LA VITA (Arezzo 1304-Arquà 1374)

Francesco Petrarca nasce ad Arezzo nel 1304. Il padre, notaio fiorentino, si trovava in esilio ad Arezzo, e faceva parte della fazione dei guelfi bianchi, come . La famiglia di Petrarca segue poi il papa ad Avignone, dove era stata trasferita nel 1309 la sede pontificia. Nel 1318 muore la madre del poeta, ciò spinge il poeta a comporre il suo primo componimento, un'elegia in latino. La corte avignonese si presenta come un ambiente cosmopolita e moderno, che forma il giovane Francesco e il fratello Gherardo. Nel 1327, come data Petrarca stesso, avviene l'incontro con Laura, l'evento più importante della sua vita. La donna probabilmente è , donna sposata con l'aristocratico Ugo de Sade. Nel 1330 Petrarca assume lo stato di chierico, dandosi alla carriera ecclesiastica. Negli anni '30 del XIV secolo il poeta affronta diversi viaggi, in particolare Parigi e Roma, città importante per l'elaborazione del mito della classicità da parte di Petrarca. Nel 1337 nasce il figlio Giovanni e decide di comprare una casa in Valchiusa in Provenza, che diventerà l'epicentro del suo mondo poetico. Nel 1341 la sua crescente fama di letterato e umanista lo porta a un gesto innovativo per l'epoca: si sottopone a un certame poetico, che gli viene proposto dal re di Napoli, Roberto D'Angiò, che vaglia la sua preparazione umanistica e poetica e lo incorona con l'alloro sul Campidoglio. Tra il 1347 e il 1353 compone un'opera in prosa in latino, il . Si tratta di un dialogo immaginario tra il poeta e Sant'Agostino, in cui vengono affrontate questioni personali e intime del poeta, una sorta di autoesame di coscienza, di "inchiesta psicologica su se stessi". Continua i suoi studi di carattere filologico e i suoi viaggi per monasteri e biblioteche alla ricerca di manoscritti rari di autori classici (sua è la scoperta di alcune epistole di Cicerone e sua è la prima raccolta di 4 decadi delle Storie di Livio). Il suo metodo di ricerca, il suo studio degli autori antichi e la sua passione per la classicità rendono Petrarca un precursore dell'Umanesimo. Dal punto di vista politico Petrarca è un uomo che resta all'ombra del potere per tutta la vita. Svolge il suo ruolo all'interno della corte pontificia. Solo nel 1347 per un breve periodo Petrarca sembra appoggiare l'occupazione di Roma da parte di Cola di Rienzo, un tribuno del popolo, che cerca di costruire una nuova forma governativa, un tentativo destinato presto a fallire. Nel 1348 in Europa scoppia la peste nera. Durante la peste, tra i conoscenti di Petrarca, muore anche Laura, la donna amata del poeta. Negli anni successivi alla pesta Petrarca entra in contatto con nuovi ambienti intellettuali e culturali, a Firenze conosce Boccaccio. L'ambiente della corte pontificia appare al poeta sempre più soffocante e nel 1353 si stabilisce in Italia, a Milano alla corte dei Visconti, da cui si allontana nel 1361. Ricomincia un nuovo periodo di peregrinazioni in Veneto e Petrarca si stabilisce nel 1368 a Padova. Nel 1374 Petrarca muore per un attacco di febbre, mentre sta completando l'opera in volgare a cui ha dedicato la vita intera, il Canzoniere.

LA CULTURA E IL PENSIERO

La personalità

Petrarca ebbe una personalità ricca e complessa, non priva di aspetti contrastanti alcuni lo definiscono il "primo uomo moderno" facendone un precursore dell'Umanesimo; altri al contrario ritengono che la sua opera debba essere ricondotta all'interno dei conflitti della spiritualità cattolica medievale. In realtà la personalità di Petrarca proprio per la sua ricchezza e complessità non può essere definita con una formula univoca. Il poeta, infatti, sta tra il misticismo del Medioevo e il naturalismo del Rinascimento, che era allora ai suoi albori. La sua volontà debole e inquieta (opposta a quella di Dante) non seppe decidersi tra le due posizioni: da ciò l'eterno dissidio tra il sogno è la realtà, tra le aspirazioni mondane e i doveri morali e religiosi e la consapevolezza di un'impossibile felicità. Di qui l'irrequietezza, la malinconia, l'insoddisfazione di sé e infine il tentativo del poeta di dare forma artistica al proprio ideale naturalistico, non essendo in grado di realizzarlo nella vita.

La cultura letteraria e gli ideali umanistici

Pur essendo intimamente partecipe della spiritualità medievale, Petrarca si può considerare come un fervido precursore degli ideali umanistici. Egli si dedicò con vera passione di erudito e di filologo allo studio della letteratura classica (ricerca e scoperta di codici antichi; genuino entusiasmo per l'antichità romana ecc.) e non perse occasione per approfondire la propria cultura letteraria. Un carattere fondamentale della personalità di P. è proprio il suo amore per la letteratura, intesa come vera e propria forma di vita. Tra gli autori latini da lui studiati maggiormente ci sono Virgilio, Cicerone, Orazio, Seneca e Livio. In loro Petrarca voleva ritrovare i fondamenti di una nuova concezione del mondo, radicalmente diversa da quella medievale. Tra le opere più umanistiche di P. ricordiamo l' e il De viribus illustribus.

Gli ideali filosofici e religiosi

P. non fu propriamente un filosofo, ma uno spirito inquieto di moralista, portato a meditare su ogni aspetto della propria vita interiore. Egli si dedicò con appassionato fervore spirituale e con tormentosa inquietudine psicologica alla riflessione sui più vivi problemi filosofici e religiosi (ideali mistici; ricerca della vera felicità umana; aspirazione all'eterno, ecc.), approfondendo sempre più lo studio dei testi sacri (soprattutto il Vangelo) e le letture di autori come Platone (ritenuto superiore ad Aristotele) e Sant'Agostino, modelli esemplari di saggezza umana e di implacabile rigore morale. Le più notevoli opere petrarchesche di carattere morale e religioso, composte tutte in latino, sono il Secretum e il .

Le convinzioni politiche

Anche nelle convinzioni politiche P. appare animato da interessi nuovi, nati da un innovativo atteggiamento ideale, oramai svincolato dalle concezioni medievali. Per quanto riguarda l'Impero, la concezione di P. è opposta a quella dantesca: Dante, medievale, teologico, universalista, guarda al Sacro Romano Impero, di cui l'Italia è il giardino; P., più realisticamente comprende che l'ideale del Sacro Romano impero è un'utopia, perché le Signorie, che si sono ormai consolidate in Italia, appaiono ostili a ogni soggezione imperiale. Nella canzone Italia mia, il poeta esorta i principi e i signori italiani a bandire dal loro suolo le milizie mercenarie germaniche; nella canzone Spirto gentil auspica la restaurazione dell'antica grandezza di Roma. Nei confronti del papato P. assume invece un atteggiamento pressoché analogo a quello di Dante. Auspica il ritorno della Chiesa alla primitiva purezza e povertà evangelica, e benché sia uno spirito intimamente religioso e obbediente all'autorità spirituale della Chiesa, non esita a condannare aspramente il potere temporale del Pontefice e la corruzione della Curia avignonese, invocando vivamente - in varie sue lettere - il ritorno della sede pontificia a Roma e dolendosi allo stesso tempo della sovranità temporale del Pontefice e della donazione di Costantino.

OPERE

Il Canzoniere

Su richiesta degli amici, il poeta raccolse in un'opera unitaria le sue rime, che egli chiamava Rerum vulgarium frammenta (frammenti in volgare) e che si conservano in un manoscritto della Biblioteca Vaticana. Proprio in queste rime italiane, il poeta riuscì a trascrivere liricamente i suoi sentimenti più profondi (e in modo essenziale l'amore per Laura), raggiungendo la sua più completa e autentica espressione poetica. Le rime petrarchesche - meglio note con il titolo di Canzoniere - vennero composte e progressivamente rielaborate dal poeta, con sempre più intensa è interrotta opera di scelta, ripulitura, e trascrizione, in un lungo arco di tempo, che va dal 1330 al 1374. La composizione

Il Canzoniere comprende in tutto 366 componimenti, di cui 317 sonetti, 29 canzoni, poche sestine e ballate e alcuni madrigali, approssimativamente disposti secondo l'ordine cronologico e psicologico, fatta eccezione per alcuni sonetti introduttivi di epoca posteriore. Non furono comprese nel Canzoniere altre rime di vario argomento, che vanno perciò sotto il titolo di estravaganti, pubblicate a parte con il titolo di Rime sparse.

La struttura

Il Canzoniere si può dividere in due parti: 1)Rime in vita di Laura (comprendente 263 componimenti). Sono espressione del dramma di Petrarca, ma meno artistiche delle rime in morte, perché Laura è viva e il poeta esita a esprimere spontaneamente il suo amore: ricorre perciò al concetto di Amore platonico, a stilemi stilnovistici, e a una serie di artifizi per velare la propria passione, come bisticci sul nome di Laura (laurea, l'aura, l'aurea ecc.), antitesi troppo volute, allegorie protratte ecc. Laura non è più un angelo, l'amor per lei non è più soltanto beatitudine celeste, e, se pur conserva ancora qualcosa dell'amore ideale, è amore essenzialmente umano, che non rifugge talvolta dal crudo sensualismo della poesia popolare. Questo stato d'animo contraddittorio, combattuto tra amore e dovere, ardori del misticismo e impulsi del senso, è palese in molte rime. 2)Rime in morte di Laura (comprendenti 103 componimenti). Sono più artistiche delle rime in vita, perché Laura morta elimina il dissidio e Petrarca non esita ora a cantare il suo amore: la donna piuttosto gelida e astratta della prima parte si fa qui viva e concreta (scende a consolare il poeta, lo invita a seguirla in Cielo, ecc.).

Il sentimento e i motivi poetici

Nel Canzoniere P. canta l'intima vicenda del suo amore per Laura: un amore ideale e umano insieme (tormenti passionali, dolore per la morte di Laura, malinconia del ricordo, contrasto tra l'amore e la coscienza religiosa, ecc.). In questo contrasto tra una concezione ideale e quasi religiosa della bellezza, risalente in fondo alle dottrine stilnovistiche, e il desiderio di un amore umano e terreno emerge l'aspetto più autentico dell'animo del poeta, che si risolve in una tristezza senza storia e senza sviluppo, immobile nella sua perpetua oscillazione. Questo stato d'animo inquieto e contraddittorio, nel quale si esprime l'intimo conflitto spirituale - così caratteristico della personalità di P. - tra l'indomabile amore per le cose terrene e le sempre risorgenti aspirazioni al cielo e all'eterno, costituisce il tema lirico dominate di gran parte delle rime del Canzoniere. Accanto alle numerose poesie d'amore, nella raccolta si trovano anche rime di argomento diverso: A)poesie di ispirazione religiosa B)poesie di ispirazione politica C)poesie di intonazione polemica contro il Papato D)poesie ispirate al sentimento dell'amicizia.

Lo stile

Caratteristica delle rime del Petrarca è la forma aristocratica e finemente melodica: una forma realizzata con una strenua elaborazione artistica e letteraria, che resterà per secoli a modello della lirica italiana. Non mancano tuttavia frequenti artificiosità, conseguenza del contraddittorio stato d'animo e della tradizione provenzale; ma si tratta di pura esteriorità, sostanzialmente estranea alla profondità del sentire petrarchesco, su cui si fermarono tipicamente gli imitatori. Il centro del modo poetico di P. non consiste tanto nella descrizione esteriore della sua passione per Laura, quanto nell'analisi e nella contemplazione della propria vita interiore, caratterizzata dal perenne dissidio tra l'amore per le cose terrene e la tensione verso il cielo e l'eterno. P. è un grande poeta, capace di indagare, con atteggiamento di superiore dominio intellettuale, nelle pieghe più segrete del proprio animo e di esprimere le più sottili e inquiete intuizioni psicologiche nella compagine rigorosa di un discorso artisticamente controllato e dominato, trasfigurando il suo dolore nelle linee di una malinconica serenità contemplativa, e trascrivendo le note della sua umana commozione (la tristezza è il conforto dell'amore, il senso della caducità della vita, la nuova visione della natura ecc.) nel ritmo universale della poesia. L'esempio più alto della poesia di P. è da ravvisare nella famosa canzone Chiare, fresche e dolci acque, in cui si esprime - con raro equilibrio artistico e immaginativo - il più intimo sentimento del poeta: l'eterno desiderio d'amore che affiora dalla trepida e dolce memoria del passato e che vive ancora - oltre la morte - nella sommessa e pur fiduciosa speranza del futuro. In questo indugiare della fantasia e della memoria è da ricercare il tono lirico più autentico, non solo di questa canzone, ma di tutto il Canzoniere e di tutta la poesia di P.

I Trionfi

I Trionfi di Francesco Petrarca sono un poemetto allegorico in volgare italiano in terzine, articolato in sei visioni avute dal poeta, durante un sogno. Si assiste così a sei “trionfi” successivi, in cui ogni allegoria sconfigge la precedente; nell’ordine abbiamo: Amore, Pudicizia, Morte, Fama, Tempo, Eternità. Nei Trionfi, cui Petrarca lavora dal 1340-1342 e che vengono rielaborati praticamente fino alla morte del poeta, vengono riprese e sintetizzate le riflessioni del Canzoniere, dei trattati morali (come il Secretum, il De vita solitaria, il De otio religioso) e delle raccolte epistolari petrarchesche (le Familiares e le Seniles).

Il primo “trionfo” è il Triumphus Cupidinis: il poeta si addormenta e in sogno compaiono Amore e la sua corte, costituita da amanti celebri storici o leggendari, le cui vicende sono ricavate dalla Bibbia e dalla mitologia classica. Tra i diversi personaggi c’è anche Laura, la protagonista del Canzoniere, di cui il poeta si innamora immediatamente. L’autore diventa prigioniero di Amore e viene condotto insieme agli altri sull’isola di Cipro, dove viene rinchiuso in una prigione. Nel secondo trionfo (il Triumphus Pudicitie) Laura con l’aiuto di Pudicizia- Castità vince Amore e lo imprigiona, umiliandolo a sua volta. Laura torna a Roma col proprio corteo per celebrare il proprio successo. Nel Triumphus Mortis (il terzo trionfo) la vittoria di Laura è turbata dall’apparizione di Morte, che annuncia la morte imminente della protagonista. Petrarca assiste al decesso di Laura, che rivela il suo amore per il poeta e la sua condizione beata. Laura spiega di non aver mai svelato i propri sentimenti per non distoglierlo dal suo percorso di perfezionamento morale. Nel Triumphus Famae (il quarto trionfo) si assiste alla sconfitta della Morte da parte della Fama, che, desiderosa di superare l’oblio della vita mortale, schiera con sé personaggi noti per valore militare e intellettuale. La Fama è cosi il simbolo della trasmissione del sapere e del valore tra le stirpi umane. Ma alla Fama succede il Tempo, personificato dal Sole, nel quinto trionfo, il Triumphus Temporis. L’astro, per poter annullare il potere della fama sulla morte, accelera il suo corso, cancellando più velocemente il ricordo dell’uomo. Petrarca qui coglie l’occasione per riflettere sulla brevità della vita e sulla vanità del mondo terreno. L’ultimo trionfo, il Triumphus Eternitatis, chiude la successione: Petrarca trova sostegno di fronte alla fugacità dell’esistenza in Dio, che trionfa su tutto e tutti. Nell’eternità divina i beati potranno sconfiggere la Morte e il Tempo. Ed è qui che il poeta potrà rivedere Laura, ormai beata. I Trionfi si chiudono quindi con la visione finale della donna amata da Petrarca, in una visione della beatitudine celeste.

Il poemetto si presenta come il percorso ideale e universale dell’uomo dal peccato alla redenzione, tema tipico dei testi poetici allegorico-didascalici medievali, come il Roman de la Rose, e la Commedia di Dante, che diventa per Petrarca un vero e proprio termine di confronto. Il poema dantesco si presenta sia come modello formale indiretto (con la scelta da parte di Petrarca di adottare lo schema metrico della terzina), sia come modello concettuale per il viaggio allegorico-morale intrapreso. Al tempo stesso, i Triumphi si collocano bene nel percorso letterario di Petrarca, sviluppando alcuni temi fondamentali della poetica del Canzoniere: la spiritualizzazione della passione per Laura (che culminerà nella canzone alla Vergine), l’attenzione narcisistica per la propria intimità, la ricorrente riflessione sulla morte (come in Movesi il vecchierel canuto e bianco). I Trionfi - la cui successione in sei momenti successivi è assai meccanica e rigida - sono incompiuti, sia per il lungo lavoro di correzione sia per le difficoltà a gestire la struttura del poema rispetto alla dimensione più agile dei componimenti lirici del Canzoniere. 1 Il termine “trionfo” si rifà alla tradizione romana di celebrare un condottiero vittorioso con un corteo fino al Campidoglio, seguito dalle sue truppe e dai prigionieri di guerra.

Opere in latino

Le opere latine, in prosa e versi, sono molto più numerose della sua produzione in volgare. E' ai testi latini che Petrarca affidava la certezza della fama presso i contemporanei e presso i posteri. A questo fine coltivò con estrema cura l'immagine che di sé voleva lasciare. In lui "il dato esterno tende sempre a presentarsi come esemplare, il dato interiore a farsi esperienza universale e spirituale. In questa tensione va inquadrato l'ampissimo epistolario, alla cui sistemazione e raccolta Petrarca cominciò ben presto a pensare" [1], sull'esempio ciceroniano e senechiano. Curò lui stesso la pubblicazione delle epistole Cose familiari (Rerum familiarum) in 24 libri. Si tratta di 350 lettere, alcune delle quali in versi, scritte nel 1325-1366, indirizzate per lo più ad amici, ma anche a scrittori dell'età classica latina: Cicero, Virgilius ecc. Le parti migliori di queste epistole sono nell'intensità dell'autoanalisi intrecciata alla narrazione, soprattutto in quella in cui descrive la sua ascensione al Monte Ventoso. Dalle "Familiari" furono escluse 19 lettere, intitolate Senza nome (Sine nomine), molto polemiche nei confronti della curia papale di Avignone, e per questo motivo prive del nome del destinatario per ragioni prudenziali. Le Cose senili (Rerum senilium) in 17 libri riuniscono 120 epistole composte nel 1361-1374. Esse probabilmente erano destinate a concludersi con quella, giuntaci isolatamente, intitolata Epistola ai posteri (Epistula ad posteros), che delinea una estesa autobiografia del poeta dalla nascita al 1371. Le Varie (Variae) sono un gruppo di epistole non inquadrabili nelle silloge precedenti, e comprendono un gruppo di 57 epistole, scritte per motivi pratici. Alla tematica delle "Familiari" si ricollegano le 66 Epistole metriche (Epistulae metricae) in esametri, divise in tre libri. Accanto a queste sono le dodici egloghe del Carmen bucolico () composte nel 1346-48: sul modello virgiliano, e che trattano di argomenti storici e morali. Opere polemiche, e a contenuto autobiografico, sono una serie di pamphlet letterari: Invettive conto i medici (Invectivae contra medicum, 1352-3) indirizzate al medico di papa Clemente VI. L'Invettiva contro un certo uomo di grande status ma di nessuna scienza o virtù (Invectiva contra quendam magni status hominem sed nullius scientiae aut virtutis, 1355) è un polemico pamphlet contro il cardinale Jean de Caraman. Ne L'ignoranza di loro stessi e di molti (De suis ipsius et multorum ignorantia, 1367) rivendica contro l'averroismo dei suoi detrattori il principio agostiniano della congiunzione tra "sapientia" e "pietas" che ispira la sua cultura. L'Invettiva contro quello che ha parlato male dell'Italia (Invectiva contra eum qui maledixit Italiae) è contro il monaco Jean de Hesdin che aveva offeso la Roma dei cesari e dei papi. Il poema Africa in esametri, sulla traccia di Titus Livius, canta la storia della seconda guerra punica. Alla sua stesura, attraverso continue revisioni e arricchimenti, dedicò molto tempo della sua vita. Il tentativo ambizioso era di riproporre su moduli virgiliani l'epoca classica latina come l'unica degna di celebrare e esaltare la grandezza di Roma antica, in ideale continuità con l'Italia e il mondo culturale europeo latino contemporaneo. Nei nove libri a noi pervenuti, dei dodici previsti, domina un tono oratorio e magniloquente. I virtuosismi formali non vanno oltre abili riecheggiamenti. Le cose migliori sono in episodi marginali, come in quello di Magone morente. Commentario storico-erudito in prosa al poema "Africa" è Gli uomini illustri (De viris illustribus). Lo iniziò a Valchiusa nel 1338, ma lo riprese più volte allargando il disegno originario al progetto di un'opera che parlasse degli uomini illustri del passato. Di questa intenzione rimangono 23 brani biografici, dei veri e propri "medaglioni" letterari di personaggi romani, da Romulus a Cato senior; dodici dell'Antico Testamento, da Adamo a Mosè; due mitologici: Giaso e Ercole. Incompiuti sono anche i Libri di cose da ricordare (Rerum memorandarum libri, 1343-5) in cui Petrarca intendeva illustrare, attraverso una vasta compilazione di aneddoti storici, esempi di virtù e di relativi vizi. Ricordiamo anche il Breve itinerario da Genova a Gerusalemme e verso la terra santa (Itinerarium breve de Ianua ad Ierusalem et terram sanctam, 1358), una specie di guida archeologico-geografica scritta su invito di Giovanni di Mandello che si recava in Palestina (la "terra santa" dei cattolici). A sentimenti più personali rispondono i trattati che Petrarca scrisse per esaltare la vita ritirata e solitaria trascorsa negli studi e nella meditazione. La vita solitaria (De vita solitaria, 1346) è in due libri, di otto e 15 capitoli. Vi esalta la solitudine del letterato, appartato con i suoi libri dalla folla e in intima comunione con la natura, e quella religiosa dell'asceta. Più convenzionale è L'otium religioso (De otio religioso, 1347) dedicato al fratello Gherardo e ai frati certosini di Montrieux. Ispirati da un alto fervore religioso sono i Salmi penitenziali (Salmi poenitentiales, 1348): sette brevi preghiere e confessioni in versetti prosastici. I Rimedi contro entrambi i tipi di fortuna (De remediis utriusque fortunae, 1354-66) consta di due parti dialogate da maschere allegoriche che esortano, indicandone i rimedi su concezioni stoiche senechiane e ciceroniane, a resistere alle avversità e alle lusinghe della fortuna. Il segreto conflitto dei miei pensieri (De secreto conflictu curarum mearum) è il testamento spirituale di Petrarca Con "pensieri" si traduce qualcosa di complesso: "cura" è un po' il mondo degli affetti e degli interessi, ciò che è intimo e che ci appartiene, che attiene alla nostra responsabilità e competenza: si tratta anche di ciò che si fa (per Petrarca la scrittura, l'opera). Non era destinato alla diffusione. L'opera fu stesa nel 1342-3, poi ritoccata a Milano nel 1353-58. Si tratta di tre libri, corrispondenti ciascuno alle tre giornate di discussione che il poeta immagina di sostenere con Augustinus, il santo cattolico-cristiano, alla presenza muta di una figura di donna, la Verità. Il colloquio è una "spietata confessione e una appassionata difesa della propria complessità". Sono svolti i temi più cari alla sensibilità petrarchesca: la meditazione cristiana della morte, il sentimento di colpa e di accidia, il conflitto tra le energie spirituali e la seduzione dei beni mondani, lo scorrere del tempo, la caducità delle cose umane, le passioni. E' "la biografia di una crisi spirituale mai risolta", che trova nelle pagine elaborate di questa "prosa dolente", un'alta e suggestiva pace.