My Life, -.:: GEOCITIES.Ws
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My Life, according to George Michael Correva l’anno 1984 quando un ragazzino non ancora maggiorenne ascoltò per la prima volta un pezzo da discoteca… piacevole, allegro, accattivante nei suoi coretti e in quel suono “strano” che ne segnava l’inizio: una specie di “bro-bbro” distorto. Ascoltavamo, io e i miei amici, solo musica inglese o comunque straniera, in quel periodo. Musica veloce (compatibilmente col fatto che eravamo nella prima metà degli anni ’80.) La discoteca era un miraggio che avevamo appena sfiorato, e sognavamo e pregustavamo le serate tra lampi e luci colorate, le birre al bancone del bar, tra la musica assordante da un lato e le ragazze sorridenti dall’altro. Se la radio passava un pezzo di musica italiana storcevamo il naso. Se per caso una canzone italiana ci piaceva, ci vergognavamo di ammetterlo! (fatta eccezione per il grande Franco Battiato, la cui “Voce del Padrone” ci aveva illuminati poco tempo prima) Quel suono strano e distorto rimase per parecchio tempo l’intro più “particolare” e curioso che avessi mai sentito… Sarebbero passati alcuni anni prima che io mettessi le mani sul testo di “Wake me up before you go-go”, e scoprissi di conseguenza che quel “suono incomprensibile” era la parola “Jitterbug”… (nome peraltro di un movimentato ballo Americano degli anni ’40). Ad ogni modo, nell’estate e nell’autunno del 1984, quella canzone era semplicemente una delle tante canzoni che mi piacevano, che registravo dalla radio su cassetta e ascoltavo nel mio primo Walkman. Non ero molto brillante, in quel periodo: a scuola ero il solito mezzo-secchione, c’era una ragazzina che mi piaceva ma alla quale non sapevo mai cosa dire… in particolare quella estate la trascorsi dai miei zii “di giù” e, in ritardo sulla vita come sempre, stavo vivendo il momento più travagliato della mia adolescenza. Sentivo di non essere più un bambino, ma non ero ancora un ragazzo. Giravo con quel walkman nelle orecchie, amavo la musica pop, amavo ciò che rappresentava e non vedevo l’ora di essere grande, di essere innamorato, di “fare” davvero qualcosa… ma non sapevo da che parte incominciare. Avevo un computer da un anno (anzi, ne avevo già avuti due) e sapevo che quello sarebbe stato il mio futuro… Andavo bene a scuola… ma che cosa significava veramente la scuola e ciò che imparavamo su quei banchi? Ricordo la “profezia” della mia professoressa di Storia e Filosofia: “tu che sei così razionale e ti sei trovato bene studiando l’Illuminismo (in quarta liceo, ndr), come farai l’anno prossimo che si parlerà di Romanticismo e Esistenzialismo?” Aveva ragione: sarei diventato, o avrei cercato di diventare, la sintesi tra la razionalità e il sentimento. E non sarebbe stato facile. In quell’autunno, tra una canzone e l’altra, tra una cassetta e l’altra che si andava riempiendo... comparve un “lento” particolare (il lento è quella cosa che si suonava in discoteca per consentire ai ragazzi e alle ragazze di ballare insieme). Era una bella canzone, ricca di atmosfera. Capivo già abbastanza l’inglese, anche se alcune cose mi sfuggivano. Nei negozi di dischi, che da ormai alcuni anni frequentavo (soprattutto ne frequentavo le vetrine, per cronica mancanza di fondi!) era comparso un tizio che, sullo sfondo nero di un 45 giri, in una foto in bianco e nero, guardava verso l’alto. Tale “George Michael”, titolo della canzone “Careless Whisper”. A pensarci bene, l’inglese lo conoscevo davvero poco, anche se nella mia classe ero tra i migliori: ricordo che sulla copertina della relativa cassetta scrissi “carlis whisper”… Era davvero una bella canzone. In quell’autunno si incominciava ad andare a mangiare fuori, la domenica sera, in macchina, perché finalmente cominciavamo ad avere la patente. Io portavo le cassette e le facevo suonare nelle autoradio di tutti. Di solito piacevano. Ricordo che Careless Whisper seguiva “Precious Little Diamond” e “Doctor B”, due banali pezzi da discoteca… e precedeva “Love Kills”, una delle peggiori produzioni di Freddie Mercury solista. Ma quando attaccava “Time… can never mend” ci si fermava tutti per un attimo: l’atmosfera che si creava era magica. Ricordo che George Michael, in una recente intervista, ha dichiarato che per lui quella canzone è un fatto a sé. Lui è stato, ed è, un grande cantante, ha scritto e cantato tantissime canzoni, e duettato con i più grandi al mondo. Sa di essere bravo. Ma quando sente cantanti blasonati (faccio un esempio: Mina) che cantano Careless Whisper, non capisce. Non capisce perché quella canzoncina che lui scrisse quando aveva solo diciassette anni (e che in fondo non sente più di tanto “sua”, avendola scritta, come ha dichiarato, “quando ancora non sapeva nulla della vita”) debba piacere così tanto. Lui si è fatto l’idea che qualcuno abbia guidato la sua mano e la sua mente verso il futuro da star che sognava. E forse è così. Con l’avvicinarsi del Natale, due compagne di liceo, più piccole di me, alle quali avevo dato delle lezioni di matematica e fisica, mi regalarono l’LP dei Wham. Non ricordo esattamente se all’epoca io avessi espresso particolare apprezzamento per i Wham oppure no. Probabilmente ne parlavamo come si parlava di tutta la musica che ci piaceva. Quel disco si chiamava “Make it big” Si chiama tuttora “Make it big”. “Fallo alla grande” o “Rendila una cosa importante”. Così l’avevo tradotto nel 1984, e così continuo a ricordarmelo oggi. Volevo scoprire cos’era l’amore. Volevo diventare grande. Volevo cominciare a vivere. A Capodanno mi innamorai. E successero una serie di cose che faranno sì che io me lo ricorderò per sempre, come per sempre io ricorderò la ragazza, gli amici e le altre persone che furono con me in quell’occasione. Make it big. La mia vita cambiò. Ballai Careless Whisper con una ragazza per la prima volta… voglio dire, per la prima volta ballai con una ragazza e la canzone era Careless Whisper. Non solo. C’era la neve fuori, ed eravamo in montagna. Per il Natale del 1984 i Wham rilasciarono anche “Last Christmas”, che credo tutti conoscano bene: è quel pezzo che ad ogni Natale le radio e le TV ripropongono, quello nel cui video si vedono dei ragazzi che raggiungono una località di montagna per passare le festività in compagnia. Io vidi per la prima volta quel videoclip pochi giorni prima di Natale e desiderai fortemente poter vivere la loro storia. Abbastanza normale, in quel periodo, a quell’età. La cosa positiva è che ebbi la possibilità di viverla davvero. Se il videoclip di Last Christmas mi rimase subito impresso, come quello dell’altra canzone in cui si esibì George Michael in quel periodo, ossia “Do they know it’s Christmas?” in collaborazione con tutti gli artisti inglesi della “Band- Aid”… le immagini di Careless Whisper mi furono sconosciute per parecchio tempo. Ma non importa: bastano le immagini della mia vita nel gennaio 1985. Sì, sarà stato l’amore… ma giravo per le strade come uno zombie, non ero più io e non ero ancora nient’altro. Ricordo anche con molto affetto un mio amico che aveva vissuto una storia d’amore dai connotati simili in quello stesso periodo… e questo amico veniva da me, mi chiedeva di mettere sul giradischi “Make it big” e quando arrivava Careless Whisper… l’ultima traccia della facciata B… mi chiedeva di collegargli le cuffie e ascoltava quella canzone chiudendo gli occhi. E tutte le volte che si andava dal DJ della discoteca, per richiedergli “Careless Whisper” se volevamo invitare qualche ragazza a ballare, o magari “Wake me up…” se volevamo fare quattro salti scatenati… Insomma, l’inverno passò tra un pianto e una gioia… entrambe emozioni forti. In quei mesi, le radio iniziarono a passare “Everything she wants”. La canzone di per sé poteva non essere male ma, sarà per le parole che più o meno comprendevo o per come stavo io dentro, il sapore che mi ha lasciato non è stato molto buono. L’hanno poi remixata negli anni a seguire, e so che anche di recente George Michael la canta ai concerti perché è un pezzo che piace. A me è rimasto il sapore amarognolo. Ad ogni modo quei mesi passarono, e la crisi fu superata, e in qualche modo io diventai maggiorenne e maturo. Dopo pochi mesi il disco dei Wham fu messo da parte e altre nuove, strabilianti (per il ragazzino che ero) canzoni presero il suo posto. Careless Whisper rimase lì, a ricordarmi i momenti dell’autunno appena trascorso. Ad onor del vero, devo dire che tutte le canzoni di “Make it big” mi sono entrate nel cuore: penso a quell’”Heartbeat, heartbeat…” che aveva risuonato in alcune radio nell’autunno, o a “Freedom”, suonata spesso in discoteca. Solo nell’autunno successivo i Wham fecero un disco nuovo. Era “I’m your man”. Avevo incominciato ad uscire con amici nuovi, in quei mesi. In particolare, con uno di questi amici, un mio compagno di liceo (anzi, ormai ex-compagno) di un’altra sezione, mi trovavo davvero bene. Ci conoscevamo ormai da un annetto e mezzo, e ci piaceva la stessa musica, gli stessi hobby, e avevamo gli stessi sogni. Stavamo prendendo la patente insieme. Lui, in particolare, aveva più la vocazione “da cantante” (a differenza di me, negatissimo!) e ricordo con tanta simpatia il modo in cui faceva il verso al martellante “iu-bea” di “I’m your man”. Quella canzone accompagnò il nostro autunno del 1985, il divertente primo anno di università e le abbondanti nevicate, le nostre avventure sentimentali. E sulle note di “The edge of heaven” trascorremmo la nostra vacanza in Spagna, nella perfetta tradizione che vuole la Spagna e le sue notti brave come “madrina” delle vacanze spensierate dei giovanissimi per la prima volta in giro da soli.