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VI ciclo S.S.I.S. I anno Classi 51-43 DDDoDooonnnnnneeee rrrorooommmmaaaannnneeee dddidiii EEEtEtttàààà AAArArrrccccaaaaiiiiccccaaaa

Emiliano Onori

1. Introduzione: la donna a Roma

Nell'età antica, in Grecia, la donna era totalmente sottomessa all'uomo. Quando aveva raggiunto l'età per sposarsi una ragazza passava dall'autorità paterna a quella del marito. Un donna ateniese, a differenza di suo marito, trascorreva l'intera giornata in casa, dirigendo i lavori domestici eseguiti dalla servitù e organizzando la vita familiare. Ella infatti usciva solo per partecipare alle feste religiose, le uniche attività che l'avrebbero potuta far uscire dalle mura domestiche venivano svolte dal marito o dalla servitù. La donna ateniese era inoltre esclusa dall'educazione, sia intellettuale che fisica, a differenza della donna spartana che si poteva allenare nelle palestre. Per quanto riguarda la donna romana, a paragone di quella ateniese, potremmo affermare che ella gode di una condizione e di uno statuto giuridico sostanzialmente più favorevoli. Già la legislazione romana relativa al matrimonio deve tener conto di un fattore di differenziazione assai cospicuo rispetto alla Grecia: la donna romana (la filia familias ) è a tutti gli effetti dotata di diritti economici che le consentono di ereditare dal pater familias e di disporre, pur entro limiti assai ristretti, del patrimonio avito. Tale facoltà era tuttavia ampiamente compensata dal diffuso pregiudizio, ben presto ratificato a livello giuridico, per cui la donna, in virtù di una naturale infirmitas o imbecillitas mentis («debolezza intellettuale»), non poteva prendere decisioni senza essere affiancata da un tutore legale (maschio, adulto e cittadino). Immaginiamo pertanto che, agli occhi dei Greci, il fatto che le matrone romane potessero partecipare ai banchetti e ai simposi, dovesse sembrare cosa assai singolare: il divieto era invece assoluto, con l‘eccezione delle etère e delle suonatrici di aulo, per le donne greche. Inoltre, la storia repubblicana esemplifica largamente il ruolo che mogli e madri hanno giocato nella carriera politica di figli e mariti, basti pensare alla moglie e alla madre di Coriolano, o a Cornelia, madre dei Gracchi. Probabilmente il medesimo stupore che dovevano provare i Greci osservando la condizione della donna romana, era il medesimo che provavano i romani considerando la situazione della donna etrusca.Sulle condizioni di vita delle donne etrusche abbiamo numerosi racconti e descrizioni ad del greco Teopompo 1, che ne sottolinea la grande libertà: curavano il loro corpo, partecipavano ai banchetti insieme agli uomini, bevevano vino, e soprattutto allevavano i figli senza preoccuparsi di sapere chi ne fosse il padre. Le donne etrusche godevano di una notevole libertà di movimento e di un certo prestigio: non più analfabete ma, anzi, colte, vivevano così con grande dignità e libertà un ruolo che però era sempre esercitato a livello familiare. Comprensibile dunque come i severi censori romani erano sgomenti davanti al fatto che le mogli degli aristocratici etruschi partecipassero tranquillamente ai banchetti standosene sdraiate sui letti del triclinio accanto ai loro mariti. Erano, questi, comportamenti da cortigiane, e nessuna seria matrona romana si sarebbe mai permessa simili libertà. Quando i Romani estesero il loro dominio sulle città etrusche imposero nuovi modelli di comportamento anche alle donne, che i sarcofaghi dell'epoca ci mostrano compostamente sedute ai piedi del letto su cui è disteso il marito. In epoca romana la donna cominciò ad acquisire più diritti e più privilegi, parallelamente al progressivo indebolimento dei valori legati alla patria potestas . La donna aveva infatti ottenuto il rispetto da parte dei figli e soprattutto aveva ottenuto la custodia della prole in caso di cattiva condotta del marito. Dopo l'impero di Adriano se una donna aveva più di tre figli acquistava il diritto di successione ad essi se il defunto non aveva eredi. La donna romana, sposandosi, passava direttamente dalla casa del padre a quella del marito.

1 Teompompo in Ateneo, Deipnosofisti , 123d. 2 Nell'età repubblicana però la donna viveva in condizione di subalternità al marito. Il ruolo della donna nella nuova famiglia era anche chiarito dalla parola matrimonio, che deriva appunto dal vocabolo madre. Un'unione stabile fra l'uomo e la donna era riconosciuta ufficialmente solo per la ragione di perpetuare la propria stirpe mettendo al mondo dei figli. Le caratteristiche fondamentali che una donna doveva avere nell'età repubblicana erano la prolificità, la remissività, la riservatezza. In età imperiale la donna viveva libera in casa assieme al marito, godendo di grande autonomia e dignità. In questo periodo si siedono sul trono imperiale numerose donne degne del titolo di Augusta, donne che seguivano il loro marito in ogni decisione. Spesso infatti le mogli di uomini politici preferivano morire affianco al marito piuttosto che abbandonarlo. Molti antichi scrittori non esitano infatti ad esaltare il grande eroismo e la grande virtù che erano stati raggiunti dalla donna. Durante il periodo imperiale notiamo che il numero di figli per ogni famiglia si era notevolmente ridotto, infatti in quel periodo la donna aveva iniziato anche ad interessarsi a nuove questioni. La donna infatti stava cominciando a partecipare alla vita politica e stava nutrendo un particolare interesse per i processi giudiziari. Numerose donne si dedicarono alla letteratura e alla grammatica, riuscendo quasi a superare alcuni fra i più illustri letterati dell'epoca.

Il matrimonio, in epoca romana, era, tuttavia, molto instabile. All'inizio era solo il marito ad avere il diritto di ripudiare la moglie, successivamente anche la donna acquisì questo diritto, ma poteva esercitarlo solo nel caso in cui essa era rimasta orfana di entrambe i genitori. Con la legislazione di Augusto riguardo il divorzio la donna ottenne il diritto di avere restituita la dote in caso di separazione dal marito. La donna aveva il compito di curare e di istruire i figli fino all'età di sette anni, poi passavano sotto la tutela del padre. L'istruzione femminile terminava all'età di dodici anni, l'età minima stabilita da Augusto per sposarsi. A dodici anni la donna era ormai in età da marito, quindi l'esperienza della vita domestica avrebbe contribuito al miglioramento di quelle che sarebbero state la qualità fondamentali di una buona moglie. Infine, per comprendere maggiormente il modo in cui era concepita la condizione femminile, è interessante accennare brevemente al problema dell‘assegnazione del nome alle donne. Trascorsi i primi otto giorni dalla nascita ha luogo un rito di lustrazione. La bambina viene purificata con acqua, nel cerimoniale della lustratio . Parenti e amici di famiglia portano doni e alla bambina viene dato un nome, il suo vero praenomen , che viene però

3 gelosamente tenuto segreto e custodito nell‘intimità familiare. Siccome tuttavia è necessario individuare la donna anche al di fuori dell‘ambiente domestico, quel nome, viene sostituito per i terzi da un cognomen , quello della gens paterna con le sole aggiunte utili a distinguere la neonata dalle sorelle, secondo l‘ordine di nascita ( Maxima , Maior , Minor oppure Prima , Secunda , Tertia ) o secondo l‘aspetto ( Rutilia , Murrula , Burra ). E‘ così che mentre un uomo, come Marco Tullio Cicerone, possiede tre nomi, sua figlia si chiama solo Tullia . Più tardi nella cerimonia nuziale, alla rituale domanda —Qual è il tuo nome?“ rivolta alla donna dallo sposo nel momento dell‘entrata ufficiale di lei nella casa del marito, la sposa risponderà di chiamarsi con lo stesso nome di lui e al precedente cognomen gentilizio paterno subentrerà, o si aggiungerà, quello dello sposo. Così, ad esempio, la catulliana Lesbia, il cui nome ufficiale è Clodia , diventerà Clodia Metelli , la donna di Quinto Metello Celere. E per la seconda volta nella sua vita la donna continuerà a tacere al pubblico il suo vero nome, che non verrà rivelato talora neppure nella sua epigrafe funeraria. A dispetto dunque di una condizione che, specie al giorno d‘oggi, appare subalterna, le donne di epoca arcaica, celebrate nella tradizione storiografica romana, hanno una grandissima importanza, specie per le loro virtù come la pudicitia e la fides .

2. Percorsi tematici: Rea Silvia e Lucrezia, in comune l‘onta dello stupro.

Il primo percorso tematico ci porta ad analizzare due figure femminili fondamentali per la tradizione e storia romana. Nel primo caso siamo dinnanzi a Rea Silvia, vergine vestale ritenuta dalla tradizione madre di Romolo e Remo. Nel secondo caso parleremo di Lucrezia, giovane moglie di Collatino, violentata da Sesto Tarquinio, figlio minore del re Tarquinio.

2.1 Rea Silvia: uno stupro all‘origine della nascita dei gemelli

All‘origine di questo episodio del mito è la figura di Rea Silvia. Era Figlia di Numitore, re di Albalonga, spodestato dal fratello Amulio; quest‘ultimo l'aveva costretta a farsi vestale

4 temendo la vendetta di una futura prole ma il dio Marte, innamorato della giovane, la rese madre di due gemelli: Romolo e Remo, fondatori di Roma. Risulta essere fondamentale, anche per la futura ideologia romana, la figura di Rea Silvia in quanto Numitore discendeva in linea diretta da Enea, e dunque la maternità di Rea Silvia ha, nella struttura del mito, un ruolo di congiunzione fra la storia arcaica romana e la saga troiana. Interessante è anche il fatto che la medesima Rea Silvia era nota anche con il nome di Ilia, per esempio in Ennio e Nevio, cosa che ancor più connette tale figura con l‘epopea troiana. Sembra invece che il nome Rea Silvia possa far riferimento ad un‘antica divinità indigena. Nella tradizione più diffusa Rea Silvia viene incarcerata da Amulio quando si scopre la sua gravidanza e sarà liberata solo molti anni dopo, quando Romolo e Remo prenderanno coscienza della propria origine. Il destino di Rea Silvia tuttavia, a seguito dello stupro ad opera di Marte, doveva esser ben più terribile: avrebbe dovuto meritare la morte, in quanto legata al voto di castità derivante dalla condizione di vestale. A salvare da morte certa Rea Silvia è, forse non a caso, un‘altra donna: Anto, figlia del re Amulio, che ottiene la salvezza per la futura madre dei gemelli in cambio dell‘imprigionamento di quella. Da questo punto la storia è ben più nota: Amulio, temendo la vendetta dei gemelli, ordina ai servi di gettarli nella corrente del fiume nelle cui secche però si incaglia la cesta che li trasportava, essi vengono trovati ed allattati da una lupa la cui mitezza stupisce anche un pastore, Faustolo, che custodiva il gregge del re. Costui li portò alle sue stalle e li fece allevare dalla moglie Larenzia. All‘origine dunque della nascita del fondatore di Roma è un fatto increscioso: non solo uno stupro, ma uno stupro perpetrato ai danni di una vergine vestale addirittura dal dio Marte. Facilmente è possibile comprendere e rintracciare, nel racconto mitico, la tipica tendenza, comune ai popoli antichi, di ritenersi originati da un dio, nel caso specifico da una delle divinità più venerate dell‘antico Lazio: il dio della guerra Marte. La fonte storiografica che ci tramanda questi avvenimenti è Livio; nel primo libro della sua opera — Ab urbe condita libri “ egli racconta le vicende a metà tra mito e storia, partendo addirittura da Enea. Ë proprio nel primo libro che egli elenca le fasi principali del racconto mitico connesso alla figura di Rea Silvia. A proposito della contesa tra Numitore e Amulio scrive in I, 4:

Proca deinde regnat. Is Numitorem atque Amulium procreat, Numitori, qui stirpis maximus erat, regnum vetustum Silviae gentis legat. Plus tamen vis potuit quam voluntas patris aut verecundia aetatis: pulso fratre Amulius regnat. Addit sceleri

5 scelus: stirpem fratris virilem interemit, fratris filiae Reae Silviae per speciem honoris cum Vestalem eam legisset perpetua virginitate spem partus adimit. ( trad. Quindi regna Proca. Egli genera Numitore e Amulio. A Numitore, che era il più grande, lascia in eredità l'antico regno della dinastia Silvia. Ma la violenza poté più che la volontà del padre o la deferenza nei confronti della primogenitura: dopo aver estromesso il fratello, sale al trono Amulio. Questi commise un crimine dietro l'altro: i figli maschi del fratello li fece uccidere, mentre a Rea Silvia, la femmina, avendola nominata Vestale, cosa che egli fece passare come un'onorificenza, tolse la speranza di diventare madre condannandola a una verginità perpetua .

Interessante notare il fatto che Livio sottolinei che il ruolo di vestale ricoperto da Rea Silvia fu anch‘esso, se non una violenza, quantomeno un‘imposizione, per altro aggravata dall‘illusione di onoreficienza. Se questo gesto di Amulio non può definirsi ancora violenza, pur tuttavia il progetto che lo origina è in ogni caso terribile: evitare addirittura la spem partus . Segue poi il racconto del parto:

Vi compressa Vestalis cum geminum partum edidisset, seu ita rata seu quia deus auctor culpae honestior erat, Martem incertae stirpis patrem nuncupat . (trad. , vittima di uno stupro, diede alla luce due gemelli; sia che fosse in buona fede, sia che intendesse rendere meno turpe la propria colpa attribuendone la responsabilità a un dio, dichiarò Marte padre della prole sospetta.)

Anche in questa circostanza Livio ci rende una testimonianza interessante della mentalità romana; non sapendo con precisione i dettagli della turpe vicenda, egli dubita addirittura che la vestale sia in buona fede nell‘affermare la paternità divina dei suoi due figli. Traspare dunque dalle parole dell‘autore un alone di vergogna originato dalla triste storia di Rea Silvia; ella, dopo aver subito il peggiore degli oltraggi, deve anche preoccuparsi di celarne l‘entità attribuendone la responsabilità ad un dio. Si potrebbe dunque dedurre che Rea Silvia subisca, di fatto, un doppio oltraggio: il primo, gravissimo, ad opera di Marte; il secondo ad opera di Amulio che la fa incarcerare con l‘intento di vanificarle la spem partus ; ed infine ella è, dalle parole di Livio, quasi costretta a minimizzare il feroce accadimento mitigandone l‘onta con la presunta responsabilità

6 divina. Tutto questo credo sia particolarmente indicativo per comprendere la mentalità romana. Mentalità che emerge non solo nel racconto che affonda le radici nel passato mitico di Roma ma anche nell‘ideologia liviana, ben lontana, almeno cronologicamente, dai fatti relativi alla nascita di Roma. In seguito Livio non fa più riferimento alla figura di Rea Silvia. In compenso egli parla, comprensibilmente, del più edificante destino dei gemelli, allattati inizialmente da una lupa e poi amorevolmente allevati da Faustolo e sua moglie Larenzia, scrive lo storico, I, 4:

Tenet fama cum fluitantem alveum, quo expositi erant pueri, tenuis in sicco aqua destituisset, lupam sitientem ex montibus qui circa sunt ad puerilem vagitum cursum flexisse; eam submissas infantibus adeo mitem praebuisse mammas ut lingua lambentem pueros magister regii pecoris invenerit-- Faustulo fuisse nomen ferunt-- ab eo ad stabula Larentiae uxori educandos datos (trad. Tutt'ora è viva la tradizione orale secondo la quale, quando l'acqua bassa lasciò in secco la cesta galleggiante nella quale erano stati abbandonati i bambini, una lupa assetata proveniente dai monti dei dintorni deviò la sua corsa in direzione del loro vagito e, accucciatasi, offrì loro il suo latte con una tale dolcezza che il pastore, capo del gregge del re, pare si chiamasse Faustolo, la trovò intenta a leccare i due neonati. Faustolo poi, tornato alle stalle, li diede alla moglie Larenzia affinché li allevasse).

Pur tuttavia, come a voler spiegare razionalmente il prodigio di una lupa che allatta due neonati, dà una spiegazione di certo meno affascinante ma ben più credibile, scrive in I, 4:

Sunt qui Larentiam volgato corpore lupam inter pastores vocatam putent; inde locum fabulae ac miraculo datum (trad. C'è anche chi crede che questa Larenzia i pastori la chiamassero lupa perché si prostituiva: da ciò lo spunto di questo racconto prodigioso).

Dopo questi avvenimenti si perdono, per così dire, le tracce di Rea Silvia. Livio non torna a parlarne di nuovo e nemmeno Plutarco nella Vita di Romolo ci fornisce ulteriori ragguagli. Sembra pertanto che la tradizione romana si sia servita della figura di Rea Silvia

7 unicamente come tramite umano per la discendenza divina della stirpe, come per altro ci rammenta lo stesso Livio quando scrive all‘inizio di I, 4:

Sed debebatur, ut opinor, fatis tantae origo urbis maximique secundum deorum opes imperii principium. (trad. Credo comunque che rientrassero in un disegno del destino tanto la nascita di una simile città quanto l'inizio della più grande potenza del mondo dopo quella degli dèi).

2.2 Lucrezia: uno stupro all‘origine della nascita della repubblica.

Per certi versi analogo è l‘uso che la tradizione romana fa della figura di Lucrezia, connessa niente meno che alla cacciata di Tarquinio il Superbo, del quale Livio ci restituisce un‘immagine particolarmente discutibile in I, 53:

Nec ut iniustus in pace rex, ita dux belli prauus fuit; quin ea arte aequasset superiores reges ni degeneratum in aliis huic quoque decori offecisset (trad. Tarquinio fu un re ingiusto coi suoi sudditi, ma abbastanza un buon generale quando si trattò di combattere. Anzi, in campo militare avrebbe raggiunto il livello di quanti lo avevano preceduto sul trono, se la sua degenerazione in tutto il resto non avesse offuscato anche questo merito).

E di fatto proprio in una situazione di guerra si inserisce l‘episodio che ha Lucrezia come perno centrale. Solita nostra fonte è livio che, in I, 53, ci informa del fatto che Tarquinio, per risanare le casse del regno, decise di attaccare e prendere Ardea. Durante l‘assedio si tenne uno dei tanti banchetti nel quale il discorso tra gli uomini si concentra sull‘onesta delle rispettive mogli, scrive Livio:

Forte potantibus his apud Sextum Tarquinium, ubi et Collatinus cenabat Tarquinius, Egeri filius, incidit de uxoribus mentio. Suam quisque laudare miris modis; inde certamine accenso Collatinus negat verbis opus esse; paucis id quidem horis posse sciri quantum ceteris praestet Lucretia sua. "Quin, si vigor iuventae inest,

8 conscendimus equos inuisimusque praesentes nostrarum ingenia? id cuique spectatissimum sit quod necopinato viri adventu occurrerit oculis." Incaluerant uino; "Age sane" omnes; citatis equis auolant Romam. Quo cum primis se intendentibus tenebris pervenissent, pergunt inde Collatiam, ubi Lucretiam haudquaquam ut regias nurus, quas in conuiuio luxuque cum aequalibus viderant tempus terentes sed nocte sera deditam lanae inter lucubrantes ancillas in medio aedium sedentem inveniunt. Muliebris certaminis laus penes Lucretiam fuit. Adveniens vir Tarquiniique excepti benigne; victor maritus comiter inuitat regios iuvenes. Ibi Sex. Tarquinium mala libido Lucretiae per vim stuprandae capit; cum forma tum spectata castitas incitat. Et tum quidem ab nocturno iuvenali ludo in castra redeunt . (trad. Un giorno, mentre stavano gozzovigliando nella tenda di Sesto Tarquinio e c'era anche Tarquinio Collatino, figlio di Egerio, il discorso cadde per caso sulle mogli e ciascuno prese a lodare la propria. La discussione si animò e Collatino affermò che era inutile starne a parlare perché di lì a poche ore si sarebbero resi conto che nessuna poteva tener testa alla sua Lucrezia. «Giovani e forti come siamo, perché non saltiamo a cavallo e andiamo a verificare di persona la condotta delle nostre spose? La prova più sicura sarà ciò che ciascuno di noi vedrà all'arrivo inaspettato del marito». Infiammati dal vino, urlarono tutti: «D'accordo, andiamo!» Spronati i cavalli, volano a Roma. Arrivarono alle prime luci della sera e di lì proseguirono alla volta di Collazia, dove trovarono Lucrezia in uno stato completamente diverso da quello delle nuore del re (sorprese a ingannare l'attesa nel pieno di un festino e in compagnia di coetanei): nonostante fosse notte fonda, Lucrezia invece era seduta nel centro dell'atrio e stava trafficando intorno alle sue lane insieme alle serve anche loro indaffarate. Si aggiudicò così la gara delle mogli. All'arrivo di Collatino e dei Tarquini, li accoglie con estrema gentilezza e il marito vincitore invita a cena i giovani principi. Fu allora che Sesto Tarquinio, provocato non solo dalla bellezza ma dalla provata castità di Lucrezia, fu preso dalla insana smania di averla a tutti i costi. Poi, dopo una notte passata a godersi le gioie della giovinezza, rientrarono all‘accampamento)

9 I valori femminili che dunque traspaiono da questo racconto sono quelli di una donna intenta a filare la lana e ad aspettare fedelmente il proprio marito impegnato negli affari militari. Ad un certo momento però la tragedia irrompe violenta nella vita della tranquilla Lucrezia. Sesto Tarquinio, all‘insaputa di Collatino, giunge di nuovo a casa di Lucrezia e, accolto ospitalmente e sguainata la spada, minacciò la donna dicendo 2:

"Tace, Lucretia" inquit; "Sex. Tarquinius sum; ferrum in manu est; moriere, si emiseris vocem. " «Lucrezia, chiudi la bocca! Sono Sesto Tarquinio e sono armato. Una sola parola e sei morta!»

Ed è proprio in questo frangente che si consuma il misfatto, prosegue Livio 3:

Cum pavida ex somno mulier nullam opem, prope mortem imminentem videret, tum Tarquinius fateri amorem, orare, miscere precibus minas, versare in omnes partes muliebrem animum. Ubi obstinatam videbat et ne mortis quidem metu inclinari, addit ad metum dedecus: cum mortua iugulatum seruum nudum positurum ait, ut in sordido adulterio necata dicatur. Quo terrore cum vicisset obstinatam pudicitiam velut vi victrix libido, profectusque inde Tarquinius ferox expugnato decore muliebri esset (trad. La povera donna, svegliata dallo spavento, capì di essere a un passo dalla morte. Tarquinio cominciò allora a dichiarare il suo amore, ad alternare suppliche a minacce e a tentarle tutte per far cedere il suo animo di donna. Ma vedendo che Lucrezia era irremovibile e non cedeva nemmeno di fronte all'ipotesi della morte, allora aggiunse il disonore all'intimidazione e le disse che, una volta morta, avrebbe sgozzato un servo e glielo avrebbe messo nudo accanto, in modo che si dicesse che era stata uccisa nel degrado più basso dell'adulterio. Con questa spaventosa minaccia, la libidine di Tarquinio ebbe, per così dire, la meglio sull'ostinata castità di Lucrezia. Quindi, fiero di aver violato l'onore di una donna, ripartì)

2 Livio, I, 58: Paucis interiectis diebus Sex. Tarquinius inscio Collatino cum comite uno Collatiam venit. Ubi exceptus benigne ab ignaris consilii cum post cenam in hospitale cubiculum deductus esset, amore ardens, postquam satis tuta circa sopitique omnes videbantur, stricto gladio ad dormientem Lucretiam venit sinistraque manu mulieris pectore oppresso 3 Livio, I, 58. 10 Il danno è compiuto, l‘onta è ormai subita, la povera Lucrezia resta vittima della sua stessa fedeltà ad opera del giovane Sesto Tarquinio. A questo punto Lucrezia manda un messaggero al padre e al fratello, giunti con degli amici fidati sentono pronunciare da Lucrezia un discorso straziante che già prefigura l‘irrimediabile decisione:

"quid enim salui est mulieri amissa pudicitia? Vestigia viri alieni, Collatine, in lecto sunt tuo; ceterum corpus est tantum violatum, animus insons; mors testis erit. Sed date dexteras fidemque haud impune adultero fore. Sex. est Tarquinius qui hostis pro hospite priore nocte vi armatus mihi sibique, si vos viri estis, pestiferum hinc abstulit gaudium." (trad. «Come fa ad andare tutto bene a una donna che ha perduto l'onore? Nel tuo letto, Collatino, ci son le tracce di un altro uomo: solo il mio corpo è stato violato, il mio cuore è puro e te lo proverò con la mia morte. Ma giuratemi che l'adultero non rimarrà impunito. Si tratta di Sesto Tarquinio: è lui che ieri notte è venuto qui e, restituendo ostilità in cambio di ospitalità, armato e con la forza ha abusato di me. Se siete uomini veri, fate sì che quel rapporto non sia fatale solo a me ma anche a lui.» 4

Interessante ora notare le argomentazioni che gli uomini presenti adoperano per scagionare la donna non tanto dal misfatto subito ma dall‘onta patita, Livio fa dir loro sempre in I, 58: consolantur aegram animi avertendo noxam ab coacta in auctorem delicti: mentem peccare, non corpus, et unde consilium afuerit culpam abesse . (trad. Cercano quindi di consolarla con questi argomenti: in primo luogo la colpa ricadeva solo sull'autore di quell'azione abominevole e non su di lei che ne era stata la vittima; poi non è il corpo che pecca ma la mente e quindi, se manca l'intenzione, non si può parlare di colpa).

Sono motivazioni di grandissima importanza, specie per il fatto che vengono pensate ed avanzate da uomini, in un certo senso anch‘essi lesi nell‘onorabilità della loro Lucrezia. Nonostante l‘evidente ragionevolezza delle loro argomentazioni, Lucrezia avverte

4 Livio, ibidem 11 grandissima ed opprimente l‘onta subita, al punto da volersi punire, come scrive Livio in I, 58:

"Vos" inquit "uideritis quid illi debeatur: ego me etsi peccato absoluo, supplicio non libero; nec ulla deinde impudica Lucretiae exemplo uiuet." Cultrum, quem sub ueste abditum habebat, eum in corde defigit, prolapsaque in volnus moribunda cecidit. Conclamat vir paterque . (trad. Ella disse: «Sta a voi stabilire quel che si merita. Quanto a me, anche se mi assolvo dalla colpa, non significa che non avrò una punizione. E da oggi in poi, più nessuna donna, dopo l'esempio di Lucrezia, vivrà nel disonore!» Afferrato il coltello che teneva nascosto sotto la veste, se lo piantò nel cuore e, piegandosi sulla ferita, cadde a terra esanime tra le urla del marito e del padre).

Lucrezia dunque è talmente ossessionata dall‘offesa subita da temere di divenire, involontariamente, modello negativo per le donne future. Cosa dice tutto questo della mentalità romana? Siamo davanti ad un contesto in cui una donna, per purificarsi dal disonore, si toglie la vita e in cui degli uomini, per consolare tale donna, sostengono che —mentem peccare, non corpus “5. I ruoli, apparentemente, sembrano ribaltati: sono gli uomini stavolta a discolpare la donna, atteggiamento ben diverso dagli esempi che poi vedremo legati alla sorella degli Orazi e Virginia. Sembra dunque che la mentalità romana, pur mascherandosi dietro le pur nobili argomentazioni del marito e del padre di Lucrezia, decida poi di —dare la morte“ a Lucrezia, come a voler lavar via ogni dubbio e sospetto con il più tragico dei gesti: il suicidio. Interessante è poi notare il seguito della vicenda. Lucio Giunio Bruto, amico di Collatino e figlio di una sorella di Tarquinio il Superbo, prende l‘iniziativa: fa fare di vendetta che porterà a rovesciare la monarchia a Roma. L‘indignazione del popolo di Collazia spinge tutti, anche a Roma, a prendere le armi contro i Tarquini. Nel discorso di Bruto al popolo, riportato in forma indiretta da Livio, è notevole osservare come il capo della rivolta, per infamare la stirpe dei Tarquini, si serva del celebre e turpe avvenimento di Tullia che passa col cocchio sopra il cadavere del padre:

5 Livio, I, 58. 12 Indigna Servii Tulli regis memorata caedes et inuecta corpori patris nefando vehiculo filia (trad. Dopo aver citato l'indegna fine di Servio Tullio e l'episodio orrendo della figlia che ne calpestava il cadavere col cocchio) 6.

Tarquinio il Superbo da Ardea tenta di tornare a Roma ma troverà chiuse le porte della città: Roma aveva tenuto fuori così il re e la monarchia. L‘episodio di Lucrezia dunque assomiglia, in parte, a quello di Rea Silvia, ma ha dei contorni molto più cruenti e determinanti per il futuro assetto politico romano. Lucrezia, con il sacrificio della propria vita, trasformò un oltraggio privato in una rivoluzione politica che determinò la fine della monarchia e la nascita della repubblica. Certamente non bisogna dimenticare che il racconto di Livio è il frutto anche di una elaborazione letteraria, specie se si tiene presente che la valutazione che aveva lo scrittore dell‘opera storica era quella di un opus oratorium maxime , in linea per altro con il punto di vista di Cicerone 7. Ë infatti indubbio che la cacciata di Tarquinio il Superbo non poteva limitarsi allo stupro di una giovane matrona, sullo sfondo erano infatti le lotte tra il potere monarchico del re e quello oligarchico del Senato, pur tuttavia la tradizione romana assegna la funzione quanto meno di casus belli alla violenza ai danni di Lucrezia. Possiamo dunque concludere che in due momenti di snodo fondamentali per la storia di Roma ci sono due donne e due episodi di violenza: quello di Rea Silvia, oltraggiata da Marte per giustificare l‘origine divina della stirpe romana, e quello di Lucrezia, offesa dal figlio del re successivamente proprio per tale motivo esiliato. Questi episodi non possono certamente cambiare il nostro punto di vista sulla condizione della donna romana in epoca arcaica, pur tuttavia ci obbligano a riflettere sul fatto che i Romani si sentirono di assegnare proprio a due donne l‘apice di momenti di transizione epocali per la loro storia.

3. Percorsi tematici: Camilla e Virginia, vittime della società della vergogna

Tratteremo ora la storia di altre due importanti figure femminili di età romana: Camilla, sorella del ben noto Orazio vincitore dei Curiazi, e Virginia, figlia del centurione Virginio e

6 Livio, I, 59 7 Cicerone, De legibus , I, 2. 13 promessa in sposa a Lucio Icilio. Anche in questo caso ci troviamo dinnanzi ad esempi tratti il primo dalla storia monarchica e il secondo da quella repubblicana. Le vicende di queste due donne sono in un certo senso simili: entrambe muoiono per amore per mano dei loro stessi parenti.

3.1 Camilla: amante dell‘uomo sbagliato

Lo sfondo della vicenda, narrataci da Livio 8, sono le lotte contro Alba sotto il regno di Tullo Ostilio. Gli Albani, muovendo per primi contro Roma, piantarono l'accampamento a cinque miglia dalla città. Tullo Ostilio mosse di conseguenza contro gli Albani guidati dal dittatore Mezzio che mandò al re romano ambasciatori per invitarlo a trattare prima del combattimento: scontrarsi avrebbe significato per entrambi indebolirsi e cadere preda degli etruschi. Per evitare ciò Mezzio propone a Tullo Ostilio di cercare una competizione che eviti eccessivi spargimenti di sangue. Tullo Ostilio accettò e concordò che le sorti del conflitto fossero decise da un duello: il caso voleva che in entrambi gli eserciti militassero dei gemelli i tre Orazi ed i tre Curiazi. Secondo Livio non è certo quali fossero di questi romani e quali albani, pertanto accetta la versione più diffusa, gli Orazi romani e i Curiazi albani. Con il consueto cerimoniale dei feciali e dei padri petrati si dichiara quindi il duello ed i due popoli prestano giuramento di fedeltà al patto: il popolo favorito dall'esito del duello avrebbe dominato sull'altro. Due dei romani sono i primi a soccombere ma a quel punto i tre Albani sono feriti ed il superstite romano è illeso. Per approfittare della sua migliore condizione fisica il romano comincia a correre in modo che i nemici lo inseguono con difficoltà a causa delle ferite e si separino. Così avviene ed il romano riesce ad ucidere ad uno ad uno i tre rivali, vincendo il duello e assicurando a Roma la supremazia su Albalonga. Dopo il duello gli Albani, stando ai patti, si rimettono al potere dei Romani e Tullo Ostilio ordina a Mezzio di tenere pronti in armi i suoi soldati per un eventuale scontro con gli Etruschi. All'entrata a Roma l'Orazio vincitore reca le spoglie dei tre Curiazi uccisi, e sua sorella, promessa in sposa ad un Curiazio, riconoscendone la veste da lei stessa confezionatagli irrompe in escandescenze. L'Orazio si infuria nel vedere la sorella piangere il promesso sposo più dei fratelli e la uccide. Viene processato e condannato, poi prosciolto in appello e punito simbolicamente. La situazione dunque è molto diversa dalle precedenti: stavolta la donna non viene oltraggiata ma patisce gli effetti del suo amore —sbagliato“ con la peggiore delle punizioni,

8 Livio, I, 25-26. 14 per altro aggravata dalla mano consanguinea che la mette in atto. Implacabile è infatti l‘Orazio al cospetto della sorella:

Princeps Horatius ibat, trigemina spolia prae se gerens; cui soror virgo, quae desponsa, uni ex Curiatiis fuerat, obuia ante portam Capenam fuit, cognitoque super umeros fratris paludamento sponsi quod ipsa confecerat, soluit crines et flebiliter nomine sponsum mortuum appellat. movet feroci iuveni animum comploratio sororis in victoria sua tantoque gaudio publico. Stricto itaque gladio simul verbis increpans transfigit puellam. "Abi hinc cum immaturo amore ad sponsum," inquit, "oblita fratrum mortuorum uiuique, oblita patriae. Sic eat quaecumque Romana lugebit hostem ." (trad. Alla testa dei Romani marciava Orazio col suo triplice bottino. Di fronte alla porta Capena gli andò incontro sua sorella, ancora nubile, che era stata promessa in sposa a uno dei Curiazi. Appena riconobbe sulle spalle del fratello la mantella militare del fidanzato che lei stessa aveva confezionato, si sciolse i capelli e in lacrime ripeté sommessamente il nome del caduto. Il suo pianto, proprio nel momento del tripudio pubblico per la vittoria, irrita l'animo del giovane impetuoso che, estratta la spada, trafigge la ragazza rivolgendole nel contempo queste parole di biasimo: «Vattene con la tua bambinesca infatuazione, vattene dal tuo fidanzato, tu che riesci a dimenticare i tuoi fratelli morti e quello vivo e addirittura la patria. Possa così morire ogni romana che piangerà il nemico»)9. Piuttosto semplice intravedere nella vicenda lo scontro tra quelle che possiamo chiamare, con termini di certo impropri, —ragion di stato“ e —ragione del cuore“; in un certo senso il pianto e la disperazione della sorella sembrerebbero presuppore la supremazia dei rapporti affettivi acquisiti su quelli familiari, mentre il feroce atteggiamento del fratello sopravvissuto allo scontro potrebbe ben rappresentare l‘antica, e forse cieca, fedeltà ai valori della famiglia e del clan. Sappiamo per altro che tra le due famiglie, , erano già presenti legami matrimoniali: uno degli Orazi ha già da tempo sposato Sabina, sorella dei Curiazi. Quello che dunque viene punito con l‘orrendo delitto non è tanto il futuro legame matrimoniale in sé, ma la presunzione che esso avrebbe avuto, almeno nel cuore della sorella uccisa, un posto di maggior rilievo rispetto agli affetti familiari. Ciò

9 Livio, I, 26. 15 potrebbe farci capire che in quel particolare momento storico la mentalità romana avrebbe preferito appoggiarsi ai legami familiari aviti piuttosto che a nuove alleanza che sarebbero nate da futuri matrimoni. Ë indubbio infatti che la vicenda possa anche avere un ruolo simbolico, ruolo che Livio ha ritenuto importante al punto da inserirlo nella sua narrazione.

3.2 Virginia: amata dall‘uomo sbagliato

Il caso invece di Virginia è in quale modo identico ma opposto a quello di Camilla e, oltretutto, presenta, come poi vedremo, alcune interessanti analogie anche con l‘episodio di Lucrezia. I fatti risalgono a metà del V secolo avanti Cristo e la nostra fonte è sempre Livio. Figlia del centurione Virginio e promessa sposa di Lucio Icilio, tribuno della plebe caro al popolo per la famosa legge che aveva fruttato ai plebei il possesso dell‘Aventino, suscita le brame del decemviro Appio Claudio. Costui, approfittando dell‘assenza del padre della fanciulla, diede disposizione ad un suo cliente, di nome Marco Claudio, di andare a reclamare la ragazza come sua schiava, La ragazza viene dunque rapita da Marco Claudio in mezzo alla folla dei Quiriti che, per la stima che avevano del padre Virginio e del tribuno Icilio, ne presero le difese. Al processo che seguì il cliente di Appio fece credere che la giovane, nata nella sua casa, era in séguito stata rapita e portata in quella di Virginio, del quale era stata fatta passare per figlia. I difensori della ragazza, essendo Virginio assente dalla città, dissero che era ingiusto che si trovasse coinvolto in una controversia legata ai figli proprio durante la sua assenza, chiesero ad Appio di sospendere il giudizio fino al ritorno del padre. Nel frattempo la fanciulla sarebbe stata dichiarata figlia del cliente di Appio Claudio il quale fa di tutto per ritardare l‘arrivo in città di Virginio. Una folla tumultuosa, tutta dalla parte del padre e del promesso sposo della fanciulla, non riesce a far desistere Appio dal turpe episodio di arroganza. A questo punto, con la sola arma rimasta a Virginio, l‘inganno, egli finge di scusarsi con Appio per le dure parole a lui rivolte e, assieme alla nutrice, si dirige con la figlia al tempio di Venere Cloacina per interrogare la levatrice circa la vera paternità della fanciulla. A questo punto l‘epilogo drammatico: per evitare che Virginia fosse infamata da Appio Claudio Virginio trafisse il petto della figlia maledicendo il decemviro. Il resto dei fatti portò, a seguito di numerosi tumulti, alla destituzione dei decemviri. Ci troviamo di fronte, dunque, ad un altro caso di violenza che fa scoppiare altra violenza. Come nel caso di Lucrezia, anche nella vicenda di Virginia, un fatto privato è pretesto per una conclusione pubblica e politica. Certamente l‘episodio di Virginia ha risvolti molto più 16 complessi di quelli relativi alla nascita della repubblica, ma presenta una interessante analogia. Un importante momento della vita politica romana passa per un grave episodio di violenza ai danni di una donna, per altro innocente e anche stavolta già promessa sposa, proprio come la sorella degli Orazi e analogamente appunto a Lucrezia sposa di Collatino. A differenza di quest‘ultima, Virginia non si suicida ma è del tutto vittima prima delle brame di Appio Claudio poi della tremenda decisione del padre. Potremmo dire che Virginia si trova sempre in balia di uomini, e per altro sempre in balia della violenza, prima quella illegittima del decemviro poi quella, comprensibile ma di certo eccessiva, del padre. Il destino che lega la storia di Virginia a quella della sorella degli Orazi è, almeno in parte, analogo: mentre la promessa sposa di uno dei Curiazi commette l‘“errore“ di innamorarsi dell‘uomo sbagliato piangendolo al momento sbagliato, il caso di Virginia è, se possibile, ancora più tragico: ella è vittima di una brama ingiusta. Per altro nella vicenda della figlia di Virginio hanno un ruolo assolutamente preponderante i rapporti familiari; è vero che è spesso presente la figura di Icilio, ma di fatto egli è nettamente in secondo piano rispetto alla risolutezza, indubbiamente drammatica, del padre Virginio, proprio come nel caso degli Orazi. Anche questo episodio dunque ci fa riflettere su alcuni concetti cardine dell‘ideologia romana. A tal proposito è interessante seguire il passaggio, sempre riferitoci da Livio, dell‘uccisione di Virginia:

—atque ibi ab lanio cultro arrepto, 'hoc te uno quo possum' ait, 'modo, filia, in libertatem uindico.' Pectus deinde puellae transfigit, respectansque ad tribunal 'te' inquit, 'Appi, tuumque caput sanguine hoc consecro .' (trad. Lì, dopo aver afferrato un coltello da macellaio, disse: "Così, figlia mia, io rivendico la tua libertà nell'unico modo a mia disposizione!" Detto questo, trafisse il petto della ragazza e quindi, rivolgendo lo sguardo al tribunale, gridò: "Con questo sangue, Appio, io consegno te e la tua testa alla vendetta degli dèi!") 10 e, poco più avanti, commentando il gesto di Virginio scrive lo storico:

10 Livio, Ab urbe condita, III, 48. 17 Sibi uitam filiae sua cariorem fuisse, si liberae ac pudicae uiuere licitum fuisset: cum uelut seruam ad stuprum rapi uideret, morte amitti melius ratum quam contumelia liberos, misericordia se in speciem crudelitatis lapsus (trad. la vita della figlia gli sarebbe stata più a cuore della sua, se la ragazza avesse avuto la possibilità di vivere libera e pura. Ma quando se l'era vista portar via come una schiava destinata allo stupro, pensando che fosse meglio esser privati dei figli dalla morte piuttosto che dall'oltraggio, la compassione lo aveva portato a commettere un atto in apparenza crudele 11 .

La morale romana dunque ci mostra come, all‘epoca dei fatti, vale a dire nel V secolo avanti Cristo, un padre preferisca affidare la propria figlia alla morte piuttosto che al disonore. E che il gesto di Virginio fosse stato in qualche modo giustificato e compreso dal popolo è dimostrato dai fatti successivi all‘uccisione durante i quali non gli viene mai contestato il delitto, esattamente come all‘Orazio viene comminata, per altro di nuovo dal padre, una pena simbolica. La società romana, dunque, si pone moralmente compatta nell‘accettare un gesto comunque gravissimo che tuttavia avrebbe almeno tenuto lontano l‘oltraggio. Siamo chiaramente in presenza di una —società della vergogna“ 12 , in cui a prevalere sono gli stimoli che la massa esercita sul singolo.

4. Percorsi interdisciplinari

Potrebbe essere interessante, specie in una classe del triennio, affiancare alla riflessione storico letteraria anche percorsi interdisciplinari che permettano di allargare la visuale, per esempio, alle arti figurative. I seguenti saranno semplici spunti con lo scopo di stimolare gli studenti ad approfondire la tematica in oggetto al di fuori dell‘ambito propriamente letterario.

11 Livio, Ab urbe condita, III, 50. 12 R. Benedict, Il crisantemo e la spada , Bari 1968. 18 4.1 Rea Silvia

Un interessante inizio per cominciare a trattare l‘iconografia di Rea Silvia potrebbe essere proprio un bassorilievo della Fontana Maggiore di Perugia recante l‘immagine di Rea Silvia, oltre che di Romolo e Remo, opera di Nicola Pisano:

Fig. 1 Particolare della Fontana Maggiore: Rea Silvia

Proseguendo nell‘iconografia di Rea Silvia si potrebbe pensare di analizzare la celebre opera di Rubens che raffigura Marte il quale giunge dalla vergine vestale:

Fig. 2. Pierre Paul Rubens Marte e Rea Silvia, Vienna, Liechtenstein Museum Per passare invece all‘ambito della scultura di sicuro interesse è scoprire la Rea Silvia di Jacopo della Quercia (1374-1438) presente a Siena:

19

Fig. 4 Jacopo della Quercia, Rea Silvia in La Fonte Gaia, Loggia del Palazzo Pubblico, Siena

Infine, allo scopo di rendere più completo il quadro iconografico, e magari fare qualche riflessione di natura anche storiografica, per esempio relativa alle fonti, potrebbe essere costruttivo mostrare una moneta risalente ad Antonino Pio recante l‘immagine di Marte e Rea Silvia:

Fig.5 Moneta risalente ad Antonino Pio (138-161)

20 4.2 Lucrezia

Anche per il caso di Lucrezia è molto stimolante proporre una lettura iconografica. Ad esempio, se consideriamo l‘opera di Paolo Caliari (1528-1588), detto il Veronese, troviamo che tra i suoi soggetti preferiti ricorrono miti e ritratti di personaggi appartenenti alla mitologia romana. Uno di questi è proprio la Lucrezia:

fig.6 Paolo Caliari, detto il Veronese, Lucrezia , Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie

In quest‘opera, risalente al 1585, si può osservare come la matrona romana sia vestita come una ricca donna dell‘epoca dell‘autore, per esempio nei particolari delle perle, sul capo e al collo, e dei girelli. Questa rappresentazione va infatti contestualizzata nel clima della Controriforma, periodo nel quale essa ben rappresenta un perfetto esempio di moralità, come richiesto e apprezzato dai teologi dell‘epoca.

21 Per restare invece in ambito letterario di sicuro interesse è il parallelo che si può introdurre tra il racconto liviano di Lucrezia e il poemetto di Shakespeare: — Lucrezia “ (— The rape of Lucrece “) 13 . In questo caso non solo è possibile riflettere sulle aggiunte che il testo dell‘autore inglese produce alla nota tradizione romana, ma anche l‘adattamento per una fruizione teatrale. Ancora più utile si rivelerebbe in questo caso un coinvolgimento con i docenti di lingua inglese. Sempre per restare in ambito teatrale sarebbe interessante quanto meno illustrare un‘altra importante riduzione teatrale dell‘episodio di Lucrezia. La fonte questa volta è Andrè Obey (1892-1975) autore francese di importanti opere di teatro, tra cui appunto — Le viol de Lucrèce “ da cui il drammaturgo inglese Ronald Duncan (1914-1982) ha tratto un‘opera in due atti musicata da Benjamin Britten (1913-1976) forse il maggiore compositore e pianista britannico del ”900. Ë chiaro che in un contesto scolastico può risultare difficoltoso proporre temi probabilmente lontani dalla formazione di uno studente di quarto o quinto superiore. Il fine tuttavia non è quello di erudire i discenti circa il teatro inglese del XVI secolo o la storia dell‘arte barocca, ma stimolarli a sapere —leggere“ il classico anche in periodi storici in cui esso pare assente.

4.3 Camilla

Anche per quanto riguarda la triste vicenda della sorella degli Orazi i percorsi potrebbero essere molteplici. E‘ infatti possibile leggere la vicenda degli Orazi e Curiazi, quindi non solo la parte relativa alla triste storia di Camilla, attraverso il teatro di Bertold Brecht. Indubbiamente indicato ad un quarto o quinto superiore, questo approccio è senza‘altro utile per comprendere la visione politica dell‘autore tedesco e, di conseguenza, la realtà culturale europea alle soglie del secondo conflitto mondiale. — Gli Orazi e Curiazi “ di Brecht, infatti, risale al 1940 e fa parte del teatro didattico del drammaturgo tedesco, assieme ad opere come L'anima buona di Sezuan (1943), Madre coraggio e i suoi figli (1945), Vita di Galileo Galilei (1947). Anche in questo caso la —permanenza del classico“ risulta di estrema utilità per comprendere l‘ideologia di un autore a noi sostanzialmente contemporaneo.

13 W. Shakespeare, Poemetti , Garzanti 2000. 22 Altro spunto interessante, restando sempre in ambito teatrale, è senz‘altro la tragedia —Horace“ del drammaturgo francese Pierre Corneille, risalente al 1640, in cui è appunto inscenata la morte di Camilla per mano del fratello. La considerazione, e l‘eventuale comparazione con le fonti storiografiche, dell‘opera dell‘autore francese potrebbe far riflettere sull‘uso che, anche in epoca barocca, venne fatto della storia e mitologia romana, in questo senso potrebbe essere proficuo citare anche altri titoli di alcune opere del medesimo autore come: Medea, Andromeda, Edipo. Inoltre, per far comprendere come di fatto la cultura classica si declini senza soluzione di continuità dall‘ambito letterario a quello musicale di svariate epoche storiche, di certo significativo è citare come anche un importantissimo compositore italiano vissuto nella fine del ”700, Domenico Cimarosa, che appunto musicò — Gli Orazi e Curiazi “, opera tuttora in cartellone nei teatri lirici di tutto il mondo. Per sottolineare inoltre come il mondo classico talora rappresenti una fitta e intricata rete di collegamenti ed ispirazioni tra autori di un medesimo ambito o, addirittura, di ambiti diversi, è proficuo citare il caso del pittore francese Jacques-Louis David. Nella sua famosissima tela, —Il giuramento degli Orazi“, egli mette a fuoco un momento particolare della vicenda, momento per altro assente nelle fonti, quello appunto del giuramento:

fig.7 Jacques-Louis David,1784, Museo del Louvre, Parigi.

23 Interessante è sottolineare il fatto che il pittore francese si sia ispirato certamente all‘“ Horace “ di Corneille piuttosto che al racconto liviano. L‘opera, presente a Parigi al Museo del Louvre, esemplifica perfettamente il concetto dell'esaltazione dell‘amore patrio e rappresenta il momento in cui i tre fratelli Orazi giurano di sacrificare la propria vita per la patria. In conformità con l'estetica neoclassica l‘autore non rappresenta il momento cruento della battaglia ma quello che precede l'azione. Per altro questo non è la sola opera di Jacques-Louis David a rappresentare personaggi desunti dall‘antichità classica, basti ricordare: —Andromeda piange Ettore“, —La morte di Socrate“, —Le Sabine“. Ritengo inoltre importante un altro riferimento pittorico. Al Campidoglio è presenta una sala chiamata —Sala degli Orazi e Curiazi“, in essa sono presenti numerose opere del Cavalier d‘Arpino (Giuseppe Cesari 1568-1640) come — Numa Pompilio istituisce il culto delle Vestali “ (1636-1640) oppure: — Ritrovamento della lupa “ (1595-1596), — Ratto delle Sabine “ (1636-1640) ed anche il — Combattimento degli Orazi e Curiazi “:

fig. 8 Cavalier d‘Arpino, Combattimento tra Orazi e Curiazi, Musei Capitolini, Roma.

Sempre in riferimento a questa importante sala del Campidoglio è utile ricordare un altro notevole riferimento, utile anche per un eventuale rapporto con l‘educazione civica. Nel 1957, precisamente il 25 marzo, proprio in questa sala vennero firmati i trattati istitutivi della Comunità Economica Europea (CEE) e della Comunità Europea per l‘Energia Atomica (EURATOM). Non a caso 47 anni dopo, il 29 ottobre 2004, sempre a Roma e sempre nella medesima sala venne firmata la fondamentale Costituzione Europea dei 25

24 stati. Al di là dell‘importanza storica assolutamente centrale di questi due avvenimenti, è significativo far notare non solo le radici —romane“ dell‘unione europea ma anche il fatto che anche per i moderni trattati si voglia utilizzare un luogo, il Campidoglio, ed una sala, quella appunto degli —Orazi e Curiazi“, che rievochino, tramite affreschi, antichi giuramenti, come appunto quelli desunti dalla tradizione romana. Di nuovo siamo di fronte ad una —permanenza del classico“ in un ambito molto diverso da quello teatrale, un contesto, per così dire, civile che dimostra ancor più non solo le nostre antiche radici latine ma anche il debito, storico e simbolico, che la nostra attuale società deve a quella latina. Sempre a proposito di luoghi importanti, potrebbe rivelare un certo interesse anche parlare, magari in collegamento con i colleghi di storia dell‘arte, della cosiddetta —Tomba degli Orazi e Curiazi “. All‘altezza del XIV miglio della via Appia sorge quello che anche Leon Battista Alberti nel 1585 ricordava come il —sepolcro degli Orazi e Curiazi“. Si tratta di una tomba a pianta quadrata, parzialmente conservata: lunga all‘incirca 15 metri per lato, la struttura era formata da un grande basamento al di sopra del quale si erigevano cinque torrioni tronco-conici; ha uno zoccolo circolare che appena si riconosce, e il nucleo in calcestruzzo, infine si nota un gran tumulo di terra e la torretta in alto.

Fig. 9 Tomba degli Orazi e Curiazi, Roma via della Stella

25 Nonostante quello che si potrebbe pensare, la torretta non è medioevale ma antica, e porta direttamente alla camera funeraria in basso. Tradizionalmente, si riteneva che la tomba conservasse le spoglie degli Orazi e Curiazi: è stato quindi sempre creduto che il sepolcro, presentando cinque coni sulla sua sommità fosse stato eretto a ricordo dei tre Curiazi e dei due Orazi deceduti. Dalle fonti storiche è possibile stabilire come questa interpretazione non corrisponda a verità. Tito Livio infatti, descrivendo accuratamente la battaglia presso le Fosse Clulie 14 , a pochi chilometri di distanza da Roma verso Albalonga, a sinistra della via Appia e a destra della via Latina, specifica che i sepolcri dei cinque deceduti vennero eretti nel medesimo luogo 15 . La fonte evidenzia delle incongruenze rispetto alla tradizione: innanzitutto, il luogo della battaglia non corrisponde al sito della tomba, più distante rispetto a quello indicato. Non sembra inoltre plausibile che i cinque combattenti fossero sepolti insieme, essendo deceduti in luoghi diversi: i due Orazi nel luogo della battaglia, i Curiazi qualche miglia dopo quando, in fuga, vennero raggiunti dal fratello supersite che, dividendoli nella loro corsa verso la salvezza, li uccise l‘uno dopo l‘altro. Dionigi d‘Alicarnasso ricorda infine come i Romani diedero splendida sepoltura ai loro valorosi fratelli 16 . Questo riferimento, e la ricostruzione di come talora la tradizione popolare sia radicata ma priva di attendibilità storica, risulta a mio avviso molto utile per apprendere un metodo critico, specie in relazione al vaglio delle fonti storiografiche.

4.4 Virginia.

Anche per quanto riguarda Virginia è possibile iniziare un percorso interdisciplinare a partire dalla rappresentazione pittorica che ne dà Sandro Botticelli (1445-1510). Dal 1496 al 1504 egli dipinse, con la tecnica della tempera su tavola, le — Storie di Virginia “; il titolo prende spunto dal fatto che in un‘unica opera il pittore fiorentino ha rappresentato i tre momenti cruciali dell‘episodio della figlia di Virginio:

14 Livio, I, 26. 15 Livio, I, 25 Sepulcra exstant quo quisque loco cecidit, duo Romana uno loco propius Albam, tria Albana Romam versus sed distantia locis ut et pugnatum est . 16 Dionigi di Alicarnasso, Antichità Romane , III, 22. 26

fig. 10 Sandro Botticelli, Storie di Virginia 1496-1504 Bergamo, Accademia Carrara

Nella parte all‘estrema sinistra si osserva il rapimento di Virginia per mano di Marco Claudio, cliente di Appio; nella parte centrale in alto è presente Virginio che chiede pietà per la figlia; nella sezione all‘estrema destra si osserva la tragica scena dell‘uccisione di Virginia e, infine, in quella centrale si vede il tumulto della nobiltà romana contro l‘odioso decemviro. E‘ stato ipotizzato che la tavola fosse stata eseguita da Botticelli per le nozze di Giovanni Vespucci con Namicina di Benedetto Nerli celebrate nel 1500. Il soggetto consentiva l‘elogio delle virtù femminili rispondendo a una consuetudine dell'epoca. E tuttavia è possibile usare una seconda chiave di lettura, quella politica. Nella storia di Virginia e nei soprusi vissuti da questa eroina di epoca romana, si celebrerebbe simbolicamente una condanna della tirannia dei Medici e un‘esaltazione delle idee di libertà repubblicane. A corroborare questa ipotesi di lettura è, inoltre, un‘altra importante tavola del Botticelli, per altro dedicata proprio a Lucrezia:

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Fig. 11 Sandro Botticelli, Storie di Lucrezia , 1500-1504, Isabel Stewart Gardner Museum di Boston.

Anche in questo caso sono presenti, da sinistra a destra, varie scene della vicenda di Lucrezia: l‘aggressione della matrona ad opera di Sesto Tarquinio; la riunione assieme al padre e al marito; il suicidio e, infine, con il solito andamento circolare già visto nelle —Storie di Virginia“ , nella scena centrale si osserva Bruto, sotto una colonna marmorea sovrastata da un David e sopra il cadavere di Lucrezia, che arringa i soldati alla rivolta che dalla monarchia porterà alla repubblica. A partire dalle due opere di Botticelli si potrebbe condurre una riflessione circa la tradizione romana, relativa alle due eroine, divenuta nel pittore fiorentino simbologia capace di rappresentare, probabilmente, una critica alla violenza della corte dei Medici, esattamente come il — Giuramento degli Orazi“ di Jacques-Louis David esemplifica perfettamente il valore dell‘amor di patria. Per restare invece in ambito letterario è molto costruttiva la lettura di un importante testo di Machiavelli: i — Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio 17 “. Scritti dal 1513 al 1519 i Discorsi sono un trattato sulle Repubbliche. Nati probabilmente come commento alla prima decade di libri della Storia di Tito Livio, divengono ben presto un insieme di riflessioni autonome in cui il riferimento al testo del grande storico romano è l'occasione più evidente della discussione e la stratificazione storica all'interno della quale Machiavelli può attingere per enucleare le sue norme politiche riguardanti importanti temi come: il

17 Niccolò Machiavelli, Tutte le Opere , a cura di Mario Martelli, Sansoni Editore, Firenze 1971 28 comportamento delle repubbliche, dei popoli, dei singoli cittadini, dei Principi e dei principati, le congiure, le leggi, le milizie e le qualità morali. Per limitarsi al giudizio dell‘autore del Principe circa l‘episodio di Virginia, giacchè sarebbe assai interessante leggere parallelamente Livio e Machiavelli, è ricco di spunti il capitolo 26 del terzo libro che l‘autore intitola significativamente: — Come per cagione di femine si rovina uno stato “, leggiamo:

Nacque nella città d'Ardea intra i patrizi e gli plebei una sedizione per cagione d'uno parentado: dove, avendosi a maritare una femina ricca, la domandarono parimente uno plebeo ed uno nobile; e non avendo quella padre, i tutori la volevono congiugnere al plebeo, la madre al nobile: di che nacque tanto tumulto, che si venne alle armi; dove tutta la Nobilità si armò in favore del nobile, e tutta la plebe in favore del plebeo. […] Sono in questo testo più cose da notare. Prima, si vede come le donne sono state cagioni di molte rovine, ed hanno fatti gran danni a quegli che governano una città, ed hanno causato di molte divisioni in quelle: e, come si è veduto in questa nostra istoria, lo eccesso fatto contro a Lucrezia tolse lo stato ai Tarquinii; quell'altro, fatto contro a Virginia, privò i Dieci dell'autorità loro. Ed Aristotile, intra le prime cause che mette della rovina de' tiranni, è lo avere ingiuriato altrui per conto delle donne, o con stuprarle, o con violarle, o con rompere i matrimonii; come di questa parte, nel capitolo dove noi trattamo delle congiure, largamente si parlò. Dico, adunque, come i principi assoluti ed i governatori delle republiche non hanno a tenere poco conto di questa parte; ma debbono considerare i disordini che per tale accidente possono nascere, e rimediarvi in tempo che il rimedio non sia con danno e vituperio dello stato loro o della loro repubblica 18 .

 Notiamo dunque, nel testo di Machiavelli, che l‘episodio di Virginia, che in Livio aveva un grande peso oltre che pathos, diviene in questo contesto un semplice riferimento ispirato, per così dire, alla real politik. Le donne in Machiavelli, ben lungi dall‘essere le eroine di epoca arcaica risultano divenire — cagioni di molte rovine “ e, a suffragare la sua ipotesi, egli cita addirittura Aristotele. Infine, anche per realizzare dei paralleli con le precedenti

18 Niccolò Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, III, 26. 29 riduzioni teatrali legate alle eroine romane, può risultare utile la lettura di passi scelti della Virginia 19 di Alfieri (1749-1803), tragedia risalente al 1781. Si potrebbe introdurre l‘argomento spiegando che il ”700 è, per così dire, il secolo delle tragedie; l'interesse per il genere era nato dall'influenza del teatro francese di Racine e Corneille, che era così forte da condizionare non solo la scelta degli argomenti ma persino il metro con cui trattarli. L'Alfieri, dotato di un fortissimo senso della libertà e insofferente a ogni tirannide, sia pubblica che privata, concepì il teatro come mezzo di educazione civile e politica . Convinto che la storia sia maestra di vita, portò sulla scena i grandi personaggi, quelli secondo lui più adatti a suscitare l'amore per la libertà e l'odio contro la tirannide come Polinice, Antigone e appunto Virginia. Quello che infatti Alfieri mette in scena non è tanto e solo il dramma di Virginia ma lo scontro ideologico, di dimensioni ben più ampie, tra la libertà, simbolicamente rappresentata dall‘eroina romana, e il —tiranno“, ovviamente personificato da Appio Claudio.

19 , Tragedie, a cura di B. Maier, Garzanti Libri 2003 30 5. Unità di apprendimento di Latino (percorso interdisciplinare):

—Donne romane di età arcaica “

Breve descrizione : L‘unità di apprendimento ha lo scopo di illustrare quattro esempi illustri di personaggi femminili romani sulla base delle testimonianze storiografiche e riflettere poi sulla permanenza del classico nei secoli successivi.

Finalità : lo scopo dell‘unità di apprendimento è mettere in risalto elementi significativi dell‘ideologia romana e riflettere su quanto e come la tradizione latina abbia pervaso le arti nei secoli successivi.

Dati identificativi

Titolo —Donne romane di età arcaica “: Durata 14-16 h Strategie organizzative Collaborazione con docenti di altre materie

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5.1 Prima Fase: ideativa

Obiettivo Formativo • —Concentrare l‘attenzione, attraverso la riflessione linguistica e storica, sull‘ideologia romana esemplata dalle vicende delle eroine romane.

Potremmo inoltre distinguere diverse tipologie di obiettivi e, in particolare:

• Cognitivi : gli obiettivi cognitivi tendono ad assicurare una conoscenza dell‘opera di Livio e dei principali avvenimenti storici legati alle fasi cruciali della storia romana di età arcaica. Tali obiettivi trovano il loro referente natuale negli OSA e nel POF; • Pratico-operativi : questi obiettivi vogliono migliorare sia le abilità interpretative e di traduzione del lessico storiografico e spingere ad approfondire il senso critico grazie alla comparazione dei diversi codici, da quello letterario a quello, per esempio, pittorico. Tali obiettivi hanno il loro naturale referente negli Obiettivi Formativi stabiliti dal docente; • Comportamentali-affettivi : questi ultimi obiettivi vorrebbero sensibilizzare il discente alla complessa tematica della situazione della donna in epoca romana arcaica.Tali obiettivi vedono nel PECUP il loro ovvio modello di riferimento.

Cosa dice l‘Unità di Apprendimento

• Studio dell‘ideologia romana attraverso illustri esempi di donne romane di età arcaica.

Prerequisiti

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Per affrontare con successo, e senza troppe difficoltà, questa unità di apprendimento è necessario:

• Saper ascoltare e leggere con concentrazione; • Conoscere le principali strutture morfo-sintattiche della lingua latina in vista dell‘analisi critico letteraria dell‘opera di Livio; • Avere una buona padronanza degli strumenti di indagine lessicali (vocabolari); • Conoscere il contesto storico in cui vanno ad inserirsi i fatti inerenti le donne di età arcaica; • Conoscere, anche in maniera sintetica ed essenziale, il contesto culturale dell‘europa dal 1700 fino ai nostri giorni.

Personalizzazione dell‘apprendimento (facoltativa)

In relazione alle esigenze di personalizzazione dell‘apprendimento si potrebbero ipotizzare tre scenari di riferimento: • Contesto classe : potrebbe essere richiesta una personale riflessione, magari a partire dalla semplice lettura in italiano del testo di Livio sul tema in oggetto; • Contesto discente con deficit di apprendimento : potrebbe essere utile far ravvisare le principali strutture morfo-sintattioche della lingua latina a partire proprio dal testo liviano; • Contesto discente con spiccato interesse o capacità: si potrebbe proporre un‘indagine interdisciplinare per cogliere la tematica ideologica nelle discipline curricolari;

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Note

L‘approccio al tema delle —donne romane d‘età arcaica“ può avere una duplice origine, in particolare:

• Programmatica : in tal caso il docente, in fase iniziale di programmazione, decide e struttura l‘unità di apprendimento; • Contingente : con —contingente“ intendo la possibilità di sviluppare l‘unità di apprendimento a partire da un fatto non previsto (per esempio in occasione di un fatto di cronaca);

5.2 Seconda fase: attiva (o di mediazione didattica)

Scelte Metodologiche

Tale unità di apprendimento richiede vari approcci metodologici, in particolare e in ordine di attuazione: • Lezione frontale ; • Analisi comparativa tra il testo liviano e gli esempi tratti dalla storia dell‘arte o dalla letteratura dei secoli successivi; • Analisi in classe scritta e orale sul testo di Livio; • Compito in classe scritto (eventuale prova in itinere per valutare un‘eventuale rimodulazione dell‘unità di apprendimento);

Attività, Contenuti e Tempi*

Tale unità di apprendimento richiede approcci metodologici diversificati, in particolare e in ordine di attuazione:

• Lezione frontale in cui si espone sinteticamente l‘opera di Livio e, più in generale, lo sviluppo dell‘unità di apprendimento; dopodiché inizia la vera e propria

34 trattazione del tema con la lettura dei passi su citati di Livio; durata 4h; • Riflessione sull‘ideologia romana: dopo aver chiarito i passi in questione si passa, sempre tramite lezione frontale, all‘esposizione dei principali cardini dell‘ideologia romana di età arcaica; durata 1h • Esercitazione scritta , in questa fase si procede con la verifica delle tematiche trattate mediante quiz a risposta multipla o breve elaborato; durata 1h; (in tale occasione può essere valutata la possibilità di rimodulare l‘unità di apprendimento nel caso risultasse troppo ostica); • Lezione frontale su panorama storico culturale dell‘Europa a partire dal 1600 con lo scopo di rendere comprensibili i paralleli desunti dalla Storia dell‘Arte; durata: 2h; • Lezione frontale e commento degli esempi tratti dalla Letteratura europea e dalla Storia dell‘Arte; durata: 2/4h; in questa parte si può valutare la possibilità di collaborare con docenti di lingua straniera e storia dell‘arte. • Attività di recupero (eventuale) tale momento si renderà indispensabile nel caso in cui un terzo (o meno) della classe riscontrasse notevoli difficoltà di apprendimento; essa può essere intesa come una —micro“ unità di apprendimento che contempli la discussione su almeno un aspetto dell‘ideologia romana;durata: 4h;

Tecnologie

Questa unità di apprendimento non si serve di uno spinto approccio tecnologico, pur tuttavia può risultare costruttivi l‘utilizzo di:

• Videoproiettore: per quel che riguarda la visione delle opere d‘arte citate; ricerca di materiale letterario, filmico e artistico in senso lato da svolgere a casa;

35 5.3 Terza fase: controllo, verifica e documentazione

Prove di verifica

Prove di verifica da svolgersi in due momenti : 1) Analisi e traduzione di semplici brani del testo liviano non trattati a lezione; durata: 1h; 2) Eventuale test di verifica atto a valutare il grado di difficoltà riscontrato dalla classe nell‘apprendimento dei contenuti trattati;

Restituzione elaborati , correzione, dibattito e considerazioni finali ; durata: 1

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1. Introduzione: la donna a Roma pag. 2 2. Percorsi tematici: Rea Silvia e Lucrezia, pag. 5 2.1 Rea Silvia: uno stupro all‘origine della nascita dei gemelli pag. 5 2.2 Lucrezia: uno stupro all‘origine della nascita della repubblica. pag. 8 3. Percorsi tematici: Camilla e Virginia pag. 14 3.1 Camilla: amante dell‘uomo sbagliato pag. 14 3.2 Virginia: amata dall‘uomo sbagliato pag. 16 4. Percorsi interdisciplinari pag. 19 4.1 Rea Silvia pag. 19 4.2 Lucrezia pag. 22 4.3 Camilla pag. 23 4.4 Virginia. pag. 27 5. Unità di apprendimento di Latino pag. 32 5.1 Prima Fase: ideativa pag.33 5.2 Seconda fase: attiva pag. 35 5.3 Terza fase: controllo, verifica e documentazione pag. 37

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