Boncompagni Gianni Fu Giuseppe, Nato Il
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RISTORIA DI UN ITALIANO Gianni Boncompagni fu Giuseppe, l’aretino impenitente oncompagni Gianni fu Giuseppe, nato il qualche sigaretta. “Le comprava il più ric- B13 maggio 1932, anno X E.F. Che l’anno co di noi, il Sacchi, che aveva il papà che fa- fosse quello, e che quella fosse l’era, ne ceva il grossita. Mica esistevano i pacchet- danno precisa testimonianza alcune foto. In ti: uno andava dal tabaccaio e chiedeva cin- una il piccolo Gianni è un gagliardo figlio- que esportazioni. Ma cinque erano già tan- lo della lupa, col braccino aretino teso nel te, di solito due. Il tabaccaio le metteva in saluto romano. In un’altra, sempre simil- una bustina. Le accendevamo, quelle due mente abbigliato, Gianni – elevato al grado sigarette, e ce le passavamo tra di noi. E di vicecaposquadra – è con i suoi compagni parlavamo, parlavamo, parlavamo”. di una minuscola pattuglia, fucilino di le- gno in mano tenuto di malagrazia, fez stor- to, pancia in fuori e petto in dentro, l’atten- *** ti che lascia a desiderare. Non che mostri Di cosa, poi, difficile dire. Delle donne, proprio un esagerato, e sicuramente ri- giura Boncompagni, c’era solo una vaga chiesto, virile orgoglio fascista. Magari per- idea. Di quelle di Arezzo neanche l’idea ché al cortile quel giorno la Mascella non più vaga. “Le ragazzine in classe c’erano, parlava. Al suo fianco, l’istruttrice di gin- ma non avevamo nessun rapporto con loro. nastica in divisa – l’aria arcigna e probabi- Erano una razza a parte, nemiche. Figure le fascia littoria – fortunatamente guarda misteriose, come Omero. L’unico contatto da un’altra parte. Dietro, sullo sfondo, un era sul corso di Arezzo, quando buttavamo ragazzotto che scruta svogliatamente il pre- qualcuno di noi contro di loro. Sceeeemi, cario manipolo di virgulti. “Uno degli avan- strillavano quelle. Per il resto, niente”. guardisti. Noi bambini li vedevamo come Perché, innanzi tutto, era anche difficile immaginarlo, l’altro sesso. “Le mestruazio- ni, per esempio, non sapevamo nemmeno “Non sapevamo cos’erano le cosa fossero. Dicevano: l’Antonella oggi non è venuta a scuola perché non sta bene. E donne, sempre coperte, non capivi cos’ha? Mal di pancia. Non capivamo per- cosa c’era sotto. Solo ad Elisa si ché le nostre compagne avessero questo mal di pancia continuo, mentre noi maschi vedeva che sotto c’erano le tette” stavamo benissimo. Ma come, se non ha mangiato niente… Un grande mistero. Ah, eroi greci: più grandi, con il fucile vero…”. le mestruazioni, queste sconosciute… Che Poi, di Boncompagni Gianni, si potrebbe rapporto potevamo avere, tra di noi?”. Che dire che è nato ad Arezzo, sotto il segno del poi, la conoscenza delle mestruazioni era Toro. Ma se la prima annotazione produce già una fase molto avanzata. “Ad Arezzo ricordi molto ironici e molto feroci, la se- donne e bambine erano vestite sempre di conda genera più che altro disgustata in- scuro o di nero, indefinite, un magma co- cazzatura. “L’oroscopo è una mia fissazione, perto da un burqua. Tutte portavano degli lo considero il simbolo del massimo degra- abiti fatti in casa, che coprivano male. In- do. Sono un acerrimo nemico di tutta quel- comprensibili. Mai visto cose leggere, solo la roba lì. Una volta che passano queste su- pesanti, pure d’estate. Non avevamo la pos- perstizioni, tutto diventa possibile: l’oro- sibilità di capire cosa ci fosse sotto, culo e scopo come Padre Pio come l’acqua santa tette e cosce. Tutte bruttissime, malcurate, di Trapattoni. Vorrei una legge veramente secondo me non si facevano neanche lo illiberale contro l’oroscopo. Poi, con il proi- shampoo. Ancora a quindici, sedici anni bizionismo, se lo farebbero tutti di nasco- non sapevamo niente di loro e del loro sto. Lo spaccio di oroscopi, con il pusher mondo”. Non esisteva, assicura Boncompa- sotto casa: che c’hai i Gemelli? mi faccio gni, “l’iconografia erotica del corpo, della con il Sagittario?”. Uno dice: Boncompagni donna come dell’uomo. E non un giornale cazzeggia. Nossignore, è serio. A riprova, ci- che pubblicasse una foto di donna in costu- ta gli estremi sacrifici compiuti in nome me. Sarà stato per una cosa cattolica. Igno- della causa. “Avevo una ragazza carina, bel- ravamo il culo delle donne, ignoravamo le la e simpatica. L’ho lasciata perché si ritro- tette”. Rammenta una sola eccezione, Bon- vava questa mania. Ogni volta cominciava compagni. “Elisa. Sembrava bella, bionda. con ascendenti, scorpioncini, e tu cosa sei? Almeno lei aveva le tette, si vedevano. Le Non lo sopportavo. Quando mi chiedono di altre, tutte sotto il burqua aretino”. Per il che segno sono– c’è qualche incauto che an- resto, ci si arrangiava come si poteva. “Nel cora lo fa – rispondo: dell’aragosta”. libro di medicina del fratello più grande di un nostro amico, avevamo visto per la pri- ma volta la vagina. Orribile a vedersi. Una *** cosa incomprensibile, tremenda, medica. Dice Boncompagni che ad Arezzo non Un’ostrica. Restammo molto perplessi”. Sopra: Gianni Boncompagni a pochi mesi. A destra: lo stato di famiglia di Giuseppe Boncom- c’erano semafori e, soprattutto, non c’erano pagni, archivio della Pieve di Ranco, con l’indicazione della morte degli zii di Gianni dovuta al- alberi. “Pareva Bengasi”. Magari esagera, la “spagnola”. Sotto: lo scolaro Boncompagni Figlio della Lupa mentre romanamente saluta. ma sostiene di avere preciso il ricordo di *** piazza Guido Monaco dove passava le ore, Se le donne erano indefinite, allo sguar- rotazione del turibolo, con relativo affum- dannazione”. Che a un certo punto prova- “senza fare niente”, con i suoi amici. “Un do del piccolo Gianni, ben definiti erano i micamento del frate celebrante, dei fedeli rono a entrare nei boy scout, non per tardi- sole bestiale, a picco. C’erano dei giardi- preti. O i frati, nel caso specifico. Prima di presenti, del Santissimo paziente, tra spa- va vocazione, “facevano sempre gite, viag- netti per modo di dire, qualche orto di introdurre ai patimenti di padre Basilio, al- ventose vampate d’incenso. “Il pomeriggio gi”. E dunque? “Vennero le guide di boy guerra, ma gli alberi come cosa utile non le prese con Boncompagni chierichetto, c’è si faceva la funzione, non la messa, un’altra scout a farci un esame. I frati erano un po’ esistevano, mica c’era qualcuno che li pian- da ricordare quello che il Boncompagni re- cosa, non so bene… Venivano tutte le be- rimbambiti, ma questi erano svegli. Mi in- tasse. Giusto i nobili, per bellezza. Ma li gista ancora adesso ripete: “Prima che uo- ghine del paese. Vestito da chierichetto, fa- terrogarono per capire se ero adatto. Dice- mettevano a casa loro”. In quella piazza as- mo, io sono anticlericale”. E, a sentirlo, pu- cevo l’incensiere. E tutte le sere, mentre pa- vo cose da santi. Fai la comunione? Certo, solata si parlava e ci si annoiava, ci si an- re prima che bambino. La parrocchia era dre Basilio voltato verso l’altare diceva rispondevo, anche se mi riempivo prima di noiava e si parlava. Per tutto il tempo. quella del Saione, appaltata a dei miti fran- messa, avviavo il mio show. Di nascosto bombe alla crema. Insomma, non li abbia- Niente, niente, niente. Vizi non ce n’erano, cescani. “Noi andavamo a servire messa. Io mettevo cucchiaiate di incenso nell’attrez- mo fregati. Si vede che prendevano le infor- soldi non ce n’erano. Ogni tanto qualcuno ero uno specialista in buffonate, il buffone zo. Cominciava a uscire un fumo che riem- mazioni in giro, come i carabinieri”. beveva un bicchiere di vino rosso e vomita- dei miei compagni chierichetti”. Cavallo di piva tutta la chiesa. Il massimo, l’orgasmo, va. A volte, miracolosamente, compariva battaglia di Boncompagni, a quel tempo, la era quando iniziavo a far girare – vrooom, vrooom – il turibolo. Il frate non se ne ac- *** corgeva, i miei amici facevano fatica a non “Rividi padre Basilio molti anni dopo, applaudire, le vecchiette guardavano stra- quando portai un’americana con cui stavo nite. Padre Basilio, che era un gran para- a vedere la Verna. Le dissi che gli uccellini culo, le prime volte mi rimproverava: basta si rompevano i coglioni di sentir parlare un pelino con l’incenso, che costa… Poi mi sempre. C’era un convento, dove stava il beccò mentre facevo la giravolta, in mezzo frate, ora molto anziano, più di novant’anni. a un fumo bestiale, e non mi fece più toc- Mi riconobbe a malapena. L’unica cosa che care l’attrezzo. Peccato”. Doveva avere una mi chiedeva era se l’americana fosse catto- gran pazienza, padre Basilio. Dice Bon- lica. Per lui era normale che fosse cattoli- compagni che la chiesa del Saione (nem- ca. Non aveva visto altro, poveretto…”. meno mezza possibilità che ricordi a che santo fosse dedicata) al tempo gli sembrava grande come una cattedrale. In realtà, era *** un chiesetta piccolina, “ma aveva una sala A riprova della granitica mancanza di fe- da biliardo, dove andavano i più grandi, e de, Boncompagni rammenta la triste sorte una da ping pong, dove andavamo noi pic- della professoressa Altobelli, che insegna- colini. Una banda di anticlericali. O forse va italiano, latino, storia e geografia, “alta anticlericale è una parola troppo grossa. un metro e novanta, una marziana, una suo- Fancazzisti, casomai…”. Con cristiana sop- re laica, i nei con i peli”. Racconta: “Alla portazione, padre Basilio mise il fanciullo prima lezione ci disse: sono molto grata al- a fare gli effetti speciali durante le recite la provvidenza che ogni giorno ci fa vivere, nel teatrino parrocchiale. Il rumorista, ec- penso sia giusto ringraziarla con una pre- co l’esatta dizione.