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LUIGI MALERBA ITACA PER SEMPRE Milano: Mondadori, 1997. 186 pp.

Dai giorni dell'interpretazione dantesca del "folle volo" nel Canto XXI dell'Inferno il mito dell'eroe omerico di Itaca non ha mai smesso di attirale l'attenzione di narratori, filosofi, poeti, e critici. Con il successo dell'Ulisse di James Joyce la letteratura contemporanea si è arricchita ancora di più di innumerevoli simboli, metafore, echi ed analogie che rimandano ai multiformi aspetti dell'eroe greco visto in rapporto al mondo contemporaneo. Una più recente testimonianza la troviamo nelle diverse opere dedicate al protagonista dell'Odissea. Negli ultimi tre mesi in Italia sono state annunciate almeno tre pubblicazioni che riguardano la figura di Ulisse. Oltre al romanzo di Luigi Malerba troviamo segnalati un testo del divertente e noto divulgatore di miti classici e di filosofia, Luciano De Crescenzo, Nessuno (Milano: Mondadori, 1997), e un romanzo di Antonio Spinosa, Ulisse (Milano: Piemme, 1997). Noto per le sue bravure belliche, per le sue mitiche e intrepide avventure e per la sua proverbiale astuzia, Ulisse continua a suscitare curiosità come simbolo di un uomo la cui forte sete di conoscenza — per dirla con Dante — lo spinge a viaggiare al di là delle "colonne d'Ercole." In Itaca per sempre troviamo sottolineata un'altra qualità di Ulisse e cioè la sua invidiabile capacità di raccontare. Un'abilità connessa, tra altro, all'arte dell'inventare e del mentire in modo convincente. Ma nel romanzo di Malerba, Ulisse è anche l'uomo che al suo ritorno deve far fronte ad una serie di problemi familiari. Innanzitutto, deve spiegare a Penelope e a Telemaco perché ha impiegato dieci anni per rientrare a casa, e naturalmente deve dimostrare alla sua fedelissima moglie (anch'essa diventata proverbiale), il suo amore ancora vivo. Itaca per sempre 217

Non è questo il luogo di entrare in lunghe digressioni per parlare di altri scrittori italiani pre- ο post-joyciani, ciononostante trovo utile richiamare l'attenzione almeno su due opere ben diverse per capire alcuni echi intertestuali che si ritrovano sullo sfondo del romanzo di Malerba. La prima è la brillante narrativa di Maria Corti, Il canto delle sirene (1989), dedicato all'eterna ricerca del sapere e al senso di curiosità conoscitiva che assilla ogni uomo. La nota filologa e narratrice ci ha offerto uno dei migliori racconti-saggi sul simbolismo di Ulisse e sulle metafore della sete di conoscenza connesse al mito delle sirene e ai viaggi in mari e territori sconosciuti. Poi va ricordato la figura di Ulisse ne Il disprezzo (1949) di — romanzo che venne reso ancora più popolare dal film di J. L Godard, Le mépris. Moravia giustappone elementi cinematografici e letterari mentre applica delle interessanti (anche se ovvie) nozioni psicoanalitiche sui rapporti matrimoniali divenuti estremamente tesi e difficili tra Ulisse e Penelope. È importante notare che nel romanzo di Moravia, Penelope ha un ruolo centrale. Sottolineo questo fatto proprio perché la presenza di Penelope non la troviamo così ben accentuata nell'Odissea e anche perché, come noterà subito il lettore, la sua presenza diventa di estrema importanza nel dramma familiare riproposto da Malerba in Itaca per sempre. Il maggiore rimpianto di Penelope, un po' come quello di Enrico IV di Pirandello, è quello di chi ad un certo punto della vita deve ammettere che i suoi migliori anni sono passati. L'eroina omerica si rende conto che lei, contrariamente a quanto è accaduto al suo consorte, ha bruciato tanto tempo in uno stato di solitudine e di attesa:

Chi potrà mai restituirmi tutti gli anni che gli dèi mi hanno sottratto? Ulisse ha riempito i suoi giorni combattendo e poi correndo avventure per il vasto mondo, ma io ho aspettato lui rinchiusa nella mia solitudine come in una prigione e assediata dalla turba dei Proci. Non ritroverò mai più il tempo perduto e l'amore tenuto vivo solo nella memoria. Ma la memoria non è vivere (p. 135).

Con i romanzi come Il pianeta azzurro (1986), Il fuoco greco (1990) e Le maschere (1995) i lettori di Malerba hanno spesso apprezzato la narrativa di un autore che fonde con grande maestria storia, finzione e realtà seguendo dei concetti — chiamiamoli pure postmoderni, per non confonderli con le tecniche del romanzo storico ottocentesco — per cui nella Storia (e nei miti) si riconoscono storie ed elementi provenienti dalla letteratura e da altri media più popolari quali Rocco Capozzi 218 la TV e il cinema. Per meglio intenderci, mi riferisco pure a tecniche di strumentalizzazione della Storia in un'opera narrativa. Più specificamente parlo di alcuni concetti che troviamo teorizzati innanzitutto dai critici Hayden White e Brian McHale nelle loro analisi di metahistory e metahistorical fictions in rapporto a delle narrative in cui Storia, metastoria, miti, leggende, letteratura, e fiction si complementano a vicenda. Fin dalle prime pagine di Itaca per sempre siamo tentati di porci varie domande nei riguardi dell'Ulisse che ci sta davanti. In primo luogo, se l'Ulisse di Malerba non sia troppo diverso da quello omerico. Come mai egli piange così liberamente? Ulisse stesso sottolinea questa sua debolezza (ad esempio, p. 122) e le stesse lacrime fanno dubitare ancora di più Penelope della sincerità del mendicante: "Le lacrime non si addicono a Ulisse, che non ho visto piangere mai negli anni del nostro matrimonio né per gioia né per dolore" (p. 132). Più oltre incominciamo perfino a sospettare la facile prontezza di Ulisse a ripartire e a riprendere la sua odissea nei mari lontani da Itaca. Anche Penelope ci fa insospettire. Di lei ci chiediamo se non abbia capito che sotto i cenci del mendicante si nasconde il suo Ulisse. Per puro intuito femminile? E se tutto le è così chiaro come fa a resistere alla tentazione di abbracciarlo? È evidente che Malerba ci sta proponendo dei personaggi noti ma resi molto più complessi e molto più moderni di quelli resi famosi dall'epica omerica. Nelle mani di Malerba, Ulisse e Penelope trascendono i cliché, e i limiti, di personaggi archetipici. Per dirla con dei critici come Henry James e Wayne Booth, in Itaca per sempre siamo davanti a dei personaggi cosiddetti "round" e non "fiat," ossia a dei personaggi pieni di vita, con i loro problemi, i loro complessi e dotati di una profondità psicologica che si potrebbe attribuire alle coppie moderne. Diciamo anche che per quanto gli eventi narrati richiamino con molta fedeltà le pagine dell'Odissea, qui il lettore segue i protagonisti con curiosità e con un senso di suspense, fino alla fine, per sapere come va a finire la loro storia. Lungi dall'essere un esempio di riscrittura (o di come si lavora con i palinsesti ben noti), Itaca per sempre è prima di tutto un riuscitissimo dramma psicologico (universale e attuale) familiare che riguarda la fiducia, la gelosia, la fierezza, l'amore e anche la questione del potere tra marito e moglie. Il romanzo è scritto per la più parte in prima persona con un'ottica che ci permette di scrutare da vicino i pensieri e i dubbi dei suoi Itaca per sempre 219 protagonisti. Grazie ai tantissimi dialoghi tra Ulisse, Penelope, e Telemaco, e agli altrettanto frequenti monologhi in cui questi personaggi parlano con se stessi, nulla ci sfugge dei loro sentimenti più profondi per poter giudicare le loro azioni e le loro parole. Inoltre, le descrizioni dei personaggi e dell'ambiente sono così vivide da darci l'illusione di assistere ad un dramma teatrale ο cinematografico. Ma questo non dovrebbe sorprenderci perché tra i vari talenti di Luigi Malerba va riconosciuta la sua arte quale sceneggiatore cinematografico e televisivo: un talento davvero particolare che contribuisce a una lettura rapida e estremamente piacevole di questo e di altri suoi romanzi. In Itaca per sempre il genio narrativo di Malerba è riconoscibile ad ogni livello della narrazione: nel linguaggio, nelle descrizioni e nella struttura degli appassionanti drammi psicologici tra marito e moglie, tra padre e figlio, e tra madre e figlio. Gli intrecci diventano sempre più interessanti dal momento che Penelope e Telemaco sono chiaramente al corrente dell'identità del mendicante arrivato a Itaca. A questo punto cominciano dei rispecchiamenti psicologici ancora più complessi mentre ognuno dei tre personaggi si immedesima nei pensieri e nei dubbi degli altri due. Comunque, il dilemma più frustrante per ognuno di loro sta nella decisione di continuare a recitare una menzogna fino alla fine. Anche la vecchia nutrice Euriclea viene coinvolta in questo gioco di finzione. Infatti per la più parte del romanzo abbiamo davanti a noi dei personaggi che vivono e recitano delle menzogne. Ulisse, naturalmente, è il più bravo e allo stesso tempo è anche quello che corre più rischi: "Ho raccontato tante menzogne che ora io stesso non riesco più a districarmi nel groviglio che ho creato con le parole intorno alla mia persona" (pp. 169-70). Perché continuare a fingere? Come strumentalizzare la finzione ai propri fini? E quali son i rischi della finzione? Perché Penelope insiste a far ingelosire Ulisse portando una collana misteriosa? È solo una questione di fierezza? E il rifiuto di accettare la confessione di Ulisse è semplicemente un suo modo di fargliela pagare per non avere avuto fiducia in lei? Questi e tantissimi altri dilemmi emergono nelle pagine che precedono e seguono la strage dei Proci, condotta ferocemente da Ulisse (con dei chiari echi alle immagini di Kirk Douglas nelle vesti di Ulisse nel film di Mario Camerini, 1954). Una strage e un eroismo che purtroppo perdono importanza agli occhi di Penelope la quale continua ad avere tanti dubbi sulle azioni del marito, incluso quello su un suo possibile piacere di uccidere. Infatti, il dramma tra Penelope e Ulisse, Rocco Capozzi 220 come pure quello tra Telemaco e il padre, si intensifica ancora di più dopo la strage, proprio perché nascono nuovi dubbi legati al fatto che — come lamenta giustamente Penelope (p. 67) — Ulisse, non rivelandosi immediatamente alla fedelissima consorte il primo giorno in cui ha rimesso piede nella sua città, ha dimostrato di non crederla capace di mantenere un segreto. Ho menzionato l'elemento di suspense. Ebbene, anche questo è centrale nelle strategie narrative di Malerba. Non a caso è solo alla fine che possiamo dire che forse il titolo era sufficiente, durante la lettura — incluse le pagine dove si moltiplicano i dubbi sul destino dell'eroe — per farci capire che anche l'Ulisse di Malerba, per quanto pronto a riprendere la sua odissea in luoghi nuovi, deciderà di rimanere in Itaca per sempre. Comunque, non possiamo essere completamente certi fino all'ultima pagina se Ulisse rimarrà oppure no in Itaca. Ne Il crudo e il cotto il famoso antropologo Claude Lévi-Strauss sostiene che i miti non hanno un autore. In Itaca per sempre Ulisse si fa autore del proprio mito e Malerba diventa autore di nuovi miti intorno al mito di Ulisse e Penelope. A nostro avviso queste due operazioni metanarrative di palinsesti sono ben riuscite e Itaca per sempre è indubbiamente un ottimo remake. Dopo tutto la nostra è la società dei remake. Di fatto Γ intertestualità postmoderna ci dimostra sempre di più che non ci sono testi senza dei pre-testi. Da bravi artisti del bricolage i grandi narratori postmoderni (ri)costruiscono vecchi e nuovi miti con materiale già usato. E va riconosciuto pure che i pastiche e i collage (soprattutto se parodici ο ironici), non solo sono validi come espressione artistica ma testimoniano anch'essi delle tecniche di strategie narrative tutt'altro che facili. Insomma non possiamo che riconoscere l'arte di uno scrittore che ha saputo intrattenerci con delle bellissime battaglie psicologiche tra Ulisse, Penelope, e Telemaco. Certo, Itaca per sempre è tra l'altro un insieme di congetture di "mondi possibili" inventate puramente per intrattenere i lettori. E cosa dire della congettura che Ulisse, essendo un maestro della finzione, è probabilmente il vero autore dell'Iliade e dell'Odissea (p. 175)? Oppure, che Ulisse abbia viaggiato tanto per poter poi solamente narrare le sue avventure? Alla fine potremmo anche chiederci se Malerba non abbia ridotto tutto il dramma psicologico tra marito e moglie, e tra padre, madre e figlio ad un semplice gioco solo per presentarci una Penelope che fino ad oggi non aveva avuto l'occasione di esprimere le sue frustrazioni. Non a caso, nel "Post Itaca per sempre 221

Scriptum," in appendice al romanzo (pp. 183-5) Malerba ci informa che Itaca per sempre nasce anche da un suggerimento della moglie la quale ha sempre sostenuto che Penelope conosceva la verità del mendicante fin dal suo arrivo a Itaca e che quindi fa finta di non riconoscerlo per motivi personali. Tutto questo fa parte di un puro divertissement letterario? Niente di male. E perché no! Specialmente se consideriamo che il saper dilettare non è cosa sempre facile. Dalla fine degli anni Cinquanta, uno dei pochi consensi condivisi sia dagli accademici che dai lettori di massa sembra essere la richiesta che i narratori italiani ritornino (o imparino dai bestseller stranieri) a saper far divertire i vari tipi di lettori in modo intelligente e senza troppe pretese. Non è esagerato affermare che dai giorni della e del neosperimentalismo non sono molti gli autori (come ad esempio Sciascia, Calvino, Morante, Eco, Tabucchi, ο Tamaro) che riescono a farsi leggere dagli accademici e dal pubblico in genere. I romanzi di Luigi Malerba si annoverano indubbiamente tra queste eccezioni anche se intorno a lui non si sono costruiti i cosiddetti "casi"; neppure quando egli ha rifiutato di partecipare ad un premio letterario di prestigio lo si è visto oggetto di scandali editoriali ο di storie di bestseller. Con Itaca per sempre Malerba dimostra ancora una volta che per oltre tre decenni non ha mai smesso di fare il mestiere di narratore da abile maestro. Malerba si è sempre distinto per le sue arguzie linguistiche e per il suo inimitabile wit (comico, ironico, e parodico) nel presentare delle menzogne narrative con tale naturalezza da farle apparire come parte della realtà che ci circonda. Si pensi ad alcuni dei suoi romanzi quali Il serpente (1966), Salto mortale (1968), e Il protagonista (1973). Nella narrativa di Malerba rimane sempre la difficoltà di dover/poter distinguere tra realtà e finzione, e tra assurdità e comicità. Questo alcuni critici lo hanno spesso segnalato nel recensire le sue opere a cominciare da La scoperta dell'alfabeto (1963). Itaca per sempre conferma ancora una volta i pregi di uno dei più abili scrittori contemporanei che trascendono i confini nazionali. A mio avviso Luigi Malerba non ha ancora avuto la fortuna di trovare un traduttore ben noto come ed una casa editrice che lo aiutino a lanciare le sue opere nel mondo anglosassone. La narrativa di Malerba merita senz'altro di essere letta da un pubblico più vasto e più internazionale. E non credo che siano pochi coloro che, come chi scrive, sostengono che i romanzi e i racconti di Malerba attendono il Rocco Capozzi 222 loro dovuto successo in Nord-America, un po' come è avvenuto ai romanzi di Alberto Moravia, , , e . Ad ogni buon conto, è incoraggiante notare che oggi negli atenei canadesi e statunitensi incominciano ad uscire le prime tesi di dottorato sugli scritti di Luigi Malerba. Questo primo indizio di riconoscimento di un autore e della sua opera sembra destinato — almeno da parte dei lettori di professione — a riscuotere sempre più ampi consensi.

ROCCO CAPOZZI University of Toronto, Toronto, Ontario