Henry Fielding Tom Jones
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Henry Fielding Tom Jones ALL'ONOREVOLE GEORGE LYTTLETON. Lord Commissario del Ministero del Tesoro Eccellenza, nonostante il costante rifiuto da Lei opposto alla mia richiesta di poter porre il Suo nome in testa a questa dedica, ancora debbo insistere nel mio diritto e chiederLe la Sua protezione per la mia opera. A Lei si deve, Eccellenza, se questa storia venne incominciata. Fu per Suo desiderio ch'io mi misi a pensare a simile lavoro. Sono passati ormai tanti anni, ch'Ella ha forse ormai dimenticato la circostanza: ma i Suoi desideri sono ordini per me; e il tempo non puz cancellarli dalla mia memoria. E poi, Eccellenza, senza il Suo aiuto quest'opera non sarebbe mai stata portata a termine. Non protesti, non si stupisca. Non voglio insinuare ch'Ella sia un romanziere. Voglio dire semplicemente che a Lei debbo in parte la mia esistenza per gran parte del tempo che impiegai a comporla. Anche questo debbo ricordarLe; poichp, s'Ella tende a dimenticar certe cose assai facilmente, spero tuttavia ch'io saprz ricordarle meglio di Lei. Si deve a Lei, infine, se la storia compare nella sua forma attuale. Se q vero che si trova in quest'opera, come alcuni hanno voluto riconoscere, il ritratto d'un uomo veramente e profondamente buono, pi efficace di quel che si abbia in altri libri, chi, riconoscendo sia Lei sia un certo suo amico, non capirj quale sia stata l'origine di un ritratto cosu bello? Certo nessuno potrj credere ch'io abbia copiato da me stesso. Ma non importa: si dovrj comunque riconoscere che le due persone ch'io cercai di rappresentare, e cioq due degli uomini migliori e pi degni del mondo, hanno per me una forte e profonda amicizia. E gij potrei accontentarmene; ma la mia vanitj vuol che aggiunga loro una terza persona: una tra le pi grandi e pi nobili, non solo per il suo rango, ma per le sue virt pubbliche e private. Anche qui, perz, mentre esprimo dal profondo del cuore la mia gratitudine per i benefici principeschi del Duca di Bedford, mi permetta di ricordarLe che fu Lei a raccomandarmi al mio benefattore. E quali sono le ragioni da Lei addotte nel negarmi l'onore da me sollecitato? Ha lodato il mio libro con tanto calore, dice, che proverebbe un certo imbarazzo nel veder il suo nome in testa alla dedica. Ma, Eccellenza, se la lettura del libro stesso non l'induce a pentirsi delle Sue lodi, non vedo perchp qualunque cosa io scriva qui, possa e debba metterLa in imbarazzo. Non intendo certo rinunciare al privilegio del Suo appoggio e della Sua protezione per il fatto ch'Ella ha lodato il mio libro: poichp, pur avendo avuto da Lei tante dimostrazioni di bontj, non credo di dover attribuire a questa le Sue lodi. Non credo che l'amicizia abbia in esse gran parte: poichp so che in nessun modo essa potrebbe influire sul Suo giudizio o corrompere la Sua onestj. Anche un nemico sarj lodato da Lei qualora lo meriti; e sulle colpe degli amici stenderj tutt'al pi un pietoso silenzio; o forse, quando le senta troppo condannare, verserj una parola d'indulgenza. Credo insomma, Eccellenza, che l'unica vera ragione per cui Ella non volle acconsentire alla mia richiesta sia la Sua ripugnanza alla pubblica lode. Ho potuto notare quanto dispiaccia a Lei, come agli altri due miei amici, che s'accenni sia pure minimamente alle Loro virt; e che, come un grande poeta dice d'uno di Voi (e ben avrebbe potuto dirlo di tutti e tre), Voi "fate il bene furtivamente, e arrossite se vien conosciuto". Se uomini di questo genere cercano d'evitare il plauso con la stessa cura con cui altri si sforzano di sfuggire alle critiche, q naturale che Lei mi tema: che cosa non dovrebbe infatti temere chi fosse attaccato da un autore da lui ingiuriato e offeso cosu com'io fui da Lei beneficato? E questo timore della critica non aumenterebbe forse in proporzione della coscienza che si ha di meritarla? Se la Sua vita fosse, per esempio, acconcio soggetto di satira, ben potrebbe tremare vedendo a sp rivolta l'attenzione del poeta satirico. E, se applichiamo questo ragionamento alla modestia che La rende cosu contraria al panegirico, certo il timore che Ella ha di me appare perfettamente giustificato! E tuttavia Ella avrebbe dovuto accontentarmi in questa mia ambizione, con la certezza che preferirz sempre attenermi ai Suoi gusti, anzichp soddisfare le mie inclinazioni. E glielo proverz in questa dedica, in cui, seguendo l'esempio di tutti gli altri scrittori, terrz conto non di quello che il mio protettore meriterebbe ch'io scrivessi, bensu di quello che preferirj leggere. Senz'altro preambolo, Le offro quindi il frutto delle fatiche di diversi anni della mia vita. Lei gij ne conosce i meriti. Se il Suo giudizio favorevole m'ha indotto a tenerlo in qualche stima, non mi si accusi di vanitj, poichp avrei accettato senz'altro la Sua opinione, se fosse stata in favore dell'opera di chiunque altro. E mi permetta inoltre d'osservare che, se avessi stimato l'opera mia completamente priva di valore, q Lei l'ultima persona a cui avrei osato raccomandarla. Spero che, leggendovi in testa il Suo nome, il lettore sarj certo, sin dall'inizio, di non trovare nel libro nulla che possa offendere la religione e la virt, nulla che non s'adegui alla pi rigida regola della correttezza, e la cui lettura sia sgradita all'occhio pi casto. Al contrario, affermo d'essermi sforzato in questa storia d'esaltare la bontj e l'innocenza. Ella stima, bontj sua, ch'io sia riuscito nello scopo; e, a dire il vero, non q difficile riuscirci in libri di questo genere, poichp l'esempio q come un ritratto, in cui la virt diviene, per cosu dire, un oggetto visibile, ispirandoci l'idea di quella bellezza che, secondo Platone, esiste nel suo fascino ignudo. Oltre a descrivere quella bellezza della virt che puz attirare l'ammirazione dell'umanitj ho tentato di suscitare in suo favore un pi forte motivo d'azione umana, dimostrando agli uomini che il loro interesse stesso dovrebbe convincerli a perseguirla. E a questo scopo ho mostrato come nulla di ciz che s'acquista col vizio possa compensare la perdita di quella salda, intima serenitj di spirito che sempre s'accompagna all'innocenza e alla virt, np possa minimamente controbilanciare l'orrore e l'ansia che la colpa inspira invece nel nostro petto. Senza contare che, essendo in genere tali conquiste prive di valore, non soltanto i mezzi necessari per raggiungerle sono bassi e vili ma, nella migliore delle ipotesi, incerti e pieni di pericoli. Ho cercato infine di dimostrare con efficacia che innocenza e virt possono nuocere soltanto nel loro eccesso; q questo che le fa cadere nelle trappole tese loro dalla malvagitj e dall'inganno. Ed q questa la morale che mi sono soprattutto sforzato di chiarire, essendo la pi atta a giovare e utilmente riuscire; poichp credo assai pi facile render saggi gli uomini buoni che non render buoni i malvagi. Per raggiungere tali scopi, ho usato tutto lo spirito e tutto l'umorismo di cui sono capace nello scrivere la storia che segue, in cui mi sono proposto di far ridere gli uomini delle loro follie e dei loro vizi preferiti. Fino a che punto io sia riuscito, giudicherj il candido lettore, a cui perz chiedo due cose: in primo luogo, di non aspettarsi un'opera perfetta e, in secondo luogo, di scusare se alcune parti avranno meriti inferiori a quelli che compariranno forse in altre. Non voglio trattenerLa pi a lungo, Eccellenza. In realtj ho scritto una prefazione mentre dichiaravo di voler semplicemente tracciare una dedica. Ma come potevo fare altrimenti? Non oso lodarLa; e l'unico modo che abbia per evitarlo, quando penso a Lei, q di tacere completamente o di volgere i miei pensieri ad altro argomento. Voglia dunque perdonare quanto ho detto in questa lettera non solo senza il Suo consenso, ma addirittura contro la Sua volontj; e mi permetta almeno di dichiararmi pubblicamente, col massimo rispetto e la massima gratitudine, Suo obbligatissimo obbediente e umile servitore HENRY FIELDING LIBRO I • Nascita del trovatello: con quanto q necessario e opportuno che il lettore conosca sin dall'inizio della storia 1 • Introduzione all'opera, ovvero lista del banchetto. L'autore dovrebbe considerare se stesso non come un gentiluomo che offra un pranzo in forma privata o d'elemosina, bensu come il padrone d'una taverna aperta a chiunque paghi. Nel primo caso, colui che invita offre naturalmente il cibo che vuole, e quand'anche questo sia mediocre e magari sgradevole ai loro gusti, gli ospiti non debbono protestare; chp l'educazione impone loro d'approvare e lodare qualunque cosa venga loro posta dinanzi. Proprio il contrario accade al padrone d'una taverna. Quelli che pagano vogliono dar soddisfazione al proprio palato, anche quando questo sia raffinato e capriccioso, e se non q tutto di loro gusto, si sentono in diritto di criticare, di protestare, d'imprecar magari contro il pranzo, senz'alcun ritegno. Ecco perchp, per non deludere i clienti, l'oste onesto e benintenzionato espone in genere una lista delle pietanze, a cui tutti, appena entrati nella taverna, possono gettare uno sguardo; ed essendosi resi conto di quel che c'q, possono rimanere gustando ciz che vien loro offerto, oppure andarsene altrove dove la lista meglio s'accordi coi loro gusti. Non sdegnando d'accettare lezioni di spirito o di saggezza da chiunque sia in grado di darcene, volentieri abbiamo preso lo spunto da questi onesti approvvigionatori e non solo premetteremo quindi una lista generale di quel che offriamo, ma daremo anche al lettore l'annuncio d'ogni portata che sarj servita in questo e nei volumi che seguiranno.