Francesca Phillips

Los Canarios

testo critico Massimo Prampolini

14 novembre / 15 dicembre 2014 Nata nel Regno Unito, e attualmente residente nelle Isole Canarie, Francesca Phillips è una fotografa e scenografa che la- vora su tematiche antropologiche. Il suo lavoro copre un vasto spettro ed è stata premiata sia per opere fotografiche che cinematografiche. Ha iniziato a lavorare come fotografa con stills and specials per produzioni cinematografiche e teatrali e ha poi seguito un corso di formazione presso il famoso Kodak Centre for Creative Imaging nel Maine, U.S.A. Ha lavo- rato quindi come professore di grafica digitale presso il Royal College of Art di Londra, collaborando alla realizzazione dei primi programmi per i corsi di digital imaging. Le sue immagini, che sono apparse in pubblicazioni in tutto il mondo, si trovano in numerose collezioni private. Nel 2010 ha completato un lavoro durato tre anni sui monaci Trappisti, un or- dine di clausura molto rigido, intitolato White Monks: A life in the Shadows (Monaci bianchi: Una vita tra le ombre). Que- sto lavoro è stato esposto in Spagna e Inghilterra, acompagnato da un libro d’arte a edizione limitata. Recentemente, ha costituito la Francesca Phillips Films, dedicata alla produzione di documentari. Written in the Wind (Scritto nel vento) è il suo primo documentario, prodotto da Al Jazeera, e tratta il linguaggio fischiato dalla popolazione autoctona dell’isola . Al momento sta lavorando su una serie di film che esplorano gli spazi sociali (habitus in sociologia). Los Cana- rios è una continua investigazione visiva nell’eredità e identità del popolo delle Isole Canarie. http://www.francescaphillips.com/home/

Le Isole Canarie sono note sin dall’antichità grazie ai navigatori fenici, greci, cartaginesi e romani. Quest’ultimi ave- vano commerciato con le popolazioni indigene e (ri)nominato le isole Nivaria (), Canaria (), Plu- vialia (Lanzarote), Ombrion (La Palma), Planasia (Fuerteventura), Lunonia () e Capraria (La Gomera). Nel 77-79 AD Plinio il Vecchio nomina le Isole Canarie nella sua Enciclopedia Naturalis Historia. Nel Medio Evo arrivano i navigatori arabi, a cui seguono più tardi genovesi, spagnoli e portoghesi. Viene attribuito al genovese Malocello Lan- zerotto la riscoperta delle Canarie nel XIV secolo. Vi fu un intensificarsi d’interessi verso queste isole e la loro posizione strategica, che culminarono, cinquecento anni fa, con la conquista degli spagnoli e la sottomissione brutale delle po- polazioni autoctone, dimostratesi indomabili. Già, perché quelli che chiamiamo Guanci erano vissuti dal loro arrivo dal Nord Africa, si presume circa 2500 anni fa, piuttosto isolati sulle loro isole tanto da meritarsi nomi differenti (Maxos per gli abitanti di Fuerteventura e Lanzarote, Canarii a Gran Canaria, a El Hierro, Auaritas a La Palma e Go- meros a La Gomera). Una popolazione misteriosa e affascinante decimata, si stima, dalle 80000 persone a poche migliaia a causa della guerra, delle malattie, dello schiavismo, e spesso rifugiatesi nelle montagne con il loro affascinante baga- glio culturale. Come il sorprendente linguaggio fonetico basato sul fischio, sviluppato (o forse solo ampliato e adattato a partire da un primitivo modo di comunicare riportato dal Nord Africa) soprattutto a La Gomera, la più accidentata delle isole. Oppure come l’uso di un asta con cui i pastori saltano i fossi nell’inseguire le greggi. Per svelare il mistero dell’origine dei Guanci si è fatto ricorso alle tecniche più moderne d’analisi del DNA. Gli aplogruppi (raggruppamenti di mutazioni di basi del DNA) come U6 presente nel loro DNA mitocondriale rivelano che l’origine lontana di questo gruppo di popolazioni risale al più imponente movimento dell’uomo moderno dopo l’uscita dall’Africa, svoltosi circa 35000 anni fa con un parziale ritorno in Africa. Mentre il più specifico U6b1a rivela un clade monofiletico delle Isole Canarie, ossia una discendenza unica derivata da popolazioni, di origini probabilmente berbere, spostatesi sulle isole circa 2500 anni fa e rimaste relativamente isolate, salvo subire nei tempi anche più recenti vari mescolamenti. Un vero melting pot in mezzo al quale la fotografa Francesca Phillips tenta di individuare in questa mostra le facce e le espres- sioni recondite che parlano di questa identità storicamente non più ben determinata. Salvo, come nel filmato “Writ- ten in the Wind” presentato anch’esso nella mostra, scorgere l’eco di questa loro sorprendente invenzione linguistica, che ancora sopravvive, chiamata “El ”, oggi un castigliano con suoni fischiati. Elena /fotografia bianco e nero / 2012 stampa a pigmento su carta Hahnemühle , 58 x 46 cm. CANARIE

TERRE E FACCE Le isole sono spazi double-face, terre non terre: terra ferma per il piede che approda, terra di mare per l’occhio che guarda dal continente. Sinonimi di lontananza e di separazione, le isole sono anche luoghi di fusione, d’incontro. Ogni isola chiude e apre i propri confini a suo modo: lo fa con la storia, con l’accoglienza e l’opposizione alle intrusioni. Lo fa con le facce dei suoi abitanti, che raccolgono negli occhi e nei lineamenti quel tanto d’enigma che ogni isola porta con sé. Le isole sono questo, e le Canarie sono isole per eccellenza. FRANCESCA PHILLIPS Scrutare, cercare. Scrive Niccolò Tommaseo “Si scrutano le cose occulte, si cerca la cosa perduta o anche non veduta mai” (Dizionario de’ sinonimi ). Francesca Phillips fa entrambe le cose: lei è l’occhio che scruta, allo stesso tempo è anche la mente che cerca. Scruta con l’obiettivo della macchina fotografica per cogliere segni nascosti, per intuire una realtà dalle apparenze cifrate; e intanto chiede all’obiettivo di suggerire alla mente, scrutando, cosa cercare. E qui si aprono le do- mande e i paradossi: dopo averle fotografate, Francesca vedrà ancora le cose allo stesso modo? E poi, chi arriva per primo? L’occhio di Francesca o quello della sua macchina fotografica? Forse è proprio l’obiettivo a cogliere quello che all’occhio sfugge: la fotografia permette di fermarsi e tornare dove lo sguardo nudo si è potuto posare una sola irripetibile volta. Ma Francesca non fotografa per raccogliere ricordi né per diletto turistico, fotografa invece cose non vedute, lost in perception, immagini cui dà forma seguendo una propria indagine conosci- tiva, e questo è ciò che ha caratterizzato sempre il suo lavoro. Quando, come lei stessa ricorda, fu ammessa negli ambienti monastici dei Trappisti, per fotografare le loro ombre bianche, essa ha dato forma visiva a una straordinaria indagine sul silenzio – “Whose silence are you?” è la chiave di lettura che lei stessa ha suggerito tra le foto. Chi direbbe che il silenzio può essere rap- presentato e conosciuto per immagini! Invece si, si può rendere visibile il silenzio con immagini scrutate dall’occhio fotografico, che suggerisce di andare oltre le penombre delle navate e dei chiostri per cogliere la quiete impalpabile che le avvolge. C’è di più: a differenza dell’occhio in- dividuale, le immagini fotografiche permettono anche a noi di vedere, di condividere quello che Francesca cerca di sapere. Se poi, a queste operazioni di conoscenza, si affianca la possibilità di un valore estetico, di un esercizio del gusto, di alto livello per giunta, allora tanto meglio. I GUANCI Cosa di più stimolante, per l’occhio che scruta, di andare alla ricerca delle origini del popolo dei Guanci nelle isole Canarie? Anche qui si aprono domande e paradossi e l’occhio fotografico di Francesca trova di nuovo un ambito congeniale alle sue esplorazioni. Quando nel XV secolo gli Europei arrivano nelle Canarie, i Guanci c’erano già. Ed ecco il primo motivo di stupore. Un’isola è per antonomasia terra di naviganti: come era possibile che gli oltre 80.000 abitanti di queste sette isole (oggi oltre due milioni) sparse in alto Atlantico già nel Quattrocento non possedessero più le tecniche di navigazione? Nella popolazione trovata all’arrivo degli Spagnoli c’erano ele- menti che indicavano un’etnia autoctona, di prevalente carattere berbero insediata sulle isole Canarie probabilmente 2500 anni fa, che in epoca moderna si è diluita e mescolata, nella di- scendenza di parte maschile, con colonizzatori venuti da vari paesi europei. Ma l’originaria po- polazione di provenienza nordafricana come era arrivata? Anche gli spostamenti interni all’arcipelago, tra le sette isole, sono stati per secoli pressoché inesistenti: cosa ha fatto perdere agli abitanti le conoscenze necessarie al dominio del mare, al punto di non spingersi nemmeno a trovare gli isolani circonvicini? E la perdita di queste conoscenze è stata graduale, ovvero fu do- vuta a eventi storici, a guerre perse, a limitazioni imposte da dominatori? Stanti questi interro- gativi non deve stupire che il Dipartimento di Genetica dell’Università di La Laguna, l’antica capitale delle Canarie, lavori a un programma di mappatura genetica e ricostruzione dei rami di discendenza della popolazione dei Guanci. In questo contesto di multietnia e di varietà demo- grafica, unite a una non meno forte identità indigena, s’inserisce l’indagine fotografica di Fran- cesca Phillips. I suoi ritratti sono i documenti di una ricerca contemporanea, sono testimonianze dell’occhio che scruta, attraverso le facce attuali, la popolazione presente e la storia che l’ha pre- ceduta. Così da questi ritratti capiamo che il valore, l’attrattiva – diciamo pure, il fascino - di un volto non sono dati da canoni di bellezza né da lineamenti o mimiche eccezionali, ma dal- l’umanità che il volto fa trasparire, dalle memorie che la faccia può evocare. Forse non si saprà mai quando e come le isole Canarie hanno subito, in tempi remoti, invasioni, immigrazioni, do- minazioni simili a quelle che l’hanno attraversata negli ultimi cinque secoli e di cui abbiamo te- stimonianza storica; ma questi ritratti di Guanci sono l’equivalente visibile delle trame invisibili che il DNA ha mescolato e ricomposto per secoli. Alle conoscenze raggiunte attraverso l’inda- gine genetica si affianca, altrettanto necessaria, l’indagine fenomenica sui tratti somatici, sui volti marcati dall’ambiente e dal temperamento individuale, dalla storia comune e dalla singolarità dei caratteri: tutto prende forma nell’obiettivo di Francesca che fissa le immagini e le fa emergere dai bagni acidi e dai sali d’argento della sua camera oscura. IL SILBO Un’altra sorpresa alimenta il mito delle Canarie: i Guanci appartengono al ristretto numero di pic- cole etnie del nostro pianeta che praticano una lingua fischiata. E’ conosciuta per lo più come silbo (lat. sibilus, fischio) o silbo goméro, perché usato originariamente e in prevalenza nell’isola di Goméra. Non deve stupire che si possa comunicare con una lingua in cui le frasi sono com- poste tramite sequenze di fischi. La lingua dei segni, o lingua dei sordomuti, fa qualcosa di ana- logo attraverso sequenze di gesti. Gli studiosi di linguistica sanno da almeno un secolo che una lingua può essere realizzata con qualsiasi supporto fisico, articolabile in unità, percepibile con al- meno uno dei cinque sensi: voce, gesto, fischio, percussione, passi di danza, strumenti sonori e, perché no?, odori, sapori. Si va da semplici traslitterazioni, come avviene con l’alfabeto Morse, in cui i suoni di una lingua sono solo trasferiti su altro supporto percepibile, a complesse tradu- zioni in cui non solo si trasferiscono i suoni su altro supporto (è quello che fa normalmente la scrittura) ma si proiettano da una lingua all’altra i costrutti morfologici e concettuali. Il silbo, per dire le cose in modo semplice e chiaro, fa un miscuglio di traslitterazioni e di traduzioni. Tra- slittera le vocali e le consonanti in fischi distinti (ha solo due fischi per le vocali, e quattro fischi per le consonanti: quindi traslittera le parole di un’altra lingua storpiandole), inoltre si è co- struito un dizionario di circa 4000 termini per riferirsi a oggetti concreti e concetti astratti d’uso comune (pollo, pane, giorno, tardi, ti amo). Non c’è dubbio che a differenza della scrittura (trac- cia su superficie) nata a quel che sappiamo circa 10.000 anni fa e massicciamente diffusa tra gli umani, la fischiatura è rimasto un linguaggio d’uso e diffusione limitatissimi, al punto che i pochi casi esistenti (forse non più di una decina) sono considerati una curiosità esotica. Ma – attenzione – se un sitema di comunicazione si afferma, sia pure in ambito limitato, lì ha sicuramente una funzione e risponde a una necessità. Nelle vallate ripide delle isole Canarie, battute dal vento del- l’Atlantico, il silbo, che si manifesta con potenti fischi di forte volume, ha permesso la comuni- cazione mobile a distanza, con secoli d’anticipo sui cellulari. Si può ben immaginare quale attrattiva abbia avuto questo fenomeno su Francesca Phillips, che non ha perso l’occasione per un’indagine a tutto campo. In questo caso la fotografia ha ceduto il posto al documentario in cortometraggio. Come era stata ammessa tra le ombre e i silenzi dei Trappisti, così ha seguito i Guanci nell’espressione dei loro sentimenti, nei richiami a distanza, nelle scuole dove il silbo, ri- conosciuto dall’UNESCO patrimonio immateriale dell’umanità, viene ora insegnato alle nuove genrazioni. Abbiamo detto inizialmente che le isole sono spazi particolari, con imprevedibili dinamiche di apertura e di chiusura nei riguardi dell’esterno, e in questo senso ogni isola è luogo di enigmi e di sorprese. Quanto abbiamo riportato sembra darne conferma. Osservando le immagini che Francesca Phillips ha colto nelle sue indagini emerge un rapporto di reciprocità intellettuale e affettiva tra lei e l’Arcipelago. Certo, l’occhio fotografico di Francesco Phillips è entrato nel- l’anima dell’isola, fino a presentarne in immagini insostituibili la natura dei suoi abitanti. Ma grazie a queste immagini l’Arcipelago si rivela con nuova luce non solo al visitatore che vi ap- proda, ma anche ai Guanci che da sempre ci vivono. Massimo Prampolini Antonio /fotografia bianco e nero / 2014 stampa a pigmento su carta Hahnemühle , 30 x 24 cm. Fátima /fotografia bianco e nero / 2014 stampa a pigmento su carta Hahnemühle , 24 x 24 cm. Juan Antonio /fotografia bianco e nero / 2014 stampa a pigmento su carta Hahnemühle , 42 x 34 cm.