Introduzione

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Introduzione Introduzione Quando Federico Zuccari mostrò a Filippo II di Spagna la Natività che aveva dipinto per il grande retablo dell'Escorial, il re rimase in silenzio per qualche istante; poi rivolse una domanda all'artista: erano uova quelle che il pastore aveva lì nella cesta e offriva con entrambe le mani alla Vergine? Federico rispose di sì; il re non aggiunse altro. Il commento di Filippo II, laconico come si addice ad un regnante spagnolo, fu prontamente integrato dai cortigiani: “Quelli che si trovavano lì lo notarono, capendo che [il pittore] aveva fatto poco caso alle altre circostanze, e che sembrava inappropriato che un pastore, allontanatosi di corsa dal suo gregge a mezzanotte, avesse potuto portare tante uova, a meno che non fosse un guardiano di galline”.1 Il dialogo tra Federico, il re e i cortigiani permette di introdurre la questione centrale di questa ricerca: quando ad un pittore del Cinquecento era richiesto di tradurre in immagini una storia sacra, gli era concesso un certo margine di invenzione? In cosa consisteva questo margine? A queste domande per ovvie ragioni non si può dare una risposta assoluta ed univoca. Il problema dev'essere indagato tenendo conto dei contesti e delle situazioni specifiche. Nella Spagna di Filippo II, ad esempio, il margine era evidentemente molto stretto: anche la presenza di una cesta di uova accanto ad una figura secondaria doveva essere giustificata di fronte al committente. Il soggiorno spagnolo mise a dura prova la pazienza dello Zuccari: tutte le tavole dipinte dall'artista per la Basilica furono oggetto di critiche e censure perché il pittore aveva illustrato troppo liberamente il soggetto iconografico o perché le immagini non rispettavano il decoro delle figure sacre. Anche nel caso della Natività, l'unico particolare di fantasia incluso da Federico nella scena attrasse subito l'attenzione del re ed i commenti del suo seguito. Le ragioni della critica mossa all'opera di Federico sono significative per questo discorso; i cortigiani ricostruiscono nell'immaginazione la storia parallela del pastore a partire dalla scena dipinta: quando il pastore ha ricevuto dall'angelo la buona notizia della nascita di Cristo, dev'essersi messo in tutta fretta in cammino; come ha fatto dunque a trovare tante uova e come le ha portate correndo fino alla culla di Gesù? Il dettaglio marginale della cesta di offerte dev'essere giustificato narrativamente, perché ogni elemento del dipinto può essere letto come il frammento di una storia: le figure marginali sono i protagonisti di un racconto che si svolge parallelo a quello delle persone sacre. Si proporrà qui la tesi che la tendenza ad ampliare il racconto oltre l'immagine, considerando ciò che è avvenuto prima e ciò che avverrà dopo la scena rappresentata, sia un modo caratteristico del Cinquecento di contemplare le opere figurative; questa tendenza corrisponde, da parte dei pittori, alla propensione ad ampliare il racconto oltre il testo e a rinnovare il soggetto iconografico ricostruendo gli avvenimenti secondo un punto di vista inaspettato e personale. Come si avrà modo di dimostrare, artisti e pubblico condividevano l'abitudine a leggere in modo attivo e a far rivivere nell'immaginazione i racconti sacri. Il pittore però, a differenza degli altri fedeli, ha il potere di dare consistenza visiva alla propria versione della storia: questo potere è stato oggetto di discussioni e motivo di conflitti durante tutto il Cinquecento. La lettura dei trattati teorici e delle testimonianze di ricezione rivela d'altro canto che la variazione dalla norma iconografica era al tempo una priorità estetica: perché un dipinto narrativo potesse conquistarsi l'approvazione degli 'intendenti', 1 L'episodio risale al 1586 ed è raccontato da Padre Sigüenza, che era presente all'incontro, in Sigüenza, La fundacion del Monasterio de El Escorial, 127 (traduzione mia); per Federico Zuccari all'Escorial vd. Zuccari in Cleri 1997, 21- 45; Acidini Luchinat 1999, II, 154-177 (per la Natività vd. 164). 1 doveva mostrare originalità di invenzione, pur rispettando la lettera del testo e la tradizione iconografica. Una volta raffigurate le azioni che dichiarano il soggetto e ne permettono il riconoscimento, gli artisti, sotto la supervisione o con l'avvallo del committente, potevano ampliare il contesto della storia e introdurre sulla scena dipinta personaggi e dettagli marginali. In particolare questo studio è dedicato alle 'figure senza nome': a questa categoria appartengono tutti i personaggi dipinti che non sono nominati nel racconto tradotto in immagini, che non appartengono alla tradizione iconografica e che non hanno un'identità individuale definita; sono quindi esclusi dalla categoria anche i contemporanei del pittore ritratti come illustri spettatori agli eventi. La distinzione tra figure senza nome e personaggi principali sarebbe arbitraria se non trovasse riscontro nella letteratura artistica del Cinquecento. È legittimo isolare come oggetto di studio queste figure perché gli stessi artisti ed i loro contemporanei, discutendo delle opere o ragionando della teoria, mettono in evidenzia l'apporto originale del pittore alla storia illustrata e distinguono tra personaggi necessari al racconto e figure che intervengono sulla scena come spettatori interni o comparse. La distinzione emerse come problema nel dibattito critico della seconda metà del Cinquecento in risposta ad una tendenza diffusa tra i pittori a dare maggior risalto nella composizione alle figure e alle scene marginali rispetto al nucleo narrativo e ai protagonisti del racconto; le opere nelle quali le parti della storia dipinta che provengono dall'immaginazione dell'artista sono preminenti rispetto al soggetto principale saranno oggetto di studio e discussione nelle prossime pagine. Come risulterà dal seguito del discorso, questo modo digressivo di raccontare per immagini fu interpretato dai teorici della Riforma Cattolica come segno di un conflitto tra le priorità degli artisti e la funzione devozionale e didattica degli immagini. Il margine di invenzione dei pittori divenne un territorio conteso. Il fenomeno della preminenza del marginale nella pittura del Cinquecento non è stato oggetto di analisi approfondita, ma neppure è passato inosservato negli studi di storia dell'arte; questo modo di comporre le storie dipinte è stato preso in esame nella discussione critica sul concetto di 'manierismo' che coinvolse a metà degli anni sessanta alcuni eminenti studiosi del mondo anglosassone; 2 Smyth in particolare riconobbe nella sovrabbondanza di figure secondarie uno dei caratteri distintivi della pittura 'di maniera': “as for composition, let us remind ourselves in passing that paintings with more than a few figures tend to lack focus, that secondary figures are apt to be abundant and more or less equally stressed in the uniform light, dispersing attention and obscuring the subject”.3 Lo studioso si chiede se i pittori cercassero consapevolmente di mascherare il significato del dipinto e se considerassero la difficile intelleggibilità della rappresentazione come un pregio (“an odd virtue”).4 Hauser discute il problema a proposito dell'Incendio di Borgo di Raffaello (fig. 2) nel capitolo Il manierismo latente nel pieno Rinascimento:5 secondo lo studioso la composizione elaborata dal pittore – nella quale l'intervento miracoloso del papa, cioè il soggetto principale, è allontanato nello sfondo mentre la 2 Ci si riferisce qui agli studi di Gombrich 1963 (che riassume i capi della questione e la letteratura precedente agli anni sessanta); Smyth 1963; Hauser 1965; Freedberg 1965; Shearman 1967; Zerner 1972; vd. anche Miedema 1978; Pinelli 1981; per una ricapitolazione del problema storiografico e metodologico vd. van den Akker 2010, di cui soprattutto 63- 139. 3 Smyth 1963, 183. Questo passo è illustrato nel testo da una riproduzione del Martirio di San Lorenzo di Bronzino (non commentato dall'autore). 4 Smyth 1963, 183: “Sometimes it is as if the painters sought obscurity with their vaunted copiousness and made an odd virtue out of the cross-purposes of composition and subject matter, just as they did out of unmotivated pose and movement”. 5 Hauser 1965, 194. In proposito all'Incendio di Borgo vd. infra, 55-56. 2 scena drammatica dell'incendio occupa il primo piano del dipinto – manifesta la deriva illogica e anticlassica dello stile di Raffaello:6 il pittore inverte i rapporti gerarchici della composizione soltanto al fine di dimostrare la sua arte; in altre parole, Raffaello subordina il racconto principale a quello marginale nell'affresco in quanto subordina la funzione comunicativa del dipinto a quella estetica: “questa scena, capovolgendo il significato delle varie parti dello spazio, spostando l'azione principale nel fondo e riempiendo il primo piano di comparse, facendo compiere alle figure atti assurdi e inutili e usandole in funzione puramente decorativa, non è che uno spettacolo ingannevole, e, come tale, un esempio tipico di anticlassicismo, una smentita dei canoni stilistici delle prime stanze raffaellesche”. 7 La descrizione di Hauser, pur cogliendo la novità dell'impianto compositivo dell'affresco, contiene un giudizio morale ed è in questo aspetto paragonabile alle critiche dei teorici della Riforma Cattolica, come si vedrà nella terza parte del discorso. Hauser inoltre spiega il modo narrativo dell'Incendio di Borgo facendo riferimento a categorie estetiche che il pittore non avrebbe compreso oppure non avrebbe trovato pertinenti alla sua opera, come 'manierismo' e 'anticlassicismo'. Questa ricerca
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