Il pulpito di Francesco Jerace nella chiesa di Sant’Antonio da Padova ad

Il robusto pulpito che spicca sulla sinistra del presbiterio della chiesa di Sant’Antonio da Padova ad Afragola è l’unico esempio di pergamo, tra quelli presenti nelle chiese del Napoletano, a non essere stato costruito in legno o pietra, bensì in marmo (1). Artisticamente notevole per la ricchezza degli intagli e la finezza delle decorazioni, il pulpito, originariamente addossato, sovrastato da un baldacchino, ad un pilastro tra la quarta e la quinta arcata destra della navata centrale, da dove è stato spostato nel 1995 in occasione dei restauri per il centenario dell’anno antoniano, fu realizzato nella seconda metà degli anni ‘20 del secolo scorso, in occasione del VII Centenario della morte di San Francesco, dalla bottega napoletana dello scultore calabrese Francesco Jerace (2).

Il pulpito prima del restauro nell’originaria collocazione

(1) Il manufatto, benché notevole dal punto di vista qualitativo, non ha a tutt’oggi beneficiato, a quanto ci risulta, di un’approfondita analisi artistica. L’unico intervento in merito, che in vero, ampliava solo, dando qualche nota sulla vita e sulla produzione dell’artefice, le precedenti descrizioni di A. GIACCO, Cenni storici e Guida della Chiesa Convento e Collegio di S. Antonio di Padova in Afragola, Afragola 1939 e G. D’ANDREA, Il Santuario di S. Antonio in Afragola Guida, Afragola 1968, è ancora quello proposto dallo scrivente nel contesto di un più ampio articolo sui beni culturali della città apparso sulle pagine di un periodico qualche anno fa (cfr. F. PEZZELLA, Appunti per una catalogazione del patrimonio artistico di Afragola, in «Rassegna Storica dei Comuni», a. XXVIII, ( n. s.), n. 110-111 (gennaio-aprile 2002), pp. 62- 76, pp. 75-76. (2) A. GIACCO, op. cit. pag. 51. L’avvenimento è ricordato, altresì, da una lapide che recita: A / PERENNE RICORDO DEL VII CENTENARIO FRANCESCANO / QUESTO PULPITO CON OBLAZIONI DEI FEDELI / ERESSE / P. LUDOVICO DAMIANO GUARDIANO DEL CONVENTO / 1927 Marmisti / S. Pedata – A. Fusco / Napoli. L’opera, che costò la considerevole cifra di centomila lire, fu inaugurata nello stesso anno con un forbito discorso del valente oratore sacro, padre Cirillo Caterino. La cassa si sviluppa su un artistico capitello che nella stesura originaria era retto da una massiccia colonna di finissimo marmo, ora conservata nella navata destra, realizzata dai marmorari Salvatore Pedata e Antonio Fusco (3). Tre delle quattro facce laterali accolgono altrettante composizioni scultoree che rappresentano: Gesù che manda gli Apostoli a predicare il Vangelo, nel riquadro centrale; Sant’Antonio che colla sua parola infuocata fa piegare le ginocchia al duro e spietato Ezzelino III da Romano, nel riquadro destro; San Francesco che esorta i suoi frati a spargersi per il mondo a predicare la penitenza, in quello sinistro. Sulla base della cassa sono scolpiti i simboli dei quattro Evangelisti e cioè: una testa di bue (San Luca), un’aquila (San Giovanni), un leone (San Marco) e una testa d’angelo (San Matteo).

Il pulpito nella collocazione attuale

I tre rilievi svolgono, com’è ovvio che sia per manufatti realizzati con questa specifica funzione, il tema della Predicazione, che ebbe particolare pregnanza proprio presso i Francescani, costruttori della chiesa e dell’attiguo convento (4). L’iconografia del primo riquadro s’ispira ai Vangeli di Matteo (Mt 10,1-7), di Marco (Mc 6, 7-13) e Luca ( Lc 9,1-6) laddove si legge che Gesù chiamati a sé i dodici discepoli e conferito loro il potere

(3) Salvatore Pedata (Sant’Antimo 1896-1970) fu l’artefice di numerosi manufatti marmorei in Campania. Suoi lavori si osservano oltre che nel paese natale (Santuario di Sant’Antimo e chiesa di San Rocco), nelle chiese di Napoli (Gesù Nuovo, Santi Severino e Sossio, Carmine, Santa Maria della Stella), nei palazzi reali di Napoli e , nel Teatro San Carlo, a San Pietro a Paterno (Santuario) e ad Ischia (ch. di San Giuseppe) (cfr. Aa. Vv. ,Marmorari, intagliatori, decoratori, stuccatori, cesellatori, ricamatrici Le arti minori presenti negli edifici di culto a Sant’Antimo, s.l. t., 2006, pag. 28). (4) Per una storia della chiesa e del convento cfr. C. CATERINO, Storia della minoritica Provincia napoletana di S. Pietro ad Aram, Napoli 1926-27, voll. I e III (documenti). di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e d’infermità, dopo averli invitati ad abbandonare tutto quanto di materiale possedevano, li mandò ad annunziare il regno di Dio. Il secondo episodio, relativo alla conversione di Ezzelino da Romano, è tratto, invece, dalla Benignitas (17,42-47), una delle più importanti fonti agiografiche antoniane, la prima in cui l’anonimo autore medievale, nel tracciare la vicenda agiografica del santo di Padova, ne introduce l'elemento taumaturgico ed enfatizza la lotta di Antonio contro l'eresia e la sua audacia nell'affrontare i potenti (5).

Gesù manda gli apostoli a predicare il Vangelo

Narra infatti questa fonte che il crudele Ezzelino da Romano, despota arrogante e perfido, nei primi tempi della sua tirannide, aveva perpetrato una sanguinosa strage a Verona (6). Antonio, appena informato dell’accaduto, si recò dal tiranno e lo apostrofò con espressioni veementi lanciandogli contro una terribile invettiva: «O nemico di Dio, tiranno spietato, cane rabbioso, fino a quando continuerai a versare sangue innocente di cristiani? Ecco, ti pende sopra il capo la sentenza del Signore, terribile e durissima!». Le guardie del corpo stavano all’erta, aspettando che Ezzelino, com’era solito fare quand’era offeso, ordinasse di trucidarlo, quando ecco che il tiranno, colpito da quelle parole dell'uomo di Dio, depose ogni ferocia e diventò un agnello. Poi, appeso il cinturone al

(5) Vita del "Dialogus" e "Benignitas" (a cura di VERGILIO GAMBOSO), Padova 1987. (6) Ezzelino III da Romano (Onara 1194-Soncino 1259) fu tra i principi italiani sostenitori dell’imperatore Federico II, di cui sposò la figlia Selvaggia e da cui fu più volte appoggiato nell’ampliamento dei propri domini. Dopo essersi impossessato di Verona e Bassano ottenne, infatti, dall’imperatore anche Vicenza e con il suo aiuto conquistò Padova e Treviso. Impostosi come capo ghibellino fu scomunicato da papa Innocenzo IV. Nello scontro con i guelfi ebbe la peggio nella battaglia di Cassano d’Adda, dove fu ferito e fatto prigioniero. Accusato di eresia ed efferatezza, nella tradizione letteraria è dipinto come un feroce tiranno da Dante Aligjhieri, Il novelliere, e da Albertino Mussato, Ecernis. collo, gli si prostrò ai piedi e confessò umilmente i propri misfatti, dando assicurazione che avrebbe posto riparo al male compiuto. E, per spiegare il suo repentino pentimento, aggiunse: «Commilitoni, non stupitevi di ciò. Vi dico in tutta verità, che ho visto emanare dal volto di questo padre una specie di fulgore divino, che mi ha atterrito al punto che, di fronte a una visione così spaventosa, avevo la sensazione di precipitare subito all'inferno».

Sant’Antonio converte Ezzelino da Romano

Da quel giorno Ezzelino ebbe sempre grandissima devozione al Santo e, finché questi visse, non si lasciò andare a nessuna altra atrocità. Il riquadro trovava un felice corrispettivo nell’analogo affresco realizzato dal pittore caiatino Vincenzo Severino alla fine del secondo decennio del ’900 su una delle due pareti laterali del presbiterio fatte abbattere nel 1956 da padre Ludovico Damiano per ricavarne altrettanti vani (7). L’altro affresco raffigurava Sant’ Antonio che predica davanti al Papa. Allo stesso pittore e al fratello Raffaele spetta, peraltro, la gran parte del restante programma decorativo della chiesa, che si snoda tra la volta della navata centrale e le volte delle cappelle laterali (8).

(7) G. F. D’ANDREA, Ad Jesum per Antonium Il santuario «S.. Antonio», Afragola 1995, pag. 23. (8) Vincenzo Severino (Caiazzo 10/3/1859-Afragola 22/5/1926) studiò all’Istituto di Belle Arti di Napoli dove, negli ultimi anni, fu allievo di Domenico Morelli. All’attività di decoratore e pittore di soggetti religiosi affiancò una copiosa produzione di tele di genere e di paesaggi che presentò ininterrottamente alle mostre della Promotrice napoletana dal 1881 al 1888. Si segnalano in particolare all’esordio, nel 1881, Un brindisi alla nostra salute, nell’edizione dell’anno successivo uno Studio di figura e I giocatori, in quella del 1883 Mi preparo all’Esposizione, un grande Paesaggio e un Ritratto nell’edizione del 1888. Nel frattempo partecipava anche ad esposizioni nazionali: a Milano nel 1882 con Il mese di Maria al mio paese, Il mietitore Caiatino e Contadina Caiatina), a Roma nel 1883 con Gioia domenicale ed Effetto di notte, a Palermo, nel 1891-92 con ben tre dipinti di soggetto storico, Jole Ruffo imperatrice di Costantinopoli, Pietro Ruffo vicerè di Sicilia e Testamento di Federico II, eseguiti su commissione del Principe Ruffo-Scilla di Roma. In questo periodo si affinò nelle tecniche ad affresco e a tempera e, con la collaborazione del fratello Raffaele, attese a Il terzo ed ultimo episodio rappresentato, San Francesco che predica ai frati, è tratto dalla Vita prima di Tommaso da Celano (9), il primo biografo del santo.

San Francesco esorta i confratelli a predicare la penitenza

Questi racconta che un giorno, mentre nella chiesa della Beata Vergine Madre di Dio sita alla Porziuncola, presso Assisi «si leggeva il brano del Vangelo relativo al mandato affidato agli Apostoli di predicare, il Santo, che ne aveva intuito solo il senso generale, dopo la Messa, pregò il sacerdote di spiegargli il passo. Il sacerdote glielo commentò punto per punto, e Francesco, udendo che i discepoli di Cristo non devono possedere né oro, né argento, né denaro, né portare bisaccia, né pane, né bastone per via, né avere calzari, né due tonache, ma soltanto predicare il Regno di Dio e la penitenza, subito, esultante di Spirito Santo, esclamò: ”Questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore!” (IX, 356). Dopo di che, liberatosi dei calzari, del bastone e della tonaca, sostituita da una ruvidissima veste «talmente povera e grossolana da rendere impossibile al mondo invidiargliela [ …]

diversi lavori di decorazione in chiese a dimore gentilizie tra cui Palazzo Ruffo sulla via Nomentana a Roma, una villa sul lago di Alleche, la chiesa dell’Immacolata nel quartiere Chiaia, a Napoli. Fu molto operoso anche nelle province campane, con decorazioni nella chiesa di Santa Maria degli Angeli a Nocera Inferiore (Figure dell’Ordine francescano, La Porziuncola, Lo spineto), nel Duomo di , per il quale dipinse ad affresco la serie dei Vescovi, i Fatti della vita di san Paolino nella cappella omonima ed alcune pale d’altare, e nel soffitto della chiesa del Carmine a (Patriarchi). In quest’ultima chiesa realizzò anche una tela, la Madonna del Carmine con i frati dell’Ordine). Da solo affrescò la chiesa di San Mauro a Pontecorvo, la chiesa di San Francesco da Paola a Milazzo, per il cui presbiterio dipinse anche una grande tela raffigurante La moltiplicazione dei pani. (9) TOMMASO DA CELANO, Le due vite e il Trattato dei Miracoli di San Francesco d'Assisi, Roma 1954, traduzione a cura di L. MACALI. con grande fervore ed esultanza, egli cominciò a predicare la penitenza, edificando tutti con la semplicità della sua parola e la magnificenza del suo cuore. La sua parola era come fuoco bruciante, penetrava nell'intimo dei cuori, riempiendo tutti di ammirazione…» (IX, 358). Ad esserne colpiti furono soprattutto i discepoli che appena ebbero raggiunto il numero di otto furono radunati da Francesco, il quale «dopo aver parlato loro a lungo del Regno di Dio, del disprezzo del mondo, del rinnegamento della propria volontà, del dominio che si deve esercitare sul proprio corpo, li divise in quattro gruppi, di due ciascuno e disse loro: “Andate, carissimi, a due a due per le varie parti del mondo e annunciate agli uomini la pace e la penitenza in remissione dei peccati; e siate pazienti nelle persecuzioni, sicuri che il Signore adempirà il suo disegno e manterrà le sue promesse. Rispondete con umiltà a chi vi interroga, benedite chi vi perseguita, ringraziate chi vi ingiuria e vi calunnia, perché in cambio ci viene preparato il regno eterno”… Ed essi, ricevendo con gaudio e letizia grande il precetto della santa obbedienza, si prostravano davanti al beato padre, che abbracciandoli con tenerezza e devozione diceva ad ognuno: “Riponi la tua fiducia nel Signore ed Egli avrà cura di te”» (XII, 366-367).

Francesco Jerace, Autoritratto

Nato a Polistena, in provincia di Reggio Calabria, nel 1854 Francesco Jerace studiò a Napoli prima con Tito Angelino e Stanislao Lista all’Accademia di Belle Arti, specializzandosi poi nella scultura cosiddetta “storica”. Massima espressione di questa sua vocazione fu il frontone che tuttora sovrasta la facciata dell’Università di Napoli, sul quale egli rappresentò Federico II di Svevia che fa leggere a Pier della Vigna il documento di fondazione dello“studio”. Nel 1888 scolpì in marmo la statua di Vittorio Emanuele II per la nota serie dei capostipiti di dinastie che ornano la facciata del Palazzo Reale di Napoli. Sua è anche la statua di Nicola Amore, già nella piazza omonima e attualmente in piazza Vittoria dopo che vi era stata spostata per permettere un più agevole passaggio del corteo che accompagnò Hitler in una visita a Napoli. Qui affianca l’altra sua statua di bronzo dedicata a Giovanni Nicotera. Nel museo Filangieri si trovano invece i due busti femminili della Victa e della Fiorita, molto apprezzati dai contemporanei. Alla produzione profana rappresentata anche da alcuni notevoli monumenti celebrativi realizzati per le piazze italiane (il più noto è quello dedicato a Donizetti a Bergamo) affiancò una discreta produzione chiesastica che annovera, tra l’altro, due gruppi marmorei per la chiesa di Santa Maria a Varsavia e un Angelo della Fede per il Duomo di Castellammare di Stabia. Jerace fu anche un ricercato decoratore di ville e palazzi notevoli come Villa De Sanna a Posillipo e Palazzo Sirignano, per il quale realizzò con il fratello Vincenzo una spettacolare scalinata in marmo per accedere al piano di rappresentanza. Morì a Napoli nel 1937 (10).

Franco Pezzella

(10) E. CORACE, Francesco Jerace scultore 1853-1937, Roma 2002.