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My Life, according to

Correva l’anno 1984 quando un ragazzino non ancora maggiorenne ascoltò per la prima volta un pezzo da discoteca… piacevole, allegro, accattivante nei suoi coretti e in quel suono “strano” che ne segnava l’inizio: una specie di “bro-bbro” distorto. Ascoltavamo, io e i miei amici, solo musica inglese o comunque straniera, in quel periodo. Musica veloce (compatibilmente col fatto che eravamo nella prima metà degli anni ’80.) La discoteca era un miraggio che avevamo appena sfiorato, e sognavamo e pregustavamo le serate tra lampi e luci colorate, le birre al bancone del bar, tra la musica assordante da un lato e le ragazze sorridenti dall’altro. Se la radio passava un pezzo di musica italiana storcevamo il naso. Se per caso una canzone italiana ci piaceva, ci vergognavamo di ammetterlo! (fatta eccezione per il grande Franco Battiato, la cui “Voce del Padrone” ci aveva illuminati poco tempo prima) Quel suono strano e distorto rimase per parecchio tempo l’intro più “particolare” e curioso che avessi mai sentito… Sarebbero passati alcuni anni prima che io mettessi le mani sul testo di “Wake me up before you go-go”, e scoprissi di conseguenza che quel “suono incomprensibile” era la parola “Jitterbug”… (nome peraltro di un movimentato ballo Americano degli anni ’40). Ad ogni modo, nell’estate e nell’autunno del 1984, quella canzone era semplicemente una delle tante canzoni che mi piacevano, che registravo dalla radio su cassetta e ascoltavo nel mio primo Walkman. Non ero molto brillante, in quel periodo: a scuola ero il solito mezzo-secchione, c’era una ragazzina che mi piaceva ma alla quale non sapevo mai cosa dire… in particolare quella estate la trascorsi dai miei zii “di giù” e, in ritardo sulla vita come sempre, stavo vivendo il momento più travagliato della mia adolescenza. Sentivo di non essere più un bambino, ma non ero ancora un ragazzo. Giravo con quel walkman nelle orecchie, amavo la musica pop, amavo ciò che rappresentava e non vedevo l’ora di essere grande, di essere innamorato, di “fare” davvero qualcosa… ma non sapevo da che parte incominciare. Avevo un computer da un anno (anzi, ne avevo già avuti due) e sapevo che quello sarebbe stato il mio futuro… Andavo bene a scuola… ma che cosa significava veramente la scuola e ciò che imparavamo su quei banchi? Ricordo la “profezia” della mia professoressa di Storia e Filosofia: “tu che sei così razionale e ti sei trovato bene studiando l’Illuminismo (in quarta liceo, ndr), come farai l’anno prossimo che si parlerà di Romanticismo e Esistenzialismo?” Aveva ragione: sarei diventato, o avrei cercato di diventare, la sintesi tra la razionalità e il sentimento. E non sarebbe stato facile. In quell’autunno, tra una canzone e l’altra, tra una cassetta e l’altra che si andava riempiendo... comparve un “lento” particolare (il lento è quella cosa che si suonava in discoteca per consentire ai ragazzi e alle ragazze di ballare insieme). Era una bella canzone, ricca di atmosfera. Capivo già abbastanza l’inglese, anche se alcune cose mi sfuggivano. Nei negozi di dischi, che da ormai alcuni anni frequentavo (soprattutto ne frequentavo le vetrine, per cronica mancanza di fondi!) era comparso un tizio che, sullo sfondo nero di un 45 giri, in una foto in bianco e nero, guardava verso l’alto. Tale “George Michael”, titolo della canzone “”. A pensarci bene, l’inglese lo conoscevo davvero poco, anche se nella mia classe ero tra i migliori: ricordo che sulla copertina della relativa cassetta scrissi “carlis whisper”… Era davvero una bella canzone. In quell’autunno si incominciava ad andare a mangiare fuori, la domenica sera, in macchina, perché finalmente cominciavamo ad avere la patente. Io portavo le cassette e le facevo suonare nelle autoradio di tutti. Di solito piacevano. Ricordo che Careless Whisper seguiva “Precious Little Diamond” e “Doctor B”, due banali pezzi da discoteca… e precedeva “Love Kills”, una delle peggiori produzioni di Freddie Mercury solista. Ma quando attaccava “Time… can never mend” ci si fermava tutti per un attimo: l’atmosfera che si creava era magica. Ricordo che George Michael, in una recente intervista, ha dichiarato che per lui quella canzone è un fatto a sé. Lui è stato, ed è, un grande cantante, ha scritto e cantato tantissime canzoni, e duettato con i più grandi al mondo. Sa di essere bravo. Ma quando sente cantanti blasonati (faccio un esempio: Mina) che cantano Careless Whisper, non capisce. Non capisce perché quella canzoncina che lui scrisse quando aveva solo diciassette anni (e che in fondo non sente più di tanto “sua”, avendola scritta, come ha dichiarato, “quando ancora non sapeva nulla della vita”) debba piacere così tanto. Lui si è fatto l’idea che qualcuno abbia guidato la sua mano e la sua mente verso il futuro da star che sognava. E forse è così. Con l’avvicinarsi del Natale, due compagne di liceo, più piccole di me, alle quali avevo dato delle lezioni di matematica e fisica, mi regalarono l’LP dei Wham. Non ricordo esattamente se all’epoca io avessi espresso particolare apprezzamento per i Wham oppure no. Probabilmente ne parlavamo come si parlava di tutta la musica che ci piaceva. Quel si chiamava “Make it big” Si chiama tuttora “Make it big”. “Fallo alla grande” o “Rendila una cosa importante”. Così l’avevo tradotto nel 1984, e così continuo a ricordarmelo oggi. Volevo scoprire cos’era l’amore. Volevo diventare grande. Volevo cominciare a vivere. A Capodanno mi innamorai. E successero una serie di cose che faranno sì che io me lo ricorderò per sempre, come per sempre io ricorderò la ragazza, gli amici e le altre persone che furono con me in quell’occasione. Make it big. La mia vita cambiò. Ballai Careless Whisper con una ragazza per la prima volta… voglio dire, per la prima volta ballai con una ragazza e la canzone era Careless Whisper. Non solo. C’era la neve fuori, ed eravamo in montagna. Per il Natale del 1984 i Wham rilasciarono anche “Last Christmas”, che credo tutti conoscano bene: è quel pezzo che ad ogni Natale le radio e le TV ripropongono, quello nel cui video si vedono dei ragazzi che raggiungono una località di montagna per passare le festività in compagnia. Io vidi per la prima volta quel videoclip pochi giorni prima di Natale e desiderai fortemente poter vivere la loro storia. Abbastanza normale, in quel periodo, a quell’età. La cosa positiva è che ebbi la possibilità di viverla davvero.

Se il videoclip di Last Christmas mi rimase subito impresso, come quello dell’altra canzone in cui si esibì George Michael in quel periodo, ossia “Do they know it’s Christmas?” in collaborazione con tutti gli artisti inglesi della “Band- Aid”… le immagini di Careless Whisper mi furono sconosciute per parecchio tempo. Ma non importa: bastano le immagini della mia vita nel gennaio 1985. Sì, sarà stato l’amore… ma giravo per le strade come uno zombie, non ero più io e non ero ancora nient’altro. Ricordo anche con molto affetto un mio amico che aveva vissuto una storia d’amore dai connotati simili in quello stesso periodo… e questo amico veniva da me, mi chiedeva di mettere sul giradischi “Make it big” e quando arrivava Careless Whisper… l’ultima traccia della facciata B… mi chiedeva di collegargli le cuffie e ascoltava quella canzone chiudendo gli occhi. E tutte le volte che si andava dal DJ della discoteca, per richiedergli “Careless Whisper” se volevamo invitare qualche ragazza a ballare, o magari “Wake me up…” se volevamo fare quattro salti scatenati…

Insomma, l’inverno passò tra un pianto e una gioia… entrambe emozioni forti. In quei mesi, le radio iniziarono a passare “Everything she wants”. La canzone di per sé poteva non essere male ma, sarà per le parole che più o meno comprendevo o per come stavo io dentro, il sapore che mi ha lasciato non è stato molto buono. L’hanno poi remixata negli anni a seguire, e so che anche di recente George Michael la canta ai concerti perché è un pezzo che piace. A me è rimasto il sapore amarognolo.

Ad ogni modo quei mesi passarono, e la crisi fu superata, e in qualche modo io diventai maggiorenne e maturo. Dopo pochi mesi il disco dei Wham fu messo da parte e altre nuove, strabilianti (per il ragazzino che ero) canzoni presero il suo posto. Careless Whisper rimase lì, a ricordarmi i momenti dell’autunno appena trascorso. Ad onor del vero, devo dire che tutte le canzoni di “Make it big” mi sono entrate nel cuore: penso a quell’”Heartbeat, heartbeat…” che aveva risuonato in alcune radio nell’autunno, o a “Freedom”, suonata spesso in discoteca. Solo nell’autunno successivo i Wham fecero un disco nuovo. Era “I’m your man”. Avevo incominciato ad uscire con amici nuovi, in quei mesi. In particolare, con uno di questi amici, un mio compagno di liceo (anzi, ormai ex-compagno) di un’altra sezione, mi trovavo davvero bene. Ci conoscevamo ormai da un annetto e mezzo, e ci piaceva la stessa musica, gli stessi hobby, e avevamo gli stessi sogni. Stavamo prendendo la patente insieme. Lui, in particolare, aveva più la vocazione “da cantante” (a differenza di me, negatissimo!) e ricordo con tanta simpatia il modo in cui faceva il verso al martellante “iu-bea” di “I’m your man”. Quella canzone accompagnò il nostro autunno del 1985, il divertente primo anno di università e le abbondanti nevicate, le nostre avventure sentimentali. E sulle note di “The edge of heaven” trascorremmo la nostra vacanza in Spagna, nella perfetta tradizione che vuole la Spagna e le sue notti brave come “madrina” delle vacanze spensierate dei giovanissimi per la prima volta in giro da soli. Si andava a ballare nei locali della Costa Brava e io non vedevo l’ora che suonassero quella canzone. Devo dire che l’aver saputo che “il 28 giugno 1986 i Wham si erano sciolti, tenendo il loro ultimo concerto a Wembley” mi aveva un po’ rattristato. Forse è anche per quello che ho adorato quella canzone: come ha detto un mio amico (senza sapere nulla delle vere parole del testo), “The edge of heaven” era il saluto di due ragazzi, che se ne andavano ma ci tenevano a dire agli altri “non siate tristi”. Ma io ero triste. Ma come, pensavo: avevo appena incominciato a vivere e già gli Wham se ne andavano? Dopo solo un anno e mezzo? No, in effetti avrei scoperto solo dopo qualche altro tempo che George e Andrew cantavano già da diversi anni. Nell’LP “The final”, uscito quella stessa estate, erano raccolti i pezzi più belli che i due avevano cantato tra il 1982 e il 1986. “Wham Rap” e “Bad boys” non erano niente male, e nemmeno la mitica “Club Tropicana”. La cassetta di “The final” uscì consumata dall’autoradio, alla fine dell’estate, e fui obbligato a registrarne un’altra! Quante volte abbiamo ballato “The edge of heaven” e “Wham Rap”, io e quel mio compagno di scuola. In fondo ci sembrava quasi di essere al Marquee di Londra, quando ballavamo e saltavamo al centro della pista. E lui, in futuro, avrebbe davvero calcato i palchi dei concerti… Quante poche volte, a pensarci bene… le cose belle durano sempre troppo poco. Gli altri amici di quella vacanza non amavano la discoteca, e presto trovarono da ridire sulla musica e sul resto. Non ci lasciammo troppo bene, al ritorno. Motivi banali, litigate tra ragazzini, ma comunque un peccato. L’autunno del 1986 fu un periodo piuttosto cupo. Quella “Where did your heart go?” non mi dava pace. Cercavo una ragazza per una relazione più duratura, dopo le storielle della maturità e in generale dell’anno prima. Ma questa ragazza non arrivò. Ci fu una storia d’amore virtuale (descriverla con precisione richiederebbe troppo spazio) con una compagna di università, che culminò e terminò in un freddo giorno di dicembre del 1986 e che per me rimarrà sempre legata a “Blue – armed with love”. Io mi sentii proprio “blue”, quel giorno, in quei mesi. E ho volontariamente evitato di citare “”, perché nella primavera di quello stesso anno mi aveva dato troppo l’idea di essere un “clone” mal riuscito di Careless Whisper. E’ sempre triste quando si cerca di riesumare, di rivivere un qualcosa di bello del passato: e io lo so bene, ci sono passato spesso. Arrivò comunque l’anno successivo. Il duetto con Aretha Franklin sinceramente non ho mai saputo come definirlo. Sono felice che per George Michael quel duetto abbia significato un passo deciso verso l’affermazione come cantante vero e proprio e non solo come idolo delle ragazzine. Ma per me non fu così importante. Non amavo particolarmente la Regina della musica soul, né quella canzone in duetto mi sembrava particolarmente bella. La ascoltavo e la apprezzavo giusto perché era di George Michael, e poi tutta la musica straniera era sempre buona, per me. C’è da dire che, in particolare, “I knew you where waiting for me” segnò per me la speranza che io e il mio amico della vacanza in Spagna tornassimo ad essere gli amiconi di prima. Insomma, se la cantante nera che lui e gli altri suoi amici amavano tanto faceva un duetto con un tizio che cantava banali canzoncine pop, allora anche noi potevamo appianare qualunque divergenza. Non andò proprio così, ma in qualche maniera, col tempo, ce l’abbiamo poi fatta.

Con l’estate del 1987 io svoltai un altro angolo, nella mia vita. Era di nuovo periodo di cambiamenti, era il momento di iniziare a lavorare, accantonando l’università. Nuovi amici e vecchie conoscenze si unirono in una grande compagnia: locali normali e locali alternativi, tutte le sere fuori e fare tardi, tantissime persone, alcune ragazze carine, alcuni amori… “”, con il suo video provocante e il suo messaggio anti-AIDS mi aveva lasciato piuttosto indifferente. Ero contento che George Michael avesse fatto un nuovo disco, ma nulla di più. La modella era carina, la melodia anche, ma nulla di più. E poi arrivò “Faith”. Bellina, un ritmo che ti prendeva. Andai nel negozio di dischi del mio amico.. un tizio, un signore che avevo conosciuto un anno prima… e ascoltai tutto l’LP. Lo registrai. Non era niente male, tutte le canzoni mi piacevano fin da subito: quelle già famose come Faith e I want your sex, e poi Father figure, e Kissing a fool… Alle note di Hand to mouth il mio cuore sobbalzò fin dalla prima volta che la ascoltai. Non so perché. So solo che di lì a poco lasciai la ragazza con cui stavo, perché ne conobbi una che mi faceva sciogliere dentro solo guardandola. La sua vista, il suo nome mi toccavano il cuore, esattamente come “Hand to mouth” me l’aveva toccato quella prima volta. So che questa canzone non è per niente famosa, né importante. Lo è per me. Tanto, con quella tizia uscii solo per tre mesi. Mi lasciò lei, e “Hand to mouth” continuò a ferirmi il cuore per diverso tempo. Senza cogliere per intero il significato delle parole, ricordo bene solo che “with empty hands I pray”… pregai tanto che lei tornasse… e diversi di quei giorni della primavera del 1988 sono stati “hopeless day”…

Il 1988 fu un anno strano. Densissimo di esperienze, sintetizzò bene la spensieratezza dell’adolescenza con le prime disponibilità finanziarie (portate dall’impiego stabile) e una certa qual maturità. Tanti viaggi, tante persone, tante idee. Eppure, verso la fine dell’anno, sia io che altri miei amici ci trovammo presi in una sorta di revival. Si tornò ad ascoltare Careless Whisper, insieme ad altre canzoni di quattro anni prima, preferendole a quelle del momento. Strano. Io personalmente presi di nuovo a sognare quei momenti, quella storia d’amore in montagna… ma non ero l’unico. Ricordo che scrissi un programma… uno dei miei primi programmi in “C” (un famoso e importante linguaggio che stava prendendo piede ai tempi)… che leggeva da un file le parole di Careless Whisper e le visualizzava a video o sulla stampante del Commodore 64. E’ strano, ed è molto curioso immaginare di potersi sentire “vecchi” a 22 anni. Ma capita. E comunque anche quel tempo passò. Il periodo che seguì fu fatto di tutt’altra felicità. Ci fu una storia d’amore seria, sufficientemente stabile. Ci furono altre esperienze lavorative. Primavere soleggiate, calore umano. Nessun bisogno di revival. E niente canzoni di George Michael, per diverso tempo. Praticamente tre anni. Nell’estate del 1990 fece capolino alla radio “”. Era il primo singolo estratto da “Listen without prejudice”, il nuovo album di George Michael. Ricordo che l’ascoltai per la prima volta mentre io e un mio amico eravamo diretti al mare, nelle Marche, per raggiungere le nostre fidanzate. Non eravamo granché contenti: probabilmente non eravamo granché innamorati e ci veniva difficile ammetterlo. Ci aspettavamo di più dalla vita e dall’amore e ci divertivamo di più quando andavamo in vacanza con gli amici che non quando eravamo con le due ragazze, che sembravano tarparci sempre le ali e le iniziative. In più c’era appena stata l’invasione del Kuwait. Insomma, in quell’agosto ’90 una canzone triste come Praying for time non andava proprio bene. E quando comprammo l’LP “Listen without prejudice”, l’allegria continuò a diminuire. La mia solidità sentimentale stava pericolosamente vacillando, e anche nel lavoro stavo cercando nuovi sbocchi. Non c’è una canzone di quel disco che mi ricordi momenti lieti. “Mother’s pride” mi riporta in mente quegli accordi, quelle parole e quella voce così toccante di George Michael… e la voce della ragazza di un mio amico che mi supplicava di non mollare la mia fidanzata perché “lei mi amava”. E “Cowboys and angels” è la canzone triste, tristissima… che ascoltavamo in sottofondo quando io e lei cercavamo di stare insieme, non capendo cosa non andasse bene, e diventando matti nel tentativo di capirlo. A volte si è semplicemente troppo giovani.

Insomma, quel disco venne presto archiviato. Ricordo che nel 1991 passò per radio un pezzo intitolato “Calm the rage”, di un certo Terry Ronald, che imitava i coretti e lo stile dei Wham prima maniera. Io e il mio amico “di Careless Whisper” (chiamiamolo così) gradimmo abbastanza questa canzone, quasi fossimo in astinenza da George Michael… sorridente! Eppure proprio lui, in un giorno d’estate del 1989, di ritorno dalla montagna, in macchina con le nostre ragazze, aveva stroncato una mia battuta/citazione di Careless Whisper, dicendo, un po’ seccato, “smettila! non è più il momento”. Non ho mai capito cosa volesse dire. Per quando poi, nell’autunno del 1991, George Michael partecipò al duetto con Elton John in “Don’t let the sun go down on me”, io avevo già altre cose per la testa. La “lunga” e travagliata storia d’amore era finita, e stavo per dare delle altre svolte alla mia vita lavorativa e, per certi versi, alle comitive di amici. Mi fecero notare che un duetto di George Michael con Elton John poteva significare che, come il secondo era notoriamente omosessuale, forse allora anche il primo lo era. Non volevo crederlo. Ero già stato abbastanza male, in quel periodo.

L’anno dopo fu invece di nuovo un anno felice. Altri amori, un nuovo lavoro. Di George Michael uscì “”, che sinceramente non mi diceva granché. Non capivo se voleva essere un pezzo da discoteca o cosa; non era una canzone tipica “sua”. Ricordo solo che scherzavamo su quella frase “would you like to introduce you?” che, cantato da una donna del coro, ci sembrava giusto tradurre nel modo più volgare che si può immaginare… nonostante ormai l’inglese lo capissimo abbastanza! E il 1992 se ne andò rapidamente, portandosi dietro la spensieratezza della novità del nuovo lavoro, e la felicità di quell’amore che sembrava tanto intenso. L’anno che seguì si presentò con le migliori credenziali, ma non mantenne nessuna delle sue promesse. Avevo soldi, amici, tempo libero. Ma non fui mai felice. Forse è per questo che di “FiveLive” e della partecipazione di George Michael al Tributo a Freddie Mercury non mi è rimasto un buon ricordo. “Somebody to love” era probabilmente cantata in maniera superba, ma mi rimetteva in testa la pulce che George poteva essere davvero gay (vista l’estensione canora…). Oltre al fatto che le parole della canzone mi colpivano sul vivo (“find me somebody to love”). Molto bella era “Killer / Papa was a rollin’ stone”, e anche il duetto con in “These are the days of our lives”. Ma anche questa era troppo nostalgica, in quel momento. In quel periodo l’amico di Careless Whisper conobbe e si fidanzò con la ragazza che sarebbe poi diventata sua moglie.

Per quando George Michael pubblicò il suo disco successivo, la mia vita era di nuovo salita su un piedistallo e di nuovo ne era precipitata giù. Il lavoro andava bene. E si era creata una nuova compagnia di amici, grande e costruttiva come quella di sette anni prima. Tante idee, tante ragazze, settimane bianche e gente simpatica, gente che si completava a vicenda con risultati esilaranti ed esplosivi. Un amore, un altro. Una persona davvero speciale. Un dolore atroce. Curiosamente, in questa compagnia c’era un “George”… un ragazzo straniero. Non che cantasse, no, dicevo solo per dire… “My friends got their ladies, they all have babies”… , nel 1996, fu una bella canzone. Eppure triste. Molto triste, tra l’altro, perché conteneva al suo interno quel sample di “” di , una vecchia canzone da discoteca del 1982, che già di suo aveva un sapore… buio, almeno per me, perché in quell’anno i miei genitori si erano separati. Quelle parole erano l’infelice descrizione di ciò che era successo tra il 1994 e il 1996 nella mia vita. Era passata la nuova compagnia di amici, e anche l’amore. La compagnia probabilmente sarebbe stata l’ultima grande comitiva della mia vita giovanile. Ed era passata la ragazza più importante di tutte le altre, nel momento forse più importante di tutti. Avrebbe potuto esserlo, ma se n’era andata. E intanto tutti gli amici, quelli di lunghissima data, quelli di lunga data, e quelli più recenti, erano ormai fidanzati. Il 1996 fu il primo anno in cui sentii di essere solo, di non sapere cosa fare o con chi trascorrere una vacanza. Fu il primo anno in cui mi sentii “Older”. E se “Fastlove” poteva essere triste ma apprezzabile musicalmente… le altre canzoni del CD erano pesanti, cupe… A cominciare da quella , che nella primavera aveva colpito me e una mia amica e ci aveva fatto correre alla ricerca del testo completo… quella voce dolce all’estremo, da piano bar, quelle atmosfere tristi come in “” e “The strangest thing”. Ero di nuovo in vacanza in Spagna, ma stavolta stavo viaggiando da solo, per andare a trovare la famiglia di un amico a Minorca. Passai da Barcellona, ma poco o nulla mi riportarono alla mente i balli spensierati di dieci anni prima. Ebbi il coraggio di scrivere una cartolina all’amico di “The edge of heaven”, mettendoci su alcune frasi che, tra il serio e il ridicolo, erano appartenute a quella vacanza. Perché le porte del paradiso si erano chiuse, ancora una volta? Nulla servì a farmi stare meglio. Era sempre e solo “Fastlove”, nei locali della costa minorchina… la gente ballava, e io pensavo alla mia “absence of security”… ai “some bad love” che avevo avuto… mi prestarono persino un BMW, quella estate! Passarono anche quei momenti. Nei due anni che seguirono, andai a vivere da solo. In qualche modo stavo diventando grande anch’io. George Michael, sulla copertina di Older, sembrava davvero grandicello. Ricordo che ai tempi di Careless Whisper o meglio di Faith, io avevo pensato che lui avesse parecchi anni più di me. Scoprii poi che invece ne aveva solo quattro di più. In effetti, è normale. Quando io avevo diciassette anni e andavo ancora alle superiori, lui ne aveva 22 e si presentava su quelle copertine patinate e ballava nei video clip. Ora che io avevo quasi trent’anni, lui assomigliava a molti dei miei amici di trent’anni, col pizzetto e qualche capello in meno. Nel 1998, quando per diversi aspetti reiterati toccai il fondo della mia disperazione e solitudine, come se non bastasse si diffuse anche la notizia che George Michael era stato arrestato per atti osceni in un bagno pubblico di Los Angeles… con un uomo! Ma cavolo… allora era vero! Sembra assurdo ma… seppur a me non sia mai fregato nulla delle preferenze sessuali della gente e non mi faccia problemi ad avere amici gay… quella notizia mi scioccò. Fu come un tradimento: ma come, ci hai parlato per quindici anni di amore, sei stato il sottofondo dei nostri sogni romantici… e poi a te piacciono gli uomini? Ma allora, il video di Careless Whisper? E il video di Last Christmas? Tuttora, George Michael è l’unico esempio di omosessuale che mi dà fastidio. Non per lui in quanto tale, ma per quello che ha rappresentato per me e per come mi sono sentito tradito. Forse sbaglio, forse l’amore è davvero tale in qualunque modo si manifesti, ed è per questo che non ho problemi con gli amici gay. Ma mi risulta davvero difficile pensare che le due bellone del videoclip di Careless Whisper… quelle con cui sta il protagonista della canzone, e una delle quali scappa via quando scopre il suo tradimento, e di conseguenza lui sta male per aver “cheated”… insomma, che queste qua potessero essere due uomini.

In conseguenza di quei fatti, il disco che uscì di lì a poco, ossia “Outside”, fu per me una discreta porcheria. Mi rifiutai di comprarlo o di registrarlo, e anche di guardare il videoclip, per parecchio tempo. Quando poi colsi l’arguzia di un video che prendeva in giro quell’episodio poco carino che era capitato a lui stesso… dovetti ammettere che era stata una bella idea per risollevarsi dallo scandalo. Ma non cambiò il retrogusto che la canzone e l’intera vicenda lasciava a me. Ad ogni modo l’anno successivo George Michael si riscattò. L’idea di ricantare “As” di Stevie Wonder fu una grande idea. Il duetto con Mary J Blige mi piacque molto. Insomma, non erano le belle canzoni di un tempo, ma era comunque una cosa notevole. Legati a quella canzone mi sono rimasti impressi un nuovo periodo di serenità e alcune facce e alcuni momenti della primavera del 1999. C’era una tizia… una delle reduci dall’ultima compagnia… che, pur essendo sposata, si interessava e si preoccupava sempre molto per me. E siccome portava lo stesso nome del mio amore della montagna di tanti anni prima, in qualche modo pensai che fosse giusto che George Michael avesse dedicato un pezzo anche a lei! Niente di che. E una nuova, breve, storia d’amore, alla quale non si potevano certo dedicare le solenni promesse di “As”, ma che comunque portò dei mesi felici. Il filone “piano bar”, tuttavia, divenne presto un po’ pesante. Alla fine del 1999 la raccolta “Songs from the last century” fu una delusione. Sì, è vero, tu puoi cantare “Roxanne” e “As” e “Miss Sarajevo” con quella voce spettacolare… ma non sei più tu. Probabilmente tutto questo ha a che fare con una certa sindrome di Peter Pan o semplicemente con il desiderio che “le guide”, i simboli rimangano immutabili per sempre. E non può mai essere così. Il duetto con Whitney Houston in “”, del 2000, non l’ho mai considerato più di tanto. Io non avevo bisogno di sentire ancora la voce di George Michael in canzoni non sue (nei testi e nei fatti). Poi il 2000 fu un anno strano, come lo era stata la fine del 1999. Strani entusiasmi, in giro tra la gente, uniti a strane depressioni. Il lavoro divenne un po’ ossessionante, la vita di nuovo un po’ insopportabile. Nel 2000 e nel 2001 io ricordo di aver corso come un matto, con pochissime soddisfazioni in tutti i campi, e di aver cercato di lottare con le unghie e con i denti per trattenere qualche ricordo… qualche ricordo piacevole. Credo sia stato così anche per i miei amici. Il terzo millennio, la globalizzazione… Uno di loro si è comprato tutta la collezione dei dischi dei Wham (e anche di altri gruppi degli anni ’80)… Non so se ha fatto bene, perché quelle canzoni ce le aveva già. Cercare l’Età dell’Oro nel passato è sempre molto deprimente.

E… insomma, quando uscì “Freeek!” nel 2002 io pensai che eravamo alla frutta. Ci sono i sentimenti. C’è l’amore, nella vita. E c’è il sesso. Tutto ok. E poi c’è l’universo orgiastico dei gay. Perché George Michael doveva fare un videoclip (“pervert”, come viene universalmente definito) come quello? Che bisogno c’era? Di quella canzone comunque apprezzai un po’ il ritmo, la musicalità e la bella idea di campionare l’”handshake” di un modem per computer. Null’altro. Ricordo anzi che, quando ho visto il making-of di quel videoclip, quando nel backstage tre delle ragazze che poi nel video girano col collare, il guinzaglio e i corpetti in pelle sado-maso... queste ragazze canticchiano Careless Whisper… io l’ho sentita come una profanazione, un sacrilegio. Non mi è proprio andato giù sentire nominare il “silver screen” da parte loro. E non si può certo dire che “” sia stata meglio. L’idea di raffigurare il Primo Ministro Tony Blair come un cagnolino fedele a Bush poteva anche starmi bene politicamente, ma la canzone secondo me era parecchio discutibile. E il video a cartoni animati anche. Va bene prendersi in giro, va bene raffigurare se stessi come si era e come si è… e come si vorrebbe essere… ma, di nuovo, lì si scadeva nel cattivo gusto e nell’esagerazione. E poi forse un George Michael “impegnato” non è quello che ci aspettiamo.

Negli ultimi anni, quando volevo ascoltare una bella canzone dei Wham, andavo a cercare un pezzo molto “easy” del 2001 che si intitola “Oooh it’s kinda crazy” (di un gruppetto chiamato Soul Decision) che fa decisamente il verso ai Wham prima maniera. Non so se era nostalgia del mio passato, o nostalgia del passato del cantante che era stato George Michael, o di entrambe le cose… Si può dunque immaginare come io abbia accolto… come una ventata d’aria fresca nell’afa… il coretto iniziale di “Amazing”, qualche mese fa. Pensavo si trattasse di un ennesimo clone. Invece no: era tornato. Era tornato con qualcosa di bello e di suo. In questo periodo la ascolto e mi fa stare bene, mi rilassa, mi delizia. E’ molto bello e molto vero affermare che è “amazing, the way that love can set you free”. E io lo trovo decisamente preferibile al sado-maso di Freeek! E ai bagni pubblici di Outside. In questo periodo che sono ancora… in attesa, ritengo proprio di essere stato “stitched by fate”, e che “luck is a lady”. Bisogna aspettare? Bisogna muoversi? Bisogna essere fortunati? Sul video di Amazing non mi esprimo. C’è chi dice che George Michael è ingrassato. C’è chi dice che si vedono tante donne ma anche tanti uomini. Tutto questo non mi interessa granché: credo che con “Older” e “Songs from the last century” George Michael fosse “vecchio” dentro. Crescere è normale… non essere più brillanti lo è meno. Quando ho rivisto il video di “Wake me up before you go-go” qualche settimana fa su MTV, sono rimasto davvero stupito. Io ricordavo solo quei tizi che cantavano indossando la maglietta di “Choose life”… e invece c’erano tanti altri particolari, che ne fanno un tipico spaccato degli anni ’80. Devo dire che questa parte è curiosa, ma è la meno interessante.

DarioG 28 aprile 2004

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