alle sue rimostranze gli fu detto che il cameriere lo aveva derubato ed era fuggito, e che egli non poteva muoversi fino a che la polizia non avesse compiuto le sue indagini.

61 LUCIA DI LAMMERMOOR

Un barlume di luce illuminava ancora la mente sconvolta del compositore, che fece osservare come egli fosse un cittadino austriaco,9 con un incarico alla Corte Imperiale, e che dunque la polizia francese non aveva potere su di lui. Gli si replicò che la polizia non escludeva che avesse lui stesso nascosta la refurtiva per fare incolpare il cameriere, che in realtà era stato rispedito a Vienna a cercarsi un nuovo lavoro, avendolo beneficiato di una cospicua regalia. Ebbe inizio così l’interminabile e affligevole soggiorno di Donizetti a Ivry, che tuttavia Andrea tentò di troncare quando venne a sapere che la baronessa Rosa Rota-Basoni era prontissima ad accogliere lo zio nella sua dimora in Bergamo, e a prodigargli tutte le cure necessarie. Seguì un alro penoso atto della tragedia, perché Andrea si scontrò con tutte le possibili difficoltà. Innanzi tutto con quelle postegli dal dottor Jean-Jacques Moreau de Tours, direttore della clinica di Ivry, che si dichiarò contrario al trasferimento a Bergamo. Andrea non si diede per vinto e organizzò nuovi consulti, intanto che interessava l’ambasciatore d’Austria, il conte Rudolph Appony. Sembrava che la cosa fosse fatta, quando si parò innanzi il prefetto di Parigi, Gabriel Delessert, che era un uomo di inflessibili principî e aveva in scarsa simpatia il compositore sulle cui smodate attività sessuali di quegli ultimi anni si era chiacchierato molto. L’opposizione di Delessert fu insormontabile, e intanto anche i medici convocati da Andrea erano parecchio perplessi: il collo semiparalizzato del Maestro lo esponeva a urti violenti durante il viaggio; c’erano inoltre rischi di occlusione della vescica e di convulsioni. Di fronte a tutti questi macigni che piovevano sulla sua testa il povero Andrea cedette e se ne tornò a Costantinopoli, inventandosi una malattia della madre che lo chiamava al suo capezzale; invano Donizetti inviava farneticanti lettere di aiuto. Per sua fortuna a Ivry fu ripetutamente visitato, tra il dicembre del 1846 e il gennaio del 1847, dal barone Eduard von Lannoy,

62 “SCENE FATTE PER PAZZI”

direttore dei Concerts Spirituels di Vienna. Lannoy capì che, se si volevano alleviare le pene di Donizetti, era assolutamente necessario farlo tornare nella sua casa di Parigi. Si decise pertanto a inviare una lunga lettera al fratello del compositore, cortese ma perentoria nello stesso tempo. Essa ancor oggi colpisce per la qualità e la forza dell’espressione:

[…] Ei s’estingue a poco a poco, la paralisia fa dei progressi lenti sì, ma continuati. Non si può ormai più sperare di salvarlo, ma ciò che si può, ciò che si deve fare si è di rendere gli ultimi mesi della sua esistenza meno lugubri, meno melanconici. Egli è ancora sensibile alla presenza de’ suoi amici, il suo sguardo si anima, si sforza di parlare, sorride e piange. Il dottor Moreau dice che le visite che riceve gli tornano piuttosto salutari che nocive; ora per andare ad Ivry e restare un’ora col povero ammalato bisogna impiegarne cinque, le vetture sono care, l’infelice Gaetano resta troppo lungo tempo abbandonato a’ suoi angeli custodi. Se venisse trasportato a Parigi, potrebbe essere curato dagli stessi medici, avere gli stessi custodi e le medesime cure, sicché pel fisico vi starebbe bene quanto ad Ivry, pel morale mille volte meglio, imperocché i suoi amici lo vedrebbero ogni giorno ad ogni ora, ne abbellirebbero gli ultimi giorni di vita, ed il celebre maestro non morrebbe in una casa di salute, ma nel proprio appartamento. Il suo mantenimento costa ora 500 franchi al mese, a Parigi ne costerebbe 1000, fors’anche 1500. Gaetano possiede circa 20.000 franchi di rendita. Ora vale meglio quindi ch0egli risparmi 14.000 franchi all’anno, e s’estingua malinconicamente in tetra disperazione oppure ch’egli risparmi poco o niente, e viva qualche mese ancora abbastanza felice quanto lo può essere tuttavia? […] Compiendo così il vostro dovere qual

63 LUCIA DI LAMMERMOOR

fratello e buon parente vi risparmierete dei rimorsi che, senza dubbio, più tardi vi tormenterebbero e dai quali alcune migliaia di franchi non vi libererebbero di certo.10

Come si vede il barone Lannoy, aduso a frequentare gli ambienti diplomatici, non si peritava di insinuare che Giuseppe potesse essere indotto a procrastinare il soggiorno di Gaetano a Ivry per raggranellare alla morte del musicista un gruzzolo più consistente. Evidentemente impressionato da quelle argomentazioni Giuseppe Donizetti mandò nuovamente il figlio in Francia e questa volta Andrea si impegnò con amore, superando tutti gli ostacoli, tra i più fastidiosi sempre quelli frapposti da Delessert. Ma Andrea manovrò abilmente, insinuando al prefetto di Parigi che Auguste de Coussy e sua moglie Zélie potevano avere ottimi motivi per insistere affinché Donizetti rimanesse a Ivry, e congiurare di conseguenza. Auguste de Coussy era il banchiere di Donizetti e ne amministrava le rendite. Si poteva dunque ipotizzare un’azione legale da parte della famiglia Donizetti, per tutelarsi da eventuali danni che venissero dall’ostinazione di lasciare il compositore a Ivry. Di fronte a queste non troppo velate minacce Delessert alla fine si arrese. Donizetti poté fare ritorno a Parigi, dopo un confino nella casa di cura di Ivry che si era protratto per un anno e mezzo, e l’effetto fu certamente benefico. L’editore Ricordi, che lo visitò nell’estate del 1847, in una lettera del 16 luglio11 raccontava come avesse accompagnato il Maestro in una passeggiata in carrozza per le vie della capitale. Donizetti in quell’occasione aveva mostrato interesse per la vivace vita che scorreva sotto i suoi occhi. Incoraggiato da questo successo Andrea riuscì infine a fare partire lo zio per Bergamo. Il viaggio fu affliggevole come tutto in questo melodramma di vita, perché durò quasi un mese, dal 19 settembre al 5 ottobre, e fu compiuto in parte in treno, da Parigi a Bruxelles, poi in battello fino a Basilea,

64 “SCENE FATTE PER PAZZI”

quindi in carrozza. Donizetti era accompagnato dal fratello Francesco, da Andrea, dal suo medico curante e da uno dei suoi domestici. Stava malissimo e a un certo punto accadde quello che si temeva: una congestione alla vescica che obbligò gli accompagnatori a una sosta. Finalmente la carovana giunse a Bergamo. La baronessa Rota- Basoni accolse il grande amico con affetto squisito. Provvide a fargli costruire un’apposita poltrona con un appoggiatesta imbottito. La figlia Giovannina si prodigò instancabilmente a suonare per lui nel tentativo di risvegliare una briciola di intelligenza, mentre il grande tenore Giovanni Battista Rubini, che si era ritirato a vivere in una villa dei dintorni, veniva a cantargli con Giovannina il duetto della Lucia. C’era poi l’amico di tutta la vita, il maestro Antonio Dolci, che insegnò alla Scuola Musicale della città sino agli anni ’60, e gli ottimi medici curanti Luigi Calvetti e Giovanni Cassis, che per ordine della baronessa lo seguivano costantemente. Ma nessuna amorosa cura poteva ormai nulla contro l’incalzare della terribile malattia. Mentre intorno a lui il nuovo melodramma senza sosta fioriva, colui che ne aveva in modo tanto acuto individuato i caratteri si spegneva. Il 14 marzo di quel terribile 1847 Verdi mandava in scena al Teatro della Pergola le allucinazioni di Lady Macbeth: ancora una volta i frutti del lascito donizettiano. Un anno appresso, l’8 aprile del 1848 alle 5 del pomeriggio, Donizetti moriva demente nella bergamasca dimora patrizia di Rosa Rota-Basoni. Avendo perduto la sua casa e i suoi affetti più cari, lontani i fratelli, era assistito dalla cara amica, dalla di lei figlia Giovannina, dal fedele Dolci e da un domestico.12

65 LUCIA DI LAMMERMOOR

NOTE

1 Cit. in Guido Zavadini, Donizetti. Vita, musiche, epistolario, Bergamo 1948, p. 605. 2 La moderna musicologia non ha ancora messo in luce adeguatamente le anticipazioni verdiane nel linguaggio di Donizetti. Vanno citati Winton Dean, Some Echoes of Donizetti in Verdi’s , in Atti del III Congresso internazionale di studi verdiani, Milano 1974; Julian Budden, Donizetti and Verdi, in Atti del I Convegno internazionale di studi donizettiani, Bergamo 1983; William Ashbrook, Donizetti, vol. II, Le opere, trad. it. di Luigi Della Croce, EDT, Torino 1987. Ashbrook dedica molta attenzione alle anticipazioni verdiane nelle opere di Donizetti, ma per esempio non coglie il profetico linguaggio di Anna Bolena in rapporto a Don Carlo. Per lo studioso americano Anna Bolena «piuttosto sembra avvicinarsi […] al clima emotivo del Pirata» (p. 22). Non è un caso tuttavia che Il pirata sia l’opera di Bellini nella quale si preconizza Verdi. Ashbrook riconosce «gli sforzi di Donizetti per superare le convenzioni formali e giungere alla verità drammatica» (p. 44), ma ritiene Anna Bolena «il culmine delle esperienze anteriori di Donizetti, più che un nuovo punto di partenza» (p. 98). Non valuta la forza innovativa della Scena e Duetto Giovanna ed Enrico “Fama! Sì: l’avrete”, e come il personaggio del tetro monarca sia assolutametne moderno e anticipi il cupo Filippo II. Ritiene piuttosto che sia stato Dom Sébastien (l’ultima opera di Donizetti, Parigi, Opéra, 13 novembre 1843) a precedere «di un quarto di secolo il di Verdi, la cui tenebrosa bellezza fa sovente pensare a quest’opera» (p. 282). Il che è ben vero, ma non lo è meno per Anna Bolena che va, di più, considerata come la prima innovativa partitura dell’opera romantica italiana e, per certi versi, la più audace. Infatti «Enrico parla su accordi fissi degli archi, su brevi squarci violenti, la precisione drammatica è spinta tanto avanti da rinviare ai grandi duetti del tardo Verdi […] Il personaggio di Enrico, vero protagonista dell’opera, è concepito con taglio grandioso e nuovo, stretto tra potere e desiderio, i declamati serrano potentemente tutta la costruzione, i nuclei tematici si differenziano nettamente l’uno dall’altro e aderiscono appieno ai diversi momenti drammatici […] La linea vocale è mobilissima e sfuggente; percorsa da cromatismi […], scivola su semicrome e biscrome […], rimanda nel continuo mutare del centro tonale al bieco parlare di Jago […] sul cupo ribattere dei timpani si leva la rabbia di Enrico; un’altra pagina straordinaria di questo grande personaggio per il quale Donizetti, con assoluto rispetto della verità drammatica, non scrive una sola aria. Come potrebbe cantare Enrico? Come potrebbero conciliarsi le esigenze della chiusa forma con la tortuosa complessità del suo animo? In verità neppure Filippo II nel verdiano Don Carlos può misurarsi con la possente grandezza cui qui si giunge». (Antonino Titone, Notte per me funesta. Furori lacrime e sangue alle soglie del dramma verdiano, Flaccovio, Palermo 1986, pp. 46 ss.). Per quanto riguarda Lucrezia Borgia, quando Ashbrook cita il preludio (p. 29), riconosce come esso possieda «la forza persuasiva del drammaturgo musicale», senza tuttavia cogliere come il suo meccanismo di costruzione (una febbrile frase traboccante di empito lirico, che tuttavia a un tratto viene tagliata come con un colpo di forbici, sicché il brano sembra che manchi della sezione centrale, preannunzi un racconto che non c’è) venga adottato pienamente da Verdi (Attila, Macbeth, etc.). A proposito del dialogo tra Rustighello e Astolfo, nota che esso «si dipana su una spavalda melodia dell’orchestra (in sostanza il procedimento che Verdi più tardi adottò in quando Sparafucile e il buffone si incontrano per la prima volta all’inizio del secondo quadro)» (p. 123). Andrebbe detto però che la melodia è proprio la stessa e, in Donizetti, è più felice. Ashbrook ammette tuttavia che «Verdi, studente a Milano all’epoca dell’andata in scena di Lucrezia Borgia, fece tesoro dell’insegnamento di quest’opera e in particolare del finale del primo atto» (p. 124). Né gli sfugge come Donizetti abbia attuato, prima di Wagner, il dramma musicale: «Nel secondo atto di si realizza, in modo molto italiano, l’ideale wagneriano del dramma musicale» (p. 171). Si vedano anche talune annotazioni di Egidio Saracino in Invito all’ascolto di Donizetti, Mursia, Milano 1984. Quando rileva come con Anna Bolena 66

LUCIA DI LAMMERMOOR

venga individuata «una scrittura diversa rispetto alla tradizione» (p. 132); come Lucrezia Borgia sia «melodramma di voluta, studiata ambiguità. La stessa vicenda, narrata nell’oscurità della notte ad aumentarne il senso di cupezza e di tragedia, trova un contorno festaiolo non tanto per alleggerirne la tensione, quanto invece per contrapporre un contrasto di atmosfera alla grevità degli stati d’animo di ognuno (procedimento che Verdi esalterà in Rigoletto e in Traviata)» (p. 160); come Roberto Devereux sia «il lavoro in cui il tentativo di Donizetti di fondere canto e dramma nella recitazione si realizza compiutamente» (p. 193); e ancora le premonizioni verdiane ne Il duca d’Alba e La favorita (pp. 200 e 208). Anche Barblan aveva notato come Parisina «prepari la strada alla Violetta verdiana» (Guglielmo Barblan, Alla ribalta un’ottocentesca tragedia lirica: “Parisina d’Este” di Donizetti, in «Chigiana», vol. XXI, Olschki, Firenze 1964, pp. 232 ss.). 3 Felice Romani trasse il soggetto di Lucrezia Borgia dalla Lucrèce Borgia di Victor Hugo rappresentata a Parigi nel 1833. Nello stesso anno la tragedia era diventata una «Opera seria in un prologo e due atti» e, composta con la consueta frenesia in meno di due mesi, veniva rappresentata alla Scala il 26 dicembre. In effetti si trattava di un’opera seria in tre atti, e con Lucrezia Donizetti adottava questa struttura che diverrà tipica del melodramma romantico italiano. Come nel caso della Traviata, il passaggio dal teatro di prosa a quello lirico fu fulmineo, segno di quanto fossero vivaci i fermenti culturali nelle capitali europee. Nonostante la lentezza delle comunicazioni, se paragonate a quelle del nostro tempo, la notorietà di un romanzo o di una tragedia si propagava da un capo all’altro d’Europa con la velocità di un incendio. Lucrezia Borgia stentò a imporsi sulle scene europee anche per l’audacia del soggetto. La protagonista infatti, figlia del Papa Alessandro VI, veniva da Hugo (e da Romani) presentata come donna empia e dissoluta. La realtà storica fu invece molto diversa. Lucrezia nella prima giovinezza fu effettivamente coinvolta in accadimenti immorali ed esecrandi. Andato in sposa a soli 12 anni a Giovanni Sforza, passò poco dopo a seconde nozze con Alfonso d’Aragona, duca di Bisceglie, avendo suo padre dichiarato nullo il primo matrimonio. Nel 1500 il secondo marito veniva strangolato e Lucrezia si sposava per la terza volta, adesso con Alfonso d’Este. Aveva solo 20 anni. A Ferrara però la vita di Lucrezia cambiò. Fece dimenticare il suo passato e dimostrò di essere, oltre che donna bellissima, anche di grande intelligenza e sensibilità. La vita intellettuale che promosse alla sua corte venne cantata da poeti quali Ariosto e Bembo; passò anche lunghi periodi di penitenza in convento e morì infine ad appena 39 anni. La censura colpì duramente l’opera di Donizetti, che per essere rappresentata dovette cambiare più volte titolo, ambientazione e personaggi. Hugo poi complicò le cose minacciando azioni legali se l’opera veniva replicata a Parigi, giacché non aveva mai autorizzato che per realizzarla si utilizzasse il suo dramma. Lucrezia fu costretta a cambiare ancora una volta titolo (La rinnegata) e l’azione bisognò trasferirla in Turchia. 4 Anche il libretto di Anna Bolena era stato confezionato da Felice Romani. Tratto da una tragedia di Ippolito Pindemonte, Enrico VIII, ossia Anna Bolena, rappresentata a Torino nel 1816, scritta nei soliti due mesi scarsi, fu data in prima rappresentazione esattamente tre anni avanti Lucrezia Borgia, ovvero come s’è detto il 26 dicembre del 1830, sempre a Milano ma nel meno nobile Teatro Carcano. Ebbe interpreti straordinari: Giuditta Pasta come Anna e Giovanni Battista Rubini come Percy. Poiché abbiamo chiamato in causa il verdiano Don Carlo (o Carlos), ci corre l’obbligo di ammettere che in Anna Bolena il tema della ragion di stato è più debole. Questa carenza non diminuisce però lo spessore drammatico dell’opera. La vicenda segue infatti con sufficiente puntualità i fatti realmente accaduti, anche se evidenzia quelli amorosi e rende sfocati quelli politci. Il libretto può definirsi comunque magistrale e, in taluni passi, di livello poetico affatto alto. Romani fu infatti il massimo librettista del suo tempo e taluni suoi libretti sono tra i migliori del teatro musicale italiano e non. Per Donizetti approntò sette testi, tre dei quali si sarebbero rivelati, rivestiti delle note del compositore, capolavori assoluti: Anna Bolena, Parisina e Lucrezia Borgia. 5 Cfr. A. Titone, Notte cit., p. 74. 68 “SCENE FATTE PER PAZZI”

6 Salvatore Cammarano (Napoli, 1801-1852), scenografo e poi concertatore d’orchestra al San Carlo, era anche autore di commedie e tragedie. Debuttò come librettista nel 1834 e da allora fu uno dei più noti e ricercati librettisti del suo tempo, quando Felice Romani aveva cessato la sua attività. Scrisse libretti non solo per Donizetti e Verdi (oltre Il trovatore, La battaglia di Legnano e Luisa Miller), ma anche per Pacini, Mercadante e altri minori. Condivise con Donizetti la predilezione per momenti esagitati e deliranti. Redasse per lui otto testi. Dopo Lucia anche (1836), L’assedio di Calais (1836), Pia de’ Tolomei (1837), Roberto Devereux (1837), Maria di Rudenz (1838), (1838), (1843), alcuni dei quali tra i più grandi lavori donizettiani. I Cammarano furono una ragguardevole famiglia di musicisti, un po’ come i nostri Sollima, e il paragone calza a pennello perché il padre di Salvatore, Filippo, era compositore ed era nato nel 1764 a Palermo. Sua moglie, Rosalia, era cantante. Un fratello di Salvatore, Michele, fu anch’esso cantante e un altro, Luigi, compositore. 7 Cospicui sono i prestiti che Donizetti chiede a Bellini, ma poi egli ripaga sempre con forti interessi. Il quartetto “Per sempre, per sempre sotterra sepolto”, nel secondo atto di Parisina, è una delle melodie belliniane più alte che siano state inventate, pur all’interno di un’opera tutta attraversata dal sapore di morte del Donizetti sommo. Barblan (Alla ribalta cit., p. 237) aveva scritto di questo quartetto: «nella mirabile struttura della frase implorante e tenera e scorata, ci pone dinanzi i nostri eroi in solitudine assoluta, impartecipabile». Raccomandiamo questa sublime pagina a chi non la conoscesse, e a questo Teatro la programmazione di un’opera che, sebbene non manchi di qualche momento debole, allinea una quantità di perle bastevoli a far rifulgere una stagione. 8 Donizetti si era stabilito a Parigi nell’ottobre del 1838, ma vi era giunto la prima volta nel gennaio del ’35. Parigi era allora, con Vienna e per ciò che riguarda l’opera più di Vienna, la capitale mondiale della musica. Tutti volevano correre a Parigi, avere una commissione da uno dei suoi teatri d’opera, essere applauditi da quel pubblico esigente. Per colmo di fortuna a Parigi imperava Rossini, che dirigeva il Théâtre- Italien. Rossini commissionò un’opera a Bellini e una a Donizetti. Fu così che nel 1835, ad appena un mese e mezzo di distanza, il pubblico del Théâtre-Italien venne invitato ad applaudire (24 gennaio) e Marin Faliero (12 marzo). Come si può intuire il trionfo de I puritani superò di gran lunga il successo dell’opera di Donizetti. Questi faticò a imporsi senza riserve a Parigi, e in fondo non vi riuscì mai del tutto. Ciononostante Donizetti risolse di lasciare Napoli, forse la sola città europea in grado di contendere lo scettro di capitale dell’opera a Parigi, e di trasferirsi appunto a Parigi. A Napoli Donizetti era vissuto a varie riprese circa quindici anni. Tanti i motivi che lo inducevano al distacco: a Parigi spirava un’aria di internazionale tolleranza e modernità, non c’era la bigotta censura borbonica, non c’era lo straziante ricordo della moglie scomparsa, dei tre figlioletti morti tutti appena nati. E poi a Napoli bruciava la faccenda sgradevole del Conservatorio. Donizetti vi insegnava composizione e nel 1837, alla morte di Nicola Zingarelli, fu nominato pro-direttore. Ma non riuscì a ottenere da Sua Maestà la nomina a direttore che gli era stata promessa. Questa mancata nomina, gli intrighi della Corte e di certi ambienti musicali, provinciali al confronto di quelli parigini, finirono con il disgustarlo. Donizetti era arrivato la prima volta a Napoli nel 1822, e vi aveva messo casa dopo il matrimonio nel 1828, pur non mancando di percorrere in continuazione l’Italia e presto l’Europa. Come si sa per circa un anno era stato maestro di cappella del nostro Teatro Carolino, oggi Bellini, tra l’aprile del 1825 e il febbraio del ’26, per il miserabile compenso di 45 ducati (il soprano Elisabetta Ferron ne prendeva 517), e vi aveva composto e messo in scena (7 gennaio 1826) . 9 Donizetti si sbagliava, perché egli non era più cittadino austriaco da quando aveva abbandonato Bergamo (la Lombardia faceva parte dell’Impero d’Austria) e si era trasferito a Napoli. Per la legge austriaca infatti si perdeva la cittadinanza appena si abbandonavano i territorî dell’Impero per risiedere stabilmente altrove. 69 LUCIA DI LAMMERMOOR

10 La lettera della quale qui si cita un frammento è riportata per intero da G. Zavadini, Donizetti cit., pp. 152 s. 11 Cit. in Federico Alborghetti e Michelangelo Galli, Gaetano Donizetti e G. Simone Mayr: notizie e documenti, Bergamo 1875, pp. 217 s. 12 Per una esauriente narrazione di quei tristi avvenimenti cfr. William Ashbrook, Donizetti, vol. I, La vita, trad. it. di Fulvio Lo Presti, EDT, Torino 1986, pp. 175 ss.

70

“Ô bel ange, ma Lucie” non “Bell’alma innamorata” Lucie de Lammermoor di Donizetti secondo Berlioz di Giovanni Gavazzeni

Un saggio adagio antico afferma che ogni nostro giudizio nasconde un lacerto autobiografico. Nei meravigliosi ‘fogliettoni’ che Hector Berlioz scriveva per il Journal des Débats si leggevano i ‘giudizi’ del più geniale e affilato critico nonché arguto scrittore di cose musicali della Francia orleanista. Di più, erano anche lacerti autobiografici di un grande compositore che aveva conosciuto, solo un anno prima (1837), uno dei più cocenti insuccessi della sua formidabile e tempestosa carriera, la caduta dell’opera semiseria Benvenuto Cellini all’Academie Royale de Musique (vulgo, Opéra). È comprensibile il suo livore nei confronti del formidabile successo di Gaetano Donizetti che, nel breve volgere di pochi anni, conquistava tutte le scene di Parigi, proprio a partire dal folle successo arriso agli Italiens a Lucia di Lammermoor con il trio d’assi formato da Fanny Tacchinardi Persiani, Giovan Battista Rubini e Antonio Tamburini; un successo, ricordiamolo, che cadeva nella stessa stagione del Malvenuto (come venne crudelmente ribattezzato) Cellini. Per colmo d’ironia gli stessi due grandi interpreti del Cellini, il tenore Gilbert Duprez e il soprano Rosine Stolz, faranno, pochi anni dopo, delle donizettiane Lucia e Favorite i loro più applauditi cavalli di battaglia. La recensione di Lucie de Lammermoor di Berlioz (9 agosto 1839) si riferisce alla versione che Donizetti approntò, in lingua francese, nel 1839 per il Théâtre de la Renaissance, affinché l’opera potesse girare anche nei teatri minori della capitale e in provincia, dove le disponibilità economiche erano inferiori (e gli artisti potevano essere juvenes et cani, come ironizza il Bergamasco). Berlioz non LUCIA DI LAMMERMOOR

si sofferma a spiegare ai suoi lettori che la versione francese non è mera traduzione (ben fatta) della versione italiana su libretto di Salvadore Cammarano, ma revisione consistente, abilmente indirizzata a una più serrata concatenazione drammaturgica. Non è l’eliminazione della damigella Alisa che isola Lucia nella sua follia, a dare il tono delle differenze, ma piuttosto la creazione di un nuovo personaggio, un famiglio degli Ashton, Gilbert (che assume anche tratti della soppressa parte di Normanno), per il quale Donizetti scrisse recitativi tutti nuovi, che spiegano e arricchiscono antefatti e raggiri della vicenda. Gilbert fa il doppio gioco: assume l’air attendri d’un confident d’amour (l’aria intenerita di un confidente d’amore), non disdegnando i di Edgard e Lucie per favorire i loro incontri presso la fontana, e poi riferisce ad Ashton i loro movimenti, proponendosi, prima e dopo, come sicario dell’aborrito Ravenswood. Non solo: distrugge le lettere d’amore fra Lucie ed Edgar partito in missione su suolo straniero (Francia); segue oltre Manica il giovane innamorato e gli ruba l’anello di fidanzamento, per presentarlo come prova d’infedeltà a Lucie, onde convincerla a convolare a nozze riparatorie con Arthur, nipote di un potente ministro. Anche la parte del cosiddetto “sposino”, appunto Lord Arturo Bucklaw, è ampliata. Non compare solo alle nozze, ma anche nel primo atto, quando, inquieto, trova la menzogna rassicurante di Henri (Ashton), il quale spergiura che Lucie lo ama e non pensa più a Edgard. Fra ruoli soppressi e nuovi, ci sono anche quelli ridotti al minimo. È il caso del basso Raimondo, educatore e confidente di Lucia che, privato del duetto con la sua protetta (“Di tua speranza l’ultimo raggio tramontò”), diventa un anonimo Ministro del culto, che annuncia l’uxoricidio. Gli rimane però la sortita dell’uxoricidio (“Dalle stanze ove Lucia”, com’è conosciuto nel versione di Cammarano) e il meraviglioso compianto funebre con il coro, “Hymen funèbre” (“Oh! Qual funesto avvenimento”). Nella revisione Donizetti perse pezzi straordinari: l’attacco della tempesta nella scena della torre di Wolferag (la sfida fra Edgard e

74 “Ô bel ange, ma Lucie” non “Bell’alma innamorata”

Henri si consuma in casa Ashton), e nel primo atto, lo stupendo racconto gotico di Lucia, “Regnava nel silenzio”, sostituito dalla cavatina più convenzionale e belcantistica “Perché non ho del vento” (nella versione francese di Royer e Vaëz, “Que n’avons-nous des ailes?”), tolta dalla Rosmonda d’Inghilterra. Era una prassi diffusa quella di sostituire arie e cabalette, soprattutto quando la primadonna pensava più a far risaltare le sue abilità tecniche che alle ragioni drammaturgiche pensate dal compositore e dal librettista. E quando la diva si chiamava Fanny Tacchinardi Persiani, che già aveva usato proprio quel brano per Lucia alla Fenice di Venezia, non rimaneva che far buon viso a cattivo gioco, ratificando, come Donizetti fa nella versione francese, “l’inconvenienza teatrale”. Ma la perdita è grave, con annesso sublime concerto per arpa in miniatura, che introduceva così bene climaticamente il “Regnava nel silenzio”. Berlioz riconosce, a denti stretti, alcuni meriti dell’opera di Donizetti, manifestando la sua predilezione per il finale tenorile, ma preferisce nel fogliettone, con la scusa della grande popolarità dell’opera, dare ottimi consigli al neo-direttore della Renaissance, Anténor Joly, offrendo così uno straordinario ritratto degli usi, dei costumi, della prassi esecutiva del suo tempo, sottolineando quanto la penuria degli organici e la precarietà dei rimedi sia da considerarsi, in materia di teatro in musica, non risparmio ma lo sperpero più grande. g.g.

L’amministrazione del Théâtre de la Renaissance ha fatto notevoli sforzi per regalarci un terzo teatro lirico. Per molto tempo, lo confesso, questi sforzi mi sono sembrati inutili; ma il successo eclatante del suo ultimo tentativo comincia ad incrinare la mia convinzione. Un’impresa che, senza sovvenzioni, senza il sostegno di simpatie né vive né potenti, è potuta arrivare al punto in cui la vediamo, deve avere una vitalità più grande di

75 LUCIA DI LAMMERMOOR

quanto si supponesse e degli elementi di successo che non potevamo sospettare. Questi fattori di successo vanno attribuiti in gran parte all’attività intelligente, coraggiosa e paziente del direttore. Gli ho sentito rimproverare di aver scelto, per la prima grande rappresentazione che ha fatto eseguire nel suo teatro, un’opera italiana. Ma bisogna tener conto delle difficoltà della sua posizione. Una grande opera non si improvvisa (in Francia, almeno), e quelle lunghe fanno paura a molti, quando non assicurano da sole di arrivare alla gloria o alla fortuna. Quindi, quale compositore serio si sarebbe spinto ad intraprendere un lavoro di tale importanza, con le misere risorse a disposizione della Renaissance e dovendo fronteggiare i pregiudizi, molto ben fondati, diciamolo, nei confronti di questo teatro? Del resto, aggiungere alla scommessa del successo di attori emergenti anche quella più rischiosa della riuscita di un’opera nuova, era decisamente troppo. Occorreva quindi, per procedere prudentemente, trovare un’opera, se non rodata, almeno già accettata dall’opinione del pubblico e il cui soggetto, pur presentando le caratteristiche del grand-opéra, non costringesse l’amministrazione a spese esagerate. La Lucia di Lammermoor1 di Donizetti adempiva perfettamente allo scopo. La sua caratteristica drammatica, resa popolare dal romanzo di Walter Scott anche tra quella parte di pubblico che non mette mai piede al Théâtre-Italien, le sue principali arie e i duetti eseguiti in una moltitudine di concerti, all’Opéra, all’Odéon, in svariate rappresentazioni di beneficenza, da Duprez e altri cantanti, sono stati elementi sufficienti ad abituare gli eventuali spettatori di questa rappresentazione, all’idea che il successo di Lucia di Lammermoor non poteva essere contestato. Gli habitués del Théâtre-Italien con le loro considerazioni e i loro pregiudizi rappresentavano sicuramente i critici più temibili, a

1 Lucia di Lammermoor, opera in tre atti del Donizetti, libretto di Cammarano tratto da The Bride of Lammermoor (1819) di Walter Scott, realizzata al Teatro San Carlo di Napoli il 26 settembre 1835, fu rappresentata a Parigi con grande successo al Théâtre-Italien nel 1837. Per la versione francese Donizetti adattò il suo spartito alle parole francesi di Royer e Vaëz. 76

LUCIA DI LAMMERMOOR

causa del rigore spesso ingiusto con il quale giudicano tutto ciò che non appartiene al club di cui si sentono padroni, ma questi pregiudizi allo stesso tempo hanno rassicurato i nuovi interpreti di Donizetti e gli hanno dato la convinzione che l’alta aristocrazia dilettante non gli avrebbe concesso l’onore di venire a strapazzarli e, in effetti, si è dispensata dal farlo. Inoltre, questo spartito, come la maggior parte delle opere italiane, non comporta un gran lusso per la messa in scena e se il Sig. Anténor Joly2, ha dovuto ricorrere a una certa ricercatezza nei costumi e all’effetto di una scenografia molto bella, completamente nuova, ci ha dato più di quanto ci aspettassimo e a colpo sicuro più di quanto ci sognassimo chiedergli allo stato attuale delle cose. Non si trattava che di sapere se potevamo sperare in un teatro lirico propriamente detto, dedicato alla musica e a niente altro che alla musica, decisamente lontano dall’idea di sacrificarsi alla danza e alla pittura come invece fa l’Opéra e altrettanto poco disposto a farsi rosicchiare dal dialogo, come succede all’Opéra-Comique; un teatro in cui finalmente il compositore fosse realmente maestro nel vero senso del termine. Il dilemma, così posto, si può dire che abbia quasi trovato risposta affermativa. Dobbiamo ben sperare dal risultato che si sta per ottenere. Joly, a forza di ricerche, cure e sacrifici, è riuscito a scovare un’affascinante prima donna, un buon primo tenore, un basso che si formerà, un utile, per non dire piacevole, secondo tenore, dei cori più che passabili e un’orchestra che è facile rendere eccellente. E tutto questo è stato cantato, accompagnato, recitato con una sincronia calorosa degna dei più grandi elogi. I cori hanno stupito per il vigore dei loro attacchi e per il timbro affatto stridulo delle voci maschili. I coristi sono pochi ma cantano tutti e in tutti i brani nel miglior modo che possono: cosa molto più rara di quanto possiamo pensare; l’estensione della scena, d’altronde, non è abbastanza

2 Anténor Joly (1801-1852), diresse il Théâtre du Luxembourg (maggio-novembre 1837) e gestì il Théâtre Saint-Antoine (inaugurato nel 1835). Con ordinanza del 12 novembre 1836, fu investito del privilegio di utilizzare il Théâtre de la Renaissance in associazione con l’autore di vaudevilles Ferdinand Villeneuve per realizzare spettacoli drammatici e opere comiche. 78 “Ô bel ange, ma Lucie” non “Bell’alma innamorata”

grande da rovinare l’effetto delle voci allontanandole dagli ascoltatori. Con l’aggiunta di quattro soprani primi e secondi, tre tenori alti, tre bassi ben caratterizzati, e degli studi seguiti da qualche mese sotto la direzione di un professore abile come Strunz3, che è incaricato di questo ruolo importante, il Théâtre de la Renaissance possiederà certamente a breve una squadra di coristi eccellenti, sufficiente per ben eseguire, se non tutte le combinazioni vocali che il dramma lirico comporta, almeno quelle che sono di uso indispensabile e generale. Prima di questa rappresentazione l’orchestra, diciamolo pure, non esisteva affatto. Ne abbiamo avvertito l’insufficienza soprattutto per quel che riguarda gli strumenti a corda, e il numero di violini, alti e bassi, è stato aumentato. Ma non si direbbe che questa aggiunta abbia fatto sparire completamente i principali difetti dell’insieme strumentale. Le trombe, i tromboni, i timpani e le gran casse dominano sempre in modo talmente orribile ed eccessivo che nei crescendo non si riesce a distinguere il suono dei violini. I musicisti incaricati degli ottoni probabilmente appartengono a dei corpi di musica militare e l’abitudine di suonare all’aria aperta fa soffiar loro le note sempre in maniera da rendere il suono metallico con una rudezza che distrugge qualsiasi armonia. I cori, tra i quali ho notato la presenza di uno dei nostri migliori virtuosi, il Sig. Rousselot4, sono eccellenti. Ma, lo ripeto, questa orchestra manca di violini, viole, violoncelli; sono i violini e i violoncelli che cantano, che eseguono le note, che disegnano le forme dell’accompagnamento sia sull’acuto che sul suono grave. Sono le viole che legano tra loro le diverse parti spesso troppo staccate le une dalle altre, sono loro che, abilmente impiegate, producono quell’effetto di mezzatinta da cui, in più circostanze, l’immaginazione è facilmente commossa. E d’altronde, perché nelle piccole orchestre i violini suonano così raramente equilibrati? Perché l’armonia di più strumenti a

3 Jacques Strunz (1783-1852), compositore francese di origine tedesca. 4 Joseph François Rousselot (1803- 1880), cornista francese, legato alla Società dei Concerti del Conservatorio (1828), e poi all’Orchestra dell’Opéra (1839-1869) e alla Chapelle imperiale (1853). 79

“Ô bel ange, ma Lucie” non “Bell’alma innamorata”

corda che suonano all’unisono lo stesso pezzo, non essendo mai assoluta, non può essere altro che la risultanza della media intonazione di un gran numero di essi. Quando il loro numero è sufficiente a coprire l’imperfezione del suono dei più piccoli, tutto l’insieme sembra suonare in sintonia, in caso contrario l’insieme sembra stonare. Su quindici violini insieme, due o tre possono anche compiere errori senza che questi vengano rilevati. Ma su cinque o sei, l’errore di uno solo si farà perfettamente notare. Non vi è niente di più grezzo, falso, meschino e miserabile della riunione di due o tre violini. Baillot, Artot e De Bériot, incaricati di eseguire lo stesso pezzo insieme, mi farebbero fuggire. Questo inconveniente è un po’ meno percettibile negli strumenti gravi; nondimeno, dato che Joly ha delle intenzioni così buone per il futuro musicale del teatro che dirige, dovrà, al più presto possibile, aggiungere quattro o cinque violoncelli ai sei che già possiede. Ma l’orchestra è piena, si dirà, non c’è più spazio. Che si prenda da quello del pubblico; la sala è abbastanza grande; convincetevi che questa spesa da una parte e la diminuzione di posti dall’altra, sono in realtà le vere economie. Niente di più dispendioso della cattiva musica; e quella buona non si potrà ottenere se non con i sacrifici che io consiglio. Se si trattasse di eseguire gli antichi spartiti di Grétry, di Monsigny, di Philidor, di Dalayrac, di Paisiello,5 di Sacchini ecc., l’orchestra della Renaissance potrebbe essere conservata a rigore nello stato attuale. Ma dal momento in cui si vogliono affrontare le opere moderne nelle quali gli ottoni dominano, in cui la gran cassa è impiegata (così fuori posto, novantanove volte su cento), dove si contano, in aggiunta agli strumenti a fiato tradizionalmente utilizzati, due cornette, un terzo e un quarto coro, un oficleide, bisogna chiamare in vostro aiuto un’armata di strumenti a corda, non solo per fondere e addolcire nell’insieme armonico

5 André Modeste Grétry (1741-1813), Pierre Alexandre Monsigny (1729-1821), Francois André Dancan Philidor (1726-1809), Nicolas-Marie Dalayrac (1753-1809) compositori francesi; Antonio Sacchini (1730-1786) e Giovanni Paisiello (1740-1816), compositori italiani, autori che Berlioz aveva ascoltato da giovane e rispettava, pur sentendone la distanza con la sua generazione. 81 LUCIA DI LAMMERMOOR

l’asprezza di queste rudi sonorità; ma anche perché la parte del violino, che in fin dei conti è una delle parti principali, possa svelare e mantenere, nella gerarchia musicale, il posto che i compositori gli hanno da sempre riservato. Sarà forse difficile in questo periodo, e comunque ne dubito molto, trovare a Parigi abbastanza artisti bravi per completare l’orchestra della Renaissance; infatti, i concerti degli Champs-Élysées, del Casino, del Jardin-turc, impegnano già i migliori. In ogni caso, alla fine dell’estate, questi consorzi di musica borghese, dove si va ad ascoltare, chiacchierando e passeggiando, delle ouverture miste a quadriglie, saranno conclusi e il nuovo teatro lirico non avrà che l’imbarazzo della scelta. Quanto ai cantanti, non ho nulla da dire a Joly; lui sa molto bene che gli artisti dotati di una voce sonora, estesa, flessibile, che sanno usare con anima e metodo, sono di tutti i sostegni alla sua impresa i più preziosi nonché rari; e siamo sicuri che lui non trascura niente pur di ottenerli. Mi felicito dei principali acquisti che ha già fatto nel settore. La signora Anna Thillon, giovane inglese della Londra bene, si è soltanto da pochi anni dedicata al mondo del canto. Ella ha fatto dei rapidi progressi. La sua voce è un soprano acuto che va da re a re, abbracciando anche due ottave e le cui corde basse non peccano né di vocalità, né di qualità del suono. Questa voce si presta facilmente alle sonorità leggere, alle fioriture; il suo timbro infantile e poco energico rende molto meno gli accenti drammatici o passionali. Si adatta abbastanza naturalmente tuttavia all’idea che ci siamo fatti della timida fidanzata del giovane Ravenswood; e il ruolo di Lucia ha dato alla Thillon un successo ben meritato, che ne porterà altri. Nella prima cavatina6 ha qualche volta mal gestito la fine delle sue frasi, può darsi che ella non sappia ancora bene respirare a proposito; l’emozione, la paura, hanno probabilmente giocato una gran parte nella sua incertezza a terminare le frasi alla sua entrata in scena, ma ella ha ben presto ritrovato la sua sicurezza.

6 Atto I, n. 4 Scena e Cavatina : “Que n’avons-nous des ailes”. 82 “Ô bel ange, ma Lucie” non “Bell’alma innamorata”

E nel quartetto con i cori,7 soprattutto nella grande scena della follia,8 in cui ha cantato in un modo assai nuovo e drammatico, la sua voce ha preso uno splendore e una vibrazione di cui non l’avremmo mai creduta capace. Gli applausi, i fiori, nulla è mancato al suo successo. Il tenore Ricciardi,9 che interpreta il ruolo di Edgard, non si è ancora fatto conoscere a Parigi. Ha voce, sentimento e metodo. Dimentica di tanto in tanto che la passione non deve impedire a un cantante di cantare; si vede dai gridi improvvisi (che gli sono scappati poche volte, devo rendergli giustizia per questo) che ha percorso la nostra provincia dopo la sua partenza dall’Italia. Tornerà presto, non ne dubitiamo, alle sane tradizioni. La sua voce è un po’ velata, ma toccante, emozionante; ha forza, ma non riesce senza sofferenza a elevarsi al la naturale di petto. Ricciardi non ha quasi per niente utilizzato suoni di testa, le sue note miste sarebbero gioiose e piene d’espressione, se le avesse esercitate abbastanza da esserne pienamente padrone. Sfortunatamente teme di usarle e da lì deriva un tremolio faticoso della voce e qualche suono dubbioso. Esso ha interpretato con molta verve il suo duo con Aston (sic)10, i suoi monologhi nel finale, e soprattutto la prima parte dell’ultima scena, dove l’andante a tre tempi11, perfettamente intonato alla sua voce, l’ha posizionato nell’opinione dell’auditorio ad un’altezza alla quale il resto del ruolo non l’aveva fatto supporre capace di arrivare. Del resto, lasciamogli il tempo di rimettersi dai terrori del primo debutto; ed eccolo accettato, applaudito, richiesto; che dimentichi la provincia; che non lanci più quelle infelici parole mezze parlate nella scena della sfida; che metta un po’ più di respiro nel

7 Atto II, n. 8 Sestetto: “Sur sa tête qu’il relève”. Il quartetto che menziona Berlioz è in effetti un sestetto che comincia a due voci (Edgard, Henri), continua a quattro (entrata di Lucie e del

Ministre) e finisce a sei (si aggiungono Gilbert e Arthur). 8 Atto III, n. 14 Scena e aria: “Mon nom s’est fait entendre”. 9 Achille Ricciardi, tenore italiano. Debuttò a Milano, poi venne a Bordeaux prima di salire a Parigi. Una rappresentazione a suo beneficio fu realizzata al Théâtre de la Renaissance il3 febbraio 1840. 10 Atto III, n. 11 Duo: “Edgard, oui, moi”. 11 Atto III, n. 15 Scena e aria: “Bientôt l’herbe des champs”. 83 LUCIA DI LAMMERMOOR

movimento dell’ultima aria, arriverà così a meglio appoggiare il suono, e l’espressione non potrà che guadagnarne (Duprez, per cui il ruolo venne scritto, lo canta meno velocemente); che acquisti fiducia in se stesso e lui in noi e tutto andrà bene. Il ruolo del ministro [di Dio] è stato ricoperto da un grosso giovanotto, di diciotto o vent’anni, spagnolo, fatto uscire, diciamolo, dai ranghi di corista, per incaricarlo, all’improvviso, quasi per forza, di un ruolo che non ha assolto affatto male. La sua voce da basso è molto bella, ma le principali note gravi, la, sol, fa, gli mancano completamente. È ancora troppo giovane. Hurteaux12 (Aston) è un francese (ci sono perfino dei francesi in questa troupe), già allievo del Conservatorio; non era molto in forma con la voce l’altro giorno, quindi non ne parleremo se non dopo averlo visto di nuovo e ascoltato meglio. La partitura di Donizetti è oggi troppo conosciuta, per sentirci obbligati di farne un’analisi dettagliata. Diciamo solamente che contiene dei brani molto validi, che l’espressione drammatica è generalmente molto più rispettata che nella maggior parte delle opere serie degli italiani moderni e che i suoi difetti sono gli stessi che i francesi e i tedeschi rimproverano alla maggior parte delle produzioni dei successori di Rossini. Ossia: poca differenziazione melodica, punti regolari d’arresto alla fine di ogni frase che interrompono il movimento musicale in maniera sempre identica, per lasciare ai cantanti tutta la libertà di cantare a squarciagola una cadenza finale che è sempre la stessa; gran rumori d’orchestra per nulla; una ripercussione eccessivamente prolungata di accordi in successione di tonica e dominante nelle perorazioni; appoggiature melodiche del violino raddoppiate al basso e a due ottave di distanza da una voce di basso; disegni saltellanti dell’ottavino in una scena triste o imponente; in una parola, i difetti che accompagnano troppo spesso un lavoro

12 Auguste Hyacinthe Hurteaux (1808-?), baritono francese, primo premio di vocalizzazione (1829), secondo premio di canto (1828) e secondo premio d’opera (1829) del Conservatorio di Parigi. Si è esibito a più riprese alla Società dei concerti e all’Opéra nel 1830. Partì per perfezionarsi all’estero e poi fu ingaggiato dal Théâtre de la Renaissance. 84 “Ô bel ange, ma Lucie” non “Bell’alma innamorata”

precipitoso e l’utilizzo di schemi per così dire meccanici che l’incoraggiano. Ciò che mi è parso bello è il grande quartetto che precede l’arrivo di Edgard;13 l’effetto generale risulta molto felice, eminentemente drammatico; le voci sono disposte abilmente e l’esplosione finale, ritardata un po’ mediante una tenuta della sesta in acuto sotto la quale passano differenti armonie, produce un’impressione potente. Il finale14 possiede movimento e calore, ma trovo che finisca proprio quando l’interesse musicale inizi a innalzarsi e lo stile a colorarsi di accenti inattesi. La scena della follia è abilmente trattata, benché non è probabilmente tutto qua quello che si poteva fare in una situazione simile. Ma preferisco di molto a tutto il resto, l’ultima scena; quella dove Edgard disperato, mentre aspetta Aston per combatterlo vicino ai sepolcri della sua famiglia, apprende della follia e della morte di Lucia. Le due arie da cui è composta sono di una tristezza straziante, senza esagerazioni, senza enfasi, ben melodiche, vere nei sentimenti e negli accenti; l’ultima frase colorita soprattutto, in cui la voce del fidanzato morente si eleva con sforzo su questa bella espressione italiana che non rende bene in francese: “O bell’alma innamorata!”15 m’è sempre sembrata sublime. Perché, allora, è necessario che nel mezzo di questo poetico dolore, il coro intervenga per disincantare lo spettatore con il più piatto dei prosaicismi! Questa frase dei tenori che consolano Edgardo è certamente presa dal repertorio preferito dei barbieri italiani: mi ricorda il mio parrucchiere di piazza di Spagna e la sua vecchia chitarra, e il ragazzo del caffè Greco e il portiere della nostra Accademia [di Francia a Villa Medici, n.d.t.]. Bisogna davvero che il compositore sia stato abbandonato dal suo angelo custode per rovinare così il suo spartito nella parte più bella. Alphonse Royer e Gustave Vaëz16 hanno fatto la loro traduzione

13 Berlioz ha già menzionato, qualche linea più in alto, questo quartetto che è in effetti un sestetto. 14 Atto III, n. 9 Suite e Stretta del finale: “Tremble, insensé”. 15 Letteralmente in francese “Ô belle âme énamourée”. Nella traduzione “Ô bel ange, ma Lucie”. 16 Alphonse Royer (1803-1875), letterato, librettista e autore francese. Ha toccato tutti i generi 85 LUCIA DI LAMMERMOOR

con talento e coscienza; il libretto italiano non ha subito che delle leggere modifiche che gli sono state del tutto vantaggiose e per le quali Donizetti ha scritto qualche nuova pagina. Non succede certo spesso ai compositori stranieri di veder la loro musica adattata con traduzioni così eleganti, così fedeli e così poco imbarazzanti per i cantanti.

Hector Berlioz

con successo e ha avuto la collaborazione più fruttuosa con Vaëz. Lascerà una Storia del teatro dell’Opéra (1875). Gustave Vaez (1812-1862), autore drammatico e librettista belga. Ha scritto libretti per Bruxelles (1829-1834), poi si è legato, a Parigi, piazza per la quale si era impegnato a scrivere commedie, drammi e vaudevilles, e soprattutto a ben tradurre i libretti di opere italiane. 86

L’armonica a bicchieri

Le origini dell’armonica a bicchieri sono antiche: uno strumento composto da una serie di ciotole riempite d’acqua a livelli diversi, in modo da produrre suoni differenti, era diffuso in Persia e in India, dove è testimoniato soprattutto nel medioevo islamico. In Europa l’attestazione più antica si ha dal trattato Theorica musicae di Gaffurio (1492), dove un’incisione mostra un “esperimento pitagorico” con bicchieri riempiti d’acqua in base a precise proporzioni, che vengono suonati con due bacchette strisciate contro il bordo. Nel corso del Settecento lo strumento si diffonde in Europa, con diversi modi possibili di produrre il suono: o con delle bacchette, o sfiorando direttamente con la punta delle dita il bordo o il lato esterno superiore dei bicchieri. Ad accrescere ulteriormente la popolarità dello strumento contribuì Benjamin Franklin, che ne studiò una versione da lui chiamata armonica in una lettera allo scienziato piemontese Giovanni Battista Beccaria. Lo strumento spesso è chiamato con il nome tedesco, Glassharmonika, dato che fu prodotto soprattutto in fabbriche della Germania (in italiano “armonica a cristalli rotanti”). In questa versione le coppe di vetro erano montate su un asse centrale rotante azionato da un pedale, che le metteva in movimento e permetteva una maggiore velocità nella realizzazione di scale e arpeggi. In successivi sviluppi, la rotazione permetteva anche di intingere il bordo delle coppe in una vasca piena d’acqua, evitando così al musicista l’andirivieni continuo per inumidire le dita. Benjamin Franklin disse sempre che tra tutte le sue invenzioni, LUCIA DI LAMMERMOOR

anche se non era la più utile, l’armonica era quella che preferiva. In un incontro con Franz Mesmer, che utilizzava il suono dell’armonica a bicchieri per i suoi esperimenti sul magnetismo animale, Franklin preferì discutere dello strumento, piuttosto che delle tecniche di guarigione dell’austriaco. Per alcuni decenni lo strumento, tanto nella versione originale che in quella di Franklin, conobbe grande diffusione: già negli anni ’40 del Settecento abbiamo notizie di concerti dati da Christoph Willibald Gluck a Londra e a Copenaghen. I concerti di virtuose quali Marianne Davies e di Marianne Kirchgessner creavano grande affluenza di pubblico. Proprio per la Kirchgessner Mozart scrisse nel 1791 il Quintetto per glassharmonika, flauto, oboe, viola e violoncello. Chateaubriand disse a proposito dell’armonica a bicchieri che «L’orecchio d’un mortale può percepire nei suoi toni lamentosi gli echi di una divina armonia», mentre Goethe vi identificava «la linfa vitale del mondo». Ma lo strumento ebbe fin da subito un marcato collegamento con la follia, dovuto non solamente agli esperimenti di Mesmer, ma anche alla teoria che lo sfregamento del vetro sui polpastrelli avesse un effetto negativo sui nervi del suonatore. Si diceva che provocasse disordini nervosi, le convulsioni in cani e gatti, dispute coniugali, e persino che avesse ridestato i defunti dalla morte, tanto che in alcune città tedesche lo strumento venne proibito dalla polizia. È possibile che sulla reputazione sulfurea dello strumento abbia avuto una forte influenza il fatto che Mesmer la utilizzava nei propri esperimenti, collegandola quindi all’ambito “magico”. Gerhard Finkenbeiner e Vera Meyer riportano la teoria secondo la quale il piombo presente nel cristallo dell’epoca si sarebbe introdotto nella circolazione sanguigna appunto attraverso la punta delle dita, causando alla lunga un danno al sistema nervoso. Vennero quindi realizzate alcune versioni dello strumento in cui la frizione sui cristalli veniva realizzata suonandolo con delle bacchette, o collegandoli a una tastiera, per tentare di ovviare al problema, ma dagli anni ’30 dell’Ottocento la

90 L’ARMONICA A BICCHIERI

popolarità dello strumento declinò, e proprio in Lucia ne troviamo uno degli ultimi esempi. Scrivendo per Lucia di Lammermoor la scena della follia della protagonista, Donizetti scelse come strumento per accompagnare il delirio della protagonista proprio l’armonica a bicchieri, che era in grado da un lato di rendere l’arcana “armonia celeste” udita da Lucia, dall’altro di suggerire immediatamente agli ascoltatori la connessione con la malattia psichica. Ma fin da subito, per la difficoltà di trovare un virtuoso dello strumento in grado di accompagnare la cadenza del soprano, Donizetti previde una versione alternativa per flauto, che è quella più comunemente eseguita. L’armonica a bicchieri e la glassharmonika hanno conosciuto una relativa ripresa a partire dagli ultimi decenni del Novecento; gli strumenti attuali hanno un suono più potente e non causano problemi di sensibilizzazione nervosa. È quindi finalmente possibile eseguire la scena della follia di Lucia di Lammermoor così come era stata immaginata dal compositore. Scrive Paolo Isotta che «l’armonica a bicchieri, invece di doppiare la voce come fa il flauto, le crea intorno un vero e proprio nimbo: con un timbro ch’è, letteralmente, qualcosa non di questo mondo».

91

L’abbandono del corpo e dell’anima di Gilbert Deflo

Il ciclo dell’odio e della vendetta è un tema ricorrente nel melodramma del XIX secolo, che ne rappresenta l’eterno ritorno. Gli effetti fatali che il mondo maschile esercita sull’anima femminile trovano emblematica incarnazione nella figura di Lucia, che a ciò risponde con l’unico antidoto di cui dispone: l’abbandono del corpo e dell’anima. In questa prima metà del XIX secolo, l’opera mette in scena un tema che raffigura il disturbo mentale non come risultato di fattori esterni (spiriti o fantasmi), bensì come turbamento fisico originario in un contesto familiare e sociale molto concreto. Osserviamo più da vicino gli uomini che costituiscono l’entourage di Lucia. Per Enrico, la sorella è soltanto un mezzo per ripristinare la sua potenza vacillante e ridare lustro al blasone di famiglia («de’ miei destini impallidì la stella»). Lo affianca Normanno, il vile esecutore delle sue abiette macchinazioni. Per effetto degli odi ancestrali che mettono l’una contro l’altra le due famiglie, Edgardo, il romantico innamorato, rinuncia al perdono che inizialmente aveva concesso per gettare l’animo di Lucia nel terrore autentico, proclamando che il giuramento di vendetta non è rotto («M’odi e trema»). E quando abiura l’anello, simbolo della loro eterna unione («tempio ed ara è un core amante»), la sorte di Lucia è definitivamente segnata. Raimondo, nelle vesti di padre spirituale e precettore, dovrebbe giungere in soccorso di Lucia, offrirle comprensione e sostegno, ma invece è lui a spingerla definitivamente nella disperazione, giacché il terrore religioso è un argomento implacabile («I nuziali voti che il ministro di Dio non benedice, né il ciel, né il mondo riconosce»). Questo cielo inesorabile, questo mondo di convenienze non lasciano scampo a LUCIA DI LAMMERMOOR

Lucia: la famiglia, intesa come valore sacro («la madre, nell’avello, fremerà per te d’orror») strazierà il suo animo. Il cielo sotto il quale Lucia può respirare è di diversa natura: è l’illusione dell’amore unico che non può essere venduto, né condiviso. L’unico vero altare è quello del suo cuore. L’ultimo personaggio maschile, Arturo, non è particolarmente rilevante a livello psicologico e funge sostanzialmente da catalizzatore per la conclusione fatale del dramma. È soprattutto a partire dal XIX secolo che le manifestazioni dell’anima e dell’inconscio sono state esplorate sistematicamente. Il teatro musicale testimonia questo interesse tramite la figura di Lucia, con la sua grande sensibilità, le sue allucinazioni, le sue estasi. L’opera di Donizetti offre una descrizione clinica di uno stato psichico, vale a dire la follia di Lucia. Ne ritroviamo un ulteriore caso tipico ne di Bellini. Lucia presenta dunque il prototipo di questa donna sensibile, appassionata, con quei desideri e quelle sofferenze dell’anima di cui è ricco il romanzo naturalista e simbolista. Ma Lucia canta, e il canto mi sembra il mezzo ideale per la trasposizione estetica nel sublime, con le sue effusioni liriche, di meraviglia o di dolore. Come può il regista orientare il lavoro del cantante-attore perché possa dare corpo alla patologia così definita? Come trovare le espressioni del volto, gli atteggiamenti e i gesti adeguati? Le prime descrizioni del modo in cui gli stati d’animo producono effetti fisiologici risalgono al XVII secolo: le tavole di Le Brun offrono materiale fecondo e affascinante, che guida il regista nelle sue ricerche per il piano recitativo di un dramma barocco. Due secoli dopo, l’iconografia fotografica di Charcot offre modelli di espedienti “teatrali” che possono applicarsi a meraviglia a Lucia: vi ritroviamo infatti il timore, i deliri e le movenze passionali. Situando Lucia di Lammermoor nell’epoca della sua creazione, in questo XIX secolo borghese, ho voluto fare vivere questa follia in modo autentico, per trasformare la finzione illusoria dell’opera in un evento assolutamente reale.

94

Joan Sutherland (Lucia) nel 1962 nei camerini del Teatro Massimo. LUCIA DI LAMMERMOOR Al teatro massimo

La prima occasione in cui Lucia di Lammermoor va in scena al Teatro Massimo è il 13 marzo 1901: nelle sette rappresentazioni dirette da Rodolfo Ferrari si alternano Regina Pinkert e Bianca Morello (Lucia), Giuseppe Anselmi e Francesco Nieddu (Edgardo) e Giuseppe Tisci- Rubini e Silvio Becucci (Raimondo), accanto a Rodolfo Angelini Fornari (Enrico), Augusto Nannetti (Arturo), Amelia Fusco (Alisa) e Enrico Rivarola (Normanno). La Lucia che va in scena il I marzo 1904 è diretta, come quasi tutte le opere della stagione, da Edoardo Mascheroni, il direttore celebre per la prima rappresentazione italiana di Fidelio (a Roma) e la prima assoluta di alla Scala. Il cast è di grande prestigio: Lucia è una appena ventunenne Maria Barrientos, mentre nel ruolo del fratello Enrico c’è il baritono Pasquale Amato. Da notare che il soprano spagnolo debutterà al Metropolitan di New York nel 1908 proprio con quest’opera e insieme a Pasquale Amato. Gli altri interpreti sono Remo Andreini (Edgardo), Osvaldo De Gennaro (Arturo), Giuseppe Tisci Rubini (Raimondo) Ida Poli (Alisa) e Ernesto Botteghelz (Normanno). In alcune delle sette repliche successive dirige Giovanni Bossa e cantano Adelina Tromben (Lucia), Marino Aineto (Enrico) e Pietro Francalancia (Raimondo). Il 2 aprile del 1919 Edgardo è Dino Borgioli, che aveva iniziato la carriera appena due anni prima e che pochi mesi dopo avrebbe debuttato alla Scala con un altro titolo donizettiano, Don Pasquale, prima di iniziare la sua grande carriera internazionale. Borgioli aveva già cantato al Teatro Massimo l’anno precedente ne I puritani e nel corso della stagione 1919 interpreta anche di Massenet e La LUCIA DI LAMMERMOOR

bohème. Gli altri cantanti sono Ayres Borghi-Zerni (Lucia), Leone Paci (Enrico), Guido Uxa (Arturo), Fernando Autori (Raimondo), Ada Favi (Alisa) e Gualtiero Favi (Normanno), dirige le otto rappresentazioni Giuseppe Baroni. In occasione di una serata di gala in onore della Squadra Navale Italiana, il 28 gennaio 1923, prima dell’inizio della stagione lirica, l’opera di Donizetti viene diretta da Giuseppe Pais, con Lina Romelli (Lucia), Giuseppe Piliego (Edgardo), Marco Redondo (Enrico) e Giulio Tomei (Raimondo). La Lucia di Lammermoor la cui prima rappresentazione avviene l’8 marzo 1932 è da ricordare in primo luogo per la presenza come protagonista di , insieme a Enzo De Muro Lomanto (Edgardo), Domenico Mastronardi (Enrico), Virginio Assandri (Arturo), Ernesto Dominici (Raimondo), Esmeralda Corti (Alisa) e Cesare Spadoni (Normanno), dirigeva Ferruccio Calusio; ma anche perché la recita del 12 marzo fu la prima trasmissione radio effettuata in diretta dal Teatro Massimo dalla Stazione Radio di Palermo. Sulle pagine de «L’Ora» leggiamo a proposito della Lucia di Toti Dal Monte: «La sua interpretazione è singolare; essa dà vita cantando al personaggio; non arido virtuosismo, quindi, ma l’amalgama perfetto della cantante e dell’attrice, ambedue perfette! Il pubblico che l’aveva acclamata durante tutta l’opera si abbandonò dopo la scena della pazzia ad un entusiasmo senza pari, tributando alla diva una formidabile acclamazione che durò vari minuti! […] La comunione nella vita e nell’arte fra la Toti e il tenore De Muro Lomanto ha prodotto una mirabile fusione, ché il De Muro sa fondere la sua voce che è fresca, di bel timbro e suadente con quella della sua celebre e diletta compagna». Da notare infine che il 15 marzo ci fu una serata in onore di Toti Dal Monte, che alla fine dell’opera cantò alcune arie accompagnata dal pianista Marcello Tomasetti, mentre il 26 marzo, per la serata in onore di Enzo De Muro Lomanto, il tenore eseguì, nell’intervallo tra secondo e terzo atto, “Una furtiva lagrima” dall’Elisir d’amore e e due canzoni. La popolarità di Lucia di Lammermoor fa sì che ricorra sovente nelle

98 LUCIA DI LAMMERMOOR AL TEATRO MASSIMO

stagioni autunnali del Teatro Massimo che dal 1937 si svolgono al Politeama Garibaldi: così per il 30 novembre 1937 con Clara Frediani (Lucia), Mario Filippeschi (Edgardo), Nicolò di Cristina (Enrico), la direzione di Mario Cordone e la regia di Romolo Gismondi, e di nuovo sempre con la regia di Gismondi per tre rappresentazioni dall’11 novembre 1939, con la direzione di Luigi Cantoni e Lina Aimaro (Lucia), Giuseppe Botti (Edgardo) e Marcello Venturini (Enrico). Nel 1944 l’opera viene presentata per sei rappresentazioni, con prima il 18 marzo, dirige Filippo Ernesto Raccuglia, la regia è di Aldo Mirabella Vassallo. Sul palcoscenico si alternano Ugo Gennaro e Gaetano Viviani nel ruolo di Enrico, Lucia è Franca Bellavia, Edgardo Giuseppe Fontanarosa, Arturo Francesco Mazzola, per Raimondo si succedono Salvatore Gennaro e Paolo Nastasi, Alisa è Maria Alotta, Normanno Salvatore Pollicino. Nel 1946 (10 dicembre, tre rappresentazioni) e nel 1949 (4 dicembre, 2 rappresentazioni) per la stagione autunnale al Politeama vengono riproposte rispettivamente la regia di Mirabella Vassallo e quella di Gismondi; nel primo caso dirige Filippo Ernesto Raccuglia, cantano Cesare Bardelli (Enrico), Franca Bellavia (Lucia) e Antonio Annaloro (Edgardo), nel secondo dirige Mario Rossini mentre gli interpreti principali sono Anselmo Colzani (Enrico), Clara Frediani (Lucia) e Gianni Jaja (Edgardo). E ancora per la stagione autunnale del Politeama, il 9 dicembre 1954 cantano Luigi Infantino (Edgardo), Erina Valli (Lucia) e Carlo Peruzzi Meliciani (Enrico), dirige Glauco Curiel, regia di Salvo Gennaro con le scene di Enzo Dehò. La sera dell’11 marzo 1960 è un’altra pietra miliare della storia del Teatro Massimo: va in scena, per la prima di quattro rappresentazioni, Lucia di Lammermoor. Dirige Tullio Serafin, regia, scene e costumi di , coreografia di Nives Poli; nel cast (Enrico), Gianni Raimondi (Edgardo), Franco Ricciardi (Arturo), Silvio Majonica (Raimondo), Vittorina Magnaghi (Alisa), Glauco Scarlini (Normanno) e soprattutto , che un anno prima alla di Londra era stata consacrata tra le grandissime interpreti di Lucia, anche in quel caso con la

99 LUCIA DI LAMMERMOOR

direzione di Serafin. Sul «Giornale di Sicilia» del 12 marzo 1960, Ubaldo Mirabelli scrive: «Nel romanticismo donizettiano – oggi così interessante e vivo – la voce impone il suo colore e lo avviva con un’armonia semplice e necessaria, che bisogna ascoltare resa da una interprete superiore per coglierne la bellezza e la profondità istintive. Tullio Serafin, erede grandissimo della più pura tradizione del teatro d’opera italiano, ha ierisera al Massimo trasfuso in suono la partitura della Lucia in tutta la ricchezza e forza del suo dolcissimo valore espressivo. […] E per il grande direttore, ancora una volta, il melodramma si fece ierisera al Massimo forma purissima e sincera, effusione e sublimazione, verità e poesia, gioie e lacrime, voluttà di pianto e abbandono sulle ali del sogno, orrore e pietà, sempre, commozione, incanto del cuore rapito dalla musica che nel sestetto trovò traboccante ed esaltante bellezza in uno fra gli squarci stupendi del teatro d’opera. Perché ierisera, in uno spettacolo fra i più alti e compiuti nella storia o, se volete, nella cronaca della vita artistica palermitana, la musica di Donizetti e la lacrimevole ed oleografica vicenda hanno avuto ancora una resa visiva che pareva esaltarsi alla musica ed illuminarla a sua volta. Franco Zeffirelli, scenografo e regista, vi ha trasfuso l’impianto prospettico tipicamente settecentesco con il colore e l’indefinito della messinscena romantica. Scene costruite e, nello stesso tempo, dipinte, proiettate in una visione di sfondo ed emergenti in vigoria di disegno e di colore, animate da una illuminazione illusiva e balenante su tutti gli elementi: gli alberi, la fonte, il torrione rientrante del castello dei Ravenswood, le tombe in rovina verdeggianti d’edera e di muschio. Dai particolari, minutamente delineati, allo sfondo, il quadro dello Zeffirelli ha raccolto le suggestioni scenografiche italiane e le sottili e raffinatissime ispirazioni della pittura inglese del primo ottocento. […] nella Lucia il segno sfuma verso delicatezze squisite: blocchi d’insieme che ci pare conducano a Constable, ai suoi paesaggi fermati in una folgorazione di luce viva, così come i costumi, sovrabbondanti e animanti la preziosità degli sfondi, paiono tradurre per il melodramma le squisite figurazioni del

100 LUCIA DI LAMMERMOOR AL TEATRO MASSIMO

Gainsborough o dei quadri storici del Bonington. Sono tutti pittori del primo ’800, cui lo scenografo ha guardato, forse, per il riferimento dello stesso Scott, che immagina di un pittore ispiratore della vicenda degli amanti scozzesi. Ma Zeffirelli ha sentito e visto le ispirazioni pittoriche in una realtà di scena e di melodramma che ci pare seguire l’eleganza e il fascino di Donizetti in una realtà di scena che poche volte abbiamo sentito così vicina all’incanto di una musica. Joan Sutherland, rivelata dal maestro Serafin all’attenzione del mondo musicale italiano, ha ierisera cantato la Lucia in maniera sbalorditiva emergendo in un ruolo che ha riferimenti impegnativi e tremendi, in passato e oggi. Inutili i confronti: ogni artista è se stesso. La Sutherland è il soprano coloritura o con agilità, come lo definivano i vecchi trattatisti, per il quale sono state scritte le opere più disparate, da , a Sonnambula, a Puritani, Barbiere di Siviglia [ndr: la parte di Rosina era ancora appannaggio dei soprani] e . Una voce, la Sutherland, che ha la forza dell’accento incisivo e il colore della fioritura più lieve. La scena della follia è stata interpretata dall’eccezionale soprano con allucinante vivezza. Trascorrendo da una figurazione all’altra negli stupendi quadri predisposti dalla regia di Zeffirelli, la Sutherland ha dato alle agilità, alle fiorite e gorgheggianti evasioni canore la verità sinistra e fuggente della follia. Il canto si fa attraverso questa voce stupenda verità ed evasione nello stesso tempo, significazione puntuale e volo magico, espressione e colorata evanescenza. Un nuovo astro è sorto nel firmamento del canto dove la voce non è soltanto dono di natura ma istinto sollecitato dalla squassante potenza del sentimento. Così ierisera per sette volte Joan Sutherland è stata acclamata da sola alla ribalta dopo la stupefacente interpretazione della “follia”: sola, piccola donna smarrita, restituita al tremito convulso della emozione che la squassava in una gioia di lacrime tra un pubblico che per lei delirava. Accanto alla protagonista, con lei, quale Edgardo il tenore Gianni Raimondi ha cantato con sovrumana bellezza di accenti, dando campo alla sua voce di spiegarsi generosa, squillante, timbrata e cristallina: una gioia felice

101 LUCIA DI LAMMERMOOR

e generosa che vorremmo a lungo godere, se il tenore, soprattutto, resterà in quel “” che è dono stupendo e solare d’una vocalità sempre più rara. Rolando Panerai è stato un Lord Enrico di intelligente e sapiente resa canora sostenuta, se non da una voce calda e ricca, certamente da nobiltà espressiva e scenica. Il Majonica ha dato a Raimondo nobiltà di declamato ma, a nostro parere, poco empito di canto. Argentina e squillante, gradevolissima nel bel timbro, la voce di Franco Ricciardi, Lord Arturo di mirabile rilievo. Bene la Magnaghi e lo Scarlini. Il bel coro del maestro Lazzari ha cantato con giustezza, colore ed efficacia fornendo allo spettacolo musicalo lo slancio, che dal palcoscenico e dalla messinscena parve risplendere in uno fra i successi più alti fin oggi registrati nel nostro teatro. La bacchetta del maestro Serafin ha condotto l’orchestra ad una pienezza di suono che sembrò rilucere e splendere nell’impasto delle voci e degli strumenti in una malia rinnovantesi di canto. Circa ventotto chiamate complessive. E una sala muta di stupore per le scene dello Zeffirelli, per la reiga, la tensione del movimento dall’interprete scenico saputa imprimere al melodramma. Scene, lo dicemmo già, di una bellezza e di una aderenza da incantare. Inquadrature stupende, scorci di chiese, castelli, tombe dirute, camini sullo sfondo di sale, avvampanti fra panneggi ricchissimi. Una folla di cortigiani e di guerrieri in costumi, creati dallo stesso Zeffirelli con la supervisione di Peter Hall: tweed scozzesi, pellicce riboccanti, cuoi, cappelli piumati; antica Scozia e melodramma: soprattutto il ricco spiegarsi di una fantasia scaturita dalla vicenda e dalla densità della musica promanante le sue raffinate seduzioni. Al pubblico piacerà conoscere che tutto, costumi e scene, è stato realizzato a Palermo, le scene, in particolare, da Bruno Montunati e Franz Fortunato. L’Opera di Parigi ha chiesto la messinscena del Massimo creata da Zeffirelli e costruita, fatta dai nostri artigiani. In un palco nascosto c’era una luce e un signore, curvo su di uno spartito, seguiva l’esecuzione. Era il maestro Pierre Dervaux, eccezionale interprete l’anno scorso di , che fra breve dirigerà Lucia a Parigi, protagonista Joan Sutherland. È

102 In alto: II atto di Lucia di Lammermoor, nel 1962 al Teatro Massimo (regia, scene e costumi di Franco Zeffirelli). In basso: Joan Sutherland (Lucia) riceve gli applausi del pubblico del Teatro Massimo nel 1960. LUCIA DI LAMMERMOOR

venuto per studiare l’opera in Italia, a Palermo, per ascoltare Tullio Serafin: l’esponente glorioso di una tradizione immensa che sa ancora per la nostra gioia rinnovare e ridestare quelle emozioni che non sono perdute, scoprire le voci e portarle alla gloria dell’arte, far pulsare di vita e di sangue spartiti che l’uso consuma, l’ispirazione e il cuore rinnovano». Le scene e i costumi realizzati a Palermo furono adoperati, come accenna Mirabelli, all’Opéra di Parigi per Lucia di Lammermoor con Joan Sutherland e la direzione di Dervaux, prima rappresentazione il 25 aprile 1960. Su «L’Ora» datato 12-13 marzo 1960, Filippo Ernesto Raccuglia riporta che lo spettacolo, grazie alla «geniale bacchetta di Tullio Serafin», al «raffinato buon gusto di Franco Zeffirelli» e all’«elettrizzante apporto canoro di artisti quali il soprano australiano Joan Sutherland ed il tenore Gianni Raimondi ha avuto una accoglienza talmente entusiastica da superare ogni aspettativa». «Joan Sutherland è stata una protagonista ideale. Voce dal timbro dolce ma consistente, intonazione di assoluta precisione e purezza, tecnica di canto ineguagliabile. È stata naturalmente la trionfatrice della serata, chè, dopo la scena della pazzia, il pubblico con unanime insistente fragoroso plauso l’ha evocata alla ribalta quattordici o quindici volte; ma ieri sera in realtà lo spettacolo è stato un trionfo per tutti […]. Bravi i nostri tecnici e le nostre maestranze che hanno realizzato con eccezionale abilità e con instancabile lena l’intero allestimento: le belle scene, dipinte nella scenografia del Massimo sotto la guida dei pittori Montonati e Fortunato e costruite nei nuovi laboratori dell’Ente, in via Ciullo d’, insieme alla complessa attrezzeria, ai mobili, al sontuoso camino del secondo atto, all’armeria; gli splendidi costumi, confezionati interamente nella sartoria dell’Ente Autonomo del Teatro Massimo sotto la guida del supervisore Peter Hall, del “Covent Garden Roayl Opera House” di Londra. Né bisogna dimenticare l’apporto del reparto macchinisti per il non facile montaggio e la messa a punto delle scene e degli elettricisti per la perfetta realizzazione delle luci». Due anni dopo l’allestimento di Zeffirelli viene ripreso, per un’unica

104 LUCIA DI LAMMERMOOR AL TEATRO MASSIMO

rappresentazione (a seguito di uno sciopero) il 21 gennaio 1962: dirige Nino Sanzogno, coreografia di Ria Legnani, il cast è in parte lo stesso: Joan Sutherland (Lucia), Cornell MacNeil (Enrico), Gianni Raimondi (Edgardo), Franco Ricciardi (Arturo), Ivo Vinco (Raimondo), Laura Zanini (Alisa), Athos Cesarini (Normanno). Altri grandissimi interpreti nel 1968 (la prima delle cinque rappresentazioni è l’11 aprile) per la rgia di Aldo Mirabella Vassallo che riprende l’allestimento scenico di Zeffirelli: Lucia è , Edgardo , Enrico Renato Bruson, Arturo Giuseppe Baratti, Raimondo Agostino Ferrin, Alisa Elvira Galassi, Normanno Glauco Scarlini, dirige Bruno Bartoletti. Pochi mesi prima Renata Scotto aveva inaugurato il Teatro alla Scala di Milano proprio con Lucia di Lammermoor diretta da Claudio Abbado. Sul «Giornale di Sicilia» del 12 aprile 1968 Renato Chiesa nota «lo scrupolo non comune» dedicato da Bartoletti all’orchestra: «evitate quindi le eccessive sonorità, i rinforzi stridenti, per una omogeneità timbrica e cantata (anche per il palcoscenico più utile sul piano pratico). […] Le grandi scene d’assieme, nel secondo e terzo atto, sono state infine le prove più positive per Bartoletti […]. Renata Scotto […] è un soprano il cui timbro naturalmente felice è stato sorretto da una tecnica capace di evitare il pericolo dell’uniformità di colore. La sua voce sa essere argentina e vibrante, in molteplici e diverse sfumature dettate anche dalla sensibilità psichica della cantante stessa. Con tali premesse la Scotto ha affrontato il suo personaggio dando ulteriore prova della spontaneità di portamento e di suoi filati, brillante soprattutto nella tecnica d’agilità, in trilli e volatine ed in un sorprendente picchettato. A questo punto è superfluo dire che la sua Lucia è stata musicalmente completa e piena di fascino. Renato Bruson ha interpretato il personaggio di Enrico con acuta introspezione, rivivendolo vocalmente con cupa intensità, vigore espressivo e continuità sonora di legato. Luciano Pavarotti […] ha dato prova di possedere doti vocali generosissime, buona impostazione in tutto il registro e limpido acuto». Il giovane Luciano Pavarotti viene descritto come «artista di eccezionale

105 LUCIA DI LAMMERMOOR

temperamento» da Giulio Pagano su «Telestar» del 12 aprile 1968: «Con voce calda, forte, dai bei passaggi sicuri, ha reso il ruolo di Edgardo con dovizia vocale ed interpretativa. L’apice è stato nella scena dell’invettiva in cui si è meritato un applauso entusiasta anche da parte del pubblico della sala, di solito piuttosto avaro di consensi». Gioacchino Lanza Tomasi su «L’Ora» dello stesso giorno apprezza la «concertazione giocata su sonorità contenute» di Bartoletti, adattissima per un lavoro come è quello di Donizetti «addirittura ambiguo, tanto ne è insidiosa la semplicità». «La parola poi è alle voci. Protagonista Renata Scotto, con la sua tecnica, il suo timbro, la sua adesione totale alla parte, anzi direi che si trattava di una Scotto particolarmente in forma, tanto nell’accentuazione espressiva del fraseggio che nel crudo virtuosismo del cadenzone col flauto in sesta (non è di Donizetti, ma è ormai un classico inespungibile). Fra l’altro anche il suo fisico sta nella parte più di quanti non si pensi: la bellezza delle eroine romantiche doveva esser più vezzo che realtà e quanto a moine ed atteggiamenti la Scotto è più bambola, donna giocattolo che mai. Una gradita sorpresa l’Edgardo di Luciano Pavarotti, tanto per il timbro battagliero dell’imprecazione che per il fraseggio legato, la sicurezza nel resto dell’opera. Nobile ed adatta la ruolo la voce di Renato Bruson […]». Il 2 aprile 1971 (seguiranno sette repliche) dirige Oliviero De Fabritiis, mentre la regia è affidata ancora a Mirabella Vassallo con l’allestimento di Zeffirelli. Accanto a Renata Scotto vi è un altro grandissimo tenore, , nella parte di Enrico si alternano Domenico Trimarchi e Gabriele Floresta, il cast è completato da Piero De Palma (Arturo), Giovanni Foiani e Plinio Clabassi (Raimondo), Marisa Zotti e Elvira Galssi (Alisa) e Glauco Scarlini (Normanno). In quest’occasione vengono realizzate delle recite per gli studenti, che ottengono un successo incredibile, testimoniato anche dalle fotografie. Sul «Giornale di Sicilia» leggiamo il resoconto: «Pubblico straboccante venerdì pomeriggio per la Lucia di Lammermoor. Il numero degli spettatori era al limite di sicurezza e la platea entusiasta, ma all’uscita non si vedeva il pubblico

106 In alto: Renata Scotto festeggiata dal pubblico di studenti nel 1971 dopo una recita di Lucia di Lammermoor. In basso: Max René Cosotti (Arturo), Lorenzo Saccomani (Enrico) e Cristina Deutekom (Lucia) nel 1975 al Teatro di Verdura. Mariella Devia (Lucia) nel 1983 al Politeama Garibaldi. LUCIA DI LAMMERMOOR AL TEATRO MASSIMO

abituale ma ragazzi con maglioni colorati e ragazze con pantaloni e minigonne […]. Siamo entrati dopo la scena della “pazzia” […]. Dopo la magistrale interpretazione di Renata Scotto, gli applausi erano travolgenti, i giovani l’acclamavano, la chiamavano per nome, Renata, come dicessero Mina. Alla diciannovesima uscita la soprano ci ha dichiarato: “È la prima volta che mi succede, in Italia, una cosa simile”. […] L’impressione che abbiamo riportato, anche parlando con gli studenti, è stata senz’altro positiva. […] il pubblico della provincia ha molto ben risposto e senz’altro questo accostamento rappresenta un primo approccio con il teatro in genere, struttura che se carente in città è del tutto inesistente in provincia. Abbiamo visto giovani che per la prima volta volta entravano in un teatro, per la prima volta provavano questo tipo di esperienza. Abbiamo respirato entusiasmo che non era solo curiosità o eccitamento per il nuovo, ma desiderio di conoscere, di conoscenza alternativa». Sempre di Aldo Mirabella Vassallo, con le scene di Enzo Dehò ma i costumi di Zeffirelli, è la regia per Lucia di Lammermoor al Teatro di Verdura per le tre rappresentazioni nell’agosto 1975 (prima l’8 agosto). Dirige Gabriele Ferro, Lucia è Cristina Deutekom, Enrico Lorenzo Saccomani, Edgardo Beniamino Prior, Arturo Max René Cosotti, Raimondo Mario Machì, Alisa Elisabetta Jaroszwiecz, Normanno Glauco Scarlini. Su «Il domani» dell’11 settembre 1975, scrive Giuseppe Gebbia: «Gabriele Ferro si è accostato alla Lucia con pensosità profonda e finezza ammirabile di lettura. A parte la plasticità delle pagine in cui l’orchestra viene usata isolatamente, giova sottolineare la fusione della massa strumentale (meritevole di ogni elogio) e del coro (bene istruito da Mario Tagini), la chiarezza con cui brillano le voci soliste, anche nelle parti dove le sonorità risultano prepotenti. […] Cristina Deutekom […] ha ben intuito l’aspetto drammatico del virtuosismo donizettiano, ed ha saputo trovare i colori vocali necessari per realizzarlo. La Deutekom è, tutti sappiamo, una cantante di rari meriti: un “vero soprano drammatico di agilità con un registro alto che è timbrato, intenso, lucente”. Non vorremmo cadere in eccessi, riprendere termini d’ammirazione

109 LUCIA DI LAMMERMOOR

abusati, ma è certo che la presenza della stimata cantante olandese nel mondo dell’arte vocale è dominante». Ancora una presenza estiva al Teatro di Verdura, con regia di Carlo Maestrini e scene di Carlo Savi, il 2 luglio 1987 con Franco Giovine (Ashton), Fernanda Costa (Lucia), Dano Raffanti (Edgardo) e la direzione di Karl Martin, che Loredana Cacicia sulla «Gazzetta del Sud» del 4 luglio 1987 loda per aver «saputo dare il giusto spessore alla ricchezza strumentale dell’opera». Sempre il 4 luglio sul «Giornale di Sicilia» Sara Patera apprezza la «guida solerte e accurata di Karl Martin, [che] procedeva con sonorità prosciugate e sottili, sottratte a quella tensione drammatica che costituisce uno dei fili conduttori dell’opera». Torniamo indietro di qualche anno, per raggruppare insieme le tre interpretazioni, a intervalli di dieci anni, offerte da Mariella Devia. Nel 1983 al Politeama Garibaldi la prima delle 12 rappresentazioni ha luogo il 22 maggio. Dirige Donato Renzetti, regia di Carlo Maestrini con le scene di Dehò e i costumi di Zeffirelli/Peter Hall, coreografia di Michèle Ellis, cantano Carlo Desideri (Enrico), Mariella Devia (Lucia), Antonio Savastano (Edgardo), Aurio Tomicich (Raimondo), Elisabetta Jaroszwiecz/Marisa Zotti (Alisa), Pietro Tarantino (Normanno). Nel 1993, sempre al Politeama, dirige Stefano Ranzani, regia e impianto scenico di Filippo Crivelli, coreografia di Gillian Wittingham, il cast vede nelle 12 rappresentazioni (a partire dal 26 febbraio) Roberto Servile / Alessandro Cassis / Jorge Vaz de Carvalho (Enrico), Mariella Devia / Sylvia Greenber / Kathleen Cassello (Lucia), Ramon Vargas / Pietro Ballo (Edgardo), Enrico Facini (Arturo), Michele Pertusi (Raimondo), Floriana Sovilla / Susovsky (Alisa), Pietro Tarantino (Normanno). Fulvio Lo Presti recensendo lo spettacolo sul numero 59 della Newsletter della Donizetti Society scrive della «soluzione infelice ma imperativa di improvvisare all’ultimo momento un allestimento scenico funzionale quanto modesto, consistente in pedane e fondali ricavati da diapositive» alla quale si era stati costretti per l’indisponibilità delle scene di Zeffirelli. «Hanno brillato invece gli splendidi costumi […] questa edizione ha

110 Ramon Vargas (Edgardo) e Mariella Devia (Lucia) nel 1993 al Politeama Garibaldi. Mariella Devia (Lucia) e Alberto Gazale (Enrico) nel 2003 al Teatro Massimo, regia di Gilbert Deflo, scene e costumi di William Orlandi. LUCIA DI LAMMERMOOR AL TEATRO MASSIMO

tratto vanto da una compagnia di canto pressoché ideale. Persino i ruoli minori, escludendo il rozzo Normanno di Pietro Tarantino, sono stati valorosamente ricoperti: dal sontuoso Raimondo (invero ridotto all’osso dai tagli tradizionali) di Michele Pertusi allo squillante Arturo di Enrico Facini all’ammirevole Alisa di Floriana Sovilla. […] La Devia, che è anche stupenda interprete belliniana e rossiniana, […] è ormai da considerare la Lucia degli anni Novanta. […] La purezza del suo strumento e l’agevole, vertiginosa agilità della Devia hanno indotto taluni a scambiare la sua Lucia per la fredda prestazione di un usignolo meccanico. Mariella è tutto tranne quello e qui a Palermo ne ha offerto ampia prova, commovendo indicibilmente con la dolente verità della sua eroina. Al suo fianco ha degnamente figurato Ramon Vargas, un Ravenswood luminoso e irruento, fresco e battagliero, che, giustamente, ha culminato al momento del canto del cigno del personaggio. Roberto Servile, “crudel fratello” e antagonista del tenore con il mordente e la perfidia richiesti (ma niente scena della sfida!), ha fatto risuonare con sicurezza e padronanza il suo nobile timbro baritonale». Sara Patera sul «Giornale di Sicilia» di lunedì 1 marzo 1993 scrive: «Ambienti di una semplicità che, eufemisticamente, suona povertà. Su tutto, trionfante di una purezza senza compiaciuti vezzi virtuosistici, il canto di Mariella Devia, acclamata interprete già sulle scene romane e napoletane […]. Protagonista indiscussa e svettante, la Devia mette le qualità straordinarie della sua voce, che soprattutto nella tessitura acuta e sovracuta si libra con assoluto dominio in dolcezza di filature, luminosità di note, incisività di fraseggio, al servizio di un personaggio delineato con ritrosi pudori e assorto isolamento. […] Crivelli si è mosso tra sobrietà di ritmi scenici d’insieme e libertà concessa agli interpreti principali, con qualche condizionamento dovuto alle salite e discese. Stefano Ranzani, sul podio dell’orchestra del Massimo, dopo qualche incertezza d’esordio, ha mostrato la sua disponibilità nel farsi duttile supporto della vocalità assecondata con rapidi assottigliamenti strumentali che lasciavano talvolta il varco a più spesse e corpose sonorità. Ramon Vargas ha

113 LUCIA DI LAMMERMOOR

dato ad Edgardo, dopo un cauto risparmio iniziale, accenti di ben controllata espressività nel duetto che conclude la prima parte, per imporsi con ben dosata intensità nello spazio protagonistico che l’autore gli riserva con il “Tu che a Dio spiegasti l’ale”. All’insegna di una compostezza di misurato rilievo era l’Enrico di Roberto Servile e nobile di portamento e di colore vocale il Raimondo di Michele Pertusi». Il 12 marzo 2003 al Teatro Massimo Mariella Devia interpreta Lucia per la terza e ultima volta. Dirige Daniel Oren, regia di Gilbert Deflo con scene e costumi di William Orlandi e coreografia di Elena Marzoni, l’altra interprete di Lucia nel corso delle 10 rappresentazioni è Valeria Esposito, cantano inoltre Alberto Gazale e Gabriele Viviani (Enrico), Fabio Sartori e Giuseppe Filianoti (Edgardo), Enzo Peroni (Arturo Bucklaw), Giorgio Surjan e Umberto Chiummo (Riamondo), Mina Blum e Teresa Nicoletti (Alisa) e Angelo Casertano (Normanno). Su «Repubblica» Piero Violante scrive: «Il lutto si addice a Lucia, e nere sono le scene e i costumi di William Orlandi, che si concede solo il bianco accecante, macchiato di rosso, del vestito nuziale della povera protagonista. Alti e incombenti gli interni neogotici, mentre l’esterno scuro è spaccato dal fantasma dell’acqua della fontana o agitato dal turbinio della neve. Un impianto scenico che emana angoscia e che la regia di Gilbert Deflo, ripresa da Elena Marzoni, lascia inerte: movimenti trattenuti dei personaggi come fantasmi abitati da passioni estreme dinanzi ad un coro statico e spettatore dell’orrore che si dipana. Solo Lucia “pazza” nel suo ansioso andirivieni, chinandosi e inginocchiandosi e stendendosi, dà dinamicità allo spazio per morire stecchita, mentre dall’alto scende il grande lampadario, le cui candele diventano ceri funebri accanto al corpo della poveretta». Sul «Giornale di Sicilia» Sara Patera nota la «presenza direttoriale […] centrale e dominante» di Oren, «fisicamente coinvolto dalla musica donizettiana e proteso fin dalle prime note a rendere, con ritmo pressante e con mobile gioco di contrasti, le molteplici vibrazioni che pervadono l’opera, da quei rapidissimi marosi strumentali, preludio al duetto, alla drammatica ma sempre nitida concitazione dell’orchestra per “Il pallor

114 LUCIA DI LAMMERMOOR AL TEATRO MASSIMO

funesto, orrendo” cantato da Lucia. […] Protagonista acclamata, naturalmente, Mariella Devia ci ha fatto dono ancora una volta delle sue sperimentate, eccelse qualità, con la virtù di una voce che il tempo proficuamente speso e l’oculatezza di nuove esperienze hanno reso più intesa senza ombrarne minimamente impeccabilità strumentale e nitidezza». Lo stesso allestimento di Deflo e Orlandi, diretto ancora da Stefano Ranzani con la coreografia di Luciano Cannito e le luci di Roberto Venturi torna sul palcoscenico del Massimo nel 2011. Nel ruolo di Lucia si alternano Desirée Rancatore e Olga Peretyatko, per Edgardo Giuseppe Gipali e Bülent Bezdüz, per Enrico Nicola Alaimo e Giuseppe Altomare, nei panni di Raimondo Deyan Vatchkov e Ugo Guagliardo, accanto a Giulio Pelligra (Arturo), Patrizia Gentile (Alisa) e Iorio Zennaro (Normanno). Sara Patera sul «Gioranle di Sicilia» del 14 giugno 2011 scrive: «L’impegno protagonistico di Desirée Rancatore dà rilievo a sottili particolari e flessioni di fraseggio come nella desolata fragilità di E me nel pianto abbandoni così più che nell’evocazione del fantasma. E così anche con intensità espressiva è reso l’intervento cantabile sullo sdegno di Edgardo, momenti di accurata finezza che si sottraggono a qualche probelma perun indubbio mutamento vocale, con uno spessore più evidente che apre altri orizzonti futuri da valutare. Il che non esclude il dominio della “scena della pazzia” affrontata con piena partecipazione dalla Rancatore, scenicamente con realistica fisicità e accolta con un uragano di applausi. L’Edgardo di Giuseppe Gipali tende piuttosto a dare squillante evidenza al suo canto che a fletterlo verso elegiaci chiaroscuri, in particolare nella mobilità di tinte espressive della sua aria conclusiva. La “cruda funesta smania” sospinge Nicola Alaimo verso accenti così brutali da coprire le qualità di una voce che ritrova morbidezza e linea espressiva […] nella pensosità di Tu mi guardi e taci resa con naturalezza di fraseggio, assecondata nel duetto con Lucia e capace di dar conto di risorse vocali anche possenti». Su «Repubblica» del 18 giugno 2011, Pietro Misuraca dà il giusto rilievo alla presenza nel cast di due affermati artisti palermitani: «Sul

115 LUCIA DI LAMMERMOOR

palcoscenico del Massimo nei panni dell’infelice Lucia e del crudele fratello Enrico (in Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti), per i palermitani Desirée Rancatore e Nicola Alaimo è come giocare in casa: l’abbraccio del pubblico è assicurato, fino all’ovazione da stadio — per il soprano — al termine dell’ardua scena della pazzia. Cimentandosi con un romanticismo canoro intriso di lacrime, follia e morte, la Rancatore affronta l’impervio ruolo con grande impegno fisico ed emotivo: sin dall’aria di entrata si avverte lo sforzo di conferire maggior corpo al registro centrale (a costo di sacrificare il nitore dei sovracuti), di calarsi nel personaggio con partecipazione emotiva, di trovare la postura, i gesti, le espressioni adeguate. Il candore catartico della «cantilena» donizettiana necessita tuttavia di una ricchezza di colori e di vibrazioni che restano estranei al suo timbro: il malinconico incanto si fissa allora in una stupefazione vitrea e allucinata che riesce convincente nel momento della pazzia, centro focale della serata». Nicola Alaimo «sfoggia cospicue doti vocali nei panni dell’altero Lord Enrico, ma l’emissione potente e la dizione nitidissima non sono sorrette dal senso aulico del belcantismo ottocentesco, tendendo così a sconfinare in una ruvidezza stilisticamente impropria». Infine, secondo Ilaria Grippaudo su «GBOpera», Desirée Rancatore utilizza i «sovracuti perfetti» per tratteggiare la pazzia di Lucia: «Non una follia tragica o straziante, ma una follia metafisica, quasi ultraterrena, e davvero priva di corpo e di anima, secondo la lettura di Deflo. Fra le braccia del “crudel fratello”, scambiato nel delirio per l’amato Edgardo, la protagonista incarna il definitivo abbandono del mondo terreno (“il terrestre velo”) e il suo muoversi in una dimensione del tutto sovrannaturale, magistralmente descritta dalla cabaletta (“Spargi d’amaro pianto”)».

116 Desirée Rancatore (Lucia) nel 2011 al Teatro Massimo, regia di Gilbert Deflo, scene e costumi di William Orlandi.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

William Ashbrook, Donizetti. La vita, EDT, Torino 1986, e Donizetti. Le opere, EDT, Torino 1987.

L’opera teatrale di Gaetano Donizetti, Atti del Convegno Internazionale di Studio, a cura di Francesco Bellotto, Comune di Bergamo, Bergamo 1993.

Le prime rappresentazioni delle opere di Donizetti nella stampa coeva, a cura di Annalisa Bini e Jeremy Commons, Skira, Milano 1997.

Donizetti, Parigi e Vienna, Convegno internazionale Roma 19-20 marzo 1998, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 2000.

Il teatro di Donizetti, Atti dei convegni delle celebrazioni, a cura di Francesco Bellotto e Paolo Fabbri, Comune di Bergamo, Bergamo 2001-2004.

Romana Margherita Pugliese, The Origins of “Lucia Di Lammermoor’s” Cadenza, «Cambridge Opera Journal», 16/1 (2004).

Lucia di Lammermoor, «L’Avant-Scène Opéra», n. 233, 2006.

Lucia di Lammermoor, “Quaderni della Fondazione Donizetti” 2, Fondazione Donizetti, Bergamo 2006.

James P. Cassaro, Donizetti. A Guide to Research, Routledge, New York 20092.

NOTE BIOGRAFICHE

Riccardo Frizza Nato a Brescia, completa i suoi studi presso il Conservatorio di Musica di Milano e l’Accademia Chigiana di Siena. Dal 1994 al 2000 è Direttore stabile dell’Orchestra Sinfonica di Brescia. Nonostante la giovane età, è uno dei più accreditati interpreti del melodramma italiano in campo internazionale. È più volte ospite del di Pesaro, del Festival dei Due Mondi di Spoleto, del Festival di , del Festival Verdi a Parma, del Teatro dell’Opera di Roma, del di Torino, del Teatro Comunale di , del di Genova, del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino. All’estero si esibisce presso il Festival Radio France et Montpellier, il Festival di Wexford, il Festival di Aix-en-Provence, il Festival di Saint-Denis, il Festival Mozart de La Coruña, la Filarmonica di San Pietroburgo, alla Royal Festival Hall di Londra, all’Opéra di Marsiglia, presso il Théâtre de La Monnaie di Bruxelles, all’Opéra di Lione, alla Hercules Saal di Monaco di Baviera, alla Sala Nezahualcóyotl di Città del Messico, al São Carlos di Lisbona, al 42esimo Festival internazionale di Osaka. Negli Stati Uniti si esibisce alla Washington National Opera, Seattle Opera, alla e al Metropolitan di New York. Dirige, tra le altre, l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, la Gewandhaus Orchester di Lipsia, la Sachsische Staatskapelle di Dresda, l’Orchestra Sinfonica di Milano “G. Verdi”, i Wiener Symphoniker, la Mahler Chamber Orchestra, l’Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo, la ORF-Vienna Radio Symphony, l’Orchestre National de Montpellier, la Philarmonia Orchestra di Londra, la Tokyo Philarmonic Orchestra, LUCIA DI LAMMERMOOR

Tokyo Symphony Orchestra e Kyoto Symphony Orchestra. Ha diretto con enorme successo la prima esecuzione di al Metropolitan di New York. Nel 2013, in occasione delle celebrazioni verdiane, ha debuttato al Teatro alla Scala, con una nuova produzione di Oberto, Conte di San Bonifacio per la regia di Mario Martone, e all’Arena di Verona dirigendo il Gala Verdi e Rigoletto. Nel 2015 torna a Verona per inaugurare la stagione con , inaugura la stagione anche della Fenice di Venezia con e Traviata, e nella Piazza Indipendenza di Reggio Calabria dirige mille musicisti tra Orchestre giovanili, sinfoniche, di fiati e cori di tutta la provincia. Per la Decca ha registrato il recital di Juan Diego Florez dedicato a Bellini e Donizetti con l’Orchestra Sinfonica “G.Verdi” di Milano, vincendo il Cannes Classical Award 2004. Di recente sono stati pubblicati il CD di Matilde di Shabran (Decca) e i DVD di Armida di Rossini e La fille du régiment (Decca), Nabucco e Maria Stuarda (Dynamic) e (TDK). A febbraio ha diretto Maria Stuarda al Metropolitan di New York. Tra i prossimi impegni: al Liceu di Barcellona, Linda di Chamounix al Teatro dell’Opera di Roma, Otello di Verdi al Opera Festival e Lucia di Lammermoor all’Opéra Bastille.

Gilbert Deflo Nato nelle Fiandre, ha compiuto gli studi di regia teatrale a Bruxelles presso l’Istituto superiore d’Arte e Spettacolo. Nel 1965 è approdato al Piccolo Teatro di Milano, dove si è perfezionato sotto la guida di Giorgio Strehler. La prima regia lirica di respiro internazionale è del 1973 per L’amore delle tre melarance di Prokof’ev all’Opera di Francoforte. Dal 1981 al 1987 lavora come regista stabile al Théâtre Royal de la Monnaie dove firma numerosi allestimenti.

124 NOTE BIOGRAFICHE

Il suo debutto in Italia sulla scena lirica risale al 1989 a Palermo con Fra Diavolo di Auber, seguito dal Trittico pucciniano a Catania, Rigoletto alla Scala, Carmen, Tosca, e Falstaff a Macerata e Cavalleria rusticana e Pagliacci all’Arena di Verona. Parallelamente ha proseguito la carriera internazionale con la realizzazione di regie nei più grandi teatri: Il barbiere di Siviglia, Pélleas et Melisande, Le grand macabre di Ligeti ad Amburgo; La donna senz’ombra alla Welsh National Opera; alla Scottish Opera; La dama di picche al Liceu di Barcellona; e Così fan tutte a Losanna; La bohème al Teatro Colón di Bueno Aires; Rigoletto e La Gioconda a Zurigo; Manon e Don Quichotte di Massenet, L’amore delle tre melarance (in una nuova versione dopo quella di Catania), , Luisa Miller e La sposa venduta di Smetana all’Opéra di Parigi; Serse di Händel e di Rossini al Théâtre des Champs Élysées di Parigi; alla Deutsche Oper di Berlino, in un allestimento poi ripreso al Teatro Carlo Felice di Genova. Si è anche confrontato con successo con l’opera barocca: tra le molte produzioni spiccano L’incoronazione di Poppea e Il ritorno di Ulisse in patria di Monteverdi a Montpellier (poi riprese a Tokyo), Croesus di Keiser alla Staatsoper di Berlino e L’Orfeo di Monteverdi a Barcellona. È stato inoltre l’artefice della messa in scena di tre prime assolute:Der Traumgörge di Zemlinsky a Norimberga nel 1980, Thijl di Van Gilse ad e La forêt di Liebermann a Ginevra nel 1982. Di recente ha lavorato soprattutto in Giappone (Manon Lescaut e Cavalleria rusticana e Pagliacci al New National Theatre di Tokyo) e in Cina (Nabucco con Placido Domingo, e prossimamente Roméo et Juliette al National Centre for the Performing Arts di Pechino).

William Orlandi Dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, si è affermato come uno dei più apprezzati scenografi e costumisti soprattutto del teatro d’opera. Nel corso della sua lunga carriera, ha collaborato con numerosi registi di LUCIA DI LAMMERMOOR

fama internazionale, fra i quali Alberto Fassini, Gino Landi e Lorenzo Mariani. Inoltre ha più volte lavorato al fianco di Giancarlo Menotti e Peter Ustinov. Dal 1987 collabora stabilmente con Gilbert Deflo, insieme al quale ha firmato spettacoli per i teatri di tutto il mondo, fra cui quelli di Barcellona, Berlino, Buenos Aires, Ginevra, Losanna, Milano, Montepellier, Parigi e Zurigo. Per il Teatro Massimo ha realizzato, tra gli altri, Tosca, Agrippina, Roméo et Juliette, Lakmé e Aida.

Roberto Venturi Direttore della fotografia, si stabilisce in Francia nel 1979, dove comincia a occuparsi di teatro di prosa e di opera. Nel primo ambito si segnala per numerose produzioni allestite con la Comédie Française al fianco dei registi Jean Pierre Vincent, Claude Régy e Jorge Lavelli. Lavora inoltre con André Kontchalowski e Jerôme Deschamps. Per quanto riguarda il teatro d’opera, si propone regolarmente accanto a grandi personalità della scena internazionale, prendendo parte alla messa in scena di molti titoli di repertorio nell’ambito di rassegne importanti e su palcoscenici prestigiosi: ricordiamo Die Zauberflöte e al Festival d’Aix en Provence, Rigoletto per le Chorégies d’Orange, Il ratto dal serraglio e Serse al Grand Théâtre di Ginevra, Les contes d’Hoffmann, Guillaume Tell e Katia Kabanova all’Opéra Royale de Wallonie; Tristan und Isolde e Carmen all’Opéra di Monte-Carlo, Anna Bolena e Lulu all’Opéra di Metz, Il castello del principe Barbablu e Ariadne auf Naxos all’Opéra du Rhin. Recentemente ha firmato il disegno luci per Tosca al Teatro Lirico di Cagliari, Die Frau ohne Schatten al Theatre de la Monnaie di Bruxelles, San Piero Corsu (la sola opera in lingua corsa) a Marsiglia, Manon Lescaut, Cavalleria Rusticana e Pagliacci all’Opera di Tokyo, Freischütz all’Opera di Macao. Prossimamente sarà all’Opera di Telaviv per Roméo et Juliette.

126 NOTE BIOGRAFICHE

Giuseppe Bonanno Inizia lo studio della danza classica a Catania con Maria Patti e successivamente con Salvo Di Mauro e si specializza come ballerino e coreografo. Vincitore di borsa di studio del Centro Internazionale Danza di Roma, studia con maestri di fama internazionale. Ha danzato al Teatro Massimo Bellini di Catania, al Teatro Regio di Torino, a Cannes, Macao (Cina), Torre del Lago e al Teatro Donizetti di Bergamo. Dal 1995 lavora costantemente con il Teatro Massimo e dal 2001 è tersicoreo stabile del corpo di ballo, ricoprendo anche ruoli da solista e primo ballerino che spaziano dal repertorio classico a quello moderno, collaborando con coreografi, registi, cantanti, musicisti e danzatori di fama internazionale.

Marco Caria Si è diplomato presso il Conservatorio di Sassari, dove ha conseguito una borsa di studio per approfondire gli studi di canto presso l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia a Roma. Dal 2005 ha proseguito gli studi con . Ha vinto numerosi concorsi internazionali, tra cui il Concorso nel 2004 (premio speciale della giuria), il prestigioso premio Nicolai Ghiaurov, il XX Concorso Vocale Internazionale Iris Adami Corradetti a Padova e due premi al concorso internazionale di Placido Domingo “Operalia” nel luglio 2007 – tra cui il primo premio assegnato dal pubblico. Ha fatto il suo debutto in Nord America con l’Orchestra Sinfonica di Cincinnati nel maggio 2008 ne diretta da James Conlon. Durante la stagione 2008-09 si è esibito due volte al Teatro di Venezia prima con Pagliacci e poi con Maria Stuarda. È tornato negli Stati Uniti nel 2009 per il suo debutto operistico sul palcoscenico con l’Opera di Cincinnati, come Rodrigo in Don Carlo dove ha riscosso un grande successo di critica. Nell’estate del 2012 ha

127 LUCIA DI LAMMERMOOR

fatto il suo ritorno all’Opera di Cincinnati con La bohème. Nel 2010 si è esibito in un concerto gala al Verbier Festival in Svizzera e ha debuttato alla Staatsoper di Vienna dove poi ha cantato ne La bohème, Il barbiere di Siviglia, , L’elisir d’amore, Simon Boccanegra, Pagliacci, Falstaff, Werther e Lucia di Lammermoor. Ricordiamo poi Maria Stuarda a Trieste e al Teatro San Carlo di Napoli, Simon Boccanegra all’Opera di Roma, La bohème a Shangai, Seoul e all’inaugurazione del rinnovato Teatro Colón di Buenos Aires. Nell’estate del 2012 è tornato alla Cincinnati Opera, e poi al Savonlinna Opera Festival, con il ruolo di Giorgio Germont ne . I suoi impegni recenti e futuri includono: Simon Boccanegra a Roma, sotto la direzione di , e a Parma, Falstaff a Los Angeles, Lucia di Lammermoor ad Amsterdam e Barcellona, Roberto Devereux a Vienna, Un ballo in maschera a Bologna e La traviata a Venezia.

Simone Del Savio Diplomato in canto al Conservatorio “G. Verdi” di Torino, vince i concorsi internazionali “Toti Dal Monte” e “Riccardo Zandonai”. Nel 2007 gli viene conferita dallo stato austriaco la medaglia EW. Debutta con Prima la musica e poi le parole di Salieri e ben presto le sue doti vocali vengonno messe in luce con Il Viaggio a Reims per il Rossini Opera Festival (Don Profondo) e per il Teatro alla Scala (Don Alvaro); L’elisir d’amore (Belcore) al Teatro Massimo di Palermo e al Teatro Alighieri di Ravenna; L’elisir d’amore (Dulcamara) e Il barbiere di Siviglia (Don Bartolo) all’Opera di Roma; La bohème (Schaunard) al Covent Garden di Londra, al Comunale di Firenze, al Teatro Regio di Torino, alla Staatsoper di Monaco, a Caracalla, all’Opéra Garnier di Parigi, al Teatro Massimo di Palermo; Rigoletto (Monterone) all’Opéra Bastille di Parigi; (Alidoro) al Teatro Verdi di Trieste; (Leporello) al Teatro La Fenice di Venezia, allo Stadttheater Klagenfurt e all’Opéra di Toulon; Le Nozze di Figaro (Figaro) al Teatro Verdi di Sassari; Così fan tutte (Guglielmo) per la Saint Paul Chamber Orchestra negli Stati Uniti

128 NOTE BIOGRAFICHE

sotto la direzione di . La maturità vocale lo porta sempre più verso ruoli di Donizetti, del primo Verdi e di Puccini. Canta ne I puritani al Comunale di Bologna e al Regio di Torino; in Lucrezia Borgia e in Lucia di Lammermoor al Regio di Torino; in Poliuto al Donizetti di Bergamo; nei panni del protagonista in Don Pasquale in tournée nei teatri francesi; ne al Regio di Torino; ne La traviata alla Deutsche Oper di Berlino e al Grand Théâtre di Ginevra; ne La bohème al Comunale di Bologna e alla Vlaamse Oper di Anversa; in Madama Butterfly alla Deutsche Oper di Berlino. Tra gli impegni futuri Lucia di Lammermoor e La bohème (Marcello) al Teatro Regio di Torino, La traviata al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, La bohème (Schaunard) al Festival di Savolinna, Così fan tutte (Don Alfonso) all’Opéra di Parigi e all’Opéra de Massy.

Elena Mosuc Nata a Iasi (Romania), prima ancora di concludere gli studi presso il locale conservatorio debutta come solista presso il Teatro dell’Opera della sua città natale. Tra i premi ricevuti, il Bellini d’Oro di Catania (1995), il Premio Zenatello di Verona (2002), la Siola d’oro e la Medaglia dell’Alto Patrocinio dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (entrambi nel 2009). Nel 2005 il Presidente della Romania l’ha insignita del titolo di Ufficiale, la più alta onoreficenza che possa essere conferita ad un musicista nel paese. Nel 2009 ha ottenuto il dottorato in musica con “Summa cum Laude” presso l’Università di Bucarest con la tesi: “Il tema della pazzia nell’opera italiana della prima metà dell’Ottocento”. Ha partecipato alle stagioni dei più importanti teatri d’Europa (Barcellona, Salisburgo, Monaco, Londra, Milano, Verona, Dresda, Amburgo, Berlino, Vienna, Parigi, Londra, Venezia, Roma, Bruxelles, Amsterdam), Stati Uniti (New York, Dallas), Giappone e Cina. Inoltre si esibisce regolarmente come solista in concerti sinfonici, lavorando con direttori come Sir Colin Davis, James Conlon, Fabio Luisi, Bruno

129 LUCIA DI LAMMERMOOR

Campanella, Bertrand de Billy, Daniel Oren, Gustavo Dudamel, Daniel Harding, Ivor Bolton e Gianandrea Noseda. L’attività operistica le ha dato l’opportunità di collaborare con registi come Franco Zeffirelli, Liliana Cavani, Nicolas Joël, Cesare Lievi, Jonathan Miller, Giancarlo Del Monaco, Renata Scotto, Andrei Serban, Grischa Asagaroff e Graham Vick e con illustri maestri come Nikolaus Harnoncourt, Franz Welser-Möst, Christoph von Dohnányi, Placido Domingo, Marco Armiliato, Paolo Carignani, Adam Fischer, Marc Minkowski, Michel Plasson, Nello Santi, Carlo Rizzi, Peter Schneider e Marcello Viotti. Momenti culminanti delle recenti stagioni sono stati i sensazionali successi come Regina della Notte ad Amsterdam, Berlino, Londra, Parigi, Roma, Tokyo e Shanghai, nonchè i suoi applauditi debutti in Norma, Faust, La sonnambula, (Liù), La bohème, Il corsaro e Maria Stuarda a Zurigo e alla Staatsoper di Berlino. Tra le altre opere interpretate nei teatri di tutto il mondo, La traviata, Lucia di Lammermoor, I puritani, Anna Bolena, Carmen, Rigoletto, Don Giovanni (Donna Anna), Arianna a Nasso e tutti i ruoli femminili principali ne Les contes d’Hoffmann alla Staatsoper di Amburgo e al Teatro dell’Opera di Zurigo. Ha debuttato alla Scala in La traviata sotto la direzione di Lorin Maazel e di recente come Micaela in Carmen, al di New York come Olympia e alla Dallas Opera come Lucia. Tra i prossimi impegni: La traviata a Berlino e Roberto Devereux e Lucrezia Borgia a Bilbao.

Nadine Sierra Nata in Florida da madre portoghese e padre di origine portoricana e italiana, è la più giovane vincitrice delle audizioni del Metropolitan Opera National Council e della Foundation. Dopo il debutto ancora adolescente con la Palm Beach Opera, si è poi laureata presso il Mannes College of Music di New York e ha seguito l’Adler Fellowship Program alla San Francisco Opera, dove ha fatto il suo

130 NOTE BIOGRAFICHE

debutto nella compagnia nel 2011, creando il doppio ruolo di Juliet e Barbara insieme a Thomas Hampson nella prima rappresentazione assoluta di Heart of a Soldier di Christopher Theofanidis. Nel 2010 ha vinto i primi premi alla George London Competition, alla Gerda Lissner International Competition e alla Loren Zachary Competition. Nel 2013 è stata prima classificata ai concorsi Neue Stimmen, Caballé e Dunne. Ha inoltre ricevuto borse di studio dalla Music Foundation. Nella stagione 2015-2016 debutta all’Opéra di Parigi, al Metropolitan di New York, al Teatro alla Scala di Milano e alla Staatsoper di Berlino. A Parigi debutta nel ruolo di Zerlina in Don Giovanni, canta poi in Rigoletto al Metropolitan a dicembre e alla Scala a gennaio. A marzo debutta alla Staatsoper di Berlino con interpretando per la prima volta Amore in di Gluck, in un nuovo allestimento con la regia di Jürgen Flimm e le scene di Frank Gehry. Tra i principali appuntamenti della prossima stagione ricordiamo il ritorno alla San Francisco Opera come Pamina in Die Zauberflöte e Lucia di Lammermoor nel nuovo allestimento di Michael Cavanagh, e al Palau de les Arts Reina Sofia di Valencia per A Midsummer Night’s Dream di Britten. Ha inoltre cantato in recitals a Washington e Cincinnati e ha preso parte al Concerto dell’Anno Nuovo del Teatro La Fenice di Venezia, trasmesso in diretta televisiva. Nel corso delle stagioni passate ha inoltre cantato al Teatro di San Carlo di Napoli e con la San Francisco Symphony diretta da Michael Tilson Thomas, e concerti in luoghi prestigiosi quali la Carnegie Hall e la Corte Suprema degli Stati Uniti, dove si è esibita con Joseph Calleja e Thomas Hampson.

Giorgio Berrugi Canta regolarmente nei teatri e festival più rinomati tra cui il Teatro alla Scala, la San Francisco Opera, il Gewandhaus di Lipsia, il Concertgebouw di Amsterdam, la Suntory Hall di Tokyo, la Wigmore Hall a Londra, il Festival di Savonlinna e l’Arena di Verona. Collabora spesso con eminenti direttori quali Zubin Mehta, Christian Thielemann,

131 LUCIA DI LAMMERMOOR

Fabio Luisi, Gustavo Dudamel, Daniel Oren, Pinchas Steinberg, Nicola Luisotti, Myung-Whun Chung e Jaap van Zweden. Iniziata la sua carriera musicale come clarinettista, è vincitore di numerosi premi internazionali sia in qualità di solista che per la musica da camera avendo fatto parte del ‘Duo Alban Berg’. È stato inoltre primo clarinetto dell’Orchestra Sinfonica di Roma. Inizia gli studi vocali nel 2007 e dopo pochi mesi debutta al Teatro La Fenice di Venezia come Rodolfo ne La bohème. Dal 2010 al 2013 fa parte della compagnia della Semperoper di Dresda, dove debutta ruoli importanti quali Don José in Carmen, Riccardo ne Un ballo in maschera, Cavaradossi in Tosca, Nemorino ne L’elisir d’amore, il Duca di Mantova in Rigoletto e Gennarino nella prima mondiale di Gisela di Hans Werner Henze. Fra gli impegni recenti spiccano Roméo et Juliette di Gounod all’Arena di Verona; Luisa Miller al Teatro di San Carlo di Napoli; il debutto nel ruolo di Hoffmann a Piacenza; La bohème al Teatro Massimo di Palermo; Cavaradossi all’Opéra di Marsiglia; Simon Boccanegra a Dresda. Inoltre si è esibito nel di Verdi a Palermo, Lucerna, Salerno, Manchester, al Théâtre des Champs-Élysées e a Milano con la Filarmonica della Scala sotto la direzione musicale di Zubin Mehta. La stagione 2015/2016 lo vede nuovamente come Gabriele Adorno al Teatro alla Scala; come Rodolfo a Salerno, a Oviedo e a Berlino (Deutsche Oper); come Edgardo a Palermo e a Torino; in Macbeth al Palau de les Arts Reina Sofia a Valencia; e nel Requiem di Verdi all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia a Roma. Interpreterà inoltre Gabriele Adorno e il Requiem di Verdi in tournée col Teatro Regio di Torino a Hong Kong. Tra gli impegni futuri si segnalano poi il Tenore italiano in Der Rosenkavalier alla Royal Opera House di Londra e La traviata alla Lyric Opera di Chicago.

132 NOTE BIOGRAFICHE

Jean-François Borras Inizia gli studi di canto presso l’Académie de Musique Rainier III de Monaco con Marie-Anne Losco e si perfeziona poi con Michèle Command e Gabriel Bacquier. Inizia rapidamente la sua carriera cantando Alfredo a Mannheim, Edgardo a Graz, Des Grieux a Roma e al Palau de les Arts di Valencia, il Duca in Rigoletto a Rouen, Caracalla, Atene e Genova. Canta Roméo et Juliette di Gounod a Trieste, Verona e Genova, La bohème a Trieste, Aachen e Graz. Dal 2007 si esibisce su i più importanti palcoscenici internazionali. È stato diretto, tra gli altri, da Alain Guingal, Evelino Pido, Daniel Oren, Patrick Fournillier, Daniele Callegari, Fabrizio Carminati, Michel Plasson, Alain Altinoglu e Stéphane Denève. Nelle ultime stagioni ha interpretato le Chevalier Des Grieux in Manon all’Opéra Bastille e alla Staatsoper di Vienna, Robert le Diable al Covent Garden, La traviata a Monte Carlo, Les dialogues des carmélites all’Accademia di Santa Cecilia di Roma e ha debuttato alla Metropolitan Opera di New York sostituendo Jonas Kaufmann in Werther ottenendo un grande successo di pubblico e critica. Recentemente ha eseguito La bohème al Metropolitan di New York, Macbeth al Théâtre des Champs Élysées, Thaïs all’Opera di São Paolo in Brasile. Tra i prossimi impegni, Werther e Thaïs al Metropolitan, La bohème, Manon e Faust alla Staatsoper di Vienna, Faust all’Opéra di Marsiglia.

Luca Tittoto Ha iniziato la carriera artistica vincendo il Concorso Lirico Giuseppe Di Stefanonel 2006 a per il ruolo di Don Alfonso in Così fan tutte. Tra gli impegni degli ultimi anni, nel 2014 ha cantato alla Bayerische Staatsoper di Monaco la parte di Giove ne La Calisto di Cavalli, diretto da Ivor Bolton, e in concerto ha partecipato alla prima esecuzione in tempi moderni de La Concordia dei Pianeti di Caldara, alla Konzertsaal

133 LUCIA DI LAMMERMOOR

di Dortmund, con La Cetra diretta da Andrea Marcon, oggi in CD per Deutsche Grammophon. Ha cantato in Guillaume Tell a Torino (versione italiana) e Bologna (versione originale), e ancora al Festival di Edinburgo diretto da Gianandrea Noseda. Ha ottenuto un successo personale a Aix en Provence come Re di Scozia nella produzione di Richard Jones di Ariodante di Händel diretto da Andrea Marcon, ripreso nel gennaio 2016 all’Opera di Amsterdam. Nel dicembre 2014 ha cantato la Messa in Si minore di Bach alla Konzerthaus di Berlino, mentre a Basilea nel 2015 ha cantato Creon in Medée di Charpentier, cui sono seguiti il Requiem di Mozart all’Accademia di Santa Cecilia, Don Alfonso in Così fan tutte alla Bayerische Staatsoper, Alidoro in La Cenerentola di Rossini al Teatro di San Carlo di Napoli. Ha inoltre registrato di recente un nuovo disco monteverdiano con Magdalena Kozena (DG) e Partenope di Händel con Philippe Jaroussky (ERATO). Al Concertgebouw di Amsterdam ha cantato La Fida Ninfa di Vivaldi, mentre nel’ottobre 2015 ha debuttato al Teatro Real di Madrid in Alcina di Handel. Fra i suoi prossimi impegni Il barbiere di Siviglia (Basilio) al Teatro Comunale di Bologna, Carmen al Teatro Regio di Torino, Colline in La bohème alla Royal Opera House Covent Garden.

Patrizia Gentile Diplomata in Conservatorio, è stata vincitrice dei concorsi per la Scuola di Perfezionamento per Giovani Cantanti Lirici del Teatro alla Scala di Milano e per il Corso di Perfezionamento in Canto del Centro Lirico del Teatro Massimo di Palermo e del Concorso Internazionale Opera Barga. Debutta al Massimo di Palermo nella prima rappresentazione italiana di Don Perlimplin di V. Rieti e continua la propria attività professionale esibendosi nei maggiori teatri lirici italiani quali il Teatro alla Scala di Milano, il San Carlo di Napoli, il Comunale di Bologna, il Lirico di Cagliari, il Massimo Bellini di Catania, La Fenice di Venezia, il Petruzzelli di Bari, il Rendano di Cosenza, il Carlo Felice di Genova,

134 NOTE BIOGRAFICHE

nonché altri teatri di tradizione quali il Teatro del Giglio di Lucca, il Pergolesi di Jesi, il Fraschini di Pavia, il Comunale di Livorno, e all’estero a Tokyo, Nagasaki e Kobe, Wiesbaden e Amburgo. Ha cantato con la prestigiosa direzione di maestri quali G. A. Gavazzeni, G. Kuhn, P. Maag, D. Oren, D. Renzetti, B. Bartoletti, H. Soudant, M. Arena, R. Weikert, W. Humburg , A. Licata, S. Ranzani, F. M. Carminati e registi come G. Strehler, G. Deflo, F. Crivelli, A. Fassini, G. Landi, G. Vick, S. Sequi, V. Puecher, G. Albertazzi, P. L. Pizzi, M. Bolognini, V. Hewit, D. Krief, Comencini, S. Vizioli, T. Servillo. È docente di ruolo di Arte Scenica e di Canto nei Conservatori di Musica di Stato.

Emanuele D’Aguanno Compie gli studi musicali presso il Conservatorio “A. Pedrollo” di Vicenza e si perfeziona con William Matteuzzi e Ramon Vargas. Dopo essersi distinto al concorso “Toti dal Monte” di Treviso (Paolino ne di Cimarosa), inizia subito un’intensa attività che lo porta rapidamente ad esibirsi in molti prestigiosi teatri in Italia ed all’estero. Nel 2004 è finalista per il ruolo di Nemorino ne L’elisir d’amore al Concorso As.Li.Co. L’anno successivo debutta al Festival della Valle D’Itria di Martina Franca ne Lo sposo di tre e marito di nessuna di Cherubini diretto da Dimitri Jurowskj. Il suo repertorio include opere di Purcell, Paisiello, Mozart, Cimarosa, Rossini, Donizetti, Britten, Wagner, Puccini, Wolf-Ferrari. Tra i ruoli interpretati, ha cantato L’elisir d’amore (Nemorino) diretto da Campanella e Die Frau ohne Schatten diretto da Mehta al Comunale di Firenze, L’elisir d’amore al Bunka Kaikan di Tokyo, Lucrezia Borgia con la regia di Christoph Loy, Der Rosenkavalier (Tenore italiano) e Turandot (Pong) diretto da Zubin Mehta, Così fan tutte (Ferrando) a Monaco di Baviera, Piramo e Tisbe di Hasse con Europa Galante diretto da Fabio Biondi al Festival di Pentecoste di Salisburgo e a Montpellier, Don Pasquale (Ernesto) all‘Olimpico di Vicenza e Don Giovanni (Don

135 LUCIA DI LAMMERMOOR

Ottavio) a Glyndebourne, la prima mondiale di Senso di Tutino con la regia di Hugo De Ana al Massimo di Palermo.

Francesco Pittari Dopo gli studi musicali di violino e composizione inizia lo studio del canto e si diploma a pieni voti presso il conservatorio di Salerno. Dopo il debutto in Macbeth nel 2006 a Salerno inizia a lavorare con importanti teatri italiani e stranieri quali Arena di Verona, Teatro Carlo Felice di Genova, Teatro di San Carlo di Napoli, Teatro Massimo di Palermo, Teatro Verdi di Salerno, Festival Pucciniano di Torre del Lago, Guangzhou Opera House, Muscat Royal Opera House, Royal Opera House di Londra, Daegu Opera Festival, Fondazione La Verdi di Milano. Collabora con importanti direttori d’orchestra come Oren, Armiliato, Morandi, Jurowski, Acs, Pirolli, Aprea, Bisanti, Wilson, Wellber, Santi. Ha lavorato con registi quali: Zeffirelli, Pontiggia, Proietti, Homoki, Zambello, Ranieri, Scaparro, Gandini, De Tommasi, Giacchieri, Micheletto, De Plano, Mirabella, Stinchelli, Trespidi, Maestrini. È un caratterista molto richiesto, con più di quaranta ruoli all’attivo. Tra i più significativi ricordiamo Ismaele inNabucco , Arlecchino in Pagliacci, Tebaldo in I Capuleti e i Montecchi, Pong in Turandot, Un Incredibile in Andrea Chenier, Goro in Madama Butterfly, Spoletta in Tosca. Partecipa nel 2014 alla tournée nel Sultanato dell’Oman della Fondazione Arena di Verona con I Capuleti e i Montecchi. All’Arena di Verona debutta nel 2011 con Aida per poi tornare nel 2013, 2014 e 2015; nella prossima stagione 2016 sarà impegnato in Aida, Carmen e Turandot. A dicembre 2015 è stato Mastro Trabucco in La forza del destino per la Fondazione Arena di Verona e Un Messaggero in Aida al Teatro Verdi di Salerno. Recentemente è stato Flavio in Norma al Teatro di San Carlo di Napoli.

136

Fondazione Teatro Massimo

Sovrintendente Francesco Giambrone Direttore artistico Oscar Pizzo Direttore musicale Gabriele Ferro

Maestro del Coro Piero Monti Coordinatore del Corpo di ballo Marco Bellone

Direttore operativo Giorgio Pace

Direttore della programmazione Giovanni Mazzara

Direttore dell’allestimento scenico Renzo Milan

Direttore comunicazione, nuovi media e marketing Gery Palazzotto Responsabile rapporti con la stampa Laura Anello Editoria Angela Fodale

Responsabile della promozione e valorizzazione nazionale e internazionale dell’immagine della Fondazione Eliana Liotta

Responsabile delle relazioni nazionali e internazionali della Fondazione e del coordinamento delle attività di staff Chiara Zarcone Area artistica

Casting manager e assistente del direttore musicale Alessandro Di Gloria Segretario artistico Marcello Iozzia Direttore musicale di palcoscenico Danilo Lombardini Direttore di scena Ludovico Rajata Regista collaboratore Alberto Cavallotti

Maestri collaboratori di sala e di palcoscenico Giuseppe Cinà, Giacomo Gati, Giorgio Mirandola, Steven Rizzo

Maestro collaboratore ai sopratitoli Simone Piraino

Orchestra

Violini primi Viole Arpa Salvatore Greco* Gaspare D’Amato** Francesca Luppino Giacomo Mazzola Renato D’Anna Patrizia Richichi Leoluca Vella Glassharmonika Giuseppe Dorato Francesco Biondo Sascha Reckert James Hutchings Anna Schillaci Daniele Malinverno Rosalia Ballo Flauti (ottavino) Fabio Ferrara Andrea Bertucci Antonino Saladino** Vincenzo Cecere Elisa Alibrandi Daniele Cappello Violoncelli Salvatore Saladino Francesco Palmisano Giuseppe Nastro** Domenico Guddo Oboi Violini secondi Marcello Insinna Pier Ugo Franchin** Daniele Funari** Massimo Frangipane Francesca Ciccateri Cristina Pantaleone Agnese Restivo Roberto Lo Coco Clarinetti Antonino Petrotto Contrabbassi Alessio Vicario** Maurizio Giordano Christian Ciaccio** Giovanni Giuliano Nicoletta Conigliaro Gaetano Di Peri Antonio G. Geraci Aniello Vigilante Fagotti Alessandro Zambito Cesare Raffaelli Aldo Terzo** Maurizio Barigione Corni In palcoscenico Andrea Mastini** Gianfranco Cappello Corni Stefano Amarù Gianpiero Riccio Francesco Modica Antonino Cappello

Trombe Trombe Filippo D’Asta** Salvatore Piazza** Antonino Saccone Davide Pezzino

Tromboni Tromboni Michele De Luca** Dalmar Nur Hussen** Rodolfo Bonfilio Gianluca Gagliardi Antonio Bontempo

Timpani * spalla Davide Ravioli** ** prime parti

Percussioni Santo Campanella Elio Anselmo Silvia De Checchi

Assistente musicale Domenico Pirrone Addetta Orchestra Claudia Di Mattei Area artistica

Coro

Maestro del Coro: Piero Monti Altro maestro del Coro: Salvatore Punturo

Soprani primi Contralti Baritoni Gabriella Barresi Silvia Bacioccola Antonio Barbagallo Alfonsa Fantaci Ambra Mancuso Paolo Cutolo Donatella Gugliuzza Patrizia Martorana Cosimo Diano Daniela Marabete Daniela My Simone Di Trapani Rosalba Mongiovì Cinzia Sciortino Riccardo Schirò Elisa Porzio Giuseppe Tagliarino Maria Randazzo Tenori primi Vincenzo Bonomo Bassi Soprani secondi Giovanni Di Pasquale Giuseppe Caruso Domenica Alotta Nunzio Gallì Antonio Corsano Rosana Lo Bosco Antonio Li Vigni Filippo Di Giorgio Mariella Maisano Alfio Marletta Antonio Gottuso Daniela Pedi Francesco Polizzi Giovanni Lo Re Simona Scrima Raimondo Ponticelli Vincenzo Raso Valentina Vitti Salvo Randazzo Tommaso Smeraldi

Mezzosoprani Tenori secondi Rita Bua Antonio Alotta Giuseppina Caltagirone Cristian Bonnes Carmen Ghegghi Giuseppe Di Adamo Loredana Megna Domenico Ghegghi Giuseppina Notararigo Vincenzo Leone Marco Palmeri

Addetto Coro Nicola Pedone Corpo di ballo

Coordinatore del Corpo di ballo: Marco Bellone

Donne Uomini Elisa Arnone Gaetano La Mantia Carmen Marcuccio Benedetto Oliva Francesca Davoli Giuseppe Rosignano Monica Piazza Marcello Carini Area tecnica

Direzione Allestimenti scenici Patrizia Sansica, Rosalba Di Maggio, segreteria Maurizio Costanza, addetto movimentazione scene

Reparto Macchinisti di palcoscenico Cosimo Alaimo capo reparto Felice Lo Iacono, Vincenzo Vella, Sebastiano Demma, Calogero Messina, Alfonso La Rosa, Vincenzo Brasile, Bartolomeo Tusa, Giacomo Vaglica, Carlo Gulotta, Giuseppe Buscemi, Vincenzo Fricano, Francesco La Barbera, Massimiliano Cannova, Vincenzo Pisano

Reparto Attrezzisti di palcoscenico Antonino D’Amore capo reparto Giuseppe Pizzurro, Luigi Amato, Alfredo Arnò

Reparto Elettricisti Salvatore Spataro capo reparto Pietro La Monica, Francesco Randazzo, Gioacchino Piazza, Vincenzo Rizzo, Danilo Iraci, Antonio Giunta, Leonardo Librizzi, Giovanni Bruno, Biagio Ignoffo, Vincenzo Traina elettricisti Giuseppe Morreale, Michele Bisconti, Rosario Principe operatori consolle luci

Reparto Audiovisivi Giuseppe Uccello, Santo Benigno

Reparto Macchinisti costruzioni Angelo Pisano capo reparto Salvatore Maiorana, Antonio Cuccia, Giacomo Romano, Giuseppe Ventura, Sebastiano Bruccoleri, Michelangelo Ligammari, Davide Curcio, Giuseppe Messina

Reparto Scenografia Raffaele Ajovalasit, Christian Lanni, Maria Passavia, Alessandra La Barbera, Maria Abbate, Vitalba D’Agostino Vincenzo Gorgone cucitore

Reparto Attrezzisti costruttori Roberto Lo Sciuto capo reparto Francesco Canepa, Salvatore Vescovo, Giorgio Chiappara, Carmelo Chiappara, Giuseppe Salvato, Stefano Canzoneri Reparto Sartoria Marja Hoffmann Direttore della sartoria Nino Pollari capo reparto Francesco Marfia, Aurora Uccello, Giuseppe Genna, Stefano Sciortino, Anna Maria Di Carlo, Antonina Tantillo, Antonio Vitale, Vincenza Scalisi, Anna Maria D’Agostino, Rosalia Amarù, Anna Maria Chiarelli, Felicia Uccello, Andrea Cancemi

Reparto Trucco e Parruccheria Ileana Zarbo, Francesca Maniscalco, Maria Lucchese, Maria Di Fiore, Maria Ruffino Teresa Romano, Maria Cusimano, Monica Amato, Rosalia Dragotto

Portineria Lorenzo Mazzola, Vincenzo Trapani

Usciere Luigi Maragliano

Ufficio Servizi tecnici e generali Cosimo De Santis, coordinatore Giuseppe Cangemi, Antonio Costanzo, Bartolo Martorana

Reparto Vigilanza e controllo Emilia Accetta, Domenico Amato, Giovanni Aulico, Gioele Chinnici, Giuseppe De Corcelli, Antonio Galletti, Salvatore La Barbera, Giuseppe Martorana, Vincenzo Milazzo, Ida Petrotto, Franco Salvatore Sidoti, Lorenzo Megna Area amministrativa

Sovrintendenza Ernesta Insalaco segreteria Carlo Graziano autista

Direzione operativa - Contenzioso Francesco Caltagirone segreteria

Direzione artistica Maria Pia Lenglet segreteria Maria Concetta Restivo, Deborah Boga, Filippo Barrale archivio musicale

Direzione Programmazione Vincenzo Vitale monitoraggio e verifica del budget della produzione artistica Maria Pia Di Mattei segreteria

Ufficio Amministrazione Giuseppe Tamburella coordinatore ufficio ragioneria Vincenza De Luca, Giorgia Paganelli, Silvia Giannetto addette ufficio ragioneria Antonio Ciappa ufficio acquisti Vincenzo Carollo, Giovanni Montalbano addetti ufficio acquisti Maurizio Alessi C. E. D.

Ufficio del Personale e Protocollo Flaminio Ferrante capo ufficio Michele La Mattina ufficio presenze Alfio Scaglione ufficio paghe e contributi Alessandro Semplice ufficio contratti e protocollo

Servizi di sala Antonino Sampognaro assistente direttore di sala

Ufficio Marketing Marida Cassarà coordinatrice Cinzia Carollo, Maria Castiglione addette

Ufficio Comunicazione, Nuovi Media e Marketing Francesca Falconi addetta

Biblioteca, Progetti educativi e Servizio scuole Giovanna Proto coordinatrice Salvatrice Danzè, Rosa Scuderi, Vincenzo Monteleone, Santo Rizzo addetti biblioteca

Biglietteria Antonino Renna coordinatore Paolo Lo Cicero, Sofia Maiorino, Crocifissa Abbate, Margherita Safina addetti Note sui collaboratori

L’introduzione all’opera è una rubrica realizzata in collaborazione con la Sezione Musica del Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Palermo; gli autori, coordinati dalla docente Anna Tedesco, sono studenti del Corso di laurea magistrale in Musicologia e del Dottorato di ricerca in Musica e Spettacolo, curriculum Storia e analisi delle culture musicali. Cecilia Galbo è laureanda presso il Corso di laurea magistrale in Musicologia. Antonino Titone (1934-2013) ha insegnato Storia della Musica, Storia del Melodramma e Drammaturgia musicale presso l’Università di Palermo per più di cinquant’anni, a partire dal 1958. È autore di Vissi d’arte (1972), Notte per me funesta (1986) e di . Rigoletto, Il trovatore, La traviata (2010) e Macbeth, Il corsaro, Luisa Miller (2012). Giovanni Gavazzeni (Milano, 1965), critico musicale de Il Giornale, collaboratore di Amadeus dalla fondazione, e del Venerdì di Repubblica, è autore di programmi e presentazioni per Sky Classica. Ha collaborato con i maggiori enti lirici nazionali per conferenze e saggi su Donizetti, Verdi, Puccini, Cilea.

Le fotografie delle prove alle pagine 8, 12, 16, 20, 24, 30, 50, 55, 60, 67, 71, 72, 77, 80, 87, 88, 92, 95, 118 sono di Rosellina Garbo. Le fotografie alle pagine 96 e 103 (in alto) sono di Labruzzo. Le fotografie alle pagine 103 (in basso) e 107 (in alto) sono di Scafidi. Le fotografie alle pagine 107 (in basso), 108 e 111 sono di Allotta. Le fotografie alle pagine 112, 117, 118-119, 137, 138-139 della regia di Gilbert Deflo con scene e costumi di William Orlandi al Teatro Massimo nel 2003 e nel 2011 sono di Franco Lannino/Studio Camera.

Per la pubblicità Ufficio Marketing del Teatro Massimo, piazza G. Verdi, Palermo (tel. 0916053213) [email protected]

Programma di sala a cura di Angela Fodale [email protected] Si ringrazia Silvana Danzé della Biblioteca del Teatro Massimo. Grafica e impaginazione: Luca Orlando Stampa: Seristampa (Palermo)

La Fondazione Teatro Massimo è disponibile a regolare eventuali pendenze con gli aventi diritto che non sia stato possibile contattare.

ISBN: 978-88-98389-44-5 Associazione Amici del Teatro Massimo

Viale del Fante 70/b, Palermo fax 0916891158 martedì, mercoledì e venerdì dalle ore 10 alle ore 12:30

Invito all’opera

Calendario delle conferenze di presentazione delle opere a cura degli Amici del Teatro Massimo

Stagione 2016

Mercoledì 20 gennaio Götterdämmerung con Pietro Misuraca Giovedì 18 febbraio Attila con Anna Tedesco, sarà presente il regista Daniele Abbado Martedì 29 marzo Lucia di Lammermoor con Damien Colas Venerdì 15 aprile La Cenerentola con Amalia Collisani, sarà presente il regista Giorgio Barberio Corsetti Mercoledì 27 aprile Le streghe di Venezia con Dario Oliveri Mercoledì 7 settembre Madama Butterfly con Angela Fodale e Ilaria Grippaudo Venerdì 14 ottobre Jenůfa con Paolo Emilio Carapezza Mercoledì 16 novembre Carmen con Massimo Privitera

Le conferenze sono a ingresso libero e si svolgono nella Sala Onu del Teatro Massimo alle ore 18,00, con ingresso da via Volturno

OPERE E BALLETTI

Richard Wagner 28 4 GÖTTERDÄMMERUNG gen feb Direttore Stefan Anton Reck Regia Graham Vick

Giuseppe Verdi 19 26 ATTILA feb Direttore Daniel Oren Regia Daniele Abbado

Testo di Attilio Bolzoni 5 6 Musica di Giovanni Sollima mar IL CARAVAGGIO RUBATO Direttore e violoncello solista Giovanni Sollima Immagini Letizia Battaglia

Gaetano Donizetti 13 15 LA FILLE DU RÉGIMENT mar Direttore Keri-Lynn Wilson Regia Filippo Crivelli

Gaetano Donizetti 30 5 LUCIA DI LAMMERMOOR mar apr Direttore Riccardo Frizza Regia Gilbert Deflo

Gioachino Rossini 19 26 LA CENERENTOLA apr Direttore Gabriele Ferro Regia Giorgio Barberio Corsetti

Philip Glass 29 5 LE STREGHE DI VENEZIA apr mag Direttore Francesco Lanzillotta Regia Giorgio Barberio Corsetti teatromassimo.it

Georg Friedrich Händel 13 19 CINDERELLA mag Direttore Ignazio Maria Schifani Coreografia e scene Fabrizio Monteverde

Coreografie di Roland Petit 15 19 SOIRÉE ROLAND PETIT giu Direttore Alessandro Ferrari Étoile Eleonora Abbagnato

Giacomo Puccini 16 25 MADAMA BUTTERFLY set Direttore Jader Bignamini Regia Nicola Berloffa

Leóš Janáček 23 2 JENŮFA ott nov Direttore Gabriele Ferro Regia Robert Carsen

Georges Bizet 26 4 CARMEN nov dic Direttore Alejo Pérez Regia Calixto Bieito

Pëtr Il’ič Čajkovskij 21 28 LO SCHIACCIANOCI dic Direttore Kevin Rhodes Coreografia Giuseppe Picone

Orchestra, Coro, Coro di voci bianche, Corpo di ballo e Tecnici del Teatro Massimo Maestro del Coro Piero Monti | Maestro del Coro di voci bianche Salvatore Punturo

Biglietteria del Teatro Massimo / Tutti i giorni dalle 9.30 alle 18.00 Call center 091 84.86.000 / tutti i giorni dalle 9.00 alle 20.00 CONCERTI

3 LE TRE REGINE feb Direttore Francesco Lanzillotta Soprano Mariella Devia 2 LE NOZZE mar Direttore Daniel Kawka Ensemble corale Pokrovsky

PETITE MESSE SOLENNELLE 11 Direttore Piero Monti apr Soprano Mariangela Sicilia Teresa Iervolino Tenore Giorgio Misseri Basso Gianluca Margheri 26 7 NEW YORK, NEW YORK mag giu 26 maggio doWNTOWN STORIES Direttore Daniel Cohen Violino Salvatore Greco

31 maggio RHAPSODY IN BLUES Direttore Todd Reynolds Pianoforte Uri Caine Clarinetto Giuseppe Balbi

7 giugno G-SPOT TORNADO Direttore Jonathan Stockhammer Tromba Paolo Fresu teatromassimo.it

22 APOCALISSE NEL DESERTO Regia di Werner Herzog set Direttore Maxime Pascal Voce recitante Cosimo Scordato 30 LENINGRADO set Direttore Aziz Shokhakimov 6 MAHLER Direttore Gabriele Ferro ott Baritono Georg Nigl BRUCKNER 9 Direttore Gabriele Ferro Soprano Andrea Danková nov Mezzosoprano Anna Maria Chiuri Tenore Peter Berger Basso Marko Mimica MESSIAH Direttore Fabio Biondi 10 Soprano Maria Grazia Schiavo dic Contralto Sonia Prina Tenore Carlo Allemano Basso Luca Tittoto

Orchestra, Coro, Coro di voci bianche del Teatro Massimo Maestro del Coro Piero Monti Maestro del Coro di voci bianche Salvatore Punturo

Biglietteria del Teatro Massimo / Tutti i giorni dalle 9.30 alle 18.00 Call center 091 8486000 / tutti i giorni dalle 9.00 alle 20.00 Foto: Rosellina Garbo © Con Art bonus dai il tuo sostegno per il Teatro Massimo

L’Art bonus consente un credito di imposta, pari al 65% dell’importo donato, a chi effettua erogazioni liberali a sostegno del patrimonio culturale pubblico italiano.

DIVENTA ANCHE TU UN MECENATE E SOSTIENI LA FONDAZIONE TEATRO MASSIMO! Con il tuo contributo potremo continuare a promuovere la diffusione dell’arte musicale, della conoscenza della musica, del teatro lirico e della danza; prevedere interventi di formazione del pubblico, che favoriscano un ascolto consapevole; favorire la conservazione e diffusione del patrimonio storico e culturale maturato nella nostra attività più che centenaria.

INFORMAZIONI SU COME EFFETTUARE L’EROGAZIONE LIBERALE Beneficiario: Fondazione Teatro Massimo di Palermo IBAN: IT33Z0200804648000300559866 Causale: “Art Bonus - Erogazione Liberale a sostegno della Fondazione Teatro Massimo di Palermo - p.iva 00262030828”

Ricorda di conservare la ricevuta del bonifico o dell’operazione finanziaria con l’indicazione della causale, inseriremo la tua donazione nell’Albo dei donatori Art Bonus e potrai usufruire delle agevolazioni fiscali previste dalla normativa. Per informazioni più dettagliate contattaci: [email protected] - Tel. 091 605.32.13

ALBO DEI DONATORI Conte Tasca d’Almerita Soc. Agr. a R.L. PARTNER

ISBN: 978-88-98389-44-5 TEATRO MASSIMO

Gaetano Donizetti | Gaetano Donizetti LUCIA DI LAMMERMOOR

Membro di LUCIA DI LAMMERMOOR

STAGIONE

seguici su: OPERE E BALLETTI teatromassimo.it

Piazza Verdi - 90138 Palermo euro 10,00