Diploma Accademico di I livello Scuola di Chitarra

Ferdinando Carulli i Concerti per Chitarra e Orchestra

Giuseppe Ugo Mazzone n. matricola: 102257

Relatore: Mo Marco Nicolè

Anno Accademico: 2019/2020 Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 2 Indice

Prefazione ………………...……………………………….…...... p. 5

Cenni biografici …………………………………………………. p. 7

Produzione ………………………………………………………. p. 11

Metodi …………………………………………………….. p. 14

Per chitarra sola ………………………………………….. p. 17

Per Ensemble …………………...………………………… p. 19

La chitarra francese …..…………...…………………………..… p. 23

Concerti per chitarra e orchestra ………..……...……..…...……. p. 27

Concerto in Sol per flauto e chitarra …….….….………… p. 29

Concerto in La op. 8 …………….……..…………...... …. p. 32

Petit Concerto de société in Mi op.140 ………….…...….... p. 34

Postfazione ……………….………………………...………..….. p. 39

Appendice …………………………………………………….…. p. 41

Dal budello alla seta ……………………………………… p. 41

Bibliografia ………………………………………….….……….. p. 49

Discografia ……………………………………………………… p. 51

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 3 Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 4 Prefazione

Ricorrendo quest’anno il duecentocinquantesimo anniversario dalla nascita del compositore chitarrista Ferdinando Carulli, i docenti delle classi di chitarra del Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia hanno voluto rendergli omaggio incentivando approfondimenti e riflessioni sullo stesso. Un’occasione interessante e formativa, coinvolgente a tal punto da spingermi a esaminare ulteriormente l’argomento. Desidero ringraziare il Mo Marco Riboni, per i puntuali consigli e la disponibilità a fornirmi un suo articolo ancora inedito, e tutta la scuola di chitarra, nello specifico il Mo Dario Bisso, per la monografia trattata durante il corso di Letteratura, e il Mo Marco Nicolè, per il meraviglioso percorso di studi intrapreso insieme - restando in tema di anniversari esattamente dieci anni fa.

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 5 Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 6 Cenni biografici

La produzione di Ferdinando Carulli - a lungo noto esclusivamente per il famoso Metodo per chitarra op. 27 - non fu presa in seria considerazione fino alla fine del XX Secolo, quando vennero editi i primi accurati cataloghi1, opere monografiche2 e incisioni. Tra queste emblematiche furono3:

• Vivaldi, Dowland, Torelli, Carulli. The Virtuoso . Die Wiener Solisten, Wilfried Böttcher, Karl Scheit. Vanguard Stereolab, 1962; • Vivaldi, Carulli, Giuliani. Altitalienische Gitarrenkonzerte. Siegfried Behrend, I Musici. Deutsche Grammophon, 1969; • Lawes, Carulli, Sor, Albéniz, Granados, De Falla, Ravel. & John Williams. RCA Red Seal, 1972.

Fino ad allora Carulli è stato considerato un compositore secondario, di musica semplice per principianti, giudizio che tuttavia confonde il valore didattico di molti suoi lavori con l’alto livello artistico raggiunto dallo stesso in altre opere. Le notizie biografiche sono ferme ai dati del XIX Secolo. Viene citato la prima volta nel quarto volume del Dizionario e Bibliografia della musica (1826) di Pietro Licthenthal, il quale lo ricorda

1 M. Dell’Ara e R. Chiesa, Elenco delle opere di F. Carulli, in Il Fronimo XXVIII, Milano, Suvini Zerboni, Luglio 1979, pp. 9-23; M. Torta, Catalogo tematico delle opere di F. Carulli, Lucca, LIM, 2 voll., 1993. 2 Curate da M. Bertazzi (1984) e M. Torta (1988). Significativo anche il contributo di R. Chiesa (vedi p. 13). 3 K. Scheit e S. Behrend proposero entrambi il Concerto in La op. 8, J. Bream e J. Williams il Duo in Sol op. 34 (nel 1974 la Serenade op. 96).

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 7 unicamente per la reputazione goduta dal suo Metodo, già il più diffuso in Europa4. Nel 1830 F. J. Fétis5 in La musique mise à la portèe de tout le monde ritrae il «Signor Carulli» come il primo tra i chitarristi romantici ad aver realmente affrontato le problematiche dello strumento, trovando soluzione alle difficoltà di diteggiatura, all’estensione limitata e agli svantaggi dell’esile spessore sonoro (nella chitarra dell’epoca ancor più evidente rispetto a quella moderna, di ascendenza flamenca). Grazie a lui la chitarra non sarà più esclusivamente «destinata a sostenere leggermente la voce nei piccoli pezzi» in voga all’epoca, quali romanze, couplets e boleri. Al 1835 risale il primo metodico tentativo di catalogazione delle sue opere6: Gustav Schilling in Universal Lexicon ne numera trecento. Dopo brevissimi accenni sulla gioventù7, soltanto nel 1883, in Biographie universelle des musiciens (decima ed.)8, F. J. Fétis compilerà la prima biografia esaustiva, a cui si rifaranno tutti coloro che in seguito tratteranno del compositore. Figlio di un eminente letterato9, segretario del delegato della giurisdizione napoletana, F. Carulli nacque a Napoli il 10 Febbraio 1770. Fu iniziato alla musica da un prete, avvicinandosi da principio al violoncello. Ben presto tuttavia si diede allo studio autodidatta della 4 Tale fonte contraddice chi fa risalire al 1832 la 1a ed. del Metodo op. 27, in realtà data della prima ed. tedesca. 5 François Joseph Fétis (1784–1871), musicologo e compositore belga, figlio di un organista, studiò al Conservatorio di Parigi, dove dal 1821 insegnò contrappunto e fuga. Nel 1827 fondò Ravue et Gazette musicale de . Nel 1833 diventò direttore del Conservatorio di Bruxelles. 6 Già nel 1808 esisteva un catalogo delle opere stampate da Ricordi (fondata lo stesso anno), arrivato già al n. 156. 7 Marchese di Villarosa, Memorie dei Compositori di Musica del regno di Napoli, 1840 e H. Mendel, Musikalisches Conversations Lexicon, 1872. 8 La prima ed. contò ben 8 volumi pubblicati tra il 1860 e il 1865. 9 Giuseppe Carulli.

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 8 chitarra, che in quel tempo conosceva forse il periodo più oscuro della sua storia, dimentica della sua gloriosa tradizione. Il fatto che lo strumento fosse quasi del tutto sprovvisto di insegnanti, metodi e repertorio (formativo e concertistico) stimolò il giovane Carulli fino a scoprire possibilità tecnico-sonore e processi esecutivi all’epoca sconosciuti, riuscendo con pieno successo a reinserirla tra i più nobili strumenti solistici. Dopo brevi permanenze a Torino (1792), Livorno (1797-1801) e Vienna (1807), durante le quali svolse una brillante attività concertistica, nell’Aprile 1808 si trasferì a Parigi. Subito divenne musicista di successo, affermandosi come chitarrista virtuoso e altrettanto valido didatta. Di lì a poco scrisse infatti il Méthode complète pour guitarre op. 27, apprezzato a livello internazionale: in pochi anni ne curò altre tre edizioni, con aggiunte e supplementi (opp. 61, 71 e 192). In seguito Carulli volle aggiornare la sua didattica, pubblicando il Méthode complète pour parvenir à pincer de la guitare op. 24110; benché il nuovo metodo risultasse effettivamente più razionale, raggiungendo un più avanzato livello tecnico rispetto al primo, il testo di riferimento rimase comunque lo storico Metodo op. 27 (e lo è tuttora). Originale anche Harmonie appliquèe à la guitare, un trattato di accompagnamento basato su un’attenta teoria dell’armonia. Il 15 Dicembre 1826 brevettò la chitarra decacorde11 - per cui scrisse un metodo apposito, Méthode complète pour la décacorde

10 Primo metodo di Carulli edito in Italia - Lucca e Firenze, 1832 (in realtà trattandosi della quinta ed. dell’op. 27, riveduta e ampliata). 11 La chitarra a dieci corde tornò in auge, in contesto moderno, ad opera del liutaio spagnolo José Ramírez III e del chitarrista Narciso Yepes (il quale, non a caso, di Carulli registrò solo il Divertimento per il Decacordo, in Gitarrenmusik. Deutsche Grammophon, 1979).

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 9 nouvelle guitare op. 293 – realizzata da R. F. Lacôte12. Nel Dizionario dei Chitarristi e dei Liutai italiani (1937) si parla invece di una chitarra di Carulli «riccamente lavorata in tartaruga con fiori di giglio in madreperla»; costruita dal liutaio Claude Boivin, era appartenuta a una figlia del re Luigi XV. Prova di quanto fosse una figura di rilievo nell’ambito musicale del tempo, tra le lettere autografe di N. Paganini13 - pubblicate in Paganini intimo da A. Codignola (1935) - ve ne è una indirizzata «All’onestissimo Signore Carulli», datata 10 Aprile 183114, in cui si impegna a fornire al collega un biglietto per un suo concerto; coglie l’occasione anche per complimentarsi dell’«egregio suo figlio»15. La famiglia Carulli vantava di un altro musicista, fratello di Ferdinando e anch’egli valente chitarrista, Raffaele16. Il 21 Febbraio 1841 Ravue et Gazette musicale de Paris pubblica il necrologio di F. Carulli.

12 René François Lacôte (1785-1855), apprendista di Joseph Pons, fu un liutaio parigino di spicco. Costruì chitarre per F. Sor, D. Aguado e N. Coste. Il musicologo René Vannes, nel Dizionario Universale dei Liutai (1932), ne parla come lo «Stradivari della chitarra». 13 Egli stesso chitarrista, compose per lo strumento Ghiribizzi, Sonate, Variazioni, Trio, Quartetti e, a quanto pare, concerti (non pervenuti). 14 L’autografo è conservato presso la biblioteca del Conservatorio di Parigi. 15 Gustavo Carulli (nato il 20 Giugno 1801 durante la permanenza di F. Carulli a Livorno, morto nel 1876) fu insegnante di canto presso il Conservatorio di Parigi e buon conoscitore della chitarra. A differenza del padre, poté avvalersi di ottimi insegnanti. Compose la farsa I tre mariti, rappresentata al Teatro alla Scala di Milano il 18 marzo 1825. Benché interpretata da cantanti di fama, ebbe un modesto successo e non fu più riproposta. Non giovò il fatto che in quella stagione di dodici opere in cartellone più della metà fossero di G. Rossini e W. A. Mozart. 16 Tra le fonti una Pastorale di Raffaele Carulli, conservata presso la biblioteca del Conservatorio G. Verdi di Milano, e l’annuncio di un «Concerto di chitarra francese dato dal napoletano Raffaello Carulli» nel 1792 (S. Cordero, Rivista Musicale Italiana, 1930).

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 10 Produzione

Tratti distintivi della musica di Carulli sono sicuramente la pulizia di scrittura, una buona inventiva melodica e talvolta autentico estro poetico; attraverso circa quattrocento opere17 (trecentosessantaquattro numerate, ma molte altre no) esplora la tecnica e la sonorità della chitarra, trattandola in ogni forma e per i contesti più vari. Tra tante centinaia di composizioni, tuttavia, il valore qualitativo è disomogeneo: coesistono brani ispirati, altri più semplici ma dal profondo valore didattico, come anche lavori senza alcuna pretesa dettati da criteri di consumo18. Fin da subito sviluppò una sua personale scrittura musicale, alla quale rimase a lungo fedele19. Le melodie, poste in primo piano, possiedono un carattere sereno, lievemente malinconico, mai drammatico; armonicamente, invece, si passa da impianti elementari a situazioni di maggior sottigliezza, specie nei lavori cameristici. Aspetto da non sottovalutare nell’indagine estetica della sua musica è una particolare inclinazione a concepirla in modo programmatico20.

17 Le molte ristampe d’epoca hanno causato notevole incertezza, che rende tuttora impossibile una precisa catalogazione. 18 I brani più mediocri - oltre che a una possibile mancanza d’ispirazione contingente - non sono dovuti a incapacità quanto, piuttosto, a un’attenta scelta di mercato. 19 Un parziale rinnovamento può riscontrarsi dopo il trasferimento a Parigi (vedi p. 30). 20 Come sostiene M. Dell’Ara in Indagine preliminare sulla vita e sull’opera nell’articolo Ferdinando Carulli, in Il Fronimo XXVIII, Milano, Suvini Zerboni, Luglio 1979.

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 11 Ciò emerge dai titoli di alcuni brani21 ed è riconducibile alla musica descrittivo-sentimentale dei clavicembalisti settecenteschi o al virtuosismo “pittorico” italico-vivaldiano. I suoi tentativi evocativi oggi possono far sorridere, ma testimoniano la volontà del compositore di scrivere musica che coinvolgesse il maggior numero di persone e adatta a qualsiasi contesto (in linea con la poetica dello Stile Galante, di poco precedente). Di qui anche la consistente operazione di ispirazione a musiche dei compositori di riferimento della cultura musicale europea, in primis Rossini, Mozart e Beethoven22. Nella maggior parte dei casi, invece, i titoli delle sue opere sono alquanto neutri, corrispondendo al termine della forma compositiva (studi, sonate, variazioni, fantasie, duo, etc.), spesso affiancato dalla dicitura faciles e/o aux amateurs23. Parlando dell’operato di Carulli, non può non segnalarsi lo storico dissidio con il coevo compositore torinese Francesco Molino (1768- 1847), immortalato dalla famosa rappresentazione satirica di Charles de Marescot, Discussione tra Carullisti e Molinisti, raffigurante una vera e propria rissa a colpi di chitarra tra i due schieramenti. Francesco Molino, oboista nell’esercito prima, violinista nel Teatro Regio e nella Cappella Reale dei Savoia poi, si trasferì a Parigi nel 1819, subito affermandosi anch’egli come ottimo concertista e didatta

21 Les amours de Venus et Adonis op. 42; La Paix, pièce historique op. 85; Fantasie sur Le bon Roi Dagobert op. 98; La Cosaque varièe op. 126; Sul margine d’un rio op. 142; La Prise d'Alger, Pièce héroïque op. 327; Sonata sentimentale “Napoleon au Temple de la gloire” op. 33; etc. 22 Recente l’incisione di Beethoven For Two . Schneiderman- Yamaya Duo. Hänssler Classic, 2017. 23 Ancora una volta per aprire il repertorio a un più largo pubblico. Singolare il titolo Morceaux progressifs a l'usage des commerçants soigneusement doigté.

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 12 della chitarra. Lo scontro tra i due era quasi inevitabile: l'impostazione strumentale di Molino24, infatti, differiva alquanto da quella di Carulli - giunto a Parigi dodici anni prima - ormai affermatasi presso gli ambienti della capitale francese. Ciò nonostante Molino ottenne la sua fama nell'ambito chitarristico, benché il suo Metodo op. 24 riscosse molto meno successo rispetto a quello del rivale.

Segue a questo punto un’analisi del repertorio: per sommi capi per quanto riguarda la produzione solistica e cameristica, mentre più concreta e dettagliata per quella orchestrale. A tal scopo particolarmente preziosa è stata la lettura di Il repertorio chitarristico (parte terza ) di Ruggero Chiesa25, «uno dei primi – se non il primo – a ripescare l’operato di Carulli dalle ortiche in cui era stato gettato dall’ignoranza e dai preconcetti di gran parte del chitarrismo novecentesco». Vale la pena riportare anche il resto dell’elogio al contributo di Chiesa, sempre di Marco Riboni26:

«In poco più di venti, densissime pagine25 veniva tratteggiata e analizzata con grande lucidità l’intera produzione del musicista napoletano. Lo scritto sottintendeva alle sue spalle una mole di lavoro impressionante, giacché lo studioso aveva letto e analizzato una per una tutte le opere di Carulli in suo possesso (basterebbe un semplice e distratto sguardo alla quantità dei ponderosi faldoni tutt’ora giacenti negli scaffali presso il fondo Ruggero Chiesa [...] per rendersi conto dell’entità di tale affermazione). [...] ogni singola frase è un distillato di grande competenza e di profondo acume critico, quasi una sorta di ipertesto che rimanda a competenze storico- stilistiche di stampo enciclopedico».

24 Ad esempio il rifiuto di usare il pollice sinistro nella diteggiatura. 25 in Il Fronimo LXXV, Aprile 1991, pp. 22-43. 26 in Il Fronimo CLXI, Gennaio 2013, p. 26.

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 13 Metodi

Prima di approfondire la produzione vera e propria non si può non accennare all’impostazione posturale e tecnico-meccanica sostenuta dall’autore stesso, proposta nei numerosi metodi.

• Méthode complete pour guitare ou lyre composèe exclusivement pour l’enseignement de son fils Gustave op. 27, Parigi, Carli, ca. 1809-1812; • Premiére suite à la Methode de guitare ou lyre pu methode pour apprende à accompagner le chant op. 61, Parigi, Carli, ca. 1808-1811; • Deuxième suite […] op. 71, Parigi, Carli, ca. 1808-1811; • Supplement à la Méthode ou la première année d'étude de guitare Ouvrage élémentaire […] op. 192, Parigi, Carli, ca. 1808-1822; • Methode complete pour parvenir à pincer de la guitare par les moyens les plus simples et les plus faciles suive de 44 Morceaux […] op. 241, Parigi, Carli, 1825; • L’harmonia appliquèe à la guitare […], Parigi, Petit, 1825; • L'Anti-methode ou l'élève guidè par le maitre […] op. 270, Parigi, Petit, 1826; • Methode complete pour le decacorde nouvelle guitare plus harmonieuse et beaucoup plus facile que la guitare ordinaire […] op. 293, Parigi, Carli, ca. 1827; • Nouvelle Methode de la guitare […] Deuxième édition considèrablement augmentés, Pargi, Aulagnier, 1834.

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 14 A proposito dell’accordatura afferma che «Il miglior modo di accordare la chitarra è a orecchio, come si accorda il violino» per quarte (tranne il Si): «si accorda la quinta corda che è il La con il diapason, strumento d’acciaio così chiamato, o con un altro strumento che è stato accordato con il diapason; successivamente si posa un dito sul quinto tasto della stessa corda, che suona Re, e si accorda la quarta all’unisono: si posa un dito sul quinto tasto della quarta corda, che suona Sol, e si accorda la terza all’unisono […]». Nella postura «bisogna stare seduti né troppo alti né troppo bassi perché la chitarra non sia troppo alta sul petto o bassa verso le ginocchia. Si deve appoggiare lo strumento sulla coscia sinistra, il manico più elevato rispetto alla cassa. Le signore possono collocare uno sgabello sotto il piede sinistro»; curioso il fatto che solo nel Metodo op. 293 consiglierà un poggiapiedi anche agli uomini. La posizione seduta - grazie alla quale si ha maggior stabilità dello strumento e libertà delle braccia - indicava un uso “colto” della chitarra; tuttavia, egli stesso aggiunge che volendo «si può cantare e accompagnarsi camminando» con l’aiuto di una tracolla. Per quanto riguarda il braccio destro, delle tre posizioni che si riscontrano nell’iconografia – con il polso, con il gomito o con l’avambraccio sulla fascia – suggerisce di poggiarlo con l’avambraccio27, in modo da non limitare in alcun modo l’articolazione della mano. Questa «deve appoggiarsi leggermente sul mignolo che deve posarsi vicino al cantino, precisamente al mezzo della distanza tra ponte e rosetta28. Questa mano non ha una

27 In linea con la scuola spagnola di Sor e Aguado. 28 Nel Metodo op. 293 aggiornerà la sua didattica non prescrivendo più il mignolo sulla cassa armonica. Pur non essendo ancora perpendicolare alle corde, la posizione della mano destra stava infatti differenziandosi da quella quasi parallela dei chitarristi e tiorbisti barocchi.

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 15 posizione fissa [...] se si vuole addolcire i suoni e imitare l’arpa si deve avvicinare alla rosetta, quando invece si vuole suonare forte si deve avvicinare al ponticello», il che testimonierebbe l’uso delle unghie29. «Con il pollice si pizzicano la sesta, quinta e quarta corda; terza e seconda coll’indice e il cantino con il medio». Nella mano sinistra «il pollice non ha una posizione fissa, a seconda che le altre dita prendono posizioni più o meno difficili deve essere più indietro o più avanti». Particolarità tecnica ereditata dai chitarristi del Settecento e dalla pratica popolare – per questo invisa a Molino – è l’uso del pollice «in fuori» per tastare i bassi, segnalato, nelle opere pervenuteci con diteggiatura dell’autore, con l’indicazione pouce o con un asterisco. In merito all’articolazione e la diteggiatura non vi sono grosse differenze con la pratica moderna. Ancora non affermato era l’utilizzo dell’anulare della destra: Carulli stesso nei passaggi più veloci prescrive l’alternanza sì, ma solo indice-medio. Da sottolineare quanto la tecnica delle note ribattute - conosciuta come tremolo e spesso erroneamente ritenuta prerogativa dei compositori per chitarra di ascendenza flamenca, come F. Tarrega - fosse in realtà frequente già nel repertorio ottocentesco. Invece della successione anulare-medio-indice si usava pollice-indice-medio30. Pratica strumentale propria dei chitarristi iberici e molto in voga nella Parigi dell’epoca era l’effetto a «l’espagnole», un rasgueado avente come successione indice-medio-anulare-pollice e infine di nuovo indice ma nel verso opposto – come spiega Carulli nell’op. 209.

29 Alcuni studiosi ritengono che la scuola di Carulli utilizzasse le unghie, senza le quali tra l’altro perderebbe di efficacia molta della sua musica. 30 Quella originale della tradizione popolare flamenca sarebbe indice, anulare, medio, indice.

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 16 Per chitarra sola

Molta parte dei brani solistici di Carulli31 sono destinati a un pubblico di dilettanti, pensati quindi per creare un facile effetto. Le numerose Sonate32 non mancano di originalità artistica, ma spesso sviluppano il materiale tematico in modo ridondante e alquanto prevedibile33. Inoltre, nonostante il titolo, hanno poco a che vedere con la forma-sonata tradizionalmente intesa34. Le sonate scritte in Italia, ma anche durante i primi anni parigini35, sono sviluppate orizzontalmente. Così, se da un lato vengono esibite a pieno le possibilità virtuosistiche dello strumento, dall’altro il peso sonoro risulta piuttosto scarno, tanto da rendere indispensabile l’accompagnamento di una seconda chitarra, fungente da sostegno armonico36. Questo disequilibrio strumentale, dovuto al frenetico spostamento da una posizione all’altra, sulla falsa riga della tipica

31 Prime incisioni di un brano di Carulli per chitarra sola furono: Overture (in Guitar Masterpieces. Manuel Gayol. Kapp Records, 1960) e Capriccio (in Guitar Recital. Antonin Bartoš. Supraphon, 1966). 32 Opp. 9, 16, 21, 47, 56, 81, 83, 159, etc. e molte altre senza numero d’op. Incisioni di riferimento sicuramente Fernando Carulli. Guitar Sonatas op. 21 Nos. 1-3, op. 5. Richard Savino. Naxos, 1995 e Carulli. Guitar Works. Alfonso Baschiera. Nar Classical, 2017. 33 Secondo l’autorevole opinione di R. Chiesa, nelle sonate Carulli parte bene, ma poi, nei vari movimenti, ricade nella prolissità e nel mestiere. «Se alcune sonate fossero ridotte a un unico movimento il problema sarebbe risolto, ma per prendere questa decisione bisogna abbandonare ogni scrupolo filologico. Forse ne varrebbe la pena [...]». 34 Per un approfondimento a tal riguardo si vedano gli interventi di M. Riboni, Lo stile classico. La forma-sonata e i chitarristi dell’Ottocento (ottava parte), in Il Fronimo CLXI, Milano, Suvini Zerboni, Gennaio 2013 e “ “ (nona parte), in Il Fronimo CLXII, Aprile 2013. 35 La stessa Grande Sonata op. 9, eseguita durante il memorabile concerto di debutto del musicista a Parigi, il 15 Maggio 1809. 36 Stessa funzione del basso continuo nelle sonate barocche.

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 17 scrittura sonatistica per violino dell’epoca, fu certamente la ragione che rese difficile l’inserimento dei suoi lavori solistici nell’odierno repertorio, molto più che la debolezza inventiva, che invero non manca nella vasta produzione carulliana. Nella Sonata op. 5b inizia ad avvertirsi una certa stabilità: i due tempi non si allontanano praticamente mai dalla prima posizione, trovando più solidi punti di appoggio armonico. Si raggiunge finalmente un giusto equilibrio fonico con le Trois Sonates op. 21, forse le migliori nel genere. Altro tentativo di scrivere un lavoro di maggior consistenza, forse meno riuscito, fu la Grande sonata op. 83, poco convincente e piena di artifici tecnici fini a se stessi. Tra le variazioni spicca sicuramente il Solo varié sur l’air de la Molinara op. 107, ma soprattutto Sul margine d’un rio op. 142, degne di competere con le sue simili di M. Giuliani37 e F. Sor38. Frequente la dicitura Fantasia: spesso si tratta tuttavia di temi con variazioni intercalate da episodi liberi. Meno convenzionali anche i Solo op. 20 e 229, mentre di breve respiro le 32 Bagatelle (Les petits riens) op. 273, Six divertissements op. 317 e Sei Andanti op. 320 – benché in quest’ultimi si riscontri un curioso allontanamento dai soliti stilemi galanti e una costruzione armonica più ricercata.

37 Le Variazioni furono la forma più coltivata da Giuliani; una quarantina delle sue opere riportano tale denominazione nel titolo. 38 Emblematiche Introduction et variations sur un thème de Mozart op. 9, 2 Thèmes variés et 12 ménuts op. 11, Les Folies d’Espagne avec variations op. 15a.

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 18 Per Ensemble

Se da un lato la scrittura orizzontale rende inefficaci molte sonate, dall’altro aumenta notevolmente il valore musicale delle circa ottanta opere per due chitarre39, tra cui Trois Duos opp. 48, 62, 67, 104, Trois Sérénades op. 96, Duo brillant op. 113, Fantaisie op. 117, Nocturne concertant opp. 118, 143, Duo Concertant op. 328. In questo contesto le melodie possono infatti espandersi liberamente, diventando in alcuni casi addirittura monodiche. Non si deve tuttavia fraintendere che Carulli componesse per duo40 per “rinforzare” una parte solistica altrimenti instabile. Al contrario creava dialoghi particolarmente eloquenti e saggiamente proporzionati. Egli sarà l’autore ottocentesco più prolifico nel trattare questo insieme producendo tutti lavori di ottima qualità41. Efficaci e originali, rispettivamente per il buon equilibrio tra le parti e per la ricerca timbrica, appaiono le pagine in combinazione con altri strumenti. Esemplari sono:

39 Storica incisione, oltre alle già citate Julian Bream & John Williams together (1972 e 1974), è anche Diabelli, Giuliani, Carulli. Works For Two Guitars. Pepe Romero e Celedonio Romero. Philips, 1977. Di recente pubblicazione invece Carulli. Chamber Music for two Guitars. Alfonso Baschiera, Marco Nicolè. Da Vinci Classics, 2019. 40 Il titolo Duo potrebbe sembrare riduttivo, ma in realtà viene utilizzato anche per opere di vaste proporzioni, com’è il caso dell’op. 62. 41 Compose anche quattro trio (opp. 92 bis, 131 bis, 251 e 255) di cui però attualmente si conosce solo la Petit fantasie op. 251.

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 19 • per violino42 e chitarra: 3 Duos opp. 4, 22, 147, Duetto op. 13, Duo opp. 17, 19, 26, 154, 158, Petits duos opp. 31, 129, 198, 309, Notturno opp. 88, 113, Recreations op. 263, etc43 • per flauto e chitarra44: 6 Duetti op. 51, 6 Sérénades op. 109, 3 Petits Duos op. 191, etc. • per voce e chitarra45: Trois ariettes et trois romances italiennes op. 3a, Trois ariettes italiennes op. 4a, Solfèges op. 195, etc. • per viola e chitarra: Due duetti op. 137 • per fortepiano e chitarra: 3 Vales op. 32, Duo opp. 37, 134, 135, 150, 151, Nocturne opp. 127, 131, 189, etc.

Tra le circa venti opere per quest’ultimo organico troviamo alcuni dei momenti più alti di tutta la produzione di Carulli. Se nel Duo op. 37 si ha già prova di uno slancio davvero inconsueto, emergono per profondità artistica il Gran duo concertant op. 65 e, decisamente, i Gran Duo op. 86 e op. 70, eleganti di una movenza quasi mozartiana. Tale repertorio è oggi caduto in dimenticanza perché diventato improponibile, data l'elevata sonorità del moderno pianoforte, che andrebbe a scompensare l’originale equilibrio tra i due strumenti. Questa musica può quindi essere eseguita in modo ideale soltanto con l’utilizzo di una tastiera storica46.

42 Per il violino Carulli impiega una scrittura curiosamente specifica (passi particolarmente adatti al gioco dell’arco, frequenti note doppie, accordi anche a quattro voci), ad eccezione di rari casi in cui la presenza è richiesta ad libitum. 43 In alcuni casi si osserva la doppia destinazione «per violino o flauto», ancora molto frequente nella pratica ottocentesca. 44 Una decina di opere, contro le oltre sessanta per chit. e v.no. 45 Nella sua instancabile attività didattica produsse anche un metodo apposito: Mèthode pour apprendre à accompagner le chant op. 61. 46 Quanto meno un clavicembalo che, se pur diverso timbricamente, riprodurrebbe almeno l’ampiezza sonora del fortepiano.

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 20 Tanto critica la combinazione chitarra-pianoforte al giorno d’oggi, quanto invece proficua quella tra chitarra francese e fortepiano47 all’epoca. Non a caso scrissero per tale organico anche M. Giuliani48, M. Carcassi49, F. Molino, J. N. Hemmel50, J. Küffner51, etc. Nel corpus carulliano più rari sono invece i Trio (9 per fl., v.no e chit., 2 per v.no, v.la e chit. e 2 per due v.ni e chit.)52 e i quartetti53 . L’opera più rappresentativa in questo caso è Trois trios concertants op. 103, dedicati a un nobile inglese, tale Lord Soulton, da Carulli tanto celebrato per la sua bravura alla chitarra, in un’insolita prefazione allo spartito. Oltre a ciò, la particolare accuratezza nel concertare abilmente esaltando il timbro dei singoli strumenti fa pensare a una lucrosa commissione.

47 Incisione di riferimento sicuramente Carulli. Complete Works For Guitar & Fortepiano. Massimo Palumbo, Leopoldo Saracino. Brilliant Classics (8×CD), 2008. Ultimamente anche il Duo Savigni ha intrapreso un’operazione di recupero di tali sonorità registrando con strumenti d’epoca (di Carulli: Ouverture da Il Barbiere di Siviglia e Gran Duo op. 86). Meno filologica, ma sicuramente valida, Carulli: 2 Sonatas - Diabelli: Sonate op. 68 & Grande Sonate Brillante op. 102. Works For Guitar And Piano. Pepe Romero e Wilhelm Hellweg. Philips, 1983. 48 Vedi nota n. 77. 49 Abilissimo chitarrista fiorentino, anch’egli si trasferì a Parigi (nel 1820) dove dominava ormai Carulli. Tuttavia soffrì meno del primato di quello - rispetto a F. Molino - essendo interessato più a una carriera concertistica. Come virtuoso raccolse successi in tutta Europa. 50 Studiò con Mozart, Haydn e Salieri. Amico di M. Giuliani e del violinista J. Mayseder, in occasione del Congresso di Vienna, i tre intrapresero una fortunata stagione concertistica. 51 Fu violinista alla corte di Würzburg e, quando questa divenne parte della Baviera, sovraintendente alla musica militare. 52 Il Trio op. 24 apparve in Franz Schubert, Ferdinando Carulli. Michel Debost, Oscar Ghiglia, Bruno Pasquier, Paul Boufil. EMI, 1970. 53 Unici il Notturno per clarinetto o flauto, due violini e chitarra e 2 Piccoli quartetti per chitarra, flauto, violino e violoncello, sorti entrambi come adattamenti di suoi preesistenti lavori considerati di poco successo.

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 21 Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 22 La chitarra francese

Il concepimento di un concerto per chitarra solista e orchestra fu possibile soltanto dopo l’avvento della cosiddetta chitarra francese, notevolmente diversa dalla chitarra in voga nel Sei-Settecento. Per comprendere perché fu chiamata francese e quali furono le novità tecniche, sonore, espressive, ma prima di tutto costruttive, che fecero della chitarra uno degli strumenti più diffusi nella pratica musicale del XIX Secolo, è necessario un breve excursus sull’evoluzione dello strumento a partire dalla veneranda chitarra barocca. Quest’ultima, all’epoca soprannominata spagnola54, nonostante la maggior parte del repertorio fosse nato in Italia e in Francia55, vide come fase di suo maggior sviluppo il periodo compreso tra il 1600 e il 1750: aveva cinque ordini di corde - retaggio dei cori del liuto – e un simbolismo e sistema di intavolatura tutto suo. Alla fine del XVIII Secolo stava tuttavia giungendo ormai alla fine dei suoi giorni, «perdendo i capelli»56, ovvero le corde doppie. La diffusione in Europa del pensiero illuminista, volto alla semplificazione e razionalizzazione dell’esuberanza barocca, o ancor più rococò, coinvolse infatti le modalità compositive come anche la liuteria stessa, portando col tempo a due risultati paralleli: il rallentamento dei ritmi armonici - e la corrispettiva promozione della

54 A dire di J. G. Walther - nella voce Guitarre del Musicalisches Lexicon (1732) - perché strumento prediletto dalle donne spagnole. 55 Per essa composero F. Corbetta e De Visèe, musicisti virtuosi, degni della corte di Luigi XIV. 56 Pittorica espressione del chitarrista statunitense Thomas F. Heck.

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 23 melodia - e la graduale eliminazione dei raddoppi, prima solo dei cantini, infine anche dei bassi. Al raggiungimento di quest’ultima trasformazione concorse anche l’avvento, probabilmente dalla Cina, di una nuova tecnica per la produzione di corde in seta, avvolte da filo metallico morbido [vedi appendice]. Queste erano di gran lunga più precise: finalmente, perché la loro altezza fosse ben definita, non fu più necessario raddoppiare i bassi all’ottava, come era stato fatto su liuti e chitarre per secoli. La vicenda di tale evoluzione - che terminò con l’aggiunta di una sesta corda - è chiaramente ricostruibile attraverso uno sguardo ai metodi pubblicati in questo periodo, per così dire, di passaggio. Fino al 1777 tutti i metodi erano dedicati ancora allo strumento a cinque cori. Quell’anno, tuttavia, avvenne la svolta: apparve il primo metodo esplicitamente scritto per chitarra a cinque corde singole, Traitè des Agrèmens de la Musique, Exècutès sur la Guitarre, scritto dal bresciano Giacomo Merchi. Se infatti egli stesso nel 1761 aveva fatto pubblicare a Parigi Guide de Ecoliers de Guitarre per chitarra spagnola, sedici anni dopo aveva intuito che il futuro della chitarra fossero le corde singole: «sono più agevoli ad accordare e si pizzicano con maggior precisione; infine, esse danno un suono puro, forte e pastoso che si avvicina a quello dell'arpa, specie se sono un po' grosse». Nel suo nuovo metodo si preoccupa inoltre di spiegare al lettore come eseguire gli abbellimenti dato il nuovo settaggio di corde. A questo punto sorge spontanea la domanda: Merchi stava adattandosi all’abitudine parigina di suonare con corde singole o introduceva presso il pubblico francese una moda precedentemente conosciuta in Italia? Quest’ultima sembra la dinamica più credibile.

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 24 Infatti, mentre in Francia, anche dopo il 1777 venivano pubblicati ancora metodi per chitarra barocca57, di cui però pratica voleva che si utilizzassero soltanto cinque dei dieci piroli a disposizione, in Italia venivano già da tempo costruite chitarre apposite – uno dei primi esemplari recava sul cartiglio la scritta «Ferdinandus Gagliano Filius Nicolai fecit Neap 1774»58. Inoltre la prima fonte datata pervenutaci in cui appare l’aggettivo francese fu uno spartito edito a Napoli nel 1792: Sei canzoncine con accompagnamento di chitarra francese. Il motivo per cui l’autore, Giuseppe Aprile, si riferì alla nuova chitarra chiamandola francese, e non napoletana, pare da ricondursi al fatto che il termine francese nel Regno di Napoli dell’epoca, retto dalla dinastia dei Borboni, equivaleva all’espressione alla moda. La chitarra a cinque corde semplici ebbe vita breve. Negli anni Ottanta del Settecento infatti, sempre a Napoli, apparivano le prime chitarre a sei corde, imbracciate dal giovane Carulli. Un altro compositore chitarrista, C. Doisy59 (?-1807), di poco più anziano di Carulli e nato - non solo vissuto - a Parigi, fece esperienza diretta di questi anni “caotici” in cui la chitarra barocca non era del tutto scomparsa (chi la suonava imperterrito a “dieci corde”, chi a cinque), mentre a Napoli i liutai costruivano chitarre alla moda (alcuni pentacorde, altri esacorde), e ce ne lascia una preziosa testimonianza. All’articolo VIII del capitolo I del trattato Manière de montar la Guitare (non datato), fortunatamente arrivato ai nostri giorni, scrisse:

57 Analizzati in Erik Stenstadvold, An Annoted Bibliography of Guitar Methods 1760-1860, Pendragon Press, Hillidale, NY e Londra, 2010. 58 Conservata presso il Museo Heyer di Colonia, la chitarra fu dispersa (probabilmente durante uno dei due conflitti mondiali). 59 Da non confondere con l’omonimo e coevo chitarrista parigino nominato da F. J. Fetis in Biographie Universelle del Musiciens, vol. III, Parigi, 1862. I due si conobbero sicuramente.

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 25 Il montaggio delle corde è «arbitrario. Alcuni preferiscono le corde doppie, altri le corde semplici. Per quanto vedo se ne contano ordinariamente cinque […] Alcuni mettono due La e due Re di cui uno in seta, l’altro in budello, accordati all’ottava; i Sol e i Si all’unisono e il Mi solo. Altri» montano «due La e due Re in seta accordati all’unisono, due Sol e due Si sempre all’unisono e il Mi Solo. [...] Quanto a me adotto più volentieri le corde semplici perché ne derivano suoni più puri, le corde ben intonate sono estremamente difficili da reperire, e si impiega molto meno tempo per accordarle».

La preferenza di Doisy per le cinque corde semplici è ribadita nell’articolo II del capitolo XVIII, dedicato alla lira-chitarra60:

«Del resto ciò che ho appena detto contro la Lyra-chitarra non conduce a conseguenze. E queste riflessioni, che non fanno legge, servono qui a fare l’elogio della chitarra a dieci tasti e cinque corde che, nonostante la sua modesta semplicità, può commuovere quando la si sappia accarezzare».

La chitarra francese, oggi anche detta romantica, differisce dall’attuale - questa volta sì spagnola61 - per due principali aspetti: la dimensione e spessore di tavola e cassa armonica e la tastiera nove centimetri più corta. Se ciò andava a scapito del volume sonoro, al contempo facilitava la tecnica della mano sinistra. Tutto il repertorio ottocentesco è infatti caratterizzato da agili scale e frequenti arpeggi, veloci e composti, di meno immediata esecuzione sugli strumenti moderni, i quali - dopo l’esperienza di Andrés Segovia - possiedono tastiere ancora più lunghe.

60 Vedi nota n. 76. 61 Sorta per mano del liutaio Antonio de Torres Jurado (Almería, 1817– 1892), a partire dagli strumenti popolari flamenchi, diffusasi nel 2o 1800.

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 26 Concerti per chitarra e orchestra

L’evoluzione, o meglio “razionalizzazione illuministica”, della chitarra ne promosse la larga diffusione della pratica, ora accessibile anche a un ampio pubblico di dilettanti – di certo più di prima. Per le limitate dimensioni dell’organico (un quartetto d’archi, due oboi e due corni al massimo), il concerto per chitarra trovò quindi grande fortuna nei salotti e nelle sale altolocate del XIX Secolo. Segue l’elenco completo dei concerti ottocenteschi pervenutici62:

• B. Vidal63 (?-1800), Concerto in Re; • Luigi Boccherini64 (1743-1805), Sinfonia G 523; • Charles Doisy65 (?-1807), Concerto in Sol per chitarra; • Antoine L’Hoyer66 (1768-1852), Concerto op. 16 (1802); • Giovanni Battista Viotti67 (1755-1824), Concerto n. 2;

62 In ordine pseudo cronologico. 63 Autore di uno dei primissimi metodi per la nuova chitarra francese: Nouvelle méthode de guitarre, dediée aux amateurs. 64 Sicuramente più noto per i celebri Quintetti per quartetto d’archi e chitarra (G445-453), composti intorno al 1780 su commissione della famiglia madrilena dei Benavent Osuna. 65 Vedi nota n. 59. Compose numerosi duetti per chit. in coppia con un’altra chit., violino, flauto, ma anche violoncello, oboe, clarinetto e fagotto. 66 Virtuoso chitarrista francese, fu tra i primissimi compositori romantici, principalmente di musica da camera. La sua musica cadde tuttavia nell'oscurità prima ancora della sua morte. Ebbe però una notevole carriera militare come membro d'élite di Gardes du Corps du Roi, Cavaliere dell'Ordine di San Giovanni e dell'Ordine di San Luigi. 67 Compositore violinista italiano, fu musicista nelle corti di Francia, Germania e Inghilterra dell’Europa d’epoca napoleonica.

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 27 • Ferdinando Carulli68 (1770-1841), Concerto in Sol per flauto e chitarra, Concerto in La op. 8 (1809 e 1810), Petit Concerto de société in Mi op. 140 (1820); • Mauro Giuliani69 (1781-1829), Concerto in La op. 30 (1810), Concerto in La op. 36 (1812), Concerto in Fa op. 7070 (1823); • Francesco Molino71 (1775-1847), Concerto in Mi op. 56; • Giuseppe Malerbi (1771-1849), Concerto in Re; • Luigi Legnani72 (1790-1877), Concerto per chitarra e archi73.

Nel catalogo delle opere a stampa di Carulli noto fino a oggi risultano inoltre i seguenti titoli, di cui non si hanno attualmente notizie né della datazione74, né circa la loro possibile esistenza e reperibilità presso biblioteche o collezioni private.

• Quarto Concerto e variazioni per chitarra e archi op. 21975;

68 A livello discografico, dopo le già citate (vedi nota n. 3) registrazioni del Concerto in La op. 8, significativa per la riscoperta definitiva di tale repertorio fu: Fernando Carulli, Francesco Molino – Concerti; Mozart - Adagio Kv 261, Rondo Kv 37. Pepe Romero, The Academy of St. Martin in the Fields, Iona Brown. Philips, 1990. L’integrale dei concerti verrà pubblicato soltanto nel 2011 (Concerti per chitarra e orchestra. Giulio Tampalini, Brescia Orchestra, Ezio Rojatti. Amadeus). In questa incisione compare anche il Concerto in re di G. Malerbi, canonico organista emiliano maestro di G. Rossini. 69 Vedi nota n. 77. 70 Quest’ultimo per chitarra terzina, più piccola e accordata una terza sopra. 71 Vedi p. 12. 72 Musicista ferrarese, si produsse come tenore e chitarrista in Italia e Austria. Appassionato di liuteria, ideò una chitarra a otto corde collaborando con il rinomato liutaio Georg Stauffer. Gran parte dei suoi lavori sono virtuosistici, imperniati sullo schema della variazione. 73 Pervenutoci nella sola parte per chitarra. 74 Come anche d’altra parte per il Concerto in Sol per flauto e chitarra. 75 In altre fonti indicato come Concerto n. 4 per chit. con accompagnamento di orch. o pf. in La maggiore o Variazioni sulla Marcia di Aline per chit. e orch.

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 28 • Concerto per chitarra o lira76 con accompagnamento di due violini, due oboi, due corni, flauto obbligato, alto e basso.

Prima di osservare nel dettaglio i singoli concerti di Carulli è però necessaria una considerazione generale: queste opere mancano di una dimensione “quartettistica” come anche cameristica. Non vi è vero e proprio dialogo fra chitarra e orchestra: quest’ultima si limita a sostenere armonicamente il solista, senza grande inventiva. Spesso appare in blocchi compatti, nettamente contrapposti al solo. Non bisogna tuttavia dimenticare l’uso edonistico di questa musica, già tipico dei salotti settecenteschi dove l’importante era suscitare facili passioni con l’alternanza di Forte e Piano e di Allegro e Adagio.

Concerto in Sol per flauto e chitarra

Privo di numero d’opera, il Concerto in Sol è arrivato ai nostri giorni in due manoscritti, entrambi non autografi: una versione per chitarra sola, l’altra per chitarra e flauto – si tende a considerare quest’ultima quella originale. Nonostante non sia datato, viene comunemente considerato il primo lavoro di Carulli in questo settore [vedi p. 37]. Fu scritto in Italia e, stranamente, vi rimase – oggi è conservato presso la

76 La lira-chitarra, inventata intono al 1800 dal liutaio francese Pierre Charles Mareschal, aveva sei corde singole, accordate come la chitarra. La tastiera era posta tra due bracci curvi collegati direttamente alla cassa armonica – ricordando appunto la lira greca. Fu molto popolare nella Parigi del primo ventennio del XIX Secolo, soprattutto in ambiente aristocratico (Maria Antonietta ne possedeva una). Porro, Carulli, Sor, Carcassi, Giuliani composero per questo strumento; di lì a poco venne tuttavia soppiantata dallo svilupparsi del repertorio per chit. In Italia erano famose quelle del liutaio napoletano Gennaro Fabbricatore.

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 29 Biblioteca di Ostiglia - rappresentando una delle poche testimonianze della produzione carulliana prima del trasferimento a Parigi. Carulli non si preoccupò infatti di portarlo con sé e farlo stampare presso un editore della nuova residenza, come pure non diffuse molte altre composizioni cameristiche, anche di una certa rilevanza, rimaste così giacenti presso le biblioteche italiane. Benché fosse ancora vicino a uno stile di stampo tardo settecentesco, il suo valore artistico e unicità nel genere ne avrebbero assicurato il successo anche presso gli ambienti, moderni e all’avanguardia, della Parigi del primo Ottocento. Carulli, tuttavia, sentiva probabilmente la necessità di abbandonare insieme all’Italia tutto ciò che fosse troppo evidentemente legato al passato e iniziare una nuova “fase parigina”. Effettivamente rinnovò in parte il suo stile, ma senza compiere stravolgimenti eclatanti. Non secondario il fatto che, l’anno prima di trasferirsi, aveva sostato a Vienna, dove il pugliese Mauro Giuliani77 inaugurava la sua carriera con la storica esecuzione del Concerto in La op. 30, a cui Carulli fu senza dubbio presente. Egli era consapevole della direzione decisamente nuova verso cui stava evolvendosi la chitarra: era necessario adottare schemi compositivi alla moda78, ma, prima ancora,

77 Non riuscendo a esplicare pienamente la propria personalità in Italia, migrò a Vienna nel 1806. Nella capitale asburgica si inserì a pieno negli ambienti di corte e strinse amicizia con personalità di spicco, prima fra tutte Beethoven. La sua produzione fu influenzata dai canoni del classicismo viennese, trattati tuttavia con stile personale e gusto mediterraneo per la melodia spontanea. Abile didatta, anch’egli scrisse un metodo, op. 1, ancora attuale, specialmente per quanto riguarda gli esercizi per l’articolazione della mano destra (Centoventi arpeggi). Come Carulli, esplorò le possibilità della nuova chitarra francese in ogni forma, producendo pagine dall’alto valore artistico. 78 É il caso della Polonaise posta come tempo finale del Concerto in La op. 8 (come lo era nel Concerto in La op. 30 di Giuliani).

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 30 lasciare Vienna, dove un pericoloso rivale stava ormai imponendosi79. Si spiega così il trasloco definitivo a Parigi dove, essendo sgombra di concorrenti di rilievo, Carulli poté guadagnarsi successo e fortuna.

Dopo tale intermezzo biografico - tuttavia necessario per delineare un quadro d’insieme che faccia meglio comprendere adesso le caratteristiche stilistico-compositive del concerto in questione, come anche lo sviluppo delle stesse tra un concerto e l’altro - tornando all’analisi del Concerto in Sol per flauto e chitarra, esso presenta come organico due oboi, due corni, violini, viole, violoncelli e contrabbassi. L’originalità del concerto sta nel rapporto che i due solisti instaurano tra loro - paritario o di accompagnamento l’un l’altro - creando, di volta in volta, espressive combinazioni timbriche. Nel primo tempo, Allegro, dopo la presentazione tematica da parte dell’orchestra, il flauto prima e la chitarra dopo espongono il tema, variandolo a modo loro. Il materiale già esposto viene quindi rielaborato dai solisti, leggermente accompagnati dall’orchestra. Segue una consistente sezione in minore in cui chitarra e flauto interagiscono con maggior dramma. Riappare quindi l’orchestra con la ripresa del tema iniziale; i solisti cadenzano e una coda orchestrale conclude il movimento. Il secondo tempo, Larghetto espressivo, presenta la forma di un tema con variazioni. Il carezzevole tema viene esposto inizialmente dal flauto con accompagnamento della sola chitarra; successivamente variato, sarà ripresentato ricorrentemente anche dall’orchestra. Un breve Allegro di sole quarantasei battute, quasi una coda, conclude la composizione dalla durata di venti minuti80. 79 Quello che dieci anni dopo accadde invece a F. Molino a Parigi. 80 Carulli, Music for Flute and Guitar. Jean-Pierre Rampal, Alexandre Lagoya, Franz List Chamber Orchestra, Janos Rolla. CBS Records,

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 31 Concerto in La op. 8

Del Concerto in La op. 8 – eseguito, insieme alla Grande Sonata op. 9 accompagnata81, durante il memorabile concerto di debutto del musicista al Thèatre Olympique, nel Maggio 1809 - esistono due versioni differenti: una, pubblicata a Parigi da Naderman nel 1809, prevede come organico orchestrale un quartetto d’archi, due oboi, due corni e flauto obbligato; l’altra, edita a Vienna da Haslinger82 nel 1810, con accompagnamento di soli due violini, un violoncello e corni ad libitum. Le differenze tra le due edizioni non si limitano all’organico: discostano anche le grafie musicali. L’edizione parigina è infatti monofonica, per cui la durata dei suoni bassi non è definita; l’edizione viennese è invece da questo punto di vista molto più moderna, essendo la chitarra trattata in modo polifonico, con tutte le durate delle note determinate in modo preciso. Benché non si sappia - a dispetto delle date di stampa, anch’esse messe in discussione - quale dei due sia stato scritto per primo, probabilmente successiva fu l’edizione viennese, data la maggior accuratezza. Le molte similitudini, d’altra parte, suggeriscono che non sia intercorso molto tempo tra la stesura dell’una e dell’altra. La tonalità d’impianto e l’insolita suddivisione in due tempi83, Allegro e Polonaise, coincidono; gli stessi spunti tematici vengono tuttavia sviluppati in modo completamente diverso, restando sempre comunque tra i consueti stilemi di variazione motivico-tematica di

Masterworks, 1988. 81 Vedi nota n. 35. 82 Stesso editore che nel 1810 pubblicò il Concerto op. 30 di M. Giuliani. 83 Anziché tre, come vorrebbe lo struttura classica del concerto.

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 32 Carulli84. Infatti, benché sia innegabile che il pubblico e la critica parigini abbiano reagito con entusiasmo all’ascolto di questo innovativo concerto, cogliendone sentori di modernità e raffinata eleganza, in realtà entrambe le versioni, viste poi in prospettiva, appaiono prevedibili e in legame di continuità con la precedente produzione italiana dell’autore. Infine, esaminando le pubblicazioni originali, possono contarsi85 numerose approssimazioni e imprecisioni86. Si tratta probabilmente di errori dei copisti dell’epoca o dovuti alla fretta con cui gli autori stessi al tempo scrivevano gli spartiti in vista di un’imminente esibizione. L’introduzione orchestrale dell’Allegro, come l’incipit della Polonaise sono identici. L’Allegro del concerto stampato da Haslinger appare forse più incisivo, mentre più debole il secondo tempo, troppo ancorato alla ripetitività del tema principale. Per quanto riguarda l’analisi costruttiva dell’opera ci si rifarà a quest’ultima edizione viennese. Il primo tempo, Allegro, è in forma-sonata. Il violino I espone il tema. Un breve ponte, interessante per il ritmo sincopato, conduce al tema II. L’esposizione del solista, identica a quella del violino, arricchisce il brano con una nuova idea, espressa nel passaggio, derivante probabilmente per inciso ritmico e melodico dal tema II. Terminata l’esposizione, la chitarra, rievocando la parte del violino del ponte modulante, inizia lo sviluppo con rapide scale. Un Tutti riconduce alla tonalità di La maggiore.

84 Arpeggi, scale per terze, seste e ottave, note doppie, sezioni scandite da veloci terzine e fasi melodiche riccamente abbellite. 85 Come fa notare M. Torta nella prefazione all’ed. critica del Concerto op. 8 (ed. viennese) revisionato e diteggiato da F. Lepri nel 2005. 86 Spesso nella disposizione delle legature o nel creare piccole variazioni tra una ripetizione e l’altra.

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 33 La riesposizione del tema I è seguita da un nuova idea in arpeggi nella tonalità di Si minore. Quindi riappare il tema II e, dopo gli episodi conclusivi, vi è la cadenza di dieci battute87. Una brevissima coda conclude questo primo movimento. La Polonaise è in forma di Rondò. Il ritornello A, di sedici misure, viene eseguito dalla chitarra, protagonista assoluta del movimento intero; gli archi infatti si limitano a rispondere al solista con il classico ritmo sincopato tipico delle polacche. Un episodio in minore, arpeggiato dal solista, risolve nella coda finale. Le due versioni hanno una durata media di quindici minuti.

Petit Concerto de Sociètè op.140

L’ultima esperienza di Carulli in questo genere risale al 1820, quando fece pubblicare dall’editore parigino Carli88 il Petit Concerto de Sociètè op. 140, dedicato a Madame la Contesse Tolstoy. Come per il Concerto in Sol l’orchestra è formata da due oboi, due corni, violini, viole, violoncelli e contrabbassi. Questa volta il compositore napoletano propone una soluzione compositiva già largamente adottata in diversi lavori cameristici: spostare la seconda metà del primo tempo in un’altra tonalità (in questo caso da Mi minore alla relativa Sol Maggiore) nella quale si farà spazio il secondo tempo lento, per poi riprendere col tempo iniziale. Così facendo, rimane tra l’altro inalterata la struttura tripartita della forma classica per eccellenza. Il Concerto op. 140 deve molto infatti ai modelli dei maestri del classicismo viennese, ai quali in questo caso Carulli,

87 Nell’ed. viennese di Haslinger è scritta interamente, mentre nel manoscritto di Ostiglia è solo indicata. 88 Il quale stampò molta della vasta produzione del compositore.

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 34 particolarmente ispirato nei temi sia dell’Allegro sia del Largo, si avvicina notevolmente, dando esempio della sua sensibilità melodica. Curioso il fatto che le battute d’apertura dell’Allegro coincidano praticamente del tutto con quelle dell’Allegro del Concerto op. 56 di F. Molino, il quale è innegabile che visse all’ombra dell’immensa fama ormai consolidata del rivale. Chi dei due si ispirò all’altro non è però certo. La prima edizione del Concerto op. 140 risale al 1820, mentre la maggior parte delle sessanta composizioni per chitarra89 di Molino furono pubblicate a Parigi tra il 1820 e il 1835; tuttavia, come si è visto per il Concerto op. 30 di M. Giuliani, la data di pubblicazione non coincide quasi mai con l’anno della prima esecuzione pubblica, né, tanto meno, era esclusa la possibilità di circolazione e diffusione manoscritta delle parti. L’Allegro dell’op. 140 inizia con l’esposizione del tema I da parte del violino principale. Attraverso un ponte - la cui idea verrà spesso rievocata in seguito – si giunge al tema II, simile a quello del III Concerto per pianoforte di Beethoven. Dopo alcune cadenze conclusive entra il solista riproponendo, come di consueto, la prima idea dell’orchestra, forse con maggior indugio al patetico. Dopodiché l’orchestra, una volta riesposto brevemente il ponte, lascia spazio al solista che elabora il tema II in Sol maggiore e prosegue nello sviluppo, durante il quale compaiono le tipiche tecniche peculiari allo strumento quali scale, arpeggi, episodi più veloci in terzine, etc.

89 La produzione di Molino non differisce da quella di Carulli a livello formale. Ricordiamo: 12 Valzer op. 9, Contredanses op. 12, Thémes variés opp. 5, 9, 18, 21, Variations opp. 23, 31, 41; Duo per chit. e pf. opp. 36, 44, 57, Sonate per v.no e chit. opp. 2, 3, 7, 22, 29; Notturni per v.no o fl. e chit opp. 37, 38, 39, Trio per v.no o fl., v.la e chit. opp. 4, 19, 30, 45 etc.

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 35 La coda finale, orchestrale, si basa su elementi già esposti. Durante il secondo tempo, Largo, l’orchestra passa in secondo piano, accompagnando solo lievemente, senza una vera e propria personalità, il solista. Questo, dopo un primo episodio melodico, riprende gli elementi di variazione ritmica della melodia già sentiti nel primo tempo. Con una serie di accordi arpeggiati si modula a La, dominante di Re, tono d’inizio del terzo tempo, Allegro. Quest’ultimo in realtà non è che una ripresa dell’Allegro iniziale. Le prime quattordici battute, del tutto orchestrali, fungono da ponte modulante e ricalcano il modello già ascoltato nel primo movimento. Il tema I, questa volta esposto solo dalla chitarra, riappare invariato; il II, introdotto da un passaggio orchestrale analogo a quello apprezzato nel primo tempo, viene eseguito nella tonalità d’impianto Mi minore (e non alla dominante, il che rispecchia la forma-sonata classica). Lo sviluppo non propone praticamente nulla di nuovo e una rapida successione di scale doppie conduce alla cadenza conclusiva di tutto il Concerto, il quale dura poco più di quindici minuti.

Al termine della panoramica intorno alla produzione concertistica si riporta ora il prezioso e recentissimo contributo del già citato Mo Marco Riboni, edito in Il Fronimo proprio quest’anno commemorativo. Riflettendo su alcune questioni riguardo I Concerti con l’orchestra di Ferdinando Carulli, egli è giunto a nuove e illuminanti conclusioni. Le centocinquanta battute di differenza tra le due versioni del Concerto in La op. 8, la distanza cronologica – a dire di Riboni quasi vent’anni – il numero di temi esposti e l’organico orchestrale diversi lo hanno portato a identificarli come due opere ben distinte.

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 36 Per quanto riguarda invece l’op. 140, egli nota quanto sia l’unico concerto avente un dedicatario e una delle poche opere dedicate a un nobile, la principessa Tolstoy (nubile Anna Ivanovna Bariatinsky), il che rimanda ancora una volta a Molino:

«Attorno a Carulli si radunavano gli allievi della borghesia, mentre attorno a Molino si raccoglievano quelli più vicini all’aristocrazia. Quando a Parigi scoppiò la rivoluzione nel luglio 1830 Carulli non tardò a manifestare le proprie simpatie. […] Nell’occasione di quegli avvenimenti Carulli compose una Cantata (Lafayette à Paris) per onorare un personaggio simbolo, Lafayete appunto, nominato Capo di Stato alla caduta di Carlo X. […] Carulli, inoltre, compose una fantasia per chitarra intitolata: Les toi jours, pièce analogue aux èvènements des trois mèmorables journèes, 27, 28 et 29 juillet 1830 (Paris, 1830), schierandosi apertamente dalla parte liberale-borghese»90.

Secondo Riboni Molino fece pubblicare il Concerto op. 56 tra il 1829 e il 1832, una decina di anni dopo l’edizione del Petit Concerto de Sociètè op. 140.

«É assai difficile ora coglierne i reali motivi: un diplomatico omaggio di Molino […] per cercare di calmare le acque? O, al contrario, una sorta di sfida nel voler dimostrare che una volta presentato il materiale comune Molino era più abile e approfondito nello sviluppo [...]?»91

Esemplare, infine, la posizione di Riboni nei confronti del Concerto in Sol: per la sua suddivisione in tre tempi esso appare assai più moderno rispetto al Concerto in La dell’esordio parigino – la forma in due movimenti, risalente agli esempi di J. C. Bach, era in 90 Mario Dell’Ara, Francesco Molino. Vita e Opere, vol. I Biografie e Catalogo tematico, Savagliano, Rosa Sonora, 2014, p. 35 91 Marco Riboni, I Concerti con l’orchestra di Ferdinando Carulli, in Il Fronimo, Milano, Suvini Zerboni, Ottobre 2020.

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 37 voga nella seconda metà del Settecento. Se quindi i concerti in due tempi e per un solista op. 30 di Giulini e op. 8 di Carulli furono considerati rivoluzionari nella prima decade dell’Ottocento, per quale motivo non fece scalpore un concerto in tre movimenti e per due solisti dieci anni prima in Italia, dove la musica strumentale necessitava un nuovo slancio dato l’emergere dell’opera? Inoltre sarebbe anomalo che un compositore così legato all’estetica classica e tardo-settecentesca abbia precorso i tempi con tanta lungimiranza. Il fatto che l’unica copia manoscritta sia conservata in Italia non proverebbe quindi la stesura del concerto prima del trasferimento in Francia, ma ancora una volta la necessità dell’editoria di pubblicare musica di facile vendita e non un concerto complesso tecnicamente, addirittura per doppio solista, come quello in Sol. Per tutte queste ragioni il Concerto in Sol fu quindi più probabilmente composto a Parigi intorno al 1830 - per ultimo, dieci anni dopo il Petit Concerto de Sociètè op. 140. Riprova oggettiva e, a questo punto, definitiva è la perfetta corrispondenza delle bb. 303-308 con le bb. 44-49 della Grande Sonate del 1832: l’autocitazione è una prassi consueta nella storia della musica, ma perché mai con tutta la musica scritta negli ultimi vent’anni parigini Carulli avrebbe rievocato proprio queste battute, scritte più di trent’anni prima in Italia? Molto più veritiero è invece che le due opere siano contemporanee.

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 38 Postfazione

Trascurato per più di un secolo, Ferdinando Carulli è oggi stimato come uno dei grandi maestri della chitarra classica; a lui è attribuito il merito di averla fatta risorgere dall’oscurità in cui era caduta, rendendola protagonista dei salotti delle più fiorenti capitali della cultura europea dell’epoca, quali Parigi e Vienna. Compositore prolifico, insieme ai suoi compatrioti Mauro Giuliani e Matteo Carcassi - e agli spangnoli Fernando Sor e Dionisio Aguado – creò solidissime basi didattiche, oltre a un significativo repertorio virtuosistico, tuttora materiali di studio per chiunque si avvicini allo strumento “Sei corde”. Giuseppe Ugo Mazzone

«Carulli è uno dei compositori che hanno rifiutato la ricerca dell’originalità a tutti i costi (un vezzo a dire il vero tipico dei nostri tempi) per ricreare a volte echi di un mondo sublime [quello di Haydn, Mozart, Beethoven]. Lo ha fatto con le carte in regola, meglio di tanti altri, e ciò dovrebbe bastare per riservargli un posto d’onore tra i classici della chitarra.» Ruggero Chiesa

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 39 Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 40 Appendice

Per comprendere al meglio l’entità del contributo apportato alla rivoluzione dello strumento dal progresso della tecnica costruttiva delle corde, è forse opportuno spendere alcune parole sull’evoluzione di queste ultime tra XVIII e XIX Secolo.

Dal budello alla seta

Se del Rinascimento non si possiede finora nulla di significativo riguardo le corde per chitarra – fuorché alcuni inventari di bottega riportanti le spese per l’acquisto92 – del Barocco sono invece pervenute diverse testimonianze scritte sulle tipologie, tecniche manifatturiere e criteri di scelta93. Nel Museo Stradivari di Cremona sono raccolte numerose tavole illustrative e sagome di strumenti musicali. Tra questi disegni particolarmente prezioso è il n. 375 – attribuito a uno dei figli di Stradivari stesso - in cui sono appuntate le indicazioni riguardo la

92 In virtù della stretta parentela progettuale si ritiene tuttavia che i calibri in uso non fossero dissimili da quelli del liuto. 93 Sottotitolo dell’articolo Le corde per chitarra tra il Settecento e l’avvento del nylon pubblicato in quattro parti nei numeri dal CXVII- CXX di Il Fronimo da Mimmo Peruffo. Perito chimico - unico allievo del cordaio Arturo Granata - è uno dei più stimati ricercatori della fabbricazione di corde per strumenti a pizzico. Fondatore di Aquila Corde Armoniche (Vicenza), nel 1997 ha ideato e introdotto nel mercato il Nylgut, budello sintetico impiegato per lo più negli strumenti storici in sostituzione al budello animale o al nylon.

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 41 selezione delle corde di una chitarra tiorbata, strumento a cinque ordini tastati munito di cinque bordoni singoli in tratta.

«Questi deve essere compani due cantini di chitarra. Queste deve essere compane due sotanelle di chitarra. Queste deve essere compane doi cantini da violino grossi. Questa altra corda deve essere un canto da violino. Questa altra corda deve essere una sotanella di chitarra. Questa altra corda deve essere un canto da violino ma di più grossi. [...]»94

Tali istruzioni, studiate e confrontate insieme a molte altre che si sono conservate, permettono di stimare diametri, tensioni, probabile colore timbrico e problematiche delle corde d’epoca. La chitarra possedeva quattro ordini e un cantino - solitamente singolo – tastati con spezzoni di corda di budello. L’accordatura, in Mi o in Re, prevedeva delle varianti per quel che concerne i cori bassi: un basso fondamentale accoppiato alla sua ottava (es. scuola italiana di inizio Seicento) o un basso fondamentale accoppiato all’ottava nel quarto mentre unisoni all’ottava nel quinto (es. Corbetta e De Visèe). Prima che si diffondesse la pratica di filare i bassi, una resa acustica uniforme in tutti i registri era difficilmente garantita, poiché il solo materiale disponibile era sostanzialmente il budello95. Nella sua lunghezza vibrante una corda può tendersi fino al raggiungimento del carico di rottura - che per il budello oscilla intorno a 34 kg/mm2 - al quale corrisponde una frequenza. Quest’ultima è inversamente proporzionale alla lunghezza vibrante - se la lunghezza

94 Così come nel secolo successivo, si usavano come punto di riferimento i calibri del violino coevo, quindi le diciture Cantino e Canto identificano rispettivamente la prima e la seconda corda del v.no. Grosso corrisponde al valore di calibro massimo per quella corda. 95 Esistevano corde in metallo ma - oltre a produrre un timbro completamente differente - ponevano limiti tali da incidere pesantemente nella progettazione dello strumento.

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 42 dimezza la frequenza raddoppia – e il loro prodotto, costante, si dice “indice di rottura”. Ora, se si divide tale indice per la frequenza di intonazione richiesta alla prima corda, risulterà la lunghezza vibrante in cui, nell’intonazione scelta, la corda si spezzerà di netto. Tale era il calcolo svolto dai liutai per la scelta della lunghezza vibrante “di lavoro” – per forza di cose prudenzialmente ridotta rispetto a quella “limite” appena quantificata per evitare il rischio della rottura. Tuttavia - a parità di tensione e lunghezza vibrante - per raggiungere la frequenza delle altre note, sempre più gravi, aumentava la sezione della corda, mentre diminuiva la resa acustica (ricchezza di armonici, dinamica e sostegno): una corda dal diametro maggiore era più rigida e, di conseguenza, inevitabilmente “smorzata”96. Inoltre, una volta tastati sul manico, calibri di una certa mole risultavano eccessivamente crescenti. Di qui l’esigenza di ricercare la massima lunghezza vibrante, così da ridurre al minimo i diametri e salvaguardare - più soddisfacentemente possibile - le prestazioni del registro basso97. Pare quindi finalmente svelata la funzione originaria delle ottave appaiate, in uso fin da principio nell’unico coro grave Re della chitarra

96 Se pur in maniera minore, lo stesso che si nota in una chitarra moderna confrontando la prestanza acustica del Mi cantino con quella del Sol - nonostante si tratti di nylon. 97 La regola di tendere la prima corda al più acuto consentito - valida anche negli altri strumenti cordofoni del Cinque-Seicento – era probabilmente affiancata dalla scelta dell’accordatura già di suo più acuta. Infatti, senza addentrarsi adesso nel complesso argomento dell’ancora non temperato - né univoco in tutta Europa - sistema d’intonazione dell’epoca, il liuto era solitamente accordato in Sol, una terza minore sopra la chitarra. Non a caso una lunghezza vibrante tipica di alcuni liuti storici era 59 cm, calcolata appunto per ottenere un’accordatura in Sol al corista veneziano del Cinquecento – un semitono più acuto rispetto ai 440 Hz moderni.

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 43 rinascimentale98: restituire artatamente gli armonici superiori tanto penalizzati dallo spessore della nota fondamentale. I cori rimasero in uso anche quando alla fine del XVII Secolo si diffuse la pratica dei bassi demifilèe, corde aventi un’anima in budello rivestita con filo di metallo. Se da un lato il calibro più sottile del budello migliorava la precisione della nota, dall’altro sorgeva un nuovo problema: le vibrazioni parassite, dovute, in particolare nei climi secchi, ai battimenti del filo metallico contro l’anima di migugia, il budello ovino utilizzato all’epoca. Così, nel capitolo XVI di Les Dons d’Apollon (Parigi, 1763), Michel Corrette consiglia di ricoprire con filo metallico non più anime di budello, ma di seta ritorte alla maniera cinese – vale a dire avvolte come un cordonetto. Si tratta della prima indicazione pratica che suggerisca l’impiego di corde filate in seta, dalla resa acustica indubbiamente perfezionata99. La necessità di ricercare la massima lunghezza vibrante non ebbe più motivo di esistere: nel tardo Settecento si assistette, infatti, a un consistente accorciamento della lunghezza vibrante, pari a due semitoni. Sul perché proprio due tasti non ci sono spiegazioni chiare: visto però lo stretto legame simbiotico con il violino, è indicativo il fatto che la nuova lunghezza adottata fosse esattamente doppia rispetto al cantino del “re degli strumenti”, anch’esso Mi100. Le mutate esigenze musicali del repertorio furono allo stesso tempo causa e conseguenza della nuova agilità d’esecuzione, favorita

98 Aveva un cantino e solo tre ordini: la tecnologia di allora probabilmente non permetteva ancora un basso tastato più grave “accettabile”. 99 A livello teorico la seta era già stata presa in considerazione da John Playford in An introduction to the skill of music (Londra, 1664), ma ciò non si tradusse in una sperimentazione costruttiva. 100 La dipendenza dei chitarristi ottocenteschi al mondo violinistico si è notata anche nelle prime esperienze sonatistiche di Carulli (vedi p. 17).

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 44 – oltre che dall’accorciamento del manico - anche dalla graduale abolizione delle tastature in budello, rimpiazzate da quelle fisse in avorio o metallo, e dei cori. Con la transizione alle corde singole la tensione di lavoro si elevò considerevolmente, o meglio, raddoppiò: una sola corda poteva raggiungere infatti valori pari alla somma delle tensioni delle due corde del coro della vecchia chitarra. Così, ad esempio, i 3.3 Kg di tensione per corda del secondo ordine della chitarra Stradivari equivalgono ai circa 6.6 Kg della corda semplice; ciò si ripercuote anche sulla sensazione tattile di rigidità e sul risultato sonoro, soprattutto a livello di ampiezza. Infine, determinante fu l’aggiunta della sesta corda Mi, che annullò tra l’altro l’obbligatorietà degli accordi rivoltati tipici dello strumento barocco. A suscitare tale integrazione fu probabilmente la mandora, all’epoca in gran voga in Austria, Germania e Boemia101. La chitarra di Carulli era nata. Nessun metodo dell’Ottocento tratta della misura delle corde102: per esempio in Mèthode pour la Guitarre (Parigi, L’Auteur, 1830), dopo aver presentato la tecnica corretta per pizzicarle, F. Sor si limita a riportare che il liutaio Manuel Martinez fosse solito chiedere al cliente «La montez-vous avec des cordes fines ou fortes? Aimez-vous le son argentin ou velouè?» (leggere o forti, dal suono argentino o vellutato). Presumibilmente, il fatto che i diametri delle corde fossero calcolati, ancora una volta, su quelli del violino rendeva superfluo una trattazione dell’argomento.

101 Strumento preso in analisi da Pietro Prosser in Calichon e Mandora, ovvero: das non plus ultra satis est (parte prima) in il Fronimo CIX, Gennaio 2000, pp. 44-52. 102 Solo in seguito Emilio Pujol (1886-1980) approfondì l’argomento in Escuela Razonada de la Guitarra in 4 voll. Lo strumento di questo metodo, tra i più celebri in ambito chitarristico, era però ormai quello del suo maestro: F. Tarrega.

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 45 Nella chitarra francese la muta ormai pienamente consolidata consisteva in tre cantini di budello naturale oliato e bassi in seta filati. Scomparvero del tutto invece le vecchie corde demifilèe, con filatura metallica a spire non accostate. Insoddisfacenti a causa del disturbo delle vibrazioni parassite, esse però rendevano paradossalmente meno problematico il raccordo timbrico e dinamico tra la terza corda – ultima in budello naturale, più spessa e ovattata - e la quarta – la più brillante delle tre filate; tale aspetto è d’altro canto tuttora evidente e solo in parte stemperato con l’impiego di una terza corda filata o in fluorocarbonio. Il profilo di tensione delle mute ottocentesche era praticamente lineare, notevolmente diverso da quello scalare dei set moderni. Proporzionalmente più tesi, i bassi erano inoltre soggetti a forti escursioni di frequenza al minimo spostamento del pirolo. Tuttavia, nonostante questi piccoli “difetti”, la muta d’epoca era dal punto di vista espressivo ineguagliabile: tratti distintivi erano la marcata presenza timbrica e brillantezza delle corde più acute in budello e la natura invece «squisitamente vocale» dei bassi, di sonorità meno brillante e centrati maggiormente sulla fondamentale – dato il criterio di bilanciamento non “equilibrato” tra seta e filatura. Questi colori si persero103 a seguito della scoperta del chimico della Du Pont americana, Wallace Carothers, e della pionieristica ricerca di Albert Augustine104: quest’ultimo iniziò l’era delle economiche corde in nylon e della produzione industriale, ponendo contemporaneamente fine invece al secolare predominio del prodotto

103 Oltre alla perdita della timbrica antica vi fu un vero e proprio stravolgimento dell’equilibrio dei volumi: nei set moderni infatti risultano più brillanti i bassi. 104 Era il 1947 quando Segovia provò per la prima volta dei campioni di filo di nylon (ancora non si poteva parlare propriamente di corde).

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 46 italiano, fin dal XVII Secolo qualitativamente insuperabile rispetto alle altre manifatture: «Les bonnes cordes à boyaux sont ordinairement de Rome, de Florence, de Naples et de Lyon»105.

105 Michel Corrette, Les Dons d’Apollon, Parigi, 1763.

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 47 Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 48 Bibliografia

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Muziekhandel Saul B. Groen, Catalogo Concerti per Chitarra106, Ferdinand Bolstraat 8, 1072 LJ Amsterdam, Paesi Bassi

S. Magliaro, Prefazione a C. Doisy. Trois duos concertants pour Guitarre et Alto, Roma, Il Melograno

106 Francese si intende; non compaiono infatti tutti i concerti scritti nel XX Secolo, dopo l’avvento della chitarra moderna e di Andrés Segovia.

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 50 Discografia

Guitar Masterpieces. Manuel Gayol. Kapp Records, 1960

Vivaldi, Dowland, Torelli, Carulli. The Virtuoso Guitar. Die Wiener Solisten, Wilfried Böttcher, Karl Scheit. Vanguard Stereolab, 1962

Guitar Recital. Antonin Bartoš. Supraphon, 1966

Vivaldi, Carulli, Giuliani. Altitalienische Gitarrenkonzerte. Siegfried Behrend, I Musici. Deutsche Grammophon, 1969

Franz Schubert, Ferdinando Carulli. Michel Debost, Oscar Ghiglia, Bruno Pasquier, Paul Boufil. EMI, 1970

Lawes, Carulli, Sor, Albéniz, Granados, De Falla, Ravel. Julian Bream & John Williams. RCA Red Seal, 1972

Carulli, Granados, Albeniz, Giuliani, Johnson, Telemann, Debussy. Julian Bream & John Williams. RCA Red Seal, 1974

Diabelli, Giuliani, Carulli. Works For Two Guitars. Pepe Romero e Celedonio Romero. Philips, 1977

Gitarrenmusik. Narciso Yepes. Deutsche Grammophon, 1979

Carulli: 2 Sonatas - Diabelli: Sonate op. 68 & Grande Sonate Brillante op. 102. Works For Guitar And Piano. Pepe Romero e Wilhelm Hellweg. Philips, 1983

Carulli, Music for Flute and Guitar. Jean-Pierre Rampal, Alexandre Lagoya, Franz List Chamber Orchestra, Janos Rolla. CBS Records, Masterworks, 1988

Fernando Carulli, Francesco Molino – Concerti; Mozart - Adagio Kv 261, Rondò Kv 37. Pepe Romero, The Academy of St. Martin in the Fields, Iona Brown. Philips, 1990

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 51 Fernando Carulli. Guitar Sonatas op. 21 Nos. 1-3, op. 5. Richard Savino. Naxos, 1995

Carulli. Complete Works For Guitar & Fortepiano. Massimo Palumbo, Leopoldo Saracino. Brilliant Classics (8×CD), 2008

Ferdinando Carulli, Giuseppe Malerbi. Concerti per chitarra e orchestra. Giulio Tampalini, Brescia Orchestra, Ezio Rojatti. Amadeus, 2011

Beethoven For Two Guitars. Schneiderman-Yamaya Duo. Hänssler Classic, 2017

F. Carulli. Guitar Works. Alfonso Baschiera. Nar Classical, 2017

F. Carulli. Chamber Music for two Guitars. Alfonso Baschiera, Marco Nicolè. Da Vinci Classics, 2019

Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (Cons. B.Marcello) 52