Dialoghi Mediterranei

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Dialoghi Mediterranei Periodico bimestrale dell’Istituto Euroarabo di Mazara del Vallo ISSN 2384-9010 ______________________________________________________ Direttore editoriale: Antonino Cusumano Direttore responsabile: Piero Di Giorgi Redazione: Mario Cajazzo, Vincenzo Maria Corseri, Karim Hannachi, Rosario Lentini, Valentina Richichi, Luigi Tumbarello Comitato Scientifico: CESARE AJROLDI STEFANO MONTES Università di Palermo Università di Palermo ROSOLINO BUCCHERI DAVID NAPIER Università di Palermo University College London PIETRO CLEMENTE VALENTINA NAPOLITANO Università di Firenze University of Toronto FRANCESCA CORRAO OLIMPIA NIGLIO Università La Sapienza di Roma Hokkaido University MARI D’AGOSTINO GIOVANNI RUFFINO Università di Palermo Università di Palermo MERIEM DHOUIB FLAVIA SCHIAVO Università La Manouba di Tunisi Università di Palermo LAURA FARANDA ROBERTO SOTTILE Università La Sapienza di Roma Università di Palermo MARIO G. GIACOMARRA PAUL STOLLER Università di Palermo West Chester University MARIA I. MACIOTI CIRCE STURM Università La Sapienza di Roma The University of Texas at Austin VITO TETI Università della Calabria DIALOGHI MEDITERRANEI N. 34 – NOVEMBRE - DICEMBRE 2018 www.istitutoeuroarabo.it/DM _____________________________________________________________________ Riace (ph. Dario Condemi) Dialoghi Mediterranei http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/ SOMMARIO n. 34 EDITORIALE; Adriani-Broccolini-Ruscitti-Morelli-Quirini, Briganti e brigantaggio nella poesia di tradizione orale del Cicolano; Linda Armano, Il significato umano del tempo. Categorizzazioni culturali; Giuseppe Bertini, Gli stranieri e la normativa previdenziale e assistenziale; Antonino Cangemi, Dei matti di Pietro Pisani nella Real Casa di Palermo; Marcello Carlotti, Coscienza. Un’ipotesi monista; Simone Casalini, La transizione tunisina e il ruolo degli intellettuali; Roberto Cascio, Cogliere il ”fiore puro”. Una nuova via di ricerca sull’islamismo radicale; Augusto Cavadi, Da Parmenide alla mafia siciliana (e ritorno?); Annamaria Clemente, Terrorismo tra apatia e nichilismo; Vincenzo Maria Corseri, Noi, gli animali e gli antichi; Antonino Cusumano, Scrivere di migrazioni, scrivere di migranti; Alfredo D’Amato, “Fado negro”, album di viaggio nelle colonie 1 portoghesi; Francesco David, Dalla Padania tribale alla Nazione sovrana: l’identità secondo la Lega; Valeria Dell’Orzo, Il nuovo Sapiens: riscrittura e transizioni; Meriem Dhouib, Il fascino dello scontro: riepilogo di un percorso di ricerca; Piero Di Giorgi, Il teatro parigino nel tumulto creativo del Primo Novecento; Lella Di Marco, Solitudine e infelicità nella migrazione; Leo Di Simone, Il culto di Demetra e i suoi possibili influssi sul culto mariano; Laura Faranda, Doutté e Desparmet: pregiudizi ideologici e vocazione etnologica nel Maghreb coloniale; Mariano Fresta, Pasquale Placido: per un’autobiografia del 68 in Sardegna; Carolina Galli, Reti Cas e Sprar: due diverse prospettive nel sistema di accoglienza; Mauro Geraci, Il teatro dei sogni. Verticalità e trasparenze della nuova Tirana; Giuseppe Giacobello, Leggende plutoniche nel repertorio Pitrè-Salomone Marino; Nino Giaramidaro, Le confessioni ammucchiate nelle soffitte scomparse; Eugenio Grosso, Dal fronte greco- macedone, la marcia inarrestabile di un popolo; Shkelzen Hasanaj, Integration, assimilation and the respect of the cultural differences in migration policies: in Germany and the United Kingdom; Luca Jourdan, L’accoglienza dei rifugiati nell’Africa dei Grandi Laghi. Appunti sul modello ugandese; Luigi Lombardo, Et in Arcadia ego…; Roberto Malvezzi-Giuseppe Piana, Per una lettura fenomenologica dei templi greci di Sicilia; Francesco Medici, El Profeta: se Kahlil Gibran parla lombardo; Giuseppe Modica, La luce del Mediterraneo. In ricordo di Piero Guccione; Stefano Montes, Sul vivere quotidiano. Variazioni epifaniche in chiave antropologica; Arnaldo Nesti, Nel Mediterraneo largo: dagli Appennini alle Ande. Appunti di viaggio; Olimpia Niglio, La diplomazia culturale. Un progetto di solidarietà; Silvia Pierantoni Giua, Radici e identità: testimonianza di una vita tra due terre; Franco Pittau-Maria Elena Vacaru, Immigrazione, multiculturalismo e interculturalismo tra le due sponde dell’Atlantico; Ninni Ravazza, Anne, l’altra metà del corallo; Gian Mauro Sales Pandolfini, Il crollo degli obelischi; Stefano Saletti, Cantando il Sabir e i suoni delle città di frontiera; Mario Sarica, Le neviere dei Peloritani. Appunti di ricerca; Francesco Scaglione, La lingua franca del Mediterraneo. Aspetti storici e prospettive sociolinguistiche; Flavia Schiavo, Goodbye my dreams, goodbye my land; Erika Scopelliti, La tradizione della halqa dei racconti. Il caso di Marrakech; Davide Sirchia, Gli obblighi sociali e il suicidio nel Giappone contemporaneo; Ahmed Somai, Sguardi sulla Tunisia; Giuseppe Sorce, L’intervista impossibile; Orietta Sorgi, Da convento a caserma per il pane della città; Roberto Sottile, Le parole del Dictionnaire de la langue franque ou petit mauresque. Sulla mediterraneità di alcune voci; Sergio Todesco, Donne di mare e riconoscimenti istituzionali; Marcello Vigli, La politica, la democrazia, la scuola; Giacomo Zaganelli, L’arte oggi tra smartphone e turismo; Anna Ziliotto, Il contributo dell’antropologia culturale alla conoscenza del fenomeno mafioso. 2 Ripalimosani IL CENTRO IN PERIFERIA Pietro Clemente, Antropologia e piccoli paesi. Incontri, problemi, esperienze; Katia Ballacchino-Letizia Bindi, Ripalimosani. Infanzia di una mappa; Giovanni Cordova, Oltre il rancore. L’utopia di Riace per una comunità di sentimento; Cinzia Costa, Terremoti relazionali. La resilienza di Aliano e dei paesi abbandonati; Nicoletta Malgeri, L’utopia della normalità: immagini e voci da Riace; Maria Molinari, 29 agosto. Il paese si svuota; Vito Teti, Catastrofi e spopolamento nell’opera di Corrado Alvaro. Dialoghi Mediterranei, n. 34, novembre 2018 3 Fronte greco-macedone, 2015 (ph. E. Grosso) EDITORIALE Aveva ragione Albert Camus quando scriveva che «dalle coste dell’Africa dove sono nato si vede meglio il volto dell’Europa. E – aggiungeva – si sa che non è bello». Non diversamente ha ragione Pietro Clemente che ribadisce in questo numero come nei precedenti che «Il centro è in periferia», che dall’osservatorio decentrato dei piccoli paesi si può capire meglio lo stato di salute dell’Italia, le dinamiche di cambiamento che l’attraversano, le prospettive che si prefigurano. Non è forse vero che mettendo insieme quanto accade a Macerata e a Lodi, a Partinico e a Brindisi, a Vibo Valentia e a Moncalieri, e quotidianamente in molti altri centri delle province della nostra penisola, si possono leggere in tutta evidenza i segni della regressione sociale e civile, l’insofferenza nelle relazioni della convivenza, il risentimento degenerato e organizzato in sovversione squadrista, quella «fascistizzazione del senso comune» di cui ha recentemente parlato la senatrice a vita Liliana Segre? Non è meno vero tuttavia che, mettendo insieme le esperienze di Lampedusa, Aliano e Riace, e di altri piccoli oscuri comuni, dove si attuano e si sperimentano forme e strategie originali di rispettosa accoglienza e di umana solidarietà, si possono trarre le ragioni di una speranza, di una resistenza anche creativa, dell’ammutinamento di abitanti e intere collettività di una Italia minore ma forse non del tutto minoritaria. 4 Non si può non cominciare da Riace, luogo diventato simbolico di tutte le contraddizioni del nostro presente, orizzonte in cui sembrano dispiegarsi e coagulare le parole, i pensieri e i gesti di ogni ragionamento politico, di ogni discorso pubblico, di ogni dibattito culturale. Perché Riace, avendo ospitato e inverato un modello di accoglienza risolto nella partecipazione collettiva al bene comune, ha sollevato la reazione politica di chi alla commistione oppone il suprematismo bianco, alla contaminazione l’epurazione, alla condivisione il primato degli italiani. In questa paranoica contrapposizione c’è qualcosa che richiama un lessico di guerra, un linguaggio da rappresaglia, da sadica vendetta, da feroce ritorsione: la legge che si mette contro la giustizia, il potere armato contro la comunità disarmata. Che la portata dell’esperienza di Riace trascenda la dimensione puramente locale e significhi molto di più del semplice destino del piccolo centro calabrese è confermato dal livello esacerbato e violento dell’intento punitivo e repressivo, spintosi tra vincoli e ricatti fino all’esilio del sindaco e alla minaccia della deportazione degli immigrati. Straordinaria macchina di esecuzione giudiziaria e politica a fronte di uno straordinario esempio di vitalità e visibilità della convivenza possibile tra uomini e culture diverse dentro uno spazio pubblico non più inquinato dalle intermediazioni mafiose né dai rovinosi effetti della propaganda xenofoba. A Riace si è (era) promosso e compiuto quel processo di ripopolamento urbano non solo grazie alla presenza dei profughi venuti dal mare ma anche e soprattutto attraverso la realizzazione di un autogoverno democratico di legami sociali e di diritti e doveri di una cittadinanza basata non sull’appartenenza etnica ma sull’ampia sensibilità civica, sul ritrovato sentimento dei luoghi, sullo spirito di elezione e di cura del patrimonio collettivo. Qui sembra essersi materializzata quell’idea di democrazia auspicata da Pietro Clemente, ovvero «un modo di condividere e partecipare completamente diverso da quello della rappresentanza politica», «il capovolgimento del paradigma progressista industrialista e urbanocentrico», l’immagine
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