Un Felice Motezuma*
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UN FELICE MOTEZUMA* MICHELE GIRARDI Quando l’amico carissimo Jürgen Maehder mi propose di curare l’edizione moderna del Motezuma di Paisiello all’interno di un progetto di ricerca da lui ideato e coordinato, le mie esperienze in ambito settecentesco erano assai limitate. Ora si sono allargate, ma la mia formazione e il mio gusto rimangono quelli di uno storico della musica moderna e contemporanea, e questo limite intendo denunciare apertis verbis prima di parlarvi del tema proposto. Confesso anche che nutrivo un forte pregiudizio nei confronti dell’opera seria settecentesca. Il contatto diretto con questa musica, nel corso dei mesi che ci sono voluti per trascrivere col computer il manoscritto autografo e approntarne una versione accettabile ma tuttora perfettibile, non ha migliorato i miei rapporti con quel genere, di cui il Motezuma è sotto ogni profilo un esempio tipico. Per le ragioni suesposte non aspettatevi che vi annoi con doviziose letture di cronache teatrali del tempo relative all’esito piú o meno felice del Motezuma di Paisiello, oppure con accurate biografie degli interpreti dell’opera. Anche perché non ho svolto ancora, colpevolmente, le necessarie ricerche negli archivi romani. Gli stretti limiti fissati per la consegna, avvenuta nel dicembre del 1991, mi hanno costretto a completare il lavoro basandomi unicamente sul microfilm dell’autografo, in vista di un’edizione provvisoria quanto urgente. Quando nominerò il luogo dove l’originale è conservato tutti capiranno perché mi sia stato impossibile verificare alcuni importanti dati. Si tratta della Biblioteca del Conservatorio di Napoli, ben cara al mio amico Michael Wittmann. Ora la conferma di Alberto Ronchey al Dicastero dei beni culturali, che auspico duratura nonostante le condizioni politiche attuali, dovrebbe consentirmi di portare a termine del tutto il mio impegno in vista della pubblicazione degli Atti di questo Convegno. Detto questo passo direttamente alla prima protagonista della mia relazione, Roma, e al luogo che ha ospitato nel 1772 il Motezuma di Paisiello. Il Teatro delle Dame assunse questa denominazione nel 1726, ma ancora nel 1780 editori di musica come Bailleux non avevano scordato quella originale, cioè «d’Alibert», cognome del suo primo impresario. L’opera piú celebre offerta alle Dame fu senza dubbio La Cecchina ossia la buona figliola, nel 1760. Il che non vuol dire che la grande sala allora sita tra via Margutta e via del Babuino, capace di ospitare ben 2500 spettatori, non avesse un’illustre tradizione anche nel campo del dramma per musica - e basti ricordare nel 1726-27 i primi melodrammi di Metastasio Didone abbandonata, per la musica di Vinci, e il Siroe di Porpora. E in tempi piú vicini alla nostra opera l’Antigona di Galuppi (1751), l’Ezio (1757) e l’Antigono di Traetta (1766). Paisiello approdò al Teatro delle Dame nel Carnevale del 1772 col Motezuma, per la prima e unica volta. Nella stessa stagione era impegnato anche nell’altra grande piazza dell’Urbe, il Teatro Capranica, con l’intermezzo La Semiramide in Villa, mentre il debutto romano vero e proprio risaliva agli inizi della carriera con Le finte contesse, ancora un intermezzo dato al Teatro Valle nel 1766. Nell’ultima parte del foglio di statistiche che è stato distribuito troverete i generi di opere trattati dall’autore e le piazze frequentate dall’artista tarantino durante tutto l’arco della sua carriera che precede la sua partenza per la Russia. È un Paisiello giovane, e probabilmente piú accondiscendente al gusto del tempo. Conosciamo e apprezziamo maggiormente l’artista maturo, autore di capolavori quali Il barbiere di Siviglia (1782), ma * Questa relazione è stata pronunciata al Convegno internazionale di studi Columbus, Montezuma und Cortés als Bühnengestalten. Zur Rezeptionsgeschichte der Entdeckung Amerikas; tenutosi a Villa Vigoni (Como) dal 4 al 6 maggio 1993. Successivamente ho ritrovato e trascritto anche l'aria mancante, cui faccio cenno verso la fine del testo. 2 soprattutto la Nina pazza per amore, gloria della Reggia di Caserta nel 1789, la cui felice riuscita è testimoniata dalla sopravvivenza sulle scene per qualche decennio. Che la natura del compositore fosse piú stimolata dal genere buffo o sentimentale è un dato oltre che risaputo, certificato dai titoli. E nel suo caso non valgono romantici pregiudizi, come quelli che hanno schiacciato nelle valutazioni degli studiosi la straordinaria produzione seria di Rossini in nome della famosa frase rivolta da Beethoven al pesarese in un incontro del 1822 «et sourtout faites beaucoup de Barbiere». Su un totale di 35 lavori teatrali prodotti nel decennio 1766-1776, quelli seri rappresentano appena un terzo della sua produzione. E sicuramente l’artista, in fase di affermazione, dovette cedere in piú occasioni al gusto dominante, anche se la sua predilizione per Metastasio, piú volte dichiarata, fu sicuramente genuina. Di questo periodo i biografi ricordano L’Idolo cinese, una stravagante commedia musicale del 1767, La Frascatana, che riscosse un notevole successo sulle scene del San Samuele nel 1774, e le Due contesse, ancora un intermezzo per il Valle del 1776. Nell’affrontare l’ambiente romano egli dovette tener conto di alcune imprescindibili esigenze. Innanzitutto il Divieto promulgato nell’anno santo 1675 da Innocenzo XI, papa Odescalchi, alle ‘canterine’ di esibirsi in pubblico. Segneri, autore de Il Cristiano istruito nella sua legge, pubblicato nel 1686, scomoda San Cipriano per affermare che «torna piú conto sentire un basilisco il quale sibili, che una donna, la quale canti», aggiungendo poi altre gioconde affermazioni come la seguente: «sicuramente da cielo non venne mai quella musica che si sente uscir dalla bocca di quelle cantatrici infernali». Questa simpatica situazione durò sino al 1798, quando durante l’effimera esperienza repubblicana il console Bonelli ordinò «che si allestiscano i teatri e che vi recitino le donne», asserendo fieramente che «Adesso non comandano più né preti né frati». Paisiello poté dunque valersi di un cast esclusivamente composto da uomini, un tenore e cinque falsettisti naturali - termine che avrebbe fatto la gioia di Cesare Beccaria. Del resto la percentuale dei castrati sulle scene italiane intorno alla metà del secolo è stata valutata intorno all’80% dei ranghi operistici complessivi: nel restante 20% le donne convivevano con bassi e tenori. Una presenza che definire vincolante per un compositore è dir poco. Piú oltre torneremo sul problema del ruolo dei cantanti, decisamente piú rilevante di quello del compositore. Ora vorrei brevemente accennare al soggetto trattato da Paisiello, sicuramente conforme al gusto imperante a Roma in quel periodo. Per non tediarvi due volte con informazioni che peraltro sono imprescindibili, ho lasciato a Daniela Tortora il compito di fornire ragguagli sul problema del libretto, che fu piú volte riutilizzato coi necessari aggiustamenti almeno cinque volte da diversi compositori. L’autore, Amedeo Cigna Santi - noto soprattutto per il mozartiano Idomeneo - lo aveva concepito per la musica di Gian Francesco De Majo. L’opera fu rappresentata nel 1765 al Regio Teatro Ducale di Torino e, per quanto mi risulta - se si eccettua un pastiche dato al San Benedetto di Venezia nel 1789 - l’ultimo a utilizzare quel libretto fu Niccolò Zingarelli, nella seconda opera della sua carriera, rappresentata al San Carlo il 13 agosto 1781. Paisiello avrebbe poi musicato un altro dramma serio del letterato torinese, l’Andromeda data al Regio Ducal Teatro di Milano nel 1774. In quell’occasione sosteneva il ruolo di Perseo un personaggio singolare che ebbe magna pars in tre dei quattro Motezuma prodotti fra il 1772 e il 1776, vale a dire Giusto Ferdinando Tenducci, protagonista dei lavori di Paisiello, Galuppi e Anfossi. Mi riservo solo una considerazione sul rapporto fra il primo Motezuma e quello di Paisiello, che cronologicamente è il terzo della serie dopo De Majo e Mislivecek, poche parole che serviranno a introdurre la concezione del dramma serio allora vigente nell’ambiente romano. Il cambiamento principale riguarda le sorti del protagonista e la conclusione. Nell’opera torinese gli eventi precipitano con carattere tragico. Cortès tiene in catene Motezuma, ma non appena riceve la notizia della sommossa guidata dal nipote del sovrano, libera l’illustre prigioniero che viene ucciso dai rivoltosi. Prendendo a pretesto tale luttuoso evento il Conquistador distrugge il tempio e fa scempio dei sacerdoti aztechi. Ma la compagna di Motezuma Guacozinga, che in Paisiello assumerà il nome di Erismena, concluderà wagnerianamente l’opera incendiando la città e distruggendo i tesori a cui mirava l’avido spagnolo. Questo intreccio riflette in buona parte gli accadimenti storici che portarono alla fine dell’infelice Imperatore degli Atzechi. Cigna Santi si basò infatti sulla Historia de la conquista de México, pubblicata nel 1684 dal poeta e sacerdote Antonio de Solís y Rivadeneira. A sua volta quest’ultimo avrebbe attinto 3 direttamente alla Verdadera Historia de los sucesos de la Conquista de Nueva España, redatta nel 1568. Una straordinaria fonte di prima mano perché Bernal Díaz del Castillo, reduce della spedizione di Cortès in Messico, si decise a scriverla allo scopo di correggere l’agiografico ritratto del Conquistador contenuto nella Historia general de las Indias y conquista de Mexico di Francisco López y Gómara, ch’era stato cappellano di Cortès, apparsa nel 1553. Non so francamente quale poeta al servizio del Teatro delle Dame sia responsabile dei mutamenti