Donne Romane Di Età Arcaica.Rtf
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VI ciclo S.S.I.S. I anno Classi 51-43 DDDoDooonnnnnneeee rrrorooommmmaaaannnneeee dddidiii EEEtEtttàààà AAArArrrccccaaaaiiiiccccaaaa Emiliano Onori 1. Introduzione: la donna a Roma Nell'età antica, in Grecia, la donna era totalmente sottomessa all'uomo. Quando aveva raggiunto l'età per sposarsi una ragazza passava dall'autorità paterna a quella del marito. Un donna ateniese, a differenza di suo marito, trascorreva l'intera giornata in casa, dirigendo i lavori domestici eseguiti dalla servitù e organizzando la vita familiare. Ella infatti usciva solo per partecipare alle feste religiose, le uniche attività che l'avrebbero potuta far uscire dalle mura domestiche venivano svolte dal marito o dalla servitù. La donna ateniese era inoltre esclusa dall'educazione, sia intellettuale che fisica, a differenza della donna spartana che si poteva allenare nelle palestre. Per quanto riguarda la donna romana, a paragone di quella ateniese, potremmo affermare che ella gode di una condizione e di uno statuto giuridico sostanzialmente più favorevoli. Già la legislazione romana relativa al matrimonio deve tener conto di un fattore di differenziazione assai cospicuo rispetto alla Grecia: la donna romana (la filia familias ) è a tutti gli effetti dotata di diritti economici che le consentono di ereditare dal pater familias e di disporre, pur entro limiti assai ristretti, del patrimonio avito. Tale facoltà era tuttavia ampiamente compensata dal diffuso pregiudizio, ben presto ratificato a livello giuridico, per cui la donna, in virtù di una naturale infirmitas o imbecillitas mentis («debolezza intellettuale»), non poteva prendere decisioni senza essere affiancata da un tutore legale (maschio, adulto e cittadino). Immaginiamo pertanto che, agli occhi dei Greci, il fatto che le matrone romane potessero partecipare ai banchetti e ai simposi, dovesse sembrare cosa assai singolare: il divieto era invece assoluto, con l‘eccezione delle etère e delle suonatrici di aulo, per le donne greche. Inoltre, la storia repubblicana esemplifica largamente il ruolo che mogli e madri hanno giocato nella carriera politica di figli e mariti, basti pensare alla moglie e alla madre di Coriolano, o a Cornelia, madre dei Gracchi. Probabilmente il medesimo stupore che dovevano provare i Greci osservando la condizione della donna romana, era il medesimo che provavano i romani considerando la situazione della donna etrusca.Sulle condizioni di vita delle donne etrusche abbiamo numerosi racconti e descrizioni ad opera del greco Teopompo 1, che ne sottolinea la grande libertà: curavano il loro corpo, partecipavano ai banchetti insieme agli uomini, bevevano vino, e soprattutto allevavano i figli senza preoccuparsi di sapere chi ne fosse il padre. Le donne etrusche godevano di una notevole libertà di movimento e di un certo prestigio: non più analfabete ma, anzi, colte, vivevano così con grande dignità e libertà un ruolo che però era sempre esercitato a livello familiare. Comprensibile dunque come i severi censori romani erano sgomenti davanti al fatto che le mogli degli aristocratici etruschi partecipassero tranquillamente ai banchetti standosene sdraiate sui letti del triclinio accanto ai loro mariti. Erano, questi, comportamenti da cortigiane, e nessuna seria matrona romana si sarebbe mai permessa simili libertà. Quando i Romani estesero il loro dominio sulle città etrusche imposero nuovi modelli di comportamento anche alle donne, che i sarcofaghi dell'epoca ci mostrano compostamente sedute ai piedi del letto su cui è disteso il marito. In epoca romana la donna cominciò ad acquisire più diritti e più privilegi, parallelamente al progressivo indebolimento dei valori legati alla patria potestas . La donna aveva infatti ottenuto il rispetto da parte dei figli e soprattutto aveva ottenuto la custodia della prole in caso di cattiva condotta del marito. Dopo l'impero di Adriano se una donna aveva più di tre figli acquistava il diritto di successione ad essi se il defunto non aveva eredi. La donna romana, sposandosi, passava direttamente dalla casa del padre a quella del marito. 1 Teompompo in Ateneo, Deipnosofisti , 123d. 2 Nell'età repubblicana però la donna viveva in condizione di subalternità al marito. Il ruolo della donna nella nuova famiglia era anche chiarito dalla parola matrimonio, che deriva appunto dal vocabolo madre. Un'unione stabile fra l'uomo e la donna era riconosciuta ufficialmente solo per la ragione di perpetuare la propria stirpe mettendo al mondo dei figli. Le caratteristiche fondamentali che una donna doveva avere nell'età repubblicana erano la prolificità, la remissività, la riservatezza. In età imperiale la donna viveva libera in casa assieme al marito, godendo di grande autonomia e dignità. In questo periodo si siedono sul trono imperiale numerose donne degne del titolo di Augusta, donne che seguivano il loro marito in ogni decisione. Spesso infatti le mogli di uomini politici preferivano morire affianco al marito piuttosto che abbandonarlo. Molti antichi scrittori non esitano infatti ad esaltare il grande eroismo e la grande virtù che erano stati raggiunti dalla donna. Durante il periodo imperiale notiamo che il numero di figli per ogni famiglia si era notevolmente ridotto, infatti in quel periodo la donna aveva iniziato anche ad interessarsi a nuove questioni. La donna infatti stava cominciando a partecipare alla vita politica e stava nutrendo un particolare interesse per i processi giudiziari. Numerose donne si dedicarono alla letteratura e alla grammatica, riuscendo quasi a superare alcuni fra i più illustri letterati dell'epoca. Il matrimonio, in epoca romana, era, tuttavia, molto instabile. All'inizio era solo il marito ad avere il diritto di ripudiare la moglie, successivamente anche la donna acquisì questo diritto, ma poteva esercitarlo solo nel caso in cui essa era rimasta orfana di entrambe i genitori. Con la legislazione di Augusto riguardo il divorzio la donna ottenne il diritto di avere restituita la dote in caso di separazione dal marito. La donna aveva il compito di curare e di istruire i figli fino all'età di sette anni, poi passavano sotto la tutela del padre. L'istruzione femminile terminava all'età di dodici anni, l'età minima stabilita da Augusto per sposarsi. A dodici anni la donna era ormai in età da marito, quindi l'esperienza della vita domestica avrebbe contribuito al miglioramento di quelle che sarebbero state la qualità fondamentali di una buona moglie. Infine, per comprendere maggiormente il modo in cui era concepita la condizione femminile, è interessante accennare brevemente al problema dell‘assegnazione del nome alle donne. Trascorsi i primi otto giorni dalla nascita ha luogo un rito di lustrazione. La bambina viene purificata con acqua, nel cerimoniale della lustratio . Parenti e amici di famiglia portano doni e alla bambina viene dato un nome, il suo vero praenomen , che viene però 3 gelosamente tenuto segreto e custodito nell‘intimità familiare. Siccome tuttavia è necessario individuare la donna anche al di fuori dell‘ambiente domestico, quel nome, viene sostituito per i terzi da un cognomen , quello della gens paterna con le sole aggiunte utili a distinguere la neonata dalle sorelle, secondo l‘ordine di nascita ( Maxima , Maior , Minor oppure Prima , Secunda , Tertia ) o secondo l‘aspetto ( Rutilia , Murrula , Burra ). E‘ così che mentre un uomo, come Marco Tullio Cicerone, possiede tre nomi, sua figlia si chiama solo Tullia . Più tardi nella cerimonia nuziale, alla rituale domanda —Qual è il tuo nome?“ rivolta alla donna dallo sposo nel momento dell‘entrata ufficiale di lei nella casa del marito, la sposa risponderà di chiamarsi con lo stesso nome di lui e al precedente cognomen gentilizio paterno subentrerà, o si aggiungerà, quello dello sposo. Così, ad esempio, la catulliana Lesbia, il cui nome ufficiale è Clodia , diventerà Clodia Metelli , la donna di Quinto Metello Celere. E per la seconda volta nella sua vita la donna continuerà a tacere al pubblico il suo vero nome, che non verrà rivelato talora neppure nella sua epigrafe funeraria. A dispetto dunque di una condizione che, specie al giorno d‘oggi, appare subalterna, le donne di epoca arcaica, celebrate nella tradizione storiografica romana, hanno una grandissima importanza, specie per le loro virtù come la pudicitia e la fides . 2. Percorsi tematici: Rea Silvia e Lucrezia, in comune l‘onta dello stupro. Il primo percorso tematico ci porta ad analizzare due figure femminili fondamentali per la tradizione e storia romana. Nel primo caso siamo dinnanzi a Rea Silvia, vergine vestale ritenuta dalla tradizione madre di Romolo e Remo. Nel secondo caso parleremo di Lucrezia, giovane moglie di Collatino, violentata da Sesto Tarquinio, figlio minore del re Tarquinio. 2.1 Rea Silvia: uno stupro all‘origine della nascita dei gemelli All‘origine di questo episodio del mito è la figura di Rea Silvia. Era Figlia di Numitore, re di Albalonga, spodestato dal fratello Amulio; quest‘ultimo l'aveva costretta a farsi vestale 4 temendo la vendetta di una futura prole ma il dio Marte, innamorato della giovane, la rese madre di due gemelli: Romolo e Remo, fondatori di Roma. Risulta essere fondamentale, anche per la futura ideologia romana, la figura di Rea Silvia in quanto Numitore discendeva in linea diretta da Enea, e dunque la maternità di Rea Silvia ha, nella struttura del mito, un ruolo di congiunzione fra la storia arcaica romana e la saga troiana. Interessante è anche il fatto che la medesima Rea Silvia era nota anche con il nome di Ilia, per esempio in Ennio e Nevio, cosa che ancor più connette tale figura con l‘epopea troiana. Sembra invece che il nome Rea Silvia possa far riferimento ad un‘antica divinità indigena. Nella tradizione più diffusa Rea Silvia viene incarcerata da Amulio quando si scopre la sua gravidanza e sarà liberata solo molti anni dopo, quando Romolo e Remo prenderanno coscienza della propria origine. Il destino di Rea Silvia tuttavia, a seguito dello stupro ad opera di Marte, doveva esser ben più terribile: avrebbe dovuto meritare la morte, in quanto legata al voto di castità derivante dalla condizione di vestale.