«»: il castello Il mondo di

Abstract – (1946) and Gormenghast (1950) are the first two books of the trilogy written by Mervyn Peake. They are set in the ancient and crumbling castle of Gormenghast, a place where time seems to have stopped and where nobody has ever left or come to. The first aim of this essay is the exploration of the representation of the castle of Gormenghast: since it has been defined as the typical gothic structure, it is considered how Gormenghast diverges from the traditional stereotypes of the genre. Mervyn Peake creates a labyrinthine place, isolated in time and space, which gradually seems to expand its volume, multiplying rooms and roofs. It is remarked the symbolic value of the castle and how the inhabitants and the villain relate with this place. In fact, all the characters, except for the protagonist and the villain, are defined in their identity by a room, which becomes their own universe. In the last part of the essay, it is underlined how the metamorphosis of the castle is followed by the metamorphosis of the villain Steerpike as embodiment of pure evil. doi: 10.7358/acme-2012-003-bell

Il castello è per eccellenza tra i luoghi dell’immaginazione letteraria: co- struzione architettonica fondamentale della tradizione letteraria europea, esso è stato riproposto, nei secoli, in generi letterari di diversa origine. Accanto al castello magico legato al mondo delle fiabe, del poema ca- valleresco e del ciclo arturiano, troviamo il castello shakespeariano di Hamlet e di Macbeth, uno spazio scenico caratterizzato da sotterfugi, violenze e terribili omicidi, celati dalla spaventosa oscurità delle tenebre. Secondo Paolo Orvieto, il castello costituisce, insieme a altri luoghi di segregazione ed erranza come la casa o la caverna, «un tema letterario che tuttavia è, alle radici, un mito letterario […]». Perciò, esso è:

[…] atemporale e transculturale (a livello primordiale di mito è di inte- resse “antropologico”), ma per altro verso assume anche un radicamento culturale […] perciò il tema pur “trascendente” per la sua genesi mitica, è sempre anche interprete significativo e contingente dell’ideologia, della

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cultura e delle paure del preciso momento storico […] da trascendente si fa immanente, per adattarsi al tempus e al genius loci […]. 1 La definizione suggerita da Orvieto potrebbe apparire forzata, se si pren- dono in considerazione i miti greci e latini più celebri. Tuttavia, come so- stiene Jean Rousset, uno dei tratti fondamentali del mito è «son pouvoir durable sur la conscience collective; celui-ci va de pair avec son aptitude à toujours naître et renaître en se transformant» 2. Perciò, è essenziale con- siderare l’evoluzione del castello come luogo simbolico, sia nella realtà sociale storica, sia nell’immaginario letterario. Nel Medio Evo, il castello era uno spazio fondamentale: centro di organizzazione sociale e politica, ma soprattutto, per la sua imponenza strutturale, espressione del potere. Perciò, data la centralità del castello nella vita sociale, non appare strano l’utilizzo, nella letteratura europea, di questa costruzione architettonica come lo spazio privilegiato in cui ambientare romanzi e opere teatrali. La persistenza del castello, nel passaggio dal Medio Evo alla cultu- ra elisabettiana, dalla letteratura gotica e romantica al periodo contem- poraneo, è il risultato del fatto che «ce que protège le château, c’est la transcendance du spirituel. Il est censé abriter un pouvoir mystérieux et insaisissable» 3. Tuttavia, è soprattutto con la nascita del romanzo goti- co, dalla pubblicazione di The Castle of Otranto di Horace Walpole nel 1764 in poi, almeno fino a Walter Scott, che il castello diventa il centro dell’azione narrativa. La fortezza gotica si trasforma nel luogo abitato dal “male”, in cui si celano oscure presenze e in cui vengono compiuti i delitti più efferati. Esso, come afferma Mirella Billi: […] è luogo privilegiato e immancabile, sempre feudale, imponente, im- penetrabile, appare il prodotto del suolo da cui emerge come la testa di un gigantesco corpo naturale al quale è legato da radici profonde, tentacolari, simili a quelli di un albero immane. I personaggi, creati da autori come Walpole, Radcliffe, si trovano a confrontarsi con le loro paure all’interno delle mura del castello. 4 Dietro le mura si celano i sotterranei e i corridoi, che formano un labi- rinto in cui la perdita dell’orientamento fa presagire la crisi dell’identità. Il castello di Gormenghast, spazio scenico in cui si intrecciano i de- stini dei personaggi della trilogia di Gormenghast 5 di Mervyn Peake, si inserisce nel discorso letterario degli anni quaranta-cinquanta del Nove-

1) orvieto 2004, p. 8. 2) rousset 1978, p. 7. 3) chevalier - Gheerbrant 1973, p. 340. 4) Billi 1986, p. 29. 5) la composizione e la pubblicazione della trilogia di Gormenghast si articola in un arco di tempo di circa venti anni. Il primo libro della trilogia, Titus Groan, è pubblica- to nel 1946, mentre Gormenghast e sono pubblicati, rispettivamente, nel 1950

ACME - Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano Volume LXV - Fascicolo III - Settembre-Dicembre 2012 www.ledonline.it/acme/ «Gormenghast»: il castello. Il mondo di Mervyn Peake 185 cento, a cui l’autore dà un suo contributo significativo, attingendo non solo alla tradizione letteraria precedente, ma anche all’esperienza perso- nale. Perciò, le mura di Gormenghast, che separano l’interno dal misero spazio esterno dei Mud Dwellers, richiamano alla mente il compound cinese dell’infanzia di Peake 6. D’altra parte, è importante ricordare che Peake si dedica alla stesura di Titus Groan in un periodo drammatico come la Seconda Guerra Mondiale, mentre era arruolato nell’esercito co- me soldato d’artiglieria. L’esercito, con la sua rigida organizzazione si configura come una dimensione estranea alla personalità eclettica dell’ar- tista, che si sente impossibilitato a sfruttare il suo talento. Solo nel 1942, Peake verrà chiamato a contribuire come war artist e la visita, nel 1945, ai campi di concentramento di Bergen-Belsen rimarrà indelebile nella sua memoria, tanto da influenzare la sua visione artistica. Infatti, sebbene lo scrittore non fosse stato coinvolto nelle operazioni belliche, egli rimase, senza dubbio, segnato dall’esperienza del conflitto. Perciò, non sembra azzardato ipotizzare che la scelta di scrivere un romanzo come Titus Groan, ambientato in un mondo lontano dalla dimensione quotidiana e isolato nello spazio e nel tempo, fosse una precisa esigenza per allonta- narsi da una difficile realtà storica. Inoltre, come afferma Carlo Pagetti: «[…] ci si chiede quanto del sistema di elaborati rituali che scandiscono il tem­po nel castello di Gormenghast abbia una corrispondenza “storica” nella­ pompa scenografica che caratterizzava il regime nazista, il cui disfa- cimento Peake aveva intravisto» 7. Il castello di Gormenghast, con le sue anomalie e le sue rovine di- venta la metafora di quell’estetica del grottesco che caratterizza lo stile di Peake sia nella produzione letteraria sia nella produzione artistica. Nel disegno peakiano, così come nella prosa e nella pittura prevale la rappre- sentazione parodica della deformità, della bruttezza e dell’anomalia. Nei ritratti delle persone e dei personaggi i difetti fisici e morali sono con- tinuamente sottolineati e ingigantiti, fino a essere posti in primo piano. L’universo di Gormenghast è un mondo parallelo a quello del lettore, ma profondamente diverso da luoghi letterari come la Middle Earth di The Lord of the Rings di J.R.R. Tolkien, la cui pubblicazione si articola più o meno nello stesso periodo. Infatti, la Middle Earth tolkieniana è un mondo pre-industriale, parallelo e alternativo al mondo empirico, con confini geografici precisi. Come afferma Rosebury, Tolkien «offers an

e nel 1959. I romanzi presentano numerose differenze stilistiche, che sono il frutto delle circostanze storiche del momento e dell’esperienze personali dell’autore. 6) Per conoscere e approfondire la vita e l’esperienza artistica dell’autore si rimanda ai memoirs e alle biografie che sono state scritte dalla morte di Peake, nel 1968, in poi. Per i memoirs, scritti da familiari e amici dell’autore, si vedano: Gilmore 1999, Smith 1984, Peake 1999. Per le biografie: Watney 1976, Yorke 2000, Winnington 2009. 7) Pagetti 2001, pp. 186-187.

ACME - Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano Volume LXV - Fascicolo III - Settembre-Dicembre 2012 www.ledonline.it/acme/ 186 silvia bellotti alternative history» 8; ma soprattutto l’autore di The Lord of the Rings concepisce lo spazio come una dimensione in cui i movimenti dei perso- naggi sono fondamentali per lo sviluppo dell’andamento narrativo. Inve- ce, Gormenghast è privo di indicazioni geografiche e i personaggi si spo- stano entro i confini limitati del castello e del territorio circostante senza una logica apparente, se non quella determinata dal ripetersi degli antichi rituali che vengono seguiti con assoluta fedeltà. Come afferma Manlove: «[…] the essence of Gormenghast and its people is changelessness. […] At the heart of Gormenghast’s life are the static and the antique Ritual and immemorial loyalty to the Stones» 9. Inoltre, l’impossibilità di misu- rare lo spazio del regno di Gormenghast richiama alla mente il Castello di Franz Kafka, pubblicato in Germania nel 1926, in cui il protagonista, l’agrimensore K., viene chiamato per misurare i confini di un palazzo misterioso. Il lavoro si rivela impossibile, poiché K. è ostacolato dagli abitanti del villaggio e dall’incomprensibile burocrazia del Castello. Il mondo costruito da Kafka «is divided into two irreconcilable halves, vil- lage and castle. Yet to be in the village, in a certain sense, is to be in the castle» 10. Nelle consuetudini e nelle assurde regole, che caratteriz- zano l’universo di Gormenghast, riecheggia la burocrazia del Castello di Kafka, seppure la staticità del castello kafkiano si configuri in maniera ancora più esasperata 11, dal momento che Gormenghast è attraversato da eventi che ne minacciano l’immobilità e segnalano la sua interna fragilità. Se David Punter considera il castello di Gormenghast una costru- zione gotica per eccellenza 12; tuttavia, Alice Mills giustamente puntualiz- za che: «Gormenghast is remarkably free from alignement with Gothic convention» 13. Infatti, il castello gotico della tradizione letteraria si iden- tifica, di solito, con la mente del villain machiavellico, mentre, in Titus Groan e Gormenghast, il malvagio Steerpike si pone come l’antagonista dei valori espressi dal castello, contro il quale combatte la sua battaglia personale. Gaston Bachelard afferma che «tout espace vraiment habité porte l’essence de la notion de maison» 14. Per quanto possa apparire remoto agli occhi del lettore, il castello di Gormenghast, è la casa dei personaggi, che non solo lo abitano, ma provano un vero senso di ap- partenenza e di identificazione con esso. Nell’universo di Gormenghast

8) rosebury 2003, p. 114. 9) manlove 1978, p. 225. 10) Dowden 2010, p. 68. 11) Dowden ritiene che «the castle and its grotesque, bureaucratic apparatus […] are emblems of the blockage that prevent K. and the villagers from finding a way out of the eternal winter of the soul that imprisons them» (ivi, p. 75). 12) Punter 1996, p. 122. 13) mills 2005, p. 69. 14) Bachelard 1984, p. 26.

ACME - Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano Volume LXV - Fascicolo III - Settembre-Dicembre 2012 www.ledonline.it/acme/ «Gormenghast»: il castello. Il mondo di Mervyn Peake 187 i rituali hanno assunto il posto della religione, la dimensione teologica appare assente: nessun dio viene mai nominato, poiché gli abitanti del castello «worship a set of physical objects and the tradition associated with them» 15. Lo stretto collegamento tra i personaggi e Gormenghast appare visi- bile nel modo in cui la voce autoriale sceglie di delineare le caratteristiche architettoniche del castello peakiano. Infatti, all’inizio di Titus Groan, il narratore onnisciente pone l’accento sull’imponenza e sull’antichità di Gormenghast, stabilendo una netta opposizione tra lo spazio interno del castello, definito «inner world», e lo spazio esterno del castello, chia- mato «outer quarter» 16. Gli Outer Dwellers, nonostante facciano parte del territorio di Gormenghast e ne osservino le regole, sono conside- rati, e loro stessi si considerano, estranei ad esso. La scelta di definire Gormenghast inner world è significativa, in quanto il narratore suggeri- sce, implicitamente, che la dimensione del castello si configura come un mondo a parte, separato ed autosufficiente nel suo isolamento rispetto all’ambiente circostante. Non è contemplata l’idea che esista altro rispet- to al castello di Gormenghast, tanto che il mondo empirico non è mai nominato. Manlove afferma che il castello è «isolated – more isolated than any other fantastic realm from our world and indeed from any con- tinuum of time or space. Our reality is simply never mentioned» 17. Il mondo degli «Outer-Dwellers» non suscita il minimo interesse da parte degli abitanti dell’«inner world» di Gormenghast, che sono «submerged within the shadows of the great walls» 18. Gli Outer-Dwellers sono «for- gotten people» 19: essi non sono coinvolti nell’esistenza del castello e l’u- nico giorno in cui gli abitanti del castello si ricordano di loro è il «day of carvings». Questa divisione tra «inner world» e «outer world» non è solo una contrapposizione fisica a livello spaziale, ma piuttosto è l’em- blema di un’opposizione sociale: gli aristocratici e la servitù all’interno del castello, mentre i poveri abitanti delle capanne di fango abitano al di fuori delle mura. Gormenghast non è mai descritto in tutta la sua interezza, e la sua struttura si modifica, aumentando di volume, con il susseguirsi degli eventi. Perciò le dimensioni del castello possono solo essere intuite, ma non definite 20. Secondo Pagetti, il castello è caratterizzato da «un’archi- tettura proliferante e labirintica, inesplorabile nella sua interezza, meta-

15) sanders 1984, p. 77. 16) Peake [1946] 1998, pp. 15-16. 17) manlove 1978, p. 217. 18) Peake [1946] 1998, p. 16. 19) Ivi, p. 17. 20) a questo proposito, vd. Mills 2005, p. 67.

ACME - Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano Volume LXV - Fascicolo III - Settembre-Dicembre 2012 www.ledonline.it/acme/ 188 silvia bellotti morfica ed eminentemente notturna» 21. Tuttavia, il territorio di Gor- menghast non si limita allo spazio del castello o alle zone immediata- mente circostanti; la fortezza peakiana è circondata da uno scenario fatto di foreste, laghi, mentre sullo sfondo torreggia la montagna di Gormeng- hast. Il paesaggio che si offre al lettore è animato da forze irrazionali, che appaiono demoniache: There were the trees that huddled together as though they were cold or in fear. There were trees that gesticulated. There were those that seemed to support one of their number who appeared wounded. There were the arrogant groups, and the mournful, with their head bowed: the exult- ant copses and those where every tree appeared to be asleep. […] The landscape was alive […] the morning sunbeams dancing over them in hazes of ground-light. 22 I verbi «huddle», «gesticulate», «wound» rendono l’idea che gli alberi siano antropomorfizzati. La vitalità della natura si oppone, con i suoi co- lori e la luminosità, all’immobilità secolare di Gormenghast. Se lo spazio esterno è associabile al movimento, al cambiamento, al ciclo delle sta- gioni; lo spazio interno del castello è associabile a una forma di staticità atemporale, come si trattasse di un organismo pietrificato. La voce narrante utilizza, per descrivere il castello, espressioni come «ancient law», «the shadows of time-eaten buttresses […] broken and lofty turrets» 23, sottolineandone l’antichità. Lo scorrere del tempo si ri- flette sulle mura diroccate di Gormenghast; paradossalmente la storia dei Groan è sempre evocata ma mai narrata, malgrado ciò il passato è consi- derato la linfa vitale di Gormenghast. Inoltre il termine «stone» ricorre, spesso, con la funzione di sineddoche, evocando la pesantezza e l’immo- bilità del castello; allo stesso tempo esso è usato per sottolineare, impli- citamente, la resistenza del castello al tempo e al cambiamento. Nelle de- scrizioni prevale un’atmosfera cupa, dominata dal colore nero, dalle om- bre che si proiettano sulle mura della fortezza, dalla perturbante «Tower of Flints» che «patched unevenly with black ivy, arose like a mutilated finger from among the fists of knuckled masonry and pointed blasphe- mously at heaven» e che di notte si trasforma in «an echoing throat» 24. Anche i personaggi della trilogia appaiono funzionali a un ruolo ben definito all’interno del castello. Ognuno di essi sembra essere determi- nato nella sua identità da un ambiente preciso, di solito una stanza che si configura come il suo personale universo, all’interno della struttura fatta di cunicoli e corridoi labirintici del castello. Paradossalmente, l’u-

21) Pagetti 2001, p. 183. 22) Peake [1950] 1998, p. 97. 23) Peake [1946] 1998, p. 15. 24) Ibidem.

ACME - Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano Volume LXV - Fascicolo III - Settembre-Dicembre 2012 www.ledonline.it/acme/ «Gormenghast»: il castello. Il mondo di Mervyn Peake 189 nica eccezione è rappresentata da Titus, l’erede di Gormenghast, che è proiettato verso l’esterno, desideroso di scoprire cosa si cela al di là delle mura. Lo spazio assume una valenza simbolica; Alice Mills afferma che le stanze dei personaggi «function at times as sanctuary» 25. I protagonisti principali appaiono isolati nella loro dimensione privata e questa condi- zione non è solo il risultato della lontananza di Gormenghast dal mon- do esterno. Luoghi come la «Room of Roots», la soffitta di Fuchsia, la sorella di Titus, la «Great Kitchen» sotterranea costituiscono dei mondi a parte, all’interno dell’enorme struttura architettonica di Gormenghast. La «Great Kitchen» viene descritta dal punto di vista di Flay, uno dei personaggi più fedeli ai valori della «House of Groan», tuttavia, essa è il dominio personale del cuoco Swelter: […] the walls of the vast room which were streaming with calid mois- ture, were built with greyslabs of stone and were the personal concern of a company of eighteen men known as the “Grey Scrubbers” […] divided by the heavy stone wall in which was situated a hatch of strong timber, was the garde-manager with its stacks of cold meat and hang- ing carcasses and on the inside of the wall the spit. On a fixed table running along a length of the wall were huge bowls capable of holding fifty portions. The stock-pot were perpetually simmering, having boiled over, and the floor about them was a mess of sepia fluid and egg-shells that had been floating in the pots for the purpose of clearing the soup. […] Hanging along the dripping walls were rows of sticking knives and steels, boning knives, skinning knives and two-handed cleavers, and beneath them a twelve-foot by nine-foot chopping block, cross-hatched and hollowed by decades of long wounds. 26 Il grasso che cola dai muri, il vapore, che pervade la stanza, sono elementi che contribuiscono a creare una sensazione claustrofobica, opprimente, che anticipa l’ingombrante e sudicia presenza di Swelter. I coltelli, appesi al muro, sono elencati uno a uno e la voce autoriale sembra indugiare sulla loro descrizione. L’elenco inizia con gli «sticking knives», i «bon- ing knives», gli «skinning knives» e infine le minacciose «two-handed cleavers»; si crea un effetto di climax ascendente che trasmette una sen- sazione di disgusto, come se gli strumenti da cucina fossero, piuttosto, oggetti di tortura. Il cuoco è descritto mentre, attorniato dai suoi apprendisti, festeggia ubriaco la nascita del nuovo erede dei Groan. La voce narrante si soffer- ma sui dettagli. I raggi di sole, riflessi dalle piastrelle della cucina: […] swayed to and fro across the paunch. This particular pool of light moving in a mesmeric manner backwards and forwards picked out from

25) mills 2005, p. 71. 26) Peake [1946] 1998, pp. 29-30.

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time to time a long red Island of spilt wine. It seemed to leap forward from the mottled cloth when the light fastened upon it in startling con- trast to the chiaroscuro and to defy the laws of tone. 27 Viene dunque sottolineata una corrispondenza tra i personaggi e i luoghi da essi abitati e, con il procedere della narrazione, questo collegamento è reso sempre più esplicito. A conferma grottesca che il castello è una «home», la casa di tutti coloro che la abitano 28. Il malinconico Lord è il personaggio che si immedesima maggiormente con Gormenghast; il suo bisogno di solitudine e di isola- mento lo spinge a identificarsi totalmente con il castello: How could he love this place? He was part of it. He could not imag- ine a world outside it; and the idea of loving Gormenghast would have shocked him. To have asked him of his feelings for his hereditary home would be like asking a man what his feelings were towards his own hand or his own throat. 29 Il luogo favorito del conte è la biblioteca, definita come «his realm», do- ve può dedicarsi alla lettura, il vero piacere della sua vita. La biblioteca è pervasa da un’atmosfera tetra, accentuata dalla labile presenza di luce, irradiata da poche candele. La personalità malinconica di Sepulchrave si riflette in questo spazio ed è, a sua volta, riflessa dall’architettura, che appare: […] to spread outwards from him as from a core. His detection infected the air about him and diffused its illness upon every side. All things in the long room absorbed his melancholia. The shadowing galleries brooded with slow anguish; the books receding into the deep corners, tier upon tier, seemed each a separate tragic note in a monumental fugue of volumes. 30 Sepulchrave è definito il «core» della biblioteca; egli è paragonato, at- traverso l’uso di termini quali «infected», «diffused its illness», che ri- chiamano il campo semantico della malattia, a un malato, che contagia la stanza con la sua «illness», la depressione. Perciò, lo spazio della bi- blioteca sembra essere dotato di proprietà curative, assorbendo i pen- sieri tetri del conte. D’altra parte ci si chiede quali libri siano depositati in questo spazio, di cosa essi possano trattare se non di Gormenghast

27) Ivi, p. 33. 28) A questo proposito Charles Gilbert afferma che: «Peake’s work is not about unhomeliness. It is about home, the home to which his imagination could retreat like Fuchsia to her attic or like the young Mervyn to his original “arena” the compound» (Gilbert 1998, pp. 13-14). 29) Peake [1946] 1998, p. 62. 30) Ivi, p. 204.

ACME - Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano Volume LXV - Fascicolo III - Settembre-Dicembre 2012 www.ledonline.it/acme/ «Gormenghast»: il castello. Il mondo di Mervyn Peake 191 e della dinastia che lo occupa da tempi immemorabili. L’incendio della biblioteca, progettato dalla mente machiavellica di Steerpike, «ridurrà il tripudio delle parole e dei cromatismi in un ammasso di sostanze infor- mi, in un forno crematorio dove prevalgono il nero e il bianco, e al cui centro giace lo scheletro spolpato del gran cerimoniere Sourdust […]» 31. La distruzione della biblioteca presagisce lo sgretolamento della mente di Sepulchrave, che, mentre assiste all’incendio, è incapace di agire: His home of books was on fire. His life was threatened, and he stood quite still. His sensitive mind has ceased to function, for it had played so long in a world of abstracts philosophies that this other world of practi- cal and sudden action had deranged his structure. 32 Il disfacimento del «world of abstract philosophies» della biblioteca porta Sepulchrave a discostarsi dal suo ruolo, rifugiandosi in un mon- do immaginario in cui egli si trasforma in un gufo. L’epilogo è tragico e inquietante, poiché il conte muore divorato dai gufi della «Tower of Flints», cosicché «the metaphorical devouring of nonsense has become the literary devouring of a madman» 33. In un certo senso il mondo im- maginario di Gormenghast non consente il ritorno a una norma rico- noscibile dal lettore, ma semmai spalanca le porte di altre dimensioni ancora più perturbanti e alienanti. Così come la biblioteca è il luogo scelto da Sepulchrave per abban- donarsi ai pensieri più nascosti, allo stesso modo la soffitta è il luogo privilegiato dalla figlia Fuchsia. Per accedere al regno personale della fanciulla, è necessario salire una rampa di scale, celata da una porta, die- tro al letto della sua camera. La penombra della soffitta contrasta con la «darkness» delle scale: la stanza è pervasa da un’atmosfera soffusa, con la polvere che ricopre i mobili e tutti gli oggetti, che si sono ammassati durante le innumerevoli generazioni dei Groan. La soffitta è composta da tre stanze, ma l’ultima è «the loft which was for Fuchsia a very secret place, a kind of pagan crape, an eyrie, a Kingdom never mentioned, for that would have been a breach of faith – a kind of blasphemy» 34. Questo spazio, così privato e nascosto, rende Fuchsia libera di essere se stessa. Nella soffitta sono raccolti i più svariati oggetti: giochi, strumenti musi- cali, aquiloni, che rispecchiano la natura ingenua e infantile di Fuchsia. Gli oggetti riempono la stanza e colmano il vuoto nel cuore della fan- ciulla. Anche in questo caso, come per Sepulchrave, lo spazio diventa un rimedio alla solitudine:

31) Pagetti 2001, p. 188. 32) Peake [1946] 1998, p. 318. 33) mills 2005, p. 81. 34) Peake [1946] 1998, p. 69.

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[…] with what characters she had filled this lost stage of emptiness! It was here that she would see the people of her imagination, the fierce figures of her making, as they strolled from corner to corner, brooded like monsters or flew through the air like seraphs with burnings wings, or danced, or fought, or laughed, or cried. This was her attic of make- believe, where she would watch her mind’s companions advancing or retreating across the dusty floor. 35 Nella stanza è posta «a great writhing root, long since dragged from the woods of Gormenghast Mountain, stood in the centre of the room. It had been polished to a rare gloss, its every wrinkle gleaming» 36. Questo ramo secco costituisce per Fuchsia un cimelio e anticipa la «Room of the Roots» di Cora e Clarice, le sorelle di Lord Groan. Secondo Win- nington, la radice è un simbolo ricorrente in Peake, rappresentando «the woman’s capacity of love, and more particularly the rootedness of a sta- ble sexual relationship. Polished and preserved in her most secret attic, Fuchsia’s root is her virgin sexuality» 37. Tuttavia, dopo l’intrusione di Steerpike nella stanza di Fuchsia, la soffitta non è più un rifugio, «no longer inviolate – secret – mysterious». L’intimità di Fuchsia è simboli- camente violata, e la soffitta: […] was no longer another world but a part of the castle. Its magnet- ism had weakened – its silent, shadowy drama had died and she could no longer bear to revisit it. When last she had ventured up the spiral stairs and entered the musty and familiar atmosphere, Fuchsia had expe- rienced a pang of such sharp nostalgia for what it had once been to her […]. 38 L’incontro con Steerpike pone fine alle illusioni infantili della fanciulla, che si accorge che il suo spazio non è più sotto il suo controllo esclusivo, e costringe Fuchsia a misurarsi con una creatura insidiosa e ingannatrice. Tuttavia, la stanza che riflette di più la dimensione grottesca del ca- stello è la «Room of Roots» delle gemelle Cora e Clarice. Questo spa- zio è sicuramente il simbolo dell’isolamento e dell’invidia che attanaglia le gemelle. Le due sorelle hanno fatto costruire la stanza per attirare uccelli di ogni tipo, attraverso «thousand branching, writhing, coiling, intertwining, diverging, converging» 39. Ogni ramo è stato dipinto con l’idea che ogni uccello, entrando nella stanza, scelga di posarsi sul ramo colorato, che richiama il colore delle proprie piume. È chiaro che questo artificio è stato concepito in opposizione a Gertrude, la moglie del conte,

35) Ivi, p. 80. 36) Ivi, p. 83. 37) Winnington 2006, p. 142. 38) Peake [1946] 1998, p. 271. 39) Ivi, p. 251.

ACME - Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano Volume LXV - Fascicolo III - Settembre-Dicembre 2012 www.ledonline.it/acme/ «Gormenghast»: il castello. Il mondo di Mervyn Peake 193 colpevole, agli occhi delle gemelle, di attirare tutti gli uccelli nella sua stanza. I rami formano un inestricabile «maze», «labyrinth», in cui solo Cora e Clarice sono in grado di muoversi. Tuttavia, la stanza si dimostra un fallimento per le gemelle: i rami, simbolo della loro sterilità, sono «frozen». Anche in questo caso, lo spazio del castello sembra in grado di paralizzare le forze rigeneratrici d’una natura priva di vita. Se all’inizio il castello appare irrigidito, «asleep» nella sua pesante imponenza, l’intrusione di Steerpike innesca un lento cambiamento nella labirintica struttura dell’edificio. Infatti, in Gormenghast, con il proce- dere della narrazione, il castello sembra ingrandirsi a dismisura, provo- cando un senso di smarrimento nel lettore, che segue gli spostamenti di Steerpike. Questo processo di metamorfosi è differente «from the exten- sions of the stereotypical Gothic edifice, whose enlargement lies mainly underground in the forms of dungeons, secret passageways and tunnels built by the Gothic villain to bewilder and imprison» 40. Al contrario, sembra che il modificarsi del castello sia proprio una forma di difesa nei confronti della brama di potere e di conquista di Steerpike. Lettori e per- sonaggi scoprono nuove e misteriose aree del castello; Titus si ritrova disperso in una regione remota «like a child lost in the chasmic maze of a darkening forest. […] Empty, silent, forbidding as a lunar landscape, and as uncharted, a tract of Gormenghast lay all about him» 41. La zona del castello, che diventa come un’oscura foresta, è la materializzazione di paure più profonde e primordiali e suggerisce la perdita dell’identità. Il moltiplicarsi, nello spazio del castello, di corridoi e di passaggi provoca la perdita di ogni forma di orientamento. Così Titus si accorge di essersi perso: I have lost my way. My way? What does that mean? He began to whis- per the words so that he could hear them, but not the castle. […] It means I don’t know where to go. What to do I know then? I know that there is a north, south, east and west. But I don’t know which is which. Aren’t there any other directions? 42 La mancanza di punti di riferimento spinge Titus a mettere in discus- sione perfino la propria identità e le proprie conoscenze. La «forgotten region» del castello provoca paura perfino in Steerpike, che ritrova in queste zona la presenza della «wilderness» 43; l’oscurità diventa oppressi- va e sembra schiacciare il giovane arrampicatore sociale. A questo punto, è interessante notare il commento del narratore, secondo cui: «[…] the walls of Gormenghast were like the walls of paradise or the wall of an

40) mills 2005, p. 70. 41) Peake [1950] 1998, p. 173. 42) Ivi, p. 175. 43) Ivi, p. 251.

ACME - Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano Volume LXV - Fascicolo III - Settembre-Dicembre 2012 www.ledonline.it/acme/ 194 silvia bellotti inferno. The colour were devilish or angelical according to the colour of the mind that watched them» 44. Tuttavia, l’affermazione riflette una con- siderazione anch’essa soggettiva, parziale, che implica un’interpretazione ironica in chiave teologica dei labirinti del castello. Piuttosto, l’inferno e il paradiso vengono nominati come termini di paragone per rendere la descrizione più vivida e potente agli occhi del lettore. In Gormenghast, con il precipitare degli eventi, il castello sembra antropomorfizzarsi e viene definito «a pole-axed monster. Inert, bre- athless, spread-eagled» 45. Inoltre, la presenza di metafore ricorrenti che paragonano il castello a un’isola, come «the Great stone Island of the Groans» 46 o «as though the Castle was an Island of maroons set in deso- late water beyond all trades-routes» 47 anticipa l’avvento della tempesta, che renderà Gormenghast un vero e proprio territorio circondato dalle acque: «[…] the castle could be seen having across the skyline like the sheer sea-wall of a continent […] off whose shores the crowding islands lay; islands of every that towers can be; and archipelagos; and isthmuses and bluffs […]» 48. È fondamentale considerare che l’immagine dell’iso- la 49 è ricorrente nella produzione letteraria peakiana, ad esempio in Cap- tain Slaughterboard Drops Anchor, pubblicato nel 1939, e in Mr Pye, del 1953. Sicuramente si tratta di un simbolo derivante anche all’esperienza dello scrittore e, allo stesso tempo, rinvia all’opera preferita di Peake, Treasure Island di Robert Louis Stevenson. Lo scontro finale tra Titus e Steerpike, verso la fine di Gormenghast, si conclude con la sconfitta e la morte di Steerpike, che sembra porre fine alla minaccia all’ordine e alla tradizione secolare dei Groan, poiché il castello di Gormenghast può ritirarsi in «a kind of natural peace» 50, ma si tratta di una pace relativa che non può nascondere come il castello e i suoi abitanti abbiano comunque subito un attacco devastante, impos- sibile da dimenticare. Infatti, il giovane Steerpike «acts as a power that destroys other people’s territories, Fuchsia’s attics, the Twin’s terrorised rooms, the Earl’s burnt library» 51. Effettivamente, entrando fisicamente nelle stanze private dei personaggi, il villain peakiano non ottiene solo l’accesso allo spazio fisico, ma soprattutto al loro «spazio emotivo», tan-

44) Ivi, p. 257. 45) Ivi, p. 359. 46) Peake [1946] 1998, p. 414. 47) Peake [1950] 1998, p. 93. 48) Ivi, pp. 497-498. 49) Secondo Winnington, l’immagine dell’isola è usata, volutamente, da Peake per simboleggiare la solitudine di ogni individuo: «[…] for Peake, each of us is an Island, “en- tire of itself”, detached from the continent that bore us, and separated from the mainland by a “wild strait”, or even a whole ocean» (Winnington 2006, p. 57). 50) Peake [1950] 1998, p. 494. 51) mills 2005, p. 70.

ACME - Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano Volume LXV - Fascicolo III - Settembre-Dicembre 2012 www.ledonline.it/acme/ «Gormenghast»: il castello. Il mondo di Mervyn Peake 195 to è vero che la conquista della loro fiducia gli permette di manipolarli come marionette. All’inizio, come afferma Rob Hindle, si è tentati di considerare Steerpike come l’eroe del romanzo 52. Il giorno della nascita di Titus, tutti gli sguatteri e il cuoco Swelter festeggiano la nascita del nuovo erede, tutti tranne Steerpike, che non è stato informato. Fin da subito, il giovane sguattero diciassettenne è presentato come un outsider, un intruso nella atmosfera di gioia grottesca della cucina:

The high-shouldered boy, who had taken no part in the excitement, pulled out a small pipe of knotted worm-wood and filled it deliberately. His mouth was quite expressionless, curving neither up nor down, but his eyes were dark and hot with a mature hatred. 53

Steerpike è appoggiato «against the shadowy side of a pillar» 54, perciò è immediatamente associato all’oscurità, anticipando l’epilogo del perso- naggio che diverrà la personificazione della shadow. Steerpike è uno dei personaggi più complessi della trilogia peakiana. L’impulso iniziale del giovane non è l’ambizione di conquistare Gor- mengast, ma piuttosto il desiderio di fuggire: «I don’t want to be here. Give me daylight and I’ll go away. Far away» 55. Tuttavia, mentre Steer- pike segue Flay tra i labirintici corridoi del castello, il giovane inizia a os- servare lucidamente lo spazio intorno a sé e a interessarsi ai suoi abitanti. Infatti, mentre si trova a spiare da un buco del muro Sepulchrave e il Dottor Prunesquallor, la voce narrante anticipa un primo cambiamen- to nelle intenzioni dello sguattero: «Steerpike, who had determined to escape from the Great Kitchen, was now bent on finding an occupation among those apartments where he might pry into the affairs of those above him» 56. Inizialmente, Steerpike sembra ribellarsi a una condizione sociale a lui imposta e non desiderata. Imprigionato da Flay perchè troppo cu- rioso, Steerpike si dimostra, fin da subito molto razionale e freddo: egli non tenta di farsi liberare, ma inizia a considerare le varie vie di fuga e comprende che l’unico modo per scappare è arrampicarsi per le mura del castello, fino a raggiungerne la sommità. L’arrampicata di Steerpike prefigura la prepotente scalata sociale che egli compirà nella società di Gormenghast, ottenendo, prima, l’appoggio di Fuchsia e Prunesquallor, fino a diventare «Master of Rituals», in modo da radicare la sua natura sovversiva nel cuore stesso della gerarchia del castello.

52) hindle 1996, p. 10. 53) Peake [1946] 1998, p. 35. 54) Ivi, p. 32. 55) Ivi, p. 45. 56) Ivi, p. 53.

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L’ascesa ai tetti del castello di Steerpike è l’occasione per descrivere Gormenghast dall’alto, una particolare prospettiva che offre, a Steerpike ma anche al lettore, una visione d’insieme della vastità dell’«empty world of rooftops» del castello: […] as he raised his head and found himself in an empty world of roof- tops, he smiled. It was a young smile, a smile in keeping with his sev- enteen years, that suddenly transformed the emptiness of the lower part of his face and as suddenly disappeared; from where he lay at an angle along the sun-warmed slates, only sections of this new rooftop world were visible and the vastness of the failing sky. 57 Lo spazio del castello si rivela talmente esteso da non poter essere do- minato, neppure, dallo sguardo del giovane sguattero, che nonostante si trovi in una posizione privilegiata, non può penetrare ciò che si cela al di là delle mura. Da osservatore, Steerpike si trasforma in una figura demoniaca, capace di mimetizzarsi e di inventare narrazioni seducenti (ad esempio con l’ingenua Fuchsia), a usare il linguaggio con l’abilità re- torica di un villain shakespeariano. È da rimarcare che, in Titus Groan, Steerpike appare piuttosto come il «trickster», figura moralmente ambi- gua della tradizione folkloristica e mitologica, che non esita a utilizzare inganni e imbrogli per raggiungere i propri scopi. Come sostiene Pierre François, il «tricksterly element is conspicuous in Steerpike» 58, che spes- so, nel corso della narrazione, si prende gioco degli altri personaggi con puns e scherzi 59. Secondo Alice Mills, mentre gli altri personaggi presentano un ade- guamento spontaneo alle regole di Gormenghast, esprimendo un senti- mento di dedizione, Steerpike «sets himself the task of climbing to power while appearing a model of adherence to Gormenghast proprieties» 60. Nello stesso tempo, è importante notare come lo stesso Titus, benché in maniera diversa, rifiuti di adeguarsi alle regole e alle tradizioni del re- gno, cercando di trovare una propria autonomia. Hindle sottolinea che Steerpike si configura come un «outsider, an impostor – he does not “belong” in Gormenghast, and appears alien to those who do» 61. Se in Titus Groan, prevale l’aspetto più malignamente giocoso e malizioso del personaggio è nel secondo romanzo che il ruolo di villain si esplicita pienamente. L’incendio della biblioteca, ordito da Steerpike, è il primo

57) Ivi, p. 137. 58) François 2008, p. 15. 59) il «Master of Rituals» Barquentine è il bersaglio principale dell’umorismo grot- tesco di Steerpike, che si diverte a seguirlo «by the invention of a peculiar dance, a kind of counterpoint to Barquentine’s jerking progress – a silent and elaborate improvisation […]» (Peake [1950] 1998, p. 162). 60) mills 2005, p. 54. 61) hindle 1996, p. 11.

ACME - Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano Volume LXV - Fascicolo III - Settembre-Dicembre 2012 www.ledonline.it/acme/ «Gormenghast»: il castello. Il mondo di Mervyn Peake 197 di una serie di azioni concrete contro Gormenghast e i suoi abitanti. In Gormenghast, l’uccisione del «Master of Rituals» Barquentine, rende Steerpike un assassino e segna l’inizio della sua discesa nella follia. La decisione di uccidere Barquentine non è solo dettata dal desiderio di ot- tenere potere, ma anche da un vero e proprio piacere sadico: «[…] he had to kill him in some way which left no trace; to dispose the body and at the same time to mix pleasure and business […]. To merely stop his life in the quickest way would be an empty climax […]» 62. Durante lo scon- tro con Barquentine, Steerpike rimane sfigurato dalle fiamme, portando su se stesso i segni della sua stessa violenza. Così, la sua degradazione non è solo morale, ma anche fisica. A questo proposito, Rob Hindle sug- gerisce un paragone tra Steerpike e il Satana del Paradise Lost di Milton: […] if not a fallen angel, he is certainly a bright spark. His escape from the Pandaemonium of the Great Kitchens through the black void of the Stones Lanes; his first glimpse of “Eve” through the Spy Hole; his climbs to the roofs of Gormenghast, from where he witness a sort of primeval dawn; his arrival, in disguise (first an adventurer, then as a clown), in Fuchsia’s world – and his subsequent tempting of her; and his role in Titus’s loss of innocence: all support this interpretation. 63 Il commento può sembrare un po’ forzato; tuttavia, con il procedere della narrazione, la presenza fisica del villain peakiano viene definita «diaboli- cal appearence» 64, e il narratore sottolinea che qualcosa è profondamente cambiato in lui: «[…] there was something that had been added to his temperament, or perhaps it was something had left him» 65. Anche Win- nington sostiene che Steerpike può essere paragonato, nella sua scalata al successo e nel successivo fallimento, al Satana di Milton, che «[…] starts out as a God’s right-hand man, but loses this enviable position […]» 66. La perdita graduale di umanità si accompagna a una metamorfosi del personaggio che è «replaced by an elemental, primordial, almost god-like and demonic figure completely at odds with his previously unemotional character» 67. Alla fine, Steerpike si trova intrappolato nell’acqua, in un groviglio di edere. Egli si accorge di essere «cradled. He was a fly in a drowned web» 68. È interessante notare la scelta del termine «cradled», in quanto il villain si trova imprigionato in un groviglio vegetale che gli impedisce di

62) Peake [1950] 1998, pp. 262-263. 63) hindle 1996, p. 11. 64) Peake [1950] 1998, p. 297. 65) Ivi, p. 276. 66) Winnington 2006, p. 180. 67) Johnson 2001, p. 16. 68) Peake [1950] 1998, p. 485.

ACME - Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano Volume LXV - Fascicolo III - Settembre-Dicembre 2012 www.ledonline.it/acme/ 198 silvia bellotti muoversi e che lo condurrà a una morte tragica, come una mosca in una tela di ragno. La metamorfosi di Steerpike si realizza in questo dramma- tico momento: infatti, nonostante sia immobilizzato egli «evolves into the shadows as absolute evil» 69. Nell’attimo del confronto con Titus per la lotta per la sopravvivenza, Steerpike: […] no longer wanted to kill his foe in darkness and in silence. His lust was to stand naked upon the moonlit stage, with his arms stretched high, and his fingers spread, and with the warm fresh blood that soaked them sliding down his wrists, spiralling his arms and steaming in the cold air – to suddenly drop his hand like talons to his breast and tear it open to expose a heart like a black vegetable – and then, upon the crest of self-exposure, and the sweet glory of wickedness, to create some gesture of supreme defiance, lewd and rare; and then with the towers of Gormenghast about him, cheat the castle to its jealous right and die of his own evil in the moonbeams. 70 Steerpike è completamente al di fuori da ogni contesto umano, è concen- trato solo su se stesso: egli, ormai delirante, immagina un ultimo gesto estremo di orgoglio e di auto-affermazione. Il castello e il cielo illumi- nato dalla luna diventano il suo palcoscenico personale. L’ultimo deside- rio di Steerpike è evocato con termini che richiamano il piacere dell’atto sessuale e le parole «lust», «lewd», «naked» e «self-exposure» sembrano rappresentare l’apice e il climax della sua follia delirante. Steerpike viene colpito a morte da Titus e la sua vita si conclude con un «cock-crow», che annuncia l’inizio di un nuovo simbolico giorno per Gormenghast, anche se la liberazione dal male non può cancellare gli effetti distrutti- vi della violenza. La morte del villain pone fine, metaforicamente, alla pioggia che ha reso il castello un’isola circondata dal mare. L’acqua lascia il posto alla muffa, al fango e alle rovine che diventano i segni della vio- lenza inferta al castello e ai suoi abitanti. L’ordine iniziale non può essere restaurato, il castello è stato scosso nelle sue più profonde fondamenta e ciò esclude il ritorno ai solenni equilibri del passato.

Silvia Bellotti [email protected]

69) François 2008, p. 22. 70) Peake [1950] 1998, pp. 490-491.

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