POLLACK & REDFORD Destini Incrociati
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POLLACK & REDFORD Destini incrociati 15-29 maggio 2018 Sala Convegni, Palazzo della Gran Guardia Film in lingua originale con sottotitoli in italiano Ingresso libero fino a esaurimento posti Tel. 045 8005348 ilpiaceredegliocchi.comune.verona.it CALENDARIO Martedì 15 maggio THE WAY WE WERE ore 21.00 (Come eravamo, USA, 1973, 118’) Sabato 19 maggio OUT OF AFRICA ore 16.30 (La mia Africa, USA, 1985, 161’) Sabato 19 maggio JEREMIAH JOHNSON ore 21.00 (Corvo Rosso non avrai il mio scalpo, USA, 1972, 108’) Mercoledì 23 maggio HAVANA ore 16.30 (Id., USA 1990, 144’) Mercoledì 23 maggio THREE DAYS OF THE CONDOR ore 21.00 (I tre giorni del Condor, USA, 1975, 117’) Martedì 29 maggio THIS PROPERTY IS CONDEMNED ore 16.30 (Questa ragazza è di tutti, USA 1996, 110’) Martedì 29 maggio THE ELECTRIC HORSEMAN ore 21.00 (Il cavaliere elettrico, USA 1979, 121’) Poco più di vent’anni fa, nell’ottobre 1997, Sydney Pollack atterrava con il pro- prio aereo all’aeroporto Catullo per partecipare alla seconda edizione di Schermi d’Amore. Il festival gli aveva dedicato la prima rassegna integrale europea e lui non solo aveva messo a disposizione tutte le copie personali dei film, comprese le prime regie televisive, ma aveva anche voluto venire a Verona di persona. La nostra città gli rapì il cuore con le sue bellezze artistiche, i suoi cibi e i suoi vini. Ripartì promettendo di tornare. Il destino, però, decise diversamente. Dieci anni fa Pollack fu sconfitto da una dura e lunga malattia, lasciando un vuoto difficil- mente colmabile nel mondo del cinema. Per questo e per ricordarlo nel decen- nale della scomparsa, il Verona Film Festival, organizza una retrospettiva dedica- ta alla sua lunga collaborazione - 25 anni, dal 1966 al 1990 - con uno degli attori simbolo della Nuova Hollywood dell’epoca, che fu, prima di tutto, suo grande amico: Robert Redford. Insieme, Sydney Pollack e Robert Redford, il primo come regista e il secondo come interprete, hanno girato sette film, lasciando un segno indimenticabile nella storia del cinema. Francesca Briani Assessore alla cultura, turismo, politiche giovanili e pari opportunità Questa rassegna è dedicata a Franco La Polla Il rapporto professionale e personale tra Sydney Pollack e Robert Redford ha ra- dici lontane. Risale all’inizio degli anni Sessanta, quando Pollack (classe 1934, figlio di ebrei immigrati in Indiana dall’Ucraina) e Redford (di due anni più gio- vane, nato in California da una famiglia di origini irlandesi) si trovarono fianco a fianco nel cast di Caccia di guerra (War Hunt, 1962) di Denis Sanders, incentrato sul conflitto bellico in Corea. Redford vi interpretava il soldato semplice Loomis, mentre Pollack era il sergente Van Horn, chiamato a guidare una difficile missio- ne. I due, non ancora trentenni, erano già sposati con figli e professionalmen- te venivano dalla televisione. Durante le pause tra le riprese, nacque un’amici- zia destinata a durare 45 anni, sino alla morte di Pollack (avvenuta nel maggio 2008). Un legame che consentì loro di fondare quello che sarebbe diventato il più importante festival cinematografico americano (il Sundance, dedicato alle produzioni indipendenti di tutto il mondo) e, soprattutto, di realizzare assieme, l’uno come regista e l’altro come protagonista, i sette magnifici film che propo- niamo in questa rassegna. Iniziarono nel 1966 con Questa ragazza è di tutti, dove vennero scritturati su esplicita richiesta della star Natalie Wood. Fu un successo tale da spianare la car- riera a entrambi. Si riunirono nel 1972 per girare uno dei più bei titoli dell’epo- ca in cui il western veniva rivisitato e, qualche volta, rovesciato nel suo assunto epico di fondo. Inno al rapporto tra uomo e natura selvaggia, Corvo Rosso non avrai il mio scalpo rifletteva anche la scelta esistenziale che Redford (trasferitosi a Sundance, nello Utah, al culmine della fama hollywoodiana) aveva fatto nella vita privata. L’anno dopo fu la volta di Come eravamo, un melodramma che riuscì sia a raccontare una grande storia d’amore, sia a restituire l’impatto di un’epoca di grandi speranze e dolorosi tradimenti. Passarono due anni e nel 1975 torna- rono a fare squadra per I tre giorni del Condor, uno dei migliori thriller dal taglio paranoico-complottistico, un genere che negli anni Settanta, dopo l’assassinio dei fratelli Kennedy e lo scandalo Watergate, trovò ampio spazio nella cultura popolare statunitense. Con il successivo Il cavaliere elettrico (1979) ripresero in chiave moderna il tema ecologico della necessità del rispetto dell’ambiente. Nel 1985 proseguirono il cammino con La mia Africa (il maggior successo commer- ciale di Pollack) e chiusero la loro collaborazione nel 1990, l’anno del primo Sun- dance Film Festival, con il crepuscolare Havana. Insieme avevano scritto la storia del cinema americano per un quarto di secolo. Paolo Romano, Giancarlo Beltrame Martedì THE WAY WE WERE (Come eravamo, USA, 1973, 118’) 15 maggio Regia: Sidney Pollack; sceneggiatura: Arthur Laurents, David Rayfiel; fotografia: Harry ore 21.00 Stradling jr.; musica: Marvin Hamlisch; interpreti: Robert Redford, Barbra Streisand, Bradford Dilman, Lois Chiles Che cos’è un addio? Ci sono molti modi per lasciarsi. An- sintonia, la regia si accorda, si issa al loro livello e tocca che dopo un incontro, un bacio appassionato, una notte il sublime. Il racconto attraversa venti anni nella vita dei a letto. Forse per questo Come eravamo, nel filone sen- protagonisti, e Pollack utilizza degli elementi di collega- timentale, è tra i film più disperati. Perché non concede mento che permettono di passare, delicatamente, da un tregua, perché nega il futuro già dalle note di The Way periodo – o da un luogo – all’altro. Troviamo quindi, a We Were di Marvin Hamlish – che aveva ottenuto l’Oscar scandire il racconto, inquadrature di ponti o corsi d’ac- – che segna già il tempo del rimpianto, che accentua la qua. Oppure il gesto spesso solo accennato di Katie di nostalgia, che appare come la rappresentazione (all’ini- rimettere a posto un ciuffo di capelli di Hubbell. Oppure zio degli anni ’70) di una Hollywood e un cinema che le quattro parole (“I’ll see you later”) con le quali sempre non ci sono più. si lasciano. E ritroviamo tutti questi elementi nell’amara Un set da vecchio musical, la rappresentazione del mac- conclusione del film, quando Katie e Hubbell, divorziati, cartismo, un viaggio nel tempo da metà degli anni ’30 si incontrano per caso a New York. Katie sta facendo fir- fino all’inizio degli anni ’60. Con due cuori agli antipodi. mare petizioni per la sospensione dei test nucleari, men- Da una parte c’è Katie Molosky, una militante comunista tre Hubbell scrive sceneggiature per la televisione. La che s’innamora di Hubbel Gardiner, uno scrittore di ta- qualità e l’eloquenza repressa degli sguardi e dei silenzi, lento che poi va ad Hollwood e non riesce a non cedere della banalità degli scambi, dei gesti abbozzati riem- ai compromessi. piono quest’ultima sequenza di una tristezza immensa: La storia d’amore sullo sfondo della Storia come in La quella che si sente ogni volta che due persone sfiorano mia Africa. Sembra un film francese recentissimo. Un qualcosa di grande e di bello; qualcosa che è stato co- Desplechin o Assayas piombati nella Hollywood d’inizio munque a loro portata. La stessa infinita tristezza che anni ’40. Simone Emiliani, Sentieri Selvaggi emerge da quasi tutti gli scritti di Francis Scott Fitzge- rald. E non è certo piccolo il merito di Pollack: aver retto Ci sono, in The Way We Were, momenti molto belli. Il re- fino in fondo il paragone con uno dei più grandi scrittori gista ha saputo mantenere il giusto equilibrio tra i due americani contemporanei, un autentico mito letterario. protagonisti, senza prendere le parti di uno a scapito Claude Benoit, Ecrivain à Hollywood sous McCarthy. Nos dell’altra. E quando i due raggiungono il massimo della plus belles années, Jeune Cinéma Sabato OUT OF AFRICA (La mia Africa, USA, 1985, 161’) 19 maggio Regia: Sydney Pollack; sceneggiatura: Kurt Luedke (dai romanzi La mia Africa di Karen ore 16.30 Blixen e altri testi di Isak Dinesen, Judith Thurman, Errol Trzebibinski); fotografia: David Watkin; musica: John Barry, Henry Carey; interpreti: Robert Redford, Meryl Streep, Klaus Maria Brandauer, Michael Kitchen Come Karen e Denys cercano una spigolosa serenità fra stilistica dell’autore: i primi dieci minuti contengono nelle colline del Kenya, così gli stili antagonistici di Me- già tutti gli elementi essenziali allo svolgimento del film. ryl Streep e di Robert Redford - il metodo di lei e la con- Lo sguardo retrospettivo della protagonista, la voce del- torta disinvoltura di lui - si scontrano, poi raggiungono la nostalgia, la soggettiva che si getta nell’intrico della un compromesso, infine si compenetrano. Inizialmente, savana, sembrerebbe sulle orme di una famosa frase lo- Redford sembra segnato dal tempo, inquieto, come se seyana, “Il passato è un paese straniero” l’arrivo della pro- si sforzasse di fare un favore a un vecchio amico (è il suo tagonista in questo “paese straniero” (ora più geografica- sesto film con Pollack). Il suo sorriso è più che mai a denti mente che temporalmente), accompagnato dai rarissimi stretti, più che mai distaccato. Strizza gli occhi come se movimenti di macchina traballanti del film, quasi a sin- guardasse perennemente il sole della sua celebrità - il tetizzare una caduta di equilibri precedenti; i suoi timori marchio di un atteggiamento di cautela verso un mondo per le porcellane che porta con sé e su cui gli indigeni, che, dopo averlo visto sullo schermo per un quarto di se- ignari della loro fragilità, camminano con noncuranza; colo, pensa ancora a Robert Redford come al tipico divo l’ironia con cui Denys/Redford risponde a queste paure; hollywoodiano.