News di Dicembre 2003

I segreti di Stonehenge svelati con il laser 01 Dicembre 2003

Finora sono state scandite soltanto tre delle 83 pietre che compongono il sito

Usando tecniche di scansione con raggi laser di bassa energia, che non hanno provocato danni alla struttura, un team di archeologi della Wessex ha scoperto presso il sito di Stonehenge due incisioni invisibili ad occhio nudo. Gli intagli, che raffigurano teste d'ascia di bronzo, sono lunghi fra i dieci e i quindici centimetri. Simboli simili erano stati trovati presso il sito negli anni cinquanta. Alla ricerca, cominciata nell'estate del 2002, ha collaborato la ditta Archaeoptics che si occupa di scansioni laser 3D. Finora sono state interamente scandite soltanto tre pietre, ma il team di investigatori insiste affinché venga completato uno studio di tutti gli 83 megaliti che compongono il sito, in grado probabilmente di rivelare altre incisioni. "La scansione laser ci fornisce un modo completamente nuovo per studiare Stonehenge. - afferma Tom Goskar della Wessex Archeology - Con più tempo a disposizione potremmo scoprire nuovi indizi e rendere più chiara l'immagine di incisioni già note ma difficili da vedere".

Fonte: Le Scienze del 24 ottobre 2003

A sorpresa spunta il dio Nettuno 01 Dicembre 2003

Sant'Angelo in Vado, scoperto un prezioso mosaico romano

SANT'ANGELO IN VADO - Un grande mosaico raffigurante il dio Nettuno. E' la sensazionale scoperta fatta pochi giorni fa a Sant'Angelo in Vado, in località Campo Monti, una delle zone in cui si sviluppava l'antico municipio romano di Tifernum Mataurense. E' iniziata sotto i migliori auspici la campagna di scavi condotta a Sant'Angelo in Vado dal comune, grazie ad un finanziamento europeo rientrante nell'obiettivo 2, sotto la direzione scientifica della Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche. Nel corso dell'indagine, infatti, che ha per oggetto una porzione della città romana di Tifernum Mataurense e che vede impegnata sul terreno la cooperativa archeologica di Firenze, è venuto in luce, nel vano di una Domus, un grande mosaico, il primo da alcuni decenni con una complessa scena figurata, scoperto nelle Marche. "L'opera 3 metri per 2 metri circa, sul fondo bianco con figure in azzurro e nero, rappresenta il "Trionfo di Nettuno" -spiega il Soprintendente Giuliano De Marinis- il dio è in piedi su un carro trainato da due ippocampi (cavalli marini), impugna il tridente, suo simbolo, e tiene abbracciata la sposa Anfitrite verso la quale rivolge il volto. Al di sotto nuotano i delfini". Il mosaico è databile, da un primo esame, al primo secolo dopo Cristo. Si rifà ad uno schema ben noto, ma le figure sono rese con un felice ed originale impressionismo provinciale a testimonianza dell'ampia circolazione di cartoni e maestranze anche nei territori più interni, oltre che di una committenza agiata e colta nell'antica Tifernum Mataurense. "Gli esperti -anticipa Luigi Antoniucci, sindaco di Sant'Angelo in Vado- sono convinti che anche nelle altre stanze della Domus potrebbero trovarsi altri pavimenti così importanti. La scoperta ci rallegra e ci incoraggia a proseguire nel nostro progetto, di recupero e studio dell'antico municipio romano". Coperto da una struttura apposita, il mosaico è stato per il momento soltanto pulito, ma dovrà essere la più presto restaurato. Domani (sabato 25 ottobre) dalle 15 alle 17 e domenica prossima al mattino (10-12.30) e pomeriggio (15-17.30) sono in programma visite guidate nell'area archeologica dov'è avvenuto il ritrovamento. L'iniziativa rientra nei percorsi museali attivati in occasione della 40° edizione della Mostra Nazionale del Tartufo bianco pregiato, in programma fino al 2 novembre nella cittadina pesarese. Infoline: 0722.810095

Fonte: ilmessaggero.caltanet.it del 25 ottobre 2003

La mummia di Ramses I torna in Egitto dopo 130 anni 02 Dicembre 2003

Uscita dal paese nel 1871 per essere esposta in Canada venne venduta al museo di Atlanta nel 1999. Le spoglie del primo re della dinastia verranno esposte al museo del Cairo e poi trasferite nel tempio di .

IL CAIRO - Fasciata nella bandiera dell'Egitto, protetta da una cassa di legno massiccio, la mummia di Rames I, primo re di una dinastia che ha governato il Paese per decenni, è tornata al Cairo. Ieri sera è stata caricata a bordo di un aereo della Air , ha attraversato l'Atlantico, ed è sbarcata sul suolo egiziano con una cerimonia degna di un re. La mummia di Rames I, l'unico re d'Egitto le cui spoglie si trovavano all'estero, torna così in patria dopo circa 130 anni di esilio. Ora il guerriero, diventato faraone nel 1292 a.C, andrà a riposare nel Tempio di Luxor, accanto agli altri re che hanno governato l'Egitto nell'antichità. Ad accompagnare le spoglie del sovrano a bordo dell'Air France c'erano la direttrice del Carlos Museum della Emory University di Atlanta, Georgia, dove la mummia era rimasta esposta dal 1999, e il segretario generale del consiglio superiore delle antichità egiziane Zahi Hawass. Ad Atlanta, prima della partenza, il sindaco cittadino e altre personalità avevano organizzato una vera e propria cerimonia di addio. E oggi a dare il benvenuto alla mummia sarà il ministro della cultura Farouk Hosni. La cerimonia si terrà al Museo nazionale del Cairo, dove Ramses I sarà esposto per 45 giorni prima di essere

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trasferito al tempio di Luxor. La mummia di Ramses I, era uscita dall'Egitto nel 1871 per essere esposta in Canada e poi al museo d'arte di Niagara Falls. Ma quando fu scoperto che si trattava di una mummia reale venne venduta per due milioni di dollari al museo di Atlanta. Era il 1999. Il museo della capitale della Georgia decise che avrebbe restituito gratuitamente le spoglie del faraone all'Egitto, ma solo dopo che gli egittologi avessero potuto studiarle. Rimaneva infatti il dubbio che quelle acquistate non fossero realmente le spoglie del primo re della dinastia dei Ramses. Uno studio approfondito, durato qualche anno, alla fine del quale gli egittologi hanno sentenziato che quella di Atlanta è molto probabilmente proprio la mummia di Ramses I. Il faraone, conosciuto soprattutto per aver fatto costruire le famose colonne del tempio di Karnak a Luxor e una tomba suntuosa nella Valle dei Re, resse il regno per pochi anni, dal 1292 al 1290 a.C. Ma inaugurò la dinastia che fece grande l'Egitto.

Fonte: La Repubblica del 13 ottobre 2003

Devastata da alluvioni la Pompei pre 79 03 Dicembre 2003

La scoperta è stata fatta da un gruppo di studio che ha indagato l'area prossima a Porta Vesuvio e Porta Nola, a Nord della città. Ingenti i danni provocati agli edifici dalla furia delle acque. Forse si contarono vittime. Furono almeno tre le alluviono che si abbatterono su Pompei, tra il VII e il II secolo a.C.. La lava di acqua, pietre e fango fu provocata dall'esondazione di un ramo laterale del fiume Sarno che, staccandosi dal corso principale, aggirava l'area a nord della città e si gettava nel golfo di Napoli a circa un chilometro dalla principale e attuale foce, situata a sud di Pompei. Un elemento importantissimo, il ritrovamento di questo tracciato fluviale, sino ad ora sconosciuto, che se da un lato e attraverso canalizzazioni portava l'acqua in città e ai poderi coltivati nel "Pagus", d'altro canto avrebbe provocato le devastazioni scoperte dagli studiosi. Sulla ipotesi, poi confermta dai risultati sul campo, hanno lavorato Maria Rosaria Senatore, professore di Geologia stratigrafica all'Università del Sannio; Tullio Pescatore, docente di Geologia all'Ateneo di Benevento e all'Università Parthenope di Napoli; Annamaria Ciarallo, responsabile del Laboratorio di ricerche archeambientali della Soprintendenza Archeologica di Pompei e Daniel Stanley, ricercatore dello Smithsonian Institute di Washington. La datazione degli eventi è stata fatta sui resti degli animali rinvenuti nei sedimenti alluvionali. In questo modo è stato possibile fissre la prima alluvione intorno alla seconda metà del VII secolo a.C., data che coinciderebbe con quella della fondazione della città di Pompei. L'ultimo livello di sedimenti, invece, è stato datato al I secolo a.C.. Tra i due eventi, una terza alluvione (non sicuramente precista, anche se si dovrebbe attestare intorno al III secolo a.C.) che produsse notevoli danni agli edifici cittadini. Tanto che una delle domus investite dal fiume di fango e situata in prossimità di Porta Vesuvio, venne successivamente ricostruita su un livello di sedimento superiore al precedente di circa un metro. Ma non fu solo l'edilizia cittadina a soffrire per la catastrofe. Secondo gli studiosi, la stessa economia pompeiana, basata su traffici e commerci, fu penalizzata al punto da dover segnare il passo per un periodo abbastanza lungo. In effetti, e in tal modo si spegherebbe il perché delle alluvioni, quel periodo storico era caratterizzato da una situazione climatica sicuramente poco favorevole per l'elevata piovosità. Altri dati interesanti dello studio, sono stati forniti dalle analisi dei sedimenti, permettendo di accertarne la provenienza dalla pareti rocciose di tipo calcareo dei monti che originano il fiume Sarno. Infine, sulle ipotesi formulate circa la scomparsa del secondo tracciato fluviale, si ritiene che siano stati gli stessi pompeiani ad eliminarlo per evitare altre catastrofi alla città.

Fonte: Culturalweb.it del 27 ottobre 2003

Una scultura paleolitica 04 Dicembre 2003

Alcuni esperti non ritengono possibile l'esistenza di forme d'arte più vecchie di 100.000 anni

Un archeologo italiano, Pietro Gaietto del Museo delle Origini dell'Uomo di Genova, ha scoperto quello che potrebbe essere uno dei più antichi esempi conosciuti di arte preistorica. Si tratta della rappresentazione di volti umani scolpiti almeno 200.000 anni fa in una roccia. La scoperta è stata fatta nel 2001 nel corso di una spedizione nel comune di Borzonasca, in Liguria. Secondo Gaietto, nella pietra si possono riconoscere volti che guardano in direzioni opposte. Uno dei due volti, che l'archeologo definisce "molto espressivo", presenta una barba. Se la datazione venisse confermata, si dovrebbe concludere che probabilmente l'artista apparteneva a una specie umana estinta da almeno 150.000 anni. Gaietto ha trovato la pietra in un mucchio di detriti raccolti per essere usati come materiali da costruzione. "Se non me ne fossi accorto, - commenta - quella roccia sarebbe stata ricoperta di cemento e oggi farebbe parte di

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un muro". Secondo l'archeologo, la scultura sarebbe opera di un esemplare di Homo erectus, una specie di ominidi di cui esistono diverse tracce nella regione, e potrebbe essere stata usata per qualche rituale. L'ipotesi è controversa, in quanto non si ritiene che Homo erectus fosse dotato del pensiero simbolico necessario per creare arte. I più antichi esempi di arte umana che gli scienziati concordano nel definire come tali sono tutti più recenti di 100.000 anni. Ma esistono oggetti anche più vecchi dei volti di Borzonasca, come la cosiddetta statuetta Tan-Tan di 400.000 anni fa scoperta in Marocco, che alcuni ricercatori sostengono essere espressione artistica dell'uomo. Volti umani preistorici non sarebbero comunque una novità nella regione: lo testimonierebbe il volto megalitico di Borzone, una parete rocciosa che si ritiene sia stata scolpita da mani umane.

Fonte: Le Scienze del 27 ottobre 2003

Nuova scoperta su rituale funerario dei Sabini 05 Dicembre 2003

Iscima-CNR, grandi banchetti prima di chiudere i sepolcri - Un banchetto per dare l'addio ai defunti e, poi, la porta dell'Ade veniva chiusa per sempre. E' un aspetto sconosciuto del rituale funerario dei sabini, emerso nel corso di due recenti campagne di scavo condotte dall'Istituto di studi sulle civilta' italiche e del Mediterraneo antico (Iscima) del Cnr, in accordo con la Soprintendenza ai beni archeologici del Lazio, nella necropoli di Colle del Forno presso Montelibretti (Roma). Gli scavi, riferisce il Cnr, hanno portato alla luce cinque tombe intatte del V -IV sec a.C. di cui due a fossa e tre a camera, costituite cioe' da un corridoio d'accesso, dromos, e da un ambiente sepolcrale con loculi sulle pareti. In quest'ultima tipologia le ceramiche non si trovano nella camera, come corredo del defunto per il suo viaggio nell'aldila', ma nel dromos. ''Questo dato -spiega Paola Santoro dell'Iscima Cnr- sta a dimostrare che venivano utilizzate nel banchetto che accompagnava la chiusura dell'intera tomba''. Le indagini effettuate nei mesi di luglio e settembre, segnano, continua il Cnr, la ripresa di quelle iniziate nel 1973-1979 e poi interrotte per allestire nel Museo civico archeologico di Fara in Sabina i corredi delle 23 tombe allora emerse. ''La necropoli di Colle del Forno -continua Santoro- apparteneva al centro sabino di Eretum risalente al VIII secolo a.C., ubicato in posizione strategica sulla riva sinistra del Tevere''. ''Dai saggi di scavo -dice ancora la ricercatrice- abbiamo potuto constatare che la necropoli si trova in un ottimo stato di preservazione e offre, pertanto, l'opportunita' di ricostruire l'intera storia dell'insediamento''. Nelle cinque tombe scoperte erano custodite spade, pugnali e punte di lance appartenuti a guerrieri, e manufatti quali placche di cinturoni, armille e ornamenti in bronzo tipici del costume maschile e femminile, che testimoniano i contatti dei sabini con altre genti dell'Italia centrale, quali gli etruschi di Veio, i falisci, i capenati, i romani, i piceni e i sanniti.

Fonte: Culturalweb.it del 28 ottobre 2003

Scoperta nella Siria una città dell'età del bronzo 06 Dicembre 2003

Una campagna di scavi condotta da una squadra di archeologi francesi e siriani ha riportato alla luce nella Siria centrale un insediamento urbano che risale all'eta' del bronzo, circa 2.000 anni avanti Cristo. Lo riferisce oggi l'agenzia kuwaitiana Kuna citando dichiarazioni dell'archeologo Radhi Al-Okda secondo cui i resti dell'insediamento preistorico sono stati rinvenuti nella localita' di Al-Rawda, circa 70 km a Est della citta' di Salamiya, nella provincia di Hama. L'insediamento, ha aggiunto lo studioso, e' inserito - a Nord, a Ovest e a Sud - in tre vallate e cio' indicherebbe che in passato fu un importante centro agricolo e commerciale. La citta', che ha un diametro complessivo di meno di 400 metri, era circondata da due file di mura costruite in fango e pietre e al suo ingresso aveva due torri. Nel corso degli scavi, ha detto inoltre Al-Okda, sono venuti alla luce i resti di un tempio composto da tre locali, uno piu' interno in cui si presume venissero tenuti gli idoli delle divinita', ed altre due camere in una delle quali e' stata dissotterrata una giara contenente molte collane. Uno dei gioielli, secondo l'esperto, e' stato realizzato nel territorio che e' oggi l'Afghanistan e cio' dimostrerebbe che gia' all'epoca c'erano contatti e scambi commerciali tra le popolazioni del Medio Oriente e dell'Asia.

Fonte: Culturalweb.it del 28 ottobre 2003

La Lega Navale Italiana di Agrigento individua un relitto nel mare di Akragas 07 Dicembre 2003

Dopo la recente segnalazione, da parte del Gruppo Operativo Subacqueo della Sezione agrigentina della Lega Navale Italiana, dell'esistenza di resti di alcune strutture murarie sottomarine riferibili all'ingresso dell'antico porto di Akragas, a seguito dell'individuazione fatta dal socio Cesco Tedesco, i sub della Lega Navale hanno effettuato un'altra importante scoperta. Un relitto di una antica imbarcazione giace sui fondali sabbiosi del litorale di "Maddalusa". Lo scafo in legno, di circa 20 metri si trova su basso fondale ed é posizionato a Nord -Ovest Sud-Est rispetto alla linea di battigia, ad una prima ricognizione si possono evidenziare la chiglia,il paramezzale il contropara-

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mezzale e molte ordinate di notevoli dimensioni. Parte del fasciame, a doppio strato, dell'opera viva, risulta ricoperta di sottili lamine di bronzo, sistema anticamente utilizzato per prevenire l'insediamento di alghe e molluschi. Risultano,altresì, ben visibili chiodi in bronzo a testa larga posizionati lungo la carena dello scafo. Sono stati individuati inoltre grosse ritenute in rame riferibili presumibilmente all'assemblaggio della ruota di prora e della chiglia. Il carico del relitto potrebbe trovarsi nelle vicinanze, infatti, é stato rinvenuto poco vicino allo stesso svariato materiale fittile. La scoperta dei resti della nave testimonia che la fascia costiera agrigentina é stata una dei poli di attrazione dei traffici marittimi in antichità. I subacquei hanno effettuato delle misurazioni ed eseguito delle riprese video e fotografiche al fine di segnalare la scoperta alla Soprintendenza di Agrigento con più informazioni possibili. Spetterà ora agli archeologi stabilire a quale epoca risale il relitto. Vella Bianchettino Silvana Presidente L.N.I. Agrigento Tel.0922 607225- Fax0922 6560257 Cell.347 9120563

Fonte: Lega Navale Italiana di Agrigento del novembre 2003

Il mare di Agrigento: un vero museo sottomarino da valorizzare e 08 Dicembre 2003 proteggere

Un 'altra importante scoperta archeologica sottomarina è stata effettuata dalla Lega Navale Italiana Sezione di Agrigento e Porto Empedocle. Grazie alla segnalazione del componente del Gruppo Operativo Subacqueo Cesco Tedesco, della L.N.I. nello specchio acqueo antistante la località Maddalusa sono stati rinvenuti, a circa sei metri di profondità, due cannoni. Hanno partecipato alla ricognizione subacquea Renato Lentini, Daniele Valenti, Mimmo Argento, Salvatore Corbo, Ninni Alletto e Salvatore Alesci. L'eccezionalità della scoperta consiste nel fatto che uno dei cannoni possiede quasi intatto l'affusto in legno completo di ruote, ciò é stato possibile per le condizioni di giacitura; infatti, l'affusto é posizionato su un fondale argilloso, ovvero in condizione anaerobiche particolari e quindi non ha subito l'attacco dei voraci organismi marini che si introducono nel legno, come le teredini, molluschi bivalvi lamellibranchi che compromettono la resistenza del legno scavando numerose gallerie. I cannoni ritrovati erano presumibilmente in dotazione ad un vascello da guerra databile dal XVII al XVIII secolo. Il cannone che emerge dal fondale argilloso sanleonino è ad avancarica, ossia può essere caricato solo dalla bocca. La presenza dell'affusto in legno, in campo archeologico subacqueo, è da considerarsi una scoperta interessante in quanto pochissimi sono gli esemplari rinvenuti e recuperati. L'affusto chiamato tecnicamente "carretta" si muoveva su quattro ruote in legno massello, perché durante la navigazione normale i pezzi venivano tirati dentro le murate della nave e i portelloni erano tenuti chiusi, mentre durante il combattimento venivano "dati fuori". Inoltre, la "carretta" assorbiva il rinculo, cioè la violenta spinta all'indietro che avveniva al momento dello sparo, evitando che tutta la tensione venisse trasmessa agli elementi strutturali e portanti dello scafo. Solitamente erano tre i soldati coinvolti per produrre l'intera sequenza dello sparo ed effettuavano due o persino tre colpi al minuto. Akragas, Agrigentum, Kerkent, Girgenti, Agrigento tutti nomi di una città che ha subito occupazioni e dominazioni da parte di popoli in cerca di una terra ricca e piena di benessere. Molti sono i reperti archeologici subacquei ritrovati, ma solo alcuni vengono documentati, valorizzati e presentati al pubblico. Oltre all'importanza e all'interesse di cui i reperti sono portatori, sono per gli archeologi di grande stimolo tutte le valutazioni che il loro studio comporta da quello di carattere tecnico, a quello commerciale e ancora a quello storico-culturale. Ogni scoperta effettuata e dai dati desunti dalle ricerche, ci viene restituito un momento della storia, vengono svelate tracce di un'epoca, vengono date risposte ai grandi interrogativi della storia. Sarebbe auspicabile, considerata la ricchezza del nostro patrimonio archeologico sottomarino, la creazione ad Agrigento di un "Centro di cultura della civiltà del mare" con la realizzazione di spazi espositivi, congressuali e laboratori didattici di archeologia subacquea, biologia marina e scienze del mare così da permetterne la fruizione, dei reperti più significativi al pubblico. Il "centro" una volta attivato potrebbe promuovere la conoscenza delle problematiche del mare, con particolare riferimento alla cultura marinara, alla tutela del patrimonio archeologico subacqueo, agli ambienti marini del Mediterraneo e dei mari costieri europei allo scopo di favorirne la salvaguardia e una gestione consapevole, offrendo così modelli di sviluppo e spunti scientifici e culturali, una simbiosi tra scienze, arte, cultura e mondo imprenditoriale; un progetto etico per lo sviluppo, la Pace e la cooperazione dei popoli che si affacciano nel mare Mediterraneo.

Fonte: Lega Navale Italiana di Agrigento del 25 novembre 2003

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Spedizione russa sull'Ararat: abbiamo trovato l'arca di Noè 09 Dicembre 2003

Una spedizione organizzata dall' Associazione russa "Pianeta Sconosciuto" afferma di aver trovato sulla catena dell' Ararat quella che essa ritiene sia l' Arca di Noè, già fotografata negli anni scorsi dallo spazio, cioè un' enorme struttura in legno pietrificao che corrisponderebbe alle misure fornite dala Bibbia. La notizia del ritrovamento è stata data dal capo della missione, Andrei Polyakov, un linguista e documentarista, sul sito di "Pianeta Sconosciuto", che produce film sui misteri della Terra, e interviste alla stampa russa. Polyakov sostiene di avere ottenuto il permesso delle autorità turche per salire sull' Ararat, chiuso per problemi di sicurezza nel Sud est curdo, e di avere raggiunto il luogo dove si troverebbe l' Arca.

Fonte: L' Eco di Bergamo del 2 novembre 2003

Pyongyang. Rischiano la distruzione 70 tombe regali coreane 09 Dicembre 2003

Appello all'Italia di un pittore giapponese

Pyongyang - Settanta tombe regali in pietra, sotterranee, di cui 20 con splendidi affreschi di arte buddhista del V-VII secolo d.C., disseminate intorno all'attuale capitale nordcoreana di Pyongyang, rischiano di sparire. Privando il mondo di un patrimonio d'arte e cultura fondamentale per la comprensione della storia dell' Estremo Oriente. E' il grido di allarme lanciato attraverso un'intervista al giornalista dell'Ansa Roberto Maggi dal rettore della Statale di Belle Arti e musica di Tokyo, Ikuo Hirayama, uno dei più celebri pittori giapponesi contemporanei, maestro insuperato nel ritrarrre i resti dell'antica Via della Seta e per questo nominato ambasciatore itinerante dell'Unesco. Un grido di allarme che è anche una richiesta di aiuto all'Italia. "Solo la competenza artistica e tecnica dell'Italia nel restauro degli affreschi - dice Hirayama, 73 anni ben portati, sopravvissuto per miracolo al bombardamento atomico di Hiroshima nel 1945 e ad una conseguente leucemia per esposizione alla radiazioni di quel fungo maledetto - può salvare dalla distruzione affreschi di incredibile bellezza, che forse nel 2004 saranno proclamati dall'Unesco patrimonio culturale dell'umanità". Hirayama ha visitato di recente le 70 tombe. Appartengono all'ultimo periodo del regno di Koguryo, uno dei tre regni, con Shilla e Paechke, della penisola coreana che fiorì, dal 34 A.C fino alla fine del VII secolo D.C, in Manciuria e nella Corea settentrionale e centrale, costruendo un modello di avanzata civiltà e di potenza militare in grado di lottare a lungo contro la Cina imperiale degli Han prima e dei Tang dopo. "Sono tombe di grande importanza - ha spiegato - per la cultura buddhista in Estremo oriente e sono una chiave per comprendere meglio la storia stessa degli antichi imperatori giapponesi. La celebre tomba Takamatsu di Asuka, ad esempio, assomiglia alle tombe Koguryo. Circa 20 di queste tombe, e 10 in particolare, conservano affreschi mirabili di danzatrici, guerrieri, uccelli, pesci, draghi, nobildonne e fanciulle di corte, animali nelle foreste, nuvole e venti, di colori smaglianti e stile vivacissimo e realistico". Secondo Hirayama, la Corea del nord si sta impegnando per la conservazione delle tombe. "Ma la mancanza di capitali e di conoscenze tecniche è un grave handicap - racconta - Alcune tombe sono state abbandonate e quasi tutte, durante la guera di Corea del 1950-1953, furono usate per tenervi prigionieri i soldati americani catturati dai nordcoreani. Nonostante la rigidità ideologica del regime, il dipartimento di cultura è composto di persone aperte alla collaborazione e desiderose di salvare questo patrimonio, l'unico di cui la Corea del Nord può vantarsi oggi di fronte al mondo". Il grande pittore rivela di aver ricevuto appena un mese fa - e la mostra al giornalista - una lettera del Dipartimento della cultura nordcoreano con l'illustrazione di un progetto per la creazione di un Centro di ricerca e restauro delle tombe e degli affreschi. Costo, 800.000 dollari Usa. " La Corea del nord è pronta a fornire 500.000 dollari - svela - Gli altri 300.000 dovrebbero arrivare dalla cooperazione internazionale. I problemi politici con la Corea del nord, però, stanno rallentando tutto. Ma il tempo è tiranno e allora ho deciso di investire io l'intera somma. Purchè il progetto parta". " Ma i soldi, da soli - aggiunge - non bastano. Occorrono competenze e mezzi tecnici per il restauro, che solo l'Italia può offire. Ho fatto mesi fa una proposta alla Divisione Cultura del ministero degli esteri italiano. Si sono detti interessati. Mi auguro solo che si capisca l'urgenza del problema. Non chiedo soldi, ripeto, anche se una mano in questo campo è la benvenuta. Spero che l'Italia rompa gli indugi ed entri nel progetto. Ne guadagneremmo tutti, soprattutto l'umanità che vedrebbe salvo un patrimonio non inferiore alle Piramidi o a Venezia". A quanto si è saputo da fonti bene informate, il progetto illustrato da Hirayama è stato 'girato' dal ministero degli esteri a quello del Ministero dei beni culturali e lì è rimasto, in attesa di valutazione. "Sono ottimista - conclude il celebre pittore - Nel giugno 2004 l'assemblea generale dell'Unesco si riunirà a Pechino e prenderà in esame l'inserimento delle tombe e degli affreschi Koguryo nel patrimonio culturale dell'umanità. Se per allora, il progetto internazionale di restauro con la partecipazione dell'Italia fosse già a buon punto, per la candidatura sarebbe una vera manna".

Fonte: Kataweb.it del 3 novembre 2003

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La valle di Scalve era frequentata fin dalla preistoria 10 Dicembre 2003

Incisioni rupestri individuate dall'archeologo Alvise Priuli in valle Venerocolino e nell'area del lago di Polzone e di Vilmaggiore.

"E una anomalia geologica, morfologica e vegetazionale nel territorio che, associata alle bianche rocce carbonatiche piene di fenditure sulle quali sembra appoggiata ed alla maestosità inaccessibile delle pareti della Presolana, ha forse indotto l'uomo della preistoria a considerarla sacra". A parlare è Ausilio Priuli, archeologo, e il soggetto della descrizione è Cima Verde sopra il Rifugio Albani. L'area è stata oggetto di attenti studi da parte di Priuli e dei suoi collaboratori, che hanno riportato alla luce tutta una serie di incisioni rupestri e che oggi possono essere viste da chi percorre i sentieri della valle. Il numero maggiore di incisioni presente in valle Venerocolino, tra Ronco e Monte Bognaviso; altri siti sono quelli dell'area del lago di Ponzone e di Vilmaggiore La Val di Scalve, in cui la presenza dell'uomo è attestata già dalla preistoria fu, secondo Priuli, una delle vie più battute per il transito tra la Val Camonica e la Valtellina. Quindi non deve stupire se le rocce del luogo siano divenute una sorta di memoria di pietra dei tempi in cui i nostri antenati attraversavano questi luoghi per motivi pratici, ma anche per effettuare esperienze di carattere sacro di cui ci restano solo poche tracce sulla pietra. Chi avrà la pazienza di osservare le rocce della zona cercando le tracce del nostro antico passato, si accorgerà che spesso accanto ad incisioni molto antiche, si trovano figure e scritte recenti, lasciate da pastori, militari e alpinisti che fino ai primi del Novecento ritenevano questa pratica una sorta di azione propiziatoria, come gettare la monetina nella fontata di Trevi. Poi le cose sono cambiate, gli escursionisti attuali hanno maggiore rispetto e solo in rari casi il signor Pinco o il signor Pallino, si sentono in diritto di lasciare una becera traccia del loro passaggio per i posteri a conferma della loro presunzione di onnipotenza. A dominare, tra le incisioni più antiche, sono quelle geometriche: la maggior parte propone una figurazione ricorrente e ben riconoscibile, quella del filetto. Si tratta di una figura complessa, quella che si trova sul retro della scacchiera ed utilizzata per il gioco del "Tris". Per quale motivo gli antenati alpini sentissero il bisogno di incidere queste figure sui massi è ancora un mistero. Sembrerebbe troppo banale l'ipotesi tendente a considerare i filetti una scacchiera in pietra per giocare e utilizzata dai pastori a partire dalle'Età dei Metalli. E' possibile che dietro a queste suggestive realizzazioni vi fossero motivazioni di altro tipo, simboliche, in qualche modo connesse al rito. E' un'ipotesi affascinante che viene sorretta dalla notevole quantità di incisioni analoghe presenti in vari luoghi di culto sparsi nel mondo: dall'antico Egitto al Partenone di Atene, dalle tombe vichinghe alle insicisioni rupestri alpine. Qualcuno ha lasciato un po' da parte la filologia e il mondo scientifico e si è spinto a cercare relazioni tra il filetto e la planimetria della mitica Atlantide, così come risulta dalle descrizioni di Platone... Di certo, misteri a parte, le incisioni di questa area alpina che sono venute alla luce, mentre altre sono ancora avvolte dalla vegetazione o coperte di terra, non possono lasciare indifferente anche l'escursionista meno attento, poichè fanno ripensare ad un passato lontano in cui queste alture erano considerate sacre. Un passato in cui gli uomini avevano ancora il tempo per decorare le rocce delle loro montagne, compiendo un gesto sacro di cui oggi non ci resta che una lontana eco.

Fonte: L'Eco di Bergamo del 4 ottobre 2003

Stele di Axum addio 10 Dicembre 2003

E' cominciato lo smontaggio dell'obelisco. Tornerà in Etiopia entro pochi mesi. Concorso internazionale d'arte contemporanea per sostituirlo. Ma le polemiche non si placano. Vittorio Sgarbi, contrario alla restituzione, maledice il governo

Roma - E' finita. In molti ancora non si arrendono ma il destino della stele di Axum è segnato per sempre. Tornerà in Etiopia. La punta della stele, la sommità, che misura 7 metri, del peso di 48 tonnellate, in un piovigginoso venerdì di novembre, il 7, alle 17,20, nel giorno in cui la chiesa ricorda Sant'Ernesto, abate di Zwiefalten, martizzato dai Saraceni, è stata sollevata da una gru e poi deposta a terra. Nei prossimi mesi sarà custodita in un hangar, nei dintorni di Fiumicino, in attesa dello smontaggio della parte restante che avverrà in due tempi. Dovrebbe concludersi all'inizio del prossimo anno. A quel punto un aereo riporterà l'obelisco in Etiopia, restituito alla città d'origine. Stele di Axum addio dunque, mentre c'è chi come Vittorio Sgarbi lancia maledizioni sul governo ("La decisione del rimpatrio è un'assoluta stupidaggine, legata alla totale mancanza di sensibilità culturale e storica di questo Governo. La maledizione della stele di Axum cadrà su questo Governo e segnerà l'inizio della sua sconfitta" , ha dichiarato) e chi, come Domenico Gramazio di Alleanza Nazionale,

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continua a raccogliere firme per bloccare la partenza del monumento. Ma ormai non c'è nulla da fare. Lo smontaggio continuerà anche se non sarà semplice come ha spiegato l'ingegnere Giorgio Croci, a cui è stato affidato il delicato compito di rimpatriare questo obelisco. Arrivò a Roma nel 1937 per espresso volere di Benito Mussolini e lo fece collocare, in coincidenza con l'anniversario dei 15 anni della marcia su Roma, sulla piazza di Porta Capena, nei pressi del Circo Massimo. Alta 24 metri, del peso di circa 150 tonnellate, in pietra basaltica scura, a sezione rettangolare, la stele, che è stata definita da un poeta della sua terra "Flauto di Dio", viene fatta risalire a un periodo compreso tra il primo e il quarto secolo d.C. e viene attribuita all'opera di artigiani egizi. L'obelisco venne trovato dagli italiani nel '35, durante l'occupazione dell'Etiopia, spezzato in tre tronconi, come altre tantissime steli della città santa di Axum. Trasportarlo al porto di Massaua, distante 400 chilometri dal luogo originario, per caricarlo sulla nave diretta per Napoli fu un'impresa senza precedenti durata due mesi, come testimonia la documentazione scritta e fotografica degli archeologi e degli ingegneri del regime fascista. Si dovette addirittura adattare al convoglio il precario tracciato stradale che portava al Mar Rosso. Giunto a Roma, l'obelisco venne rafforzato con un'anima interna di ferro e restaurato in vari punti. Una parte venne ricostruita in fac-simile per non lasciare il monumento incompleto. Si tratta di un grosso pezzo angolare, il cui originale rimase ad Axum , dove ancora si trova nel giardino della Chiesa copta di Santa Maria di Sion. Per l'Etiopia perdere l'obelisco fu un duro colpo, anche simbolico. La stele infatti faceva parte dei 66 monumenti funerari che nell'antica capitale del regno Axum stava ad indicare la presenza di una tomba reale. I fregi che ne decorano le quattro facciate riproducono un edificio reale a undici piani, di cui si distinguono i particolari incisi con grande cura, le finestre, le porte d'ingresso con i battelli a forma d'anello, probabilmente. La parte terminale ha una sagomatura detta a "testa di scimmia". L'obelisco, costruito secondo la leggenda sull'altipiano etiopico, è considerato il secondo colosso di Axum , là c'è un'altra stele alta più di 33 metri. La sua collocazione a Porta Capena, di fronte all'allora ministero delle Colonie, oggi palazzo della Fao, ebbe luogo tra parecchie difficoltà. Lo scavo per le fondamenta fu ostacolato dal ritrovamento di resti archeologici e vecchie fognature. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale l'obelisco diventò un caso diplomatico che ha diviso l'Italia e l'Etiopia. Fin da allora Addis Abeba chiese la restituzione dei beni sottratti dal regime fascista e tra le priorità del trattato firmato tra i due paesi c'era appunto il rimpatrio della stele: entro 18 mesi. Ci sono voluti 56 anni. Ma ora l'addio è vero. A Roma non resta che la speranza di vedere una sostituzione: un'opera di arte contemporanea al posto dell'obelisco. Ci sarà un concorso internazionale. L'amministrazione comunale ha infatti deciso di bandirlo. Un nuovo monumento coprirà il vuoto di Porta Capena. "Concorreranno le opere di tutti gli artisti del mondo, che verranno poi scelte e selezionate da una giuria di esperi, composta da storici dell'arte e architetti", ha assicurato Eugenio La Rocca, sovrintendente ai beni culturali del comune di Roma. Ma ci vorrà del tempo. Il cammino verso la contemporaneità a Porta Capena è appena cominciato.

Fonte: Kataweb.it del 7 novembre 2003

Antica navigazione alto mare sui fondali di Ustica 11 Dicembre 2003

Paestum - Anche gli antichi marinai mediterranei affrontavano traversate d'alto mare, con tecniche di navigazione e di orientamento che ancora dobbiamo socprire: a sfatare definitivamente la teoria che in antico l'unica navigazione fosse di piccolo cabotaggio, a ridosso delle coste, arrivano le nuove prove di antichissima frequentazione navale dell'isola di Ustica, scoperte dalla missione di scavo subacqueo diretta l'estate scorsa da Giuliano Volpe, professore di archeologia all'universita' di Foggia, sostenuta dalla prevista "Archeologia viva" e dalla sovrintendenza archeologica di Palermo. Molte delle tracce di questa antica frequentazione di Ustica (l'isola sorge a meta' strada fra Sicilia e Sardegna, lontana da qualsiasi costa) sono esposte in un museo sommerso. E' il percorso archeologico subacqueo allestito attorno a Ustica, che e' stato illlustrato, alla festa Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico, in corso di svolgimento a Paestum, da Piero Pruneti, direttore di archeologia viva. Il visitatore subacqueo che segua il filo d'Arianna sommerso sui fondali rocciosi dell'isola, spiega Pruneti, trovera' incastrati negli scogli i ceppi d'ancora in piombo contorti; sono l'emozionante testimonianza della violenza dei venti che investirono quelle navi all'ormeggio, i cui marinai dovettero affrettarsi a tagliare i cavi abbandonando le ancore conficcate nella roccia. "In un museo terrestre - commenta Pruneti - quei ceppi contorti perderebbero tutta la loro spettacolare drammaticita'". La missione di archeologia subacquea diretta da Volpe, sull'unico fondale sabbioso di Ustica davanti al porto di Cala Santa Maria (era un porto anche in antico), ha invece restituito grande quantita' di frammenti di ceramiche e di anfore vinarie e olearie, attribuibili ad un ampio arco temporale, fra il terzo secolo a.C e il sesto secolo d.C: erano merci di accertata provenienza africana, spagnola, egea e sud-italica e dirette presumibilmente a Roma, testimonianza del fatto che a Ustica facevano scalo molti dei mercantili che compivano la traversata del Mediterraneo occidentale. Secondo Volpe, il materiale rinvenuto su quel fondale e' solo in piccola parte attribuibile a naufragi: doveva essere piu' probabilmente vasellame di scarto perche' andato in pezzi durante il viaggio, e buttato in mare perche' inutile o per alleggerire la nave prima dell'ingresso in porto. "La rotta d'alto mare - commenta Volpe intervistato telefonicamente dall'Agenzia Italia, anticipando il resoconto dello scavo di imminente pubblicazione sulla rivista "L'Archeologo Subacqueo" da lui diretta - era piu'

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sicura del piccolo cabotaggio lungo la costa: evitava i pirati e le pericolose correnti e i colpi di vento sottocosta. Dobbiamo dedurre che gli antichi marinai disponevano di conoscenze navali e di una strumentazione di orientamento piu' progredite di quanto noi supponessimo".

Fonte: agi.it del 7 novembre 2003

Scoperto il più antico polo industriale per lavorazione olive 11 Dicembre 2003

Roma - La dieta mediterranea sarebbe nata a Cipro gia' all'eta' del bronzo. A rivelarlo sono alcuni ricercatori dell'Itabc, Istituto per le tecnologie applicate ai beni culturali del Cnr, protagonisti dell'ultima campagna di scavi archeologici a Cipro. Nel corso della campagna archeologica, infatti, la squadra di ricercatori del Cnr ha verificato che gli abitanti dell'isola conoscevano tutti i segreti dell'olio d'oliva gia' dall'eta' del bronzo e, per questo, ne producevano in quantita' industriali.

Fonte: news2000.libero.it del 7 novembre 2003

Ritrovato un altare Maya rubato 12 Dicembre 2003

E' decorato con immagini di due re che giocano a palla

La National Geographic Society e la Vanderbilt University hanno annunciato di aver recuperato un elaborato altare di pietra, pesante 270 chilogrammi, rubato da un antico cortile Maya per il gioco della palla, in Guatemala. Al recupero hanno collaborato archeologi professionisti, agenti dei servizi segreti guatemaltechi e abitanti dei locali villaggi Maya. I saccheggiatori intendevano vendere l'altare all'interno del redditizio mercato clandestino delle antichità. "Si tratta di un'importante vittoria - ha commentato Arthur Demarest, archeologo della Vanderbilt University di Nashville - che ci ha consentito di salvare un vero e proprio capolavoro dell'arte Maya". Demarest guida il Progetto Archeologo di Cancuén, che ha svolto un ruolo essenziale nel recupero dell'altare. Il reperto è decorato con immagini di Taj Chan Ahk Ak Kalomte, il più grande dei governatori della lunga dinastia di Cancuén, mentre gioca al sacro gioco della palla con il re di un villaggio vicino. L'altare venne posto nel cortile nell'anno 796 dopo Cristo, per essere usato come palo della porta nelle partite successive. Secondo Demarest, il gioco era tanto un rituale quanto uno sport, e si svolgeva per celebrare le visite di stato e per sancire le alleanze regali. Un altro altare proveniente dallo stesso campo è stato scavato nel 1915 ed è attualmente esposto al Museo Nazionale di Archeologia del Guatemala.

Fonte: Le Scienze del 7 novembre 2003

Un naufragio in Giappone conferma il terremoto del 1700 12 Dicembre 2003

Trecento anni fa nello stato di Washington non esistevano documenti scritti

Negli ultimi vent'anni sono state trovate molte prove del fatto che un grande terremoto ha scosso il fondo marino al largo delle coste occidentali del Nord America nel 1700, molto prima che nella regione cominciassero a esistere documenti scritti. Lo studio dei dettagli del naufragio di una nave in Giappone ha fornito ora una nuova e interessante conferma. I documenti storici provenienti dai villaggi costieri dell'isola di Honshu, la principale dell'arcipelago giapponese, mostrano che il 28 gennaio 1700 la costa venne colpita da una serie di forti onde, chiamate collettivamente tsunami. Poiché nessun terremoto in Giappone aveva preannunciato le onde, secondo il geologo Brian Atwater dell'Università di Washington e del Geological Survey degli Stati Uniti è probabile che queste provenissero da qualche altro luogo lungo i margini del Pacifico. Nel villaggio di Kuwagasaki, ora parte della città di Miyako, 500 chilometri a nord-est di Tokyo, lo tsunami raggiunse un'altezza di tre metri, distruggendo tredici case e dando origine a un incendio. Documenti trovati in altre cinque città forniscono altri indizi che consentono di stabilire che lo tsunami venne generato da un terremoto di magnitudine 9.0 al largo delle coste dello stato di Washington il 26 gennaio 1700. A questo si aggiunge la storia del naufragio: una nave che trasportava 30 tonnellate di riso, partita da Nakamura per Tokyo, venne affondata da una tempesta mentre era ormeggiata nei pressi della città di Nakaminato. Solo nel 2002 il geologo giapponese Kenji Satake ha collegato l'evento con il terremoto nordamericano. Atwater ha presentato la sua ricostruzione al convegno annuale della Geological Society of America a Seattle.

Fonte: Le Scienze dell'8 novembre 2003

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Carabinieri trovano una nave ad Albenga, ma sotto il mare 13 Dicembre 2003

Il relitto di una nave oneraria romana e' stato scoperto dai Carabinieri del Centro subacquei di Genova voltri a 50 metri di profondita' nel tratto di mare antistante Albenga, all' altezza dell' isola della Gallinara. "Una attività investigativa durata pochi mesi ci ha fatto scoprire il relitto di una nave oneraria di età romana e probabilmente risalente I sec. a.C, a 50 metri di profondita' nel tratto di mare antistante Albenga, all' altezza dell' isola della Gallinara. Sul fondo sono state trovate molte anfore ed altro carico in buonissimo stato di conservazione. Dobbiamo verificare se il relitto fosse gia' visitato da trafugatori di reperti antichi. Ora l'area è interdetta dalla capitaneria di porto e controllata dalle nostre motovedette" La nave oneraria è a circa un miglio da un altro relitto di epoca romana, noto agli studiosi e oggetto di varie pubblicazioni. Il fasciame non e' visibile, sepolto dal carico di anfore che si e' stratificato sul fondo. Il relitto sara' sottoposto ad una campagna di rilevamento.

Fonte: Culturalweb.it del 6 novembre 2003

La nave romana di Albenga, forse era diretta in Francia 13 Dicembre 2003

Scoperta dai carabinieri subacquei, ora partira' la campagna dei rilievi, ha detto il comandante del Centro subacquei dei Carabinieri, Maggiore Luigi Grisoli: "ma di fatto l'area archeologica appena scoperta non era stata ancora esplorata e potrebbe rivelare nuovi, importanti segreti. Ora il primo passo e' quello di provvedere alla tutela di tutti i reperti''. Le spedizioni subacquee da parte dei sommozzatori dell'Arma sono partite alcuni giorni fa in tutta segretezza, dopo che erano giunte voci all' Arma territoriale di un traffico di reperti da parte di subacquei. A meno di un miglio dal relitto scoperto nei giorni scorsi si trova un'altra nave romana ben nota, scoperta nel 1950 da Nino Lamboglia. In quell'occasione vennero recuperate 728 anfore ed altri oggetti in piombo. ''E' probabile che le anfore contenessero vino, olio e cereali come testimoniano anche altri ritrovamenti di navi simili di fronte alle coste francesi e nella stessa area di Albenga'', ha confermato Giuseppina Spadea, direttrice della Soprintendenza ai beni archeologici della Liguria. Per verificare lo stato di conservazione della nave e il suo contenuto dovranno ora essere avviate delle campagne di ricerca.

Fonte: Culturalweb.it del 7 novembre 2003

Svelati i codici "segreti" dell'arte rupestre 14 Dicembre 2003

Grazie a ricerche del paletnologo italiano Emmanuele Anati - Un esame scientifico dell'arte preistorica a livello mondiale ha rivelato che essa rispecchia il funzionamento elementare del cervello umano. Ed e' stata identificata percio' la presenza di una struttura elementare nell'arte rupestre che mostra paradigmi e costanti in relazione al funzionamento cerebrale dell'uomo. Un'equipe archeologica del Centro Camuno di Studi Preistorici (Brescia), diretta dal professor Emmanuel Anati, paletnologo di fama, e' riuscita a 'decifrare' i messaggi grafici di 50-30.000 anni fa rimasti impressi sulle pietre, scoprendo il 'sistema mentale' che ha condotto l'uomo a produrre l'arte primitiva. Da alcuni anni il Centro Camuno, con l'appoggio dell'Unesco e di altre organizzazioni internazionali, ha creato un inventario mondiale dell'arte rupestre di oltre 160 Paesi (il cosiddetto progetto Wara, World Archives of Rock Art). L'analisi comparativa di questo immenso archivio di pitture e incisioni su pietre ha permesso di scoprire delle caratteristiche ripetitive che mostrano - ha spiegato Anati all'Adnkronos - ''le stesse preoccupazioni e gli stessi processi mentali di sublimazione e di associazione presso varie popolazioni dell'Eta' della Pietra nel mondo intero''. Sono state individuate anche alcune regole che sono il riflesso del meccanismo cerebrale dell'uomo, giungendo alla lettura di pitture che si rivelano analoghe in vari continenti per tipologia grafica e associazione tra figure. Questa scoperta, ha sottolineato il paletnologo Anati, permettera' un nuovo tipo di ricerca sulle origini dell'arte primitiva e sul meccanismo cognitivo primordiale dell'uomo. I risultati delle indagini sono presentati dal professor Emmanuel Anati in due monografie edite dal Centro Camuno di Studi Preistorici, intitolate ''La struttura elementare dell'arte'' e ''Lo stile come fattore diagnostico nell'arte preistorica''. Le ricerche dell'equipe archeologica italiana ha potuto stabilire la struttura sintattica e grammaticale dell'arte rupestre. Per struttura sintattica si intende il tipo di associazione fra i singoli elementi dell'iconografia, come la presenza o meno della scena o delle sequenze logiche. Per grammatica si intende le caratteristiche dei segni che sono di tre tipi: i pittogrammi o figure, gli ideogrammi o simboli ripetitivi e gli psicogrammi o espressioni grafiche di sentimenti e sensazioni. Alcune categorie iconografiche non conoscono la scena aneddotica e descrittiva che risulta essere un'acquisizione relativamente recente del processo cognitivo. Le culture arcaiche usano nell'iconografia due tipi di sintassi definiti 'associazioni semplici' e 'sequenze iconografiche'. Gia' a partire da 50.000 anni fa - sostiene Emmanuel Anati - si praticava l'uso di segni astratti convenzionali e

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ripetitivi simili a quelli delle prime scritture ideografiche sviluppate in Cina o Mesopotamia 5.000 anni or sono. Il soggetto, solitamente figurativo, e' circondato da segni che indicano l'azione e gli attributi.

Fonte: Culturalweb.it del 7 novembre 2003

Pisa. Una Fondazione per le navi romane di San Rossore 14 Dicembre 2003

Il modello giuridico è il museo egizio di Torino

Pisa - Per oltre un millennio, Pisa fu uno dei più grandi, se non il più grande, porto commerciale del Mediterraneo, non solo in epoca romana, ma anche etrusca quando da qui partivano navi cariche, soprattutto di vino, dirette in prevalenza verso la Francia, terra che, secondo gli studiosi, ancora non aveva sviluppato quella sapienza recuperata più tardi nel trattare le viti ed il loro inebriante succo. Appare sempre più chiaro che preesistesse un porto etrusco a quello romano, scoperto nella zona tra San Piero a Grado e San Rossore, nel dicembre del 1998 quando una ruspa portò alla luce una grande struttura in legno mentre erano in costruzione le fondamenta del Centro di controllo Fs per la linea Roma-Genova, a San Rossore, a pochi chilometri da Pisa. La portata di quella scoperta, destinata, secondo gli studiosi, a definire in maniera scientifica la storia dei rapporti nel Mediterraneo in epoca etrusca e romana, è stata ribadita oggi a Pisa dove si è tenuto il convegno "Le Navi di Pisa e l' Europa", dedicato alla conservazione ed alla valorizzazione della enorme quantità di reperti trovati, al quale hanno partecipato, tra gli altri, il ministro per i beni e le attività culturali Giuliano Urbani, quello alle infrastrutture Pietro Lunardi, il sovrintendente ai beni archeologici della Toscana, Angelo Bottini, storici, archeologi ed esperti di conservazione. Il convegno si è tenuto nel capannone messo a disposizione dal Gruppo Teseco, in località Ospedaletto, a pochi chilometri dallo scavo, che ospita lo scafo di una nave da guerra di 12 metri, battezzata 'Giuditta' dagli archeologi, e dove è già stato avviato, "anche se in maniera non appariscente", come ha detto Urbani, un Centro per il restauro del legno, destinato a diventare il punto di riferimento nazionale per questo tipo di restauri. "Noi finora avevamo parlato di Pisa, città marinara in genere con riferimento all' età romana, però gli autori antichi ci parlano di Pisa città marittima in periodo etrusco - ha detto Giovannangelo Camporeale, dell' università di Firenze - ed i reperti di Pisa stanno dando la prova o la controprova di una città proiettata sul mare già in periodo etrusco. I reperti di Pisa significano entrare nella storia dell' ultimo millennio avanti Cristo". "I reperti di Pisa raccontano quasi un millennio di storia della marineria - spiega Mario Torelli, docente di archeologia all' Università di Perugia -, sono importanti in sè ma anche per la storia etrusca e romana e delle grandi relazioni del Mediterraneo". Se il Laboratorio è già stato avviato, sembra che manchi poco anche alla nascita della Fondazione che dovrà gestire e valorizzare le straordinarie scoperte fatte nel 'Porto delle meraviglie' di San Rossore. Urbani, che aveva promesso la costituzione entro la fine del 2003, ha detto che "le difficoltà iniziali sono state superate e che adesso disponiamo di uno statuto tipo, che è quello messo a punto per il Museo Egizio di Torino, che sarà applicato anche alla Fondazione di Pisa con le dovute modifiche". Secondo il ministro è stata già imboccata anche la strada che porterà al 'Museo del Mare', che sarà ospitato negli Arsenali Medicei, una struttura del sedicesimo secolo progettata dal Buontalenti, ubicata sui lungarni pisani. "In tempi brevissimi - ha detto il ministro - si partirà con un progetto industriale, cioè un progetto a tappe successive che dovranno portarci, coerentemente e progressivamente, verso l' organizzazione del Museo che prenderà forma in rapporto ai vari stati di avanzamento del recupero e del restauro delle navi". Quanto alle risorse Urbani assicura che "non mancheranno". "Saranno trovate anche - ha detto - da 'Marcus', la neonata società per lo sviluppo delle arti, della cultura e dello spettacolo, approvata nei giorni scorsi e che godrà di molti soldi che verranno dalla legge obiettivo che destina alle infrastrutture museali e culturali il 3% di ciò che si spende in autostrade, porti e ferrovie". Dal 1998 ad ora, dall' antico porto di Pisa sono affiorate circa 20 imbarcazioni, in prevalenza mercantili, datate dal III-II secolo a.C. a oltre il VII secolo d.C.. Assieme ad esse una quantità incredibile e mai vista prima di reperti: corde, calzature, ceste di vimini, strumenti di navigazione,oggetti per scrivere, vasellame, ossa animali (bovini, capre,maiali) e addirittura anche un dente di leone, forse africano. Nel '99 fu trovato anche lo scheletro di un marinaio assieme a quello del suo cane bassotto. Reperti ben conservati in una sabbia molto umida, sigillata da strati di argilla che non ha fatto sviluppare ossigeno, consegnandoci cosi' una lettura intatta della antica storia del Mediterraneo e dei suoi traffici.

Fonte: Kataweb.it del 12 novembre 2003

Lavori di scavo: riemerge parte dell'antica via Flaminia 15 Dicembre 2003

GUALDO TADINO - Due brevi tratti di pietre calcaree, disposti in modo longitudinale, sono stati scoperti nella pianura gualdese. Il ritrovamento è avvenuto con i lavori di urbanizzazione nell'area industriale nord di Gualdo Tadino. Si è subito pensato ad un collegamento con il selciato dell'antica Via Consolare Flaminia.

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L'Amministrazione comunale ha predisposto alcuni sondaggi esplorativi che sono stati eseguiti la scorsa settimana alla presenza di un delegato della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Umbria. "Gli studi - afferma l'assessore ai Lavori pubblici, Marcello Guidubaldi - hanno confermato i nostri sospetti. Quindi si è provveduto a modificare il piano di lavoro così da restituire fin da subito alla collettività alcune parti dell'antica opera viaria recuperate al loro aspetto originale". Il progetto di urbanizzazione non interessava la sede della vecchia Flaminia "e tengo a sottolineare che i reperti non hanno subito alcun danno", continua Guidubaldi, "l'Amministrazione andrà alla ricerca dei finanziamenti necessari per attuare studi di ricerca nel sito storico-archeologico e per massimizzare i lavori di recupero e di tutela". A partire dal 29 novembre sarà aperto a Gualdo il museo regionale dell'emigrazione, primo in Italia se si esclude quello di San Marino. Contenitore sarà il Palazzo del Podestà con annessa la Torre Civica, quindi in pieno centro storico. Nel museo verrà realizzato un centro di ricerca permanente, un laboratorio didattico per le scuole ed un centro audiovisivo. Gualdo sarà depositaria dell'unica Cineteca nazionale sull'emigrazione, messa insieme grazie ai documenti ed ai cinegiornali concessi in esclusiva da Rai Teche e dalla Televisione della Svizzera Italiana. Il Comune ha affidato la cura del museo all'Istituto per la storia dell'Umbria contemporanea (Isuc) con il patrocinio del Ministero "Italiani nel mondo" e della Regione.

Fonte: ilmessaggero.caltanet.it del 13 novembre 2003

Vietnam: trovato palazzo dell' undicesimo secolo 15 Dicembre 2003

Tre milioni e mezzo di ceramiche e bronzi.

HANOI - Gli archeologi vietnamiti hanno scoperto ad Hanoi le fondamenta di un palazzo, che misura 62 metri per 27, risalente all' undicesimo secolo, quando il re Ly Tai To sposto' la capitale alla odierna Hanoi. Nel palazzo sono stati rinvenuti 3 milioni di oggetti, ceramiche bronzi e oggetti artistici in oro, delle dinastie Ly, Tran Le e Nguyen oltre che a resti umani di bambini.

Fonte: MisterContact del 13 novembre 2003

Papiri con l'"Achille" di Eschilo rinvenuti in una mummia 16 Dicembre 2003

NICOSIA - Dopo oltre 2.050 anni, un testo teatrale del drammaturgo greco Eschilo, ispirato alla guerra di Troia e i cui frammenti sono stati scoperti all'interno di una mummia egiziana, verrà messo in scena l'estate prossima. La compagnia teatrale nazionale cipriota (Thoc) prevede la prima della rivisitazione dell'"Achille" per il periodo estivo. La rappresentazione verrà messa in scena sia a Cipro che in Grecia. Storici ed eruditi hanno creduto fino ad oggi che la trilogia fosse andata persa durante l'incendio della biblioteca di Alessandria nel 48 d.C. "Ma nel corso degli ultimi decenni, alcuni archeologi hanno scoperto in Egitto delle mummie che erano avvolte da papiri su cui erano vergati gli estratti del lavoro originale di Eschilo", ha detto a Reuters Andy Bargilly, responsabile della Thoc. Facendo riferimento alle citazioni della trilogia da parte di altri autori antichi e presenti sui papiri recentemente scoperti, la compagnia cipriota crede di essere pervenuta ad una versione sufficientemente fedele all'opera. La pièce è concentrata sul personaggio di Achille, considerato guerriero invincibile al tempo della guerra di Troia, che poi invece sarà ferito mortalmente da una freccia avvelenata scagliata da Paride.

Fonte: Yahoo! News del 14 novembre 2003

Scoperte a Lione tre navi romane del II secolo d.C. 16 Dicembre 2003

Parigi - Tre navi romane, risalenti presumibilmente al primo o secondo secolo d.c., sono state scoperte a Lione durante i lavori per la costruzione di un parking sotterraneo. La nave piu' grande misura circa 15 metri di lunghezza e 2,5 di larghezza. "Poiche' avevamo bisogno di spazio per riportarla alla luce - ha spiegato a Le Monde Gregoire Ayala, archeologo, responsabile dei lavori - abbiamo scavato ed e' stato allora che abbiamo scoperto la seconda e quindi la terza nave". Costruite con legno di castagno ed abete, le varie parti delle navi sono state perfettamente assemblate con un ingegnoso lavoro di carpenteria. Il problema che preoccupa gli archeologi e' quale metodo usare per estrarle senza che il legno, al contatto dell'aria, si trasformi in polvere. Finora la soluzione, secondo gli esperti della societa' Arc-Nucleart di Grenoble, specialista nella conservazoine dei legni antichi, sarebbe di rimpiazzare progressivamente l'acqua contenuta nelle fibre del legno con del polietilene.

Fonte: agi.it del 14 novembre 2003

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Nel mare di Libia c'è un fondale di guerra 17 Dicembre 2003

PALERMO - Forse e' una fregata, quasi certamente spagnola, viste le insegne sulle due campane ritrovate, quella localizzata nel mare della Libia, nei fondali di Ras El Hilal, dall' equipe di archeologi subacquei capitanati da Sebastiano Tusa, sovrintendente ai Beni Culturali della provincia di Trapani. ''Sono trenta i cannoni identificati, di due principali dimensioni. Questo fa pensare - spiega Tusa - ad un' imbarcazione da guerra lunga 30, 40 metri e con due ponti''. L' origine e' ancora da accertare, ma le due campane, istoriate da immagini sacre e datate 1693, inducono a pensare che si tratti di una nave iberica. ''Sara' possibile arrivare all' identificazione in questo inverno'' - ha specificato Tusa - che ha parlato di ''una prossima campagna prevista per la primavera del 2004, che servira' a definire la collocazione esatta di tutti gli elementi che giacciano su quei fondali''.

Fonte: ansa.it del 14 novembre 2003

Sanaa. Nello Yemen ripresi gli scavi a Baraqish 17 Dicembre 2003

Sanaa - Per chi arriva da Sanaa, capitale dello Yemen, dopo quasi 140 chilometri in jeep, preceduta e seguita da quelle che in Somalia chiamano "tecniche", furgoncini pieni di poliziotti con mitragliere antiaeree sul tetto, le antichissime mura di Baraqish appaiono come una corona sulla cima di una collina che si erge dal deserto yemenita. La pianura nella quale la città fu costruita apre l'area desertica a ridosso delle catene montuose che proteggono Sanaa ed i suoi dintorni. Attraverso di esse si snodano serpeggiando strade che fino a cinquant'anni fa si percorrevano solo con i muli, e ciò aveva consentito nei secoli a vari regnanti di difendersi facilmente da attacchi di conquistatori. Le mura di cinta esterne di Baraqish sono intatte ed all' interno ancora oggi ci si può immaginare un gran movimento: nei templi, assiepati di fedeli, al mercato, con le grida dei venditori di frutta, verdura, pane, fino alle attività forensi. Ma quando, attraverso un' apertura che fa passare una persona alla volta, si entra nel recinto, si scopre un'area pressocchè omogenea di suolo compatto. I primi ruderi che si notano sono resti della città ottomana sorta sulle rovine di abitati di periodi diversi. Se poi si sfogliano gli strati, come pagine di un libro antico, si trovano tracce dell'epoca islamica, ma prima ancora di quella pre-islamica, fino a risalire ai primi costruttori, sabei e minei. La loro presenza è collocabile presumibilmente tra il sesto ed il quinto secolo avanti Cristo. Lì, in quella fortificazione, soltanto l' ostinazione di una squadra di archeologi italiani ed operai yemeniti è riuscita ad individuare le tracce e quindi a far emergere, come per miracolo, una sala ipostila ed altri muri di un tempio, quello del dio "perdonatore" Nakrah. Tra le colonne sono installati tavoli con lastroni di pietra che sui lati hanno iscrizioni sabee e minee. "E' stato necessario un lavoro molto attento di epigrafisti - racconta Alessandro De Maigret, l'archeologo dell'O- rientale di Napoli che cominciò gli scavi nel '91 e dovette poi sospenderli per mancanza di fondi - per decifrare le iscrizioni. Alcune erano gia' conosciute perchè ne erano stati fatti calchi, portati poi in giro per il mondo. Ma queste sono le prime recuperate in loco e lasciate lì proprio da quei popoli che per primi abitarono l' 'Arabia Felix' ". A questa terra la definizione verrà attribuita nei secoli successivi, quando diverrà il crocevia nei traffici sulla via dell' incenso, e delle carovane che portavano sete dalla Cina, pietre preziose, spezie e armi dall' India o dall'Africa al Mediterraneo. "Felix" perchè in una posizione importante e in contrapposizione con l' Arabia Petrea, petrosa - da cui prende il nome Petra, l' antica capitale dell' area, oggi meta di turisti per i suoi singolari monumenti nella roccia - e con l'Arabia Deserta, l' attuale Arabia Saudita. Perciò gli scavi ripresi quest'anno da De Maigret, con il patrocinio dell' Isiao di Roma - "abbiamo avuto la fortuna di incontrare chi ci ha assistito e capito, procurandoci i fondi necessari", dice De Maigret, rivolgendo sguardi grati all' ambasciatore italiano Giacomo Sanfelice - potrebbero continuare a lungo. Magari per completare lo studio dell'area sacra, dove è stato individuato anche l' impianto di un altro tempio, non ancora portato alla luce. "In quello dedicato al dio Nakrah - spiega De Maigret - le iscrizioni che hanno valore di ex voto , raccontano le confessioni che gli abitanti di Baraqish andavano a incidere per ottenere il perdono dei propri errori e guarire così dei propri mali. E dal loro studio vengono fuori elementi importanti di conoscenza sulle abitudini di vita di quel tempo". Ma De maigret non si meraviglia di un'altra interpretazione data al nome di quel dio, che potrebbe, forse, anche essere una dea: "nak" nell' antica lingua locale - suggerisce uno studioso yemenita - significa fare all'amore e "rah", se per gli antichi egizi era il sole, per i sabei era la luna. Nel tempio, quindi si venerava un dio (o la dea) che faceva all' amore con la luna. Vere o meno che siano le interpretazioni di oggi, la ricerca in corso a Baraqish - De Maigret è assistito dal suo fido aiutante Mario Mascellani e da due restauratori arrivati da Roma qualche mese fa, Saverio Scigliano e Alessandra Paladino - è molto apprezzata dal governo yemenita. "Certo per il suo valore conoscitivo e scientifico - dichiara il viceministro della cultura e turismo e presidente della Organizzazione Generale delle Antichità e dei Musei (Goamm), Yusuf Abdullah - ma anche perchè è il primo tentativo di valorizzare i nostri patrimoni archeologici, che sono conosciuti solo dagli studiosi. E invece potrebbero attirare chi sa quanti turisti. E ne avremmo tanto bisogno".

Fonte: Kataweb.it del 14 novembre 2003

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Passaporto italiano per Oetzi 18 Dicembre 2003

Oetzi, l'Uomo dei Ghiacci sarebbe nato in Italia. Più precisamente nell'odierna cittadina di Velturno (Feldthurns), in Sud Tirolo. A dare la cittadinanza italiana al cacciatore è un team di ricercatori di Australia, Stati Uniti e Svizzera, autori di una ricerca ora pubblicata da Science. L'analisi di alcuni minerali rinvenuti nei denti e nelle ossa della mummia scoperta nel 1991 sul Similaun ha permesso agli scienziati di risalire alle diverse zone dove avrebbe vissuto. I biominerali presenti nei cibi, infatti, si depositano in varie parti del corpo a seconda dell'età dell'organismo. Durante l'infanzia, per esempio, si fissano nei denti, mentre in età adulta si accumulano nelle ossa. Dal confronto con campioni di terra e di acqua di varie regioni del territorio alpino, i ricercatori hanno dedotto che l'Uomo dei Ghiacci avrebbe trascorso tutta la sua vita nel raggio di una sessantina di chilometri a sud-est del luogo in cui il suo corpo fu rinvenuto. Molto probabilmente, quindi, Oetzi sarebbe nato nella valle Isarco (Eisack), vicino all'odierna Veturno. Solo successivamente si sarebbe spinto verso nord, fino alla valle di Otz, dove poi morì a una età di circa 46 anni. In alternativa, i ricercatori ipotizzano che Oetzi sia morto nel corso di una migrazione stagionale verso il nord, secondo l'antichissima consuetudine di soggiornare nelle valli durante l'inverno e in montagna durante l'estate.

Fonte: galileonet.it del 31 ottobre 2003

La ristrutturazione del convento porta alla luce un'aula del X secolo 18 Dicembre 2003

Dai lavori di ristrutturazione del convento di San Basilio salta fuori un'aula rettangolare pertinente ad una chiesa ed annesso cimitero databili al X, XI secolo. L'importante scoperta che ha riportato alla luce anche un segmento di mura urbane trecentesche è stato illustrato ieri dal provveditore alle Opere pubbliche per l'Abruz- zo, la dottoressa Pallavicini, dal rettore dell'Università dell'Aquila, Bignardi, dal sovrintendente regionale ai Beni ed alle attività culturali, Ponticelli, e dal responsabile di zona della Soprintendenza ai Beni archeologici, Tuteri. Il complesso monasteriale di San Basilio, ubicato in prossimità dell'ex ospedale "San Salvatore", è oggetto di lavori di restauro per la futura collocazione delle facoltà universitarie di Scienze della formazione e quella di Lettere. L'importo del progetto è pari a oltre due milioni di euro con un termine previsto di un anno e due mesi e che vede la collaborazione a tre tra Università, Provveditorato e Soprintendenza ai Beni architettonici. Lo scavo archeologico di San Basilio rappresenta dunque un ritrovamento eccezionale di interesse nel dibattito storiografico sulle origini della città.

Fonte: ilmessaggero.caltanet.it del 13 novembre 2003

Un villaggio pieno di misteri 19 Dicembre 2003

Conclusa la quinta campagna archeologica sul mitico popolo dei Nahars, preziosi reperti sulla vita attiva di 2800 anni fa

Rocchetti e museruole (dischi di terracotta che venivano collocati in fondo a uno stipo di legno), a testimoniare una fiorente attività di tessitura e filatura di lana e canapa. Sul terreno sabbioso, appena poco sotto l'attuale piano di calpestio, grosse buche di forma tondeggiante, lasciate dai pali che delimitavano edifici, probabilmente capanne ad uso abitativo, più altre forme, rettangolari o quadrate, di più difficile interpretazione. Peccato per quei segni longitudinali lasciati dall'aratro: non si tratta di testimonianze di antiche attività rurali, ma di moderne arature che forse hanno distrutto diversi "tesori" nascosti nel terreno oggi agricolo di Maratta Bassa, dove quattro anni fa sono stati ritrovati, quasi per caso, dei reperti archeologici. In questo fazzoletto di terra di proprietà privata (oggi occupato) si è conclusa ieri la quinta campagna di scavo, commissionata dalla Sovrintendenza ai beni archeologici dell'Umbria e iniziata nei primi giorni di ottobre: "E' solo una piccola porzione dell'antico insediamento abitativo del popolo umbro dei Nahars, speriamo in futuro di poter estendere gli scavi anche oltre", commenta l'archeologa Claudia Giontella, coordinatrice della campagna di scavo affidata alla società Archeostudio e condotta in collaborazione con i volontari del 23° gruppo archeologico del Dopolavoro ferroviario di Terni. Anche perché tante domande rimangono senza risposta. Se è relativamente semplice datare i resti rinvenuti, che vanno dall'età del ferro (nono secolo avanti Cristo) fino all'inizio della romanizzazione (sei secoli dopo), è invece difficile capire perché questo fiorente villaggio fu abbandonato in modo quasi improvviso. Incursioni nemiche? L'esondazione del vicino fiume? Un motivo per lasciare un villaggio le cui attività economiche, pare di capire, garantivano ai suoi abitanti un agiato stile di vita, deve esserci stato. E la ricchezza degli antichi Nahars è provata dai materiali con fini decorazioni geometriche, dalle ceramiche di matrice etrusco-corinzia, reperti rinvenuti in questa campagna che si aggiungono alle punte di frecce, alle monete bronzee e agli altri oggetti di uso quotidiano, per di più ridotti a frammenti, che sono stati già inviati a Perugia e all'Antiquarium di Carsulae, anche se la loro collocazione futura dovrebbe essere il nuovo museo archeologico in allestimento a Terni.

Fonte: ilmessaggero.caltanet.it del 16 novembre 2003

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L'attico del Foro di Augusto. Ecco com'era 19 Dicembre 2003

Per la prima volta usata una tecnica di integrazione e assemblaggio impiegata in altri Paesi

Tra i tanti musei in gestazione nella città quello dei Mercati Traianei è il più indecifrabile e sfuggente, tanto quanto il panorama che in futuro assumeranno a scavi conclusi le aree dei Fori, cui il complesso è destinato. I lavori in corso da anni, tra breve inghiottiranno la grande aula all'ingresso di via Nazionale, che dovrà essere messa a riparo dai rischi sismici. Difficile intravederne la fine che un vecchio calendario fissava addirittura per il Giubileo. Ancor più difficile immaginare quali materiali metterà in esposizione, quali novità offrirà. Per farsene un'idea bisogna accontentarsi delle anticipazioni fin qui fornite da una serie di mostre-antipasto, confuse nel cartellone di altri eventi. L'ultima si è aperta ieri e resterà in scena fino al prossimo febbraio. E' una rassegna di foto e plastici che documenta la gigantesca operazione di restauro dell'Acropoli di Atene iniziata oltre un ventennio fa e segnata da arditi interventi di ricostruzione, messi a confronto con quelli in cantiere qui a Roma per i Fori imperiali. Parallelo condensato in un unico esempio esposto nell'atrio, che è la vera chicca della mostra. E' un suggestivo spaccato dell'attico del Foro di Augusto, ricostruito e reintegrato dopo mesi di studi e un complesso assemblaggio: i fregi originali in alto, la testa divina al centro dello studio vengono dai magazzini capitolini, il calco della cariatide è la copia di una statua rintracciata in una villa medicea di Firenze, il resto è un'ossatura di marmo che rivela senza pudore il gioco di innesti. E' la prima volta che un monumento così importante e oggi illeggibile come il portico della piazza del primo imperatore viene restituito alla vista così in rilievo e con questa tecnica di integrazione, in uso in molti paesi ma per decenni messa al bando dagli archeologi italiani. Bello? Brutto? Importante discuterne perchè questo modello farà da collaudo e darà impronta ad almeno un'altra decina di esperimenti, con cui si pensa di allestire il fulcro espositivo del museo dei Fori. Interventi di anastilosi di scala ancora più grande. Come quello del portico del Foro di Traiano, che potrebbe essere rimesso in piedi in tutti i suoi tre ordini per un'altezza di dieci metri. Rivoluzionando la tradizionale immagine del monumento, perché, studiandone più a fondo la partitura architettonica, si è scoperto che l'attico del colonnato era sormontato da una fila di imponenti statue di Daci, molte delle quali sono arrivate fino a noi ancora intatte.

Fonte: ilmessaggero.caltanet.it del 15 novembre 2003

Spiegel, studioso rivela tecnica Colosseo 20 Dicembre 2003

BERLINO - In un articolo intitolato "Ascensore per l'inferno", il settimanale , nel suo ultimo numero, riferisce delle ricerche di uno studioso tedesco che avrebbe decodificato il complicato sistema tecnico del Colosseo romano con cui, attraverso piattaforme mobili, gabbie elevabili e una trentina di ascensori, veniva coordinato l'ingresso sull'arena di belve feroci e gladiatori. L'articolo corredato di foto e disegni del presunto funzionamento dello storico anfiteatro contiene anche dure critiche al feroce spettacolo alimentato dagli imperatori romani per circa 300 anni. Durante tre anni di studi per l'Istituto archeologico germanico (Dai) a Roma, l'ingegnere-archeologo Heinz- Jürgen Beste ha ricostruito il funzionamento dietro le quinte del più grande teatro dell'antica Roma. I disegni mostrano pedane inclinabili, sistemi di funi e carrucole per sollevare e spostare le bestie feroci, e testimoniano di uno sviluppatissimo sistema tecnico. L'articolo è anche una dura denuncia della brutalità dello spettacolo della lotta impari fra leoni, ma non solo, e esseri umani per lo più muniti di armi inadeguate. Secondo Spiegel in tre secoli di attività, il Colosseo avrebbe comportato un tributo di mille vite umane l'anno. Spaventosa anche la carneficina di animali (leoni, leopardi, tigri, rinoceronti, orsi, tori, coccodrilli, ippopotami ma anche cammelli e zebre), fatti reclutare dagli imperatori romani nelle loro terre di conquista. L'ultima caccia alle belve avvenne nel 523 con Re Teodorico. Visto dalla prospettiva tecnica, Beste è entusiasta del Colosseo: "veramente brillante", ma per il resto rimanda al giudizio dello storico Marcus Junkelmann: "il Colosseo è quel luogo sulla terra imbevuto con la massima concentrazione di sangue umano".

Fonte: swissinfo.org del 16 novembre 2003

Emersi a Qatna, in Siria, un tempio e un palazzo reale 20 Dicembre 2003

Muri alti oltre sette metri riconducibili al tempio principale dell' acropoli e imponenti fondazioni in pietra del piu' antico palazzo Reale sono stati rinvenuti, insieme a molti altri reperti tra cui anche i resti di un pasto funebre, durante la quinta campagna di scavi che l' Universita' di Udine sta conducendo nell' antica Qatna, in Siria. I risultati dell' ultima campagna saranno presentati il 20 al College de France di Parigi, dal direttore degli scavi, Daniele Morandi Bonacossi, il quale ha anticipato le principali scoperte, che consentiranno di far luce sulla cultura siriana del secondo millennio e di ricostruire la vita degli abitanti di quella che era all' epoca una grande metropoli, nonche' le sue relazioni internazionali. Tra i ritrovamenti piu' preziosi, un piccolo cimitero del Bronzo

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Medio I (2000-1800 a.C. circa), con almeno sei inumazioni di adulti e bambini, semplici corredi di ceramica e resti del pasto funebre. Della stessa epoca, i muri alti 7 metri e mezzo di un edificio monumentale che occupava l'intera sommita' dell'acropoli, probabilmente il tempio principale dell' antica citta' di Qatna. Inoltre, sono stati portati alla luce un intero e articolato quartiere artigianale dell' eta' del Ferro (VIII-VII sec. a.C.), centinaia di intarsi in osso e avorio e oltre 50 testi cuneiformi dall' archivio di un palazzo del 1600-1350 a.C. Quindici vani di servizio, tra depositi e magazzini, sono emersi dai resti del palazzo reale del II millennio a.C, mentre sono state scavate alcune fondazioni in pietra di un edificio monumentale, con ogni probabilita' quelle del piu' antico palazzo reale di Qatna della prima eta' del Bronzo Medio (2000-1800 a.C.). La campagna si svolge a Tell Mishrife, l' antica Qatna, 18 chilometri a nord-est della citta' siriana di Homs, che 4 mila anni fa dominava un vasto regno con giurisdizione sull' intera Siria centrale e che regolava il traffico delle vie carovaniere attraverso il deserto siro-arabico tra la Mesopotamia e il Levante. I lavori si sono svolti quest'anno dal 15 agosto al 7 novembre. Vi hanno partecipato una quindicina di archeologi, diretti da Daniele Morandi Bonacossi, con la partecipazione di Marta Luciani e dell'antropologo Alessandro Canci, tutti dell'ateneo friulano, insieme a 10 studenti del corso di laurea in Conservazione dei beni culturali. Gli scavi a Tell Mishrife sono cominciati nel 1999 nel quadro di una joint venture italo-siriano-tedesca.

Fonte: Culturalweb.it del 18 novembre 2003

Scoperta cattedrale ad Arles 21 Dicembre 2003

E' nella cornice di sondaggi archeologici preliminari alla costruzione di un centro culturale dedicato alle nuove tecnologie ad Arles, nel sud della Francia, che sono state rinvenute le vestigia di una cattedrale databile al IV° secolo. Le ceramiche ritrovate indicano che la costruzione é stata utilizzata fino alla fine del VI° secolo o all' inizio del del VII° secolo. Anche se la data della sua edificazione non é conosciuta con precisione, questa é verosimilmente databile poco dopo l' adozione della religione cristiana avvenuta per decisione dell' imperatore romano Costantino nel 313. Conservata in uno stato notevole, questa prima cattedrale conosciuta in Francia viene prima di altre edificate che non sono ancora state identificate. Lo scavo del sito archeologico é stato messo sotto uno stato di " fermo", una misura di protezione dei monumenti che dura un anno, il tempo che le differenti parti interessate all' area ( La città di Arles, Il Ministero della Cultura e il Dipartimento di Rhone ) si mettano daccordo sul modo di valorizzare la scoperta in seno della futura Area adibita in precedenza.

Fonte: Paleoseti.it del 18 novembre 2003

L'arca di Antenore tra leggenda e storia 21 Dicembre 2003

17 settembre 1985, ore 9.48. Davanti al palazzo che ospita la Provincia e la Prefettura, flash e riflettori si accendono su un'altra tomba eccellente che viene riaperta a distanza di secoli. Dentro, il mito vuole che ci sia Antenore, leggendario fondatore di Padova. A fornirne l'occasione è stato il restauro del complesso monumentale dell'arca di Lovato dei Lovati. I resti vengono presi in consegna da un plotone di studiosi. Nel gennaio 1988, dal laboratorio specializzato di Tucson, in Arizona, giunge la risposta che la salma custodita all'interno, pur non essendo ovviamente quella del sullodato Antenore, ha la bellezza di 1720 anni, con un margine di errore di una cinquantina in più o in meno. Insomma, un tizio vissuto a cavallo tra il terzo e il quarto secolo dopo Cristo, epoca in cui il territorio padovano è percorso da torme di cosiddetti barbari. L'antefatto va ricercato nel Duecento, il secolo precedente a quello dell'arrivo del Petrarca a Padova. A far parlare le cronache dell'epoca è un personaggio che viene da lontano, dal Mediterraneo orientale: si chiama, per l'appunto, Antenore. La leggenda che sia stato lui a fondare Padova ha già quasi mille anni di vita, ma dopo il gran battage pubblicitario fatto in epoca romana, è finita un po' alla volta nel dimenticatoio. A rilanciarla con clamore è un episodio che accade nel 1274, durante uno scavo in contrada San Biagio, per la ristrutturazione del ponte di San Lorenzo (quello che oggi si può vedere nel sottopassaggio di riviera dei Ponti Romani, tra Università e Prefettura). Vengono alla luce due vasi pieni di monete, e una cassa di piombo contenente una seconda cassa in cipresso, con dentro uno scheletro ed una spada. La voce si sparge immediatamente, e sul posto arriva la solita folla di curiosi. Tra di loro c'è una persona che abita a due passi da lí, nella parrocchia di San Daniele. Si chiama Lovato Lovati, ed è un poeta appartenente ad una ricca famiglia di notai, che coltiva da tempo la passione per lo studio dell'antichità classica e per l'archeologia . L'uomo non ha dubbi: si tratta niente meno che delle spoglie di Antenore, tangibile conferma della veridicità del racconto di Virgilio. Padova ha ritrovato il suo padre fondatore. In Comune non ci pensano sopra due volte per dargli corda: in un momento del genere, reduce dalla parentesi ezzeliniana, con la sempre più ingombrante concorrenza di Venezia sulla scena, la giovane Repubblica patavina non può certo gettare alle ortiche questa raffinata opportunità di darsi un look mitico, cosí carico di richiami storici e letterari. Vada per Antenore, dunque: di buon grado le autorità accolgono la proposta di Lovati, il quale

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prima fa indire solenni festeggiamenti, e poi ottiene che proprio a due passi dal luogo del ritrovamento venga eretta un'arca adeguata. Nei secoli successivi verrà meno il richiamo mitologico, e passerà la tesi che dentro quel monumento funebre riposi un capo militare, uno dei tanti transitati per Padova durante le invasioni barbariche prima del Mille: forse quella degli ungari, nel nono secolo. Poi, per l'appunto, le analisi di Tucson faranno retrodatare l'epoca. Ma in quel momento non si va tanto per il sottile, e ci si tiene stretti il provvidenziale falso Antenore. Lovati ottiene il privilegio di lasciare per cosí dire la firma sulla tomba, dettando egli stesso le due quartine in latino incise sui lati dell'arca. E siccome il capomastro che ha ritrovato materialmente i resti si chiama Capra, ecco che per chiudere la bocca anche ai più scettici si rispolvera un'antica profezia: "Quando la capra parlerà e il lupo (in dialetto si dice lovato, come appunto il Nostro: ndr) risponderà, Antenore si troverà". Un moderno studio di marketing non avrebbe saputo far meglio.

Fonte: gazzettino.it del 19 novembre 2003

Scoperto a villa Adriana l'Antinoeion 22 Dicembre 2003

La scoperta dell'Antinoeion (sepolcro di Antinoo) ha una rilevante importanza, in quanto fu l'ultimo grande edificio realizzato nella Villa dell'imperatore Adriano. Il tempio aveva la funzione di luogo-memoria ove ricordare Antinoo da vivo. Gli scavi che l'hanno riportato alla luce fanno parte di un più ampio progetto di restauro e valorizzazione. Chi visitava finora Villa Adriana non trovava traccia materiale della figura di Antinoo, il fanciullo di origine bitinia, divenuto amasio dell'imperatore Adriano e morto in Egitto - in circostanze misteriose - nel 130 d. C. (si veda la finestra in calce all'articolo dell'archeologo Zaccaria Mari). La sua figura, resa celebre dagli splendidi ritratti antichi e dalla moderna letteratura (si pensi solo alle "Memorie di Adriano" di M. Yourcenar), balzava fuori solo dalla lettura delle guide che illustrano la celebre residenza tiburtina. Mancava, cioè, sul posto un edificio che si legasse indissolubilmente a quel giovinetto il quale dopo la morte ricevette onori divini e fu venerato nell'Impero come Osiride, Dioniso o Hermes. Tale lacuna è stata colmata nel 2002, quando è stato riportato alla luce dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio (progetto di scavo elaborato dal dott. Z. Mari) un monumento - in precedenza completamente interrato - situato lungo la strada di accesso al "Grande Vestibolo" davanti al fronte delle Cento Camerelle. Si tratta di un vasto edificio costituito da un'ampia esedra semicircolare preceduta da un recinto rettangolare che racchiudeva due templi affrontati. Si conservano le fondazioni in muratura, ma i numerosi elementi architettonici rinvenuti hanno consentito di ricostruire l'alzato dei templi e il portico dell'esedra con colonne tortili in giallo antico. Gli elementi più importanti appartengono tuttavia alla decorazione interna della cella dei templi, tra cui si segnalano blocchi con raffigurazioni in bassorilievo ispirate al repertorio religioso dell'Egitto. Lo scavo del recinto ha chiarito come fra l'esedra e i templi si sviluppassero lunghi canali e aiuole (restano le fosse incavate nel tufo), che conferivano all'area l'aspetto di un giardino arredato anche con fontane e bacini (nel sottosuolo si conservano cunicoli per lo smaltimento dell'acqua). L'archeologo Zaccaria Mari, che ha anche diretto con molta passione e alta competenza i lavori di scavo, dice che "il ritrovamento che ha destato maggiore interesse riguarda una serie di frammenti di statue in marmo nero, relative a divinità egizie o a figure di sacerdoti e offerenti, tra cui anche il pilastro dorsale con scritta in geroglifico di una statua originale del faraone Ramses II, importata direttamente dal delta del Nilo" Il dott. Mari conclude affermando che "una ricerca sulle statue in stile egizio, tra cui numerose di Antinoo assimilato al dio Osiride, rinvenute nel Sei-Settecento a Villa Adriana, e oggi conservate in Vaticano e in altri musei europei, ha consentito di stabilire che esse furono scavate proprio nel nostro edificio, il quale si qualifica quindi come santuario o anche sepolcro di Antinoo". La sua costruzione, in base alla tecnica edilizia utilizzata e ai marchi di fabbrica sui mattoni, risulta posteriore al 134 d.C., anno del ritorno di Adriano dal viaggio in Egitto. Fu pertanto l'ultimo grande edificio realizzato nella villa, collocato in area marginale e lungo una strada come si conveniva a una tomba, ma anche direttamente visibile dalle stanze del palazzo privato di Adriano (c.d. Edificio con Peschiera), per il quale il tempio-sepolcro doveva avere soprattutto la funzione di un luogo-memoria ove ricordare Antinoo da vivo. "Questi scavi", sottolinea il Soprintendente Archeologo Anna Maria Reggiani, "fanno parte di un articolato progetto di restauro e valorizzazione messo a punto negli ultimi anni, incentrato sul recupero dei meno conosciuti edifici di contorno della Villa, e sono determinanti sia per completare la conoscenza dell'intera area, sia per fornire una fondamentale documentazione sulla vita di Adriano. Antinoo (di Zaccaria Mari) Adriano dovette incontrare Antinoo nel 124 durante il suo viaggio in Asia Minore. Allora il fanciullo, nato a Claudiopolis nella provincia di Bitinia, aveva circa 14 anni e l'imperatore se ne innamorò perdutamente. Le fonti tacciono sugli anni trascorsi insieme e le uniche notizie sono relative alla misteriosa morte avvenuta nell'estate del 130 in Egitto. Elio Spaziano, nella biografia di Adriano contenuta nell'Historia Augusta, racconta di un annegamento nel Nilo, ma antichi e moderni hanno dubitato di questa circostanza, ipotizzando ora un suicidio per salvare la vita

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dell'imperatore (insidiata da un'oscura profezia) ora un omicidio maturato nell'ambiente di corte. E' certo invece che Adriano ne soffrì moltissimo e forse non vinse mai il dolore, al punto che, per eternare il ricordo del giovane, lo divinizzò, eresse templi in suo onore, istituì feste e giochi e gli intitolò la città di Antinoopolis nel Medio Egitto presso il luogo della sciagura. I ritratti rinvenuti in numerose località dell'Impero, tra cui Villa Adriana, fissano la straordinaria bellezza di Antinoo, dall'inconfondibile robustezza del volto e dalla folta capigliatura, ma effigiato spesso in atteggiamento malinconico che sembra presagire la tragica fine.

Fonte: Culturalweb.it del 19 novembre 2003

La storia del mondo in un bicchiere di vino 22 Dicembre 2003

La storia dell'umanità è in qualche modo la storia del vino: queste le conclusioni di Patrick McGovern, archeologo molecolare presso l'Università della Pennsylvania, che si è messo da qualche anno sulle tracce della nascita della viticoltura, intesa come tecnica di coltivazione della vite e della produzione della bevanda. I risultati di queste ricerche sono racchiusi nel suo ultimo libro, Ancient Wine: The Search for the Origins of Viniculture (in inglese), edito dalla Princeton University Press. La cantina degli egiziani. Una sofisticata lavorazione del vino avveniva già per mano degli egizi. Da tombe e palazzi che risalgono ad almeno 5.000 anni fa, gli archeologi hanno portato alla luce anfore provviste di etichette che riportavano con la massima precisione caratteristiche e provenienza del contenuto. Questi sigilli di garanzia fornivano anche informazioni sul nome del vino, la regione di provenienza della vite, l'anno di produzione, il titolare della primordiale azienda vinicola e addirittura un giudizio di qualità della bevanda. Ma le lancette dell'orologio enologico vanno portate ancora più indietro visto che gli stessi faraoni avrebbero importato la celebre bevanda dai loro vicini. Si pensi che nel 1996 il laboratorio dell'archeologo molecolare è riuscito a ricreare una miscela in base alle tracce di vino ritrovate in una giara risalente ad almeno 7.500 anni fa, ritrovata nell'odierno Iran. Secondo lo studioso, il Neolitico, dall'8.500 al 4000 a.C., sarebbe da considerarsi il primo periodo in cui si erano presentate le condizioni ideali per la coltivazione di una vite e il suo sfruttamento. Quell'unica vite che ha fatto il giro del mondo. Di successo e successo (quale miracolo deve essere sembrato quello della fermentazione naturale) e di civiltà in civiltà, il vino è diventato medicinale, collante sociale, sostan- za afrodisiaca, fino ad essere usato anche nelle cerimonie di culto come simbolo evocativo del sangue (come nella celebrazione dell'eucarestia). Questo passaggio di tavola in tavola della bevanda, spiegherebbe il mistero del fatto che il 99 per cento del vino oggi sulle nostre tavole proviene tutto da un'unica specie di vite eurasiatica (Vitis vinifera sylvestris), tra le oltre cento che possono essere coltivate in Asia, Europa e Nord America.

Fonte: Focus.it del 20 novembre 2003

Due tesori di Pitti ritrovati a Vienna e Parigi 23 Dicembre 2003

L'identificazione si deve allo studioso Enrico Colle, le due consolle sono ancora parte degli arredi di Palazzo Pitti, ma i due splendidi piani di pietre dure per cui furono costruite si trovano all'Hofburg di Vienna e a Parigi al . Si tratta di due pezzi di scuola fiorentina, di valore gia' allora inestimabile, che furono razziati nel 1799 dalle truppe di Napoleone. Tracce perdute per due secoli, oggi la riscoperta. Li ha ritrovati Enrico Colle, docente di storia delle arti figurative all'Universita' di Bologna e specialista di arredi delle regge italiane, che ne racconta le avventure nel suo ultimo volume ''Il mobile Rococo' in Italia. Arredi e decorazioni d'interni dal 1738 al 1775'' (pagine 512, illustrazioni 780, prezzo 200,00 euro), uno straordinario affresco d'epoca che dedica alla Toscana un capitolo particolare, da cui Firenze e soprattutto Lucca emergono come capitali del gusto rococo' italiano. Edito da Electa Mondadori nella collana Repertori di Arti Figurative curata da Colle, il volume e' stato presentato alla Galleria d'arte moderna di Palazzo Pitti. I ''piaceri della sorpresa'' sono, come noto, alla base della creazione del Rococo' sviluppatosi in Francia a partire dagli anni Trenta del '700 e subito diffuso in tutta Europa. Interessò soprattutto le decorazioni d'interni e gli ar- redi secondo un criterio stilistico che puntava sulla meraviglia raggiunta attraverso lo sfoggio di una sempre più variata tipologia decorativa, ma senza negare l'ordine compositivo necessario al buon esito di un'opera d'arte. Fiorentino d'adozione, Colle e' famoso per aver catalogato e riordinato numerose regge italiane (Milano, Napoli, Caserta, Venezia, Torino, Palazzo Pitti), oltre che per aver fondato Decart, la rivista di arti decorative edita dal Centro D di Firenze. ''Questo mio ultimo libro - spiega l'autore - e' uno studio sul Rococo' in Italia che presenta anche numerosi pezzi inediti. Tra le molte cose, offre lo spunto per organizzare a Firenze una mostra sugli arredi dell'eta' leopoldina. Un'impresa mai tentata prima, ma che secondo me darebbe frutti straordinari. Sarebbe tra l'altro una bellissima occasione per riunire alle due consolle di Palazzo Pitti i piani di pietre dure per cui furono create''.

Fonte: Culturalweb.it del 21 novembre 2003

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Profumo di donna: quando Poppea irretiva Nerone con il patchouli 23 Dicembre 2003

I dati sono stati rivelati nel corso del convegno sull'"Applicazione delle scienze chimiche e fisiche all'Archeologia vesuviana" che si è tenuto nell'Auditorium degli scavi di Pompei.

La scoperta dell'essenza profumata è stata fatta campionando i residui rinvenuti in quindici boccette restituite dagli scavi della villa di Poppea a Oplontis. A Pompei, invece. sono stati analizzati quasi duecento contenitori. Ancora da definire quanti residui tra quelli conservati al Museo Archeologico Nazionale di Napoli saranno sottoposti a indagini. E, dalle analisi emerge la novità: a Pompei quasi non si usava il profumo, mentre nella villa di Poppea le fragranze raffinate erano di casa. Sotto esame dei Dipartimenti di Chimica delle Università di Modena e Reggio Emilia, che hanno sviluppato la ricerca, sono finiti i residui di sostanze semi carbonizzate ancora conservate negli unguentari di vetro, i contenitori che 2000 anni fa venivano usati per profumi e unguenti. L'analisi, che è stata effettuata con tecniche gas cromatografiche e spettroscopia a raggi infrarossi, ha evidenziato sia una cosmesi pompeiana molto "povera", con pochi campioni di creme e belletti (forse dovuta alla scarsa cura nella conservazione dei recipienti) che una ricchezza di profumi addirittura eccezionale per i campioni della villa di Poppea. Là, gli scienziati hanno scopeto le essenze base dell'attuale Patchouli. Un profumo costosissimo, quello che 20 secoli fa dovette avere quel componente, tra gli altri, e che forse arrivava direttamente dall'Oriente attraverso la via della seta. Una conferma, quindi, che quella villa era la dimora di una matrona in grado di sostenere costi elevati per l'acquisto di profumi capaci di schiantare i sensi agli amanti. Ancora, si sono rinvenuti residui di rosmarino, maggiorana, sotto forma di olii essenziali, usati sia come profumi che per la cura delle malattie, come anti infiammatorio: l'esipium, ricavato dalla lana delle pecore e precursore dell'attuale lanolina. A Pompei, invece, si sono ritrovati campioni di "fuligo", fuliggine o nerofumo (del carbone, quindi) usato sia per marcare le sopracciglia che come antesignano delle moderne matite "eliner" che marcano i profili da evidenziare. Tra l'altro, la sostanza era usata come dentifricio per il forte potere abrasivo, oppure nella medicina casalinga, come assorbente intestinale. Ancora, acidi grassi, da usare come legante per far sì che il trucco si potesse ben fissare. Quindi, si è rinvenuto del gesso, che potrebbe essere stato utilizzato come sostituto della biacca (carbonato di piombo, anch'esso intercettato, ma in pochi casi) con capacità di fondo tinta dove fissare il colore, di solito rosso, a base di minio, oppure nelle vesti di maschera di bellezza. "Credo - ha puntualizzato Cecilia Baraldi, farmacista dell'Università di Modena, che ha analizzato i residui - di poter affermare con buone ragioni che i romani si siano convertiti all'uso del gesso per due motivi: la biacca era velenosa, e loro lo sapevano, e per ragioni costo, visto che il prezzo del gesso era maggiormente accessibile".

Fonte: Culturalweb.it del 20 novembre 2003

Ad Arcinazzo Romano torna alla luce la villa di Traiano 24 Dicembre 2003

Gli scavi archeologici iniziati nel 1999 hanno fatto scoprire una estesa costruzione articolata su terrazzamenti, nonché un vasto giardino rettangolare contornato da portici su cui si affacciavano ambienti monumentali. Dell'imperatore M. Ulpio Traiano (98-117 d.C.), di origine spagnola, sono note grandi realizzazioni monumentali (il Foro con la famosa Colonna a Roma, l'acquedotto, il porto di Civitavecchia, etc.), ma finora era praticamente sconosciuta la sua villa costruita a 60 chilometri da Roma, in località Altipiani di Arcinazzo, a circa 900 metri di altezza. Del resto l'imperatore è noto soprattutto come generale vittorioso di importanti guerre (ad esempio quelle daciche) e non come raffinato intellettuale, quale fu il suo successore e conterraneo Adriano, amante dell'arte e degli otia in villa. Eppure anche Traiano, che - come ci informa Plinio il Giovane nel Panegirico - era appassionato di navigazione e della caccia, possedette due ville: una marittima a Civitavecchia (identificata con le c. d. "Terme Taurine") e una in montagna, appunto ad Arcinazzo. Anche con lo scopo di inquadrare meglio la figura dell'imperatore, quindi, la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio ha ripreso nel 1999 gli scavi in quest'ultima località, scavi egregiamente condotti sotto la direzione di due esperti archeologi, Maria Grazia Fiore e Zaccaria Mari. Si è avuto come stupefacente risultato il rinvenimento di una costruzione di circa 5 ettari di estensione, impostata alle pendici del monte Altuino, articolata in vaste platee sorrette da terrazzamenti a speroni e alimentata da cisterne situate a quota più alta. La spianata superiore ospitava il nucleo privato o palatium della villa con annesso edificio termale (individuato grazie a prospezioni elettromagnetiche); quella inferiore invece aveva carattere di rappresentanza. Gli scavi inoltre hanno portato alla luce un vasto giardino rettangolare cinto di portici su cui si affacciava un gruppo di ambienti monumentali raccolti intorno a un triclinio. "Il fasto della costruzione, che nei rapporti di simmetria e nello studio dei percorsi evidenzia la mano di un grande architetto", dicono gli archeologi Fiore e Mari, "è rivelato da pavimenti in opus sectile di marmi policromi, dalle decorazioni pittoriche e in stucco dorato e dall'ornato degli elementi architettonici che richiamano quelli del Foro di Traiano. Tutti i reperti riportano concordemente all'età traianea, ma la villa è precisamente databile in base al rinvenimento (avvenuto nell'Ottocento) di condutture in piombo con marchio di fabbrica degli anni 97-102 e 114-115 d. C. recante il nome dell'imperatore e del suo procuratore Hebrus, lo stesso della villa di Civitavecchia".

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La villa di Arcinazzo dovette servire, oltre che per la villeggiatura estiva, dato lo splendido aspetto paesaggistico, anche come punto di appoggio per battute di caccia facilitate dalla presenza di abbondante selvaggina.

Fonte: Culturalweb.it del 20 novembre 2003

Teste di Pantelleria secondo Ferri, nuova scoperta nell'isola 24 Dicembre 2003

Palermo - Una placca in oro su cui sono disegnati i tratti di una medusa. Una piccola placca straordinaria su cui si intravedono il naso e la bocca, con un vistoso rigonfiamento vicino alle guance. E' l'ultima meraviglia uscita dalle cisterne di Cossyra, a Pantelleria. La placca, probabilmente una fibbia da abito femminile, si trova ancora sull'isola, mentre sono giunte al museo archeologico Salinas di Palermo le tre teste ritrovate in agosto. Sono le protagonista dell'evento culturale previsto oggi a Palermo: "Augustea Capita. Le teste di Pantelleria. Le foto di Fabrizio Ferri", e' il titolo della mostra inaugurata oggi (inserita nelle manifestazioni per il venticinquennale dei Beni culturali in Sicilia) e che restera' aperta fino al 22 gennaio. Una mostra tutta giocata su Cesare, Tito e Agrippina, e sulle foto scattate da Fabrizio Ferri. Scoperte nell'agosto di quest'anno, le teste risalgono al I secolo d.C., e sono state trovate in momenti diversi: le prime due, attribuite ad Agrippina (anche se molti studiosi propendono per Antonia Minore, a causa dell'acconciatura, o comunque, in senso piu' lato, per un importante personaggio femminile della gens giulio-claudia) e a Cesare, erano in un'antica cisterna; da un sito simile, quindici giorni dopo, e' venuta fuori la testa attribuita a Tito, figlio di Vespasiano, probabilmente nascosta durante i giorni dell'invasione vandalica. La testa femminile con un diadema, doveva essere inserita su una statua. Secondo gli archeologi della Soprintendenza di Trapani (che ha effettuato gli scavi in collaborazione con le universita' della Basilicata e di Tubingen), capitanati da Sebastiano Tusa, le teste sono l'esempio di un crocevia di attivita' intorno a Pantelleria, autentico ponte tra Cartagine, la Sicilia, l'antica Lilibeum e la Sardegna. Dopo una pulitura appropriata (i reperti sono comunque in ottimo stato) le teste sono giunte a Palermo. Qui sono state sistemate su supporti in plex trasparente, come se fossero poggiate su una base liquida. Lo stesso effetto ha cercato di creare Fabrizio Ferri: il grande fotografo di moda ha immaginato Cesare e Agrippina sospesi su un liquido immobile. "Volevo che ritornassero alla terra e all'acqua, come se nascessero a nuova vita", ha detto Ferri.

Fonte: agi.it del 22 novembre 2003

Splendidi affreschi etruschi a Serteano 25 Dicembre 2003

Arte etrusca, con strani demoni e mostri, sta emergendo in un villaggio toscano. Potrebbe trattarsi di una delle principali scoperte degli ultimi tempi, secondo quanto affermano gli studiosi che hanno visto gli affreschi. Dipinti su un muro di una tomba del 4° secolo a.C., questo bestiario etrusco, eccezionalmente conservato è stato scoperto durante gli scavi di Pianacce, un'antica necropoli nei pressi di Sarteano, a 50 chilometri da Siena. "Abbiamo scene con mostri serpentiformi, demoni, ippocampi e anche un sarcofago rotto, probabilmente dai ladri di tombe. Siamo confidenti di poter trovare altre espressioni artistiche" ha affermato Alessandra Minetti. "La figura con i capelli rossi è certamente un demone di qualche tipo. Ciò è confermato dall'immagine nera al suo fianco" ha detto Mario Iozzo, direttore del centro conservazione del Museo di Firenze. Con un carro guidato da grifoni, la figura aveva probabimente la funzione di accompagnare il morto nell'oltretomba. Gli studiosi non sono però siucuri se la figura sia Charu, Vant oppure un demone totalmente sconosciuto.

Fonte: Heramagazine.net del 6 novembre 2003

E Traiano si specchia nella sua villa 25 Dicembre 2003

Traiano precursore dell'idea d'Europa. E' il tema del documentario, finanziato dalla Comunità europea, che il 20 dicembre prossimo sarà proiettato in anteprima a Siviglia. Un film di un'ora e mezzo, frutto di un prezioso patto di collaborazione della soprintendenza del Lazio con archeologi ed esperti di Spagna, Germania e Romania, che ripercorre la tappe della vita dell'imperatore soldato (53-117 d.C.), identificandovi le radici del processo di unificazione del vecchio continente: il primo approdo della nobiltà provinciale (Traiano è nato a Italica in Spagna) al vertice del comando di Roma; le guerre che estendono i confini dell'impero alla Germania, ai territori oltre al Danubio, all'Anatolia; le opere e gli interventi di riorganizzazione e pacificazione che consolidano ed esportano la supremazia della civiltà romana. Tra i capitoli che scandiscono le riprese, l'ultimo e il più corposo è dedicato alla villa traianea di Arcinazzo, riemersa da una campagna di scavi iniziata 5 anni fa e ancora in corso. Più che di scoperta sarebbe giusto parlare di riscoperta, perché l'esplorazione delle rovine sotto il monte Altuino, note e abbondantemente saccheggiate nei secoli scorsi, era stata avviata e poi abbandonata

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nell'immediato dopoguerra. Alla campagna recente, condotta dall'archeologa Maria Grazia Fiore, va però il merito di aver finalmente definito gli esatti confini e la mappa della imponente dimora, che si estende su varie terrazze per quasi 5 ettari, e di aver risolto senza più dubbi il problema della sua attribuzione, aggiungendo nuove decisive tessere al mosaico di indizi che la assegnavano all'imperatore spagnolo. Le testimonianze più forti sono le intitolazioni e i bolli rinvenuti sulle condutture di piombo trovate sul posto: alcuni sono timbrati col nome di Hebrus, il procuratore che alla fine del I secolo d.C. realizzò la villa marina sopra le colline di Civitavecchia, altri più tardi con l'aggiunta al nome di Traiano dell'appellativo di Dacicus, che esalta le sue vittoriose spedizioni sul Danubio, immortalate dal Foro e dai rilievi della colonna traianea. La villa di Arcinazzo, ampliamento di un complesso preesistente, fu rimodellata da un grande architetto, forse il celebre Apollodoro, alla fine di queste campagne e conclusa dopo la morte dell'imperatore a Selinunte, che consegnò lo scettro di Roma al suo erede adottivo Adriano. A farle da modello hanno contribuito sia la reggia dei Flavi sul Palatino, di cui Arcinazzo riproduce in parte lo schema, sia l'esempio di altre dimore di villeggiatura dei Cesari in quest'area: la residenza d'Augusto nella valle dell'Aniene, la villa di Nerone a Subiaco. Il luogo, un paesaggio aspro e incantato di balze scoscese e foreste, rimasto quasi intatto, evoca immediatamente lo scopo cui Traiano l'aveva destinata. Non solo un'oasi di tregua e riposo, ma una postazione ideale per una delle passioni di cui l'imperatore andava più fiero: la caccia. Quei boschi e quelle rupi erano popolate da lupi, cinghiali, daini, cervi, linci. Le rovine già riportate alla luce e quelle ancora da scavare su un secondo terrazzamento completano con sfumature inedite il ritratto di questo guerriero, passato alla storia per i suoi gusti spartani, esaltandone invece l'amore per gli agi ed il lusso. Sfarzoso il triclinio attorno a cui ruota il primo piano della villa e gli altri ambienti in cui Traiano alloggiava gli ospiti più importanti: un trionfo di marmi di tutti i colori sul pavimenti e sulle pareti, affreschi affidati ad artisti di grande talento, cornici di stucchi impreziosite come nella Domus Aurea di Nerone dallo sfavillio di lamine e intarsi dorati. Di fronte, un giardino marcato da grandi fontane, eleganti colonnati, piante e cespugli di cui purtroppo non resta traccia. E sopra, oggetto di un'indagine in programma per il prossimo anno, anticipata da prospezioni e sondaggi, altri ambienti, altri monumenti. Sicuramente una vasca per l'allevamento di pesci, probabilmente un teatro e un ninfeo.

Fonte: ilmessaggero.caltanet.it del 22 novembre 2003

Alla luce nuove mura poligonali 26 Dicembre 2003

La scoperta durante i lavori di ripavimentazione del centro storico

I resti di un muro poligonale e quelli di un mosaico con tessere bianche sono venuti alla luce ieri mattina in via della Repubblica ad Alatri, a pochi metri dalla Banca di Roma e ad una profondità di un metro e settanta dal piano della strada, nel corso dei saggi archeologici effettuati durante i lavori di ripavimentazione del centro storico. Il rinvenimento, avvenuto alla presenza del progettista dell'opera, l'architetto Nicola Spaziani Brunella, dei responsabili della ditta e di Angelo Lisi, tecnico di scavi archeologici e fiduciario della Sovrintendenza, è stato possibile grazie ai saggi archeologici previsti dai progettisti su tutta l'area interessata dai lavori ed ha permesso di portare alla luce una testimonianza importante del passato della città. Del ritrovamento è stato immediatamente avvisato il geometra Vincenzo Chiappino, della Sovrintendenza ai Beni Archeologici del Lazio, che già stamane dovrebbe ispezionare il sito per valutare l'entità della scoperta e decidere il da farsi. L'amministrazione comunale, da parte sua, ha assicurato la massima collaborazione con la Sovrintendenza affinché possa essere accertata la natura delle opere affiorate e possa essere fatta nuova luce sulla storia di Alatri. Per quanto invece riguarda i lavori, l'architetto Spaziani ha assicurato che essi potranno proseguire normalmente grazie al fatto che il ritrovamento è avvenuto in una zona rientrante nel secondo lotto. Pertanto, nell'area che va dall'inizio di via della Repubblica fino alla Banca di Roma (dove il primo monitoraggio effettuato non ha evidenziato nulla) tutto procederà secondo il calendario a suo tempo predisposto. Intanto, la Sovrintendenza avrà tutto il tempo per procedere alle rilevazioni che riterrà più opportune in modo tale da consentire al cantiere di spostarsi nel secondo tratto (dalla Banca di Roma fino all'ufficio Turistico comunale) non appena saranno finiti i lavori nel primo.

Fonte: ilmessaggero.caltanet.it del 25 novembre 2003

Ritrovate mura ciclopiche, ma i lavori proseguono 26 Dicembre 2003

Alatri/Sopralluogo della Soprintendenza che al momento non blocca il cantiere

Spunta un secondo manufatto dagli scavi nel centro storico di Alatri. Dopo le mura poligonali di lunedì (databili al II secolo avanti Cristo), ieri sono venuti fuori i resti di un edificio. Ora si attende la decisione della Sovrintendenza, ma sembra che i resti verranno ricoperti e i lavori (divisi in sei fasi) potranno proseguire

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almeno fino al termine della prima fase. La responsabile della Sovrintendenza Archeologica per il Lazio Sandra Gatti, e il geometra Vincenzo Chiappini hanno effettuato un accurato sopralluogo nell'area di via della Repubblica. Con loro c'erano anche il tecnico di scavi archeologici Angelo Lisi, gli architetti Pinci e Spaziani ed il Segretario generale del Comune Gianni Noce. La dottoressa Gatti ha ispezionato il sito, nel quale in mattinata era stato effettuato un altro saggio nel primo tratto di strada che aveva portato alla luce i resti di un manufatto, giungendo a queste conclusioni: i resti emersi nel secondo saggio (presumibilmente un edificio della metà del 1900) verranno ricoperti subito in quanto giudicati di nessun valore archeologico mentre quelli del muro in opera poligonale (situati nell'area interessata al secondo lotto dei lavori) verranno temporaneamente e parzialmente ricoperti al fine di permettere il transito dei camion provenienti dalla piazza e quindi alla ditta di proseguire regolarmente i lavori nel primo tratto di via della Repubblica. In questo modo l'impresa potrà proseguire i lavori senza alcun intralcio, mentre il secondo saggio archeologico verrà ripreso solo quando la ditta non avrà più bisogno del passaggio dei mezzi meccanici. La soluzione adottata punta a far terminare i saggi nel secondo tratto prima che la ditta finisca i lavori nel primo. Per tutti i resti emersi, il Comune ha già provveduto ad un'accurata rilevazione fotografica allo scopo di permettere, una volta ricoperto il tutto, un loro studio approfondito da parte degli esperti. "I resti verranno studiati e catalogati - conferma il sindaco Giuseppe Morini - Poi verranno ricoperti e i lavori riprenderanno".

Fonte: ilmessaggero.caltanet.it del 26 novembre 2003

La mamma delle lingue indoeuropee 27 Dicembre 2003

Una lingua parlata novemila anni fa nell'attuale Turchia avrebbe dato origine a tutte le lingue indoeuropee. Lo sostiene uno studio pubblicato sull'ultimo numero di Nature, che contraddice la teoria predominante secondo cui le lingue indoeuropee - che includono quasi tutte quelle parlate nel Vecchio continente, in Asia centrale e in India - avrebbero avuto origine nella regione siberiana, per poi diffondersi in Europa, portate da popoli nomadi, seimila anni fa. Russell Gray e Quentin Atkinson dell'Università di Auckland, in Nuova Zelanda, hanno analizzato 87 lingue, dal gaelico all'afgano, tutte considerate parte della famiglia linguistica indoeuropea. Per prima cosa hanno compilato una lista di circa 200 parole, comuni a tutte le culture, come "io", "cielo", "caccia". Quindi hanno analizzato somiglianze e differenze di queste parole tra le diverse lingue per costruire un albero evolutivo, simile a quelli creati dai biologi in base alle differenze genetiche tra le specie viventi. Infine, basandosi su un calcolo statistico della velocità con cui cambiano le parole, hanno potuto datare le varie ramificazioni dell'albero. In base a questo calcolo, tutte le lingue indoeuropee deriverebbero dall'ittita, la lingua più antica tra quelle analizzate, che avrebbe iniziato a differenziarsi in vari gruppi tra i diecimila e gli ottomila anni fa. In quel periodo, secondo quanto mostrato dai ritrovamenti archeologici, l'agricoltura iniziò a diffondersi dalla regione dell'Anatolia verso l'Europa e l'Asia. Potrebbero essere stati gli stessi agricoltori a muoversi da quella regione, diffondendo il loro linguaggio; oppure altri popoli potrebbero aver adottato elementi di quella lingua insieme alle tecniche agricole.

Fonte: Galileonet.it del 27 novembre 2003

Resti del XII secolo in piazza S.Vitale 27 Dicembre 2003

SAN SALVO - Affiorano altre testimonianze del passato dagli scavi in Piazza S. Vitale. I tecnici della cooperativa guidati da Marco Rapino hanno portato alla luce due scheletri di adulti del XII secolo. Nella tomba i resti delle due persone vissute in epoca medievale apparivano disposti uno di fronte all'altro, con i piedi dell'uno accostati al volto dell'altro. L'esame radiologico disposto dalla Soprintendenza archeologica consentirà ora di stabilirne il sesso. Con questa scoperta sale a 21 il numero dei resti rinvenuti sotto la piazza, destinata negli auspici del sindaco Marchese a diventare il simbolo della valorizzazione storica di San Salvo.

Fonte: ilmessaggero.caltanet.it del 27 novembre 2003

Duomo, nei sotterranei trovato un cimitero con oltre 3.500 scheletri 28 Dicembre 2003

E' stato ritrovato un cimitero, durante i lavori di ristrutturazione dei sotterranei del Duomo di Monterotondo. Gli studiosi hanno già datato l'età di numerosi scheletri: alcuni risalgono alla fine del 1500, data di costruzione della canonica eretina. Oltre ai 3500 scheletri sono state ritrovati anche numerosi oggetti come impugnature di spade, crocifissi in ferro, scarpe e anche alcune palle di cannone. Tutti oggetti che saranno esposti nel nuovo museo archeologico che aprirà a breve in un'ala della biblioteca comunale. Una scoperta per molti versi "annunciata". Molti libri parlavano dell'esistenza di questa catacomba, anche se finora non era stato possibile individuarne con precisione il luogo esatto. Poi alcuni giorni fa dietro un muro,

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fatto crollare a causa dei lavori di ristrutturazione, la scoperta, ora è sottoposta a studi e verifiche. Don Pietro, il parroco, preferisce non pubblicizzare l'accaduto sottolineando che le ossa dei defunti non verranno né trasferite né studiate per un lungo periodo e addirittura, per ordine della sovrintendenza, dopo aver dato alla cittadinanza la possibilità di visitare il luogo sacro probabilmente tutto verrà richiuso. "Se questi uomini - afferma don Pietro - sono stati qui per centinaia di anni è giusto che rimangano nei sotterranei della chiesa. Certo, bisogna studiare e datare questi resti per sapere qualcosa in più del nostro passato, ma poi è giusto lasciare a queste persone il loro riposo".

Fonte: ilmessaggero.caltanet.it del 27 novembre 2003

Quella mappa è dei Vichinghi 28 Dicembre 2003

La disputa scientifica intorno alla mappa del Vinland non accenna a placarsi. La pergamena custodita negli archivi del Museo della Yale University negli Stati Uniti continua infatti a suscitare l'interesse dei ricercatori e degli scienziati. Ora un nuovo studio sembra infatti dimostrare che è originale, nonostante altre analisi avessero mostrato appena un anno fa che si trattava di un falso colossale. La mappa potrebbe essere la prova "nero su bianco" che il continente americano era conosciuto già prima del viaggio di Cristoforo Colombo e che i primi europei ad arrivare su quelle coste furono i Vichinghi. Su di essa sono infatti disegnati i profili della mitica "Vinland", la terra del vino, nome con cui nelle saghe vichinghe si indicava appunto una regione a Ovest della Groenlandia e cioè il Nord America. Il fatto che i Vichinghi conoscessero quelle terre è ormai sempre più accettato dagli storici, che hanno imparato a tener conto della accuratezza delle antiche saghe nordiche. Dimostrare però che la mappa custodita in America è originale, farebbe salire il suo valore alle stelle: si parla di circa 20 milioni di dollari contro i due sborsati negli anni 50 dalla Yale University per acquistarla. Lo studio, realizzato da ricercatori dello Smithsonian Institution e pubblicato sulla rivista Analytical Chemistry , sembra porre termine alla diatriba: la mappa è originale e risale al 1434, prima cioè della spedizione di Colombo. Nel giugno del 2002 un articolo pubblicato sulla rivista Radiocarbon suggeriva che la pergamena su cui è disegnata la mappa risalisse al 1434, mentre in un altro articolo pubblicato in contemporanea sulla rivista Analytical Chemistry si diceva che l'inchiostro usato per tracciare le linee di costa risalisse al 20° secolo, in quanto sintetico. Al suo interno infatti i ricercatori avevano trovato tracce di un composto chimico, il diossido di titanio, che sembrava essere incompatibile per i processi di produzione dell'inchiostro dell'epoca. La mappa era dunque un falso molto ben confezionato. Ora invece, la nuova ricerca suggerisce che le analisi precedenti dell'inchiostro erano sbagliate e che in effetti il composto sintetico poteva essere contenuto anche in una delle sostanze usate negli inchiostri medievali. Insomma, le antiche saghe non mentivano: i Vichinghi arrivarono davvero in America prima di Colombo.

Fonte: ilmessaggero.caltanet.it del 27 novembre 2003

Una necropoli etrusca alla Mattonara 29 Dicembre 2003

La prima scoperta risale a un anno fa, l'Authority avvertì la Soprintendenza ed ora finanzia la campagna di scavi. Sei le tombe individuate finora, quattro sono già state violate e gli arredi rubati

Sei tombe etrusche. E' il risultato della campagna avviata una ventina di giorni fa alla Mattonara dalla Soprintendenza, ma si pensa che, in un'aerea appena più grande, le tombe possano arrivare almeno a una ventina. Per ora si lavora su un lembo di terreno - proprio di fronte al mare - di circa 20 per 25 metri ed è difficile fare previsioni sui tempi necessari per completare l'intervento sui sei sepolcri. Quattro sono già stati aperti, mentre due sono ancora completamente interrati e qui gli scavi saranno avviati soltanto quando saranno completate le operazioni sugli altri. I lavori non si presentano affatto facili. Il periodo non è l'ideale e ieri l'equipe guidata dall'archeologo Federico Di Matteo (al quale la soprintendente Ida Caruso ha affidato la direzione di questa campagna) ha trascorso buona parte della giornata a liberare le tombe dall'acqua. "La necropoli è del periodo etrusco arcaico, quindi del settimo, sesto secolo avanti Cristo - spiega il dottor Di Matteo - e purtroppo alcune tombe sono state già violate. In una abbiamo trovato un fil di ferro che, in base alla ruggine, potremmo datare intorno ai cinquanta anni fa. Purtroppo, gli arredi sono scomparsi tutti, anche se va aggiunto che il periodo arcaico non si caratterizzava per corredi molto ricchi. Dall'azione dei tombaroli si è salvata solo una fibula ad arco che, nascosta tra alcuni frammenti ossei è per fortuna sfuggita alle loro attenzioni. Al momento è sott'acqua, ma presto sarà trasferita al museo di Civitavecchia". C'è la possibilità che le due tombe ancora completamente interrate non siano state violate e svuotate. "La certezza l'avremo soltanto quando cominceremo lo scavo - aggiunge l'archeologo -: si capisce subito se la terra è stata sollevata e poi rimessa a posto, ma sono portato a pensare che almeno una sia ancora integra". La verifica si farà solo più in là. La presenza etrusca nella zona non è una novità. La necropoli della Scaglia (attualmente chiusa) è stata

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scoperta negli anni '40 con gli scavi dell'antiquario Mengarelli. Un altro piccolo sito è stato individuato oltre la centrale, ed ora ecco la Mattonara, proprio a due passi dallo stabilimento della Molinari, dove si sta realizzando la darsena grandi masse. Nemmeno le tombe in riva al mare (e due sono proprio a perpendicolo con la linea della costa) rappresentano una novità assoluta, ma sono sicuramente singolari e suggestive. La loro presenza testimonia l'esistenza di una cittadella etrusca in zona, ai limiti delle aree d'influenza di Cerveteri e Tarquinia, e di questi due famosi siti le tombe appena scoperte seguono le caratteristiche costruttive. Anche se solo una ha le linee e i tratti usati dagli etruschi cornetani. La più grande di queste cavità funebri misura circa tre mentre e mezzo per tre, la più piccola grosso modo due per due. Alcune, sono a camera unica, mentre altre presentano sull'ingresso delle cavità laterali, prima di aprirsi sulla camera maritale. In una di queste sono stati trovati un teschio ed alcune ossa perfettamente conservati. Ci sono anche altri reperti ossei, ma il tempo, l'acqua e l'aria li hanno minati fin nel profondo, tanto da far prevedere il loro completo sfaldamento non appena verranno toccati. La scoperta della necropoli risale, di fatto, al giugno dello scorso anno. Allora, una ruspa inviduò (e sfondò) il tetto di una tomba. L'Authority avvertì immediatamente la Soprintendenza che, fatti i dovuti sopralluoghi, ha pianificato la campagna di scavi resa oggi possibile dai fondi messi a disposizione proprio dall'ente porto. Che nel prossimo futuro, probabilmente, si troverà a dover gestire un'area museale all'interno dello scalo.

Fonte: ilmessaggero.caltanet.it del 28 novembre 2003

Reperti esotici ritrovati in antiche tombe dei nomadi della Mongolia interna 29 Dicembre 2003

Dall'esame dagli articoli di bronzo dissotterrati da antiche tombe nella Regione Autonoma della Mongolia interna, gli archeologi hanno potuto dedurre che le tribù nomadi nel nord della Cina ebbero contatti con le civiltà occidentali, approssimativamente 2,500 anni or sono.Gli archeologi hanno trovato uno specchio ed un piatto di bronzo in due siti sepolcrali della contea di Liangcheng, che risalirebbero al Periodo Primavera e Autunno (770-476 a.C.) ed al periodo degli Stati di Guerra (475-221 a.C.); da un primo esame, gli esperti ritengono non possa trattarsi di manifatture locali. Il bottone semicircolare dello specchio e la linea del piatto, raffigurante una strana bestia con una testa d'uccello ed un corpo di tigre, ricordano da vicino lo stile dei reperti dissotterrati nelle pianure erbose eurasiatiche, che si estendono dal Mar Nero alla regione della Russia presso il Baikal, ha dichiarato Cao Jian'en, ricercatore dell'Istituto Archeologico Regionale.Lo specchio, di forma rotonda, misura circa 10 cm di diametro ed il suo bottone semicircolare, mediante il quale gli archeologi ritengono fosse fissato, è di circa un centimetro di raggio.Più di 80 tombe sono state dissotterrate dai due siti e circa 200 ornamenti, numerosi utensili d'osso per uso quotidiano e scopi produttivi, e ossa di sacrifici animali di cavalli, pecore e cani.Gli archeologi sostengono che i sacrifici animali indicano che le tombe appartenessero a nomadi. Secondo Cao, gli autori di questi seppellimenti erano i popoli nativi Rong e Di, due minoranze etniche nell'antica Cina, in seguito assimilate al popolo Hun, chiamato Xiongnu nella Dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.).La scoperta delle tombe offrirà indizi rilevanti ai fini della ricerca delle origini dei popoli Hun, ha dichiarato Cao.

Fonte: english.peopledaily.com.cn del 28 ottobre 2003

Gli scienziati cinesi rivelano i misteri del mausoleo del Primo Imperatore della 30 Dicembre 2003 Dinastia Qin

Secondo quanto appreso ieri dall'Agenzia d'Informazione Xinhua, con un metodo ad alta tecnologia, gli archeologi cinesi, dopo più di un anno di esplorazioni, esperimenti e accertazioni, hanno finalmente rivelato una serie di misteri del mausoleo del primo imperatore della Dinastia Qin. L'esplorazione iniziale dimostra che la tomba reale del primo imperatore della storia cinese, il mausoleo del primo imperatore della Dinastia Qin costruito più di 2000 anni fa, ha un enorme dimensione e una struttura complicata. Si è evidenziato, inzialmente, che il settore principale del palazzo sottoterraneo ha una lunghezza di circa 170 metri, da Est a Ovest, e una larghezza di 145 metri da Sud a Nord, il settore principale in pietra non è ancora crollato ed è impregnato d'acqua. Attualmente la Cina segue una politica verso il mausoleo, secondo cui facendo perno sulla conservazione, si effettua solo l'esplorazione, ma non lo scavo.

Fonte: italian.cri.com.cn del 28 novembre 2003

Calce ancora fresca trovata in una villa romana 31 Dicembre 2003

Risale al II secolo d.c. Un caso considerato senza precedenti, e' stato la scoperta nei giorni scorsi, durante gli scavi nella villa dei Quintili, nel parco dell'Appia antica, in un vano sigillato dal crollo di un ambiente soprastante, di un accumulo di calce romana, profondo oltre un metro, che risulta ancora fresca e pronta per

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l'uso di cantiere. Lo ha reso noto la soprintendenza archeologica di Roma. La villa, appartenuta ai fratelli Quintili, consoli nel 151 d.C. prima che l'imperatore Commodo li facesse uccidere per appropriarsene, con i suoi 24 ettari e' la piu' grande del suburbio romano. Nel corso degli scavi iniziati nel gennaio di quest'anno, ha gia' restituito numerosi ambienti, pavimenti, intonaci e strutture che chiariscono le varie fasi di costruzione e la vita dell'impianto. Questa della calce e' pero' considerata dagli archeologi, dal punto di vista delle tecniche di costruzione ''una scoperta piu' importante che se fosse stata trovata una statua''. La soprintendenza archeologica di Roma ha spiegato che ''prima che il cantiere sia ricoperto per permetterne la conservazione'' verra' aperto al pubblico per due giorni il 6 e il 7 dicembre. Il 3 dicembre Rita Paris, dirigente archeologo della soprintendenza, e Rosanna Friggeri, direttrice dei servizi aggiuntivi saranno a disposizione dei giornalisti per informazioni di carattere scientifico e didattico: in quell'occasione verra' dimostrato come sia possibile il restauro di alcuni reperti romani trovati nella villa, grazie all'uso della calce che risale al loro stesso periodo.

Fonte: Culturalweb.it dell'1 dicembre 2003

Villa dei Quintili, meraviglie al fotofinish 31 Dicembre 2003

I restauri visitabili sull’Appia Antica solo oggi e domani, poi finiranno sotto calce

"La calce è tanto più efficace quanto più è vecchia" recitava Plinio nel Naturalis Historia. Figuriamoci allora quali potenzialità può avere l'accumulo di materiale appena ritrovato in un vano di servizio della Villa dei Quintili. «E' calce datata tra la fine del II e l'inizio del III secolo d. C.», ricorda Rita Paris, direttore dei lavori. Significa che siamo a quota duemila anni di deposito. Lo stupore dei tecnici per questa scoperta eccezionale verrà condiviso in loco con i visitatori solo oggi e domani, grazie ad un fuori programma inserito all'interno del normale percorso di visita al prezioso sito dell'Appia antica. Il deposito di calce si trova infatti all'interno di un'area ancora sottoposta a scavo: è materiale di ottima qualità, destinato a lavori di ristrutturazione e di decorazione di una parte della villa, abitata ma non ancora ultimata. Dopo il brevissimo periodo di esposizione al pubblico, la Soprintendenza Archeologica sigillerà di nuovo lo spazio per preservare l'importante testimonianza di tecnica edilizia romana, secondo gli usi degli antichi, ossia sotto terra. Da gennaio ad oggi, la Villa dei Quintili è stata generosa con i suoi archeologi, svelando ambienti, pavimenti, intonaci, strutture che ora lasciano intuire chiaramente la fisionomia della residenza. E i tour speciali fissati uno alle 10 e l'altro alle 12 di sabato 6 e di domenica 7, riservano altre sorprese. «La prima è ospitata nell'Antiquarium, tappa iniziale del giro, dove sono esposte tre figure virili, forse atleti, di marmo giallo antico: è parte di un fregio, rinvenuto in centinaia di frammenti prima di trovare il deposito di calce, nello strato che la isolava, sopra il crollo del pavimento», spiega Francesco Cochetti, direttore della didattica curata da Pierreci. Si prosegue passando attraverso l'aia dove sono allestiti i reperti in marmo provenienti dal ninfeo, poi è il momento di entrare nel palazzo che domina la campagna romana. Qui, a dimostrazione che la calce millenaria è ancora viva, un'altra esclusiva: si potrà osservare da vicino, sempre nella zona di scavo, la ricollocazione di un pavimento in opus sectile a losanghe di marmo bianco e listelli rosa antico, rubato, ritrovato, e ora in fase di montaggio, proprio con l'aiuto dell'antica polvere. Per prenotazioni, telefonare al numero 06.39967700.

Fonte: ilmessaggero.caltanet.it del 6 dicembre 2003

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