CUNEO. Da Serbatoio Di Manodopera Per L'estero a Proƴinïia Aÿƚente
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PASSAPORTO PASSAPORTO 206 CUNEO. Da serbatoio di manodopera per l’estero a proƴinÏia aÿƚente Prime emigrazioni nel Sud-Est della Francia. A piedi, su sentieri e mulattiere alpine. Cuneo è oggi capoluogo della provincia piemontese con il più alto valore aggiunto pro capite, seppure ovviamente in calo negli ultimi anni di crisi generale. Il Cuneese ha avuto, nel secolo scorso, un andamento economico opposto rispetto a quello del resto del Piemonte. Più povero e meno industrializzato fra fine Ottocento e la Seconda guerra mondiale, nel tardo Novecento il Cuneese ha saputo intraprendere un cammino economico innovativo puntando su produzioni di alta qualità, a co- minciare dal settore agro-alimentare. Le sue valli non deturpate da colate di cemento, impianti sciistici e dal turismo di massa, recentemente sono state scoperte da tedeschi e francesi affascinati dalla loro intatta bellezza e disposti a trascorrervi le vacanze o anche a trasferirsi nel rispetto dell’ambiente. Tra il tardo Ottocento e la Prima guerra mondiale nel Cuneese il fenomeno mi- gratorio fu imponente e coinvolse gran parte della popolazione alpina. Iniziò come movimento stagionale, per poi diventare permanente tra le due guerre, concludendosi negli anni immediatamente successivi alla seconda, con lo spopolamento totale delle alte valli. L’emigrazione temporanea dalle Valli Cuneesi ha radici molto antiche e, per quan- to riguarda la prevalente direzione verso il sud est francese, si collega alla pastorizia errante e ai mestieri girovaghi: i colportueurs, i venditori ambulanti, i mendicanti che facevano ballare la marmotta nelle piazze delle fiere. Gli abitanti di alcuni comu- ni montani realizzarono nel corso dell’Ottocento e mantennero a lungo singolari specializzazioni nel commercio ambulante: così i cavié di Elva (alta Valle Maira)1 percorrevano, a piedi, tutto il Nord Italia, dal Piemonte al Veneto, per comprare capelli femminili, li portavano ad Elva dove le donne li pulivano e selezionavano per lunghezza e colore; quindi gli uomini si recavano a Parigi, dove li vendevano ai fabbricanti di parrucche. Gli anciué provenienti da diversi comuni della Valle Maira, si spartivano le regioni del Nord Italia dove andavano a vendere acciughe sotto sale. di Renata Allio, Università di Torino. 1 Maira in piemontese significa magra, povera di risorse. PASSAPORTO PASSAPORTO (YRIS)EWIVFEXSMSHMQERSHSTIVETIVPƶIWXIVSETVSZMRGMEEǾYIRXI 207 Da altri comuni si scendeva nella pianura piemontese o in Francia a vendere botti, tele, maglie di lana. Prima ancora, dal tardo medioevo, a segnare i sentieri della montagna tra il Cu- neese e la Francia erano stati eretici in fuga dalle persecuzioni, ma anche mercanti e artisti, come il pittore fiammingo Hans Clemer, meglio noto come “Maestro d’Elva”, per i suoi meravigliosi affreschi che decorano la chiesa del paese. Complementarietº demograĀca ed economica dei due versanti delle Alpi Occidentali Nel corso dell’Ottocento il Cuneese e il Sud-Est della Francia maturarono una forma di integrazione demografica ed economica, che si fece via via più stretta e che rese l’e- migrazione cuneese in quelle zone un fenomeno “naturale”, giungendo ad interessare la maggior parte delle famiglie delle valli. Nel versante cuneese delle Alpi e Prealpi la popolazione agricola crebbe in modo tale da essere sovrabbondante2 rispetto ai mezzi di sostentamento che poteva offrire un’economia agropastorale fortemente condizio- nata da fattori climatici e dall’altitudine. Sul crinale opposto le braccia risultavano invece scarse, sia per un diverso andamento demografico, che registrava un ben più basso tasso di natalità, sia per l’abbandono precoce della campagna da parte dei con- tadini francesi, non appena si presentavano occasioni di lavoro urbano. Anche l’annata agricola risultava complementare sui due versanti: sulle montagne del cuneese il lavoro si fermava nel periodo delle nevi (da novembre a marzo) in quei mesi nella Francia del Sud si procedeva al raccolto delle olive, a lavori di scasso e preparazione dei terreni, alla raccolta dei fiori e delle primizie. Non solo, ma il turismo marino di fine secolo era prevalentemente invernale. I grandi alberghi della Côte d’Azur e le dimore signorili richiamavano numerosa manodopera. Gli uomini della montagna cuneese, che scendevano tra Nizza, Tolone e Marsiglia, si occupavano prevalentemente nell’agricoltura, nei cantieri, nei lavori di sistemazio- ne stradale: erano braccianti, terrazzieri, spaccapietre, portuali, facchini. Le ragazze e le donne partivano spesso con sorelle o amiche e andavano a fare le domestiche in case private, le cameriere d’albergo, le balie, oppure raccoglievano olive o fiori per le profumerie di Grasse. Caratteristica di questa emigrazione frontaliera era, infatti, l’elevata componente femminile, in alcuni casi addirittura lievemente superiore a quella maschile3. Le ragazze viaggiavano spesso a piedi, per risparmiare il costo del treno, e partivano in gruppo per evitare incontri spiacevoli. Non di rado allungavano 2 Raul Blanchard ha osservato: «Cet encombrement d’hommes a été plus néfast à leur économie rurale que le furent les conditions débonnaires du relief et du climat». Si veda: Les Alpes Occidentales, t. VIII, vol. 1: Le versant Piémontais, Arthaud, Grenoble-Paris, 1952, p. 410. 3 Secondo i censimenti del 1906 e del 1911 a Grasse risiedevano più donne che uomini nati in provincia di Cuneo. Renata Allio, Da Roccabruna Grasse. Contributo per una storia dell’emigrazione cuneese nel Sud-Est della Francia, Bonacci, Roma, 1984. PASSAPORTO PASSAPORTO 208 PARTE SECONDA. SPECIALE PROVINCE D’ITALIA il percorso per aggirare il posto di frontiera ed entravano clandestinamente per non pagare i quattro soldi del “passaporto”. A Marsiglia i piemontesi erano occupati nei lavori portuali, negli oleifici e nei saponifici4, numerose presenze si riscontrano anche in zone più lontane: alla St. Gobain, nelle cartiere di Vitry, a Lione, ma soprattutto a Parigi dove i cuneesi si addensavano in determinate vie o quartieri. I più fortunati, quelli che riuscivano a racimolare un po’ di risparmio, aprivano un negozio o una pensioncina per italiani. Emigravano anche giovani pastori, poco più che bambini, maschi ma anche femmine. Dalle montagne del Cuneese, andavano in parte a piedi e in parte in carro (cartun), a Barcelonnette (Alpes-de-HauteProvence), dove venivano ingaggiati, “affittati”, per una stagione o anche per qualche anno5. Tra le testimonianze raccolte da Nuto Revelli ne L’anello forte, c’è quella di una donna di Rittana (valle Stura inferiore), che ricorda il suo viaggio di ritorno da Vallauris a Rittana, compiuto a nove anni: tre giorni di cammino a piedi e aggiunge: «due volte sono andata anche ad affittarmi a Barcellona [Barcelonnette] …. al mattino presto raggiungevamo la piazza di Barcellona che ar- rivavano i padroni ad affittarci. Oh, ce n’eravamo in piazza, della valle Stura e tanti della val Maira, magari cento, la piazza era piena di bambini»6. L’emigrazione seguiva correnti precise, i primi migranti, se avevano successo, chiamavano parenti e amici e comunque chi partiva, nei limiti del possibile, cercava di dirigersi nei luoghi in cui si erano stabiliti dei compaesani, per ragioni di solidarie- tà, per vincere lo spaesamento e la malinconia. Si costruivano così nei luoghi di arrivo comunità di emigrati provenienti dallo stesso comune. È il caso di St. Denis (Parigi), dove, all’inizio del Novecento, una via era comunemente conosciuta come “rue Mo- rinesiò” perché abitata, in larga maggioranza, da immigrati provenienti dalla frazione Morinesio di Stroppo (Val Maira). Il fenomeno assunse dimensioni macroscopiche negli ultimi decenni dell’Ottocento e fino alla Prima guerra mondiale. Secondo dati ufficiali – molto inferiori alla realtà, poiché non tengono conto della maggioranza dei migranti che passava la frontiera senza documenti – tra il 1876 e il 1901 gli espatri dalla provincia di Cuneo sarebbero stati 46,61 per 1000 abitanti7. È il rapporto più elevato fra quelli delle province piemontesi e uno dei più elevati in Italia. Fino alla Prima guerra mondiale l’emigrazione temporanea servì a stabilizzare la famiglia sul territorio, consentendo un’integrazione al reddito famigliare di per sé insufficiente e, nei casi più fortunati, a comprare nuova terra. I migranti cuneesi non erano infatti braccianti, ma piccoli e piccolissimi proprietari di terre di montagna, che 4 Secondo il censimento del 1881, Marsiglia era la città più “italiana” non solo della Francia, ma di tutta Europa. 5 Renata Allio, Ma di paese sono di Carallio, Edizioni dell’Orso, Alessandria, 1986, p. 188. Si veda la struggente lettera di Francesco Campagno al fratello. Francesco aveva allora 16 anni e un passato di abbandono. Nello scritto dice di fare il pastore, di essere stato “fitato” cioè affittato a dieci lire al mese. La lettera è spedita da Barrême, nelle Alpes-de-Haute- Provence. 6 Nuto Revelli, L’anello forte, Einaudi, Torino, 1986, pp. 117-119. 7 Commissariato Generale dell’Emigrazione, Annuario Statistico dell’emigrazione italiana dal 1876 al 1925, Editrice del Commissariato Generale dell’Emigrazione, Roma. 1926. PASSAPORTO PASSAPORTO CYRIS. DE WIVFEXSMS HM QERSHSTIVE TIV P’IWXIVS E TVSZMRGME EǾYIRXI 209 all’estero accettavano qualunque lavoro e risparmiavano in modo forsennato. L’obiet- tivo era quello di arrotondare la proprietà terriera, acquistando piccoli appezzamenti di terra, possibilmente contigui, agognati già dai padri e dai nonni. Terra montana povera pagata a prezzi d’affezione, lontani dal valore reale. I cuneesi delle