Artribune Magazine N. 16

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Artribune Magazine N. 16 ISSN 2280-8817 MININI DA BRESCIA BAKU CAMBIA VOLTO 9/11 SUDAMERICANO GRANDI GALLERISTI IN SCENA L’AZERBAIJAN DEL XXI SECOLO L’ARCHITETTURA DOPO PINOCHET MENSILE - POSTE ITALIANE S.P.A. SPED. IN A.P. 70% - ROMA - COPIA EURO 0,001 - COPIA 70% - ROMA A.P. SPED. IN S.P.A. MENSILE - POSTE ITALIANE EUROPA CHIAMA CROAZIA ARTHUR C. DANTO GIORNALISMO CULTURALE INCHIESTA: CHI SONO L’ARTE SULLA 28° STELLA IN MEMORIAM LA COLONNA DI MICHELE DANTINI I MEDIATORI MUSEALI? anno iii numero 16 novembre-dicembre 2013 irare il mondo è condizione sine qua non per chi si appassiona o lavora nel mondo dell’arte contemporanea. Girandolo e fa- cendo confronti si ha la sensazione di vivere in un Paese in cui i musei che espongono arte di oggi non intercettino visitatori veri. Tolte le gite scolastiche e gli addetti ai lavori, non rimane granché. Vera o non vera che sia la percezione, è comunque verosimile e dunque vale la pena analizzarla cercandone le concause. Una di queste è che negli ultimi trent’anni il Paese si è divertito realizzando centri d’arte contemporanea in luoghi a seconda dei casi impervi, spiacevoli, fuori dai grandi flussi turistici e comunque malamente collegati. Si è iniziato negli Anni Ottanta con Rivoli, poi con Prato, ma in entrambi i casi (e non si tratta certo di metropoli globali) non certo a Rivoli-centro o a Prato-centro. A Bologna c’era la Gam, ma anche lei in una collocazione margi- TONELLI nale, adiacente al quartiere fieristico: luoghi dove nessun turista “normale” mette piede. Specie in città che hanno indici di permanenza inferiori alle 24 ore. Si è proseguito con una serie di aperture in località diversamente centrali: Nuoro, Siracusa, Pesaro, Cuneo, Codroipo, Benevento, che a un certo punto aveva due ambiziosi centri d’arte, che nessuno però poteva andare a vedere perché MASSIMILIANO stavano, giustappunto, a Benevento. Nel frattempo il quadro internazionale, col quale parte di questi musei dovevano e devono confrontarsi, lavorava in maniera diametralmente opposta. Il principale centro d’arte contemporanea di Londra, la Tate Modern, è raggiungibile a piedi, tramite scenografica passerella pedonale, dalla cattedrale di Saint Paul; il MoMA è il cuore di Manhattan; il Reina Sofía è allo stesso tempo in centro a Madrid e vicino alla principale stazione ferroviaria della città; il Pompidou di Parigi è il posto più raggiungibile che si possa immaginare: chi va in bici ha le stazioni del Velib’, chi va in auto ha un parking sotterraneo, le metro sono a poche decine di metri e perfino la ferrovia RER è vicinissima per tutti coloro che provengono da fuori città. Tutto questo significa, molto banalmente, beneficiare di molti visitatori in più. Significa soprattutto avere tutti quei visitatori che visitano pur non avendo previsto di visitare. Pur non avendolo pianificato. Quanta gente entra e visita il Beaubourg solo perché passeggiando per il Marais ne intravede la mole? Quanta gente, grazie a queste collocazioni strategiche, ha scoperto l’arte contemporanea semplicemente a seguito di una passeggiata da fine settimana in una capitale occidentale? A qualcuno risulta che si possa incontrare per caso, passeggiando, il Maxxi o l’Hangar Bicocca? Questo vulnus logistico quanto inficia il successo dei nostri musei? E quanto rende vani gli investimenti che questi musei richiedono? I modelli, di qui in avanti, dovrebbero dunque cambiare. Non più andare a cercare spazi decentrati (sebbene sia sempre giusto, avendo le risorse, realizzare nuove architetture), bensì rifunzionalizzare spazi centrali o centralissimi in modo, una volta a regime, da poter sfruttare a pieno il passaggio che li lambisce. Avere visitatori senza dover fare una fatica cane per convincerli a venire, in- somma. Buone pratiche in questa direzione ne abbiamo peraltro già in casa. Si prendano le Gallerie d’Italia promosse da Intesa San Paolo: a Milano affacciano su piazza della Scala e anche grazie a questo stanno avendo un successo clamoroso, stanno entrando nel cuore dei milanesi e nei percorsi obbligati dei turisti che, pascolando tra Duomo, Galleria e Montenapoleone, le incontrano per caso e... entrano! Si prenda ad esempio Palazzo Strozzi, autentico hub culturale nel luogo più baricentrale di Firenze, forse ancor più di piazza della Signoria o Ponte Vecchio. Una gestione indipendente, uno spazio al piano nobile per grandi mostre di cassetta, eventi da grandi numeri ma sempre di elevato lignaggio curatoriale e di ricerca. Un caffé, una buona libreria, una piazza culturale (il cortile del palazzo) utilizzata come tale (performance, tavolini all’a- perto) e, nei sotterranei, un vivace, aggiornato e puntuale centro d’arte contemporanea che, guarda caso, è l’unico rimasto in attività in tutta la Toscana, visto che i tanti spazi decentrati di cui sopra (da Siena a Prato passando per Pistoia) o hanno alzato bandiera bianca o minacciano di farlo perché, senza visitatori, non ne è giustificata l’esistenza. Risultato: grande coinvolgimento della città, grande partecipazione, opening che si trasformano in happening urbani con file chilometriche di ordinati fiorentini che ambiscono a esserci. Quando mai ci saranno nuovamente risorse per progettare ulteriori spazi culturali nelle nostre città, questo dovrà essere il modello da seguire per ottimizzare le risorse e, finalmente, fare in modo che anche i musei d’arte contemporanea italiani abbiano ciò che ora non hanno: i visitatori. 4 EDITORIALE awrence Weschler, saggista e scrittore e mente curiosa di quasi tutto, abita a mezz’ora di treno da Grand Central Station, New York, in una villetta ordinatamente foderata di libri, divisi con cura senza badare a categorie come fiction, non- fiction, poesia, arte – e un mucchio di oggetti, bizzarrie, portafortuna, souvenir singolarissimi accumulati in anni di viaggi in Europa, Polonia, Sudamerica, in qualità di staff writer del New Yorker dedito a raccontare “tragedie politiche e commedie culturali”: da Solidarnosc alla fine della dittatura in Brasile, dalle scoperte ottiche di David Hockney ai terribili parallelismi tra Vermeer e l’orrore della guerra in Bosnia. Gli ho chiesto, come faccio da qualche tempo a questa parte con alcune personalità appartenenti alle discipline più diverse (per circa un anno i testi sono usciti su Domus), di raccontare alcuni libri che hanno scandito la storia della sua vita. Per que- sto intervento su Artribune ho selezionato tre dei dieci titoli straordinari che ha segnalato nel corso delle nostre conversazioni RICUPERATI digitali. * * * GIANLUIGI Grace Paley, Enormi cambiamenti all’ultimo minuto. Grace Paley era una piccola donna ebrea straordinariamente risoluta e combattiva, sempre in prima fila alle manifestazioni cui decideva di partecipare. La sua scrittura era fantasticamente incisi- va. In un suo racconto scrive: “Everyone real or invented deserves the open destiny of life”. Questa è anche una delle questioni principali riguardanti la scrittura non narrativa. È questo che devi raccontare quando scrivi: ciò che è accaduto, nella maniera irripetibile in cui è accaduto, è stato possibile e va legittimato proprio perché tutti gli attori coinvolti erano liberi di agire in qualsiasi altra direzione. Le persone sono libere. E nella tua scrittura lo devi rendere palpabile. La sua scrittura è pervasa po- sitivamente da questo senso di libertà delle persone. Persone per cui le cose cambiano all’improvviso, a cui accadono “enormi cambiamenti all’ultimo minuto”. E lei era una grande maestra nello scrivere di questo. Hans Vaihinger, The Philosophy of “As-If”. È un testo molto interessante, dell’inizio del secolo scorso, anche se è stato poi pubblicato in Inghilterra nel 1924. Vaihinger è stato un neo-kantiano, era interessato alla finzione euristica, era interessato al modo in cui ci comportiamo “come se”. Ti comporti “come se” potessi ottenere davvero la radice quadrata di un numero negativo, anche se non è possibile, semplicemente perché è un assunto euristico, è utile. Il libro si intitola La filosofia del “come se” e i capitoli sono fatti di cose infinitamente piccole. È un libro sul criterio funzionale e il suo significato, e sa essere divertente e bizzarro al tempo stesso. R.B. Onians, The Origins of European Thought about the Body, the Mind, the Soul, the World, Time and Fate. È dello stesso periodo del precedente, credo intorno al 1930. Me l’ha fatto scoprire il mio professore di latino a Santa Cruz, Norman O’Brown. È un libro che indaga i primordi della lingua: le parole della lingua presocratica, ad esempio. Onians nota come la parola ‘genio’ abbia la stessa radice della parola ‘gene’. Nota che ‘cereale’, il seme, ha la stessa radice di ‘cervello’ e riesce a dimostrare che i Greci credevano che il fluido intorno al cervello fosse della stessa materia del fluido seminale. E ragiona in profondità, trova analogie anche tra ‘corno’ e ‘cranio’ e ‘cornucopia’… è un libro pazzesco. Lo fa con ogni parola, con ‘tempo’, con ‘corpo’, ‘mente’, ‘anima’ e ‘mondo’ e ‘destino’: è un esempio meraviglioso di archeologia del pensiero. Ed è anche un ottimo libro da tenere in bagno per trovare qualcosa di nuovo e sorprendente da leggere ogni giorno! Scrittore, saggista, dean della Domus Academuy L’ALTRO EDITORIALE 5 ASTE ITALIANE. ALL’ESTERO PROVA DI POSITIVITÀ, I BENTHAM A CASABLANCA farsi un giro tra le preview ai come nell’ultimo anno si ue tematiche scoppiate in- A delle Italian Sale a Londra Mstanno sviluppando, ovun- Dsieme, diversissime nei con- viene prima invidia poi rabbia. que, a qualsiasi latitudine, tentativi tenuti ma con punti in comune. Perché in Italia non si riesce a far- di risposta al declino, parola amata Il Panopticon di Bentham, il lo? Le case d’asta sono costrette a dallo sfortunato Giannino. Altro progetto illuminista di una pri- creare altrove un mercato di arte non sono che tentativi di soprav- gione dove si può vedere tutto italiana. Ci sono preview nelle vivenza e costruzione anche nelle TAIUTI senza essere visti, è sempre stato nostre città ma si vende altrove.
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