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SaTuRa Trimestrale di arte letteratura e spettacolo

Redazione Giorgio Bárberi Squarotti, Milena Buzzoni, Manuela Capelli, , Gianluigi Gentile, Abbonamenti Rosa Elisa Giangoia, versamento sul conto corrente Mario Napoli, Mario Pepe, bancario: Giuliana Rovetta, Stefano Verdino, Banca Intesa IBAN: IT37 G030 6901 Guido Zavanone 4950 5963 0260 158 intestato a SATURA ASSOCIAZIONE CULTURALE Redazione milanese Simona De Giorgio ANNUALE EURO 30,00 via Farneti,3 SOSTENITORE EURO 50,00 20129 Milano tel.: 02 74 23 10 30 Anno 3 n° 11 e-mail: [email protected] terzo trimestre Autorizzazione del tribunale Direttore responsabile di Genova n° 8/2008 Gianfranco De Ferrari In copertina Segreteria di Redazione Luigi Grande - L'uomo e il cane, 2010 Valentina Isola SATURA è un trimestrale di Arte Collaboratori di Redazione Letteratura e Spettacolo edito Silvia Barbero, Agnese Campodonico, dall'Associazione Culturale Satura Barbara Cella, Maura Fidenti, Proprietà letteraria riservata. Maura Ghiselli, Federica Giudici, È vietata la riproduzione, anche Valentina Isola, Flavia Motolese, parziale, di testi pubblicati senza Sara Odorizzi, Simone Pazzano, l'autorizzazione scritta della Direzione Elena Putti, Susanna Rossini, e dell'Editore Serena Vanzaghi

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sommario 65 INTERVISTA 03 IL GIOVANE LEOPARDI LUIGI GRANDE DALLE SUE PRIME LETTERE Franco Lecca Davide Puccini 74 FUMETTO 09 UNA POESIA THE MELODY AT NIGHT, Lasciare queste stanze WITH YOU Giuseppe Rosato Sualzo, “L’improvvisatore” Manuela Capelli 10 LA VOLPONA Guido Zavanone 80 CULTURA E DINTORNI Siamo senza finanziamenti? 15 UNA POESIA I soldi sono finiti! Elegia dell’osteria Fiorangela Di Matteo del ferro sette Bruno Bonfanti 82 TEATRO Appuntamento a teatro 16 IL LAURO E LA ROSA Silvana Zanovello Flora Petrarchesca Rosa Elisa Giangoia 85 L’ANGOLO DI FRINO Elia Frino 28 UNA POESIA Quel momento 87 DUE POESIE Fernando Bizzarri L’acqua e la pietra Ma dove? 29 LA RONDE È UN GIOCO Mario Pepe Giuliana Rovetta 89 VETRINA 35 DUE POESIE FULVIO BIANCATELLI La montagna Miriam Cristaldi Felice Natale CIRA D’0RTA Maria Luisa Gravina Sara Odorizzi MARCO DE BARBIERI 37 THÉ A CEYLON Sara Odorizzi Milena Buzzoni SILVIO MAIANO Silvio Maiano 48 LÀ IN ALTO EVA REGUZZONI SULLA MONTAGNA Elena Putti Omaggio a Jean Ferrat GUIDO ROSATO Philippe Popiéla Franco Boggero 55 COSTANTINO NIGRA 101 RUBRICA Un Piemontese Genova alla corte di Francia Valentina Isola Simonetta Ronco Chiusa Silvia Barbero 58 UNA POESIA Milano Soufle d’amo Serena Vanzaghi Soffio d’anima Pavia Sergio Arneodo Silvia Barbero Whistable 60 PROSPEZIONI Susanna Rossini Per ricordare Margherita Faustini 109 FESTIVALE DELLA Di Liliana Porro Andriuoli LETTERATURA DEL CRIMINE Una seconda possibilità Mario Napoli di Rosa Elisa Giangoia Una donna nell’ombra di Rosa Elisa Giangoia Una scrittrice si presenta di Rosa Elisa Giangoia Il dramma di Caino di Giuliana Rovetta Gioielli maschili in mostra di Simonetta Ronco Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 3

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IL GIOVANE LEOPARDI Davide Puccini DALLE SUE PRIME LETTERE

di Davide Puccini Il giovane Leopardi dalle sue prime lettere

La prima lettera che ci sia pervenuta, indirizzata al padre Monaldo, ri- sale al 16 ottobre 1807 ed è scritta integralmente in latino, data compresa: «Re- cineti postridie idus Octobris millesimo octingentesimo septimo»1. Occasione è l’arrivo del precettore, don Sebastiano Sanchini (che rimarrà in casa Leopar- di fino al 20 luglio 1812, occupandosi dell’educazione di Giacomo, di Carlo e anche di Paolina), salutato con entusiasmo: «Dilectissime Pater. / Quatuor sunt dies ex quo iterum summa nostra laetitia studia incepimus, quae utinam jux- ta tui, ac Praeceptoris desiderium evenirent» (‘Carissimo Padre. / Sono quat- tro giorni che ho ripreso con grande gioia gli studi, che voglia il cielo riesca- no secondo i desideri tuoi e del Precettore’). Era allora più comune di oggi che un fanciullo di buona famiglia all’età di nove anni padroneggiasse già il lati- no, e dunque non sarà il caso di chiamare in causa il precoce genio leopardia- no, ma certo è molto leopardiana l’affermazione che segue: «In haec incumbe- re toto animo volo, et erit gratius mihi studium, quam ludus» (‘Voglio fare ogni sforzo a questo scopo con tutta la mia volontà, e mi sarà più gradito lo stu- dio del gioco’). Perciò suona tanto più sorprendente l’avversativa che compa- re subito dopo: «Tamen cupio etiam interdum animum relaxare, et tu cogita- re debes mihi indulgere» (‘Tuttavia desidero anche di tanto in tanto rilassare lo spirito, e tu avrai certo intenzione di essere indulgente con me’). È perfino commovente questa timida difesa del proprio diritto alla spensieratezza, e il fatto stesso che fosse necessaria ci dice quanto in realtà quel diritto fosse in- sidiato. Così la successiva dichiarazione d’amore filiale risulta quasi una resa a discrezione: «Hoc spero, quia scio quantum me amas, et vellem posse respon- dere, sicut debeo, benevolentiae, quam mihi demonstras» (‘Lo spero, perché so quanto mi vuoi bene, e vorrei poter ricambiare come è mio dovere la benevo- lenza che mi dimostri’). Di quasi un anno e mezzo posteriore è la seconda lettera, alla madre Ade- laide Antici, databile 26 marzo 1809 (non ne possediamo più l’autografo, ma non c’è ragione di dubitare della sua autenticità): «Carissima signora Madre, / Già ben prevedo, che una critica inevitabile mi sia preparata. Questa compo- sizione, mi par di sentire, è troppo breve, ed in qualche luogo lo stile è basso. Io non so che rispondere a questa critica, ma mi contento di pregarla a consi- derare la scarsezza del mio ingegno e a credermi. / Di lei carissima signora ma-

1 Tutte le citazioni sono tratte da G. Leopardi, Epistolario, a cura di F. Brioschi e P. Landi, Torino, Bollati Boringhieri, 1998, 2 voll. Facciamo riferimento alle pagine del testo o delle note, che si trovano alla fine del secondo volume con numerazione continuata. La prima lettera si può leggere a p. 3. Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 4

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dre / Dev.mo, Um.mo, Obbl.mo Servo / Giacomo Leopardi» (p. 4). La compo- sizione in oggetto, L’entrata di Gesù in Gerosolima, è identificabile con la «Pro- sa alla mia Genitrice composta a sua richiesta nel giorno della Domenica de- gli Ulivi 1809» ricordata nell’Indice delle produzioni di me Giacomo Leopardi dall’anno 1809 in poi, che si può leggere in ogni edizione integrale delle ope- re leopardiane2, al n° 32. Non c’è bisogno di giudicarla3 per vedere se merita o meno le critiche paventate: quel che conta è che ancora una volta il piccolo Gia- como è costretto sulla difensiva, si sente impari rispetto al compito che gli vie- ne assegnato e finisce per invocare come unica attenuante – figuriamoci! – «la scarsezza del suo ingegno». Possiamo soltanto immaginare il carico psicolo- gico a cui è sottoposto da parte dei genitori, almeno in questo coalizzati con- tro di lui. Con la terza lettera, che può essere datata con sicurezza 6 gennaio 1810,

Il giovane Leopardi dalle sue prime lettere prime sue dalle Leopardi giovane Il si cambia completamente registro: «Carissima Signora / Giacché mi trovo in viaggio volevo fare una visita a Voi e a tutti li Signori Ragazzi della Vostra Con- versazione, ma la Neve mi ha rotto le Tappe e non mi posso trattenere. Ho pen- sato dunque di fermarmi un momento per fare la Piscia nel vostro Portone, e poi tirare avanti il mio viaggio. Bensì vi mando certe bagattelle per cotesti fi-

Davide Puccini gliuoli, accioché siano buoni ma ditegli che se sentirò cattive relazioni di loro, quest’altro Anno gli porterò un po’ di Merda. Veramente io voleva destinare a ognuno il suo regalo, per esempio a chi un corno, a chi un altro, ma ho temu- to di mostrare parzialità, e che quello il quale avesse li corni curti invidiasse li corni lunghi. Ho pensato dunque di rimettere le cose alla ventura, e farete così. Dentro l’anessa cartina trovarete tanti biglietti con altrettanti Numeri. Met- tete tutti questi biglietti dentro un Orinale, e mischiateli bene bene con le vo- stre mani. Poi ognuno pigli il suo biglietto, e veda il suo numero. Poi con l’anes- sa chiave aprite il Baulle. Prima di tutto ci trovarete certa cosetta da godere in comune e credo che cotesti Signori la gradiranno perche [sic] sono un branco di ghiotti. Poi ci trovarete tutti li corni segnati col rispettivo numero. Ognuno pigli il suo, e vada in pace. Chi non è contento del Corno che gli tocca, faccia a baratto con li Corni delli Compagni. Se avvanza qualche corno lo riprende- rò al mio ritorno. Un altr’Anno poi si vedrà di far meglio. / Voi poi Signora Ca-

2 Si veda per es. G. Leopardi, Tutte le opere, con introduzione e a cura di W. Binni con la collaborazione di E. Ghidetti, Firenze, Sansoni, 1969, vol. I, pp. 996-98; Id., Tutte le poesie e tutte le prose, a cura di L. Fe- lici e E. Trevi, Roma, Newton & Compton, 1997, vol. I, pp. 1036-38. 3 La riportiamo per comodità del lettore: «Apritevi, o Cieli, e voi venite, o Angeli beati, a contemplare il Re della gloria assiso su vil giumento entrare in Gerosolima. Mirate come d’intorno ad esso si affollano esul- tanti gli Ebrei, e sulla via stendono le vestimenta, ed innalzano verdi rami di olivo. Udite i gridi di allegrez- za, e le voci, che il giubilo del loro cuore dimostrano. Evviva, evviva il figliuol di Davidde, benedetto sia quello che viene in nome del dio d’Israello. Ma oimè, sento che voi mesti mi rispondete, noi non possia- mo mirarlo senza rammentarci che fra pochi giorni, dentro le mura di questa stessa città, noi lo vedremo sospeso ad una croce, palpitare, agonizzare, spirare. Che questi medesimi, i quali ora lieti ed esultanti l’ac- colgono, saranno i suoi crocifissori. Questa è l’amara rimembranza che intorbida tutta l’allegrezza di que- sta trionfante entrata. Ben voi dite, Angeli santi, ben è ragionevole la vostra risposta. Oh Dio, oh Dio quan- to sei per patire affin di redimerci!» (pp. 2121-22). Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 5

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rissima avvertite in tutto quest’Anno di trattare bene cotesti Signori, non solo Davide Puccini col Caffe che già si intende, ma ancora con Pasticci, Crostate, Cialde, Cialdo- ni, ed altri regali, e non siate stitica, e non vi fate pregare, perche [sic] chi vuo- le la conversazione deve allargare la mano, e se darete un Pasticcio per sera sarete meglio lodata, e la vostra conversazione si chiamerà la Conversazione Il giovane Leopardi dalle sue prime lettere del Pasticcio. Frattanto state allegri, e andate tutti dove io vi mando, e resta- teci finche [sic] non torno ghiotti, indiscreti, somari scrocconi dal primo fino all’ultimo. / La Befana» (pp. 4-5). È indirizzata alla marchesa Volumnia Rober- ti (alla quale, d’accordo con il padre, rivolgeva le lettere che non dovevano es- sere lette dalla madre), e la firma «La Befana» è sufficiente a chiarire il carat- tere dello scherzo, destinato a ragazzi suoi coetanei o ancor più piccoli di lui; tuttavia è ugualmente sorprendente e in un certo senso rassicurante scoprire un Leopardi che fa il verso a Mozart nell’uso della scatologia, che si lascia an- dare per un momento al normale istinto di adolescente, nonostante il peso del genio che deve sopportare, che finalmente smette di sorvegliarsi e di scusar- si. D’altra parte si noti il travestimento linguistico antiquato della lettera, scher- zoso anch’esso, certo, ma che implica una cultura e un dominio del registro espressivo inaudito per un adolescente: per limitarci ai casi più evidenti, Con- versazione per ‘compagnia’ o ‘comunità di persone che vivono insieme o si fre- quentano’, l’uscita in -a del futuro trovarete ripetuto tre volte, arcaica e spe- cificamente senese o anche settentrionale e soprattutto veneziana4, le incertez- ze di raddoppiamento anessa (due volte), Baulle, avvanza, troppe e troppo in- consuete per essere casuali. Leopardi sta già tentando di mescolare a termini dell’uso quotidiano termini letterari, nel significato o nella forma, come poi farà con ben altri esiti espressivi nella poetica del vago e dell’indefinito che carat- terizza gli idilli, accostando il comune caro al desueto ermo e i poetici augel- li alla pedestre gallina. Ma, dopo la breve eccezione, si torna subito alla regola, e la vigilia di Na- tale dello stesso 1810 è costretto a giustificarsi con il padre di fargli gli augu- ri «colle mani vuote», cioè senza accompagnarli con una qualche produzione letteraria, secondo l’uso che era invalso in casa Leopardi per le festività, an- che se della feconda produzione giovanile del poeta è sufficiente testimonian- za l’Indice ricordato, dove troviamo ben sei volumi di Componimenti poetici nel 1809, Carmina varia latini e Componimenti berneschi nel 1810, e molto al- tro ancora in prosa e in versi nei metri più disparati: «Il ritrovarmi quest’an- no colle mani vuote non m’impedisce di venire a testificarle la mia gratitudi- ne augurandogli ogni bene dal Cielo nelle prossime festive ricorrenze. Certo che ella saprà compatirmi per la mia sventura lo faccio colla stessa animosi- tà, colla quale solea farlo negli anni trascorsi. Crescendo la età crebbe anche l’audacia, ma non crebbe il tempo dell’applicazione. Ardii intraprendere ope- re più vaste, ma il breve spazio, che mi è dato di occupare nello studio fece,

4 Cfr. G. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Torino, Einaudi, 1966-1969, §§ 587-88. Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 6

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che laddove altra volta compiva i miei libercoli nella estensione di un mese, ora per condurli a termine ho d’uopo di anni. Quindi è che malgrado le mie spe- ranze, e ad onta del mio desiderio, non mi fu possibile di terminare veruno di quelli, che mi ritrovo avere cominciati […]. I vantaggi da lei proccuratimi in ogni genere, ma specialmente in riguardo a quella occupazione, che forma l’ogget- to del mio trastullo mi ha riempito l’animo di una giusta gratitudine, che non posso non affrettarmi a testimoniarle» (pp. 6-7). Naturalmente l’occupazione congeniale è quella dello studio e della scrittura, e qui vediamo un Leopardi dodicenne in piena crisi di crescita, che tenta «opere più vaste» senza riusci- re a finirle: ancora sulla difensiva, certo, ma già con un barlume di coscienza del proprio valore. Così il Natale successivo, prese meglio le misure del tempo a disposizio- ne, rimedia prontamente con una tragedia, per di più scrivendo al padre in fran-

Il giovane Leopardi dalle sue prime lettere prime sue dalle Leopardi giovane Il cese il 24 dicembre 1811: «Tres-cher Pere, / Encouragé par vôtre exemple je ai entrepis d’ecrire una Tragedie. Elle est cette, que je vous present. Je ne ai pas moin profité des vôtres œuvres que de vôtre exemple. En effet il paroît dans la premiere des vôtres Tragedies un Monarque des Indies occidentelles, et un Monarque des Indies orientelles paroî dans la mienne. Un Prince Roïal este le

Davide Puccini principal acteur du second entre les vôtres Tragedies, et un Prince Roïal sou- tient de le même la partie plus interessant de la mienne. Une Trahison est par- ticulierement l’objet de la trosieme, et elle est pareillement le but de ma Tra- gedie. Si je sois bien, ou mal reussi en ce genre de poesie, ceci est cet, que vous devez juger. Contraire, ou favorable che soit le jugement je serais toujours / Vôtre / Tres-humble Fils / Jacques» (p. 8). La tragedia è La virtù indiana, com- posta nel 1811 da un Leopadi tredicenne prendendo spunto, come lui stesso ci dice, dalle tre tragedie del padre, Il Montezuma (1799), Il Convertito (1800) e Il Traditore (1803), e puntualmente ricordata nell’Indice 1809 al n° 39. Nel- l’opera cercheremmo invano verità e forza drammatica, ma non manca sciol- tezza ed efficacia di versificazione, e qua e là affiorano molte reminiscenze clas- siche perfettamente digerite e rielaborate. Si noti per esempio il sapiente chia- smo «si serbi / al trono il rege, il genitore al figlio» (vv. 434-35) o la sonora al- litterazione «Quanto costi al mio cuor cura nemica!» (v. 653), e d’altra parte l’emi- stichio tassesco «Amico, hai vinto» (v. 135), che riprende per virtù d’orecchio le parole di Clorinda morente (Ger. lib. XII 66 1), o il recupero virgiliano «altra salute / non resta a noi, che il non sperarne alcuna» (vv. 444-45), che traduce quasi alla lettera lo scultoreo «Una salus victis nullam sperare salutem» di Aen. II 354. La lettera successiva, del 28 gennaio 1812, quindi soltanto di un mese circa posteriore alla precedente, è indirizzata alla sorella Paolina, designata però con il soprannome di Don Paolo: così la chiamavano spesso Giacomo e i fra- telli perché portava i capelli corti e indossava una veste scura simile a un abi- to talare, tanto che nei cosiddetti giochi dell’altarino era delegata a celebrare la messa. Vale la pena di leggerla per intero: «Ricevo in questo momento il pli- co che voi m’inviate accompagnato da una obbligantissima lettera. Essa è ben degna per la sua brevità di esser commendata da’ Lacedemoni, e dagli altri po- Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 7

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poli della Grecia, i quali dovendo rispondere in lettera ad alcuna inchiesta non Davide Puccini iscrivevano talvolta, che la semplice parola “nò”. Il piacere che voi mi avete fat- to col torre a copiare il mio picciol Compendio di Logica non vi sembrerà for- se si grande quanto lo è in realtà. Un buon copista è assai raro, ed io non re- puto lieve vantaggio l’averne ritrovato uno che sia conforme al mio desiderio. Il giovane Leopardi dalle sue prime lettere Il restauratore dell’Italiana Poesia Francesco Petrarca lamentavasi che avendo egli in poche settimane condotto a fine il suo libro latino “De Fortuna etc.” non potea dopo più anni averne copia, che pienamente il soddisfacesse poiché di mille errori eran ripiene tutte quelle, che egli aveva avute da’ varj Copisti. Se io fossi vissuto al tempo di Petrarca, e l’avessi udito lamentarsi meco in tal modo avrei facilmente appacificate ed acquietate le sue querele coll’insinuargli di dar- vi a copiar la sua opera, e son certo, che malgrado la sua delicatezza in que- sta materia egli ne sarebbe rimasto soddisfatto. Né crediate che il mestier del Copista sia da disprezzarsi. Teodosio uno de’ più grandi Imperatori d’Orien- te s’impiegava ancor egli nel copiare gli altrui scritti, e non vivea che del de- naro ricavato da questa non ignobil fatica. Voi potrete dirmi, che Teodosio non operava in tal modo perché di se degno riputasse un tal genere di lavoro, ma solamente per un effetto della sua profonda umiltà, e virtù Cristiana, ma io per convincervi di quanto hò preso a dimostrarvi vi apporterò un altro esempio. Non ci dipartiam dal Petrarca. Egli avendo intrapreso di fare un viaggio, non ben mi rammento per qual fine, e ritrovata cammin facendo un [sic] opera di Cicerone, di cui non avea per anche contezza, non istimò cosa vile il copiarlo da capo a fondo. Ma è omai tempo di finirla poiché mi avvedo che avendo fat- to l’elogio dello stile laconico stò per cadere nei difetti dello stile Asiatico. Sono / affmo per servirvi di cuore / Giacomo Leopardi» (pp. 8-9). Da una parte il no- mignolo scherzoso e la sorridente e garbata ironia per la brevità della lettera della sorella, che alla fine diventa autoironia per la lunghezza della propria, ci rimandano al legame affettuoso con i fratelli che riscaldò sempre il cuore di Giacomo; ma dall’altra la complessità stilistica e l’ampiezza dei riferimenti cul- turali, sia pure dilatata forse proprio per sforzare il tono in senso lievemente ironico, oltre al fatto stesso di impiegare Paolina come copista, ci dicono che il poeta quattordicenne sta ormai uscendo dall’adolescenza, anche se il Com- pendio di Logica a cui si accenna è probabilmente nient’altro che un esercizio scolastico5. Ce lo confermano definitivamente, dopo un salto di tre anni (e dunque il Leopardi ha 17 anni), le lettere seguenti del 15 aprile e del 15 luglio 1815 al- l’abate Francesco Cancellieri, il quale nella sua Dissertazione intorno agli uo- mini dotati di gran memoria ed a quelli divenuti smemorati, con un’Appendi-

5 Lo scritto, non conservato, è quasi certamente da identificarsi con il n° 26 dell’Indice 1809, dove compa- re il titolo Logicae Omnium brevissima complexio: estratta da quella di Del Giudice. L’opera di riferimen- to è Logicae et ontologiae eclecticae elementa ad usum studiosae juventutis autore patre Odoardo Del Giu- dice ordine minorum de observantia in episcopali perusino S. Basilii Collegio philosophiae professore, Pe- rusiae, ex Typographia Constatiniana, s.d. [non prima del 1791]; editio altera emendata, illustrata, aucta, Perusiae, ex Typographia Baduelliana, s.d. Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 8

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ce delle Biblioteche degli scrittori sopra gli eruditi precoci, la memoria artifi- ciale, l’arte di trascegliere e di notare, ed il giuoco degli scacchi (Roma, Bour- lié, 1815) aveva menzionato alle pp. 87-90, esprimendo vivo apprezzamento, alcuni scritti di Giacomo, in particolare il Porphirii de vita Plotini et ordine Li- brorum eius Commentarius Gr. lat. ex versione Marsilii Ficini emendata cum notis amplissimis et praevia commentatione e il De vitis et scriptis rhetorum quorundam qui secundo post Christum saeculo vel primo declinante vixerunt, facendo riferimento anche al lavoro in corso sui Fragmenta PP. secundi saecu- li et veterum auctorum de illis testimonia collecta et illustrata gr. lat. Il giova- ne erudito ringrazia un po’ ampollosamente per la lusinghiera citazione: «Di gratissima sorpresa mi fu il ricevere la desiderata opera, ma […] nel ravvisar- vi dentro il mio nome, io fui confuso, e sopraffatto di riconoscenza. Un uomo affatto sconosciuto, e che non può attendere una miglior sorte, vedendosi ono-

Il giovane Leopardi dalle sue prime lettere prime sue dalle Leopardi giovane Il revolmente rammemorato in una egregia opera, non può non concepire sen- timenti di gratitudine verso il benevolo autore. Egli ha diritto di sperare, che il suo nome giunga alla posterità con quello dell’insigne Scrittore, che ne ha fatta menzione. Noi non conosceremmo Achille, se Omero non ne avesse par- lato, la immortalità del poeta garantisce quella dell’Eroe. Io mi veggo così as-

Davide Puccini sicurato di vivere alla posterità nei suoi scritti, come i grandi uomini vivono nei proprj. Ma io nomino Achille, e dovrei piuttosto rammentare Tersite. Non altro infatti che il luogo di questo infimo Greco, mi conviene nella sua opera, in cui infiniti esempj di prodigiosa dottrina, ricercati con ammirabile diligen- za, e verificati con esattezza geometrica s’incontrano ad ogni tratto» (pp. 11- 12). Ma le lodi non assopiscono il senso critico del Leopardi; infatti i tre scrit- ti ricordati (del 1814 i primi due e del 1814-15 il terzo) compaiono nell’elen- co di opere steso il 16 novembre 1816 ai ni 18-20 sotto la rubrica «da brucia- re senz’altro»6. A questo punto il nostro discorso può considerarsi concluso: la prodi- giosa erudizione del giovane Leopardi ha preso il sopravvento e i corrispon- denti delle lettere successive saranno l’editore Antonio Fortunato Stella, l’illu- stre filologo Angelo Mai, non ancora cardinale ma già bibliotecario all’Ambro- siana di Milano, e poi Pietro Giordani, che come è noto contribuì in modo de- terminante alla presa di coscienza del proprio valore da parte di un isolato stu- dioso di provincia che compiva i primi passi nel mondo della cultura. Ma que- sto è, appunto, un altro discorso; come è un altro discorso che un prometten- te filologo, dopo una «conversione letteraria» dal vero al bello, sia diventato uno dei più grandi poeti che l’umanità abbia conosciuto.

6 Cfr. Tutte le opere, cit., vol. I, p. 1000; Tutte le poesie e tutte le prose, cit. vol. I, p. 1039. Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 9

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UNA POESIA Giuseppe Rosato

di Giuseppe Rosato Una poesia

Lasciare queste stanze sarà come lasciare le tue braccia, dall’abbraccio uscire d’una vita ch’era parsa non dovessero gli anni mai toccare, immune, come se per sempre immune dalla morte, alla morte inaccessibile. Lasciare queste stanze sia la sola grazia residua, se dal mare un vento venga già fatte polvere a raccoglierle le dispolpate braccia, che così, così, aria nell’aria, alle tue mi riportino.

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10 LA VOLPONA

LA VOLPONA La VolponaLa di Guido Zavanone

Riassunto delle puntate precedenti (1)

Guido Zavanone Maria, detta la Volpona, è un’anziana, ricca e scaltra vedova che vive nel culto del denaro. Ha una piccola corte o “squadra” come lei la chiama: una lontana parente, Laura, che le tiene compagnia per vari periodi dell’anno, due dome- stiche, Elisabetta ed Eufemia, un’infermiera e un’insegnante cinese di yoga, molto assidue. Le cinque donne prestano i loro servigi quasi gratuitamente, es- sendo state designate da Maria quali eredi in un testamento che la Volpona ha mostrato loro ad arte, minacciando poi continuamente di modificarne o revo- carne le disposizioni. Vivono così sotto ricatto, ma a sua volta Maria è succuba di una sorta di santona, Gianna, che le assicura, sotto la sua guida, una posi- zione di privilegio anche nell’aldilà. La Volpona è tutta tesa ad accrescere il proprio patrimonio e, con ingegnosi quanto spregiudicati artifici, riesce ad acquistare, a prezzo quasi irrisorio, un grande appartamento di proprietà della Parrocchia, per poi destinarlo a Casa di riposo per anziani, che gestisce senza scrupoli. Maria ha un solo cruccio: è stata recentemente aggredita e derubata in casa ad opera d’ignoti, che sospetta siano stati agevolati da qualcuna delle persone che la circondano. La Casa per anziani viene visitata da Gianna, che prodiga utili consigli per la nuova iniziativa di Maria: in particolare le suggerisce di adornare la piccola cappella, interna alla Casa, con un grande quadro, di proprietà di Maria, raf- figurante la Madonna di Medjugorie.

(1) apparse sui numeri 5, 7, 9 e 10 di questa rivista.

“Nessun maggior piacere che confrontare la propria ricchezza con l’al- trui miseria.” Così diceva, tra sé e sé. Maria parafrasando, a suo modo, il som- mo poeta. Che gusto –pensava- essere ricchi se lo sono anche gli altri? Proprio in quei giorni non mancavano notizie che sembravano fatte ap- posta per sollevare il suo spirito nella sfera della più convinta autostima: fa- miglie che non arrivavano alla fine del mese con lo stipendio o la pensione e magari contraevano debiti destinati a rimanere insoluti; giovani alla dispera- ta (o rassegnata) ricerca d’un lavoro; precari che non avrebbero mai potuto pro- Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 11

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grammare un futuro: tutto questo non le procurava alcun senso di sofferen- Guido Zavanone za o di disagio, tanto meno di colpa. Piuttosto la serena soddisfazione di es- sere meritatamente al di sopra di tante umane miserie. Alla televisione vedeva scorrere di continuo, sulla grande scena del mon- do, immagini terrificanti di terremoti, inondazioni, epidemie, carestie e altre

piaghe bibliche; questo non la turbava affatto. Era la terra – pensava – che si La Volpona scrollava di dosso i troppi pesi di cui la gravava un’insensata prolificazione. Don Carlo, che la conosceva molto bene (a sue spese), soleva dire che non conosceva persona più forte di Maria nell’altrui sventura. E, tuttavia, nella sua impermeabilità ai sentimenti si poteva scorgere con sorpresa una falla ed era la devozione incondizionata, quasi canina, per l’ami- ca Gianna e la preoccupazione sincera per le sue precarie condizioni di salu- te, che le impedivano persino di venirle a far visita. Per la verità una qualche forma contenuta di simpatia Maria provava an- che per altre persone, tutte contrassegnate dal requisito indispensabile d’es- serle utili senza pretese di corrispettivo. Davanti a tutti veniva il compianto marito, che aveva accumulato in una vita una piccola fortuna per lasciarla poi interamente a lei; ed ora s’acconten- tava di un semplice ricordo in occasione delle Feste natalizie e della Comme- morazione dei defunti. Tra loro, di vita intima ve n’era stata ben poca; ma quale profonda con- sonanza nel dedicare ogni pensiero, ogni palpito del cuore al denaro! Ecco, quan- do riandava col pensiero alla vita di sacrifici affrontata insieme e alla comu- ne gioia al lievitare del gruzzolo, non riusciva a trattenere la commozione. Tra i vivi, una certa benevolenza nutriva per il figlioccio Carlo, “il mio bancario” lo chiamava, che si era trasferito da Roma appositamente per stare vicino a lei e, pur continuando la sua attività in Banca, curava gratuitamente l’amministrazione della Casa di riposo San Pio. Aveva certo le sue mire, pen- sava Maria, ma non le mostrava, e questo le piaceva. Un piccolo posto nel suo cuore, lo occupava anche la vicina di casa Eu- genia che, quando alla domenica le due domestiche facevano vacanza, anzi bal- doria, per usare l’espressione di Maria, le portava un bel piatto fumante di la- sagne e un dolce, fatto in casa con le sue mani. Tutte le altre persone che la circondavano erano invece delle mercena- rie, a cominciare proprio dalle domestiche che da quando lavoravano anche nel- la Casa San Pio avevano rivelato tutta la loro inaffidabilità pretendendo di es- sere messe in regola con i contributi previdenziali. Certo, nel giorno successivo alla visita di Gianna, la gratitudine di Ma- ria era tutta rivolta all’amica, la quale, nonostante i suoi malanni e i suoi pro- blemi famigliari, era venuta a “visionare” la Casa San Pio e a prodigarle utili con- sigli, tra cui quello, prezioso, di collocare, nella disadorna cappella dedicata al Santo, il quadro raffigurante la Madonna di Medjugorie. D’improvviso, un pensiero curioso le attraversò la mente: come poteva Gianna sapere di quel quadro e descriverlo così bene se le sue visite – a parte quella del giorno precedente – risalivano sicuramente a prima dell’acquisto del Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 12

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dipinto? E, ieri, Gianna non era entrata nella camera matrimoniale dove il qua- dro recuperato era appeso. L’interrogativo divenne presto angoscioso, e Maria sollevò la cornetta del telefono e chiamò l’amica. La quale, dinanzi alle argomentate perplessità La VolponaLa espresse da Maria, rispose con calma: “Ma io sono sicura di aver visto il qua- dro, se no come avrei fatto a descriverlo?” “Ma è proprio questo – replicò Maria - Dove puoi averlo visto? In casa mia certamente no.” “Forse presso chi te l’ha venduto” azzardò Gianna.

Guido Zavanone “Ma come potevi sapere che ora il quadro è mio” incalzò con voce tur- bata Maria. Gianna comprese che le sue difese vacillavano e tentò una sortita dispe- rata, un colpo d’ala della sua fervida fantasia: “Bene, vuoi proprio saperlo? Io quel quadro l’ho sognato, in ogni particolare. A un dato momento la Madon- na è uscita dalla cornice e si è chinata su di te che dormivi, sorridendo.” Gianna contava sul grande ascendente religioso esercitato sull’amica, ma questa volta il gioco non funzionò. Maria era, sì, suggestionabile, ma non era una stupida e, in fondo all’animo, non era neppure credente; ora stava reagen- do anche al cocktail di religioni propinatole da Gianna. Si sentiva presa in giro e, recuperate le sue facoltà critiche addormentate dalla santona, esclamò con forza: “Esigo una spiegazione seria. Ti aspetto qui domani da me. Ti pagherò il taxi” aggiunse sferzante. “Verrò” assicurò Gianna, che non scordava di essere la principale bene- ficiaria delle disposizioni testamentarie della sua ricca amica. E Gianna venne, dimenticando i suoi asseriti acciacchi. Era consapevo- le di giocarsi tutto in una partita per lei difficile. “Non credi più ai sogni” cominciò Gianna con tono di affettuoso rimprove- ro. Ma vide l’ira dipingersi sul volto di Maria e con prontezza s’aggrappò a un’ul- tima scialuppa: “Ora ricordo: me ne hai parlato tu, del quadro.” Ma non aveva fat- to i conti con la ferrea memoria di Maria: “Con te non ho mai parlato di quadri” – disse lei perentoriamente. E, a questo punto, volle assestarle il colpo definitivo: “Non negare, so che sei coinvolta nel furto dei miei quadri”. Così dicendo la guardava fisso negli occhi, adottando in tutto e per tutto il metodo “inquisitorio” insegna- tole proprio da Gianna: convincere il sospettato di conoscere ormai la verità. E Gianna crollò perché aveva visto infrangersi tutte le sue difese; e ma- ledì la sbadataggine del giorno prima. Ma, nel capitolare, ricorse all’arma fem- minile per eccellenza, debole tuttavia se usata nei confronti d’altro soggetto femminile e di Maria in particolare. Scoppiò in lacrime e, tra l’uno e l’altro sin- ghiozzo, rese, secondo la terminologia giudiziaria, ampia confessione. Comin- ciò parlando dei suoi figliuoli, Gerardo ed Anselmuccio, bravi ragazzi ma tan- to sfortunati, che non trovavano lavoro ed erano caduti nelle mani d’ignobili individui che li avevano trascinati nel giro della droga e non solo. Gianna sa- peva bene che il suo cuore materno non avrebbe trovato alcuna rispondenza in quello di Maria, del tutto insensibile alle problematiche genitoriali, ma de- siderava allontanare il più possibile da sé le responsabilità dell’accaduto. Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 13

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Dunque – spiegò Gianna – erano stati i suoi sventurati figli ad introdur- Guido Zavanone si nell’appartamento, essendosi impossessati, di nascosto, delle chiavi che Ma- ria le aveva affidato per ogni malaugurata evenienza: “Li ho visti arrivare – rac- contò – nottetempo, carichi di quadri in cui mi parve di ravvisare alcuni che avevo ammirato anni prima nella sala di casa tua. Ordinai loro di riportarli su-

bito dove li avevano presi, ma essi risposero che ciò sarebbe equivalso a con- La Volpona segnarsi alla Giustizia. Il mattino dopo vennero alcuni individui che si porta- rono via i quadri che io avevo intanto potuto osservare attentamente ad uno ad uno. Ho taciuto con te, un po’ pensando alle conseguenze giudiziarie per i miei figli, un po’ anche alle possibili rappresaglie da parte di quei loschi figu- ri. Ma soprattutto non volevo mettere in gioco la nostra amicizia, che mi è più cara d’ogni altra cosa al mondo.” Maria ascoltava e taceva. E poi, cosa davvero imprevedibile, si mise a pian- gere essa pure. Perché, davanti a lei, si dissolveva, all’improvviso, un mito, un mondo crollava in cui aveva creduto ed era, addirittura, il mondo dell’aldilà dove, secondo le fantasiose affermazioni di Gianna, le attendeva un posto privilegia- to perché loro due erano avanti a tutti lungo gl’itinerari dello spirito. Come cre- dere ancora all’amica se questa aveva saputo mentire così bene quando lei cer- cava affannosamente gli autori dell’efferata aggressione e i quadri sottrattile? Ricordava che Gianna aveva persino gettato sospetti sulle persone a lei vicine, ed era giunta a suggerirle il modo per smascherarle. D’improvviso sentì un grande vuoto intorno a sé, ora che l’unica amica, su cui tanto fidava, le aveva mostrato il suo volto menzognero. Persino le ric- chezze accumulate le apparivano prive di senso, destinate ad essere preda di persone avide e malfide. E le sopravvenne anche il pensiero, l’incubo della morte, non più traghet- tatrice verso un mondo migliore, ma quella che l’avrebbe separata da quanto era stato fino allora lo scopo della sua vita, il vitello d’oro cui aveva tutto sa- crificato. Queste riflessioni le affollavano la mente dolorosamente; a tal punto che non s’accorse neppure che Gianna, nel frattempo, era uscita silenziosamente, salutando appena con un gesto della mano. Gianna era ancora piangente quando sulle scale incontrò la domestica Eufemia. La quale, dinanzi a spettacolo così inusitato, non poté trattenersi: “È morto Budda?” chiese con divertito sarcasmo. Ma proprio questa battuta volgare ebbe l’effetto di aiutare Gianna a usci- re dalla sua prostrazione. “Fatti gli affari tuoi, puttana” le rispose, mentre scompariva nel traffi- co della città.

Tutto il pomeriggio, Maria fu in preda allo scoramento. E la notte ebbe gl’incubi. Sognava di distribuire i suoi beni tra i poveri e di rimanere povera e men- dica in mezzo a loro. Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 14

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“No” – si disse al risveglio – “I poveri la loro povertà se la meritano, non rispettano il denaro. San Francesco non sapeva quel che faceva e, oltretutto, non donava del suo, ma dello sventurato padre”. Così, ripresi saldamente in mano i suoi beni, Maria poté ritrovare se stessa. La VolponaLa Più tardi si recò, com’era solita fare, nell’amata Casa di riposo. All’in- gresso c’era sempre, rassicurante e benedicente, la statua di San Pio. Intravi- de anche, passando dinanzi alla cappella dedicata al Santo, il quadro della Ma- donna di Medjugorie, causa involontaria dei suoi dispiaceri. Nello studio am- ministrativo c’era Carlo che, al suo passaggio, alzò la testa salutando la ma-

Guido Zavanone drina con deferenza. Sfoggiava sempre la sgargiante cravatta che aveva susci- tato, chissà perché, i sospetti di Maria e che era ormai completamente scagio- nata. Adesso era contenta di avergliela regalata. Le venne incontro l’infermiera Elena, premurosa e sorridente. Teneva in mano una cartella clinica, sventolandola a mo’ di saluto. La mostrò quindi a Maria. Riguardava uno degli ospiti più anziani, di cui il gerontologo che pre- stava la sua opera presso la Casa di cura aveva annotato l’improvviso aggra- varsi delle condizioni di salute. Il medico – raccontò Elena per meglio rappre- sentare la situazione - dopo la visita aveva scosso la testa e aveva levato gli oc- chi verso l’alto come altro non restasse che affidare il malato al buon Dio. “Pre- sto si libererà un posto per la persona raccomandata dal Vescovo” argomen- tò con serena professionalità l’infermiera. “Bene” – disse Maria – stropicciandosi le mani. E in quel momento le fu chiaro che la Casa per anziani era e restava la sua vera ragione di vita. Si sentì confortata e, per rasserenare viepiù l’animo, sollevò la cornetta del telefono e chiamò la Segreteria del Vescovo.

(continua) Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 15

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UNA POESIA Bruno Bonfanti

di Bruno Bonfanti Elegia dell’osteria del Ferro Sette

ELEGIA DELL’OSTERIA DEL FERRO SETTE

Qui, in alto, sulla Costa degli Orecchi, tra goffi resti dell’incendio estivo, il simposio notturno si è disperso. Con risa un po’ artefatte e abbracci monchi si è spento, ormai, l’afoso cicaleccio. Mute per la distanza, all’orizzonte, le gocciole di fuochi artificiali muoiono nella pece opaca e densa che la luna trafigge col suo raggio. La intermittente sistole del faro accarezza la fitta ragnatela di lumi che imprigionano la notte. Del brulichio che trepida nel buio cercano un senso la vecchiaia e il vino. Ma la festa è finita ed è calato sulle quinte di scene consuete il sipario che limita il proscenio. Mentre rumino sillogi avventate poggia Saturno, il vecchio, la sua mano sulla mia spalla ed è lieve ed è greve, il suo sguardo accorato è piombo e fumo. Ha con sé il sestante e l’astrolabio, la cabala ed i numeri segreti e la cieca Signora che dispensa alla Rosa dei Venti semi e spore. Forse è concluso il giro del compasso ma non, certo, è l’addio quello che avverto.

(Pulsante è il ribollio del non finito)

Poesia premiata il 5 ottobre 2010 al Concorso “Milano Duomo” Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 16

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IL LAURO E LA ROSA Flora petrarchesca

di Rosa Elisa Giangoia

Da un esame del Canzoniere del Petrarca emergono tre linee d’interes- se per quanto riguarda la presenza di fiori e piante. Infatti, se da un lato Pe- trarca continua la tradizione trobadorico-stilnovistica dei riferimenti alle rose, ai gigli e alle viole, dall’altro innova in quanto introduce l’idea della bellezza gratificante degli alberi da frutto (pruni, meli, peri, ecc.) fioriti in primavera su prati punteggiati da fiori colorati, infine, elemento di assoluta novità e di gran- de rilievo è la comparsa del lauro come señhal. Fondamentali sono in Petrarca gli elementi floreali nella caratterizzazio- Il lauro e la rosa - Flora petrarchesca - Flora rosa e la Rosa Elisa Giangoia Il lauro ne del ritratto della donna amata1, in quanto nella sua poesia avviene il pas- saggio dall’uso della rosa per indicare genericamente la bellezza femminile al- l’utilizzo di questo fiore per svariati fini significativi, oltre a vero e proprio ele- mento del ritratto, in particolare per indicare le labbra. La canonizzazione si può ritrovare nel sonetto CXXXI (Io canterei d’amor sì novamente): et le rose vermiglie infra la neve mover da l’ora et discovrir l’avorio 2 (vv. 9-10). Qui il poeta con rose vermiglie indica le labbra di Laura, con neve il can- dore delle guance e con avorio i denti della donna amata, secondo una catena di accostamenti disomogenei tra elementi del mondo vegetale, naturale e ani- male. Anche nel sonetto Quel sempre acerbo et onorato giorno (CLVII) le rose vermiglie indicano le labbra di Laura, ancora una volta in accostamento diso- mogeneo con perle per indicare i denti: perle et rose vermiglie, ove l’accolto dolor formava ardenti voci et belle (vv. 12-13). Nel sonetto Onde tolse Amor l’oro, e di qual vena (CCXX) con l’espres- sione e ‘n quali spine / colse le rose (vv. 2-3) il poeta usa le rose per indicare il meraviglioso incarnato delle gote di Laura. Quest’immagine deriva dal Can-

1 Molte indicazioni su questo tema si trovano in G. Pozzi, La rosa in mano al professore, Edizioni Univer- sitarie, Friburgo S., 1974; Il ritratto della donna nella poesia d’inizio Cinquecento e la pittura di Giorgio- ne e Nota additiva alla “descriptio puellae, in Sull’orlo del visibile parlare, Adelphi, Milano 1993, pp. 145 – 171 e 174 – 184 e in D. De Robertis, Le violette sul seno della fanciulla, in Forme e vicende. Per Giovan- ni Pozzi, a cura di O. Besomi (et al.), Antenore, Padova 1988, pp. 75 – 99. 2 Tutte le citazioni del testo del Canzoniere del Petrarca sono dall’edizione a cura di Sabrina Stroppa (Ei- naudi, Torino 2005). Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 17

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tico dei Cantici (sicut lilium inter spinas sic amica mea inter filias 2,2), con so- lauroRosa Elisa Giangoia Il e la rosa - Flora petrarchesca stituzione della rosa al giglio, come nel sonetto O d’ardente vertute ornata et calda (CXLVI) in cui le rose sparse in dolce falda / di viva neve (vv. 5-6) sono le guance colorite nel pallore del volto. Ma le rose servono anche per indicare il bel colore rosato della mano di Laura nel sonetto O bella man, che mi ristrin- gi ‘l core (CXCIX), in cui il poeta dice: Candido leggiadretto et caro guanto, che copria netto avorio e fresche rose, chi vide al mondo mai sì dolci spoglie? (vv. 9-11) ancora con accostamento disomogeneo tra un elemento vegetale (rose) ed uno animale (avorio) per evidenziare il contrasto cromatico della leggiadra mano femminile. Ancora le rose servono al poeta nel sonetto Non pur quell’una bella ignuda mano (CC) ad indicare il profumo sublime dell’alito di Laura con i versi: li occhi sereni et le stellanti ciglia, la bella bocca angelica, di perle piena et di rose et di dolci parole (vv. 9-11) sempre con accostamento disomogeneo perle…rose. Le rose candide e vermiglie diventano elementi che fanno tornare in men- te la bellezza di Laura nella canzone CXXVII (In quella parte dove Amor mi spro- na) quando si dice: Se mai candide ròse con vermiglie in vasel d’oro vider gli occhi miei, allor allor da vergine man còlte, veder pensaro il viso di colei ch’avanza tutte l’altre meraviglie (vv. 71-75) La visione che suscita la memoria è in questo caso una natura morta ante litteram, una composizione floreale che si carica di forti valori simbolici: si trat- ta di rose bianche e rosse collocate in un vaso d’oro da vergine man (v. 73), che formano il ritratto di Laura in base alla topica dei colori, in quanto le rose can- dide alludono all’incarnato del bianco collo, quelle vermiglie al dolce foco del- le guance, mentre l’oro del vaso riporta al colore delle chiome. La rosa serve a Petrarca anche per indicare la superiore regalità di Lau- ra nei confronti delle altre donne nel sonetto Qual paura ò, quando mi torna a mente (CCXLIX) in cui dice: I’ la riveggio starsi humilemente, tra belle donne, a guisa d’una rosa tra minor fior; né lieta né dogliosa, come chi teme, e altro mal non sente. (vv. 5-8) e nel sonetto L’aura, che ‘l verde lauro e l’aureo crine (CCXLVI) con i versi: Candida rosa nata in dure spine, Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 18

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quando fia chi sua pari al mondo trove, gloria di nostra etate? (vv. 5-8) Qui compare la candida rosa del Paradiso dantesco (XXXXX), con però in fi- ligrana anche il testo, già menzionato, del Cantico dei Cantici (sicut lilium inter spi- nas sicut amica mea inter filias , 2,2) con trasferimento del colore del giglio alla rosa. Le rose fresche nel loro naturale contesto della primavera avanzata del mese di maggio sono protagoniste del sonetto CCXLV in cui il poeta rievoca con gioia l’episodio di un giorno felice, quando un vecchio esperto d’amore, forse Amore stesso, appunto in un giorno di maggio, incontrando lui e Laura, donò una rosa a ciascuno, accompagnando il dono con parole gentili: ora si ral- legra al ricordo, ma teme che Laura cambi i suoi sentimenti: Due ròse fresche, e còlte in paradiso L’altr’ier, nascendo il dì primo di maggio, bel dono, e d’un amante antiquo e saggio tra duo minori egualmente diviso, con sì dolce parlar e con un riso da far innamorare un uom selvaggio,

Il lauro e la rosa - Flora petrarchesca - Flora rosa e la Rosa Elisa Giangoia Il lauro di sfavillante e amoroso raggio e l’un e l’altro fe’ cangiare il viso. - Non vede un simil par d’amanti il Sole – dicea, ridendo e sospirando inseme; e stringendo ambedue, volgeasi a torno. Così partia le rose e le parole; onde ‘l cor lasso ancor s’allegra e teme: o felice eloquenza! O lieto giorno! Le rose per Petrarca conservano il loro fascino, anzi lo riverberano sul- la persona di Laura, anche se sono ricamate su una sciarpa posata sulle spal- le della donna. Infatti nel sonetto Questa fenice de l’aurata piuma (CLXXXV) dice: Purpurea vesta d’un ceruleo lembo sparso di rose i belli omeri vela: novo habito, e bellezza unica e sola. (vv. 9-11). La novità di rilievo nella poesia del Petrarca sta nel fatto che egli intro- duce il fascino del paesaggio primaverile caratterizzato dagli alberi fioriti e dai prati punteggiati di fiori multicolori come scenario d’elezione su cui colloca- re la figura di Laura. È il paesaggio di Vaucluse che impreziosisce la figura di Laura, quando nella canzone Chiare, fresche e dolci acque (CXXVI) si dice: Da’ be’ rami scendea (dolce nella memoria) una pioggia di fior’ sovra ‘l suo grembo; ed ella si sedea humile in tanta gloria, coverta già de l’amoroso nembo. Qual fior cadea sul lembo, Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 19

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qual su le treccie bionde, lauroRosa Elisa Giangoia Il e la rosa - Flora petrarchesca ch’oro forbito e perle eran quel dì a vederle; qual si posava in terra, e qual su l’onde; qual, con un vago errore girando, parea dir: Qui regna Amore. (vv. 40-52) L’immagine di Laura sotto la pioggia di fiori, come ha mostrato Enrico Fenzi3, costituisce un’amplificazione dell’epifania di Beatrice (Purg. XXX, 28-32), ma si ricollega pure a tutta una rete di riferimenti classici, dalla pioggia di fio- ri che ricade sul puer della IV Ecloga di Virgilio (Ipsa tibi blandos fundent cu- nabula flores, v. 23), alla rigenerazione primaverile del cosmo, che possiamo trovare nel proemio del poema di Lucrezio4 e in Claudiano5, al trionfo di Amo- re su cui Venere sparge fiori dall’alto dell’Olimpo6. In questo modo il tradizio- nale locus amoenus7 si arricchisce dell’elemento di fascino dato dagli alberi in fiore e nello stesso tempo appare come il regno di Amore, dunque di Venere, come suggerisce l’affermazione conclusiva della strofa Qui regna amore. In questa canzone gli elementi della natura sembrano rendere tutti con- cordemente omaggio alla donna amata, infatti agli alberi in fiore si aggiungo- no i fiori indistinti che rallegrano con variegato cromatismo il verde dei prati nella prima strofa: Chiare, fresche e dolci acque, ove le belle membra pose colei che sola a me par donna; gentil ramo ove piacque (con sospir’ mi rimembra) a lei di fare al bel fianco colonna; herba e fior’ che la gonna leggiadra ricoverse co’ l’angelico seno (vv. 1-9) Questi versi riprendono quelli della canzone precedente (Se ‘l pensier che mi strugge CXXV): Qualunque herba o fior colgo credo che nel terreno aggia radice ov’ella ebbe in costume gir fra le piagge e ‘l fiume, e talor farsi un seggio fresco, fiorito e verde. (vv. 69-74)

3 F. Petrarca, Il Canzoniere e i Trionfi, a cura di E. Fenzi, Salerno Ed., Roma 1993. 4 Lucr., De rer. nat. I, 1-42. 5 Claud., De raptu Proserpinae I, 1-75. 6 Ov., Am., I, 2, 39-40. 7 E. R. Curtius, Letteratura europea e Medio Evo latino, trad. it. (a cura di R. Antonelli), Firenze. La Nuova Italia, 1992 (ed. orig. Bern 1948), pp. 207-223 (Il paesaggio ideale). Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 20

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in cui già compare, Laura quasi gemma preziosa sullo sfondo di un pae- saggio verde e variegato dalla fioritura primaverile. Così in questa fantasia crea- tiva del Petrarca, che si sostanzia della doppia vista che gli deriva dalle memo- rie letterarie e dall’osservazione del circostante paesaggio di Vaucluse, avvie- ne quella modificazione che arricchisce l’immagine classica del locus amoenus con i fiori degli alberi e dei prati e lo trasferisce dal piano della meditazione e della quiete a quello del godimento amoroso. Infatti la primavera fiorita ri- porta sempre Petrarca al momento del suo innamoramento. Anche nella can- zone In quella parte dove Amor mi sprona (CXXVII) dice: Ma pur che l’òra un poco fior’ bianchi e gialli per le piaggie mova, torna a la mente il loco e ‘l primo dì ch’i’ vidi a l’aura sparsi i capei d’oro, ond’io sì sùbito arsi. (vv. 80- 84) Qui l’indicazione floreale è cromaticamente più precisa, con il riferimen- to a fiori bianchi e gialli, mossi dalla brezza. Possiamo immaginare anemoni, pratoline, primule, fiori di tarassaco e di citiso, tutti fiori bianchi e gialli, che

Il lauro e la rosa - Flora petrarchesca - Flora rosa e la Rosa Elisa Giangoia Il lauro punteggiano i prati in primavera e che nei testi medievali vengono indicati in modo generico, dato che per lo più si era persa la nozione dei loro nomi pre- cisi che avevano invece in età classica. Ambiente ed atteggiamento simili si ritrovano nel sonetto CLXII in cui il poeta elenca tutti gli elementi del luogo ove Laura si aggirò, con invidia nei loro confronti: Lieti fiori e felici, e ben nate herbe che madonna pensando premer sòle; piaggia ch’ascolti sue dolci parole, e del bel piede alcun vestigio serbe; schietti arboscelli, e verdi frondi acerbe, amorosette e pallide vïole; ombrose selve, ove percote il sole che vi fa co’ suoi raggi alte e superbe; o soave contrada, o puro fiume, che bagni il suo bel viso e gli occhi chiari, e prendi qualità dal vivo lume; quanto v’invidio gli atti onesti e cari! (vv. 1-12) Qui abbiamo una precisazione per quanto riguarda la flora con l’indica- zione delle vïole, fiore sempre presente nella poesia italiana fin dalle origini, a cui vengono attribuiti due aggettivi (amorosette e pallide) di aree semanti- che differenti, il primo inerente la sfera affettiva, sottolineata dalla forma di- minutivo-vezzeggiativa, il secondo puramente cromatico. Anche nel madrigale Or vedi, Amor, che giovenetta donna (CXXI) i fiori e l’erba servono per connotare l’ambiente in cui si trova Laura: Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 21

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Tu se’ armato, et ella in treccie e ‘n gonna lauroRosa Elisa Giangoia Il e la rosa - Flora petrarchesca si siede, e scalza, in mezzo i fiori e l’erba, ver’ me spietata, e ‘ncontra te superba. (vv. 4-6)

I fiori sono sovente indicati dal Petrarca senza precisazione botanica, tal- volta semplicemente con il termine dantesco di fioretti (IX, 6), diminutivo e vez- zeggiativo a cui noi abbiamo sostituito “fiorellini”, tal’altra con una precisa indi- cazione cromatica. Così in Dal lito occidental si move un fiato, / che fa securo il navigar senz’arte, / e desta i fior tra l’erba in ciascun prato (XLII, 8-11), per indi- care che la natura tutta gioisce del ritorno di Laura. Altrove (XLVI, 1) con il verso d’apertura L’oro e le perle e i fior’ vermigli e bianchi si ha ancora un’enumerazio- ne di elementi disomogenei preziosi e floreali per indicare i capelli, i denti, le lab- bra e le guance di Laura: anche qui i fiori non necessitano di precisazione bota- nica, in quanto valgono solo per il loro cromatismo ricco di implicazioni metafo- riche. Alle erbe e ai fiori botanicamente indeterminati fa ricorso ancora il Petrar- ca per connotare idillicamente il mondo in cui si è rifugiato, probabilmente Vau- cluse, al fine di sfuggire l’ambiente corrotto di Avignone, novella Babilonia, nel so- netto De l’empia Babilonia, ond’è fuggita (CXIV) quando dice: Qui mi sto solo; e come Amor m’invita, or rime e versi, or colgo herbette e fiori, seco parlando, e a tempi migliori sempre pensando: e questo sol m’aita. (vv. 5-8) Ma tra i fiori e l’erba, sempre botanicamente indistinti, si possono an- che conservare le orme di Laura: infatti il poeta nella canzone Se ‘l pensier che mi strugge (CXXV) dice: Così avestù riposti de’ be’ vestigi sparsi anchor tra’ fiori e l’erba, che la mia vita acerba, lagrimando, trovasse ove acquietarsi! (vv. 59–63) Non solo, ma tutta la natura si allieta al passaggio di Laura e ne invoca la presenza, secondo quanto dice il poeta nel sonetto Stiamo, Amor, a veder la gloria nostra (CXCII) con i versi L’erbetta verde e i fior di color’ mille sparsi sotto quel’ elce antiqua e negra, pregan pur che ‘l bel pe’ li prema o tocchi. (vv. 9-11) Qui la connotazione cromatica dell’erbetta e il moltiplicarsi dei fiori in una miriade di colori, insieme ad altri elementi del sonetto, fanno di Laura una figura da Paradiso Terrestre, modellata sulla Matelda dantesca. La correlazio- ne con la Commedia è sottolineata dall’elce antiqua e negra, elemento di de- rivazione classica e dantesca, in quanto nel Purgatorio si dice dentro a la sel- Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 22

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va antica (XXVIII, 23), mentre l’aggettivo negra, riferito all’elce o leccio ha un’ascen- denza classica: ilice sub nigra dice Virgilio (Ecl. VI, 54) e nigraque sub ilice è in Ovidio (Metam. IX, 664). Con ancora più scoperta memoria dantesca (cfr. Purg. VIII, 100: Tra l’er- ba e i fior venia la mala striscia), seppur con ripresa virgiliana (latet anguis in herba, Ecl. III,93), i fiori e l’erba diventano allegoria delle insidie terrene tra cui si nasconde il serpente tentatore nel sonetto Poi che voi et io più volte abbiam provato (XCIX), quando il poeta dice: Questa vita terrena è quasi un prato, che ‘l serpente tra’ fiori e l’erba giace. (vv. 5-6) Il binomio botanicamente indistinto fiori e erba, seppure con scoperta memoria oraziana (cfr. carm. I, 22, 17-20: Pone me pigris ubi nulla campis / arbor aestiva recreatur aura), si ritrova anche nell’incipit del sonetto CXLV Pon- mi ove ‘l sole occide i fiori e l’erba, che prosegue con una lunga serie di indi- cazioni ambientali per sottolineare che in qualunque luogo verrà a trovarsi il poeta continuerà sempre ad amare Laura. Petrarca gode pienamente il fascino del paesaggio primaverile, che di per

Il lauro e la rosa - Flora petrarchesca - Flora rosa e la Rosa Elisa Giangoia Il lauro sé costituisce ai suoi occhi un incentivo all’amore. In questo spirito viene usa- to il vocabolo fiori come parola-rima di forte valore evocativo nella sestina Là ver’ l’aurora, che sì dolce l’aura (CCXXXIX) in cui ritorna sei volte per indicare la stagione primaverile, evocata per allontanare con i versi Laura dal suo atteg- giamento crucciato nei confronti del poeta. A connotare questa stagione con- tribuiscono in particolare le rose e le viole, secondo un accostamento che di- verrà poi canonico e che incontriamo nella canzone Ben mi credea passar mio tempo omai CCVII) quando il poeta dice: così rose e vïole à primavera, e ‘l verno à neve e ghiacci (vv. 46-47), mentre le viole diventano di per sé elemento connotante la primavera nel- la canzone In quella parte dove Amor mi sprona (CXXVII) quando si dice: In ramo fronde, o ver vïole in terra, mirando a la stagion che ‘l freddo perde, e le stelle miglior’ acquistan forza, negli occhi ho pur le vïolette e ‘l verde di ch’era nel principio de la mia guerra Amore armato… (vv. 29-34) Qui la vista delle viole che annunciano la stagione primaverile fa tornare alla mente del poeta le violette e il verde che erano sul terreno quando s’innamorò di Laura, o forse i colori della veste di Laura nel giorno del primo incontro, o delle ghir- lande di cui era allora adorna la sua chioma. Petrarca rappresenta Amore armato di violette e di verde per indicare che la dolcezza della primavera è di per sé un in- centivo ad amare. Nella stessa canzone ritorna più avanti il riferimento alla prima- vera come stagione dell’innamoramento, ma questa volta indicata come il tempo in Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 23

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cui l’aria un poco / fior’ bianchi e gialli per le piaggia mova (vv. 80-81). Le noctur- lauroRosa Elisa Giangoia Il e la rosa - Flora petrarchesca ne vïole per le piagge (v. 64) sono nella canzone-frottola Mai non vo’ più cantar co- m’io soleva (CV) un elemento un po’ misterioso (forse nocturne vuol dire “scure”, riprendendo l’aggettivo nigrae di Virgilio Egl. X, 39) che si affianca ad altri, come le fere selvagge entr’a le mura (v. 65), per indicare le sensazioni spiacevoli che il poe- ta prova per il disprezzo di Laura nei confronti del suo amore. Ma le viole servono anche al Petrarca nel sonetto S’una fede amorosa, un cor non finto (CCXXIV) per in- dicare un particolare colore del volto, del suo volto contrassegnato dalla sofferen- za per l’amore non ricambiato (s’un pallor di vïola e d’amor tinto, v. 8). Infine le vio- le si alonano di mestizia nel sonetto Spirto felice, che sì dolcemente (CCCLII) in cui il poeta rivede Laura, ormai morta, mover i pie’ fra l’erbe e le vïole, / non come don- na, ma com’angel sòle (vv. 6-7). Il fatto più rilevante è comunque che Petrarca infranga la tradizione, ormai consolidata lungo la linea trobadorico-stilnovistica, che faceva della rosa il simbo- lo della bellezza femminile e usi il lauro, la pianta sempreverde che richiama l’eter- nità della poesia, come señhal della donna amata. Nascondere l’oggetto del proprio amore dietro un nome fittizio risaliva per linea immediata ai provenzali e più in- dietro ancora agli elegiaci latini, ma era pur sempre un nome di persona (nei poeti latini con equivalenza metrica) che nascondeva un altro nome di persona, quello rea- le della donna. Da parte del Petrarca vi è la novità di utilizzare un elemento bota- nico. Ma il termine “lauro” non è certo casuale: esso si colloca infatti in una fitta rete di suggestioni letterarie. Innanzitutto richiama la tradizione mitologica dell’alloro, generatosi dalla trasformazione in albero di Dafne, la fanciulla invano amata da Apol- lo, secondo il racconto di Ovidio nelle Metamorfosi 8, poi si lega per elementi fone- tici a aura e ad auro/aureo, quindi stringe in un’unica catena l’elemento della natu- ra, quello della vitalità atmosferica e quello della sostanza più preziosa, soprattut- to nella concezione medievale, l’oro. La sintesi di questi legami è espressa dal Pe- trarca nel verso iniziale del sonetto L’aura che ‘l verde lauro e l’aureo crine (CCXLVI, 1) in cui, attraverso un triplice gioco di parole, vuole indicare che l’aria muove, so- spirando dolcemente, la chioma verde dell’albero dell’alloro e la chioma bionda del- la donna amata. Il lauro, poi, dall’ascendenza mitologica di pianta particolarmente cara ad Apollo (in quanto il nome della fanciulla amata Dafne in greco indica la pian- ta del lauro o alloro, che in latino è lausus di genere femminile) sposta l’attenzione del lettore sulla “laurea”, cioè sulla corona di rami della pianta con cui venivano or- nati i poeti, tanto agognata dal Petrarca stesso, fino a far ipotizzare che la figura fem- minile di Laura non abbia una vera consistenza di persona reale, ma sia soltanto la proiezione di una materializzazione del desiderio di gloria del poeta9. Inoltre carat-

8 Ov., Metam. I, 452-567. 9 Nel Secretum Agostino rimprovera Francesco di aver fatto nascere la sua poesia e l’amore per la gloria dall’amore per Laura e dal nome di lei, che lo induce all’amore del lauro, mentre Giovanni Colonna in una lettera esprime il suo dubbio sull’identità storica e reale della donna, questione a cui il Petrarca dà un’eva- siva ed arguta risposta: “Quid ergo ais? finxisse me michi speciosum Lauree nomen, ut esset et de qua ego loquerer et propter quam de me multi loquerentur; re autem vera in animo meo Lauream nichil esse, nisi illam forte poeticam, ad quam aspirare me longum et indefessum studium testatur; de hac autem spiran- te Laurea, cuius forma captus videor, manufacta esse omnia, ficta carmina, simulata suspiria. In hoc uno vere utinam iocareris; simulatio esset utinam et non furor!” (Familiares II, 9, 18). Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 24

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teristica di questo particolare señhal petrarchesco è soprattutto la complessità del- le ascendenze ovidiane, in quanto anche il termine aura trova interessanti riscon- tri nel poeta latino. Per questo dobbiamo far riferimento al mito di Cèfalo e Procri, presente in Ovidio, sia nell’Ars amatoria 10 che nelle Metamorfosi 11. Procri, erronea- mente, teme che il suo sposo, Cèfalo, ami una ninfa di nome Aura, in quanto egli invoca questo nome quando è a caccia, desiderando che l’aura frizzante del matti- no lo ristori dalle fatiche venatorie. Aura è quindi una donna supposta e temuta, dal- l’ipotesi di esistenza della quale discende la morte di Procri, che, appostatasi die- tro un cespuglio, per cogliere il marito in compagnia della presunta rivale, viene col- pita dal giavellotto del suo sposo, anch’egli indotto in inganno, tanto da scambia- re la moglie nascosta dietro il cespuglio per un animale a cui dare la caccia. Ma dal- l’analisi dei rapporti tra elementi petrarcheschi e testi ovidiani si possono trarre al- tre interessanti considerazioni. Secondo Ovidio, Amore per vendetta ferisce Apol- lo con un dardo d’oro e Dafne con uno di piombo (Metam. I, 470-471). Possiamo ri- cordare che nell’Attica vi era una miniera da cui si estraevano piombo argentifero, ocra e cinabro: si chiamava Laurion. Per Petrarca, che conosceva i labirinti dell’er- metismo e dell’alchimia, e le cui metafore non erano soltanto giochi di un’immagi- nazione sentimentale, il piombo alchemico rappresenta lo stato caotico, pesante e

Il lauro e la rosa - Flora petrarchesca - Flora rosa e la Rosa Elisa Giangoia Il lauro morboso del metallo, ovvero dell’animo umano. E quindi il piombo aurifero del lau- rion è analogo a Dafne-Laurus colpita dal dardo di piombo. Dafne è la metafora del- la psiche ancora incatenata al proprio io, della psiche “plumbea” che è riluttante al- l’opera alchemica. Ma la fuga della ninfa, secondo il racconto di Ovidio, non dura a lungo: stremata, implora il padre Peneo di trasformarla e di toglierle quella figura che le era troppo cara. Così, a poco a poco, Dafne perde la sua “natura plumbea” e si trasforma in una pianta, in particolare una pianta dalla vasta chioma, simbolo del- l’aria, secondo Eraclito, nell’Allegoria d’Omero12. Quando poi Apollo l’abbraccia e dice: “At quotiamo coniunx mea non potes esse, / arbor eris certe” (Metam. I, 557-558), Dafne cede infine al dio pervaso d’Amore, diventa aria impregnata del fuoco dello Spirito, ovvero sapienza: ecco perché a Petrarca interessa tanto giocare sull’analo- gia tra aura e lauro. Un ulteriore collegamento, sempre di natura alchemica, si sta- bilisce con l’aureo crine. Infatti se Dafne-Laura diventa aria, impregnata del fuoco dello Spirito-Sapienza, il suo “crine”, ovvero la sua psiche, da plumbea si trasforma in dorata. L’oro, diventato luce solidificata, cioè Sole terreno, esprime alchemicamen- te sia la perfezione metallica che quella umana. Comunione che il Petrarca raffigu- rerà, dopo la morte dell’amata, nel famoso sonetto dell’Aurora (CCXCI): Quand’ io veggio dal ciel scender l’Aurora co la fronte di rose e co’ crin’ d’oro, Amor m’assale, ond’io mi discoloro, e dico sospirando: Ivi è Laura ora. (1-4).

10 Ov., Ars am., III, 683-746. 11 Ov., Metam. VII, 661-865. 12 Eraclito, Questioni omeriche. Sulle allegorie di Omero in merito agli dei, ETS, Pisa 2005. Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 25

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Particolarmente interessante è studiare la fenomenologia poetica del lau- lauroRosa Elisa Giangoia Il e la rosa - Flora petrarchesca ro petrarchesco, che ha sempre verdi rami (V, 13) e solitario verdeggia (CLXXXVIII, 3), e mai foglia non perde (XXIII, 40), da cui si coglie acerbo frutto (VI, 13), che spande una dolce ombra (XXIII, 168), risparmiato dalla folgore (XXIV, 1-2), ina- spettatamente schiantato dalla morte che sembrerebbe dovergli essere estra- nea e che invece trasforma la vita dell’amante nell’esercizio della poesia del- la memoria e del rimpianto, ricogliendo le sue sparte fronde (CCCXXXIII, 7). Nel sonetto Sì travïato è ‘l folle mi’ desio (VI) il poeta nella prima strofe ri- legge da un punto di vista soggettivo il racconto ovidiano della metamorfosi di Daf- ne; se infatti la descrizione del poeta latino era incentrata sulla disperata fuga del- la ninfa fino al momento cruciale della sua trasformazione in albero, nel sonetto si guarda alla fuggitiva con gli occhi pieni di desiderio del dio che la insegue. Nel- la seconda strofe, Petrarca riprende alcuni punti essenziali della narrazione ovi- diana, ma li riferisce a se stesso e al suo folle… desio. Poi sull’immagine della fuga di Dafne si innesta quella della corsa sfrenata della passione mal governata dalla ragione, attraverso la metafora del cavallo che non si riesce ad indirizzare per la secura strada. In questo modo la vicenda di Dafne viene in qualche modo mora- lizzata e nello stesso tempo si passa dal contesto classico a quello cristiano con la sottolineatura che il moto inarrestabile della volontà del poeta si compie sol per venire al lauro (v. 11), da cui si coglie un frutto che non è quello della vita, ma quel- lo acerbo che rende più dolorose le piaghe della mortalità (vv. 12-14). Il lauro di- venta in questo modo figura di quel lignum vitae il cui frutto interdetto porta a mor- te, attraverso il peccato originale. In questo modo Petrarca rovescia le categorie con cui nel Medioevo si moralizzava la metamorfosi di Dafne, concependola come il raggiungimento della perfezione, e fa del lauro la meta di ogni desiderio e nello stesso tempo la punizione di questo. Diventa infatti la ragione di ogni moto, oc- casione di mortalità, e nello stesso tempo dolorosa impossibilità di riscatto della mortalità, tramite l’acerbo frutto (v. 13). Nel sonetto La gola e ‘l sonno e l’otïose piume (VII) il lauro, messo in pa- rallelo con il mirto (Qual vaghezza di lauro, qual di mirto? v. 9), può essere, an- che per il contesto, un chiaro simbolo della piena affermazione artistica nel- la poesia, a cui il poeta aspira, così come desidera un appagante amore, sim- boleggiato dal mirto, la pianta per tradizione classica sacra a Venere (cfr. Vir- gilio, Ecl. VII, 2). Nello stesso tempo, però, il lauro e il mirto possono essere sim- boli della poesia eroica e amorosa, di cui sono anche il premio. Ancora legata a memorie ovidiane è la canzone Nel dolce tempo de la pri- ma etade (XXIII), in cui sulla falsariga di quelle ovidiane di Atteone13, il poeta pre- senta una successione di sue trasformazioni, tra cui, nella seconda strofa, quel- la che lo fa d’uom vivo un lauro verde (v. 39). È un farsi lauro per poter cantare il lauro, secondo la concezione dell’ identificazione tra amante ed amato, in base ad una sentenza diffusa negli autori cristiani e medievali, da Agostino14 a Bona- ventura15, e che il Petrarca riprende anche nei Trionfi (Tr. Cupidinis III, 148-150), quando dice che l’amante nell’amato si trasforma.

13 Ov., Metam. III, 200-203, 229-231, 237-252. Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 26

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Centrale nella caratterizzazione del lauro petrarchesco è la sestina Gio- vene donna sotto un verde lauro (XXX), in cui lauro è una delle parole forti, in quanto è al primo posto del ristretto gruppo delle sei parole in rima (lauro, neve, anni, chioma, occhi, riva) che, sulla linea del trobar clus di Arnaut Daniel, ca- ratterizzano questo componimento, secondo la tipologia della retrogradatio cru- ciata. Per questo testo petrarchesco si possono individuare e supporre una me- moria e un’ascendenza che riportano ad uno scambio poetico tra Dante Alighie- ri e Cino da Pistoia. Nelle terzine di un sonetto di Dante a Cino (40 a - XCV) leg- giamo infatti: Giovane donna a cotal guisa verde talor per gli occhi sì a dentro è gita che tardi poi è stata la partita. Perilio è grande in donna sì vestita: però l’affronto de la gente verde parmi che la tua caccia non seguer de’. (vv. 9-14) Le affinità sono date dal sintagma giovane donna, dall’azione del verbo “vedere” (ho veduto / vidi), dalla determinazione del colore “verde” e più in ge-

Il lauro e la rosa - Flora petrarchesca - Flora rosa e la Rosa Elisa Giangoia Il lauro nerale dal raffronto donna-albero. L’idea del “verde” in Dante nasce, però, dal sonetto che precedentemente a lui aveva mandato Cino da Pistoia (40 – XCIV), che nell’ultima terzina dice: Che farò, Dante? Ch’Amor pur m’invita e d’altra parte il tremor mi disperde che peggio che lo scur non mi sia ‘l verde. Il sonetto di Cino pone la questione se deve abbandonarsi, ammaestrato dal- l’esperienza, ad un nuovo amore. Vi è dunque il riferimento ad una trascorsa espe- rienza amorosa (si ricordino i tanti componimenti ciniani per la donna in scuro, si tratti o meno della Selvaggia vestita a lutto) ed il prospettarsi di una nuova pos- sibilità amorosa. Nella risposta Dante gioca nominalisticamente sul “verde” con cui si chiudeva il sonetto di Cino. Così le quartine dantesche s’incentrano sull’im- magine (una sorta di comparazione per ora implicita) di un tronco che, pur sen- za radici, può far germogliare foglie, ma non frutti, in quanto ciò sarebbe un con- traddire la natura. La similitudine, ampiamente impostata nelle quartine, si chiu- de in modo quasi epigrafico nella terzina finale con il verso Perilio è grande in don- na sì vestita (v. 12) dunque bisogna respingere l’assalto di questa donna. È proprio l’ incipit dantesco Giovane donna a cotal guisa verde che dà l’avvio alla sestina petrarchesca Giovene donna sotto un verde lauro. È questo un “componimento d’anniversario”, in cui il poeta celebra la settima ricorren- za del suo innamoramento (6 aprile 1334). Fin dal verso iniziale ci troviamo in presenza di una rielaborazione del mito dafneo: la donna, di cui è sottoli- neata la vitalità e la bellezza, è situata, quasi messa in posa, sotto un lauro (e

14 Tractatus II in Epistula Ioannis secondo sermone De Assumptione B. Virginis Mariae in cui si cita Ugo di San Vittore: vis amoris amantem in amati similitudinem trasformat. 15 Secondo sermone De assumptione B. Virginis Mariae in cui si cita Ugo di San Vittore: vis amoris aman- tem in amati similitudinem trasformat. Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 27

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l’albero di alloro è qui ad un tempo indicazione spaziale del paesaggio, ogget- lauroRosa Elisa Giangoia Il e la rosa - Flora petrarchesca to della metamorfosi mitica della donna, señhal del suo nome). Del lauro è mes- so in rilievo il colore “verde”, con un elemento che inaugura la serie delle va- riazioni coloristiche presenti nella sestina, ma che ha anche un significato sim- bolico, riferibile sia alla natura che alla donna. L’emblema laurano viene infat- ti presentato nei suoi caratteri di freddo biancore (v. 2) e di costante preclu- sione all’amore (v. 3). A dominare in questi versi sono i colori del verde e del bianco, che derivano da quelli che caratterizzano l’apparizione di Beatrice nel Purgatorio (sovra candido vel cinta d’uliva / donna m’apparve sotto verde man- to, XXX, 31-32). La sestina ha quindi come tema il processo metamorfico che coinvolge la donna. Ma la forza trasformatrice investe anche altri elementi; in- fatti, trascinato dalla ricorrenza ripetitiva e dalla potenzialità semantica del- le parole-rima, anche il lauro si trasforma di volta in volta nella donna, in un raffinato prodotto di oreficeria, in una scultura lignea, in un albero semprever- de, in minerale prezioso, l’auro, espressione con cui si inaugura nel Canzonie- re l’omofonia ricca di significati ed implicazioni. Il poeta stesso è coinvolto in questo processo metamorfico, in cui si trasformano il suo corpo, i suoi capel- li, i suoi pensieri.

È interessante infine notare che nel sonetto Il mio adversario, in cui ve- der solete (XLV) il Petrarca, prendendo spunto dal mito ovidiano di Narciso16, ipotizza che anche Laura potrebbe essere trasformata in un fiore, anche se con- clude benché di sì bel fior sia indegna l’erba (v. 14). La sua fantasia e il suo amo- re lo portano quindi ad immaginare un processo metamorfico secondo le vi- cende della mitologia classica, in cui potrebbe essere protagonista Laura, resa capace, dalla forza suggestiva del suo fascino, di produrre un nuovo fiore, ma di così elevato valore che la terra ne sarebbe indegna.

16 Ov., Metam. III, 344-526. Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 28

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UNA POESIA

di Fernando Bizzarri

QUEL MOMENTO

Ci sono nelle case certe stanze, abbandonate quasi, Fernando Bizzarri Quel momento sedi di vecchi mobili tarlati con cassetti inzeppati, chiusi da tempo, che contengono amori, antichità, brandelli di ore liete, di bagliori, dimenticate pene…e vive. In questa foto erosa, scribacchiata, annegato nel sole sulla porta, questo è tuo padre, vedi, la sua famiglia accanto, l’orgoglio nel suo volto; questa è ingiallita, spenta sembra, come dire…lontana, pure una luce emana, guarda, voci, un calore, musica contiene. Era inverno…una notte… l’orchestra suonava, quando ancora si amava con il cuore la donna amata e poi ci si sposava …per sempre; come si stringevano nel ballo: in raso nera, ella, le braccia seminude: diceva una parola, dolce, ricordo, in quel momento – nell’attimo del flash, tu, la giacca a doppio petto sulla camicia bianca, la guardavi negli occhi, nelle labbra: lo senti il buon odore del suo caldo respiro? Ammiravano gli altri la vostra sorridente giovinezza, la fusione dei corpi nella danza, la forza della vita in quel momento. Esiste ancora, persiste quel momento in qualche luogo? la breve gioia, la musica, gli sguardi, la vostra sorridente giovinezza?

Poesia premiata il 5 ottobre 2010 al Concorso “Milano Duomo” Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 29

LA RONDE È UN GIOCO 29

LA RONDE È UN GIOCO Giuliana Rovetta La

di Giuliana Rovetta ronde

Il girotondo, gioco che ammalia i bambini, instaura anche uno scambio è un gioco delle parti al cui potere gli adulti si assoggettano. Movimento ritmico e al tem- po stesso danza dai significati simbolici, è uno dei luoghi più allusivi del con- fronto e dell’incontro. Basato sul concatenarsi delle azioni e sul sistematico avvicendarsi del- le figure, il girotondo come espediente letterario trova una rappresentazione perfetta in Reigen, opera teatrale di Arthur Schnitzler del primissimo Novecen- to, che vede l’avvicendarsi in scena di una serie di coppie: uno dei due aman- ti rappresentato in ognuna di esse trasmigra nella scena successiva per stabi- lire un nuovo rapporto amoroso che si consuma al riparo dagli occhi dello spet- tatore. La pièce si apre con l’incontro fra una prostituta e un soldato, il solda- to s’imbatte poi in una soubrette, per finire, attraverso successive tappe, con l’occasionale amplesso di un conte con la donna di strada della prima scena. A collegare gli episodi è un personaggio multiforme e misterioso che di volta in volta può essere autore, comparsa, o semplice passante. Da questo intreccio paradossale e cinico, il regista tedesco Max Ophüls ha tratto nel 1950 un film interpretato dai più blasonati attori francesi dell’epo- ca. Nei frequenti e ben congegnati cambi di scena si vedono all’opera nella pel- licola dieci coppie, ma come s’è detto, solo dieci sono i personaggi. Il mecca- nismo, azionato da casualità apparenti e volutamente non precisate, è ben rap- presentato dall’oggetto che appare alla vista dello spettatore nelle primissime inquadrature. Lo stesso oggetto emblematico -una giostra o carrousel- attrae lo sguardo del passante, ammiccando dalle locandine che annunciano la pel- licola in programmazione. Un movimento di tipo circolare in letteratura istituisce di fatto anche il trait d’union tra autori che si ispirano l’uno all’altro per comporre versi, dedi- candoli alla figura di un amico stimato, di un personaggio pubblico di rilievo, di un amante segreto: in questo caso le parole prima si fanno avanti e poi rie- cheggiano così come le mani s’intrecciano e si sciolgono, mentre resta immu- tata, nella sua qualità di dono immateriale, la sostanza della dedica, emblema a volte solenne, a volte malizioso di una presunta immortalità letteraria. Dalla sua casa di rue de Courcelles, dove abitò per alcuni anni fino al 1906, Proust indirizza una corrispondenza saltuaria a Daniel Halévy, compagno di scuola ai tempi del liceo Condorcet e successivamente amico e sodale nella fre- quentazione dei salotti parigini. Un’amicizia, quella tra i due giovani, alquan- to chiacchierata (ma l’obbiettivo vero delle attenzioni di Proust era il cugino Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 30

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di Halévy, Jacques Bizet), che mette in imbarazzo Daniel. Non è così per il fu- turo autore della Recherche, al quale non dispiace intrattenersi, in una lette- ra datata autunno 1888, sulla natura dei suoi sentimenti: “Moralmente cerco,

è un gioco è un non fosse che per eleganza, di conservarmi puro” 1. L’ambiguità di questo giovanile rapporto a tre, che Proust si sforza di ge-

ronde stire con sovrana nonchalance, è un motivo ricorrente nella sua opera, dove le triadi non mancano, come osserva Tadié, citandone due particolarmente evi- denti in Á la recherche du temps perdu: da una parte Odette, Swann e Char- lus, dall’altra Albertine, Andrée e il Narratore (cioè il giovane Proust)2. Pubblicato negli Écrits de jeunesse, che coprono l’arco 1888-1889, il so- netto Á Daniel Halévy dell’ottobre 1888 è, come il resto dell’opera poetica prou- stiana, soprattutto poesia di circostanza, legata all’evento effimero o all’epi- La Giuliana Rovetta La sodica accensione di un interesse. La scarsa attenzione alla rima e il rispetto piuttosto approssimativo per la prosodia denunciano lo spirito ludico di que- ste composizioni, ma il dato storico è indubitabilmente quello di un’esperien- za in formazione, di un “farsi le ossa”3. I toni ammirativi del sonetto, dedica- to a ritrarre l’amico, dal punto di vista estetico nelle prime due strofe e più in- timo nelle altre due, non impedirono al fascinoso Daniel, in seguito divenuto figura non secondaria nel panorama intellettuale della prima metà del Nove- cento4, di affidare al suo diario frasi come “questo povero Proust è completa- mente pazzo” o ancora “in lui c’era qualcosa che ce lo rendeva antipatico…” riferendosi ai toni eccessivamente adulatori con cui Marcel si accostava agli ami- ci e conoscenti. In verità, come osserva Beckett nel suo famoso saggio, Proust è un romantico, per il suo modo di “sostituire l’affettività all’intelligenza”5

A Daniel Halévy

Ses yeux sont comme les noires nuits brillantes; I suoi occhi luccicano come le nere notti; C’est la tête fine des forts egyptiens la testa fine è quella dei forti egiziani Qui dressent leurs poses lentes che erigono le loro pose lente Sur les sarcophages anciens sopra gli antichi sarcofaghi.

Son nez est fort et délicat Il naso è robusto e delicato Comme les clairs chapiteaux grêles; come i chiari nervosi capitelli; Ses lèvres ont le sombre éclat le sue labbra hanno il cupo lucido Des rougissantes airelles. delle rosse bacche di mortella.

1Marcel Proust, Le lettere e i giorni, Milano, Mondadori, 1996. 2 Jean-Yves Tadié, Vita di , Milano, Mondadori, 2002. 3 , Alla ricerca del verso perduto, in L’Espresso, 11 marzo 1984. 4 Direttore della collana Cahiers Verts presso l’editore Grasset, pubblicherà tutti i grandi scrittori dell’en- tre-deux-guerres, da Malraux a Mauriac; non però Proust, già legato a Gallimard. 5 Samuel Beckett, Proust, Milano, SE, 2004. Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 31

LA RONDE È UN GIOCO 31

Sur sa riche âme, rieuse en sa sauvagerie, Nella sua ricca anima che irride Giuliana Rovetta La L’univers se reflète ainsi allegra nelle sua ferinità Qu’une glorieuse imagerie l’universo si specchia gloriosa fantasmagoria

Cependant qu’un feu subtil et choisi mentre un fuoco sottile e raffinato Anime cette âme et ce corps nubique fa guizzanti quell’anima e quel corpo nubico 6 D’une exquise vivacité féerique. di un’incantevole vivacità fatata. ronde Più criptica, e legata ad un marginale episodio avvenuto durante una se-

rata mondana, l’ode dedicata a Jean Cocteau, in cui i versi proustiani indulgo- è un gioco no ad una sorta di lessico familiare tipico di un milieu di iniziati: l’ambiente in questo caso è quello dell’élite intellettuale che si ritrovava nelle cene dopo teatro al ristorante “Larue”, frequentato dalla compagnia dei Ballets russes, in scena con strepitoso successo nella Parigi del primo Novecento e di cui Nijin- sky era l’indiscussa vedette. Cocteau, artista eccentrico e di gusto raffinato, si era subito appassionato agli spettacoli di danza ideati da Serge Diaghilev e al suo linguaggio artistico completamente nuovo (non apprezzato dalla genera- lità degli spettatori). All’insegna di questa novità aveva fondato la rivista Shé- hérazade a cui collaborarono Apollinaire, Anatole France e anche Picasso. La sua conoscenza con Proust risale al 1910: il ventunenne Cocteau con la sua for- te personalità sorprende il futuro autore della Recherche, non ancora arriva- to al successo e già malfermo in salute (proprio in quell’anno, durante le va- canze a Cabourg, Proust fa rivestire di sughero le pareti della sua dimora pa- rigina). Proust parlerà di lui come di un “giovane poeta intelligente e dotato” somigliante, chissà perché, a un ippocampo. La scena rappresentata nell’ode À Jean Cocteau, prende spunto da un gesto di attenzione del giovane poeta ver- so il freddoloso, asmatico Marcel, gesto subito trasformato in un’insolita esi- bizione di vitalità: una trasvolata del tavolo forse influenzata dal contesto di danzatori e coreografo (l’illustre Fokine) che animava la serata7. In segno di con- siderazione e di apprezzamento per il suo singolare exploit Proust pone que- sta poesia come dedica a un libro che regala a Cocteau: si ispirerà proprio a lui, che considera “un essere ammirevole”, anche se troppo dispersivo e mon- dano, per il personaggio di Octave nella Recherche.

A Jean Cocteau

Afin de me couvrir de fourrure et de moire Per coprirmi di pelliccia e damasco Sans de ses larges yeux renverser l’encre noire senza dai larghi occhi versare nero inchiostro Tel un sylphe au plafond, tel sur la neige un ski come un silfo al soffitto, uno sci sulla neve

6 Traduzione di Luciana Frezza, in Marcel Proust. Poesie, Feltrinelli, Milano, 1993, p. 108. 7 Edmund White, in Ritratto di Marcel Proust, Torino, Lindau editore, 2010, traduzione dall’inglese di D. Mengo, attribuisce il gesto a Bertrand de Fénelon, giovane aristocratico: ”Fénelon aiutò con galanteria un Proust tremante e passò agilmente sopra i tavoli di un ristorante affollato per andare a prendergli il cap- potto” (pag. 86). Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 32

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Jean sauta sur la table auprès de Nijinsky. balzò Jean sul tavolo accanto a Nijinky. C’était dans un salon purpurin de Larue Accadde in una sala purpurea di Larue Dont l’or, d’un goût douteux, jamais ne se voila. dall’ oro, di gusto incerto, mai spento.

è un gioco è un La barbe d’un docteur blanditieuse et drue La barba melliflua e folta di un dottore Déclarait: “Ma présence est peut-être incongrue dichiarava: “La mia presenza forse è incongrua

ronde Mais s’il n’en reste qu’un je serai celui-là”. ma se uno solo restasse, sarei io quello”. Et mon coeur succombait aux coups d’Indiana. E il mio cuore cedeva al ritmo di Indiana.

L’amore per le arti viene instillato in Cocteau dal nonno materno pres- so il quale trascorreva periodi di vacanza. Grazie alla sua multiforme curiosi- tà artistica, l’eccentrico Jean incrocerà i suoi passi, in una Parigi ricca di fer- La Giuliana Rovetta La menti, con Erik Satie. A partire dal 1905 nascerà fra i due un sodalizio artisti- co culminato nella nascita del Groupe des Six, circolo musicale orientato con- tro l’accademismo e in sintonia con le avanguardie pittoriche e stilistiche del- l’epoca, di cui faranno parte fra gli altri Poulenc e Honneger. Con il suo stile nervoso e visionario, lo stesso della sua straordinaria produzione grafica, Coc- teau dedica all’amico musicista alcune strofe in cui i riferimenti strettamente legati alla realtà urbana, teatro privilegiato delle élites di punta dell’avanguar- dia, si mescolano -per lampi- a suggestive ed estrose immagini.

A Erik Satie

Madame Henri Rousseau La signora Rousseau Monte en ballon captif sale sull’areostato Elle tient un arbrisseau in mano ha un ramoscello Et le douanier Rousseau mentre il Doganiere Rousseau Prend son apéritif prende l’aperitivo

L’aloès gonflé de lune L’aloe intriso di luna Et l’arbre à fauteuils e le sedie sull’albero Et ce beau costume e questo bell’abito Et la belle lune e la bella luna Sur les belles feuilles sulle belle foglie

Le lion d’Afrique Il leone africano Son ventre gros comme un sac col ventre come un sacco Au pied de la République ai piedi della Repubblica Le lion d’Afrique il leone africano Dévore le cheval de fiacre divora il cavallo da carrozza

La lune entre dans la flûte La luna entra nel flauto Du charmeur noir dell’incantatore nero Yadwigha endormie écoute Yadwigha dormiente ascolta Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 33

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Et il sort de la douce flûte e dal dolce flauto esce Giuliana Rovetta La Un morceau en forme de poire. un brano a forma di pera8.

Il frutto del sodalizio fra Cocteau e Satie è un’opera danzata surreal-fu- turista, Parade, a cui collabora anche Apollinaire, oltre a Picasso con le sue bril-

lanti scenografie. Lo spettacolo, preparato a Roma con l’amichevole partecipa- ronde zione dei futuristi italiani, consiste in un susseguirsi di quadri e pantomime

senza filo logico. Rappresentato al Teatro Châtelet nel maggio 1917, suscita è un gioco la vivace reazione del pubblico. L’apparizione sul palco di Apollinaire, appe- na reduce dal fronte, con la testa fasciata e la Croix de guerre appuntata sul petto, serve a placare il tumulto degli sconcertati spettatori.

Nel volgere di quegli anni prende corpo l’amicizia fra Cocteau e Paul Mo- rand, in procinto di partire per Roma dove è chiamato all’incarico di attaché pres- so l’ambasciata francese. Morand, che si sta appassionando alla letteratura ma non ha ancora pubblicato nessuna opera, è affascinato dal personaggio Proust (che in seguito scriverà generosamente la prefazione ai suoi racconti d’esordio, Tendres stocks). Di Cocteau ammira la capacità di accendere l’attenzione attorno a sé, il brio e le trovate esplosive. Una foto dell’archivio Hachette li ritrae nel gruppo del- la giuria del premio Nouveau Monde, insieme a Giraudoux e Valéry Larbaud, in- cravattati e stretti nei loro cappotti eleganti. Da quell’anno, 1923, frequentano gli stessi ambienti e salotti e troveranno parte della loro ispirazione dalla stessa musa: Misia Sert, artista di origine polacca e brillante animatrice della vita mondana del- la capitale. Non sempre affidabile ma dotata di grande fascino, Misia, nata Godeb- ski, fu ritratta dai grandi artisti dell’epoca come Bonnard, Renoir, Toulouse-Lau- trec e dipinta anche a parole: da Cocteau in Thomas l’imposteur, dove a lei si ispi- ra il personaggio della principessa de Bornes, e da Proust nella Recherche per al- cuni tratti di Madame Verdurin. Paul Morand ne fu forse brevemente innamora- to e in uno dei suoi ultimi scritti, dedicato alle molteplici Venises9 la ricorda come ninfa egeria “du Paris symboliste, du Paris fauve, du Paris de la Grande Guerre”. Sull’amicizia controversa che la unì a Proust, Morand non si sbilancia: per lui il malinconico e complicato petit Marcel10 che ha da poco pubblicato Du côté de chez Swann, rappresenta comunque un punto di riferimento che supera di gran lun- ga il pur ammiratissimo Flaubert. E poi il personaggio è intrigante, con quella cor- te di amici misteriosi e l’atteggiamento ambiguo fra garbo e ironia. A lui Morand dedica questa Ode, in apertura del suo libro di esordio in poesia11. Proust viene ritratto nel suo interno di chambre de malade, afflitto dall’asma ed eternamente in ambasce per la propria salute.

8 Il leone africano fa riferimento al monumento centrale di Place de la République. Inoltre Satie compose nel settembre 1903 un brano musicale per pianoforte a quattro mani intitolato Trois morceaux en forme de poire. 9 Paul Morand, Venezie, Vicenza, Neri Pozza, 1995. 10 Ginette Guitard-Auviste, Paul Morand, Parigi, Hachette, 1981, pag. 67 e ss. 11 Paul Morand, Poèmes.Lampes à Arc, Feuilles de température, Parigi, Au sans pareil, 1924. Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 34

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Ode a Marcel Proust

Ombre Ombra

è un gioco è un née de la fumée de vos fumigations nata dal fumo dei suffumigi le visage et la voix con il volto e la voce

ronde mangés par l’usage de la nuit divorati dall’uso della notte Céleste, Céleste, Avec sa vigueur douce, me trempe dans le jus noir ferma e dolce, mi introduce nel succo nero de votre chambre della vostra stanza qui sent le bouchon tiède et la cheminée morte. che sa di sughero tiepido e di camino spento. ………………………………………………… …………………………………………….. Je dis: “Vous avez l’air d’aller fort bien”. Dico: “Sembrate proprio in forma”. La Giuliana Rovetta La Vous répondez: Rispondete: “Cher ami, j’ai failli mourir “Caro amico, per tre volte oggi trois fois dans la journée”. sono stato sul punto di morire”: ………………………… ……………………………….. Et que vous voici, ce soir E come dunque stasera siete qui pétri de la pâleur docile des cires afflitto dal docile pallore dei ceri mais heureux que l’on croie à votre agonie douce lieto di farci credere alla vostra dolce agonia de dandy gris perle et noir? di dandy grigio perla e nero?

Con una delle sue tipiche reazioni in cui si mescolano gentilezza e plai- santerie, Proust risponderà all’omaggio di Morand con questi versi:

Ode a Paul Morand

Cher ami, quelle est cette Lampe à Arc Caro amico, qual è quella lampada ad Arco Qui vous a empéché d’aller aux Fêtes che vi ha impedito di andare alle Feste De Jeanne d’Arc di Giovanna d’Arco N’est-ce pas inconcevable L’ho trovato a maneggiare il fuoco Je l’ai trouvé avec du feu non è inaudito Du reste il (Proust) devient del resto lui (Proust) diventa De jour en jour plus gâteux. Ogni giorno più rammollito.12

Al breve componimento aggiunge la precisazione (disattesa da Morand stesso nel 1948): ”Estratto della mia Ode a Paul Morand che non sarà mai pub- blicata”.

12 Traduzione di Luciana Frezza, op. cit., p. 130 Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 35

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DUE POESIE Maria Luisa Gravina

di Maria Luisa Gravina La montagna

LA MONTAGNA Apre il suo segreto d’impenetrabile rigore perché il sole possa entrare per riscaldarne i sassi e tingere i fiori di rosso. La montagna parla offre la sua lingua di sterpi e foglie per dialogare con il cielo. Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 36

36 DUE POESIE DI MARIA LUISA GRAVINA

FELICE NATALE Felice Natale sorriso nel cuore

Felice Natale Felice il mio albero ha riacceso le luci l’amore non si nasconde così come il tempo. Abbiamo toccato Maria Luisa Gravina i bicchieri e di nuovo brindato. Indosso la grazia dei miei vent’anni tu la guardi e la riconosci ed insieme piangiamo abbracciati. L’amore non si offende del tempo che passa Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 37

THÈ A CEYLON 37

THÈ A CEYLON Milena Buzzoni

di Milena Buzzoni Thè aThè Ceylon

Quando, nel 1956, decide di vivere nello Sri Lanka, lo scienziato e scrit- tore Sir Arthur C. Clarke afferma che è il posto migliore al mondo da cui os- servare l’universo! D’altra parte se si osserva lo Sri Lanka dall’interno si sco- pre un universo in miniatura. In effetti l’isola che aveva incantato Marco Polo e dove addirittura gli antichi immaginavano l’Eden, offre una varietà sorpren- dente di paesaggi. È un paradigma dei diversi aspetti della natura che ha de- positato qui il meglio di sé: dalle ammalianti spiagge di palme e sabbia fine, attraverso la zona delle piantagioni di tè che rivestono come una moquette le colline interne, fino ai quasi duemila metri della stazione montana di Nuwara Eliya, passando nel fitto di una vegetazione fatta di palme e banani e interrot- ta da laghi e cascate. Ma, oltre la natura, anche il segno di una civiltà, l’impron- ta accattivante dell’uomo. Alla Malpensa scopriamo che l’aereo ha un motore in avaria: attesa sen- za notizie ciondolando tra un free shop e l’altro, comunicazione che si parti- rà il giorno dopo, trasferimento a un Novotel blindato da un grigiore spesso e compatto come amianto. Notte tranquilla e scontenta, anche se i contrattem- pi aeroportuali sono come i dolori del parto: nell’ottica del viaggio che si di- pana di giorno in giorno con le sue sorprese, come in quella della crescita di un figlio, le difficoltà iniziali si scordano! Finalmente l’imbarco. Scalo serale a Dubai in una confusione di luci che non ci permette, come speravamo, di individuare nessun grattacielo. In com- penso ci accoglie uno scintillante free shop pieno di ottoni, gioielli e vetrine. Incrociamo sceicchi bianchi e donne nere senza volto tra oro a 22 carati, bor- se Armani e profumi Chanel. Atterriamo a Colombo in un aeroporto che somiglia più a un centro com- merciale: prima del ritiro bagagli, stand di lavatrici, liquori, TV, congelatori. Ci accoglie un edificio semplice con alte vetrate dalle quali si vede un giardino di palme e banani. Il cielo è azzurro e fuori un buon caldo ci risarcisce delle dif- ficoltà della partenza e ci immerge subito in un clima di vacanza. Mansour, la nostra guida, è un piccolo cingalese premuroso e simpati- co. Saliamo sul pulmino che ci dovrebbe portare direttamente all’antica capi- tale, avendo perso, per il ritardo dell’aereo, l’escursione alle spiagge di Negom- bo. Guida a sinistra, strade strette e in pessime condizioni, assenza di segna- letica, ci immergono subito in un traffico non caotico perchè si tratta di per- corsi di campagna, ma pericoloso. Tutti, compresi pulman pieni di gente ap- pesa anche fuori, camion carichi di legname, tuc tuc, vanno velocissimi azzar- dando sorpassi punibili qui con il ritiro a vita della patente! D’un tratto un ru- Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 38

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more secco blocca il nostro mezzo. L’autista, Mansour e un ragazzo che rimar- rà con noi per l’intero viaggio rivelandosi un aiuto prezioso, scendono. C’è un problema a una gomma che va sostituita. Scendiamo tutti e ci allontaniamo dal- la carreggiata dove i mezzi in transito ci sfiorano senza tanti complimenti. Thè a Ceylon Thè a -No problem, no problem! - ci rassicura Mansour. Intanto ci sediamo all’om- bra del pergolato di una specie di bar, una capanna di legno e paglia dipinta di celeste dove un uomo gentile ci offre sedie e qualche bibita fresca. Le nostre gui- de trafficano attorno al pulmino, tirano fuori quella che dovrebbe essere una ruo- ta di scorta ma, sorpresa! è incompatibile con tutte le altre. Fermano un tuc tuc

Milena Buzzoni di passaggio e anche il conducente di questo mezzo comincia ad armeggiare con la testa infilata tra le gomme. Mansour con aria soddisfatta, ci fa segno di sali- re. Bene! La sosta in fondo è stata breve! L’autista mette in moto ma un rumore forte e intermittente impedisce al pulmino di muoversi. -Il semiasse! - sentenzia Federico con il suo inguaribile ottimismo- il se- miasse è andato! Tutti fuori un’altra volta. Ci lasciamo di nuovo cadere sulle sedie del bar, spostiamo gli occhi dal pulmino all’autista all’orologio. Abbiamo alle spalle ore di viaggio senza dormire! Ci mancava anche questa! Finalmente ci chiamano e spiegano che l’unica soluzione è proseguire senza la ruota, nel senso che si tratta di una ruota centrale gemellare di cui si può fare a meno. L’autista giu- ra che andrà pianissimo ma la vista di quel mezzo senza la gomma e soprat- tutto un’occhiata alle altre, lisce e qua e là lacerate, è poco rassicurante! Si è fatto tardi per arrivare sino ad Anuradhapura. Mansour suggerisce qualche modifica al programma e per non perdere tutta la giornata, decidia- mo di vedere il tempio rupestre di Dambulla. Il nostro pulmino effettivamen- te procede piano e con prudenza e ci porta senza ulteriori problemi ai piedi del Royal Rock Temple . L’idea di salire duecento scalini non ci riempie di gio- ia ma raccogliamo le ultime forze pensando che sono già le cinque, il sole si è intiepidito e si avvicina il miraggio di un agognato letto! Sul percorso che ta- glia una vegetazione fitta ci vengono incontro, sole o a gruppi, le scimmie. Mol- te se ne stanno in coppia a spulciarsi meticolosamente, altre ci saltellano at- torno agguantando le borse e ficcandoci dentro la testa per vedere se c’è qual- che cosa da mangiare. Con quel faccino vizzo sembrano vecchiette impertinen- ti o più macabramente le teste ridotte degli Jibaro del Sud America. I loro nu- clei familiari, quel muoversi insieme, mamma, papà e cuccioli, l’atteggiamen- to solidale ne fanno misteriosi replicanti umani. Man mano che saliamo ci accoglie un’aria tiepida che soffia su questa enor- me roccia e le dà vita. Il tramonto in fondo alla nostra visuale scivola sui boschi sottostanti e co- lora il cielo di rosa e arancione. Poi tutto diventa azzurro pallido, anche i bacini d’acqua che spuntano tra i rami spogli degli alberi di Frangipani. Cani macilenti e capre si arrampicano sulla montagna brulla, tagliata ai piedi per accogliere un tempio lungo e basso fatto costruire dal re Valagamba. Cacciato dalla capitale ver- so il I sec. a.C., è l’artefice delle cinque grotte scavate nella montagna e comple- tamente affrescate, che contengono ben centocinquanta effigi del Buddha. Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 39

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La prima grotta alla quale, come per le successive, si accede da un bian- Milena Buzzoni co porticato a colonne, contiene un Buddha sdraiato di quindici metri che at- traverso l’oro e i colori che lo rivestono, ci guarda come un paziente padrone di casa. La seconda grotta, lunga 50 metri e alta 7, è la più spettacolare, com- pletamente affrescata da brillanti pitture che rappresentano l’arrivo del bud- dhismo nell’isola e le gesta dei sovrani. Mi domando come si siano mantenu- aThè Ceylon te figure così vivide in un ambiente tanto umido; non a caso un grande reci- piente di bronzo raccoglie l’acqua che gocciola dal soffitto e che viene usata per riti sacri. Qui dentro c’è una strana atmosfera, come se il tempo fosse rimasto fuo- ri da queste grotte, come se i fiori votivi freschi e colorati fossero qui da sem- pre, come se un rispetto soprannaturale concedesse alle pitture, alle statue, ai fiori una vita eterna. Usciamo e scendiamo per le scale attraverso la vegetazione che ormai l’om- bra della sera nasconde. Arriviamo all’Amay Lake Hotel per una strada accidentata che costeggia l’omonimo lago. Dal finestrino vediamo dei ragazzi tuffarsi nell’acqua: vola- no in cielo per un attimo, lo scarabocchiano di nero con le loro figure in con- troluce poi scompaiono. Tra gli alberi spuntano le luci dell’albergo adagiato su un parco e rischia- rato dai fanali di un centinaio di casette-bungalow nelle quali dormiremo. An- che la piscina è illuminata e la sua vista ci rigenera come quella del ristoran- te affacciato su un prato che, in fondo, lontano, lascia indovinare la quiete del lago. Un bagno, la cena e finalmente il letto! Aristocratici uccelli bianchi e scoiattoli ci intrattengono la mattina suc- cessiva mentre facciamo colazione. Attraversiamo in fretta il prato umido per raggiungere il lago e scattare qualche foto: dall’acqua emerge un albero e ac- qua e erba, nell’incerta nebbia mattutina, vibrano placide come un miraggio. Dopo un percorso in pulmino che prolunga il torpore notturno, ci tro- viamo sul lungo viale di Anuradhapura che fu capitale nel 380 a.C. , il cui cen- tro è costituito dalla Bodhi tree, esattamente uno Sri Maha Bodhi volgarmen- te detto pipal, il più vecchio albero certificato al mondo. Questa pianta colos- sale è cresciuta da una talea prelevata in India dalla principessa Sangamitta, sorella di Mahinda che introdusse le dottrine buddhiste nell’isola. Proprio sot- to un albero della Bodhi Buddha ebbe l’illuminazione (bodhi = illuminazione), ecco perché è considerato l’albero sacro per eccellenza. Circondato da una alta piattaforma, ha accanto a sé altri alberi più modesti che sono altrettante talee della pianta principale. Nei giorni di poya, ossia plenilunio, migliaia di fedeli accorrono qui a depositare le loro offerte. Ripercorriamo il viale, facendo più caso, adesso, agli enormi alberi che non solo lo delimitano ma abitano anche il bosco che lo circonda, alberi da fiaba con tronchi multipli tra i quali saltellano le scimmie mangiando polpette di riso ros- so. Dietro il museo etnografico notiamo un bianco dagoba o stupa, dalla classi- ca struttura a “mucchio di riso”, con l’alta guglia che perfora il cielo, protetto da un muro dove sono scolpiti centinaia di elefanti uno accanto all’altro. All’interno Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 40

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di questi edifici religiosi sono racchiuse le reliquie di personaggi sacri. Attorno un bel parco è interrotto da mucchi di rovine, resti di stagni, vasche, colonne e pilastri tutti scenograficamente inclinati in differenti direzioni. Con il pulmino ci spostiamo verso nord in una zona boschiva dove sor- Thè a Ceylon Thè a ge il Thuparama Dagoba, il più antico dello Sri Lanka, anzi probabilmente il più antico degli stupa ancora esistenti al mondo (ne è piena l’Indocina dove sono arricchiti con fregi di ceramica, stucchi o lamine d’oro). Siamo affamati e anche se ci lamentiamo delle eccessive calorie dovute alla formula “pensione completa” che ci fa rinunciare al più frugale “panino

Milena Buzzoni del pezzente” (quello, per chi non lo sapesse, derivato dal buffet della prima colazione!), ci buttiamo sui papadam, deliziose sfogliatine tipo patatine fritte prima di riempirci i piatti di kola kanda un insieme di riso, cocco e verdure con- dito con sambol (condimento di vari ingredienti pestati con peperoncino) al ri- storante affacciato sul bacino lacustre della cisterna precristiana di Nuwara Wewa. Passiamo il pomeriggio tra le rovine conservate meglio e di maggiore sug- gestione dell’altra storica capitale dello Sri Lanka, Polonnaruwa. Vecchia “sola- mente” di mille anni e dal 1982 Patrimonio dell’umanità, offre un piacevole per- corso nel suo parco storico. Dagli spessi muri di mattoni del Palazzo Reale dei cui sette piani resta solo il perimetro, ci spostiamo alla Sala delle Udienze deco- rata con un fregio di elefanti ciascuno in una posizione differente, al Quadrila- tero, un gruppo compatto di rovine poste su una piattaforma sollevata, cinta da un muro. Per entrare nel Vatadage , un edificio circolare con quattro entrate fian- cheggiate da guardiani di pietra, oltrepassiamo una “pietra di luna”, il primo gra- dino a forma semicircolare di una scalinata che porta a un luogo sacro. Elabo- rate sculture seguono la linea curva del suo profilo e ogni arco simboleggia un passo avanti nel cammino dalla vita umana (gli archi esterni) all’illuminazione (il semicerchio interno). I fiori dell’arco esterno rappresentano la vita umana, men- tre quello con le figure di animali (elefante, leone, cavallo e toro) simboleggia le sfide dell’esistenza: nascita, malattia, vecchiaia e morte. La vite che serpeggia in mezzo a questi elementi raffigura il groviglio in cui l’uomo può restare impiglia- to se si allontana dalla giusta via, mentre i cigni rappresentano i santi e gli an- tenati che possono aiutarci durante il cammino. La vite vicino al centro è sim- bolo delle sfere cosmiche, mentre il centro con i petali di loto rappresenta il nir- vana cioè l’illuminazione. Ci perdiamo nel micro-universo disegnato ai nostri pie- di come un tappeto e nella luce del tardo pomeriggio giriamo tra queste voci an- cora in grado di evocare bellezza e far vivere una civiltà. Arriviamo al Gal Pota, il libro di pietra, un parallelepipedo lungo 9 metri per 1 metro e mezzo e spes- so più di 60 centimetri. Si tratta di una colossale raffigurazione ( 25 tonnellate!) di un libro di ola, le foglie di palma sulle quali tradizionalmente si scriveva. Il fit- to testo inciso sulla superficie esalta le virtù del re. Mentre passo il dito sui ric- cioli di quella grafia penso che pochi elementi suscitino emozioni e trascinino indietro come la scrittura, il gesto che conserva l’energia della mano e l’andamen- to del pensiero, il segno ancora caldo di una vita. Sul pulmino sfoglio la guida per cercare qualche anticipazione sull’escur- sione di domani. Pare che ci aspettino 1200 scalini per risalire i 200 metri del- Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 41

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la rocca di Sigiriya. In effetti quando la vediamo spuntare come un gigantesco Milena Buzzoni meteorite tra il verde punteggiato di laghi, ho la sensazione che si tratti di un elemento soprannaturale rotolato dal cielo. L’intero paesaggio è una specie di Piazza dei Miracoli della natura, qualcosa che non ha relazione con l’ambien- te, che non ti aspetti, stupefacente come un prodigio. La rocca del Leone (que- sto è il significato della parola Sigiriya) è un accumulo di magma indurito pro- aThè Ceylon veniente da un vulcano estinto. Secondo la leggenda ebbe funzioni regali e mi- litari fino al I sec. d.C. e fu residenza inespugnabile del re Kassapa dopo che ebbe deposto e assassinato il padre. Nuove prove archeologiche propendono invece per la presenza di un tempio buddista. Alla base la rocca è circondata da una foresta fiabesca che ci accompa- gna nella prima parte della salita. Giardini lacustri, isolotti con padiglioni, roc- ce di varie forme come quella cosiddetta del “cappuccio del cobra” per la curva- tura che si allarga in alto e poi si stringe, alberi giganteschi che creano un sot- tobosco ombroso e ordinato dove ci aspettiamo di incontrare i sette nani! Le sca- le, prima brevi e interrotte dal bosco, si fanno sempre più lunghe e ripide e ri- salgono la rocca come quelle dei Pigmei addossate al corpo di Gulliver. Gruppi di scimmie ci vengono incontro in equilibrio sulla roccia scoscesa e sulla ringhie- ra. Una scala a chiocciola di ferro ci porta a una lunga galleria coperta, scavata nella ripida parete. In questa grande nicchia spiccano una ventina di ritratti fem- minili (in origine pare fossero ben 500!) a mezzo busto, ornate di collane e brac- ciali con una straordinaria vivacità di colori: ocra, verde acqua, ruggine. Mentre la leggenda ne fa dame della corte del malvagio Kassapa, la storia le attribuisce piuttosto a raffigurazioni di Tara Devi, dea del buddhismo mahayana. Al di là della galleria degli affreschi, il sentiero che percorriamo costeg- gia la ripida parete rocciosa, protetto sul lato esterno da un muro alto 3 me- tri. Questo, trattato con bianco d’uovo, cera, intonaco e polvere di pietra di luna e lucidato a specchio con tamponi di foglie, creava una superficie destinata a riflettere gli affreschi di fronte e a raddoppiare il piacere della loro vista. Ora è una lastra lattiginosa coperta di graffiti. Ci troviamo finalmente su una piattaforma dalla quale partiranno gli ul- timi prodi per la scalata finale alla sommità della rocca. A incoraggiare chi si cimenta, le gigantesche zampe del leone di mattoni, ormai scomparso, che pre- sidiava il luogo. La scala prosegue proprio in mezzo agli artigli e con un ulti- mo sforzo solo in tre del nostro gruppo di otto guadagniamo la cima. Il pae- saggio è lo stesso di quello visibile dalla piattaforma: un’immensa pianura ver- de. Il tempo però sta peggiorando, nuvole scure si addensano sui perimetri rot- ti degli edifici, si alza il vento e comincia a cadere qualche goccia. Sulla via del ritorno, la discesa è rapida ma un acquazzone ci costringe a una sosta. L’aiu- tante della nostra guida ci viene incontro con gli ombrelli salendo un buon trat- to di scale. Raggiungiamo il nostro pulmino neanche troppo stanchi. Allunga- ti sui sedili puntiamo gli occhi fuori dai finestrini. La strada per Kandy taglia una serie di villaggi violentati dal cemento. Le case non sono che parallelepipedi nudi e bassi o coperti da cartelli pubblicitari anni ’50 con ingenue facce sorridenti. Ai piani superiori qualche balcone è soste- Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 42

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nuto da colonnine o pannelli di cemento traforati o da ringhiere cromate, pove- ri tentativi di bellezza. Fitte sulle facciate le scatole dell’aria condizionata. Scendiamo al giardino delle spezie dove un cingalese che parla perfet- tamente italiano ci conduce tra piante di caffè, noce moscata, ginger, cannel- Thè a Ceylon Thè a la, cokain. Rubo una piantina di anturium che mi ficco nella borsa. Giriamo per l’annessa erboristeria tra bottiglie di oli essenziali e barattoli di unguenti. Proseguiamo per la strada verso Kandy dove ricomincia a piovere a di- rotto. Anche qui come in Marocco, in Tunisia o in Vietnam vediamo case in co- struzione abbandonate, pilastri da cui spuntano i ferri, muri di mattoni non

Milena Buzzoni finiti, piani sospesi nel vuoto. Niente come la sequenza di queste interruzio- ni evoca miseria e qualcosa di più: la mortificazione di un progetto, il fallimen- to di un sogno. Arriviamo a Kandy e la troviamo appoggiata in una conca verde circon- data da colline cosparse di piccole case come dentro un paesaggio prealpino. Capoluogo della Hill Country è a 500 metri di altitudine e fu la capitale dell’ul- timo regno cingalese caduto in mano agli inglesi nel 1815. Il centro gravita at- torno al lago, sulla cui sponda settentrionale sorge il Tempio del Sacro Dente, in cui è custodito un dente di Buddha. Secondo la leggenda fu strappato alle fiamme della pira funeraria nel 543a.C. e introdotto nell’isola mille anni dopo nascosto tra i capelli di una principessa. Il tempio che lo ospita risale al 1700 ed è una costruzione imponente bianca e rosa circondata da un fossato. All’in- gresso sonnecchiano diversi cani malati e macilenti come tutti quelli che ab- biamo incontrato finora e ai quali distribuiamo i panini del buffet. Il sacrario in cui è custodita la reliquia è meta di continui pellegrinaggi per migliorare il proprio karma ma anche per onorare un simbolo di sovrani- tà. Ci perdiamo la festa più importante di Kandy, durante la quale ogni quat- tro anni, tra luglio e agosto, il dente di Buddha viene portato in processione con una grande cerimonia. Vediamo le foto in uno sfavillio di luci, con l’urna d’oro a forma di dagoba che possiamo realmente osservare dall’ingresso. Raggiungiamo l’hotel risalendo una collina. La costruzione, lunga e ros- siccia, si affaccia sulla vallata con l’imponenza e la soggezione dell’albergo di “Shining” , ma confidiamo in un migliore esito della serata! Da lassù si gode un magnifico panorama sulle montagne circostanti, l’aria è fresca e piove leg- germente. Nessuno nuota nella piscina sottostante. Il mattino seguente il sole festeggia i velluti, i galloni d’oro, l’abito scin- tillante di una coppia di sposi d’alta casta ( così ci dice Mansour) che si fa fo- tografare sotto i porticati dell’albergo circondati da uno stuolo di damigelle in abiti altrettanto ricchi. Ci aspetta l’orto botanico, una lunga passeggiata in un parco enorme, perfettamente curato, che ci regala due ore di pace e bellezza. Ogni scorcio sem- bra un prodigio di ikebana : erba rasata in prima fila, aiuole fiorite e gallerie di rampicanti in secondo piano, palme, durian, banani, bambù, rose del Vene- zuela, alberi dalle fronde piangenti o dall’altissimo fusto contro un cielo az- zurro scarabocchiato dal volo dei pipistrelli sullo sfondo. La parte centrale di un vasto, concavo prato, posato lì come un vassoio,è occupata da un fico be- Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 43

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niamino che somiglia a una cattedrale. I rami sono sostenuti da pilastri di fer- Milena Buzzoni ro e l’ombrello crea un’architettura di fronde e di ombre. Entriamo nella serra delle orchidee dove sembra che mondo animale e vegetale si siano fusi per creare sintesi spettacolari: orchidee viola con petali reticolati come vasi sanguigni; arancione e nere con lingue tigrate; bianche e gialle con becchi ritorti. aThè Ceylon Prima di raggiungere Kandy, una sosta d’obbligo assolutamente turisti- ca, al museo delle pietre preziose. Zaffiri, ametiste e topazi non ci entusiasma- no, siamo più ansiosi di infilarci da un antiquario di cui Lorenzo ha un indi- rizzo a rovistare tra la polvere. Il negozio occupa una vecchia casa in un susseguirsi di stanze, corridoi e scale. Adocchiamo roba piccola, facilmente trasportabile. Non so rinunciare a un anello lavorato a mano con un grosso quarzo bianco ma non riesco a far scendere al di sotto dei 120 dollari il prezzo di un libro di ola, una specie di album lungo e stretto con la copertina superiore e quella inferiore di legno, con- tenenti al loro interno un centinaio di foglie di bambù scritte fittamente. Sem- bra che la scrittura indiana, fatta di volute e riccioli sia dovuta alla fragilità del- le foglie di palma su cui veniva effettuata, soggette a tagliarsi facilmente sot- to la sollecitazione di linee rette. Mi accontento delle due imitazioni più pic- cole ma ben fatte, comprate a due dollari tra le rovine di Polonnaruwa da un ragazzo che giurava fossero opera del nonno. Il pullman ci lascia a un vecchio ponte sul lago, dal quale raggiungiamo il corso della piccola città che non rinuncia al traffico e a un fitto via vai di gen- te. Sul marciapiede lustrascarpe, mendicanti, venditori di bandiere e di coltel- li, ma anche le vetrine di un moderno supermarket. Al mercato che troviamo a metà strada compro due borse di tessuto a quadretti che si chiudono a sac- chetto. Gli edifici che si affacciano sul corso hanno una certa eleganza di gu- sto inglese, qualche porticato, un obelisco sulla piazza. Non abbiamo molto tem- po e riprendiamo il pulmino attraversando il ponte sul quale ci aveva lascia- to e scattando qualche foto alla vecchia balaustra traforata e al lago. Risaliamo verso la zona collinare delle piantagioni di tè che ricoprono con i loro cespugli bassi e lucidi estensioni a perdita d’occhio. Spiccano tra il verde compatto gli abiti delle raccoglitrici, il sacco grigio buttato sulle spalle, le schie- ne piegate sui germogli. Corsi d’acqua e cascate spezzano l’uniformità del pae- saggio. Rallentiamo in prossimità di una di queste e una donna anziana e un bam- bino si avvicinano al pullman. Chiedono qualcosa da mangiare. Dal finestrino vedo spuntare le loro mani scure, si allungano, si aprono e si chiudono come quelle di chi sta per annegare. Sporgono oltre il cinturino di acciaio del submariner di Fe- derico, oltre la sua mano bianca e solida che porge brioches e pan carré sottrat- ti al buffet dell’albergo e destinati ai cani randagi. La donna li nasconde nel sa- hari e ringrazia con gli occhi lucidi. Noi, saziati dalla formula “pensione comple- ta” pranziamo senza appetito al Blufield annesso alla fabbrica di tè, un edificio celeste primi novecento dove seguiamo distratti le fasi di selezione della pianta. Arriviamo in serata a Nuwara Eliya, quota 2000. Il paese è povero e squal- lido. Tra il cemento spicca una chiesa cattolica rosa e bianca. Facciamo un giro Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 44

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in un supermercato con una bella porta Liberty, finita lì chissà come, dove com- priamo tè, riso rosso e lenticchie gialle. Il nostro albergo appena discosto dal centro è una vecchia residenza inglese, con i caminetti accesi, una sala da bi- liardo, tanti salottini arredati con mobili antichi. Fa piuttosto freddo e la cena Thè a Ceylon Thè a davanti alla vecchia cucina con una grande cappa di rame non ci riscalda ab- bastanza. Con sorpresa troviamo nel letto le borse dell’acqua calda! La mattina seguente il sole illumina questa bella residenza bianca e gri- gia e ci accompagna di nuovo attraverso immense piantagioni di tè e ancora cascate e fiumi. Ci fermiamo a pranzo sul Kalany , set de “Il ponte sul fiume

Milena Buzzoni Qwai”, come testimoniano foto e manifesti sparsi qua e là nelle varie sale. Il ristorante è in mezzo alla vegetazione, a ridosso dell’acqua, dove si apre qual- che piccola spiaggia. Mettiamo le gambe a bagno mentre passa un gommone carico di gente che va a fare rafting. Arriviamo a Colombo nel tardo pomeriggio. Non ci sono autostrade e i percorsi sono stretti e in precarie condizioni: ci mettiamo cinque ore per fare 150 chilometri! È un corso d’acqua ad accompagnarci nell’ingresso alla capi- tale. Passiamo davanti all’ambasciata cinese fronteggiata da un gigantesco Bud- dha e all’Indipendence Hall che porta la data del 4 febbraio 1948, un lungo pa- diglione con il tetto a spioventi e un leone di bronzo ad ogni angolo. Attraver- so i viali della zona residenziale dove brutte architetture spezzano l’immedia- ta sensazione di accoglienza, arriviamo sulla Galle road e da lì al nostro alber- go , una vera sciccheria affacciata sull’oceano dove hanno alloggiato da Lawren- ce Olivier a Richard Nixon. Nella hall del Galle Face Hotel antiche vetrine cu- stodiscono servizi di piatti e bicchieri di epoca coloniale, ceramiche e bronzi. Accanto all’albergo si stende il Galle Face Green, un enorme prato anch’es- so affacciato sul mare dove gli abitanti di Colombo trascorrono la serata e i gior- ni festivi. Nel tardo pomeriggio venditori di giocattoli luminosi, spade, yo yo, gi- randole, rischiarano l’ombra che s’infittisce, un gruppo di donne stende una to- vaglia e prepara un pic nic, i bambini mandano in aria gli aquiloni e corrono con gli occhi puntati al cielo. Mi stupisce sempre come la gente di buona parte del mon- do faccia in fondo le stesse cose: dalla grande città al villaggio, c’è un tempo per il lavoro, uno per il riposo, uno per lo svago. Dappertutto la vigilia di festa si esce dall’appartamento, dalla villa, dalla capanna o dalla tenda per incontrarsi. Que- sto replicarsi di gesti e intenzioni, questa comunione, fomenta un’indetermina- ta solidarietà: è bello stare tutti sulla stessa arca per sfuggire al diluvio. Il nostro mezzo preferito è, come al solito, il tuc tuc, sempre disponi- bile e più a contatto con la strada, ma lo prendiamo a una certa distanza dal- l’albergo dove s’incrociano e parcheggiano solo limousines e mercedes… Con un paio di dollari attraversiamo in quattro tutta la città che è ancora presidia- ta da guardie armate. La guerra tra singalesi, il 74% della popolazione di reli- gione buddhista, e la minoranza tamil di religione induista, che dal 1970 al 2000 ha fatto più di 60000 morti, si è ufficialmente conclusa con l’intervento delle forze di pace norvegesi, ma ogni tanto qualche attentato riaccende la miccia. Arriviamo a Pettah, il quartiere dei mercati, dove si trova un po’ di tut- to. Nonostante siamo abituati a quelli di Bangkok, di Phnom Penh e di Saigon, Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 45

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il cui disordine risulta in fondo accogliente qui caos, sudiciume e miseria si me- Milena Buzzoni scolano insinuando il disagio della non-appartenenza: marciapiedi sconnessi, fango, famiglie di mendicanti accucciati un po’ ovunque, l’abbandono dei vec- chi edifici coloniali, vinti dai crolli e dalla polvere, una rassegnazione latente che estirpa la speranza, non la converte in progetto e non ne accelera i ritmi. E i ritmi qui sono sempre lentissimi, assecondati, fra l’altro, da un fitto calen- aThè Ceylon dario di festività, ben 9 al mese, oltre le domeniche e i giorni di poya! Entriamo in una farmacia cercando creme all’aloe vera e rimedi ayurve- dici: in realtà è una piccola bottega con scaffali di legno dove si vendono me- dicine sfuse o a blister e dove si elargisce un bicchier d’acqua a chi ha urgen- za di prendersi una pastiglia. Qui ogni strada ha la sua specialità: sarong e sahari nella zona dei tes- suti, poi forbici, coltelli, temperini, materiale da cartoleria, abbigliamento per le spose, bijotteria, pentole d’alluminio. Offriamo banane e frittelle ripiene di verdura a una famiglia accovaccia- ta nel cortile antistante un vecchio edificio inglese. In un padiglione laterale con il tetto a spioventi sono esposti antichi macchinari, una schiacciasassi, una car- rozza, un vagone ferroviario, un’asta con insegne stradali a freccia, una serie di lampioni. Una donna si aggira per questa sorta di museo chiedendo l’elemo- sina mentre un topo morto giace sul pavimento senza che nessuno si preoc- cupi di rimuoverlo. Domandiamo se nell’edificio che al piano terreno ospita una sezione dei pompieri, ci sia un bagno. Un uomo si offre di accompagnarci. In fondo a un corridoio troviamo un bagno-sgabuzzino senz’acqua. Uscendo e pas- sando davanti a una vetrata intravediamo delle persone attorno a un tavolo. Il nostro accompagnatore ci fa segno di accomodarci, ma siamo perplessi, non vorremmo disturbare! Lui ride e insiste: entriamo nella stanza in penombra e ci accorgiamo che non si tratta di un vertice di notabili locali ma di un conci- liabolo di manichini con polverosi abiti anni trenta e capelli tarlati. Soddisfat- to della nostra sorpresa, ci mostra altre sale con vecchi arredi, uffici con pa- raventi in legno traforato e poltrone di pelle, finestre a sesto acuto che si apro- no a ghigliottina con persiane a scomparsa sotto davanzali ribaltabili. I mec- canismi inglesi funzionano ancora ma si inceppano, la vernice è scrostata, mol- ti vetri sono rotti. Nel frattempo alla nostra guida se ne sono aggiunte altre due che chiedono qualche dollaro. Usciamo al sole della piazza dove convergono le varie strade del mercato. Imbocchiamo la via dei gioiellieri dove scintillano le vetrine e dove lasciamo gli altri quattro compagni di viaggio alla ricerca di un ciondolo di quell’oro luminoso che vendono qui. Per tornare all’albergo riat- traversiamo Pettah, ancora qualche affollata stradina, ancora negozi. All’ora di pranzo ci stendiamo ai bordi della piscina posta all’estremi- tà del terrazzo prospiciente l’hotel. La spiaggia sabbiosa sotto di noi non è gran che, le onde sono lunghe e irregolari, nessuno fa il bagno. È caldo e non ci di- spiace questa sosta tra sole e acqua. Non proprio entusiasti del mercato mattutino, programmiamo il pome- riggio in cerca di due negozi raccomandati dalla nostra Lonely Planet. Al Ba- refoot allestito da un’italiana e ubicato in una vecchia villa, troviamo tessuti Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 46

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fatti a mano con splendide combinazioni di righe e quadri. Le tinte che ci ac- colgono all’interno sono vivaci: i gialli e gli arancione della luce, gli azzurri, i blu e i verdi dell’ombra. È impossibile resistere non tanto agli oggetti quanto alla malia dei colori; non ci sono sfumature nelle tonalità dei tessuti delle ru- Thè a Ceylon Thè a briche, dei quaderni, degli album, dei parei, dei vestiti, degli astucci, delle bor- se; è piuttosto l’accostamento diretto e sorprendente di tinte differenti, la loro violenta sequenza a imporsi e sopraffare gli occhi. Al Paradise Road troviamo oggetti simili di buon gusto e buona fattu- ra che però troveremmo anche in Europa. A differenza del Barefoot qui pre-

Milena Buzzoni valgono il bianco, il nero, l’écru e il marrone. Il negozio è ammirevole soprat- tutto perché è sistemato in un antico edificio con soffitti e scale di legno e stru- menti originali all’interno come un’enorme bilancia che pende dal soffitto con i due piatti carichi di tessuti. Usciamo costeggiando il Victoria Park, il più grande di Colombo con una fitta vegetazione di alberi purtroppo non ancora in fiore e passiamo davanti alla cupola del vecchio municipio della città, chiamato anche Casa Bianca per la somiglianza , in dimensioni ridotte, al gemello americano. Ci avviamo a piedi verso l’albergo con l’andatura lenta, un po’ dimessa, di una domenica e di una vacanza che stanno per finire. Ci pesa il distacco dal- le cose che abbiamo visto, quelle cose che ci rapiscono alle nostre quotidiane catene e che ci lasciano sempre con la stessa domanda nella testa: tornerò più qui? Ancora una volta? Ancora due? Mai più? In ogni caso è con le parole migliori, quelle di un suo scrittore e poeta, Michael Ondaatge che voglio congedarmi da Ceylon, ricordando appunto, le cose lasciate: Il come entrare in un tempio o in una foresta…. L’arte dei tamburi. L’arte di dipingere gli occhi. Come costruire una freccia. I gesti fra amanti. L’impronta dei denti di lei sulla pelle di lui disegnata a memoria da un monaco. I limiti del tradimento… Le nove mosse delle dita e degli occhi per comunicare emozioni… Le piccole barche della solitudine…

Una delle più forti curiosità in azione durante i viaggi, è rivolta alla let- teratura del paese che sto visitando. Cerco libri dappertutto, non solo nelle li- brerie ma anche nei supermercati, nelle cartolerie, dai giornalai quando ci sono. È un modo per comprendere, per appropriarsi del paese dal di dentro, per car- pirne l’anima. Così da Odel, uno dei più moderni centri commerciali di Colom- bo, chiedendo e infilando la testa tra gli scaffali recupero un libretto di poe- sia contemporanea “The color of my dream”, una piccola antologia di cento poe- Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 47

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ti locali emergenti selezionati tra i cinquecento pubblicati tra il gennaio e il lu- Milena Buzzoni glio 2007. La apre una suggestiva definizione di Robert Frost: “Poesia è quando un’emozione ha trovato il suo pensiero e il pensiero ha trovato le parole”.

Tra le parole ho trovato queste che mi hanno riportato in Italia: aThè Ceylon

PERFEZIONE

La torre di Pisa, si erge con una bellezza mozzafiato, raggiungendo il cielo. Ipnotica scultura, e pregiato marmo, adornano il capolavoro. Ma la spettacolare irregolarità, deruba la perfezione, perciò si piange. Affondando nel soffice suolo, inclinandosi per non stare mai eretta ti ricorda che ogni uomo, ha una debolezza che deruba la sua perfezione. Diteli Jayasekera Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 48

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Per la morte di Jean Ferrat, avvenuta il 13 marzo 2010, pubblichiamo, partecipando al dolore degli amici francesi, questo ricordo scritto per “Satu- ra” da Philippe Popiéla. Là in alto sullaLà montagna Philippe Popiéla

JEAN FERRAT

LÀ IN ALTO SULLA MONTAGNA (a Jean Ferrat)

di Philippe Popiéla

Eppure la montagna è bella come si può immaginare vedendo un volo di rondini che l’autunno è appena arrivato

È il refrain d’una delle più famose poesie di Jean Ferrat: La montagne. La grande canzone d’autore, poetica ed impegnata, ha da poco conosciu- to un lutto, in Francia. Il nostro cantautore dalla voce profonda, vellutata e dol- ce è morto. Centinaia di persone sono venute a rendergli un estremo omaggio al momento dei suoi funerali civili. Essi furono ripresi, per la prima volta, da una stazione televisiva pubblica. Philippe Popiéla Là in alto sulla montagna 49 – La montagne La , una canzone strazian- RICORDO DI JEAN FERRAT Nuit et brouillard. Nuit Notte e nebbia e Notte Nell’anno 1963, Jean Ferrat scrisse Nell’anno 1963, Jean Jean Ferrat era nato il 26 dicembre 1931 a Vaucresson (Hauts-de-Seine). 1931 a Vaucresson era nato il 26 dicembre Jean Ferrat In questa dolorosa circostanza tutti hanno canticchiato tutti hanno dolorosa circostanza In questa Erano venti e cento e migliaia piombati Nudi e magri e tremanti in vagoni unghie battenti Che laceravano la notte con le loro Erano migliaia o venti o cento soltanto Si credevano uomini ed erano numeri Da molto tempo i loro dadi Erano stati tratti un’ombra Come la mano cade non resta che Non dovevano mai più rivedere un’estate tempo La fuga monotona e senza fretta del Sopravvivere un giorno ancora, un’ora Ostinatamente Quanti giri di ruote, di soste e di partenze Che non finiscono di distillare la speranza o Samuel Si chiamavano Jean-Pierre, Natacha Visnu Alcuni pregavano Gesù o Jéhova o il cielo Altri non pregavano ma che importa Volevano semplicemente Non vivere più in ginocchio Non arrivavano tutti alla fine del viaggio Quelli che sono tornati Possono essere felici? Provano a dimenticare stupiti Che alla loro età le vene delle braccia Siano diventate così blu I tedeschi spiavano dall’alto delle torrette di guardia La luna taceva come tacevate voi Il suo vero nome era Jean Tenenbaum. Proveniva da una famiglia modesta; il era Jean Tenenbaum. Proveniva da Il suo vero nome gioielliere a Versail- dalla Russia, era stato artigiano padre, un ebreo emigrato il collegio Jules-Fer- di quattro figli. Nel 1941 frequentava les. Jean era l’ultimo fu arrestato per la sua ori- aveva 10 anni quando suo padre ry a Versailles ed campo di concentramento una retata e deportato in un gine ebraica durante fu salvato da militanti co- non sarebbe più ritornato. Jean d’Auschwitz da dove quali voterà infinita rico- durante l’occupazione e ai munisti che lo nascosero noscenza. con l’accompagnamento della voce del poeta della canzone francese – mani- della canzone voce del poeta della con l’accompagnamento un lutto profondo. con lacrime e pianti festando degli ebrei, facen- il dramma della Shoah, dello sterminio te che testimoniava Resnais do riferimento al terribile film d’Alain Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 49 Pagina 19:54 1 26-10-2010 nero:Layout 11-2010 Satura Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 50

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Guardando lontano guardando altrove La vostra carne era tenera Per i loro cani poliziotti.

Al presente mi si dice che queste parole Non hanno più corso Che è meglio cantare soltanto canzoni d’amore Che il sangue secca presto entrando nella storia Là in alto sullaLà montagna Che non serve a niente prendere una chitarra Ma chi ha la taglia da potermi fermare

L’ombra si è fatta umana oggi è l’estate Ballerei il twist con le parole se fosse necessario

Philippe Popiéla Perché un giorno i ragazzi sappiano chi eravate (…)

Questa canzone era stata sconsigliata ai media, vale a dire censurata nel 1963 perché avrebbe potuto “ostacolare il riavvicinamento economico tra la Fran- cia e la Germania”. Leggere il testo di Jean Ferrat era come leggere Se questo è un uomo di Primo Levi, era meditare, ripensare alla bassezza e alla crudel- tà degli uomini attraverso la dittatura e un’ideologia funesta. Certi animatori della televisione o della radio superarono la censura e fecero conoscere que- sto testo, vero e terribile, che era anche un omaggio al padre morto ad Auschwitz. Nel 1966, egli conobbe “ma montagne” installandosi nella sua casa di campagna di Bergnone, a tre chilometri dal paese d’Antraigues. Era il posto dove si riposava tra l’una e l’altra tournée e vi fece venire i suoi amici, Georges Bras- sens, Jacques Brel, Lino Ventura e Lèo Ferrè. Jean stava per lasciare la scena dopo un ultimo concerto nel 1973 perché egli rifiutava l’aspetto commercia- le del mestiere e soffriva già di problemi polmonari. In questo senso egli se- guì l’esempio del compositore di Plat-pays , Jacque Brel, di cui era amico. Nel 1964 aveva dedicato una bella canzone a un altro amico che gli era caro, imitandone lo stile e il ritmo

A Brassens

È un riflesso dei tuoi baffi O il tuo gridare “morte alle vacche” Che le seduce Le tue grosse mani maldestre Quando tu le metti sopra l’allacciatura È fatta Le donne di strada le donne di pena Le margotone e le germane Ricche di te Come nelle antiche storie Philippe Popiéla Là in alto sulla montagna 51 (Il consuntivo) era un inno ai ma- Una fotografia recente di RICORDO DI JEAN FERRAT maquis , mostrava una foto di Jean Ferrat in pri- , mostrava una foto di Jean Ferrat 1 come in Russia, Potemkine fesses 2 Ferrat 80 , quotidiano parigino, 14 marzo 1960. L’indomani della morte di Jean Ferrat, = confessione. Si è voluto conservare la rima, qui necessaria. confesse confesse Nel 1980 un album, Nel 1965 Jean Ferrat lancia un grido: “Potemkine: è mio fratello che si Nel 1965 Jean Ferrat lancia un grido: Aujourd’hui en France La vostra giovinezza era la storia di questo mondo Vi chiamavate Kostov Londra o Slanski Ah ci hanno fatto ingoiare rospi Da Praga a Budapest da Sofia a Mosca di tutto Gli stalinisti zelanti che facevano più folli Per farvi sottoscrivere le confessioni Voi avevate combattuto dappertutto La bestia immonda Dalle brigate di Spagna a quelle dei Pensando alla sua vita, alla noi pensiamo a un comunismo fraterno, aperto Che loro rimano con confesse Che loro rimano O peggio ancora le natiche sue Bardot può mostrare mostrare le tue Questa maniera di Non dispiace affatto ne vanno matte E poiché le donne siano pazze Non si può dire che Deo gratias (…) Diventano tra le tue dita Diventano sovrane Vergini e d’erba appena un filo Tra i denti La magia della parola E del verbo per decoro parli di Anche quando tu = natiche; Così su Fesses Fesses Mort de Jean Ferrat. Que ses chansons étaient belles. belles. étaient della can- questo giornale ha saputo rendere una testimonianza e un omaggio commovente al nostro poeta chansons ses Que Ferrat. Jean de zone. La prima pagina diceva: Mort mo piano attorniato da detriti, ammassi di ferraglie e di terriccio, in mezzo ai mo piano attorniato da detriti, ammassi era intitolata Lebagliori della guerra. La prima canzone bilan rinai il cui ammutinamento nel 1905 diede l’avvio alla rivoluzione russa. La can- rinai il cui ammutinamento nel 1905 l’ORTF, ed essa non piacque al Par- zone fu censurata alla televisione francese, in Russia. tito comunista di Mosca e fu proibita non prese la tessera del Partito comunista e, gente, lontano da ogni retorica. Egli al fronte della “gauche” di José Bové. alla fine della sua vita, s’era accostato 1 2 assassina”. Questa canzone, era stato vietato di metterla in onda ed aveva fat- assassina”. Questa canzone, era stato to “digrignare i denti in Francia” Jean ci diceva addio. Noi, gli occhi negli occhi, il cuore in pena a leggere questo sottotitolo: “Uno degli ultimi Jean ci diceva addio. Noi, gli occhi negli occhi, il cuore in pena a leggere questo sottotitolo: “Uno d’un poe- giganti della canzone francese è morto ieri a 79 anni. Artista impegnato, lascia 200 titoli e il ricordo ta innamorato della libertà”. Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 51 Pagina 19:54 1 26-10-2010 nero:Layout 11-2010 Satura Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 52

52 RICORDO DI JEAN FERRAT

In nome dell’ideale Che ci faceva combattere E che ci sprona a combattere ancora (…)

Qualche giorno dopo la scomparsa, il settimanale Paris-Match gli ha reso un omaggio solenne, mettendo in risalto la sua vita, le sue passioni, il suo impegno: “Nel corso delle generazioni, artisti e uomini politici – di sponde diver- Là in alto sullaLà montagna se – condivideranno la medesima passione per l’interprete di È poco dire che t’amo. Perché le canzoni di Ferrat, al di là delle mode e del tempo, hanno qual- cosa che vi trasporta e vi eleva. Qualcosa, anche, di profondamente francese nel senso migliore del termine (…)”. Quando Ferrat non calca più la scena, egli continua a cantare, polveriz- 3 Philippe Popiéla zando records di vendita ad ogni album. Ferrat chante Aragon supererà i due milioni di esemplari; La femme est l’avenir de l’homme cinquecentomila in un mese. E poi nel 1980 Le bilan giunge a un milione di esemplari. Ma Jean Ferrat non è soltanto poeta dell’impegno e del sociale. Nel 1961 aveva sposato Cristine Sèvres, una cantante con la quale vive- va in un appartamento a Ivry-sur-Seine. Egli compose una canzone che era un duetto e la cantarono insieme: La matinée. Fu per loro “un mattino che si levò, un sole che inondò l’azzurro”: Guarda l’usignolo è suonato mezzogiorno Il mondo che s’abbandona Io lo dono ai poeti Cambiare la vita e abolire poi la miseria (…)

Il mondo sarà bello Lo affermo e sottoscrivo

Il mondo sarà più bello se riusciremo a ricuperare il tempo delle cilie- ge, dell’amore:

L’amour est cerise (L’amore è ciliegia) Andare a ballare Ribelle e sottomessa Sarà per un’altra volta Le palpebre abbassate Per quanto ci sembri Togliti la camicetta Ragionevole e folle O bella fidanzata Noi andremo insieme L’amore è ciliegia Al di là di tutto E il tempo passa in fretta

3 Molte le poesie d’Aragon musicate da Jean Ferrat. Tra le più celebri: Aimer à perdre la raison (Amare fino a perdere la ragione / amare da non sapere che dire / da non avere che te per orizzonte / e non distinguere le stagioni / che per il dolore di partire / amare da perdere la ragione (…); e Les jeux d’Elsa: (I tuoi occhi sono così profondi / che se mi chino per bere io vedo / tutti i soli venirsi a specchiare / e gettarvisi a morire / tut- ti i disperati. / Sono così profondi i tuoi occhi / che in essi si smarrisce la memoria (…) Philippe Popiéla Là in alto sulla montagna 53 (I ciliegi) Les cerisiers cerisiers Les RICORDO DI JEAN FERRAT Abbandono il mio seme Abbandono rovente Nel tuo sesso lunare O Pierrot o meraviglie O monti Ecco che il mio pennino Cade dal sonno E come una lupa Ai piccoli freddolosi La notte ci ricopre blu Con il suo manto Ribelle e sottomessa Le palpebre assonnate Rimetti la camicetta O bella fidanzata L’amore è ciliegia E il tempo passato Andare a ballare L’abbiamo rimandato. Che abbia chiuso le mie valige E che m’abbiano spinto Sull’ultimo treno Ah che venga almeno il tempo delle ciliegie Ah che venga almeno il tempo delle Prima che suoni la mia ora E ancora oggi noi sentiamo la sua voce fraterna descrivere i fremiti delle E noi siamo certi che l’augurio di Ferrat a se stesso si è avverato. Ha detto Juliette Greco, una delle sue amiche, all’annuncio della morte: “Jean Ferrat ha servito quelli che amava: il popolo, la gente comune che non Più pensosamente sullo stesso tema dell’amore canterà Più pensosamente sullo stesso tema lontana Sovente ho pensato, la vecchiaia è Ma dolorosamente la vecchiaia viene A poco a poco, con delicatezza Per non turbare il vecchio musicista Se vengo ingannato dalla sua gentilezza E talora credo che sia ancora lontana Io vorrei soprattutto che prima m’appaia Ciò di cui sognavo quand’ero monello Prestami la tua bocca Prestami un poco Per amarti tua cuccia Aprimi la di Dio Per l’amor Lasciami senza timore Venire in ginocchio A gustare il tuo assenzio vino Bere il tuo dolce E risa e pianti O parole insensate La folle cantilena Si è presto scatenata Sfidiamo il mondo Ed i suoi divieti Il tuo piacere inonda La mia bocca estasiata Virtù o licenza Per Dio me ne sbatto nostre notti, il desiderio di racchiudere i giorni belli della vita al riparo dalle de- nostre notti, il desiderio di racchiudere i giorni belli della vita al riparo vastazioni del tempo e del male che ci perseguitano. ha altro che la speranza e il lavoro e che talvolta aveva perduto entrambi. Egli si ha altro che la speranza e il lavoro e che talvolta aveva perduto entrambi. era senti- è molto battuto per la felicità degli altri. Sentire la sua voce magnifica re la voce della gente vera”. Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 53 Pagina 19:54 1 26-10-2010 nero:Layout 11-2010 Satura Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 54

54 RICORDO DI JEAN FERRAT

Les beaux jours (I bei giorni) I bei giorni della nostra vita Sono a tua immagine Gli uni piangono gli altri ridono Ed è bene così (…)

Là in alto sullaLà montagna I bei giorni sono fatti così Si gira la pagina E il domani dopo l’oggi Trema nelle mie notti I nostri bei giorni mio tenero amore Mettiamoli in gabbia Philippe Popiéla Prima che un ultimo turbine Li devasti (4) (Traduzione dal francese di Guido Zavanone)

4 Consigliamo l’ascolto dell’insieme delle sue canzoni reinterpretate tra gli anni 1979-1980-1981 per le edizio- ni Disques TEMEY. Ascoltare queste canzoni, le canzoni indimenticabili di Jean Ferrat, è rituffarsi in seno alla grande poesia del cuore e dell’anima, al suono di una voce dolce che ci fa “amare fino a perdere la ragione”. Simonetta Ronco Costantino Nigra. Un piemontese alla Corte di Francia 55 COSTANTINO NIGRA amorose, che non al suo contributo politi- amorose, che non al suo contributo liaisons In questo anno 2010 che apre le celebrazioni per il centocinquantesimo che apre le celebrazioni per il In questo anno 2010 scritto e la sua fama Costantino Nigra, pochi hanno Di uno, in particolare, collaboratore insostituibile di Ca- Grande politico, abilissimo diplomatico, Nigra, in Piemonte, l’11 Nacque a Villa Castelnuovo, oggi Calstelnuovo di Simonetta Ronco di Simonetta COSTANTINO NIGRA NIGRA COSTANTINO Francia Corte di alla Un piemontese anniversario dell’Unità d’Italia, i motivi per ricordare i personaggi più o meno d’Italia, i motivi per ricordare anniversario dell’Unità Paese sono molti. alla causa unitaria del nostro noti che hanno contribuito televisive e cinematografiche della sua vita è legata forse più alle trasposizioni e alle sue vere o presunte uno dei maggiori protagonisti del nostro co e diplomatico, che tuttavia ne fa Risorgimento. dei principali animatori del mondo dora- millo Benso di Cavour, Nigra fu uno III, dove dominava la bellezza di Vir- to e scintillante della Parigi di Napoleone Ma la vita di Costantino Nigra è ancora ginia Verasis, contessa di Castiglione. qui ricordarne anche se brevemente i in parte da scoprire e pare interessante momenti essenziali. frequentò la Facoltà di Giurisprudenza di giugno 1828. Di famiglia borghese la Prima Guerra di Indipendenza, si ar- Torino e nel 1848, anno in cui scoppiò dei Bersaglieri Studenti. Significativa testi- ruolò volontario nella Compagnia vita al fronte è una lettera, inviata all’ami- monianza delle sue impressioni sulla “…Io non oso consigliarti, né sconsigliar- co Gaudenzio Caire l’11 luglio 1848: Questo solo ti dico: se tu sei pronto a mu- ti nella tua generosa deliberazione. della famiglia, la vista della patria, dei col- tare una vita agiata, le consolazioni con una vita dura, faticosissima, pie- li, delle mura che ti han veduto nascere, pronto a rinnegare tutto il tuo amore pro- na di stenti e di sacrifizi; se tu sei semplice soldato…; se tu sei pronto a pa- prio, a soffrir i duri trattamenti del for- tire la fame, la sete, il freddo, il caldo, la incomprensibile fatica di marce col sacco zate di venti o più miglia al giorno all’ardore cocentissimo del sole, scoperto e carabina; se tu sei pronto a dormire alla pioggia, al vento, al cielo e talora per mesi continui; se nulla t’importa l’andare stracciato, senza calze tutto que- senza camicia, il vederti coperto di pidocchi ed altra simile genia, se a i giovani. sto sei pronto per amore della patria, io ti dirò pure il generoso tra per Ma se per caso ti abbagliasse la poetica sorte del guerriero, che combatte colti l’indipendenza della terra nativa, e ti affascinasse il pensiero degli allori don- sanguinosi sul campo di battaglia, il pensiero dei baci che otterrai dalla Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 55 Pagina 19:54 1 26-10-2010 nero:Layout 11-2010 Satura Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 56

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na che ti ama, quando giungerà l’ora del ritorno; se ti allettasse la vista del bel- lissimo Lago di Garda, dell’altissimo Monte Baldo che ci sta a cavalcioni, se le brune torri di Mantova o le romantiche mura della Città di Giulietta ti lampeg- giassero, carissima vista, dinanzi allo sguardo; se ti dilettasse per avventura arrampicarti su per gli erti gioghi della Corona e di là, curvo sulla tua carabi- na, stendere al suolo un capitano croato, se imboscato ti piacesse piombare ve- locissimamente sopra un Ungaro dal rapido cavallo; se non ti dà spavento il vederti cadere disteso ai piedi di un carissimo fra gli amici; se ti inebria il gri- do dell’assalto, l’inno della vittoria; se ti è gradito suono all’orecchio il rombo del cannone, e poi dopo tutto ciò la tua fragile costituzione non reggesse alle fatiche, ai pericoli, agli stenti d’ogni maniera, io allora non vorrei che tu mi in- colpassi menomamente della tua deliberazione…”. Al suo ritorno dal fronte Nigra fu assunto come volontario al Ministero degli Esteri e, se pur scrupoloso e diligente, sarebbe forse rimasto un qualsia- si impiegato se non fosse stato indicato dal suo capufficio come segretario per l’allora Ministro degli Esteri, Massimo d’Azeglio. E in effetti d’Azeglio fu talmente soddisfatto del suo lavoro che lo ten- Costantino Nigra. Un piemontese alla Corte di Francia ne con sé. Fu l’inizio di una folgorante carriera. Anche Cavour, all’epoca mini- stro dell’Agricoltura e del Commercio, apprezzò subito le doti del giovane fun- zionario e ne fece il suo più stretto collaboratore in una attività, quella diplo- matica, che avrebbe portato in pochi anni a risultati straordinari, primo fra tut- ti l’unità d’Italia.

Simonetta Ronco L’avventura politica di Costantino Nigra iniziò effettivamente nell’autun- no del 1855 con il viaggio che egli compì insieme a Cavour (nel frattempo di- venuto Capo del Governo), e Vittorio Emanuele II, a Londra e a Parigi. Una delle doti più importanti di Nigra era l’intuito, la capacità di com- prendere completamente le idee di Cavour e di tradurle per iscritto. Nigra era un uomo piacente: alto, biondo, con uno sguardo profondo e penetrante e su- scitava simpatia negli uomini e ammirazione nelle donne. Divenne addirittu- ra il confidente dell’Imperatore Napoleone III, assecondandone l’ambizione di imparentarsi con illustri casate. Anche l’Imperatrice Eugenia fu conquistata dal suo fascino, ma la donna che dominò la vita sentimentale di Nigra, fu un’al- tra: una giovane italiana che in quegli anni brillava nei salotti parigini, Virgi- nia Oldoini Verasis, contessa di Castiglione. Quando conobbe Nigra, Virginia aveva diciannove anni, ma già aveva con- quistato Napoleone III sin dalla sua prima apparizione nel palazzo di Matilde Bonaparte, cugina dell’Imperatore. Cavour, consapevole dell’aiuto che la Contessa avrebbe procurato all’Ita- lia, sfruttò a suo favore l’influenza che la Castiglione aveva sull’Imperatore; ma anche Nigra era rimasto soggiogato dal fascino della giovane donna, alla qua- le scriveva: “Nicchia aurea, Venere dai triplici incanti, voglio vederti stasera, ve- stita come ti pare, meglio se nuda”. Costantino ebbe fortuna: probabilmente con la bella Contessa, ma sicu- ramente nel proprio lavoro, perché Cavour volle che restasse a Parigi come agen- te segreto per i rapporti diretti tra Napoleone III, il re Vittorio Emanuele, e lo Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 57

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stesso Cavour. Nella capitale Nigra rimase fino al 1876 con qualifiche diverse, Simonetta Ronco da incaricato d’affari e ministro plenipotenziario e quindi ambasciatore. Ma poco a poco, anno per anno, i suoi entusiasmi giovanili svanirono, anche a causa delle delusioni politiche e si rifugiò sempre di più nello studio e nella poesia, di cui era un appassionato cultore. Di questa attività poetica re-

stano documenti rilevanti, come I Canti popolari del Piemonte, considerati una Francia di Corte alla piemontese Un Nigra. Costantino delle opere più valide della filologia folkloristica dell’Ottocento. Nigra nel 1882 fu onorato del titolo di Conte e nel 1890 fu nominato se- natore, e quindi Cavaliere della S.S. Annunziata. Morì a Rapallo il 1 luglio del 1907. Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 58

58 UNA POESIA DI SERGIO ARNEODO

UNA POESIA

Soufle d’amo Soufle di Sergio Arneodo

SOUFLE D’AMO Sergio Arneodo Ço que se perd dins lou réire ourisount es qu’un brin d’àmo, que sài dins moun cièl: dins la luenchoùr s’esténh, aquél passèl, ma soulitudo ténh foro dal mound. Mounde mìou soulitàri, linde e blound, sìes dràio, que se méno moun troupèl de suèmi luénh, sìes scabòt d’anhèl founjà sus arp e adréch, tout souple e riound. Per méire e quiòt ménes pichòt e grant, sourtì de moun espèro, a rejouhìr ruhà e coumbàl, fatìgo de ma gent. De toun sourìre dous fas mai esclént moun soufflé luénh, tu lou fas reflourìr, dins la luenchoùr moun cièl se fai mai grand.

(provenço mountahnhardo d’Italio) Sergio Arneodo Soffio d’anima 59 UNA POESIA DI SERGIO ARNEODO SOFFIO D’ANIMA orizzonte Ciò che si perde nell’ultimo d’anima, che se n’esce nel mio cielo: non è che un filo si spegne quel virgulto, nella lontananza fuori dal mondo. tinge la mia solitudine Mondo mio solitario, limpido e biondo, il mio gregge sei sentiero, che si trascina dietro di sogni lontani, sei branco di agnelli e tondo. perso su dossi e pendii, tutto morbido e piccini, Su per baite e ripiani conduci grandi usciti dalla mia attesa, a ridar gioia a borgate e valli, fatica della mia gente. Col tuo sorriso dolce rendi più trasparente il mio soffio d’anima, lo fai rifiorire, rifà più grande. nella tua lontananza il mio cielo si Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 59 Pagina 19:54 1 26-10-2010 nero:Layout 11-2010 Satura Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 60

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PROSPEZIONI Letture di Rosa Elisa Giangoia, Liliana Porro Andriuoli, Simo- netta Ronco e Giuliana Rovetta

PER RICORDARE MARGHERITA tendoci così di inquadrare più efficacemen- FAUSTINI te quella artistica nel periodo storico in cui ella di Liliana Porro Andriuoli visse e nell’ambiente che più assiduamente fre- quentò. Per iniziativa della Fondazione Mario Nova- Seguono due capitoli dedicati all’attività in pro- ro, è recentemente apparsa una corposa e pre- sa della Faustini. Il primo, L’opera in prosa - gevole antologia della poetessa genovese Alla ricerca dell’essenzialità, è un puntuale sag- Margherita Faustini, dal titolo Margherita gio di Davide Puccini, il quale preliminarmen-

Per ricordare Margherita Faustini Faustini - Prose e versi, che ci permette di ri- te esamina, nell’ordine con cui sono apparsi percorrere la sua lunga attività letteraria, ini- nel tempo sui vari quotidiani, i diversi raccon- ziata nel lontano 1954, con il racconto Un lut- ti della nostra autrice che, seppure notevoli to in famiglia, pubblicato dapprima sul quo- per freschezza e immediatezza espressiva, tidiano «Il Lavoro nuovo» (21 gennaio 1954) non sono mai stati pubblicati in volume. Suc- e successivamente confluito nel volume Cie- cessivamente il critico passa ad occuparsi di lo d’ardesia (1975). Uno dei pregi di questa an- quelli di Cielo d’ardesia, il suo libro di raccon- tologia è senza dubbio quello di offrire una ti che, nel 2003, ha avuto una seconda edizio- panoramica ampia ed esauriente dell’opera di ne, ampliata di tre scritti ed arricchita da un Liliana Porro Andriuoli Margherita Faustini, sia in prosa che in ver- lucida ed esaustiva prefazione, Il silenzio lo- si. L’antologia non abbraccia, infatti, soltan- quace di Margherita Faustini, firmata da to la sua poesia, ma si estende anche alla sua Pino Boero. narrativa e, seppure parzialmente, alla sua at- Il capitolo successivo (Antologia di testi in pro- tività giornalistica. sa) consiste di un nutrito manipolo di raccon- Il volume, che consta di 356 pagine, si presen- ti della scrittrice genovese, che ci offre un as- ta in un’elegante veste tipografica, arricchita saggio consistente della sua prosa incisiva e da un’incisione della nota pittrice genovese, fermamente legata alla realtà della vita e al suo Stefania Beraldo, la quale aveva impreziosi- divenire, sovente irrazionale e imprevedibile, to con le sue opere molte altre copertine di ma non senza nel fondo una luce che lo ri- raccolte poetiche della Faustini. La casa edi- schiari. Il capitolo si suddivide in tre parti: Rac- trice è Le Mani di Recco, presso la quale han- conti dispersi (quelli non raccolti in volume), no visto la luce quasi tutti i precedenti libri da Cielo d’ardesia (quelli tratti dall’omonimo della nostra poetessa. (Per incidens all’edito- libro) e Scritti giornalistici e interventi, in cui re di Recco è legata tutta la più recente pro- oltre a un testo pubblicato sul “Corriere duzione di Elena Bono, compresa l’antologia, mercantile” nel 1971, figura un intervento (ine- Poesie Opera Omnia, del 2007). dito), pronunciato dalla Faustini in occasio- Ma veniamo all’antologia di Margherita Fau- ne di una tavola rotonda, tenutasi a Genova stini. Ad apertura di volume troviamo un’af- nel 2005. fettuosa lettera a lei rivolta da Maria Novaro, A questo punto si passa ai cinque capitoli de- presidente della Fondazione Mario Novaro, dicati alla poesia, il terzo dei quali, quello cen- nonché da anni sua cara amica, seguita da uno trale che costituisce l’Antologia poetica vera scritto a firma di Rosa Elisa Giangoia, Una vita e propria, è formato da una nutrita ed ocula- per la poesia: una circostanziata biografia che, ta scelta delle sue poesie, tratte da tutte le sue partendo dagli anni della sua formazione, sillogi, e rappresenta la parte più importan- giunge sino a quelli dell’età adulta, che l’han- te del libro, idonea a darci una visione vera- no vista tra i protagonisti del mondo cultu- mente compiuta della sua opera in versi. Ri- rale genovese. Quella della Giangoia non è una troviamo qui testi più o meno noti, ma tutti semplice biografia, in quanto non riferisce di forte resa espressiva e animati da una pro- semplicemente le principali tappe della vita fonda ansia di proiettarsi oltre il sensibile. della scrittrice, ma ne tratteggia molto effica- Tale capitolo è preceduto e seguito da due con- cemente anche la personalità umana, permet- tributi critici: i primi due sono rispettivamen- Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 61

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te di Francesco De Nicola (Una scrittura niti- A conclusione di libro troviamo una diffusa Rosa Elisa Giangoia Una seconda possibilità da e essenziale - Nota sulla poesia) e di Bru- e organica bibliografia ad opera di Maria Te- no Rombi (Per un’amica in poesia); mentre i resa Caprile, suddivisa in Scritti di e su Mar- secondi di Graziella Corsinovi (Poetica e gherita Faustini, che offre a chi voglia giovar- poesia dell’umano, tra storia e trascendenza) sene la possibilità di approfondirne l’opera e e di Roberto Pazzi (La poesia onesta). degnamente completa il volume. Esaminiamoli nell’ordine con cui figurano nel- Un’antologia, dunque, Margherita Faustini - l’Antologia. Nel primo, con profondo acume Prose e versi, che offre un’immagine molto e con puntuale serietà di metodo critico, De compiuta dell’autrice genovese, destinata Nicola ci offre un vasto quadro della produ- sia a farla meglio conoscere che a ricordarla zione in versi della nostra poetessa, a comin- anche negli anni a venire. ciare dalla sua prima raccolta di aforismi, Agenda personale (1973), sino a giungere al- Margherita Faustini - Prose e versi, Le Mani, l’ultima silloge da lei pubblicata, Opposte pre- Recco, Genova, pagg. 356, 18,00 €, 2010. ghiere (2008). Lo studioso evidenzia fra l’al- tro come la poesia della Faustini si ricolleghi UNA SECONDA POSSIBILITÀ strettamente alla sua iniziale opera in prosa di Rosa Elisa Giangoia (con la quale aveva appunto incominciato la sua attività letteraria) per un certo stampo nar- Undici decimi di Alessio Torino (Italic, Anco- rativo che la contraddistingue. na 2010) può essere considerato un Bildun- Il ricordo di Bruno Rombi (il secondo) ci aggior- gsroman postmoderno. Infatti ha molti dei ca- na sui motivi che l’avevano spinto nel 2003 a ratteri di un romanzo di formazione, ma è con- curare e a prefare un’antologia poetica bilin- dotto in uno stile non certo tradizionale, spo- gue, italo-rumena (Sul filo della parola/Pe fi- sta in avanti anagraficamente la presa di co- rul cuvântului) riguardante la Faustini: l’uni- scienza sulla vita e attraversa l’attuale diffu- ca antologia su di lei apparsa mentre Marghe- sa esperienza del giovanile disordine esisten- rita era ancora in vita. La traduzione in rume- ziale. Protagonista è Norman Marasco, che, ap- no è di Stefan Damian, professore di Italiani- punto ad un’età che potremmo definire dan- stica presso l’Università di Cluj Napoca, auto- tescamente nel mezzo del cammin, cioè a 35 re anche della postfazione all’ultima silloge di anni, uscito dall’ospedale, dove era stato ri- Margherita Faustini, Opposte preghiere. coverato per delirium tremens, cerca di rico- I due saggi che seguono sono nell’ordine: una struire la sua esistenza sulla base di quanto breve testimonianza di Roberto Pazzi, nella qua- può aver imparato dall’esperienza dell’abuso le l’autore esprime il suo appezzamento per l’in- di alcool e di psicofarmaci che l’ha portato ad tima moralità della lirica della Faustini, e un am- una condizione che poteva anche essere di non pio saggio di Graziella Corsinovi, dove è mes- ritorno. Lui, invece, è stato fortunato, ha una sa in luce la profonda umanità che promana dal- nuova possibilità di vita e sa di doversela gio- la sua poesia, nonché la molteplicità dei moti- care in una scelta, ormai decisiva e definiti- vi ispiratori che la reggono, con una particola- va, tra bene e male. Tutto questo avviene in re attenzione verso il trascendente. Autentici- un paese dal nome inventato, Pieve Lanterna, tà del sentire e amore per la vita sono per la Cor- tra Marche ed Umbria, in una situazione di sinovi elementi fondamentali della poesia fau- confine tra una provincia, per molti aspetti an- stiniana, sempre pervasa da un sentimento di cora all’antica, e realtà cittadine, come quel- viva simpatia verso il prossimo (in particolare le di Gubbio e di Urbino, dove il protagonista barboni ed emarginati) e dall’assidua, a volte piut- ha portato avanti i suoi studi liceali ed uni- tosto inquieta e tormentata, ricerca di Dio. versitari, fino alla laurea in Geologia. Lo stu- Caratteristica comune di tutti i contributi cri- dio delle rocce e dei fossili l’ha sempre appas- tici inseriti nell’antologia è quella di essere sta- sionato, fin dall’adolescenza, quando era en- ti scritti da studiosi che ben conoscono trato in contatto con ricercatori americani che l’opera della Faustini, avendo tutti in prece- operavano in quella zona dell’Appennino, poi denza firmato almeno una prefazione o una la sua vita era stata travolta dal disordine, fino postfazione ad una sua silloge ed essendosi al rischio estremo e al suo superamento. Ora occupati della sua produzione in svariate oc- che Norman capisce di avere una seconda oc- casioni. casione per giocarsi la sua esistenza, vuole vi- Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 62

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vere le sue esperienze senza farsi condizio- mento determinante per andare avanti verso nare dai comportamenti e dalla mentalità del un futuro. piccolo mondo di provincia in cui si ritrova inserito. Inizia una vita nuova, senza più la Alessio Torino, Undici decimi, Italic, Ancona macchina, abbandonato dalla fidanzata, per- 2010 so anche il lavoro: ricomincia girando a pie- di, in bicicletta o in corriera, come ai tempi del UNA DONNA NELL’OMBRA liceo, ma con uno spirito nuovo, un atteggia- di Rosa Elisa Giangoia mento diverso nei confronti di se stesso e de- gli altri. La sua attenzione è tutta sulle sue In questa biografia romanzata, Maria Rosa esperienze di vita, quelle del passato e quel- Acri, che già aveva dato ottima prova di sa- le del presente, le une che illuminano e dan- per ricostruire vicende di personaggi storica- no senso alle altre. Il suo impegno è teso al- mente non di primo piano con puntualità sto- l’analisi di se stesso, in un desiderio di appro- rica e penetrazione psicologica, cimentando- fondimento e di conoscenza, sostenuto da una si con Annie Vivanti (Annie. Il romanzo di An- morale personale, più autentica e rigorosa ri- nie Vivanti ultima musa di Giosuè Carducci,

Una donna nell’ombraRosa Elisa Giangoia Una spetto a quella della banalità quotidiana del- MEF, Firenze 2008), delinea la personalità e la vita di provincia. È questa una strada in sa- la vita di Nicoletta Connio, moglie di Carlo Gol- lita che Norman percorre con fatica, ma con doni. Quella di Nicoletta, di famiglia borghe- il miraggio sempre più chiaro di una ricostru- se genovese, andata sposa giovanissima al zione positiva di se stesso. La fatica di que- commediografo veneziano, è una vita nell’om- sta nuova esistenza trova correlazione ogget- bra, tanto che si può dire che la narrazione tiva nel nuovo lavoro che egli intraprende: ac- non racconti tanto la vita di questa donna, di cantonata l’esperienza di custode del Museo per sé priva di fatti significativi, ma piuttosto di Geologia che il Comune gli aveva affidato, quella del suo illustre marito, osservata attra- fa il muratore, con operai stranieri con cui con- verso i suoi occhi e partecipata con il suo cuo- divide esperienze e modi di vivere. È un lavo- re. Goldoni conosce Nicoletta nel 1736, a Ge- ro manuale, faticoso, ma vero, come vera deve nova, dove si è recato per la rappresentazio- essere ora la sua vita. Queste vicende avven- ne di una sua commedia: è una giovinetta se- gono nell’anno del terremoto di Assisi, che si ria e riservata, che ha modo di osservare dal- fa simbolo della precarietà dell’esistenza, ma la finestra occhieggiando sul balcone della casa anche della forza e della speranza insita nel- di fronte a quella in cui lui alloggia. Si sposa- la vita stessa di una sempre possibile ricostru- no nello stesso anno e si trasferiscono a Ve- zione, attraverso la fatica, ma grazie all’im- nezia, dove la giovane trova caratteri delle per- pegno, alla decisione, alla scelta di fare o non sone ed abitudini di vita molto diverse, rispet- fare certe cose. Ed ecco così chiarita la scel- to alla sua Genova, così chiusa ed austera. Ma ta del titolo emblematico Undici decimi, cioè Nicoletta ha un’indole duttile e soprattutto di- la possibilità di vedere di più, di vedere oltre spone di intelligenza e finezza d’intuizione, le cose, di penetrare in esse e di dare senso per cui ben si adatta al nuovo ambiente, di- alla vita, con volontà, fiducia e speranza. mostrando grande capacità di stare al fianco Il carattere postmoderno di questo romanzo del marito, che, pur amandola con affetto e è dato dallo stile, ben adatto ad esprimere l’iti- passione, non ha certo un carattere facile ed nerario di personale ricostruzione del perso- abitudini di vita sempre lodevoli. È impulsi- naggio, che si racconta attraverso una scrit- vo, ma soprattutto è dedito al gioco d’azzar- tura fortemente analogica, privilegiando le im- do, con cui sovente mette a rischio la situa- magini, rapide, sovente appena accennate, at- zione finanziaria della famiglia e si abbando- traverso un intrecciarsi di piani temporali di- na spesso e volentieri a scappatelle amorose, versi, in quanto l’aspetto diacronico, pur favorite anche dall’ambiente del teatro in cui nella pluralità di vicende che si verificano e si trova ad operare. Nicoletta accetta, soppor- di personaggi che popolano il romanzo, non ta, tollera, sempre sicura che gli alti e bassi è importante, perché tutto ha il suo centro della fortuna sono una costante della vita, ma d’interesse nella coscienza del protagonista, soprattutto fiduciosa che le sbandate senti- in cui quanto emerge e quanto viene vissuto mentali passano rapidamente e che l’amore è sempre ugualmente presente, perché al mo- del marito tornerà a prevalere nel suo cuore, Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 63

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pur sempre ansioso di novità. E così passano strampalati, si rivelano poi essere instancabili Rosa Elisa Giangoia Una presenta - si scrittrice gli anni, con il dispiacere per la lontananza dai ed inflessibili cercatori di assoluto. Sono di so- suoi famigliari, a Genova, ed il rincrescimen- lito anime fortemente chiuse in se stesse, che to per la mancanza di figli, i successi e gl’in- solo un fatto improvviso ed imprevisto, riesce successi teatrali, le invidie e le animosità dei a far dischiudere, scardinando blocchi e convin- colleghi, fino alla decisione imprevista del tra- zioni granitiche. Questa apertura, di solito sferimento a Parigi, dove le speranze di affer- estremamente dolorosa, diventa l’unica via mazione nell’ambiente sfarzoso della corte di possibile per attingere in qualche modo al mi- Versailles vengono ben presto offuscate dal- stero che domina la vita individuale e l’univer- le drammatiche vicende dovute allo scoppio so nel suo insieme. Raggiungere il senso di que- della Rivoluzione. Ma Nicoletta rimane sem- sto mistero vuol dire per i personaggi della O’ pre fedele e felice accanto al marito, anche nel- Connor, e per gli uomini in quanto tali, ricono- le difficoltà degli anni parigini, fino alla scere intuitivamente l’esistenza di un Dio capa- morte di lui e al suo breve sopravvivere. ce di salvare l’uomo, ponendo in qualche modo Tutte queste vicende sono narrate dall’au- rimedio alla sua incompetenza e fragilità. trice con garbo e in un continuum che stabi- Elena Buia Rutt, attraverso parole di Flannery lisce un attraente rapporto con il lettore, sem- O’ Connor, successivamente analizzate e com- pre invogliato e motivato a proseguire. mentate ci presenta questa Narratrice solitaria,

convinta di essere «chiamata ad avere una vi- drammaGiuliana Rovetta Il Caino di M.R. Acri, Nicoletta Goldoni Connio. Una sione “anagogica” della realtà capace di accor- moglie genovese, MEF, Firenze 2010 gersi che in un’immagine o in una situazione c’è una densità di mistero che richiede una “pro- UNA SCRITTRICE SI PRESENTA spettiva ampliata della scena umana”», come di Rosa Elisa Giangoia dice Antonio Spadaro s.j. nella Prefazione. L’au- trice del saggio si sofferma sulla religiosità del- Elena Buia Rutt indaga nell’universo lettera- la scrittrice, che rifugge la religiosità di manie- rio di Flannery O’ Connor in un modo origi- ra, per riferirsi ad una visione incentrata sul mi- nale ed efficace, quello cioè di far parlare la stero cristiano per eccellenza e cioè l’Incarna- scrittrice stessa della sua scrittura e della sua zione, il paradosso assoluto. concezione dell’opera narrativa, per presen- Il messaggio che emerge da queste pagine è che tare poi di conseguenza deduzioni persona- la O’ Connor ci insegna a lasciarci guidare dal li ed approfondimenti critici. mistero insito nella realtà: «non ci si può stu- Flannery O’ Connor, vissuta nel Sud degli Sta- pire di nulla», dice ancora Spadaro nella Prefa- ti Uniti dal ’25 al ’64, è senz’altro una delle voci zione, in quanto «I personaggi salvifici… spes- più originali ed autorevoli della letteratura ame- so sono malfattori e gli storpi possono espri- ricana del Novecento. Anche se la sua produ- mere una bellezza incommensurabile». Questo zione letteraria è piuttosto limitata (due roman- è quanto fa sì che la lettura dei testi narrativi zi, alcune raccolte di racconti e saggi, lettere e della scrittrice statunitense sia “obbligatoria”, testi di conferenze), anche in ragione della bre- perché il suo sguardo sulla realtà ha la capaci- vità della sua vita, ad imporla all’attenzione del tà di cambiare la vita del lettore, dandogli la pos- pubblico è stato fin dagli inizi il carattere par- sibilità di «ricostruire le gerarchie dei valori, ri- ticolare della sua narrativa che richiede al let- combinare i pezzi, rivedere i giudizi e i punti tore un coinvolgimento radicale e una presa di di vista» (A. Spadaro). posizione netta e precisa. La narrativa della O’ Connor non lascia spazio ai dubbi o alle incer- E. Buia Rutt, Flannery O’ Connor. Il mistero e la tezze, in quanto la sua scrittura, oltre che ca- scrittura, Ancora, Milano 2010, pp. 111, € 12.50 ratterizzata da uno stile chiaro, veloce, realisti- co ed espressivo, è una sfida che rilancia sem- IL DRAMMA DI CAINO pre il “prendere o lasciare”. di Giuliana Rovetta La caratteristica specifica della narrativa della O’ Connor è quella di dar vita a vicende per lo In un libro pubblicato poche settimane prima più grottesche e violente, animate da una fitta della scomparsa, Saramago propone una let- rete di simboli e rimandi. I personaggi, per lo più tura disturbante e provocatoria del Vecchio insoliti, inquietanti e perfino, si potrebbe dire, Testamento. La storia, presente e passata, è Satura 11-2010 nero:Layout 1 26-10-2010 19:54 Pagina 64

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sempre al centro dei suoi interessi: deve lo assiste alla cacciata dei genitori dal Paradiso scrittore dar conto della realtà o non piutto- terrestre, al gesto che coinvolge Isacco, alla co- sto della verità, spesso nascosta da fumi ideo- struzione della torre di Babele, fino a diventa- logici e obbediente a rigidi schemi mentali? re il protagonista assoluto e l’unico supersti- Se per Saramago la letteratura “buona” è quel- te nell’episodio dell’arca di Noè. Nel desacra- la che “scava nella storia”, è perché valoriz- lizzare la figura della divinità per attribuirle i za la tensione fra ciò che è accaduto e ciò che connotati umani dell’invidia e della crudeltà, avrebbe potuto essere e non è stato: in quel- Saramago mette in campo una difesa estrema lo scollamento s’insinua il dubbio, la critica dell’uomo che trasgredisce e sbaglia, senz’al- alle nostre certezze da cui può germogliare tra colpa che quella di mettere in atto il pro- Gioielli maschili in mostra la ricerca del vero. prio destino secondo un disegno già scritto. In questo pseudo romanzo intitolato Caino la storia a cui fa riferimento l’autore -e lo fa con José Saramago, Caino, Milano, Feltrinelli, la passione e con la verve che già abbiamo co- 2010, trad. di R. Desti. nosciuto nel discusso Vangelo secondo Gesù Cristo-, ci riporta indietro nel tempo, alle ori- GIOIELLI MASCHILI IN MOSTRA gini del genere umano. Seguiamo, alquanto di- di Simonetta Ronco Simonetta Ronco sorientati, il peregrinare del figlio primogeni- to di Adamo ed Eva dopo l’uccisione del fra- Nel nuovo museo di Arti Applicate e Decora- tello buono, l’insipido Abele. E già nel presen- tive di palazzo Zuckermann a Padova è espo- tare le cause scatenanti dell’efferato delitto, sta in permanenza una piccola collezione ve- cioè i cosiddetti moventi, avviene di cogliere ramente degna di una gita “fuori porta”. Si trat- nella narrazione la volontà di attenuare le re- ta del cosiddetto “Tesoro Trieste”, dal nome sponsabilità del fratello degenere: secondo una di Leone Trieste, stravagante nobiluomo di an- regola di equità, le sue sincere offerte al Dio tica famiglia ebraica veneta che visse a Pado- creatore avrebbero dovuto essere accolte va nella seconda metà del 1800. benevolmente quanto quelle di Abele, anche Sembra che Trieste fosse un appassionato del- se i prodotti offerti erano di poco pregio, solo l’eleganza più esclusiva: lo testimonia il fat- spighe e sementi, e non carni prelibate come to che per evitare di portare abiti confeziona- nel caso del fratello. Alla base del rifiuto c’è ti con tessuti uguali a quelli di altri, compras- dunque una ingiustizia. se ogni volta l’intera pezza. E lo testimonia- La tesi di Saramago è quella che l’indebita pre- no i quattrocento gioielli maschili che egli la- ferenza, col suo manifestarsi attraverso il sciò alla sua morte (avvenuta nel 1883) al Mu- fumo che non si disperde, ma sale diritto ver- seo Civico. so il cielo, configura una forma di correspon- Anelli di varia forma, spille da cravatta, bot- sabilità nell’atto malvagio proprio di quel Dio toni da polso, catene di orologio e sigilli. Te- solitamente buono: in questo caso la sua col- nuto per anni nei forzieri del Museo, il teso- pa, un primo fraintendimento nei confronti ro Trieste è stato portato alla luce una deci- dell’essere umano, è quella di aver privilegia- na di anni fa e esposto in modo permanente to senza ragione apparente uno dei due fra- presso il nuovo museo. telli provocando così la reazione sconsidera- Uno dei caratteri fondamentali della collezio- ta dell’altro. ne di gioielli è il significato simbolico che la A metà fra rilettura biblica e fiction, l’avven- contraddistingue per la frequente comparsa turosa corsa di Caino attraverso lo spazio e di immagini scaramantiche e religiose. Tra i il tempo a cavallo di un mulo in uno scena- tanti pezzi particolari, un pezzo di eccezio- rio di solitudine e desolazione assume uno spi- nale valore è un carillon d’argento dorato, rito donchisciottesco, fra improntitudine e lu- ascrivibile alla prima metà dell’Ottocento, im- cida ironia. preziosito da gemme e cammei, con una sce- Trovandosi là dove gli avvenimenti accadono, na circense di carattere popolaresco. testimone preveggente e inconsapevole, Caino Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:34 Pagina 65

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LUIGI GRANDE Grande Luigi di quadri nei umano-animale divenire Il Il divenire umano-animale nei quadri di Luigi Grande di Franco Lecca

L’immagine del cane randagio è l’apparizione di un essere “mutan- te” catturato nel suo divenire “umano”. In pittura, costruire il ritrat- to di un essere animale che ha rifiutato ogni legame di famigliarità domestica e si avventura in solitario fra le spaziature di ciò che oggi resta del mondo “naturale”, significa sovvertire il senso (antico) di una proiezione mentale: il cane, qualsiasi cane, non sarà più “l’ami- co fedele dell’uomo”, ma l’immagine di un cane “altro da sé”: un es- sere mutante. Costellata da un principio formale di espansione-dispersione moleco- lare, l’immagine di quest’ultimo continuerà ad apparirci come un in- sieme di tratti, volumi e posture chiaramente riconducibili alla silho-

Uomo che fa abbaiare il cane, olio su tela, 70x70, 1973 Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:34 Pagina 66

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emergere i contenuti psichici sedimen- tati nei “personaggi” che ritrae). Nella ricomposizione e nell’attualizzazio- ne dell’immagine del cane, lo stile pitto- rico di Grande si è amplificato: ormai li- bero dal tormento di una “descrittività panica”, si è per così dire placato nella materia stessa delle sue opere. Nelle opere dell’artista traspare un reali- smo figurativo che ormai è un tutt’uno con la visionarietà materica propria del suo sti- le. Non a caso, sia il cane che il paesaggio, vero sfondo nelle tele di Grande, paiono essere fatti della stessa sostanza, percor- sa da veloci striature magmatiche nella quale si alternano ampie campiture di co- lore pacificato: rimemorazioni in lontanan- ze sature di concreta naturalità? Ciò che

Il divenire umano-animale nei quadri di Luigi Grande è realmente visibile e percepibile è “l’au- ra” che avvolge il corpo del cane e si esten- de senza soluzione di continuità nel paesaggio. Nell’improvvisa composizione astratta delle forme e della loro materica profon- Cane, olio su faesite, 70x50, 1993 dità “risale” in purezza un impeto vita- le austero e ribelle, esultante, oramai ca- pace di manifestarsi in ogni molecola di uette dell’animale, ma anche (e più inten- colore, meravigliosamente contestualiz- samente) come corpo “fissato” secondo zato nello spazio “aperto” di un luogo na- un lento divenire umano. turale, che accoglie e trasfigura il “cane- Grande ha dipinto il divenire dell’imma- animale” nell’immagine di un essere gine animale nello stesso modo in cui “umano-animale”. Come si poteva evin- Van Gogh ha rappresentato il divenire cere, tutti i quadri di Grande hanno come “cosa umana” l’immagine delle sue scar- soggetto il cane e il tema della sua fuga, pe, ossia con la stessa propensione, in- orientano la percezione dello spettatore nata, nel trasformare il dato reale in al- verso un punto ove si compie la trasmu- tro da sé, ovviamente, seguendo il suo tazione animale nell’umano e viceversa. modo e stile e con l’intento di tradurre Iscritti sulle facce della stessa medaglia in forma visibile la misteriosa composi- pur nella consapevolezza delle loro ri- zione del mondo reale, per così dire “abi- spettive differenze figurali, messa in sce- tato” da infinite latenze di senso. na di un dramma: la condizione randa- Il cane è un corpo d’affezione privilegia- gia dell’uomo di oggi, la sua solitudine ta: un essere vivente sfinito, sul quale patita dall’incombenza di un futuro che transita mentalmente, la figura dell’uo- si annuncia sempre più ambiguo. Gran- mo- umano, recluso nell’egocentrica so- de, infatti, sottolinea questa precarietà litudine di un “io” esistenziale riplasma- propria dell’uomo contemporaneo e to in un “io” auto – referenziale (non a questo “randagismo dell’essere uma- caso, fin dai tempi più antichi, il compi- no”, ormai dilemma esistenziale, in sen- to di un pittore artista è quello di fare so prettamente metaforico e si serve, Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:34 Pagina 67

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però, di una linea che paradossalmente tamento del suo padrone, dalla parte di Grande Luigi di quadri nei umano-animale divenire Il non vuole essere descrittiva, ma schiet- un osservatore fuori-campo (il pittore- tamente allegorica, che modella le figu- spettatore) allargando il campo visivo del- re dell’animale facendole divenire al l’opera stessa e “rendendo l’idea” di un contempo uomo, cane e randagio. Una lungo istante di “posa” forzata come un linea che diventa materia pittorica sottil- ritratto fotografico di un bambino irre- mente stratificata e punto di fuga attra- quieto trattenuto “fermo” controvoglia. verso il quale il cane randagio diverrà te- Il quadro è quindi, palesemente, la cele- stimone di se stesso, “visione” del pro- brazione di un legame affettivo, rappre- prio corpo sublimato in altro da sé. sentato secondo il modulo schematico di “Mimì e Peyote”, quadro del 1996-’97, è un cliché solo in apparenza banale: “il focalizzato sul rapporto speciale che in- cane come amico fedele dell’uomo”. Se tercorre fra l’essere umano e quello non fosse per l’aria sottilmente ambigua dell’animale, sottolineato e reso abilmen- e spaesante che impregna l’insieme, po- te dal semplice gesto risoluto della tremmo definire il quadro non solo una mano di una donna che trattiene a sé il scena realistica, ma quasi iperrealista nel suo cane (gesto, questo, di protezione, rendere i legami e i sentimenti, pervasa ma al contempo anche di esortazione co- da una lirica trasparente e cristallina pur strittiva). Il cane, bloccato nella rigida po- nell’uso di colori decisi e scuri nella raf- stura di chi viene fermato contro volon- figurazione del corpo umano-animale. tà, si volta, forse sollecitato dal compor- Contestualizzando quest’opera nella “galleria” di Luigi Grande e accostando- la alle tele che sono state realizzate in se- guito, è palese che quell’immagine “uomo-cane” sia una sorta d’immagine “premonitrice” che segna l’avvio di una lunga seguenza di quadri raffiguranti cani, che attraverseranno desolate lan- ghe post- naturali. Immagine questa di “Mimì e il Peyote”, fulcro e punto di par- tenza, quindi, dell’indagine artistica di Grande essendo l’ultima raffigurazione “naturale” di un cane che sta per conge- darsi definitivamente dall’uomo, al qua- le rivolge uno sguardo carico di una so- lenne promessa: quella di un non ritor- no. L’artista da quest’atto finale trae “l’ini- zio” del suo percorso artistico, immagi- nandosi il momento post-addio, ove il cane con le sue gambe dinamiche, flut- tuanti, oniricamente sospese ma al con- tempo concretamente puntate sul verde, del suo nuovo Eden e del suo altrove si libra nell’esperienza del nomadismo randagio. L’“Uomo che fa abbaiare un cane” data- to 1973, comunica una sconcertante sensazione di compassione, ma al con- Cane cieco, olio su tela, 50x40, 1993 tempo si rivela ai nostri occhi di spetta- Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:34 Pagina 68

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Cane di giorno e di notte (particolare), olio su tela, 40x30, 2003

tori, come un’opera carica di pathos violento perché mette in scena una dolorosa impossibilità sia nel rapporto “duale” uomo-cane che in quello individuale di due essere distinti e diversi. Grande, con quest’ope- ra, vuole analizzare quell’incapacità nel comunicare, umana, ma an- che animale, con un altro da sé, sia che quest’ultimo sia un cane o un proprio simile o il proprio riflesso-coscienza. Inabilità, questa, che por- ta l’uomo a urlare “dentro di sé”, in maniera silenziosa, questa sua im- potenza e limite (come già detto sia umano che animale) così come in- duce il cane ad abbaiare sempre più forte per ”comunicare” un qual- cosa. In questo quadro le due facce della stessa medaglia, di cui si par- Ca Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:34 Pagina 69

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lava qualche rigo più sopra, sono dive- Nessuna, dato che fra i due non esiste un Grande Luigi di quadri nei umano-animale divenire Il nute una sovrapposizione, in cui il con- linguaggio verbale consapevolmente fine tra le due figure è raffigurato appo- condiviso. L’abbaiare del cane è sincro- sitamente così sottile e labile per render- no al silenzio dell’uomo? O vi è, in real- ne difficile la differenzazione. Di ritor- tà, l’assenza di entrambi? È forse una no da luoghi remoti, uomo e cane s’in- struggente volontà di parola il vero de- nestano uno nell’altro e la struttura siderio che gemella i due personaggi, che, della composizione ne esalta la recipro- qui, sono quasi “incollati”, sovrapposti, ca dipendenza e l’essere, in realtà, un uni- ma disgiunti, sullo stesso piano? La cum; non a caso il volto del cane è qua- mano dell’uomo che sostiene la mandi- si interamente sovrapposto al volto, vo- bola del cane, pronta a rinchiudersi sul- lutamente dilatato, dell’uomo e il cui lab- l’altra, riuscirà a guidare e disciplinare bro inferiore spunta tra le mandibole del- l’abbaiare del cane e a librarsi in un suo- l’animale, in un effetto di intenzionale e no umano? straniante traslazione morfologica: l’uo- Il cane non più randagio “ritorna” dall’uo- mo diverrà parlante attraverso la bocca mo (nei quadri “Ragazzo e cane” e del cane, o viceversa? Con quali parole? “L’uomo e il cane” entrambi datati 2010). Due immagini, queste, in cui lo stile pit- torico si è notevolmente semplificato nel segno, nel tratto e quindi nel modus ope- randi complessivo dell’artista. Vaste campiture di colore luminoso fanno da sfondo a due “coppie” esposte per così dire, “in una vetrina”. Le fisionomie sono rapidamente tratteggiate, incisive, quasi taglienti nell’aria gessosa che re- spirano. Potrebbero essere personaggi estrapolati dalla cronaca visiva di qual- che sfilata mondana. Una quieta indiffe- renza (o reciproca accettazione?) li rela- ziona anonimamente. Uomo e cane ap- paiono come svuotati di ogni energia; sono assorti, eleganti, opachi e finalmen- te neutri e disgiunti, come se si fossero riappropriati dei loro ruoli e diventati nuovamente “figure domestiche”, e in quanto tali si auto-rappresentano nell’im- magine scarna di una “normalità” delu- sa. Sono il nuovo segno della condizio- ne umana e animale, incollata su pare- ti-affresco di luoghi desolatamente vuo- ti. È in questa diffusa sensazione di pie- no-vuoto, desolatamente “signorile”, che passa in noi il senso di una riconciliazio- ne, tra uomo e cane: due “figure menta- li”. Ora, da un corpo all’altro, c’è solo la breve distanza che li separa (una catenel- la). Le figure in “Randagio” (2010) si fan- Cane (la morte intorno), olio su tela, 100x70, 2005 no spettralmente reali nella loro riduzio- Satura 11-2010colore:Layout126-10-201019:34Pagina70 70 Il divenire umano-animale nei quadri di Luigi Grande INTERVISTA Ragazzo ecane,oliosutela,80x60, 2010 Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:34 Pagina 71

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ne formale che comunica distacco tra i due esseri: umano e animale Grande Luigi di quadri nei umano-animale divenire Il e fornisce la percezione degli ampi spazi, vuoti e desolati: specchi del disagio di questo rapporto e delle nuove identità individuali delle due figure. È forse questo un annunciare l’inizio di un nuovo corso di im- magini?

Randagio, olio su tela, 80x60, 2010 Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:34 Pagina 72

72 INTERVISTA

NOTE DI FRANCO LECCA

Molte volte in gioventù, sulle colline di Chiavari o Lavagna, ho provato a dipingere insieme a Luigi Grande. I miei quadri, appena terminati, volavano, “gettati via fra gli ulivi”: erano troppo brutti! Avrei voluto essere anch’io un pittore come il mio amico, ma la mia naturale incapacità al disegno, unita a una sbrigativa insofferenza, mi ha rapidamente allontanato da quel proposito. Ho dunque scelto l’immagine fotografi- ca e successivamente, quella cinematografica con cui tutt’oggi lavoro in qualità di di- rettore della fotografia (in questo periodo nella serie tv “Montalbano”). Successivamente ho realizzato, per la Galerie Maeght di Parigi, films-documentari su artisti- pittori (Mirò, Tapies, Ubac, Adami, Reyberolle, etc.). Nonostante il mio non es- sere portato per il disegno, ancora nel tempo libero e attraverso il mio lavoro, ho con- tinuato ad amare la pittura in quanto trovo che le immagini rese in pittura siano mol- to più intense di quelle altret- tanto vere, se non di più es- sendo riprese, cinematografi- che. Digressioni a parte, sul- la resa della realtà da parte

Il divenire umano-animale nei quadri di Luigi Grande delle varie e diverse “arti” (fo- tografia, scultura, pittura, ci- nema), volevo solo precisare e ricordare con queste note che non sono un critico d’ar- te, ma tutt’altro. Ho voluto di- squisire sul tema ricorrente dei cani di Grande perché sono soggetto prediletto al- l’interno della sua indagine ar- tistica. Quanto ho scritto, so- pra, non è altro che il risulta- to, una sintesi e un rielabora- to delle conversazioni e rifles- sioni che ho avuto il piacere e l’onore di intrattenere nel corso degli anni con Grande. È un abbozzo del processo mentale che si trova dietro ogni opera, solo una traccia appena visibile di un percor- so artistico che andrebbe illu- strato e analizzato in manie- ra più rigorosa pur avendo creato un testo in cui sia l’in- tervistato che l’intervistatore sono scomparsi, per favorire un discorso il più possibile esaustivo, impersonale, ogget- tivo, ma non per questo meno preciso e puntuale. Cane cavia, olio su tela, 80x60, 2010 Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:34 Pagina 73

INTERVISTA 73

BIOGRAFIA di Luigi Grande Grande Luigi di quadri nei umano-animale divenire Il

Luigi Grande, è pittore, scultore, grafico. La sua prima personale risale al 1960, alla galleria “Il portico” di Santa Margherita Ligure; seguono poi le gallerie milanesi de “Il Giorno” nel 1964 e de “L’agrifoglio” nel 1970, con testo critico di Mario De Mi- cheli. Si aggiunge negli anni alle numerose personali la partecipazione a rassegne d’arte nazionali e internazionali (Francia, Germania, Gre- cia, Stati Uniti, Finlandia, Spagna). Sulla sua attività artistica figurano numerose pubblicazioni fra cui: “Pittura tra storia ed evento” di G. Berlingheli 1985 - “Quest’arte libri” 1987, ed. Riccitelli e “Sui ritratti di Luigi Grande” 1992 di Vico Faggi a cui seguono: “L’arte e il paesaggio” e “L’arte della figura” sempre di Vico Faggi - ”Moralità dell’ immagine” di Giorgo Seveso, al XXIII pre- mio Vasto di Arte e critica d’arte 1989-1990 e “Arte Italiana contem- poranea” ed. Fenice 2000, 1994 e più recentemente “Luigi Grande” di Gianfranco Bruno, ed. Erga, 1996 – “Repertorio degli incisori italiani” ed. Faenza, 1997 – “Arte contemporanea italiana 1946-1997” ed. Ago- stani, 1997-1998-1999 – “Luigi Grande” di G. Seveso- “Quaderni arti- stici” Galleria Armanti, Varese, 1999 – “Autoritratto d’artista” Galleria Ciovasso, Milano. Sue, inoltre, sono le copertine de “Le parole cadute”, poesie inedite di F. Mazzi (Bastogi Editore), di “Re- sine”, Quaderni liguri di cul- tura n.85 Sabatelli Editore, di “Satura” n. 4, 2008 con intervista di F. Ragazzi e “Luigi Grande” di G. F. Erga, 2006. Ha eseguito varie opere pubbliche tra cui: la scul- tura del partigiano in piazza Innocenzo IV a Lava- gna (1975), i Cippi a cavi di Lavagna (1998), il monu- mento all’emigrante a Fa- vale di Malvaro (1989), il busto di G. Casini al Parco Villa Rocca di Chiavari (1996), pittura murale a Ca- soli- Atri (1997). Altre sue opere figurano alla Galleria Civica d’Arte Moderna di Gallarate, al Museo Pinaco- teca di Vado Ligure, alla Collezione Grafica Comune di Bagnocavallo (Ra), al Ca- stello di S. Pietro in Cerro (Museum in motion). Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:34 Pagina 74

74 FUMETTO

THE MELODY AT NIGHT, WITH YOU: Sualzo, “L’improvvisatore”

di Manuela Capelli

Quanti anni ci vogliono per scrivere un fumetto? O per studiare il sax?

Sualzo, “L’improvvisatore” E per diventare famosi, avere la propria occasione di lasciare un se- gno nel mondo? Ma soprattutto: è importante davvero? La storia di Elia Sabaz, “l’improvvisatore” del titolo, corre su binari paralleli con quel- la del suo autore, Sualzo, Antonio Vincenti all’anagrafe. Naturalmen- te perché si tratta di una sorta di autobiografia. Elia fa il maestro di scuola, è un trentenne scapolo e insoddisfatto, alla disperata ricerca

Manuela Capelli di 10 minuti di gloria in compagnia del suo amato sax. Capitolo dopo capitolo, perché qui il romanzo viene fuori anche nella forma, Elia si fa seguire con passione nel suo viaggio alla scoperta di qualcosa di più rilevante. Complici un tratto pulito e una scrittura poetica, perché in fondo è questo che Sualzo fa: non solo disegna, ma scrive bene. Come tutti i veri lettori. E che lui lo sia è chiaro: per le citazioni che antepo- ne a ogni capitolo, per la resa strutturale dei personaggi, per l’accu- rata scelta delle parole. Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:34 Pagina 75

FUMETTO 75 Manuela Capelli Sualzo, “L’improvvisatore” Sualzo,

È molto francese questa graphic novel, fazione, o come il Prix Meilleur scenario che oltretutto come spesso succede in nel 2009, il premio per la miglior sceneg- questo campo è stata pubblicata prima giatura del Festi’BD di Moulins e la can- in Francia e poi in Italia: nel tratto, in una didatura per il premio Micheluzzi come certa caratterizzazione dei volti, nelle at- miglior fumetto al Comicon di Napoli mosfere. È anche estremamente cinema- 2010. tografica questa graphic novel: nella È, infine, favolosamente romantica, que- resa dei colori innanzitutto, ma anche sta graphic novel. Non solo perché Sual- nella storia, che potrebbe inserirsi nel fi- zo fa del sogno il vero protagonista (bi- lone calcato da Sliding doors e The fami- lanciandolo sapientemente con una pia- ly man. Solo che il gioco qui non è più cevole ironia), ma perché utilizza le cosa-sarebbe-successo-se… con cui sud- poesie della moglie, Silvia Vecchini, per detta filmografia ha già iniziato da anni corredare il suo testo. Del resto per lui ad auto-citarsi. Qui alla domanda si ri- solo la famiglia è importante quanto il sponde con i fatti invece che con vacue jazz: come Keith Jarrett, rinato a nuova supposizioni che lasciano sempre, in fon- vita dedica alla moglie “My melody at do e comunque, un po’ di amaro in boc- night, with you”, si può dire che anche ca. E la risposta è un sospiro di sollievo. per la nascita del Sualzo fumettista si La gloria non è tutto e la vita, se sai im- deve ringraziare una donna. Almeno sul- provvisare, può riservare magnifiche la carta: ed è proprio sulle note di Jarrett sorprese. Come un’e-mail di – il mae- che, nell’Improvvisatore, Elia e Giuditta stro cui hai lasciato il tuo primo roman- – Silvia Vecchini in panni di inchiostro - zo da leggere - da utilizzare come pre- si fondono artisticamente. Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:34 Pagina 76

76 FUMETTO

Partiamo dagli esordi. Com’è nato il gna aggiungervi il fumetto? O la vita in Sualzo fumettista? generale? Il fumetto è una passione che mi accom- Ecco, tanto per non prendersi troppo sul pagna da una vita, ma mi sono deciso ab- serio, mi sentirei di contestare la defini- bastanza tardi a provarci seriamente. A zione dello Zanichelli... non è affatto vero parte una breve parentesi nei primi che in musica (ma credo anche nelle altre anni 90 con un gruppo legato alla sati- arti) si possa improvvisare senza studio o ra (sono stato uno dei componenti del preparazione. Anzi, l’improvvisazione ti manipolo di giovani scapestrati allevati obbliga a studiare moltissimo perchè tu

Sualzo, “L’improvvisatore” dal grande e rimpianto Angese), direi che possa essere in grado di scegliere le note il Sualzo fumettista nasce nel 2000, da usare e quando, senza invece essere ob- proprio in coincidenza al mio trasferi- bligato dai tuoi limiti a ripetere sempre le mento al lago Trasimeno, che del Sual- stesse cose. Pensandola così, credo proprio zo inteso come animale è l’habitat natu- che si possa estendere questa visione al fu- rale (“Sualzo” nel nostro dialetto lacustre metto e alla vita in generale. Manuela Capelli indica l’uccello acquatico “Svasso”). Una delle cose che mi sono piaciute di più Quali sono le principali influenze nel tuo del tuo romanzo è che si tratta – nono- lavoro? In campo letterario e cinemato- stante i tentativi iniziali di Elia - di un grafico, per esempio. Le citazioni nel li- “elogio della normalità”: una vita sempli- bro ti direbbero lettore onnivoro: da Goe- ce, che proprio per questo sottolinea the a Pessoa a Bloch (Arthur, l’autore sta- come tutte possano essere ricche. Il tunitense famoso per la Legge di Mur- tuo protagonista è un eroe del quotidia- phy). Mentre al cinema, ne “L’improvvi- no. È sufficiente saper improvvisare? satore” danno Annie, di Woody Allen… Come dicevo prima, ci vuole una gran- Sì, credo di essere un lettore onnivoro de preparazione per improvvisare, poi è con una speciale predilezione per la me- logico che nel libro c’è il gioco di paro- scolanza tra alto e basso, cosa che cer- le tra questa accezione e quella, più con- co sempre di riprodurre anche nelle cose divisa, di “improvvisare” come quasi che scrivo. Dal punto di vista fumettisti- brancolare tra cose sconosciute nella spe- co sono stato folgorato da tutta la “nou- ranza di venirne a capo. Il mio “eroe del velle vague” francese affacciatasi nel de- quotidiano” come lo chiami tu si rende cennio scorso, Dupuy e Berberian in te- conto che sta oscillando tra questi due sta; sia dal punto di vista grafico sia per aspetti, e si rende conto che crescere un l’approccio alla storia. Profondo e lieve po’, impegnarsi di più, non vuol dire ri- allo stesso tempo, intenso ma capace, nunciare all’improvvisazione come modo quando serve, di non prendersi troppo di essere ma, al contrario, significa por- sul serio. Alto e basso insomma, come tarla ad un livello superiore e sicuramen- piace a me. Le influenze sono comunque te più soddisfacente. moltissime e continue, dalla letteratura, Passiamo alla tecnica. Scrivi nel tuo dal cinema, dalla musica, dalla poesia, blog: “non so fare le scene notturne. O tutto entra nel mio modo di raccontare meglio, non riesco mi sembrano sempre le storie. o troppo buie o troppo luminose” ma ne Per il dizionario Zanichelli “improvvisa- “L’improvvisatore” ce ne sono moltissi- re” significa “tenere un discorso, compor- me, che per altro sono state commenta- re versi, musica per immediata ispirazio- te da un lettore francese come un’ottima ne, senza studio o preparazione”. Que- traduzione dell’ambiente. Erano una sta definizione unisce oratoria, poesia e sorta di tua esercitazione? musica. Dando per assunto che siano arti Quella frase era riferita alla mia attività in cui ci si deve saper destreggiare. Biso- parallela di illustratore acquarellista. Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:34 Pagina 77

FUMETTO 77 Manuela Capelli Sualzo, “L’improvvisatore” Sualzo,

Quel mezzo è una costante camminata sul filo, una sfida continua che non ammette errori o ripensamenti. Se non temessi di ripetermi fino alla nausea direi che è la cosa più simile all’improvvisazione così come l’ho descritta sopra. Invece per “L’improvvisatore” ho utilizzato una tecnica di colorazione digitale. Per una serie di motivi che vanno dal- la velocità (era il mio primo libro e la paura di “rimanerci sotto” era alta) alla possibilità di essere aiutato da collaboratori, che si ricondu- ce immediatamente al primo motivo. Detto questo è vero che il mio assurdo carattere mi porta a misurar- mi quasi esclusivamente con le cose che io ritengo di non sapere fare Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:34 Pagina 78

78 FUMETTO

o di non sapere fare bene. Se c’è un buono psicanalista si faccia avanti, grazie. Fra le altre cose, realizzi illustrazio- ni, per le quali – leggo sempre nel tuo blog – hai or-

Sualzo, “L’improvvisatore” mai acquisito una sorta di tecnica, che nel fumetto in- vece non hai ancora ottenuto: in cosa con- siste e perché ti è Manuela Capelli più difficile per il fumetto? Per il motivo appe- na detto. Credo che il fumetto non mi sia così congeniale come l’illustrazione e quindi ci sbat- to contro continuamente, come la mosca di Pazienza sulla lampadina. Sento di aver ap- pena cominciato il discorso e la tecnica è in continua mutazione. Mi lascio suggestionare da molte cose e piango lacrime amarissime su quello fatto appena ieri. Trovo so- luzioni definitive che durano lo spa- zio di un mattino. Ricomincio da capo (le prime sei tavole dell’Improvvisatore sono state disegnate 5 volte con tecniche sem- cio a “sentire le voci”. I personaggi mi si pre- pre differenti), mi pento, strepito. Mi diver- sentano solo attraverso la loro voce, e io to molto. cerco di lasciarli parlate tra di loro. Solo I dialoghi sono perfettamente calibrati, dopo un po’ comincio ad appuntare i dia- non diluiti in periodi monotoni, non con- loghi, ma solo quelli. Per molto tempo le cisi in frasi spezzate. La scelta delle pa- mie storie sono solo personaggi che si par- role è fondamentale sempre. Immagino lano, la drammaturgia, se c’è, scaturisce tut- che lo sia a maggior ragione per un ap- ta fuori dalle loro parole e dai loro silen- passionato di poesia. A che punto arri- zi. Nella prima fase anche quando c’è una vano i dialoghi nel tuo percorso di lavo- scena in cui qualche personaggio non razione e come lo influenzano? parla, non scrivo nulla di quello che fa, scri- La poesia è un punto di riferimento impor- vo solo che sta zitto. tante nella mia scrittura. Forma e sostan- Elia dice “la poesia mi attira per la mu- za al massimo livello (la poesia, non la mia sica che porta con sé” e fra le citazioni scrittura). Quando scrivo, i dialoghi arriva- che aprono i capitoli del libro c’è un’al- no prima di tutto il resto. Ho già detto al- ta percentuale di poeti. È evidente che per trove che la storia comincia quando comin- te il rapporto è molto forte. Anche il fu- Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:34 Pagina 79

FUMETTO 79

metto può essere poetico. Ma musicale? Tecnicamente, intendo, non Manuela Capelli potendosi far sentire. Nella mia storia la poesia è venuta proprio in soccorso di questa man- canza di audio del fumetto. Attraverso la cosa più simile alla musica che si possa leggere su carta, ho cercato di evocare il ritmo e le armo- nie che mi era impossibile riprodurre con la matita. Poi è chiaro che Sualzo, “L’improvvisatore” Sualzo, il lettore mi debba dare una mano mettendoci del suo. Il tuo tratto è pulito, senza sbavature, con un’ottima resa scenografi- ca. Ti consideri un esponente della ligne claire? Ho amato molto la ligne claire, la sua evoluzione e, perché no, nega- zione che ha avuto negli autori francesi che ricordavo prima. Il fumetto e i nuovi media: quale futuro ha, secondo te, questo futu- ro? E sempre per rimanere in tema, il linguaggio del fumetto come deve – se deve - cambiare? Credo che il fumetto possa e debba affacciarsi e “abitare” altri media, compresi quelli di ultima generazione (io sono un gran frequentato- re di blog fumettistici, per esempio), in quanto parte della nostra vita culturale, ma che rimanga profondamente legato al suo supporto na- turale. Questo almeno per me. Il linguaggio del fumetto sta cambian- do di continuo, senza cancellare ciò che c’era prima semplicemente fa convivere (come il jazz del resto) nuovi e vecchi approcci senza trop- pi conflitti, a parer mio. Autobiografia: la storia di Elia è la tua storia. Quanto è facile raccon- tare se stessi? Raccontare se stessi ha la facilità di raccontare una cosa che si cono- sce molto bene e al tempo stesso la difficoltà di accettare di passare sotto la lente tutte le cose che non ti piacciono di te stesso. Io devo dire che ho risolto concedendomi dei piccoli “tradimenti” alla storia dove lo ritenevo utile al libro. Come dico sempre: le parti più impro- babili sono reali, le altre me le sono dovute inventare. A cosa stai lavorando adesso? Puoi darci qualche indizio? Magari una citazione di apertura... In questo momento è troppo presto per poter dire qualcosa. Ma sto la- vorando a una storia che parte da questa citazione di Giorgio Caproni:

“Apriva una campana la mattina, ma era già tardi, tardi. E io ero alla guerra senza ripararmi”.

Fra un anno mi spiegherò meglio. Un’ultima domanda: nella postfazione al tuo libro dici che anche la tua trama ha cambiato rotta. L’improvvisazione è anche il segreto di una buona storia? Senza dubbio. Come potrei vantarmi di “contenere moltitudini” se non le lasciassi prendere il sopravvento proprio quando scrivo? Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:34 Pagina 80

80 CULTURA E DINTORNI

CULTURA E DINTORNI Siamo senza finanziamenti? I soldi sono finiti!

di Fiorangela Di Matteo

Siamo in crisi e soldi non ce ne sono più. Per que- sto motivo è stata pensata una politica nuova: la po- litica dei tagli. È una politica economica in voga da molto tempo in Italia: ogni anno un taglio un po’ più profondo. Sono stati programmati tagli a tutto: dal- la spesa pubblica, all’assistenza, alla sanità, all’istru- zione, alla difesa, all’agricoltura, alla cultura. I tagli sono indiscriminati ed indiscriminanti e pro- cedono con determinazione eccetto che per i “meccanismi premianti”, cioè i progetti. L’attività ordinaria ha perso di interesse a favore del proget- to. Così si ottengono due risultati sicuri: l’invecchia- mento dei lavoratori e la perdita di identità cultu- rale del lavoro; in ambito culturale si assiste allo svilimento della cultura stessa. Siamo senzaFiorangela Di Matteo Siamo finanziamenti? I soldi sono finiti! L’Italia è da sempre definita quale Paese dove esi- ste la maggior parte del patrimonio storico artisti- co rispetto agli altri Stati, dall’estero ci vedono come un Faro del Bello. I report economici, in genere, af- fermano che investire in cultura significa ribadire il ruolo di leader che si traduce in “valorizzare il brand Italia”. L’Istat nel 2009 ha dichiarato che un euro investito in cultura permette un ritorno di 7 euro: il guadagno è di 1 a 6. Allora da cosa nasce la determinazione di definan- ziare anche i progetti già definiti strategici? Mini- mizzare i fondi per le Regioni per perseguire indi- rizzi particolari a danno degli investimenti tradi- zionali getterà il comparto nel totale abbandono? Il rischio esiste veramente. La storia, però, ci insegna che è la crisi che alimen- ta la creatività. È doveroso citare Oliviero Toscani: “La creatività è rischio”. Ed in periodi di crisi il ri- schio risulta l’unica via d’uscita. È l’ora che il Genio Italico risorga dal suo torpore, basta poco: è sufficiente fermarsi e pensare. La di- retta conseguenza sarà quella di veder avanzare il nuovo. L’attesa che a qualcuno venga il pensiero “giusto” potrebbe essere snervante: bisogna muoversi, Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:34 Pagina 81

CULTURA E DINTORNI 81

promuoversi ed inventare finiti! sono I soldi finanziamenti? Fiorangela Di Matteo Siamo senza metodi accattivanti anche per la cultura e l’arte. Bisogna trovare soluzioni nuove. L’apporto finanzia- rio dello sponsor, per esem- pio, così come è stato fino ad oggi si è esaurito: lo sponsor unico sopporta in- vestimento e rischio troppo alti. Meglio trovare tre / quattro finanziatori più mo- desti. Ci si costringe ad un lavoro più lungo ed arduo ma i risultati saranno più duraturi e solidi. Finalmente si penserà alla qualità offerta e percepita. Non è più il tempo di “fac- ciamo una mostra con...”; in epoca di crisi si sceglie, e la qualità premia. Basta opere trasportate qua o là: valorizziamo le collezio- ni permanenti! Sono, quin- di, indispensabili nuovi al- lestimenti, nuovi percorsi espositivi per stimolare i visitatori indigeni e quelli delle città vicine. Per realizzare ciò il patri- monio l’abbiamo nei depo- siti, nelle chiese, nelle piaz- ze; in Italia non subiamo la moda, la possiamo fare noi! E per realizzare questo ci sono le nuove generazio- ni: le scuole di arte sforna- no giovani spesso molto in gamba soffocati dallo sta- to delle cose. Il fatto di ave- re meno soldi da spende- re diventa così la condizio- ne indispensabile per una certa e solida ripresa e porterà i gestori a lavora- re ponendo un occhio par- ticolare alla qualità dei servizi resi. Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:34 Pagina 82

82 TEATRO

APPUNTAMENTO A TEATRO

di Silvana Zanovello

Cinque appuntamenti per smentire un pregiudizio: che a teatro la ri- cerca non sappia riscattarsi dal suo peccato originale, che continui a Appuntamento a teatro muoversi tra coordinate impraticabili per un pubblico di non addetti ai lavori. Li propone lo Stabile di Genova in un minifestival che, da no- vembre sul palcoscenico del Duse, trasforma in spettacoli a tutti gli effetti alcune mise en espace realizzate nelle scorse edizioni della ras- segna di drammaturgia contemporanea proposta gratuitamente all’as- saggio del pubblico in primavera, nell’anfiteatro della Piccola Corte.

Silvana Zanovello Si comincia con “Controtempo” di Christian Simenon, dal 9 al 16 no- vembre, ovvero una partita combattuta inconsapevolmente contro il destino da una giovane musicista newyorkese che, nell’assolata mat- tina dell’11 settembre 2001, si alza convinta che non ci sia niente di più importante del suo imminente colloquio di lavoro. Non può usci- re di casa però, perché ha perso le chiavi. Ha una sola speranza: rin- tracciare il fidanzato, che lavora in una delle Twin Towers e convin- cerlo a lasciare l’ufficio per aiutarla. Il metronomo della suspence bat- te all’unisono con la sua ricerca, l’ansia di superare i mille piccoli osta- coli che sembrano osteggiare soltanto per la sua salvezza professio- nale. Seguirà, dal 18 al 25 “Il ragazzo dell’ultimo banco” di Juan Ma- yorga, nel quale un giovane liceale, Claudio, filtra attraverso compor- tamenti e componimenti la realtà della nuova Spagna, specchio della nuova Europa e della sua piccola borghese assediata da una crisi eco-

Controtempo, Christian Simenon, da sx G. Gallinari, F. Careddu, B. Moselli, O. Notari, G. Amato foto P. Lanna Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:34 Pagina 83

TEATRO 83 Silvana Zanovello Appuntamento a teatro Appuntamento

Il ragazzo dell’ultimo banco A. Arcuri C. DessìV. Saccinto R. Alinghieri foto P. Lanna

nomica e morale. Parte da una prospet- tiva più retrodatata, la Berlino degli anni Trenta, ma avvia una decodificazio- ne ugualmente intensa del Terzo Millen- nio “Un posto luminoso chiamato Gior- no” che va in scena da sabato 27 novem- bre al 4 dicembre con firma di Tony Ku- sher, autore consacrato star della provo- cazione internazionale dopo “Angels in America”. Ancora un’aula scolastica, ma inquadrata questa volta dalla parte di un professore, nella “Guerra di Klamm” di Kaid Hensel, dal 7 al 14 dicembre. Nel- la stessa serata va in scena “Ingannati” del palestinese Ghassan Kanafani, l’odis- sea senza gloria di tre clandestini chiu- si in un’autobotte che dovrebbe portar- li nel Kuwait. In chiusura, dal 16 al 23 di- cembre, “Il Buio di giorno” di Henning Mankell, un’altra storia di emigranti ir- regolari: nascosti, in questo caso, nella F. Vanni, I. Amadasi giungla di una grande città europea. Si è Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:34 Pagina 84

84 TEATRO Appuntamento a teatro Silvana Zanovello

Ingannati Nicola Pannelli

già detto che in queste storie è sorpren- patto emotivo che troppe immagini te- dente, per chi abbia una certa idea del- levisive e troppi effetti speciali avevano la scena contemporanea, la grande imme- affievolito. diatezza di impatto comunicativo. Ma c’è di più, in un intreccio indissolubile di rim- balzi tra forma e contenuti. Dopo una sta- gione del Novecento segnata dai autori interessati soltanto dall’esplorazione di un’interiorità esangue, priva di qualsia- si antagonista o referente, ostentatamen- te antidrammatica, dopo troppi scritto- ri impegnati, come si è notato ai tempi in cui questa moda furoreggiava, soltan- to nall’osservazione del proprio frigori- fero e del proprio ombelico, il teatro tor- na a guardare il mondo. Certamente lo fa partendo da un prospettiva micro e non macrostorica, e in una chiave del tut- to nuova rispetto al teatro - inchiesta o al teatro - verità degli anni Sessanta. Spa- lanca occhi che completano quelli della cronaca, non le fa concorrenza. E , sca- vando nella miniera delle parole, aiuta gli spettatori a ritrovare la verginità di un im- La Guerra di Klamm Antonio Zavatteri Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:34 Pagina 85

L ’ ANGOLODIFRINO 85

L’ANGOLO DI FRINO Elia Frino

di Elia Frino L’angolo di Frino di L’angolo

Possedere le cose che piacciono è un desiderio estremamente co- mune e a livello inconscio ciascuno di noi è un potenziale collezio- nista. Analizzando superficialmente questo atteggiamento psicolo- gico lo si potrebbe ricondurre al primo istinto basilare dell’uomo, che è il senso della proprietà, dell’accumulo, la spinta a tesauriz- zare ricchezze per crearsi una protezione contro le insidie del fu- turo. Esiste tuttavia, per fortuna, un’altra chiave di lettura ben più nobile: collezionare, in fondo è anche un’arte che si fonda su qual- cosa di romantico e di irrazionale al tempo stesso e crea un’ansia, alimenta un desiderio, che non si appaga con il solo possesso. De- termina un bisogno di ritrovare la storia, il passato, il proprio pas- sato, in un percorso a ritroso nel tempo che porta spesso a sogna- re senza tenere più conto del valore intrinseco delle cose e ad ab- bandonarsi invece all’emozione che esse stesse creano, quando le si tocca e le si guarda. Chi, di fronte a un capolavoro esposto in qual- che museo, non ha sognato di poterlo interrogare e di avere rispo- ste? Di sapere, ad esempio, quali attenzioni avrà ricevuto da Loren- zo il Magnifico il cammeo costato diecimila fiorini che per poco non mise in crisi il banco mediceo, o su quali tavole imbandite prese po- sto il rinfrescatoio istoriato creato da Orazio Fontana per i duchi di Urbino? Ogni oggetto, a poco a poco, diventa testimone di vicen- de umane che a volte lo rendono importante al di là del suo valo- re intrinseco. Il collezionista adotta le opere d’arte quasi a volerle sottrarre all’orfanotrofio dell’indifferenza mercantile. Chi ama gli oggetti antichi li cerca tra i relitti di quell’immenso naufragio che è l’esistenza dell’uomo. Cerca l’eredità di altre vite, i segni della sto- ria, le opere di ingegni scomparsi scegliendo la rarità e la qualità dei materiali, la raffinatezza del disegno, l’abilità dell’esecuzione. Questa passione può essere anche vissuta in un altro modo: con uno spirito lucido e disincantato che raccoglie con puro interesse mer- cantile, valuta e analizza tenendo sempre presente il reale valore delle cose, senza cedere alla tentazione di stabilire con esse un rap- porto di affezione né tantomeno di dipendenza. Per tali collezioni- sti non esiste quel valore aggiunto che permette un colloquio segre- to tra loro e l’opera d’arte come se il bello avesse il potere di farli entrare in contatto spirituale con i creatori, gli artefici dei capola- vori. In un momento di crisi economica mondiale come questo i gran- di musei e le grandi collezioni private si contendono a prezzi stra- bilianti le opere d’arte di grande qualità. Le pinacoteche hanno vi- sto aumentare il numero dei visitatori e hanno deciso di incremen- tare gli investimenti nel settore; le mostre itineranti hanno quasi sem- pre successo di pubblico e di critica. Accanto alle grandi mostre mer- Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:34 Pagina 86

86 L ’ ANGOLODIFRINO L’angolo di Frino Elia Frino

Braciere in rame sbalzato con stemma Barberini, XVI Secolo

cato come Maastricht, la Biennale di Pa- li. È la dimostrazione che l’uomo non rigi, la fiera di Basilea, il Gotha di Par- è affetto da una forma di inaridimen- ma, sono nate, per collezionisti di nic- to irreversibile, ha bisogno di con- chia, selezioni a tema: sul libro antico, frontarsi con il passato per meglio in- la maiolica, il vetro, gli smalti e non ul- terpretare il presente e l’arte è la chia- tima l’arte africana che sta imponendo- ve indispensabile per aiutarlo in que- si prepotentemente sui mercati mondia- sto processo conoscitivo. Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:34 Pagina 87

POESIA 87

DUE POESIE Mario Pepe

di Mario Pepe L’acqua e la pietra la e L’acqua

L’ACQUA E LA PIETRA

Dobbiamo rassegnarci,

non possiamo mettere a fuoco la scena in così poco tempo.

Ci tocca immaginare il prima e non possiamo prevedere il poi.

Speriamo di sgretolarci in elementi più semplici e percepire da altre angolazioni,

come fanno l’acqua e la pietra.

Così forse, senza apprensione alcuna, sapremo com’era e come andrà a finire. Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:34 Pagina 88

88 POESIA Ma dove?Ma Mario Pepe

MA DOVE?

Questo ritrovarsi seduti davanti alla TV ogni sera non prelude a niente di buono,

questo togliersi gli occhiali sempre alla stessa ora, prima di andare a dormire, non può che finire male.

Pensa a quella sera quando non ti coricherai più nel tuo letto, ma ti troverai in un altro posto,

che posto e dove?

in uno spazio senza dimensioni, dove il fiume non può più scorrere e dove per fortuna, anche l’angoscia ha smesso di abitarci. Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:34 Pagina 89

VETRINA 89

FULVIO BIANCATELLI Fulvio Biancatelli Io

di Miriam Cristaldi Io

Ferri arrugginiti, viti, bulloni, grette, lattine pressate, lamiere contorte, nastro plastico da imballo, chiodi, fili di ferro attorcigliati, catenelle, frantumi di cristallo ecc. sono tutti poveri elementi industriali di scar- to con cui l’artista, architetto e designer romano Fulvio Biancatelli (classe ‘57), struttura un complesso, affabulante e fascinoso alfabeto secon- do un personalissimo codice linguistico, reificando tali oggetti-fram- mento quali scarti della società in preziose occasioni multi-espressive, ruotanti a coda di pavone in un reale riflesso nella pluralità del sen- so. Scrive l’autore: “Nella costruzione, quello che mi disarma è l’asso- luta espressività delle materie: il canto del ferro che incatenato dal col- lante, tradisce una tensione imprigionata per sempre...”. Talvolta queste “reliquie” della modernità, sull’orlo di una sparizione in favore del nuovo “immateriale” tecnologico che avanza a velocità acce - lerata - realtà che il filosofo francese Paul Virilio non cessa di definire come: “...una situazione in cui la specie è a fine corsa poiché non è più in gra- do di adattarsi abbastanza velocemente a delle condizioni che mutano più rapidamente che mai” - si accostano a piccoli frammenti di natura, anch’essi miseri relitti, trovati sulla spiaggia ed elaborati dalla forza del mare come pietre levigate, legni, conchiglie, quasi alla ricerca di un pos- sibile, poetico innesto dove anche la natura lancia il suo grido d’allarme, pressata com’è dall’attualità di precari e vacillanti ecosistemi. “Raccol- go un po’ tutto ovunque”, dichiara l’artista “perché mi chiamano a tes- timone di uno scempio, di uno spreco d’inciviltà...”. E allora, con l’attenzione di uno scienziato che pone il materiale sul “vetri- no” per esaminarlo, Fulvio Biancatelli depone le sue reliquie-oggetto su lastre in metacrilato trasparente (plexiglas “a freddo” che non ha subito condizioni di liquidità) come simboli di un mondo in estinzione da con-

Quel che resta 01, tecnica mista, 202x73, 2005 Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:34 Pagina 90

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Io segnare a futura memoria secondo ar- monie spazio-temporali e ritmate compo- sizioni, chinandosi amorosamente sugli scarti-frammento per reinserirli in una vi- talistica circolazione sanguigna che è specifica dell’arte. In un secondo tempo fissa gli elementi al supporto con poten- Fulvio Biancatelli ti colle chimiche facendoli “cantare” per l’eternità. Nella prassi operativa questo è il momen- to più delicato in cui colorate polveri di ani- line - spruzzate sulla composizione - si im- pastano col vinavil (usato per il fissaggio) creando una magica fusione pittorica tra gli elementi del quadro ed il supporto. “Poi l’attesa che il collante incateni le materie, Cesure dettagli ma sopratutto che il colore si diluisca for- mando sfumature sconosciute e la ruggine cerchi vie di uscita dalla trappola imbasti- del mediatico “villaggio globale” che, vo- ta...” spiega ancora l’autore. Prende così lenti o nolenti, universalmente abitiamo. corpo una delicata “pelle” che interagisce Non potendo riconoscersi in grandezze u- con l’opera mediante riflessi cangianti dei scenti dai nostri limiti percettivo-sensori- rossi, verdi o blu, un’unica pasta pittori- ali nasce allora il culto, l’amore infinito per ca capace di suggerire acide, violente e al il piccolo, il micro, per ciò che in fondo è contempo inquietanti atmosfere dove la più simile al nostro “esserci” nel mondo. materia, trasformata in catartiche accele- Particolarmente efficaci sono anche le razioni, sembra trascendere in “lique- opere intitolate “Vitrei” , elementi composti fazioni spirituali”. da schegge di cristallo tratte da frantumi La ruggine ha qui una notevole importan- di parabrezza d’auto, impastate con col- za: la fioritura dei funghi del ferro crea lante e ad accesi colori d’anilina, per es- l’idea della distanza, dello scorrere del tem- sere poi racchiuse in cornice di brunita po che consegna l’ovvio al passato e che lamiera (per affissioni). rinasce nella potenza energetica di una rin- Anche qui si struttura una caleidoscopi- novata linfa vitale. Ciò richiama l’opera del ca visione che riflette un micro-universo genovese Claudio Costa, artista inter- dove “... come i cristalli di salgemma tra- nazionale che sugli elementi di scarto del- passati dalla luce rossa di una candela la società (con particolare attenzione per accesa , così le schegge di vetro temper- la ruggine cui aveva dedicata, nel ‘90, l’in- ato accendono luci ed ombre sinistre tera mostra “Per case di ruggine”) aveva dall’umore vitreo...”, suggerisce ancora fondato la sua poetica. Biancatelli riferendosi a queste opere Nel lavoro di Biancatelli, e in quasi tutta dove sovente, dietro il lavoro è posta una l’arte contemporanea, si nota una sorta di fonte di luce che mette in risalto proiezioni apologia del “frammento” poiché abbiamo cromatiche violente, capaci d’irradiarsi perso l’idea dell’“intero” attraverso cui ci magicamente nello spazio circostante. riconoscevamo abbracciandone i limiti nei Si architetta allora una possibilità di quali era circoscritto. muoversi con la materia-colore in modo Visione, questa, che è propria del passato topologico con una intensità di senso in (fino al secolo scorso) e che oggi ci è sta- cui mente e corpo trovano un’intima, vi- ta tolta dall’incommensurabile grandezza brante unità. Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:34 Pagina 91

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CIRA D’ORTA Cira D’Orta Istantanee Istantanee

di Sara Odorizzi

La produzione di Cira D’Orta riflette la sua personalità di artista cu- riosa e poliedrica che sa osservare la realtà e ricavarne sempre nuo- vi stimoli, in un rinnovamento continuo sia nella scelta dei soggetti che dei mezzi espressivi.

La signora con il cappello di paglia, olio su tela, 50x70, 2009 Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:34 Pagina 92

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Formatasi all’Accademia di Belle Arti di Carrara, in cui ha appreso una buona tec- nica e manualità, la D’Orta si è dedica- ta inizialmente alla scultura realizzando interessanti opere in marmo e bronzo; il suo iter artistico ha subito una lunga pausa per riprendere poi, da alcuni anni, sotto la guida del maestro Carlo Cira D’Orta Istantanee Perè che l’ha avvicinata all’arte figurati- va. “Istantanee”, la prima mostra persona- le dell’artista ospitata da Satura, è incen- trata sul tema del ritratto, uno dei cam- pi di ricerca privilegiati dalla D’Orta, in cui la sua sensibilità sa trovare una pie- na corrispondenza nella resa del sogget- to rappresentato. L’artista ci presenta un’umanità assorta e intensa, ne indaga la profondità, ogni particolare che potrebbe distogliere l’at- tenzione viene eliminato in favore della resa espressiva dei volti, di cui gli occhi, delineati con notevole abilità, rappresen- tano la chiave di lettura primaria. L’indagatore, carboncino su cartoncino, 44x53, 2010 L’artista sa guardare dentro i suoi sog- getti, coglierne sfumature ed emozioni e presentarceli così messi a nudo, qua- si bloccati in un’istantanea che porta con trasti chiaroscurali e nelle sfumature di sé quello che la persona è stata ed è: visi tono che l’artista sa calibrare con grande colti in un istante del tempo che diven- abilità tecnica. ta eternità. Ne La signora con il cappello di paglia, Nei ritratti a carboncino, di grande impat- Cira D’Orta sperimenta un approccio di- to visivo, la D’Orta applica un procedimen- verso al ritratto ed è qui, in questo insie- to particolare che mette in rilievo la sua me di immediatezza e cura dei partico- familiarità con la scultura e attraverso il lari, di armonia cromatica e contrasti di quale attua una trasposizione pittorica del luce, che emergono con ancor maggiore concetto del levare michelangiolesco: evidenza i pregi e le peculiarità dell’ar- alla stregua di una sottrazione della ma- tista. teria per liberare il soggetto scultoreo im- Uno sfondo immateriale colloca la figu- prigionato nel marmo, così da un’inizia- ra in un tempo sospeso, gli occhi della le stesura del carboncino i volti prendo- donna guardano fissi in avanti, mediati no vita mediante l’affiorare delle zone lu- però dall’ombra del cappello che crea sul minose. In questo maieutico processo di viso una trama simile a merletto, una ma- svelamento che dall’ombra porta alla schera che occulta e affascina. L’artista luce, i visi emergono dall’oscurità rivela- cura la resa di ogni dettaglio: le ombreg- ti nella loro essenza, ma allo stesso tem- giature del cappello, il neo, i riflessi del- po portatori di qualcosa di non detto, di la collana sono realizzati con una minu- enigmatico. La potenza espressiva di zia quasi fiamminga che impreziosisce questi ritratti si gioca sulla resa dei con- l’opera e ne esalta la complessità. Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:35 Pagina 93

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MARCO DE BARBIERI Marco De Barbieri Un volo razionale

di Sara Odorizzi Un volo razionale Un volo

Per Marco De Barbieri, quarantenne artista genovese, la pittura non è solo un mezzo di comunicazione, ma una forma di conoscenza, un ca- nale privilegiato per sondare la propria interiorità. Nel percorso formativo di De Barbieri, tentativi di affidarsi a “maestri” e insegnamenti accademici sono stati abbandonati in favore di una ri-

Senza titolo, olio su tela, 100x70, 2010 Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:35 Pagina 94

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mai uguali, stati d’animo differenti, so- litudini, chiusure e aperture. Figure che si stagliano su sfondi mono- cromatici omogenei, dai quali emerge con vigore materico sempre il mede- simo soggetto: la sintesi dell’anatomia Un voloUn razionale di un corpo virile, proiezione dell’arti- sta stesso, colto attraverso un tratto li- neare fluido, ma deciso, sia in pose statiche che in movimento, in posizione frontale, di tre quarti o di spalle. Da una lettura in sequenza dei suoi la-

Marco De Barbieri vori si può ricavare un unico moto con- tinuo, in cui le opere appaiono ognuna fermo immagine di un solo atto, di una ricerca artistica che sperimenta echi e modi espressivi diversi, pur rimanendo ben individuata e riconoscibile. Nella produzione di De Barbieri, le prime figure maschili, evanescenti statici blocchi di marmo su sfondo colorato, lasciano ben presto spazio a una più manifesta seria- lità: soggetti drammaticamente trasfigu- Senza titolo, olio su tela, 100x70, 2010 rati dalla loro matericità, fino l’evoluzione delle ultime opere, come svuotate e libe- rate dal peso opprimente della materia, una sintesi, in cui il corpo diventa linea. cerca personale affidata all’istinto, che Il gesto pittorico, spontaneo e istintivo, lo ha condotto all’elaborazione di un fa sì che l’emozione venga sprigionata proprio stile originale. dal vorticoso incedere del segno sulla La sua mostra personale “Un volo razio- tela, la cui semplicità esalta le sensa- nale” presentata da Satura, comprende zioni che vibrano nelle figure dipinte. un ciclo di opere, frutto di una recente L’artista genovese si affida ad una scala stagione creativa, caratterizzate da cromatica che accentua l’espressività un’urgenza comunicativa molto forte attraverso un contrasto tra i colori degli che lo ha portato ad attuare un trasferi- sfondi, decisi ma luminosi, sui toni pa- mento pressoché quotidiano del pro- stello e quelli usati per il tratteggio del prio stato d’animo su tela, la quale corpo, tonalità forti, in cui una predo- risulta sempre piena espressione di una minanza del rosso e del nero acuisce il fusione simbiotica tra l’Uomo e la sua loro drammatico emergere corporeo. Arte, di un sentire e concepire la pittura In alcune figure frontali De Barbieri come sostanza di un’esistenza artistica tenta una lieve personalizzazione del che è indivisibile dall’Esistenza stessa. viso attraverso l’accenno di tratti soma- Il quadro diventa così come uno spec- tici, il tentativo si perde in ombre e que- chio in cui l’artista si osserva, si studia sta assenza di particolari riconoscibili e da cui attinge un sempre diverso foto- e riconducibili, rende i soggetti modelli gramma di sé: il prototipo non è mai ri- base di un uomo qualunque, cloni repli- produzione meccanica e codificata, ma canti e rigenerabili, in cui ogni indivi- espressione di sensazioni e condizioni duo può rispecchiarsi. Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:35 Pagina 95

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SILVIO MAIANO Silvio Maiano Sulla mia pittura

di Silvio Maiano Sulla mia pittura

Alcuni anni fa ho ‘scoperto’ il rettangolo in un’opera informale del- l’artista tedesco Thomas Mehl; il metodo frequentando il pittore Enzo Maiolino. Uso forme elementari (rettangoli, quadrati) che si modulano in sequen- za e le cui campiture variano dal nero ad una scala di grigi. Scelta, que- sta, che si avvale del chiaroscuro per meglio rappresentare il concetto

Senza titolo, acrilico su tela, 40x50, 2010 Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:35 Pagina 96

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di spazio, inteso come pieno e vuoto. Cerco l’unione e l’equi- librio tra forme autonome di- verse, per dimensione e peso coloristico, che si realizzano e si completano in una nuova Sulla mia pittura mia Sulla figura all’interno di un defini- to spazio bidimensionale. La figura piana o bidimensio- nale porta in sé la logica del-

Silvio Maiano la matematica, la precisione della linea, la consistenza della forma ed è attraverso la costruzione di composizioni geometriche che cerco di esprimere qualcosa di concre- to. Una poetica, la mia, che non lascia spazio a interpre- tazioni letterarie né a elucu- brazioni concettuali ma solo alla mera pittura, solo a una ‘lettura visiva’ che non si stacchi dalla realtà delle for- Senza titolo, acrilico su tela, 40x50, 2010 me rappresentate. Lo scrittore Francesco Bia- monti ha scritto: “ ...il lavoro consiste in una concentra- zione esistenziale e in una ela- borazione stilistica. Come si arriva all’elaborazione di uno stile è difficile spiegarlo. Uno si avvale di tante cose, di una osservazione della realtà, di un confronto con altre scritture”. Penso che questo concetto sia valido per ogni attività artisti- ca infatti, come ho scritto ad un amico che recentemente si informava sulla mia attività artistica, solo col lavoro, il la- voro e ancora il lavoro riesco Senza titolo, acrilico su tela, 50x60, 2009 a progredire. Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:35 Pagina 97

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EVA REGUZZONI cubi di Eva Reguzzoni Un mondo Un mondo di cubi

di Elena Putti

Eva Reguzzoni è una giovane artista lombarda che Satura ha voluto premiare per doti tecniche ed originalità stilistica. A lei è stato asseg- nato infatti il primo premio del concorso nazionale Saturarte, giunto ormai alla sua quindicesima edizione. Il riconoscimento la encomia per la sua brillante reinterpretazione dei motivi fondamentali del minima- lismo contemporaneo. Veloci, dinamici, i cubi di Eva invadono lo spazio e lo sconvolgono in una prorompente sinfonia di colori. Si sdoppiano, si triplicano, si mol- tiplicano in una contagiosa simmetria di dimensioni che rapisce ed ip- notizza lo sguardo. Il mondo di Eva ruota tutto attorno a tre elementi portanti: la scompo- sizione del piano spaziale, il contrasto monocromatico, e la linea retta. Ogni elemento è indispensabile e complementare e contribuisce a trasfor-

Tecnica mista, acrilico e carboncino, 100x100, 2009 Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:35 Pagina 98

98 VETRINA Un mondoEva Reguzzoni Un di cubi

Tecnica mista, acrilico e carboncino, 90x90, 2010 Tecnica mista, acrilico e carboncino, 75x75, 2010

mente sovrapposti, fino a fondersi in un uni- cum di penetranti contrasti cromatici. Sfu- mature variegate, che esaltano la gamma dei colori primari. Infine è d’obbligo osservare la cura e la ri- cerca della linea: Eva celebra il trionfo del- la retta e la sua mano si muove con sicu- rezza sulla tela, declinando ogni suo trat- to con personalità e carattere. Ciascuna li- nea è diversa, unica: talune nette, talune sporche, e poi spesse, sottili, graffiate, sfu- mate, accennate...talune solo immaginate. Un unico gesto, innumerevoli grafie. Una pluralità che ci riporta alla pura dimensio- Pass - riquadri, tecnica mista, 90x90, 2010 ne del segno. Nell’insieme questo suo mondo di cubi ci mare componenti scarni ed essenziali in un appare fortemente evocativo: in esso si pos- quadro completo di vivace ricchezza. sono leggere riferimenti artistici all’antica Lo spazio è elemento di grande carattere arte vetraria come all’avanguardia di Mon- nell’opera: esso sembra infrangersi e dis- drian. Ma queste figure ci riportano anche solversi catturato da geometrie instabili e ad una dimensione più quotidiana e fami- vibranti, che lo invadono fino a smateria- liare, fatta di tante finestrelle nascoste e so- lizzarlo. vrapposte: quella di una città di oggi, tut- Inoltre l’ossessiva ripetizione quadratica ta rinchiusa in alti palazzi e grattacieli, ato- sfalsa e frammenta le proporzioni del pia- mistica ed animata da un forte verticalismo. no; ed è proprio questo che cattura lo spet- Queste forme a noi note, tuttavia, vengono tatore: un’incredibile profondità che ha ori- dipinte come un colorato mosaico di diffe- gine soltanto tramite la linearità bidimen- renze, che evolve la monotonia e l’unifor- sionale. mità in una grande ricchezza di stimoli. Ne Analizzando oltre, ciò che di sicuro stupi- emerge infine un caos creativo incapsula- sce è l’utilizzo virtuoso del colore: toni ca- to in rigide forme, le quali, solo a stento, ne richi e pieni in campiture decise, sono abil- trattengono lo slancio vitale e dinamico. Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:35 Pagina 99

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GUIDO ROSATO Guido Rosato Finestre

di Franco Boggero Finestre

Al tempo di Genua picta, una mostra povera ma bella sulle facciate di- pinte genovesi, Guido Rosato condivideva con chi scrive l’interesse per la varia complessità di quelle strutture illusive, a partire dalla so- luzione pressoché bidimensionale del telaio-cartone fino alla simula- zione di diversi e progressivi strati di profondità. Provando a descrivere il percorso creativo di Guido con l’imposta- zione e il lessico d’allora, verrebbe da dire che il gioco tridimensionale dei suoi spazi interferenti, come ebbe a definirli qualche anno fa Ezia Gavazza, si è fatto sempre più dichiarato e “costruito”. Anche nella sua raffinata produzione iconica, di tono spiccatamente ironico-surreale, Rosato utilizza volentieri sequenze di sagome e

Scena 2, tecnica mista su carta, 50x50, 2010 Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:35 Pagina 100

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piani, mostrandosi a proprio agio nella spazialità del teatro e nel ricorso a micro-macchine sceniche. Ed in que- Finestre st’ultima mostra, quasi a sottolineare consonanze non casuali fra i due suoi due mondi d’immagine, ha voluto rit- mare gli spazi espositivi con grandi pannelli nei quali sonanti emblemi Guido Rosato astratti e onirici scenari urbani si so- vrappongono e dialogano senza sforzo. Se nelle Carte grandi di qualche anno fa sembrava prevalere la ricerca sulla pa- rete-ambiente, che lo portava a stendere con gli acrilici accese campiture per sot- tolinearne solo in parte i contorni me- diante forti segni bistrati, la sperimentazione più recente dell’artista si complica. Nelle nuove Finestre il mo- tivo, ovvero l’apertura reale praticata nella “scatola”, spicca sulle dissonanze ovattate di stesure chiare, rese vibranti Finestra 3, tecnica mista su carta, 50x50, 2010 dalla texture dei pastelli. Nelle Scene, gli strati di profondità si moltiplicano, e vengono fornite - quasi segnaletica- mente, e con divertita ironia - accelerate indicazioni prospettiche, mentre le aperture reali assommano tipologie di- verse (finestra / tenda / persiana) ed ac- colgono al loro interno nicchie e quinte, sagome e frammenti di specchio. Più dura e dichiarata la sperimentazione dei Bozzetti, dove la materia pittorica è meno trasparente, le tinte sono più sa- ture e gli espedienti - i test - risultano av- vicinati e confrontati fin quasi al limite del ‘corto’. Ma sarà, anche in questo caso, la “cul- tura del controllo di sé” (come notava Antonella Berretti presentando nel 2006 le prime, morbide Finestre con- dotte all’acquerello) a lasciare chiaro e pulito il gioco, proprio come accade in ogni avvertito open jazzistico. Finestra 4, tecnica mista su carta, 50x50, 2010 Rubrica 101 RUBRICA “compiuta” dell’uomo distrutta “compiuta” dell’uomo Carlo Levi con dall’uomo stesso; un vaso “Flowers” propone nascosto da un completamente Branzi contamina le fiore; Andrea del ‘900 influenze iconografiche greci con modelli morfologici proponendo i suoi originalissimi si pone e “Cocci”; Alberto Garutti pone a chi guarda una curiosa nelle domanda: “Che cosa succede se ne stanze quando gli uomini opere vanno?”, fornendo una delle e più interessanti della rassegna la decorando in modo alternativo classica Giara, la Idra e la di Tulipaniera, tradizionali zinco, un Albisola, con il silicato di colore visibile solo di notte è quando il sito della mostra chiuso al pubblico: al buio questi vasi diventano guizzi iridescenti impalpabili. Fernando e Humberto Campana intepretano l’interessante tema ecologico del riciclo: vecchie tegole vengono assemblate originalmente al midollino in “Tile Vase” e danno vita a vasi singolari; Mendini costruisce bolle di sapone, le “Tre sfere”, appunto, con materiali preziosi: oro, bronzo e nero lucente. Le bolle si stagliano evanescenti ma statuarie; sono fogli di terracotta arrotolati quelli che utilizza Paolo Uilan per “Vaso Rosae”, un delizioso vaso in miniatura a forma di tenera rosellina, in versione minimalista; Marti’ Guizzè riprende la sinergia combinatoria dei materiali, già utlizzata in precedenza con risultati accattivanti nel suo food- design e decora “Surfvase” con fiori che si intrecciano ai manici con solide corde di canapa; Luca Vitone lavora ed assemblea insieme tubi di terracotta, polvere di marmo e lastre di marmo per evocare una realtà visionaria e onirica nella sua opera “Pipe Dream”; Linde Burkhardt in “Tre per due” divide i vasi a metà: ognuna è il doppio dell’ altra e lo spettatore può disporne in maniera libera creando via, via composizioni mutevoli e sempre in divenire; Vedovamazzei in “Reset” rende nulla la funzione del vaso, forandolo in due punti diagonalmente e trafiggendolo con un fiore come fosse una freccia di Cupido in un cuore; altre centro di lavorazione ceramica di centro di lavorazione europea che ha chiara fama la ospitato e offerto ai grandi artisti del collaborazione Munari, ‘900 quali: Marinetti, ecc., Fontana, Manzoni, Debord vede, nella Biennale di Ceramica giunta nell’Arte Contemporanea, del alla IV edizione, la depositaria e del futuro e “del destino dell’arte e le design, fra le piccole cose grandi trasformazioni..”, del facendosi, così, testimone sui processo d’innovazione soluzioni materiali, le tecniche e le questa stilistiche ed ideative di questo fine arte applicata, non per meno importante delle arti opere in “canoniche”. Fra le molte x 35 x mostre, ricordiamo: in ”35 un fiore”, Paolo Doganello trasforma il suo vaso a tuttotondo in un bassorilievo; Marco Ferreri in “Tre per Uno” adotta la soluzione originale di inserire un vaso dentro altri vasi, come scatole cinesi o Matrioske russe; quindi: tre vasi, tre significati come per Kosuth nelle opere “Uno e tre sedie”e “Uno e tre cappelli”; “Qualc’Uno” di Denis Santachiara è un semplice vaso di coccio reso interessante dalla completa rotazione che l’autore gli imprime; Florence Doleac in “XLS e Lolo” fa sua, in un certo senso, la lezione di Spoerri: come il grande artista romeno verticalizza e contestualizza le sue opere, in questo caso egli porta i suoi vasi dall’usuale e corrente piano orizzontale a quello inusuale, verticale; Alexis Georgacopoulos con “Duetto” espone vasi minimalisti dai colori brillanti e divertenti che terminano con coperchi e beccucci essenziali, ma curiosi e particolari; Adrién Rovero analizza e rivoluziona con originalità ed ironia la relazione esistente tra vasi e il contesto nel quale sono abitualmente inseriti: il vaso “Borderline” è corredato di un morsetto che gli consente di essere posizionato anche negli angoli e ai lati del tavolo; Ugo Meert: il suo “Terrarist” è un vaso che omini di ceramica smaltata, dotati di piccoli martelli minano ai bordi scheggiandolo e riducendolo in frammenti; è la metafora dell’uomo che distrugge il proprio mondo e in questo caso, l’opera ’ARTE alentina Isola ondazione Pier Luigi e ondazione Pier Luigi Florence Doleac , “XLS e Lolo”, Florence 2009- 2010 Camogli (GE) “Cambiare il mondo con un vaso di fiori”: cosa si cela dietro questo curioso titolo? Quali obiettivi, quali finalità e quali possibilità creative? Lo scopo è quello di ripensare, riscrivere e ricreare l’identità di un oggetto, il suo valore artistico, la sua valenza concettuale e simbolica in uno studio/ricerca di proposte inedite che abbiano l’intento di rinnovare e ribaltare i canoni estetici del design e quelli funzionali e di utilizzo del “prodotto” vero e proprio: l’oggetto/vaso…, insomma “regalare nuovi contenuti e nuovi procedimenti ad uno dei mestieri più antichi, oggi in grave crisi”, come più esaustivamente e semplicemente spiega Roberto Costantino, il direttore artistico dell’esposizione. Gli artisti e i designer di fama internazionale, invitati, hanno adottato soluzioni creative radicali, a volte estreme ma sempre personali, insolite ed “ingegnose”, nel vero senso del termine, senza mai privilegiare l’apporto tecnico a discapito di quello meramente estetico, ma anzi evidenziando, a volte, l’aspetto ludico ed umoristico. La Liguria, terra e fulcro di grande tradizione vasaria, con Albisola, GENOVA A cura di V DI IV BIENNALE NELL CERAMICA CONTEMPORANEA un “Cambiare il mondo con vaso di fiori” al 9 (Dal 25 settembre 2010 gennaio 2011) F Natalino Remotti Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:35 Pagina 101 Pagina 19:35 26-10-2010 1 colore:Layout 11-2010 Satura Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:35 Pagina 102

102 RUBRICA

interessanti opere degne di Italia, la mostra itinerante (partita solitario la propria lotta per menzione sono quelle di da Trieste, toccherà anche l’Indipendenza e la riscossa Alessando Biamonti (“Moribana”), Palermo, Torino e Firenze), ideata patriottica. La presenza di tale

Rubrica di Pekka Harni (“Planet b”), di e prodotta dalla società Alef capolavoro, (voluta fortemente Lorenzo Damiani (“Digital cultural project management di dalla Regione Liguria) nella casa Flaowers”), di Alberto Viola Milano dal titolo “Il Bacio”. Un natale di Mazzini, grande (“Scarabia”) e di Donata Paruccini capolavoro per l’Italia”. In estimatore di Hayez, assume un (“Pluvio”) che rispondono alla esposizione vi è, per l’appunto, significato simbolico pregnante domanda: “come cambiare il l’omonimo capolavoro del pittore perché è la sede e la cornice ideale mondo con un vaso di fiori?”, con veneziano Fernando Hayez, per la riflessione e opere imprevedibili, artificiali e emblema pittorico del l’approfondimento degli futuriste sempre originalissime. patriottismo ottocentesco e al avvenimenti politici e sociali Fiore all’occhiello dell’evento, “la contempo espressione di grande risorgimentali e delle tematiche mostra nella mostra” di suggestione e romanticismo. repubblicane e democratiche del Michelangelo Pistoletto, Leone L’opera, dopo la sua prima movimento mazziniano. Mazzini d’Oro alla carriera alla Biennale di esposizione a Brera nel settembre considerava Hayez “un produttore Venezia che qui, presenta, una del 1853, divenne in poco tempo il di pittura civile che emana dal serie di sessanta opere, riflettenti, simbolo iconografico delle lotte popolo” e il “cantore in pittura” come tutti i suoi lavori del Risorgimento e del riscatto del pensiero e del desiderio, (superfici/quadri/sfondi- dell’Italia dal giogo straniero. La comune agli italiani, d’unificazione specchio). “Vasi – specchio del tela in mostra, ribattezzata “Il nazionale. Il Bacio e i tre rarissimi terzo Paradiso”, appunto, è il titolo bacio del volontario” dal poeta acquarelli di analogo tema dello dei vasi che si riflettono gli uni Francesco Dall’Ongaro nel 1872, stesso autore, fanno da cornice a negli altri, perdendo i contorni e quarta versione realizzata tutti gli altri documenti e reperti di confini, assumendo, così, nuove quel periodo storico presenti nel identità e divenendo “simbolo Museo e s’inseriscono a pieno dell’infinito”, non due, ma tre titolo nel progetto, elaborato dal anelli congiunti. Comune di Genova dal titolo L’esteta, l’amante dell’arte in ogni “L’Unità di Italia per la sua forma e manifestazione o divulgazione e la promozione del l’attento visitatore “seriale” di patrimonio storico e culturale mostre ed eventi, ma anche lo genovese e ligure”: ciò per non spettatore occasionale o il “turista disperdere le nostre radici, la della domenica” non potranno e nostra memoria storica e non dovranno perdersi questa tramandarla alle generazione interessantissima esposizione Francesco Hayez, “Il Bacio” future e per edificare sul passato il presso la Fondazione Pier Luigi e (particolare), olio su tela, 1861 nostro domani. Questa mostra Natalina Remotti, sullo sfondo accattivante per tutti gli spettatori, della calda e ridente cittadina di dall’autore nel 1861 (quella del non solo per i più romantici e Camogli, dal 25 settembre 2010 al 1867 è attualmente in America in patriottici, è occasione per 9 gennaio 2011 che dopo essere una collezione privata), coglie e conoscere più approfonditamente stata presentata presso l’Istituto fissa sulla tela due innamorati che questo periodo storico ricco di Italiano di Cultura di Madrid si abbracciano appassionatamente grande fermento, coraggio e (Ambasciata d’Italia in Spagna) in una posa plastica, molto idealismo, che, non a caso, è approderà nel 2011 al Mudac, il naturale quasi come una vivamente consigliata a gruppi di Museo di Design e Arti Applicate fotografia scattata di nascosto: la scolaresche delle scuole medie Contemporanee di Losanna. composizione nell’insieme risulta inferiori e superiori, studenti carica di dolcezza e priva di universitari, appassionati di storia IL BACIO volgarità. Le vesti degli amanti o anche semplici cittadini per l’alta Museo del Risorgimento riprendono il colore del tricolore valenza civica,i numerosi (Dal 2 ottobre 2010 al 9 della bandiera italiana: il verde e il approfondimenti, curiosità, gennaio 2011) rosso negli abiti maschili e il dettagli minuziosi e spunti di Genova – Via Lomellini bianco nella veste della donna riflessioni che offre. (viene a mancare in questa copia il Il Museo del Risorgimento di colore azzurro che nella tela FLAVIO COSTANTINI Genova, uno dei più accreditati precedente, la più conosciuta, IN MOSTRA centri per lo studio del pensiero e quella esposta alla Pinacoteca di Museo Luzzati del movimento repubblicano e Brera, rappresentava la Francia Da mercoledì 22 settembre a democratico mazziniano, ospita unita all’Italia nell’alleanza contro domenica 14 novembre 2010 dal 2 ottobre 2010 al 9 gennaio gli Asburgo. Hayez, tralasciando 2011, nell’ambito delle iniziative tale riferimento vuol sottolineare Al Museo Luzzati, da mercoledì 22 commemorative e culturali per il qui, che l’Italia, grazie all’impresa settembre a domenica 14 150° anniversario dell’Unità di dei Mille, può continuare in novembre, è possibile ammirare Rubrica 103 RUBRICA Crespina CHIUSA A cura di Silvia Barbero I MACCHIAIOLI Disegni della collezione Carlo Pepi, Stadtmuseum Klausen-Museo Civico di Chiusa (BZ) 31 luglio 2010 -18 settembre 2010 Un piccolo Museo di montagna, un parco e aria buona sono gli ingredienti per assaporare i disegni dei Macchiaioli esposti in questa mostra. Cinquanta opere, tra disegni, pastelli e acquarelli realizzati nella seconda metà dell’Ottocento dai maggiori esponenti del movimento dei Macchiaioli, come Fattori, Lega e Signorini. una selezione dei “ritratti-rebus” una selezione ), di (definiti così quali Kafka, scrittori e filosofi ideati negli anni Calvino e Socrate, delle opere ’90. All’insieme vasto originali si affianca poi un apparato di manifesti, libri illustrati, copertine, oggetti promozionali, da cui emerge lavoro l’ampiezza e la varietà del di più svolto dall’autore nel corso di cinquant’anni. Un omaggio Costantini all’amicizia che ha unito trova a Emanuele Luzzati, lo si con la nelle sale delle Cannoniere antico realizzazione di un loro nel progetto, “Una notte all’opera”, (Rossini, quale i ritratti di musicisti primo, Donizetti, Britten ...) del sono accostati a bozzetti scenografici inediti (per il “Don Giovanni”, il “Turco” in Italia), del secondo: un dialogo, un interscambio sinergico tra due modi differenti di fare arte, costruttivi ed unisoni nel messaggio: una conversazione “in leggerezza” testimone della veridicità dell’affermazione che chiude il filmato-intervista dedicato, lo scorso anno, da Ricky e Roberto Farina all’artista: “È la vita che è insensata ... però amo vivere, mi piace vivere”. Mostra, questa, da non perdere, sia per la particolarità del pittore e delle sue opere, lo spaccato di vita e l’exscursus della sua maturazione artistica e umana sia per scoprire un Luzzati inedito, “nuovo”, sempre vivo. Italsider e Olivetti. a Kafka, I fogli dedicati istoriati con un minuziosamente precedono la tratto filiforme, “Tauromachie” sequenza delle (1959-62, olio su tela) realizzata nella dopo un viaggio a Barcellona, più quale l’autore attua la sua importante svolta stilistica più tracciando figure dai contorni che marcati: caratteristica, questa, la sua ritroveremo, poi, in tutta produzione successiva. Dalle prende “Tauromachie”, appunto, prima avvio il percorso della sua grande antologica genovese. è L’allestimento di quest’ultima impreziosito da grandi stendardi che sospesi, il ciclo gli “Anarchici” a segnerà la sua consacrazione livello internazionale. Costantini, successivamente, convoglia il suo interesse verso temi sociali ed eventi storici mettendo in scena con un’ottima sintesi narrativa, episodi drammatici della rivolta contro l’oppressione sociale, a cavallo fra ’800 e ’900. Gli scorci, in una prima fase, gremiti di personaggi dalle movenze febbrili, si fanno, agli inizi degli anni ’70, più evanescenti nelle atmosfere e delimitati, spesso, da alienate prospettive che paiono come schiacciate sulla tela. All’affondamento del Titanic, simbolo del progresso e delle macchine ma anche della fallibilità dell’uomo e della superiorità della natura è dedicata la più nota fra le serie create negli anni ’80, nella quale si registra la scomparsa della figura umana che riemerge, solo come come entità fantasmagorica, in alcune delle tempere del ciclo “Zar”, iniziato nel 1979 e concluso negli anni ’90, evocante i luoghi della prigionia e l’esecuzione della famiglia Romanov: una personale riflessione sulla caduta del potere imperiale, elitario, autoritario ed ancestrale e sulla furia rivoluzionaria. A tematiche analoghe si legano anche i recenti lavori sul tema dell’assassinio di Marat, in cui affiora, rovesciato, l’eco del terrore anarchico, in atmosfere che la coloritura a pastello rende più evanescente e meno definita nei contorni. La ricostruzione “a tappe” dell’itinerario creativo di Costantini si conclude con l’esposizione di l’opera di Flavio Costantini tappe” nel attraverso un viaggio “a suo background: da sottotenente artista di vascello ad affermato originale e poliedrico. ma Costantini, romano d’origine ligure di adozione, ha sempre mostrato una sorta di vocazione e di predisposizione “naturale” per l’arte anche se in un suo scritto autobiografico sostiene di non ricordare la prima volta, anzi, “una” prima volta in cui abbia deciso coscientemente di dedicarsi alle arti figurative. L’artista, infatti, che, già da fanciullo si dilettava nel disegno e nel ritaglio di illustrazioni di libri, nel tentativo di animarle, da adulto, pur avendo intrapreso studi del tutto estranei al mondo e alla pratica attiva dell’arte ( in primis, l’Istituto Nautico e in secundis l’Accademia Militare) riesce, comunque, a consolidare quella che prima era solo una semplice passione. Intorno ai trent’anni, durante quello che sarà poi il suo ultimo ingaggio su una nave petroliera, inizia a ritrarre scene di vita di bordo. Correva l’anno 1954 quando, “per un’inveterata disubbidienza”, intraprende “ufficialmente” la carriera di pittore con un ciclo di opere dedicate a Kafka. Trasferitosi a Rapallo, nel 1955, dopo le letture Kaftiane e l’incontro con Luzzati decide di smettere di navigare del tutto e per sempre, per dedicarsi interamente all’arte, iniziando “quasi per scherzo”, a collaborare con lo stilista Gianni Baldini a Santa Margherita. Nel 1957, a Genova, è uno dei fondatori dello studio grafico Firma, nella cui sede romana collabora anche Luzzati: qui disegnerà per numerose grandi industrie quali Shell, Esso, Flavio Costantini, Il Titanic, olio su Flavio Costantini, Il Titanic, tela, 100x80, 1983 Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:35 Pagina 103 Pagina 19:35 26-10-2010 1 colore:Layout 11-2010 Satura Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:35 Pagina 104

104 RUBRICA

La scelta di Chiusa, non è casuale. indagare la molteplicità sotto cui Infatti, tra il 1874 e il 1914 più di spesso la realtà, le persone e le trecento artisti si riunivano nel cose si manifestano. Attraverso

Rubrica paese, che da allora si fregia con diversi media (disegno, scultura orgoglio del titolo di e pittura) l’artista compie un “Künstlerstädtchen”, “Cittadina lavoro sull’identità e sulla degli artisti”. storia/memoria, il cui risultato dimostra come queste entità siano lontane da una solida

Carla Bedini, “How to become a marmaid and dissolve into sea foam in just seven surgical operations”, 2010, Courtesy of Galleria Ca’ di Fra’, Milano.

della Galleria Ca’ di Fra’, sottolinea l’evoluzione che l’artista ha compiuto nel suo percorso artistico: i suoi soggetti, tra il reale e il fiabesco, non rappresentano Courtesy of Galleria Francesca Minini, più ragazzine ancorate a una Milano dimensione infantile ma piccole Silvestro Lega, Paolina Bandini, 1887, donne, nel pieno della loro compattezza e come si trovino matita su carta fioritura esistenziale. Il gioco di invece a doversi confrontare in sguardi, rimandi e introspezioni modo sempre più forte con la che Carla Bedini intesse dentro e frammentazione, il clone, la Nelle tre sale dedicate ai fuori i suoi lavori, in queste opere divisione. Nello sviluppo di Macchiaioli, i curatori sono riusciti si fa sempre più presente, quasi a questa riflessione, Bitzer si rifà a condensare gli aspetti più testimoniare una complessità agli eteronimi, gli autori fittizi interessanti di questo movimento esistenziale delle donne ritratte che lo scrittore portoghese artistico. che può assurgersi ad emblema di Fernando Pessoa inventò durante Pregevole il disegno di Silvestro un certo periodo della vita. Il titolo la sua vita. Essi sono l’esempio Lega del 1887, nell’ultima sala, il potrebbe suggerire come queste di come un’identità possa ritratto di “Paolina Bandini”, che figure femminili si siano imbattute sdoppiarsi, triplicarsi e così via, rivela la capacità dell’artista di in situazioni affettive e amorose assumendo diverse personalità e rendere le “impressioni” dal vero, difficili e come ne stiano portando addirittura diverse biografie. fermate velocemente sulla carta. le conseguenze tra il modo reale di “L’ansia insaziabile di essere Una tecnica, quella macchiaiola, vivere le emozioni e quella sempre lo stesso e altro” (F. che continua ad affascinare per i esorcizzazione fiabesca delle Pessoa, “Libro dell’Inquietudine”) suoi calibrati contrasti di colore- stesse a cui spesso si assiste. Così, diventa così il motore di ricerca ombra e colore-luce. come una cicatrice, l’esperienza e di sviluppo di questa imprime visivamente nello esposizione. MILANO sguardo, nei tratti, nella A cura di Serena Vanzaghi fisionomia, nell’aspetto, i segni ALIGHIERO BOETTI indelebili di una vita vissuta. Da singolare a plurale e CARLA BEDINI viceversa Only love can live MATTHIAS BITZER Galleria 1000eventi such a scar Maison Automatique 17 settembre 2010 – 20 Galleria Ca’ di Fra’ Galleria Francesca Minini novembre 2010 16 settembre 2010 / 23 16 settembre 2010 / 6 ottobre 2010 novembre 2010 Terza personale dell’importante artista torinese Alighiero Boetti La mostra di Carla Bedini che I complessi pattern astratti di alla galleria 1000eventi. La mostra inaugura la stagione autunnale Matthias Bitzer si propongono di tuttavia non si presenta come un Rubrica 105 RUBRICA Vapore abbrica del William Cobbing, Bamiyan Mirror, 2009 15 settembre 2010 / 30 ottobre 2010 Eraserhead, noto film surreale di David Lynch, ha rappresentato un’importante fonte d’ispirazione per la mostra di William Cobbing allestita presso gli spazi di Viafarini DOCVA. Ex fabbrica per la produzione di convogli tramviari, l’edificio presenta un architettura industriale che ha fortemente colpito l’immaginario dell’artista, tanto da interpretare questo luogo come un possibile setting del film di Lynch, di cui appunto “L’Uomo del Pianeta” è uno dei personaggi. Il concetto di “orma”, in questo contesto, diventa cruciale: l’orma raccoglie in sé ciò che era in passato e ciò che ora è. Il discrimine tra ciò che capire e scoprire i segni della luce capire e scoprire in una dimensione che, proiettati danno vita a iconica e ambientale, fotografiche e opere pittoriche, vario genere. La installative di Forin, si mostra, curata da Elena dipana tra i concetti di segno, e la immagine ed esperienza dilatazione temporale diventa irrilevante in favore dell’istante dello sguardo, della percezione crea fugace dell’immagine che nello spettatore una nuova esperienza. L’istinto viene celebrato in tutta la sua può manifestazione e l’emozione fuoriuscire libera in una huxleyana: condizione di memoria il “Oggi il percetto ha inghiottito concetto”. Una visione plurale della realtà che, sebbene studiata e analizzata, ha ben poco dello scientifico, quanto piuttosto dell’istintuale. WILLIAM COBBING Man in the planet F Francesco Candeloro, “Quotidiani Francesco Candeloro, Movimenti”, Courtesy of Galleria galica, Milano. Di ritorno da una mostra allestita presso Palazzo Fortuny a Venezia, Francesco Candeloro riapproda alla Galleria Galica, dove si confronta con lo spazio espositivo attraverso l’utilizzo di diversi linguaggi. Diversi media ma unico scopo: quello di indagare le modalità e le forme del vedere, di La passione per l’alfabeto ebraico La passione il trait d’union che rappresenta questa collettiva il amalgama in artisti, che lavoro dei tre per formazione, differiscono scelta dei materiali e stile. Le lettere di questo alfabeto e diventano spunti di riflessione i di narrazione per gli artisti, media, quali, attraverso differenti che intessono percorsi suggestivi delle vanno oltre il significato aprirsi a parole e dei caratteri per e di mondi fatti di stati d’animo emozioni. Levy si confronta con la paesaggi o terracotta, Ravà edifica sagomabili architetture con lettere con e multicolori, Bohm si misura e acqua: superfici di argilla, rame una collettiva che spazia in stili, materiali e scelte differenti ma che dimostra come una passione semantica può, attraverso la creatività, essere manifestata ed espressa da diversi punti di vista. FRANCESCO CANDELORO Parallele visioni Galleria Galica 19 novembre 2010 / 20 gennaio 2010 Gallery edeschi OBIAS RAVA’ T Courtesy of Galleria Ermanno Milano Tedeschi, Segnali e lettere Ermanno T 16 settembre – 16 novembre 2010 remake delle precedenti ma si remake delle precedenti aspetto prefigge di indagare un Boetti che della poetica artistica di Le opere non è molto conosciuto. agli Anni in esposizione, risalenti a Settanta, sono tutte riconducibili compì un ciclo di lavori che Boetti per le sulla base del suo interesse regole e gli schemi geometrici, matematici e combinatori. L’artista, affascinato dalla bellezza estetica contenuta nell’espressione logica o matematica, si confronta con concetti come la progressione matematica e le unità di misura, rileggendole in chiave artistica e utilizzando oggetti e strumenti estrapolati sia dal quotidiano, sia da moduli geometrici. Il tema del doppio o della doppia versione, viene particolarmente indagato nella trasformazione di nomi in lettere, date in cifre e cifre in lettere, in un gioco che, con regole diverse, porta allo stesso risultato. ARIELA BOHM / GABRIELE LEVY / Alighiero Boetti, Alighiero 1971 “AELLEIGIACCAIERREOBIOETTII”, Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:35 Pagina 105 Pagina 19:35 26-10-2010 1 colore:Layout 11-2010 Satura Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:35 Pagina 106

106 RUBRICA

il tempo e le vicissitudini immagine, acquisendo anche un conservano e ciò che cancellano valore comunicativo che prima diventa il filo conduttore della (forse) non gli apparteneva. In

Rubrica mostra di Cobbing, il quale questa decostruzione mediatica, espone calchi di membra umane e Ramishvili getta un’ombra di video in cui la presenza umana insicurezza e di labile apparenza viene riconosciuta e allo stesso sulla convenzionalità della tempo rinnegata in una visione rappresentazione. Tutto ciò che entropica della realtà. viene rappresentato può sembrare, di primo acchito, DAVIDE LA ROCCA conosciuto o riconoscibile ma, Ritratti improvvisamente, diventa Corsoveneziaotto Arte intermittente, incomprensibile. Contemporanea Una presenza che sembrerebbe Courtesy of Galleria Carla Sozzani, 16 settembre 2010 / 29 Milano solida si liquefa in una ottobre 2010 dimensione sospesa in cui tutto mostrano l’abilità tecnica attraverso cui l’artista rielabora i suoi ritratti per fornire una visione tanto reale quanto ingannevole della realtà. I soggetti proposti sono bambini contemporanei, messi in posa Koka Ramishvili, “Studi per Green Tea come se fossero i protagonisti di e Red Tea”, 2010, Courtesy of Artra, Courtesy of Galleria Corsoveneziaotto fiabe d’altri tempi. Forse al giorno Milano. Arte Contemporanea, Milano d’oggi, con l’avvento massivo di dvd, televisione e cartoni animati, assume una veste di arbitrarietà La decostruzione dell’immagine sembra fuori luogo parlare delle che pervade ogni singola che opera Davide La Rocca è “vecchie” care storie raccontate. immagine presente in mostra: condotta attraverso una maglia Eppure Loretta Lux rievoca queste l’attendibilità e la “legittimità” di finissima di segni che mirano a narrazioni, che spesso si ogni linguaggio impiegato (e scomporre l’immagine stessa, sino giostrano tra la purezza l’artista ne sonda parecchi) a renderla un insieme di particelle. dell’infanzia e l’inquietudine dei sembra così perdersi in devianti L’artista catanese, classe 1970, è contesti, sino a creare una sorta di diffrazioni. approdato a questo linguaggio corto circuito tra presente e pittorico attraverso uno studio passato, tra visione e sensazione. ULRICH RUCKRIEM sull’immagine moderna e sulla Tutto sembra accentuare questa Galleria A Arte Studio percezione che si ha di nuova bipolarità temporale: la Invernizzi quest’ultima. Rifacendosi a fotografia che, attraverso 22 settembre 2010 / 4 soggetti appartenenti al mondo espedienti tecnici moderni, si novembre 2010-09-16 dello spettacolo, La Rocca li confonde nella pittura, bambini scompone con il suo modo di contemporanei che indossano operare e con l’utilizzo di colori su vestiti d’altri tempi, la fiaba che toni acidi o grigi, restituendo non viene narrata ma che viene un’impressione di disaccordo e espressa attraverso la descrizione talvolta di attrito. In questa mostra visiva di sensazioni percettibili. l’artista siciliano di adozione milanese tenta un nuovo KOKA RAMISHVILI esperimento: la “Vocazione di San Double V Matteo”, celeberrimo quadro del Artra Caravaggio, viene rielaborata 20 settembre 2010 – 22 Koka Ramishvili, “Studi per Green Tea dall’artista attraverso un ottobre 2010 e Red Tea”, 2010, Courtesy of Artra, ribaltamento speculare dei toni Milano. caldi con sfumature di rosso e di Come possono le immagini avere verde. la “pretesa” di rappresentare la realtà fenomenica che ci circonda? Dagli Anni Settanta l’artista LORETTA LUX Questo è il tema focale attorno a tedesco Ulrich Ruckriem si Galleria Carla Sozzani cui ruotano i lavori che Koka confronta con la scultura, 09 settembre 2010 – 31 Ramishvili espone in questa attraverso una ricerca che ancora ottobre 2010 personale. L’artista georgiano oggi prosegue e che non ha pone l’accento sulle fasi del smesso di riserbare nuove Quasi a metà tra fotografia e percorso che porta un dato reale a evoluzioni. pittura, i lavori di Loretta Lux trasformarsi in documento, in La mostra personale in Rubrica 107 RUBRICA Whistable , Indio con cappello, 1973, terracotta, h Indio con cappello, 1973, terracotta, 23 cm WHISTABLE A cura di Susanna Rossini Lisa Petterson Art Caxton Contemporary Gallery “L’estate sta finendo” … È proprio dall’evocazione della nostalgia delle vacanze, che nasce ‘Warm Stones’, olio su tela dell’Artista svedese Lisa Petterson, parte di un gruppo di lavori intitolato ‘Una Gasparini, “che, giorno dopo giorno, ritirato in se stesso e nel proprio silenzio come un antico monaco, ha guardato con occhio fermo e profondo le cose e le persone intorno …” (Dino Formaggio). Gasparini amava l’arte in ogni suo aspetto, faceva della sperimentazione e della ricerca tecnica la sua filosofia, come dimostra la varietà delle opere presenti in mostra, dalla scultura, suo primo amore, alla pittura, al mosaico e ad altre tecniche. Alla base dei suoi studi, il disegno, la potenza evocativa del segno, che riesce ad esplorare l’anima dei suoi soggetti, l’animo dell’uomo, sempre al centro della sua opera, raffigurato con grande profondità. Le sue forme geometriche, l’amore per la natura, l’uso sapiente del colore e la sua smaliziata ironia, ci fanno apprezzare nuovamente un protagonista dell’arte degli anni Cinquanta, che merita di essere riscoperto. Pavia , Art Project ORICHE TOBIAS COLLIER TOBIAS Host Pianissimo 2010 – 6 16 settembre 2010 novembre Definendo “geometria culturale” il sistema che svela le dinamiche dell’omologazione e dell’ossessione per l’omogeneità Tobias della società moderna, e Collier ne indaga principi l’utilizzo fondamenti attraverso di linguaggi differenti e cosmico mettendo a confronto il con il quotidiano. T – OPERE GRUPPO ST Allegra Ravizza PAVIA A cura di Silvia Barbero GASPARINI La dedizione di un monaco innamorato dell’arte Palazzo del Broletto 18-30 settembre 2010 Tito Gasparini, scomparso nel 1987, viene ricordato, nella sua città elettiva, da una mostra che raccoglie una sintesi della sua variegata produzione. Una vita dedicata all’arte, quella di 08 ottobre 2010 – 30 novembre 2010 A cinquant’anni dalla prima esposizione, la mostra presenta una selezione di opere del Gruppo T ponendo l’accento sulle prime ricerche effettuate nell’ottica dell’arte cinetica dai cinque artisti appartenenti al gruppo: Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo e Gabriele Devecchi. CAVINATO PAOLO An Intelligent Design The Flat_Massimo Carasi 17 settembre 2010 – 13 novembre 2010 Attraverso una leggerezza percettibile e una delicatezza molto raffinata, Paolo Cavinato presenta, nella sua prima mostra personale, una selezione di opere che spaziano dalla scultura-installazione alla struttura geometrica, guidando lo spettatore in reti ben tessute di frammenti atemporali. AWA T Galleria Suzy Shammah 16 settembre 2010 – 13 novembre 2010 Seconda personale alla Galleria Suzy Shammah per l’artista berlinese Florian Slotawa. Come già nel 2007, anche in questa occasione Slotawa avvia negli spazi della galleria un processo di decontestualizzazione spaziale e concettuale, coinvolgendo, per la prima volta, gli averi della sua famiglia. TERRE VULNERABILI – A GROWING EXHIBITION Hangar Bicocca Da ottobre 2010 a maggio 2011 Prende avvio a partire dal 21 ottobre 2010 la prima delle quattro mostre del progetto curato da Chiara Bertola e Andrea Lissoni. “Le soluzioni vere arrivano dal basso” è il titolo della prima esposizione che inaugura un “work in progress” di mostre che si succederanno sino a maggio, innestando e mutandosi l’una nell’altra con una rosa di artisti internazionali di livello. questione presenta settanta questione presenta al ciclo disegni appartenenti ha caratterizzato la creativo che ultimi tre anni. sua opera degli da sempre La grafica ha accompagnato l’attività e questa scultorea di Ruckriem esposizione vuole celebrare questa tecnica di supporto importante nella ricerca dei dell’artista. L’approccio dettato disegni è casuale, viene dall’impulso, ma dalla si crea spontaneità del segno su cui pian piano una forma, il Ruckriem interviene con di colore. L’arbitrarietà, punto partenza da cui si sviluppa in una l’opera, si tramuta così serie di passaggi che conducono a una delineazione di una forma precisa, atta ad essere utilizzata dall’artista in diversi modi, in una trasferibilità e volubilità tipiche della produzione di questo artista. MILANO APPUNTAMENTI FLORIAN SLO Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:35 Pagina 107 Pagina 19:35 26-10-2010 1 colore:Layout 11-2010 Satura Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:35 Pagina 108

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stereotipi come le tipiche case da luoghi da parte del turista e spiaggia inglesi (‘beach huts’) e appiattendo gli oggetti, quindi resi più familiari. Questi rendendoli bidimensionali, li

Rubrica oggetti, riconoscibili e trasforma in simboli. tridimensionali, risaltano ancora L’ olio su tela presenta un di più grazie allo sfondo astratto, vicendevole alternarsi di bidimensionale delle nuvole come bidimensionalità e carta da parati. I profili spessi tridimensionalità, ottenuto delle figure, in contrasto con le attraverso i fiori che si avvolgono linee sottili dei ciotoli sulla intorno ai seggiolini, la cui spiaggia, ricordano la Pop Art, bidimensionalità è suggerita dallo movimento che ha senza dubbio stile monocromatico. Lo sfondo è influenzato l’artista, che vive in caratterizzato dai toni sobri, che Inghilterra dal 1995 e lavora rimandano al mondo orientale, in ‘Tourist: Stools’, 100x100cm, olio su anche come graphic designer. contrapposizione coi colori tela. Image Courtesy Lisa Petterson Le figure risultano quasi come psichedelici in primo piano. delle caricature che rendono Si può percepire il fascino che il valigia piena di sabbia’ (A suitcase questi ritratti estivi poco realistici mondo orientale ha suscitato full of sand). e privati dell’ aspetto nostalgico. nell’artista durante i suoi viaggi L’artista si ispira alle tipiche Il dipinto ‘Tourist : Stools’ fa parte dove, come dice l’artista stessa, è cartoline delle vacanze al mare ed di una serie di 15 olii su tela stata particolarmente colpita dagli ironizza sul tema. intitolata ‘Tourist Series’ che Lisa inchiostri ed incisioni su legno e Il suo è un ritratto di estati calde e ha creato vivendo a Saigon, in opere di tipo grafico, caratterizzate a colori pastello, da un lato molto Vietnam nel 2006. L’artista da uno stile bidimensionale e riconoscibili, grazie all’ uso di ironizza sulla percezione dei puramente decorativo. http://lisapettersson.com/

SATURA arte letteratura spettacolo 1^ Edizione Premio di Poesia Inedita “Satura - Città di Genova” Premiazione sabato 11 dicembre 2010

Premio di poesia inedita “Satura – Città di Genova” un concorso a tema libero, finaliz- zato a dare visibilità all’attività poetica, la meno mercificata delle arti, e, negli ultimi tempi, troppo spesso relegata in angusti spazi del panorama culturale italiano. Noi ri- teniamo invece che la poesia sia l’attività umana che più di ogni altra tende, in mezzo al trionfo dell’inautentico, a restituirci quello che ci è stato sottratto, a dare un senso non effimero alla nostra esistenza a porsi come un itinerario verso la verità attraverso la Parola. E la nostra Associazione – interdisciplinare nel campo artistico, occupandosi anche di narrativa, arti figurative e musica, - vuole anche testimoniare la crescente sen- sibilità che all’arte poetica rivolge la città di Genova, dove ha luogo ogni anno, nel mese di giugno, un Festival Internazionale della Poesia. La Liguria è terra di poeti: molti vi ebbero i natali e, altrettanti, giungendo da luoghi lontani, se ne innamorarono e le de- dicarono il loro canto. In questo solco vuole porsi, con umiltà il premio “Satura – Città di Genova” la premiazione è stata fissata per Sabato 11 dicembre 2010 ore 17:00. Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:35 Pagina 109

FESTIVAL DELLA LETTERATURA DEL CRIMINE 109

FESTIVAL DELLA & Drama Crime LETTERATURA DEL CRIMINE Crime & Drama Sesta Edizione Palazzo Stella, Genova 25 – 26 – 27 novembre 2010

Genova si tinge di giallo, nella sede dell’Associazione Culturale SA- TURA, Piazza Stella 5, Genova. Il presidente Mario Napoli e il suo staff hanno organizzato una tre giorni dedicata alla letteratura del crimine, 25 – 26 – 27 novembre 2010. L’evento, alla sua sesta edizione, porterà a Genova ventotto autori nazionali ed internazionali di successo, sug- geriti dalle maggiori case editrici italiane e straniere. Insieme agli Au- tori interverranno personalità di spicco del mondo della cultura ed esperti di settore. Il tutto sarà condito da stacchi musicali, brevi let- ture, e coreografie in tema.

Questi i numeri del festival: tre giorni dedicati alla letteratura del cri- mine, ventotto gli autori, trentadue gli interventi, ventidue gli editori, quarasei i giovani selezionati attraverso il concorso “Il Giallo in Classe”, sessanta gli artisti invitati a partecipare alla rassegna d’arte “Probabili indizi. Numerosi gli eventi correlati: la mostra fotografica Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:35 Pagina 110

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“Crime” di Maura Ghiselli, il ciclo di conferenze “Liguria noir”, curata dal Centro Studi Criminalistica di Genova, l’esposizione “Giallo sulle scale” curata da Silvia Barbero e Flavia Motolese, la musica “Musica e Noir!” curata da Fiorenza Bucciarelli, l’iniziativa editoriale “Il gialla- stro” presentazione del volume che raccoglie le storie gialle dei gio- vanissimi vincitori del concorso nazionale “Il giallo in classe 2009” con la collaborazione della De Ferrari Editore che ha permesso la pub- blicazione e distribuzione del volume.

Teatro del Festival sarà Palazzo Stella, sede dell’Associazione, a pochi passi dal Ducale e dall’Acquario di Genova. L’ingresso è Libero. La manifestazione è patrocinata con partecipazione finanziaria di Re- gione Liguria, Provincia di Genova, Comune di Genova e Municipio 1 Centro Est. In collaborazione con Il Secolo XIX e Radio 19. Si ringra- zia il Centro Studi Criminalistica di Genova.

Quest’anno proseguiremo nel programma delineato nel 2009, di allar- gamento degli orizzonti del Festival, ad includere tutta la letteratura che vuole e sa narrare una storia. Rimangono quindi al di fuori solo le correnti di avanguardia, gli autori sperimentali, ma tutto ciò che per essere narrato ha necessità di tensione e conflitto tutto ciò noi inten- diamo selezionare e presentare. Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:35 Pagina 111

FESTIVAL DELLA LETTERATURA DEL CRIMINE 111 Crime & Drama Crime

Inoltre, a ben vedere, la cronaca quotidiana è intrisa di autentico my- stery. Dai conflitti tra vicini di casa, le uccisioni apparentemente senza senso di ragazze inconsapevoli, la disperazione di immigrati ed immigrate che trovano qui realtà molto diverse da quelle che erano loro state prospettate: tutto contribuisce a formare un contesto so- ciale che costituisce poi il nostro vissuto quotidiano e di cui la lette- ratura è chiamata a dare conto. Anche sul piano delle opere presentate proseguiamo nel nostro in- tento di dar voce anche alle piccole case editrici, quelle che hanno poca o nulla capacità di imporre i propri autori alla stampa e ai cri- tici cioè, di conseguenza, al pubblico.

Genova vuole porsi al centro del dibattito, cogliendo in anticipo i mag- giori cambiamenti nelle linee narrative che agitano periodicamente il mondo della cultura.

Inviteremo a rispondere a queste domande o a porne delle altre scrit- tori innanzitutto, perché il focus è sulla letteratura, ma anche gior- nalisti, psicologi, medici legali, sociologi, storici e altri. Ogni giorno verranno presentati più romanzi di recente pubblicazione, nell’arco di tempo di mezz’ora ciascuno. Ogni libro verrà introdotto dal noto saggista e scrittore Renato Di Lorenzo, curatore della rassegna, e con l’autore saranno presenti di volta in volta giornalisti e specialisti in settori collegati nonché i giovani delle scuole. Autori e Relatori sa- ranno a disposizione di pubblico e stampa, mezz’ora prima dell’inter- vento, nello Spazio Autori loro dedicato. Satura 11-2010 colore:Layout 1 26-10-2010 19:35 Pagina 112

112 FESTIVAL DELLA LETTERATURA DEL CRIMINE

GLI AUTORI: Giuseppe Aloe, Alan D. Altieri, Claudio Bagnasco, Luca Bandini, Guido Barbazza, Antonella Beccaria, Nicola Biondo, Dario Camilotto, Gianni Canova, Leonardo Coen, Alfredo Colitto, Valter Esposito, Roberto Kel- ler, Angelo Langé, Massimo Lugli, Vincenzo Macrì, Simona Mammano,

Crime Drama & Patrizia Marzocchi, Claudio Paglieri, Giuseppe Pederiali, Simone Pe- rotti, Pierluigi Porazzi, Andrea Pugliese, Carlo Simoncini, Gianni Si- moni, Giorgio Sturlese Tosi, Renato Vallanzasca, Anna Maria Valle,

GLI EDITORI Baldini Castoldi Dalai, Chiarelettere, De Ferrari, Fratelli Frilli, FBE Gar- zanti, Giulio Perrone, Il Maestrale, Ilmiolibro.it, Il Prato, Keller, Ko- walski, Marsilio, Medicea, Mursia, Newton&Compton, Piemme, Rizzoli, Rubbettino, Stampalternativa, Tea.

GLI INTERVENTI: Gigliola Bartolini, Annalisa Berra, Angela Burlando, Sara Busoli, Ric- cardo Caramello, Alberto Caselli Lapeschi, Antonio Cavalieri, Alfredo Chiti, Guido Colella, Igor Dante, Gianni Di Meo, Mario Erasmi, Fabri- zio Fano, Roberto Frank, Laura Lizzio, Raffaella Multedo, Paolo Musso, Pietro Oddone, Emanuele Olcese, Paola Pellegrino, Sara Pinton, Al- berto Poli, Pierangelo Quartero, Maurizio Raso, Fernando Rocca, Ame- deo e Miriam Ronteuroli, Sivia Sale, Sandro Sansò, Emilio Steri, Fabio Strata, Lorenzo Termanini, Chiara Urci, Sergio Verdacchi,

I GIOVANI: Valentina Acerbi, Barbara Acciarito, Mariachiara Arminio, Lucrezia Bacchi, Giulia Barattini, Susanna Boiocchi, Alessandro Braico, Noemi Bruzzone, Ludovico Calderini, Cristina Casula, Ana Gabriela Cedeno Hidalgo, Davide Chignola, Fabio Comazzi, Alessia De Stefani, Riccardo Dornetti, Dalila Fassina, Alessandra Ferraris, Beatrice Fontana, Vale- ria Galvan, Alessandro Gangemi, Giorgia Grandi, Catia Leoncini, Altea Leoni, Davide Maisano, Francesco Maisano, Nicholas Mauri, Debora Mazzotta, Eleonora Molti, Giovanni Nuzzo, Sara Ottonello, Flavio Pe- truzzellis, Dominique Pietropaolo, Carlotta Protopapa, Giulia Re, Chiara Ricci, Rossella Romano, Matteo Scovino, Clara Timossi, Matteo Torriglia, Nicoletta Traverso, Rebecca Trevisan, Andrea Twiss, Omar Varvicchio, Alessandro Vercesi, Pasquale Zampella, Elena Zanella.

Info: 010.246.82.84 – 010.66.29.17 cell.338.291.62.43 e-mail: [email protected] http:// www.satura.it

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