RISTORIA DI UN ITALIANO Gianni Boncompagni fu Giuseppe, l’aretino impenitente

oncompagni Gianni fu Giuseppe, nato il qualche sigaretta. “Le comprava il più ric- B13 maggio 1932, anno X E.F. Che l’anno co di noi, il Sacchi, che aveva il papà che fa- fosse quello, e che quella fosse l’era, ne ceva il grossita. Mica esistevano i pacchet- danno precisa testimonianza alcune foto. In ti: uno andava dal tabaccaio e chiedeva cin- una il piccolo Gianni è un gagliardo figlio- que esportazioni. Ma cinque erano già tan- lo della lupa, col braccino aretino teso nel te, di solito due. Il tabaccaio le metteva in saluto romano. In un’altra, sempre simil- una bustina. Le accendevamo, quelle due mente abbigliato, Gianni – elevato al grado sigarette, e ce le passavamo tra di noi. E di vicecaposquadra – è con i suoi compagni parlavamo, parlavamo, parlavamo”. di una minuscola pattuglia, fucilino di le- gno in mano tenuto di malagrazia, fez stor- to, pancia in fuori e petto in dentro, l’atten- *** ti che lascia a desiderare. Non che mostri Di cosa, poi, difficile dire. Delle donne, proprio un esagerato, e sicuramente ri- giura Boncompagni, c’era solo una vaga chiesto, virile orgoglio fascista. Magari per- idea. Di quelle di Arezzo neanche l’idea ché al cortile quel giorno la Mascella non più vaga. “Le ragazzine in classe c’erano, parlava. Al suo fianco, l’istruttrice di gin- ma non avevamo nessun rapporto con loro. nastica in divisa – l’aria arcigna e probabi- Erano una razza a parte, nemiche. Figure le fascia littoria – fortunatamente guarda misteriose, come Omero. L’unico contatto da un’altra parte. Dietro, sullo sfondo, un era sul corso di Arezzo, quando buttavamo ragazzotto che scruta svogliatamente il pre- qualcuno di noi contro di loro. Sceeeemi, cario manipolo di virgulti. “Uno degli avan- strillavano quelle. Per il resto, niente”. guardisti. Noi bambini li vedevamo come Perché, innanzi tutto, era anche difficile immaginarlo, l’altro sesso. “Le mestruazio- ni, per esempio, non sapevamo nemmeno “Non sapevamo cos’erano le cosa fossero. Dicevano: l’Antonella oggi non è venuta a scuola perché non sta bene. E donne, sempre coperte, non capivi cos’ha? Mal di pancia. Non capivamo per- cosa c’era sotto. Solo ad Elisa si ché le nostre compagne avessero questo mal di pancia continuo, mentre noi maschi vedeva che sotto c’erano le tette” stavamo benissimo. Ma come, se non ha mangiato niente… Un grande mistero. Ah, eroi greci: più grandi, con il fucile vero…”. le mestruazioni, queste sconosciute… Che Poi, di Boncompagni Gianni, si potrebbe rapporto potevamo avere, tra di noi?”. Che dire che è nato ad Arezzo, sotto il segno del poi, la conoscenza delle mestruazioni era Toro. Ma se la prima annotazione produce già una fase molto avanzata. “Ad Arezzo ricordi molto ironici e molto feroci, la se- donne e bambine erano vestite sempre di conda genera più che altro disgustata in- scuro o di nero, indefinite, un magma co- cazzatura. “L’oroscopo è una mia fissazione, perto da un burqua. Tutte portavano degli lo considero il simbolo del massimo degra- abiti fatti in casa, che coprivano male. In- do. Sono un acerrimo nemico di tutta quel- comprensibili. Mai visto cose leggere, solo la roba lì. Una volta che passano queste su- pesanti, pure d’estate. Non avevamo la pos- perstizioni, tutto diventa possibile: l’oro- sibilità di capire cosa ci fosse sotto, culo e scopo come Padre Pio come l’acqua santa tette e cosce. Tutte bruttissime, malcurate, di Trapattoni. Vorrei una legge veramente secondo me non si facevano neanche lo illiberale contro l’oroscopo. Poi, con il proi- shampoo. Ancora a quindici, sedici anni bizionismo, se lo farebbero tutti di nasco- non sapevamo niente di loro e del loro sto. Lo spaccio di oroscopi, con il pusher mondo”. Non esisteva, assicura Boncompa- sotto casa: che c’hai i Gemelli? mi faccio gni, “l’iconografia erotica del corpo, della con il Sagittario?”. Uno dice: Boncompagni donna come dell’uomo. E non un giornale cazzeggia. Nossignore, è serio. A riprova, ci- che pubblicasse una foto di donna in costu- ta gli estremi sacrifici compiuti in nome me. Sarà stato per una cosa cattolica. Igno- della causa. “Avevo una ragazza carina, bel- ravamo il culo delle donne, ignoravamo le la e simpatica. L’ho lasciata perché si ritro- tette”. Rammenta una sola eccezione, Bon- vava questa mania. Ogni volta cominciava compagni. “Elisa. Sembrava bella, bionda. con ascendenti, scorpioncini, e tu cosa sei? Almeno lei aveva le tette, si vedevano. Le Non lo sopportavo. Quando mi chiedono di altre, tutte sotto il burqua aretino”. Per il che segno sono– c’è qualche incauto che an- resto, ci si arrangiava come si poteva. “Nel cora lo fa – rispondo: dell’aragosta”. libro di medicina del fratello più grande di un nostro amico, avevamo visto per la pri- ma volta la vagina. Orribile a vedersi. Una *** cosa incomprensibile, tremenda, medica. Dice Boncompagni che ad Arezzo non Un’ostrica. Restammo molto perplessi”. Sopra: Gianni Boncompagni a pochi mesi. A destra: lo stato di famiglia di Giuseppe Boncom- c’erano semafori e, soprattutto, non c’erano pagni, archivio della Pieve di Ranco, con l’indicazione della morte degli zii di Gianni dovuta al- alberi. “Pareva Bengasi”. Magari esagera, la “spagnola”. Sotto: lo scolaro Boncompagni Figlio della Lupa mentre romanamente saluta. ma sostiene di avere preciso il ricordo di *** piazza Guido Monaco dove passava le ore, Se le donne erano indefinite, allo sguar- rotazione del turibolo, con relativo affum- dannazione”. Che a un certo punto prova- “senza fare niente”, con i suoi amici. “Un do del piccolo Gianni, ben definiti erano i micamento del frate celebrante, dei fedeli rono a entrare nei boy scout, non per tardi- sole bestiale, a picco. C’erano dei giardi- preti. O i frati, nel caso specifico. Prima di presenti, del Santissimo paziente, tra spa- va vocazione, “facevano sempre gite, viag- netti per modo di dire, qualche orto di introdurre ai patimenti di padre Basilio, al- ventose vampate d’incenso. “Il pomeriggio gi”. E dunque? “Vennero le guide di boy guerra, ma gli alberi come cosa utile non le prese con Boncompagni chierichetto, c’è si faceva la funzione, non la messa, un’altra scout a farci un esame. I frati erano un po’ esistevano, mica c’era qualcuno che li pian- da ricordare quello che il Boncompagni re- cosa, non so bene… Venivano tutte le be- rimbambiti, ma questi erano svegli. Mi in- tasse. Giusto i nobili, per bellezza. Ma li gista ancora adesso ripete: “Prima che uo- ghine del paese. Vestito da chierichetto, fa- terrogarono per capire se ero adatto. Dice- mettevano a casa loro”. In quella piazza as- mo, io sono anticlericale”. E, a sentirlo, pu- cevo l’incensiere. E tutte le sere, mentre pa- vo cose da santi. Fai la comunione? Certo, solata si parlava e ci si annoiava, ci si an- re prima che bambino. La parrocchia era dre Basilio voltato verso l’altare diceva rispondevo, anche se mi riempivo prima di noiava e si parlava. Per tutto il tempo. quella del Saione, appaltata a dei miti fran- messa, avviavo il mio show. Di nascosto bombe alla crema. Insomma, non li abbia- Niente, niente, niente. Vizi non ce n’erano, cescani. “Noi andavamo a servire messa. Io mettevo cucchiaiate di incenso nell’attrez- mo fregati. Si vede che prendevano le infor- soldi non ce n’erano. Ogni tanto qualcuno ero uno specialista in buffonate, il buffone zo. Cominciava a uscire un fumo che riem- mazioni in giro, come i carabinieri”. beveva un bicchiere di vino rosso e vomita- dei miei compagni chierichetti”. Cavallo di piva tutta la chiesa. Il massimo, l’orgasmo, va. A volte, miracolosamente, compariva battaglia di Boncompagni, a quel tempo, la era quando iniziavo a far girare – vrooom, vrooom – il turibolo. Il frate non se ne ac- *** corgeva, i miei amici facevano fatica a non “Rividi padre Basilio molti anni dopo, applaudire, le vecchiette guardavano stra- quando portai un’americana con cui stavo nite. Padre Basilio, che era un gran para- a vedere la Verna. Le dissi che gli uccellini culo, le prime volte mi rimproverava: basta si rompevano i coglioni di sentir parlare un pelino con l’incenso, che costa… Poi mi sempre. C’era un convento, dove stava il beccò mentre facevo la giravolta, in mezzo frate, ora molto anziano, più di novant’anni. a un fumo bestiale, e non mi fece più toc- Mi riconobbe a malapena. L’unica cosa che care l’attrezzo. Peccato”. Doveva avere una mi chiedeva era se l’americana fosse catto- gran pazienza, padre Basilio. Dice Bon- lica. Per lui era normale che fosse cattoli- compagni che la chiesa del Saione (nem- ca. Non aveva visto altro, poveretto…”. meno mezza possibilità che ricordi a che santo fosse dedicata) al tempo gli sembrava grande come una cattedrale. In realtà, era *** un chiesetta piccolina, “ma aveva una sala A riprova della granitica mancanza di fe- da biliardo, dove andavano i più grandi, e de, Boncompagni rammenta la triste sorte una da ping pong, dove andavamo noi pic- della professoressa Altobelli, che insegna- colini. Una banda di anticlericali. O forse va italiano, latino, storia e geografia, “alta anticlericale è una parola troppo grossa. un metro e novanta, una marziana, una suo- Fancazzisti, casomai…”. Con cristiana sop- re laica, i nei con i peli”. Racconta: “Alla portazione, padre Basilio mise il fanciullo prima lezione ci disse: sono molto grata al- a fare gli effetti speciali durante le recite la provvidenza che ogni giorno ci fa vivere, nel teatrino parrocchiale. Il rumorista, ec- penso sia giusto ringraziarla con una pre- co l’esatta dizione. “Storielle edificanti di ghiera, anche se non è obbligatorio. Comin- vite dei santi, veri capolavori”. Arricchiti ciano, avemariapienadigrazia, e noi in pri- da rumori che andavano ben oltre le esi- ma fila muti. La professoressa ci vede: Bon- genze di scena. Serviva un tuono, uno solo, compagni, Targioni e Blasi, perché non pre- in particolare al momento dell’apparizione gate? Lei ha detto che se uno non voleva di qualche entità celeste? Boncompagni ne pregare non pregava. Risposta: venite alla faceva tre, a casaccio, un rumoraccio simi- cattedra. Comincia a farci domande diffi- proprio brutta, Arezzzo. C’era un panorama *** le all’annuncio del giudizio universale. Il lissime, e poi due-due-due a tutti. Così il bellissimo, intenditori di pittura, capolavo- Modi di dire aretini (ripescati grazie al copione esigeva il rumore di una piogge- giorno dopo”. Su Arezzo, in quei mesi, pas- ri straordinari. La chiesetta di san Dome- magnifico lavoro de Er Saregia e Lo Stollo rellina? Calava il diluvio, sempre universa- savano gli arei degli alleati che andavano a nico, il crocifisso di Cimabue, piazza Vasa- – Magnifica Accademia di Via Modigliani, le. “Dietro le quinte, un frate suonava l’ar- bombardare le postazioni dei tedeschi più ri, palazzi antichissimi di confraternite, la approvata dal Granduca – che nel sito monio. Oddio, suonava… veramente non a nord. Passavano e lanciavano volantini. casa del Petrarca, mica robetta da quattro “From Chiana to Oxford” hanno provvedu- suonava un cazzo, mica ci capiva niente”. Quel giorno, invece, bombardarono la sta- soldi. Certo, poi c’è l’orribile giostra del Sa- to a tradurli nella lingua di Shakespeare). zione. Boncompagni e un suo amico furono racino, una cosa da turisti, odiavamo i turi- “Al tempo de’ li maiali la tu’ mamma era ri- sti. Anche perché il Saione era un quartie- gina”, “Co’ la calma e la vasillina, l’elefan- *** re che non vinceva mai. Ma non era brutta te inculò la gallina”, “Dio sul ciuco e Bep- “Dovevamo andare tutti i giorni in chie- Ad Arezzo tutti berciano perché Arezzo, però non c’erano alberi. Forse li pe a piedi”, “Fa come Sant’Alò, prima murì SABATO SABATO 3 LUGLIO 2004 sa, perché io e i miei amici eravamo uffi- i parenti anziani sono sordi, e poi si avevano fatto fuori con i bombardamenti”. e pù s’ammalò”, “Gni fà come ’l cazzo ale cialmente degli aspiranti. L’aspirante era vecchie”, “E’ come sparare a un che caca”. qualcosa che aveva a che fare con l’Azione chiamano da collina a collina: “O cattolica. Tutti ci domandavamo: ma chi è, *** questo aspirante? I frati ci dissero che l’a- babbo, porta a casa le pecore” Il papà di Gianni Boncompagni, Giusep- *** spirante era l’aspirante santo. C’era pure pe, era un maresciallo dell’esercito. “Una “Ad Arezzo berciano tutti, il termine è un manifesto, con un ragazzino con i capel- salvati da un soldato tedesco (“Nazista?”. persona molto perbene e molto cattolica. berciare. Mi hanno spiegato che urlano per- li corti, la bella faccia. Quello è l’aspirante, “No, della Wermacht”), che li buttò a terra. Mai una lira di debito, ripeteva. Mi ha in- ché sono abituati a casa con i parenti anzia- IL FOGLIO QUOTIDIANO dicevano i frati. Tra l’altro erano solo ma- “La professoressa Altobelli quel giorno era culcato questo principio: mai avuto una li- ni, tutti sordi, nonni e nonne, e si chiamava- schi, gli aspiranti, mai vista una femmina invece andata a prendere il treno per Fi- ra di debito”. Aveva altri dodici fratelli, no da collina a collina: o babbo, porta le pe- sui manifesti. Sotto c’era scritto: Forte-Lea- renze. Morì sotto il bombardamento, nono- Giuseppe Boncompagni. C’è un documento core a casa! Sotto i portici, il sabato, nel le-Generoso. E noi stavamo tutto il giorno a stante le preghiere e la provvidenza che ti della Pieve di Ranco dove sono tutti elen- giorno del mercato quando sensali che ven- cazzeggiare intorno al manifesto: ma tu lo regala la vita. Ha preso una fregatura mon- cati. Accanto a otto di quei nomi, la parola devano pecore e bovini scambiandosi una vedi più forte o più generoso? Sarà leale, diale, la povera professoressa Altobelli…”. “morto”, tutti negli anni subito dopo la pri- stretta di mano, qualcuno telefonava dall’u- secondo te?”. Non che aspirasse a qualco- ma guerra mondiale, al tempo della febbre nico telefono pubblico. E urlava sempre, sa, il giovane Boncompagni. “Macché, an- spagnola. Otto morti in pochi giorni. “A ca- prooontoooo? Sentivo questa voce che rim- davamo per il ping pong, il calcetto. Erava- *** sa la mattina si svegliavano e domandava- bombava per tutta Arezzo”. (1. continua) ANNO IX NUMERO 182 - I PAG mo sei o sette amici, tutti sulla strada della “Che poi – dice Boncompagni – non era no: chi è morto, oggi?”. Stefano Di Michele RISTORIA DI UN ITALIANO Noia adolescenziale e creativa di Boncompagni il burlone

desso la casa di Giandomenico Boncom- pirci un cazzo”. E in religioso silenzio, la sera nel campo dell’assoluta certezza, finì con Apagni detto Gianni è come un’immensa si ascoltavano alla radio i concerti di Martini una identica considerazione finale: “Meglio stanza dei giochi. Giochi tecnologici, si capi- e Rossi. una sega!”. Si procede a dettagliato reso- sce: telefonini e computer, grafica e video, conto delle due (entrambe valide) ipotesi. stereo e luci. Pure il frigorifero – che ospita, Al casino. “Sono stato sverginato da una tutti insieme, cinquanta ghiaccioli – ha poco *** puttana che si chiamava Luana. Era bellissi- di umano e molto di surgelato (torneremo al- Racconta Renzo Arbore: “Avevamo, gra- ma. Con delle carte d’identità ritoccate, riu- la faccenda dei surgelati, ché nel vissuto di zie a Dio, la meravigliosa e desideratissima scivamo a entrare al casino. Il pomeriggio ci Boncompagni svolgono un ruolo non secon- noia che ci portiamo dietro dalla provincia. andavano tutti questi contadini che venivano dario). Ultimamente ha fatto il suo ingresso Io e Gianni ci siamo annoiati alla stessa ma- dalla campagna intorno ad Arezzo, certi mo- una monumentale poltrona giapponese, “co- niera: lui parlava della noia aretina, io del- stri orrendi… Beh, anche le puttane lì den- sta quanto un appartamento”, di quelle che la noia foggiana. Noia senza donne, senza tro… Come quelle di Fellini: ragazzi, in ca- ti allungano e di massaggiano dal polpaccio soldi, senza macchina, ogni sera davanti al mera, in camera… La prima volta mi trasci- alla nuca. Mica la triste robina che si vede in bar dovevi inventarti uno scherzo, uno da narono i miei amici. Una cosa orribile. Sì, lo giro, che ti vibra mestamente regalandoti un sfottere. Dovevi sempre immaginare qualco- sverginiamo, gridavano… Una camera con l’o- anticipo di Parkinson. La poltrona boncom- sa: la grande forza della provincia”. dore di alcol, come in un ambulatorio. Vidi pagniana ti spialla, ti mazzola da capo a pie- Racconta Gianni Boncompagni: “A Renzo, per la prima volta il bidet, chi lo aveva mai vi- di con certe palle di legno, ti afferra come un che veniva da Foggia, Arezzo sembrava Hol- sto… Luana almeno non era una vecchia pro- polipo, ti sbatte pure i muscoli che non sa- lywood. Piero della Francesca, il Vasari, Pe- stituta, era bella. Però anche lei mi diceva: pevi di avere. Vigore nipponico.“Ho la fila di trarca, Guido Monaco, l’inventore delle no- vai, su, mica possiamo stare qui tutto il pome- persone che la vogliono provare”, dice il re- te. Gli dicevo: se suoni il clarinetto, lo devi a riggio. Un orrore. Quando uscii dissi ai miei gista. “Devo ammortizzare il costo”. (Quesito: questo qui. Foggia? Mai andato, ma ci an- amici: meglio le seghe! Un grido di battaglia”. adesso si farà mica pagare la prestazione?). drei volentieri. Oddio, a Foggia farà un cal- Al mare. “C’era un prete di Arezzo, don do bestiale, il Tavoliere delle Puglie, le mo- Pendolesi, uno che aveva idee imprendito- sche… Da lì è scappato pure Arbore”. riali e che aveva affittato un villino a Cesena- *** tico, dove portava i ragazzi dell’Azione catto- Dice Boncompagni che la passione per la lica. Andammo in corriera, vomitando tutto il tecnica gli è venuta più o meno sessant’anni *** giorno. Durò quattordici ore, il viaggio. Arri- fa. Ad Arezzo c’era la guerra. I tedeschi da Ad Arezzo l’adolescente Boncompagni un vati al mare cercammo il tramonto. C’era un una parte, americani e partigiani dall’altra. po’ fa il comunista e un po’ attacca manifesti bagnino, il primo bagnino della nostra vita. “In una casa colonica miserabile gli ufficia- del Partito d’azione. Si appassiona molto al- Scusi, bagnino, dov’è il tramonto? Quello: non li tedeschi avevano messo il centro di comu- la politica, moltissimo alla goliardia. La c’è. Come non c’è? Il bagnino: qui c’è l’alba. nicazione: radio, cuffie, antenne, rumori noia, appunto, la noia della provincia. Che Sapevamo un cazzo dell’alba, noi. Insomma, strani, fischi curiosi. Ero bambino e stavo produce divertimento, burle divertenti e vo- mai visto il tramonto. E lì feci, diciamo, la mia tutto il giorno in quella sala a guardare me- ci feroci. Come quelle sull’avvocato G. Era prima masterizzazione sessuale. Lei era una ravigliato le radio, le antenne, ad ascoltare omosessuale, questo avvocato G. Oddio, nes- camerierina di questo Villino Arezzo messo quei suoni”. Poi, dopo l’8 settembre, cam- suno ad Arezzo diceva omosessuale, all’epo- su dal prete. Uscimmo insieme una sera: io biano pure i tedeschi. Se ne vanno i primi, ca. Gay, figurarsi. Frocio, neanche. Finoc- imbranato, lei pure. In spiaggia trovammo un “baci e abbracci”, e “arrivano quelli sban- chio, ecco, notorio finocchio. “Essere come posto isolato. Pieno di sabbia. Cominciai a fa- dati, feroci, incazzati neri, banditen! bandi- il finocchio nella salsiccia”, dicono ad Arez- re, e chi sapeva niente? Lei meno di me. Le- ten!, che cercavano con le baionette dentro zo. Cioè nulla, valere nulla. Ricorda Boncom- vi, metti, mutande, magliette… Ci insabbiam- la paglia, e rubarono il pane che una mas- pagni: “Finocchio, parola orribile. Di nessun mo. Feci una scopata allo smeriglio, con la saia aveva appena fatto”. Un piccolo mondo altro si sapeva una cosa del genere, ad Arez- sabbia che entrava dappertutto, conigliesca, di sfollati. “Mio padre, che aveva fatto tutte zo. L’avvocato G. andava fuori città a cercare dolorosissima. I miei amici mi aspettavano le guerre, prima e seconda e terza, disse che avventure, avrà avuto trenta o quarant’anni. svegli per sapere i particolari. Meglio le se- dovevamo passare il fiume”. Un’autorità, in ghe!, dissi loro. Terribile, una cosa terribile, quel contesto. “Sì, ma non sapeva un cazzo. la scopata allo smeriglio!”. Aveva paura pure delle formiche. Se i tede- Della sua prima volta Gianni ha schi ci beccavano, ci ammazzavano. Una not- te ci provammo. Con noi c’era pure una put- ricordi precisi, pur se diversi (più *** tana che si chiamava Millelire. Vestita bene, che confondersi, smonta e rimonta Torniamo al casino. E al caso dell’urina mica una mignottaccia qualsiasi, una d’alto blu. Il V. era un amico di Boncompagni. Anzi, bordo. Oddio, come poteva essere d’alto bor- tempi e luoghi e donne) è. Ancora oggi che è uno stimato, alto magi- do una puttana di Arezzo… Aveva un po’ di strato in pensione. “Era magro magro, ansio- soldi cuciti dentro una pelliccetta di coni- Si vedeva poco in giro, era sputtanato. Cam- sissimo, aveva paura di tutte le malattie, si la- glio che si tirava dietro… Cominciamo a pas- minava sempre vicino ai muri, lontano dagli vava in continuazione. Non voleva andare al sare questo fiume. A un certo punto vedia- altri. Lo guardavamo come un mostro spa- casino per paura delle malattie veneree. Del mo delle figure. I tedeschi! I tedeschi! Tutti ventoso. Lui aveva anche dei sensi di colpa resto, il preservativo nenche sapevamo cosa cominciamo ad abbracciarci per l’ultima verso il fratello…”. Arezzo, Italia. La noia, ap- fosse. Magari c’era, ma ad Arezzo non si usa- volta. A un certo punto sentiamo la puttana punto. Così nascono gli amici miei e le storie va. I contadini che andavano al casino erano Millelire gridare: non sono tedeschi! Era un italiane. E gli scherzi crudeli. Come quello sani, stavano all’aria aperta, e comunque con- indiano sikh, poi due o tre inglesi, neanche della merda. “Crudelissimo, esaperato, vol- tro piattole e pidocchi neanche i preservativi un americano, un po’ di polacchi che strilla- gare”, ammette Boncompagni. “C’era un no- servivano. Il V. aveva paura della sifilide, e vano ‘madonnacurva’, insomma bestemmia- stro amico, il F., che abitava a piazza del duo- noi gli facemmo uno scherzo terribile. Lo con- vano, grandi bestemmiatori i polacchi, come mo, in un palazzo vicino alla casa del Petrar- vincemmo che non c’erano rischi, che basta- tutti i popoli cattolici. Ci dettero della siga- ca. Aveva una finestrella bassa bassa dove va lavarsi immediatamente dopo il rapporto. rette Victory, quelle dell’esercito. Poi abbia- c’era la sua camera da letto. Andavamo con Gli spiegammo che la sifilide era così: se la mo scoperto che erano piene di bromuro, un secchio al bottino, una specie di pozzo do- pipì aveva un colore celestino, allora doveva per calmare gli appetiti sessuali dei soldati”. ve si raccoglievano tutti i liquami. Calavamo allarmarsi. Insomma, portammo finalmente il secchio, lo riempivamo di merda, lo puliva- V. al casino, dove si fece la sua semplice, la ta- mo bene – uno schifo da vomitare – e poi ver- riffa base, poi c’erano la doppia, il quarto d’o- *** so le tre andavamo sotto la finestrella di que- ra e la mezz’ora. Intanto, attraverso il fratello Fascisti a parte, Arezzo nel Dopoguerra sto amico. “F…!”, chiamavamo a voce alta. Mi farmacista di un altro amico, ci eravamo pro- era uguale ad Arezzo di prima della guerra. fa ancora ridere il paradosso, ma che cazzo di curati un disinfettante delle vie urinarie, che “Gli aretini erano contadini. E una cultura senso ha una cosa del genere? Comunque, F. faceva fare una pipì azzurrina. Senza farcene contadina di migliaia di anni non la cancelli si affacciava assonnato: “Chi è?”. Splash, la accorgere, mettemmo tre pasticche di questo con qualche guerra. Erano parchi, mai il pas- secchiata di merda in faccia. Glielo abbiamo disinfettante, una dose da cavallo, nel caffè so più lungo della gamba, non sbruffoni, tira- fatto più di una volta, al povero F. Beh, dicia- del V. Tanto mica fa male, dicevamo. E ci met- ti, piccoli, sempre a lamentarsi del grano ve- mo: non facevamo cose tanto raffinate”. temmo in attesa. Niente, quel giorno al V. non nuto male…”. Gli amici più grandi, “che era- veniva da pisciare. Gli davamo birra e acqua, no stati a Parigi”, davano da leggere, al pic- e nemmeno un goccio. Eravamo sette o otto colo Boncompagni, Sartre e Pavese, verrà la *** amici, lo tallonammo tutto il giorno, si era morte e avrà i tuoi occhi, i poeti francesi, Della sua prima volta, Boncompagni ha ri- sparsa la voce e arrivarono anche altri. Nien- “un’estate lessi tutto ‘All’ombra delle fan- cordi precisi, pur se ricordi diversi (e qui te, non pisciava. Fai la pipì e controlla, gli ri- ciulle in fiore’, di Proust, non ci capivo un caz- molto Boncompagni, più che confondersi, petevamo, certo, se è celestina… Se poi è blu zo. Leggi, leggi, dicevano i miei amici più gioca, smonta e rimonta tempi e luoghi e scuro, Madonna, meglio non pensarci… Ma il grandi. Io leggevo, ma continuavo a non ca- donne). Ma entrambe le volte, e qui siamo V. non pisciava. Si vede che per la tensione gli si era ristretto tutto. Noi tutti intorno che facevamo: pissssi pissssi… In piazza c’erano degli orrendi pisciatoi a due. A un certo pun- to il V. si dirige rassegnato verso di loro. Pi- scia! Piscia!, cominciammo a mormorare per tutta la piazza, radunandoci intorno. Lo ve- demmo tornare con la faccia bianca. Aveva fatto una pipì blu scuro, blu cobalto. Balbet- tava: ho la sifilide… La mi mamma… E noi: tirare troppo per le lunghe, aveva appuntato, retto. “Non me ne frega niente, del politica- La noia di Arezzo e la noia di Foggia, che macché, aspetta… Lui: la mi mamma… Alla per quanto riguarda la filosofia: “Scho- mente corretto. Io credo veramente a poche si sarebbero unite nei fasti di Alto Gradi- fine glielo dicemmo, ma a momenti il V. ci penhauer = pessimista”. Lì la faccenda co- cose, quasi a niente. Il resto, dal Papa a Ber- mento, nel gioco del caso furono entrambe moriva di paura. minciava e lì finiva. E questo per il Bonechi lusconi, è tutto falso”. toccate dal genio di Arturo Benedetti Miche- era tutto. Quindi la sua interrogazione, tra gli langeli. Il grande pianista andava a volte ad sghignazzi della classe, procedeva così. Pro- Arezzo, dove c’era una grande tradizione mu- *** fessore: Bonechi, ci parli di Schopenhauer. *** sicale. Il giovane Boncompagni riuscì anche Testimonianza di Enzo Roggi, a quel tem- Bonechi: era pessimista. Professore: d’accor- Delusione politico-esistenziale, al tempo a cenare con lui. “Mi intrufolai a un ricevi- po corrispondente dell’Unità da Arezzo, in do, e dopo? Bonechi: beh, uno pessimista. dell’adolescenza, per Boncompagni: quella mento dato da una famiglia nobile. La baro- seguito storico editorialista del giornale del Professore: ma le sue opere? Bonechi: erano del compagno Bubi, mestamente condotto sul- nessa aveva preparato con le sue mani ton- Pci. “C’era il complesso di inferiorità nei con- pessimiste. Professore: oh Madonna, ma cosa l’altare per il matrimonio. “Personaggio pa- nellate di crostini e bidoni di ribollita. Mi- fronti di Siena, nobile e meravigliosa. Arezzo sosteneva? Bonechi: una visione nera della vesiano, Bubi. Tisico, allora c’era la tuberco- chelangeli sedeva silenzioso, il maglione a è la città di Guido Monaco, di Piero della vita. Professore: e poi? Bonechi: vedeva tutto losi, stava in questo sanatorio vicino ad Arez- collo alto. Gli portarono da mangiare. Il suo Francesca, di Petrarca, del festival polifoni- molto da pessimista. In seguito, il Bonechi zo fatto da Mussolini. Lo andavamo a trovare, segretario, un tipo tutto agitato, cominciò a co, ma l’aretino è il figliolo degenere di Pie- non divenne un filosofo della scuola aretina. era messo male ma si salvò. La tubercolosi muovere le mani come se fosse stata fatta una tro. Anche i comunisti in quegli anni erano era una selezione naturale: se passavi, ti sal- grave offesa: non mangia, il Maestro non man- una grande forza plebea, tutti bordighiani, a vavi. Tanti venivano in questo sanatorio, da gia. Tutti meravigliati: diobono, non mangia? quel tempo da quelle parti non era passato *** C’erano cataste di arrosti, lì. E cosa possiamo né il togliattismo né Gramsci. Il capocellula Con gli amici, e con decine di altri pelle- dare, al Maestro?, chiesero preoccupati i pa- era più che altro il capo di grandi famiglie di grini, Boncompagni andò fino ad Assisi. “C’e- “Scusi bagnino, dov’è il droni di casa. Pane e sale, rispose il segreta- mezzadri. Pare di rivederlo: le donne da una ra una Madonna che si muoveva, semovente rio. Pane e sale? Insomma, mangiò una fetta parte, zitte vicino al fuoco, i bambini che come un mezzo anfibio. Noi non credevamo a tramonto?”. E quello: “Non c’è”. di pane, un po’ di sale, un bicchiere d’acqua. piangono portati a letto, la famiglia riunita niente, avevamo una miscredentissima spin- “Come non c’è?”. Il bagnino: Sarà stata una dieta particolare…Quasi ave- che spartisce un po’ di grano per la Feder- ta blasfema dentro, andavamo al catechismo vamo paura a mettere mano ai crostini”. terra, un po’ per il partito, un po’ per la futu- solo per ridere”. Arrivano davanti alla Vergi- “Qui c’è l’alba” ra campagna elettorale. Un mondo completa- ne, tanto i pii pellegrini quanto gli scriteriati MERCOLEDÌ 7 LUGLIO 2004 mente autoreferenziale. La chiesa lo era al- ragazzini. “Una cosa apocalittica, questa piaz- ogni parte d’Italia, stavano su queste terrazze, *** trettanto, una chiesa agraria. E i preti erano za piena di gente che fissa la statua. Devozio- all’aria. Bubi era magro, un dirigente del Pci, Il Maestro di recò pure a Foggia. Si recò e buzzurri come gli aretini, niente di cultural- ne primitiva, pagana. Tutti a pregare, anche uno che bestemmiava tutto il tempo. Ragazzo immediatamente ne fuggì. Renzo Arbore: mente significativo, reazionari che tenevano se non si muoveva un cazzo. C’erano vecchie, in gamba, si occupava della Casa Pia, dove ri- “Doveva fare un concerto. Serviva un pia- vivo il mito di Viva Maria, del contadino che bambini, malati in carrozzella, roba così. Mi coveravano i poveri di Arezzo. Bubi si fidanzò noforte a coda. Venne trovato. Entra Bene- uccide il giacobino in nome della Madonna”. arrampico sul tetto della corriera con la qua- con una, e lei voleva sposarlo. Lui era contro detti Michelengeli per le prove del pomerig- le eravamo arrivati fin lì, e comincio a urlare: il matrimonio, contro la famiglia. Lei insiste- gio. Si avvicina, tocca un tasto, una nota sola,

IL FOGLIO QUOTIDIANO si muoveeeee! si muoveeeee! E tutti quelli in va. E non solo, ma voleva sposarsi in chiesa. tin!, si gira e se ne va senza fiatare. E non ri- *** piazza: miracolooooo! miracolooooo! Una co- Bubi diceva: piuttosto mi faccio ammazzare, mise mai più piede a Foggia”. A scuola, va detto, si procedeva come si po- sa pazzesca. E’ vero, si muove, guardate!, ma in chiesa mai! piuttosto mi faccio le seghe teva. La soluzione parziale di molti patimen- prendono a strillare. Una follia. Si muove an- per tutta la vita! Ma alla fine, con grande de- ti furono i bignamini. La soluzione definitiva cora! C’erano i paraplegici in carrozzella, tut- lusione nostra, cedette. Andammo al matri- *** di tutti i patimenti scolastici furono scarni ti cominciano a recitare: avemariapienadi- monio per goderci lo spettacolo. Lui sedeva Il tempo di Arezzo sta per finire. A diciotto riassuntini dei riassunti dei bignamini. For- grazia… Come Cabiria, la prostituta di Felli- imbarazzato, si voltava in continuazione, ave- anni Boncompagni sta per inerpicarsi fino in se eccessivamente scarni. Il Bonechi, compa- ni, al Divino Amore. Feci una cosa coraggio- va la faccia come quella del diavolo”. Svezia. Per le svedesi, direte voi. Per l’archi- Sopra: Il padre di Gianni Boncompagni, Giuseppe, maresciallo dell’esercito. Nella foto in alto a gno di classe di Boncompagni, procedeva sa e da teppista. Ovviamente, non si era mos- tettura, giura lui. (2. continua) ANNO IX NUMERO 186 - I PAG destra Gianni Boncompagni bambino ad Arezzo con una sua amichetta. piuttosto drasticamente. Così, senza starla a so niente”. Crudele e poco politicamente cor- *** Stefano Di Michele RISTORIA DI UN ITALIANO / 3 Gianni lascia Areeezzostazionediareeezzo e va in Svezia

i diceva, la volta scorsa, dell’architettu- sapere. Soltanto che io mi davo da fare e in- sì, come i reduci di guerra, all’improvviso… Sra di Stoccolma. Più di cinquant’anni tanto la danese mangiava la frutta”. Sono scappato di nuovo, di corsa, pochi me- dopo, Gianni Boncompagni ancora giura si dopo, con altri due amici. Abbiamo rifat- che furono le forme dei palazzi svedesi, to l’autostop, ma stavolta era inverno, era- piuttosto che le forme delle svedesi, a tra- *** no cazzi amari, un freddo… Ma del resto, scinarlo nel profondo Nord. “Siamo andati La prima volta di Boncompagni in Svezia come facevi a rimanere ad Arezzo?”. attirati dall’urbanistica senza sapere nien- fu più che altro una vacanza, la scoperta di te né della Svezia né delle svedesi. Quelle un mondo oltre la cinta daziaria di Arezzo. le abbiamo scoperte dopo”. Tale (e a taluni Il primo di una lunga serie di viaggi. La pri- *** incomprensibile) gerarchia delle motiva- ma occhiata a un paese dove poi vivrà per Da un mucchio di carte e di vecchie foto, zioni, viene così spiegata: “Avevamo molti dieci anni, fino al 1960, e dove gli succederà sbuca una cartolina in bianco e nero. C’è la amici architetti, e tutti parlavano dell’ar- di mangiare gli avanzi dei ristoranti mi- stazione di Ponticino, dieci chilometri da chitettura svedese. Ah, la Svezia, la Sve- schiati alle cicche degli avventori, e di ce- Arezzo, borgo divenuto noto alle cronache zia… C’era un mio amico che ha poi fatto il nare con re Gustavo. Ma per questo c’è an- perché ha dato i natali a Enzo Ghinazzi, in piano regolatore di Arezzo: era informato, cora tempo. Quel primo viaggio, quei mesi arte Pupo, “gelato-al-ciccolato-dolce-e-un- appassionato, sapeva tutto. Insomma, ci fis- estivi in Svezia, gli daranno solo la certezza po’-salato-gelato-al-cioccolato”. Cartolina di sammo con questa architettura svedese”. che ormai è tempo di mollare Arezzo per Boncompagni al papà: “Come vedi siamo Possibile? Possibile. Del resto, nel 1950, ad sempre. “La prima cosa che in Svezia mi già a buon punto”. L’allontanarsi da Arezzo, Arezzo, cazzeggiato su tutto, e tutto dissa- colpì fu l’insonorizzazione, forse gli svede- e in contemporanea avvicinarsi alla Svezia, crato, poco restava da fare. Neanche il ci- si hanno insonorizzato pure lo stomaco. In metteva le ali ai piedi dell’aretino vagante. nema, attirava. “Un cinema c’era. Ci anda- quegli anni ad Arezzo berciavano tutti, par- vo con il mio amico Franco Onali, che fa il lavano tutti insieme, urlavano al telefono pittore ed è bravissimo. Lui era uno spe- come matti. In Svezia, silenzio. Quando ar- *** cialista nel rincollare i biglietti usati con la rivammo alla stazione, andammo a cercare Lo sfumare all’orizzonte dell’assolata colla di farina, riuscivamo ad entrare sen- una specie di ufficio informazioni, per sa- piazza Guido Monaco e il profilarsi del- za pagare. Ma ci scoprirono presto. Così mi pere dove poter dormire. Un impiegato sono perso tutti gli Ejzenstejn con le varie parlò con noi, poi prese il telefono e co- corazzate Potemkin e l’intero cinema russo. minciò a parlare. Parlava pianissimo, pisi- “Ainospeekgermany”. Hai amici Il mio amico Giorgio Venturini aveva visto pisipisipisipisi…, noi ci guardavamo e pen- tutto il cinema francese di Renoir e Carné, savamo: questo ci prende per il culo, chi lo in Germania? “Neanche uno”. ne parlava sempre, io no…”. Non che il gio- sente se parla così? Invece scoprimmo che Nessuno chiedeva “ma che tedesco vane Boncompagni si dannasse l’anima per in Svezia proprio così si parlava, con tono visionare i capolavori della cinematografia. basso: tutto meraviglioso, tutto Ericsson…”. sei?”. Per tutti ero the germany boy Ma oltre che cinefilo, Venturini era pure il più informato sulle faccende della moder- l’ombreggiato palazzo reale di Tullgarn na urbanistica. “Fu lui a organizzare tutto. *** produce in Boncompagni una riduzione Andiamo in Svezia, disse un giorno. E io: in La Svezia di quegli anni, colpì per altri (ma senza esagerare) della pura goliardia e Svezia? Proprio fuori dalla nostra giurisdi- versi anche Indro Montanelli. Che raccontò un accentuarsi del cazzeggio surreale. “Mi zione. Partimmo con un altro amico, quello ai suoi lettori: “Vestiti correttamente di ne- ricordo quando ho fatto per l’ennesima vol- dello scherzo della pipì blu e della sifilide, ro, con tube e code, i socialisti svedesi han- ta, in autostop, il viaggio da Arezzo fino in che poi è diventato magistrato. Ad Arezzo no deciso di celebrare anche quest’anno la Svezia con il mio amico Mario Arrigucci. tutti gelosi da matti. Eravamo invidiati, loro festa con un lungo corteo, guidato da L’albergo della gioventù di Stoccolma ave- considerati persino dei coraggiosi”. un drappello di bandiere rosse, che sfilan- va la forma di una voliera. E’ ancora bellis- do per le vie cittadine passerà sotto le fine- simo, sono stato a rivederlo di recente. C’e- stre del re. Il re lo sa e lo aspetta. A sua vol- rano tantissimi ragazze e ragazzi. Soprat- *** ta vestito correttamente di nero con tuba e tutto le ragazze tedesche erano bellissime. Fu così che nell’estate del 1950 Boncom- code, egli è al balcone, attorniato dai fami- Come siete venuti?, ci chiedevano. E noi: in pagni e altri due aretini presero la strada liari (…). E fra poco, quando l’avanguardia autostop. Quelle: ah, anche noi, e quanto ci del Nord. In treno, in terza classe, fino a del corteo lambirà la scalinata del castello, avete messo ad arrivare? Noi: ah, non ne Innsbruck, poi in mano a Cristo, più di tre si toglierà anche il cappello duro, chinando parliamo. Loro: perché non ne parliamo? Io settimane per arrivare a destinazione in la candida testa in segno di rispettosa de- (a questo punto parlavo solo io): un sacco di autostop. “Tutti e tre avevamo degli zaini ferenza per i suoi sudditi ‘rivoluzionari’ e le settimane, perché questo stronzo di Mario militari, roba della guerra finita da poco. loro rosse bandiere. Queste a loro volta si ha voluto a tutti i costi portarsi dietro il suo Portavamo un fornelletto Primus, una pen- inchineranno al sovrano, mentre la banda pianoforte. Quelle: il pianoforte? Io: ah, tolina, facevamo la minestra col dado e con interromperà l’Internazionale per inter- beh, non proprio un pianoforte a coda, si certi quadrucci all’uovo che aveva fatto la porvi le prime note di Ur svenska hjartans capisce, un pianoforte verticale. Comun- mia mamma. Mica sapevamo che c’erano le djup en gang en sampfalld och en enkel que, sempre un pianoforte... Quelle (a boc- scatolette, non sapevamo un cazzo del mon- sang, som gar till kunger fram… Dal profon- ca aperta): ma come facevate? Io: niente, do. Ci fermavamo sulle piazzole delle auto- do di ogni cuore svedese s’innalza il coro di aspettavamo sulle piazzole delle autostra- strade e cucinavamo: quadrucci in brodo fi- una semplice canzone che arriva fino al de, e intanto Mario faceva una suonatina. re… E io penso con malinconia al primo Quelle: ah… Io: naturalmente, mica era fa- maggio in Italia, con i suoi spiegamenti di cile trovare qualcuno che ti facesse salire “Andiamo in Svezia”, disse un polizia e le sue melodrammatiche barrica- in macchina con un pianoforte, avevano giorno. E io: “In Svezia? E’ fuori te e i suoi cori di bestemmie e d’ingiurie paura che si rigasse la carrozzeria, faceva- che salgono non dal profondo di ogni cuo- no storie… Credevano a tutto, era incredi- dalla nostra giurisdizione”. Ad re, ma soltanto dall’ugola di Nenni e di To- bile. Ogni volta io e Mario raccontavamo Arezzo erano tutti gelosi da matti gliatti… Felice paese (la Svezia, s’intende)”. questa storia ridicola e loro abboccavano”.

no a Stoccolma”. Che poi, verso Stoccolma *** *** si andava a lume di naso, “avevamo solo Felice paese, concordava Boncompagni “C’era poi un altro scherzo, abbastanza una cartina orribile e grossolana di decen- con Montanelli, senza sapere allora niente difficile da fare. Andavamo in un posto che ni prima, non c’erano né strade né auto- di Montanelli. Rimirati i prodigi della mo- si chiamava Moka Bar, naturalmente senza strade né paesi, neanche i confini c’erano, derna urbanistica locale, i tre aretini mol- prendere niente, non avevamo un soldo, co- non sapevamo mai dove cazzo ci trovavamo: to frequentano, molto incontrano, molto me tutti i disgraziati extracomunitari del- dei primitivi”. Così come veniva, i tre areti- conquistano. “Comunque il mito delle sve- l’epoca: noi italiani, i tedeschi, molti spa- ni girarono su e giù per la Germania. “Ave- desi è una leggenda metropolitana. Certa- gnoli, danesi, ciprioti, turchi… Uno scherzo vamo la tessera dell’albergo della gioventù. mente rispetto alle ragazze di Enna e di davvero idiota, imbecille, che chiamavamo A Colonia c’era un dormitorio bellissimo Agrigento erano più moderne, giravano da ‘fare il tedesco’. C’era sempre qualcuno che con letti a tre piani, in un grattacielo di cri- sole, senza la mamma, ma niente di ecce- ti domandava: da dove vieni? Io risponde- stallo. Solo che alle sei del mattino ci sve- zionale sotto il punto di vista della dispo- vo: dalla Germania. Domanda: i tuoi vivono gliava il suono bestiale di una sirena, nibilità. Certo, noi italiani eravamo buffon- lì? Risposta: no, mia madre è in Italia. Tuo uuuuhhhh, sarà stata una cosa di guerra, e celli, ridevamo, scherzavamo, non ci ubria- padre vive lì? No, papà vive in Italia. Ma so- tutti scattavano di corsa a lavarsi. I lavatoi cavamo, mentre gli uomini svedesi beveva- no vissuti in Germania?, chiedevano. No, ri- erano all’aperto e l’acqua era fredda. I te- no, erano noiosi. Anche un po’ saccenti, spondevo, in , Florence, che se dicevo deschi, con i loro pantaloncini di cuoio, si parlavano con l’italiano che incontravano Arezzo chi cazzo lo conosceva? Loro: ma sei spogliavano a torso nudo e, splash splash, si come noi parliamo adesso con uno del Bu- vissuto in Germania? Io: no, mai. Hai stu- gettavano addosso l’acqua gelata. Noi li rundi o con un turco, che i turchi, magari diato in Germania? No, in Italy. Parli tede- guardavamo con gli occhi spalancati. E chi un tempo, ma al giorno d’oggi… Sono stato sco? No, no, ainospeekgermany. Hai molti si lavava mai, ad Arezzo… Avevano pure il a Istanbul due volte, e caro mio… Anche i amici in Germania? Neanche uno… Lo dentificio, i tedeschi, erano esseri superio- greci una volta erano più forti di noi, ma scherzo andava avanti a lungo. A un certo ri…”. Nel parapiglia del dopoguerra conti- adesso, poveretti… All’epoca, nei primi an- punto qualcuno di loro avrebbe dovuto di- nentale, i tre aretini passano per la Foresta ni Cinquanta, l’Italia era una nazione di se- re: scusa, ma tu che cazzo di tedesco sei? Nera, “bellissima”, per Amburgo distrutta rie B. Mentre già allora in Svezia i viaggi Niente, la cosa più ovvia non la diceva nes- dai bombardamenti, poi si finisce a Berli- costavano niente, d’inverno gli svedesi suno. Alla fine, addirittura, mi chiamavano no, che con la direttrice Arezzo-Stoccolma viaggiavano tutto il tempo, andavano alle ‘the germany boy’, dico solo questo…”. poco c’entrava, ma pazienza, la cartina era Canerie e a Sorrento. Avranno lati antipa- quella che era, “e intanto mi ero pure fi- tici, gli svedesi, saranno a volte duri, han- danzato con una ragazza di Berlino, e mi di- no la mania dell’efficienza. Ma con me so- *** cevano che le berlinesi erano tutte matte, no stati dei gran signori, non potrò mai par- Nel ritornare (con mestizia) ad Arezzo e Gianni Boncompagni in Svezia nei primi anni Cinquanta (archivio Boncompagni) un po’ sbalestrate, perché erano state per lar male di loro”. ripartire (di corsa) per la Svezia, a un certo tre anni sotto i bombardamenti, comunque punto Gianni Boncompagni finì pure per questa ragazza era molto carina”. un mese in un campo di lavoro in Inghil- ne disse: occhei, banane. Banane?, doman- che parli italiano. Dopo tre ore ne arriva porridge, un formaggio giallo schifoso, cose *** terra. Dove, peraltro, di lavoro fece ben po- do io. Banane, rispose, è la cosa che a Lon- uno. Più male che bene gli spieghiamo la che facevano senso. E quelle, invece, tutte Di ogni viaggio in Svezia (almeno dei co. Praticamente niente. “Avevo conosciuto dra costa meno. A me le banane piacciono situazione. Cosa molto brutta, dice quello. gentili. Per fortuna il siciliano era molto *** primi), la cosa più dura era il ritorno in pa- due ragazzi siciliani, che avevano dei bi- da matti, e spendemmo tutti i nostri soldi in Ci riportano dalla inglese con una loro simpatico, un bel ragazzo, un fusto, così Racconta il suo amico Giancarlo Magalli: tria. Che poi, non tanto in patria, quanto ad glietti aerei da Copenhagen a Londra. Uno banane. Ne mangiammo fino a non poterne macchina, il poliziotto entra in casa e fa un siamo scampati alla fame”. E al lavoro. “C’è un classico di Gianni: quando ha una Arezzo. “Sbarcavamo dal treno e sentivamo di loro non poteva, doveva tornare a casa, e più, alla fine non ce la facevo neanche ad casino con la signora. Che alla fine, con fidanzata nuova, la porta in macchina da quell’orribile accento, Areeeeezzostazio- mi regalò il suo biglietto. Lo presi al volo, e andare in bagno. Ma di colpo ci accorgem- brutto muso, ci fece entrare: mio dovere, Roma fino alla Foresta Nera, in Germania. nediareeeezzo, una cosa così, e ti si strin- con il suo amico – si chiamava Gianni, non mo che i soldi erano finiti. Come cazzo è ma voi italiani… Pareva un film di Alberto *** Gli sembra una cosa molto romantica, mol- geva il cuore, pareva di tornare nel Me- l’ho più rivisto, so solo che i suoi avevano possibile?, domandai. Era la cosa che co- Sordi. Siamo rimasti due giorni e due notti La seconda volta, Boncompagni si ferma to bella. In realtà non c’è niente da vedere, dioevo. Porca miseria, una stazione spa- una farmacia a Catania – arrivammo a Lon- stava di meno, insisteva lui. Ma com’è pos- senza mangiare, dopo tutte quelle banane in Svezia sette o otto mesi. “Quando tor- in questa Foresta Nera. Solo un bosco, ventosa, fatta dal geometra delle ferrovie. dra. Dovevamo fermarci due giorni, per poi sibile che allora sono finiti i soldi? Guarda, non avevamo uno scellino. Con un autobus, nammo ad Arezzo, un mio amico organizza nient’altro, tre giorni in giro per un bosco. Areeeezzostazionediareeeezzo: spaventoso. andare in questa specie di fattoria, con il guarda qui, insisteva Gianni, ricomincian- siamo poi arrivati a questa fattoria, c’erano una cena da un suo parente. Uno di quegli Ma lui lo fa sempre, gli pare bellissimo”. campo di lavoro, dove c’erano altri ragazzi do a fare conti su conti... Conclusione, ave- avvocati tromboni di provincia, terrifican- Feci l’amore con una ragazza più da tutta Europa. Avevamo prenotato una va fatto un casino tra pounds e libbre, un Cominciamo a chiedere in giro, te. Eravamo stati in Finlandia, a Capo *** stanza presso una signora inglese. Arrivia- miscuglio di tutto. Abbiamo sbagliato, dis- Nord, in Norvegia, avevamo voglia di rac- grande di me, io mi davo da fare e mo, e appena questa ci vede comincia a ur- se Gianni. No, hai sbagliato, risposi io in- “polis, polismen, polistescion”, contare. Questo avvocato neanche ci fa Ovviamente il fidanzamento, causa tran- lare: no, italiani no, via via italiani… E che cazzato. Scoprimmo così, scientificamente, aprire bocca, si alza e comincia: dunque, sumanza verso la Svezia, poco dura. “Poi, lei mangiava una mela. “Qualcosa cazzo avevamo fatto? Per farla breve, quel- che le banane erano, in assoluto, proprio la quelli non capivano niente, nessuno ragazzi, la Svezia… E parla solo lui per tut-

SABATO SABATO 10 LUGLIO 2004 dopo la Germania, finimmo a Copenhagen. la diceva che noi italiani le avevamo bom- cosa che costava di più a Londra”. ta la serata, fa il protagonista, non ci fa met- Tutte quelle ragazze in bicicletta, con le co- non va?”, chiesi. “Tutto bene” bardato la casa durante la guerra, e che per sapeva dove fosse questa polis tere una parola. Sapeva tutto lui, esprime- sce scoperte, le gonne tremule, le chiama- colpa nostra si era ridotta a fare l’affittaca- va opinioni su tutto, secondo lui conosceva vamo, che si alzavano mentre loro pedala- Uno veniva da Londra, da Copenhagen, dal- mere. Insomma ci cacciò via, anche se ave- *** una quarantina di ragazzi, dovevamo lavo- tutto quello che c’era da sapere sulla Sve- vano! Ad Arezzo, quando le donne andava- la Svezia, il paese più avanzato del mondo, vamo la stanza prenotata”. I due senzatetto Satolli di banane, per l’aretino e il cata- rare i campi. Per la verità, io e Gianni non zia. Se provavamo a interromperlo, non fa- no in bicicletta, stavano tutte compresse, le e ti ritrovavi ad Areeeezzostazionedia- cominciano a vagare per Londra. “Avevamo nese oltremanica ora si trattava di entrare abbiamo mai lavorato. Il primo giorno ci fe- ceva una piega: no, scusate, ragazzi… E ri- cosce strette, non si vedeva neanche il gi- reeezzo, tutto pareva immobile come nel poche sterline, e questo Gianni era molto finalmente nella casa della megera inglese. cero vedere cosa dovevamo fare: girare cer- cominciava a parlare senza sosta, senza fer- nocchio. Doveva essere peccato, la visione Duecento, forse avevano messo un semafo- simpatico, ma neanche lui capiva un cazzo I due – sarà fumo di Londra, sarà soprattut- ti covoni pesantissimi, pioveva sempre, era- marsi. Una roba tremenda. Sono pratica-

IL FOGLIO QUOTIDIANO delle cosce. La Danimarca, invece, era una ro, neanche è sicuro. E questa stazione con di moneta inglese. Disse: qui bisogna fare to necessità – hanno un’illuminazione: Sco- no zuppi d’acqua. Quelli non si spostavano mente scappato di nuovo da Arezzo dopo meraviglia. C’erano pure le strisce per ter- l’affarino, l’orologio, le pensiline, polizia una cosa scientifica, vedere cosa costa di tland Yard, “glielo facciamo vedere noi a neanche con un trattore, erano cementati questa cena a casa dell’avvocato. Comun- ra per far attraversare le oche, e quelli con ferroviaria scritta male con le lettere che meno col cambio, e mangiare solo quello. quella stronza”. Cominciano a chiedere in per terra, non era possibile. Ci siamo mes- que ero tornato solo per vedere i miei ge- la paletta che fermavano per far passare pendevano, il giornalaio se c’era, l’altopar- Spiegò che era come in Italia, dove quello giro, “polis, polismen, polistescion, quelli si in un fosso a dormire tutto il tempo, alle nitori, avevo lasciato tutto a Stoccolma. Me queste oche, file lunghissime di oche… Ri- lante gracchiante, la piazza lì davanti sen- che costava meno erano le patate e tutti non capivano niente, nessuno sapeva dove cinque venivano a riprenderci. Gli altri in- ne vado per la terza volta. Stavolta sentire cordo che feci l’amore con una ragazza più za l’ombra di un albero. Un tuffo al cuore. mangiavano patate. Lui pareva più pratico fosse questa polis”. Alla fine, trovano Sco- vece lavoravano, così alla fine non si capi- Areeeezzostazionediareeezzo mi metteva grande di me, e che la scopai a casa sua Io e i miei amici stavamo lì, con gli zaini ai di me, era già stato all’estero diverse volte, tland Yard. “Siamo arrivati praticamente va chi aveva girato i covoni e chi no. Insom- meno paura: sapevo che ero di transito”. E mentre mangiava una mela. Scopavamo e piedi, agghiacciati. Poi, non avevamo mica e con aria da esperto cominciò a esamina- morti. Aspettate, ci dissero. Il mio amico ma, non abbiamo fatto un cazzo, in quel Arezzo, con giubilo boncompagnesco, esce quella mangiava la mela. Qualcosa non va?, avvertito le nostre famiglie che tornavamo. re tutte le bancarelle, a fare calcoli com- Gianni, che era siciliano e pure un po’ spoc- campo di lavoro. Ci fidanzammo con due definitivamente di scena. (3. continua) ANNO IX NUMERO 189 - I PAG domandai preoccupato. Tutto bene, mi fece Mica c’erano i telefoni, a casa: si tornava co- plicati, a domandare di qua e di là. Alla fi- chioso, s’impuntò: vogliamo un poliziotto cuoche, due studentesse, che lì era tutto Stefano Di Michele RISTORIA DI UN ITALIANO / 4 Gianni dall’età dell’indigenza alle cene con re Gustavo

1958 - Partinico: l’Opel Rekord con cui Gianni Boncompagni è tornato dalla Svezia (archivio Boncompagni)

n quella stanza eravamo sei o sette, come rare, visto che tutto a un cane sarebbe do- quelli che stanno sui ponti di Stoccolma e meglio. Boncompagni insegna all’Istituto di era un maniaco della tecnologia, sopra la per assistere alla premiazione del Nobel. Igli extracomunitari di oggi. C’era il la- vuto andare. I vigilantes sulla porta del ri- che ogni anno venivano ridipinti di bianco. cultura italiana. Favorito dalle prossime sua porta c’erano campanelli di tutti i colo- Ci penso io, diceva Quasimodo. Poi, alla fi- vandino, ma il bagno stava fuori. In più, da storante, qualche sospetto lo avevano. Ma il Un lavoro bestiale, dentro dei capannoni Olimpiadi a Roma, tiene corsi di lingua an- ri, il suo ufficio era collegato con tutte le ne, non mi hanno fatto entrare”. gran signori, ospitammo per un certo pe- cane che fa, fuma?, domandavano fissando lunghissimi, freddissimi. E stai lì a verni- che alla radio, prepara un apposito libret- stazioni radio della Svezia: pronto, Gote- riodo persino una ragazza olandese incin- le cicche nel sacchetto di Domenico. ciare centinaia di salvagente. Un pomerig- tino, conosce il nostro ambasciatore, fa ami- borg? pronto, Uppsala? A quel tempo, una ta. Tutti lì ammassati. C’era il mio amico gio solo, poi vaffanculo pure i salvagente… cizia con il console Orano. “Tutto il doppia- cosa fantastica. Lui sta facendo una lun- *** Franco Onali, c’erano Francis, Domenico, Altro lavoro orribile era quello al bowling. bile in italiano alla fine lo doppiavo io: do- ghissima, noiosissima telefonata. Finisce di E in Svezia, verso la fine degli anni Cin- Mimmo, un veneziano che bestemmiava *** Non c’era il meccanismo automatico che ri- cumentari, corsi di istruzione, filmati sui fa- parlare, comincio io, trenta secondi e ri- quanta, Boncompagni si sposa. Sua moglie sempre, perché i veneziani sono gran be- “Gli svedesi, all’epoca, erano un po’ raz- portava le palle, bisognava andare a ri- mosi cuscinetti a sfera svedesi… Poi ho do- squilla il telefono. Altri dieci minuti, mette si chiamava Margherita. “Una ricchissima stemmiatori, come i toscani…”. Per essere zisti. Soprattutto i vecchi. Dicevano che noi prenderle una per una. Mai fatto. Un altro vuto fare le didascalie di un film di Ingmar giù la cornetta, apro bocca e il telefono ri- ereditiera svedese, figlia di un multimiliar- un sogno, quello svedese di Gianni Bon- italiani, duecento in tutto, avevamo invaso lavoro era quello all’obitorio: pulire i ca- Bergman, ‘Il posto delle fragole’. Mi diede- prende a squillare. E così per mezz’ora, dario. Suo padre aveva banche, giornali, compagni all’inizio non pareva granché. la Svezia. Alcuni di loro praticavano ‘la daveri, le sale delle autopsie, i tavoli dove ro tutto il materiale, difficile, difficilissi- esattamente il mio tempo. Alla fine, il di- fabbriche di armi. Un nome celebre, in Sve- “Ero magrissimo, avevo sempre fame”. Per- spallata’: quando vedevano degli stranieri poggiavano i morti. Mai voluto fare…”. mo”. Il fatto è che tra i cuscinetti a sfera e zia. Quando vado all’ambasciata italiana ché poco si mangiava. “L’unico di noi che si avvicinavano e mollavano un colpo im- il regista, qualche differenza c’era. Ricorda “Ho dovuto fare le didascalie de per farmi rinnovare il passaporto, il conso- lavorava era Domenico. Adesso ha degli al- provviso, violento, con la spalla. Un gesto di *** Boncompagni: “Avevo conosciuto Bergman, le Orano, che aveva sempre a che fare con berghi a Rimini, allora faceva il cameriere disprezzo, ma non ce la prendevamo tanto. ero in contatto con un certo Molander, che ‘Il posto delle Fragole’. Mi trovai napoletani che andavano a fare delle truf- in un grande ristorante internazionale nel Cominciammo a riconoscerli, questi vecchi “C’erano a Stoccolma anche dei napole- era il suo montatore storico. Maestro Mo- fe con le loro stoffe false, mi dice: sono con- centro di Stoccolma. Per il resto nessuno svedesi, portavano tutti degli impermeabi- tani molto simpatici, che vendevano stoffe lander, lo chiamavano tutti, famosissimo. alle prese con una frase tento, hai veramente sposato un nome pre- combinava un cazzo”. In pratica, Domenico li con la cinta di cuoio. Eccolo, quello è uno false. Dicevano che erano stoffe pregiatis- Mi cercò lui per darmi l’incarico. E per stigioso di Stoccolma. Perciò sono molto di- era l’unico a contatto con qualcosa di com- della spallata! Ci mettevamo all’erta. Quan- sime, lane che venivano dal mare. Per farsi qualunque cosa, lui dovevo chiamare. Un incomprensibile in qualsiasi lingua” spiaciuto di renderti nota una statistica. So- mestibile. “E ha mantenuto tutti noi con do si avvicinava, ci scansavamo all’ultimo credere, ne bruciavano alcuni pezzetti di giorno mi trovai alle prese con una frase no il tuo console, ci conosciamo ormai da quello che riusciva ad arraffare”. Cioé, con secondo, e finiva dritto dritto sulla neve”. quelle di qualità superiore. In realtà erano incomprensibile in qualunque lingua, ita- rettore generale mi guarda da dietro la sette anni, ma te lo debbo dire lo stesso. E gli avanzi del ristorante. Ma dire avanzi, Ma nessuno tra di loro era bersagliato lane finte, robaccia presa chissà dove. Que- liano o svedese, turco o inglese… In nessu- scrivania: so che lei ha cose molto interes- quale sarebbe, questa statistica?, domando non rende esattamente l’idea di che cosa quanto Francis. “Nero, nerissimo che sem- sti napoletani parlavano una lingua incom- na lingua era traducibile. Una cosa molto santi da dirmi, ma purtroppo il tempo è io. Risposta: è bene che tu lo sappia, su die- arrivasse la sera a casa. E soprattutto come. brava un negro. In più, si era fatto crescere prensibile, ma riuscivano lo stesso a farsi astratta, genere: io sono come un quadru- quello che è, ho fatto telefonate che non po- ci matrimoni tra italiani e svedesi, ne falli- certi baffoni enormi, per coprire una cica- capire dagli svedesi. Tanto bene che li fre- pede. Anzi, macché, ancora più astratta, tevo non fare, mi dispiace, dovremmo ve- scono dieci. Cazzo!, penso”. Aveva ragione, trice che aveva sul labbro. Quando cammi- gavano. Però erano simpatici. Noi toscani una cosa completamente senza senso, tipo: derci un’altra volta. Io lo volevo mandare a il console Orano? Sì, dice Boncompagni. *** navamo per strada lo chiamavano ‘diavlar la fame la portavamo scritta in faccia, an- io sono come un cassetto. Chiamo Molan- fare in culo, ma non dissi niente e me ne Gran signori, gli svedesi, ripete Boncom- arab’, che è più o meno maledetto arabo. che se cercavamo di vestirci decentemente. der: maestro, scusi, ma questo qui che vuol andai. Le lucette colorate sopra la porta, pagni. Ma con gli avanzi non scherzavano. Un giorno torniamo a casa e troviamo Fran- Toscani, sedetevi con noi, ci dicevano que- dire, come lo traduco? Risposta: domando scoprii in seguito, si accendevano secondo *** All’ingresso del ristorante, i camerieri ve- cis tutto biondo. Se uno non ha visto Fran- sti napoletani appena ci vedevano. Abbia- maestro. Nel senso di Bergman. Bene, fac- l’importanza della chiamata: rossa o gialla Avendo il suocero svedese regalato una nivano controllati perché non portassero cis tinto, non riesce a immaginare com’era mo già mangiato, rispondevamo, pur aven- cio io. Lui saprà, dice Molander. Speriamo. o verde. Di che colore si accendevano, men- collezione di quadri allo Stato, succedeva fuori qualcosa, magari una forchetta. “E’ combinato. Poi lui aveva un barba fittissi- do lo stomaco vuoto. Provate qualcosa solo Lo richiamo. Mi fa: maestro dice che quel- tre c’era lei?, mi chiesero alcuni funzionari che a cena, a volte, comparisse anche il re per il cane”, diceva Domenico mostrando il ma che cresceva con una rapidità impres- per stare insieme, rispondevano. Così man- lo così è. E allora io così lo tradussi”. della radio. Dissi: verde. Risposero: allora di Svezia, S. M. Gustavo VI. Preceduto da cartoccio di avanzi. E passava il controllo sionante, mentre se la faceva da un lato giavamo facendo finta di niente. E loro pa- le telefonate non erano granché. E il diret- camerieri personali e cuochi che testavano nordico. Ma essendo gli avanzi per il cane, della faccia, già rispuntava sull’altro. Fran- gavano senza farcelo pesare”. tore le aveva prese tutte…”. il pentolame di casa, democraticamente si e per non ingenerare sospetti su un possi- cis, ma che cazzo hai fatto?, gli domandia- *** presentava al desco. “Lui si rivolgeva a tut- bile uso umano, tutto veniva mischiato in mo. E lui: basta, mi sono rotto i coglioni. Ormai Boncompagni lavora tantissimo ti dando del tu, noi in terza persona: gradi- un unico ammasso: quel che restava dei Aveva combinato qualcosa con delle fialet- *** alla radio. Nel 1958 scende fino in Sicilia, *** sce, Sua Maestà? Parlava un italiano terri- primi e dei secondi, della frutta e del dol- te prese chissà dove. Uno spettacolo orribi- Racconta Giancarlo Magalli: “In Svezia, con la sua Opel Rekord, per intervistare Nel 1958 arriva Mario Marenco, “con lui bile, incomprensibile: non ci capivo niente, ce, cicche di sigarette comprese. “Era un ri- Gianni e i suoi amici non avevano una lira. Danilo Dolci. Quattro giorni di viaggio, da ho fatto mille cose divertenti. C’erano que- ma facevo finta di intendere benissimo: ah, storante per signori, perciò le sigarette non Facevano la fame. Ogni tanto entravano in Stoccolma a Partinico. Lo fermano pure i ste donne svedesi, belle e simpatiche, ma molto interessante, Vostra Maestà… Aveva le fumavano fino in fondo, ne restava più o “Domenico ci manteneva tutti un supermercato e di nascosto si infilavano carabinieri: dove va? Lui tira fuori il pas- non facili, come si usa dire, normali. Certo, la fissa degli etruschi, veniva ogni anno a meno la metà, cicche più lunghe del nor- in bocca un intero panetto di margarina, e saporto, “che a quel tempo ce l’avevano in noi italiani eravamo un po’ sottordine, co- fare degli scavi in Italia”. (Nella Tuscia, ha male. Onali chiamava queste cicche ‘i ber- con gli avanzi”. Per il cane, diceva. uscivano facendo finta di niente. Con quel- pochi, faceva impressione”, e dice: a inter- me si dice: loro erano le vichinghe, ci con- ricordato recentemente Il Sole 24 Ore, que- saglieri’. I bersaglieri, Domenico, mi racco- Un unico ammasso di primi, lo si tenevano su per qualche ora”. vistare Danilo Dolci. Il militare: non si sideravano un po’ untermensch, come di- sto re Gustavo se lo contendevano i conta- mando i bersaglieri, gli urlava dietro”. Dun- può. Boncompagni: sta scherzando? Nel ceva Nietzsche, ci tenevano a distanza, era- dini, “per fargli fare da padrino al battesi- que evento centrale della giornata era il ri- secondi, dolci, cicche di sigarette parapiglia, si finisce davanti al marescial- vamo gli extracomunitari. Pian piano, col mo dei loro neonati. Gustavo accettava sem- torno dal lavoro di Domenico. “Più o meno *** lo. “Gli rompeva le palle, questo Danilo tempo, devo dire che è andata meglio…”. pre con un sorriso e uno stile che non ave- verso l’una di notte. Lui faceva grandi gesti le, con quella barba nera che ricominciava L’età dell’indigenza acuta e della coabi- Dolci, era una spina nel fianco del gover- va nulla di regale). “Questo re parlava sem- con le mani, come a dire: ho trovato cose a spuntare intorno ai baffi biondi. Ma lui tazione, finì con le aste per le pellicce. “Era no. Gli sparava tutti i giorni, sui giornali, pre di Cortona, diceva: ah, Cortona, Corto- meravigliose. Arrivava a casa e rovesciava pareva convinto: adesso voglio proprio ve- la grande asta internazionale dei visoni, come si viveva a Partinico nel 1958, dove *** na, e parlava sempre della chimera, un leo- sul tavolo questo sacchetto, splash!, le coto- dere cosa mi dicono. Siamo usciti per stra- che si svolgeva d’inverno, per tre mesi. La tantissime donne morivano di parto, tan- Tanto sale, la fama dell’aretino Boncom- ne con la coda di serpente che sta in un MERCOLEDÌ 14 LUGLIO 2004 lette insieme al dolce e ai mozziconi. Un da, ricordo che camminavamo uno vicino facevamo noi perché conoscevamo le lin- tissimi ammalati di tubercolosi, delitti di pagni, che nientemeno nel 1959 viene inca- giardinetto di Arezzo”. In Boncompagni, unico miscuglio. Onali si lanciava sulle cic- all’altro. A un certo punto incrociamo una gue. Ci davano un sacco di soldi, lavorava- mafia, niente scuole, fogne a cielo aperto… ricato di fare da cicerone per Stoccolma a quasi quasi, il sovrano vedeva un discen- che, le allungava con la carta del giornale e vecchia signora che guarda verso di noi con mo per un certo mister White, che alla fine Insomma, la miseria più nera”. Non si può, Salvatore Quasimodo, che ha appena avuto dente degli amati etruschi. “Io gli dicevo: sì, cominciava a fumare. Noi restavamo a fis- aria schifata, si avvicina e dice: diavlar ci lasciava una mancia gigantesca. E con dice pure il maresciallo. Boncompagni, il premio Nobel per la letteratura, “e que- Maestà, sono etrusco. Anche se in Svezia, a sare quel mucchio di roba. Ce la prendeva- arab. Cazzo, andava peggio di prima”. quel lavoro ci mantenevamo tutto l’anno”. “non mi pareva vero”, già pregusta lo sto fatto fece salire noi italiani di tre o quat- parte il re, nessuno sapeva chi fossero gli mo con il nostro amico: cazzo, non puoi fa- La strategia di mantenimento: “Davamo tut- scandalo, la denuncia, il casino. Disgrazia- tro punti nella considerazione svedese”. Di- etruschi, sconosciuti come gli atzechi”. re meglio, separare la carne dal dolce? Una ti i soldi a uno snack bar, che in cambio per tamente, il graduato cede quasi subito. sciplinatamente, Boncompagni porta Qua- sera, due sere, tre sere, alla fine Domenico *** sei mesi ci dava un pasto al giorno, tutti i L’intervista a Dolci “fu poi replicata tren- simodo in giro per musei, gallerie, concer- IL FOGLIO QUOTIDIANO si incazzava. Siccome era torinese comin- “Per lavorare bisognava avere il per- giorni. Sempre la stessa cosa: spaghetti con ta volte dalla radio svedese”. ti, monumenti nazionali. Per l’occasione, in *** ciava a gridare: Dio faus! Poi s’infervorava: messo di lavoro, ma non te lo davano. Ci da- sugo alla bolognese, una cotoletta e un bic- un giorno aveva fatto un corso accelerato di “A Stoccolma non c’erano i cassonetti qui dentro sono l’unico che lavora, rischio vano quello di soggiorno come studenti. chiere di latte. Tutti i giorni, meno il merco- poetica quasimodiana. “Gli dicevo: ho letto per l’immondizia, che veniva buttata da di farmi licenziare, e invece di dirmi grazie Senza permesso di lavoro potevi fare il la- ledì, quando il bar era chiuso. Pazienza, og- *** i suoi versi sull’aquilone senza becco, o co- certi oblò che stavano all’interno dei pa- vi lamentate perché il dolce è insieme alla vapiatti nei ristoranti, nessuno lo voleva fa- gi dieta, dicevamo. E si digiunava”. Riesce, Boncompagni, dopo mesi di ten- se del genere. E Quasimodo: ah, le piace l’a- lazzi. Mai sentito freddo, in Svezia. Ad Arez- carne! Quando cominciava, Domenico sem- re, ma molti lo facevano. Però rischiavi di tativi, a farsi ricevere dal direttore della ra- quilone senza becco? Giravamo giravamo, zo faceva molto più freddo, certe giornatac- brava un avvocato. Però, gli dicevo io, “al- trasformarti in un lavapiatti per sempre. dio svedese, Rydback. “Mi ero preparato in quando di colpo Quasimodo – c’era pure un ce, a scuola a piedi, la stufetta della cucina meno il millefoglie dalle sigarette potevi L’ho fatto per un giorno, era orrendo, vaf- *** svedese, in inglese, in ogni lingua. Cosa vo- fotografo con noi – fa: ragazzi, ma qui non si economica e il prete nel letto”. (4. continua)

ANNO IX NUMERO 193 - I PAG separarlo”. Invece era difficilissimo sepa- fanculo… Ho anche pulito i salvagente, Il soggiorno svedese comincia ad andare levo fare, cosa volevo dire. Questo Rydback fotte mai? Mi ero procurato uno smoking Stefano Di Michele RISTORIA DI UN ITALIANO / 5 Da Stoccolma a via Nemea, il Boncompagni condominiale

ra il 1960. “Stavo bene in Svezia, non portato dalla Svezia, tremò tutto il palazzo. Epensavo al ritorno. Era più mia moglie Una musica fortissima, alta fedeltà. Poco che voleva venire in Italia. In Svezia mi so- dopo Giancarlo Magalli scappò di casa. Sia- no trovato benissimo, paese civilissimo, mo andati a cercarlo con la macchina per gente tollerante, con me sempre carini”. A tutta Roma. Rintracciato e recuperato”. Roma, a Boncompagni non è certo andata male. Ma la Svezia, signori miei, la Sve- zia… “Ah, la civiltà del letto svedese, la ci- *** viltà del piumone. In Italia eravamo come Qui c’è da dire delle accennate riunioni la Turchia…”. di condominio – e da rendere onore alla no- tevole pazienza degli amministratori con- dominiali dell’epoca. “Ogni tanto, nei con- *** domini, fanno delle cose a cazzo. Tantissimi Quando uno dice un’immagine bergma- anni fa, l’assemblea decise di togliere l’asta niana. Due ampie scalinate che scendono per i tuffi in piscina, perché quando la gen- dai lati per ricongiungersi in una scalinata te si tuffava faceva rumore. Una richiesta centrale ancora più larga. Sulla parete di dei più vecchi. Avendo noi moltissimi mil- fondo, un enorme dipinto. Su una scalinata, lesimi, ci riunimmo nuovamente e riuscim- due donne vestite di scuro. Sulla scalinata mo a far deliberare che, da quel momento opposta, altre due figure. Al centro della fo- in poi, tutti i condomini, all’interno del to, un signore di una certa età, corpulento, comprensorio condominiale, ‘dovevano an- in giacca e cravatta, fissa l’obiettivo. Tiene dare a passo di corsa, pena una multa’. Na- per mano un bambino di cinque o sei anni. turalmente, dalla nuova disposizione, e lo Scene di un interno che s’intuisce senza fa- facemmo scrivere nero su bianco, erano tica altoborghese. Se l’immagine si allar- esclusi i malati di cuore. Un’altra volta, vi- gasse, prenderebbe altri quadri, divani e poltrone e tappeti, porte massicce, tende, enormi finestre. Si allargasse ancora, una Magalli abitava già a via Nemea. grande villa dai tetti spioventi, di colore scuro, con tanti alberi attorno. Si immagi- Bussarono alla porta. “Sono nano poche ed essenziali parole, in quel- Gianni Boncompagni, il nuovo l’atmosfera. Gianni Boncompagni tira fuori la foto da una grande scatola marrone. “Il vicino, volevo presentarmi” mio suocero svedese…”, mormora e sorride. ste le continue lamentazioni per l’eccessi- vo costo di gestione del condominio, Bon- *** compagni e soci, “Marenco non partecipa- Se fosse un classico melò, o uno di quei va alle riunioni, stava qui imbucato, in af- film da nuova cinematografia cinese, il ti- fitto”, riuscirono a far mettere a verbale tolo potrebbe essere qualcosa tipo “Il pa- una raccomandazione per i lamentosi: cer- lazzo dei destini incrociati”. Grazie al cielo, cate, invece di spendere di meno, di guada- né melò né cinema orientale. Anzi, tra po- gnare di più. Non fu presa benissimo”. Epi- co sarà il momento glorioso del cazzeggio ca, poi, fu la questione del portiere condo- condominiale. Via Nemea è una strada miniale. In quei primi anni Sessanta era un borghese, in un quartiere borghese, della signore umbro di nome Virgilio. “Faceva Roma borghese. Il condominio dove abita tutto, era bravissimo, mi chiamava padron Boncompagni è un condominio borghese, Gianni. Improvvisamente, l’assemblea con- con vialetti, alberi, piscina, muretti, prati dominiale stabilisce che il portiere centra- curati – praticamente prati borghesi. Il por- le deve essere eliminato, perché costa trop- tiere scruta il passaggio e il passeggio. “E’ po. Bisognava reagire. Tra l’altro, al nostro dal 1960 che abito in questo palazzo. Ho gruppetto si era aggiunto un giovane avvo- comprato il primo appartamento con i sol- cato, che ci dava utili consigli. Così, non so- di guadagnati con la canzone ‘Il mondo’, lo informammo gli altri del condominio che quella cantata da , no sta- a noi Virgilio stava benissimo, che lavorava notte amore/ non ho più pensato a te… Non ventiquattr’ore al giorno, che conosceva tut- ero ancora iscritto alla Siae. Venti milioni, to e tutti, ma anzi, contemporaneamente, vi- l’ho pagato questo appartamento. Erano sto l’elevato livello sociale del nostro com- tanti, all’epoca, venti milioni…”. Poi, con il plesso residenziale, dovevamo pensare a passare degli anni, gli appartamenti si mol- un secondo portiere di maggior prestigio. tiplicarono, “c’ho più di mezza palazzina”, Chiedemmo quindi al presidente dell’as- in uno c’è persino una palestra, “la uso po- semblea condominiale di prendere contat- chissimo”. Nell’ascensore che porta a casa ti con Dino Zoff, considerandolo appunto di Gianni, a un certo punto appare la scrit- un portiere degno del nostro elevato livel- ta “BONCOMPAGNI”, rossa, a caratteri cu- lo. Mi rifiuto, fu sua risposta. Allora si di- bitali. Dai terrazzi, le distese borghesi del- metta, fu la replica. Nominammo presiden- la borghese Roma nord. Alle pareti di que- te un nostro amico, e subito dopo facemmo sto appartamento, non ci sono quadri. Al spedire una raccomandata a tutti i condo- massimo, alcune opere grafiche che Bon- mini con la proposta di saggiare la disponi- compagni fa con i suoi computer. Racconta bilità di Zoff a trasferirsi da noi”. Ma quel- Ambra, la mitica di “Non lo, incomprensibilmente, preferì il portie- è la Rai”, che entrerà in scena tra oltre rato alla Nazionale a quello di via Nemea. trent’anni: “Per un periodo, con il suo com- puter, Gianni si stampava i dipinti a casa, li reinventava, ti faceva diventare la Giocon- *** da o ti metteva nell’ultima cena vicino a Ge- Quando arriva a Roma, Boncompagni sù. Stampava un quadro di Giotto e gli cam- apre uno studio fotografico – ma ovviamen- biava colore. Aveva appeso questa roba te studio fotografico non è esatto: Architet- dappertutto, a casa. Pareva la Cappella Si- ti and designers – con Marenco e un altro stina. Francamente agghiacciante”. Rac- amico architetto, Luigi Giffone. Dalla gran- conta la stessa passione (come dire, la stes- de scatola marrone escono moltissime sue sa mania?) Giancarlo Magalli: “Adesso foto di quel periodo (Gianni Boncompagni Gianni fa ritratti alla Andy Warhol, non ha Photographer, Roma). Catherine Spaak, con un cazzo da fare, ne fa un’infinità…”. In un le mani tra i capelli e una sigaretta in boc- (auto)ritratto, Boncompagni si è messo al ca, i contadini di Partinico dalle bocche posto di una Madonna o una santa o una sdentate, una coppia di sorelle svedesi 1962 - Gianni Boncompagni, Mario Marenco e Luigi Giffone “Architetti and designers” a Roma (archivio Boncompagni) monaca, comunque una pia donna, velata e “che avevo trovato qui a Roma” in costume con le mani giunte e con tanto di aureola da bagno, una bellissima Lea Massari di ho mai fatto la mamma. Mi sono comportata Che però, passato qualche tempo, cominciò nizzata dallo Spett.le Ufficio Propaganda e ca. Siamo arrivati primi”. Renzo Arbore: notte, a piazza San Pietro. Poi altre imma- come un’amica, piuttosto. Tranne che con ad annoiarsi. Così, dopo cinque minuti co- Sviluppo della Radio. In pratica, a ogni “Ho conosciuto Gianni Boncompagni sui gini: tantissimi ritagli di giornali svedesi Barbara, la più piccolina, un po’ il mio cuc- minciava a parlare uno svedese a raffica, nuovo abbonato sarebbe stato regalato un banchi di questo concorso per maestro pro- Era il 1960. “Stavo bene in con foto pubblicitarie di Boncompagni, una ciolo. In Gianni convivono queste due cose: è per far finire il gioco. Peccato, io sarei an- apparecchio radiofonico. Toccò, tra l’altro, grammatore. Per me era il trampolino di Svezia, era mia moglie che voleva foto di Giorgio La Pira, “e questo che ci fa, insieme molto affettuoso e molto timido”. dato avanti per ore, tutta la notte. Un gioco andare a fare questa propaganda in Sicilia. lancio verso il rutilante mondo della radio. qui?”, una foto di Ester Williams, sogno ero- fine a se stesso. Non l’ho più fatto”. Dove l’allettante offerta non era granché Lui, che alla radio già lavorava, con il soli- venire in Italia”. Da allora Gianni tico dell’adolescenza aretina, in piscina che recepita. La piccola troupe Rai, incaricata to cinismo mi disse: lo faccio solo per avere solleva in alto Paola, una delle figlie di *** di allestire vari spettacolini sulle piazze dei i dischi gratis. E davvero fino agli anni No- abita in un condominio borghese Gianni. Foto dei genitori, foto di Adua, “Con Marenco andavamo a rimorchiare *** più sperduti paesini, veniva: a) ripetuta- vanta abbiamo avuto gratis dischi da tutte “una di Arezzo”, foto di Boncompagni che le straniere al Piccadilly, che allora era una Uguale e contrario a uno scherzo che mente fermata dalle forze dell’ordine. Do- le case discografiche, per alti meriti di pro- intorno alla testa. In un altro, ha preso il parla alla radio svedese, una foto insieme specie di Mc Donald’s ante litteram. Prova- Boncompagni faceva anni prima in Svezia, motori della musica pop. Io ho ancora la posto di un ben pasciuto cardinale, con le al cardinale Silvio Oddi, un’altra in compa- vamo a rimorchiare anche al Foro romano, quando lui e il suo amico Arrigucci si piaz- mia discoteca, Gianni se n’è sbarazzato. Gli mani giunte, sotto la croce. E, oltre che sof- gnia di Paul Anka, una di Ambra ritoccata ma lì non c’è mai riuscito. Le giovani che zavano davanti alla vetrina di un negozio. “Con Renzo Arbore feci il dava fastidio, non sapeva dove metterla. ferente, il Signore appare anche decisa- con della lacrime rosee, “era al tempo del- c’erano la sera avevano tutte da fare. Dai, “Gli svedesi sono maniaci delle lingue. Noi Lui non è un sentimentale, l’ha ceduta. mente perplesso. Si diceva: fosse un melò, la famosa Madonna di Civitavecchia, quel- rimorchiamo la vecchia, diceva Marenco. due, gesticolando vistosamente e indicando concorso per programmatore di Mentre io conservo ancora tutto quel vinile ecc… Ma melò non è, ecc… E dunque, nel la che piangeva sangue”, foto di tanti ami- No, vacci tu con la vecchia. Al Piccadilly le scarpe o i vestiti in vetrina, inventavamo musica, Maestro programmatore. pesantissimo”. G. B.: “Con Arbore ci tro- condominio di via Nemea, per buffo desti- ci. C’è una foto tratta da un giornale, tra i andava meglio. Quando rimorchiavamo del- lì per lì una lingua impossibile, ahh gla blo vammo subito bene, avevamo gli stessi gu- no e per umane scelte, si sono incrociati, tardi anni Sessanta e i primi anni Settanta. le ragazze svedesi, non dicevamo loro che dfliov lklo baga balilla blu egla alla, roba Un concorso di una serietà unica” sti musicali. Mia madre era pazza di lui. nel corso degli anni, molti personaggi che Sotto, una didascalia: “Arbore con Raffael- conoscevamo la lingua. Per dare sicurezza, primitiva, pochi fonemi che si ripetevano. Che signore bravo!, diceva. Lei faceva delle hanno condiviso affetti, lavoro, cazzeggio la Carrà, allora ai primi passi, e Gianni raccontavamo di essere due cassieri in ban- Man mano la gente si radunava intorno a cumenti, prego. Obiezione: siamo la Rai. tovaglie ricamate a mano. Una volta che Ar- (molto cazzeggio), divertimento, bella vita: Boncompagni. E’ con loro un’amica di colo- ca. Parlavamo uno stentato inglese da anal- noi, sentivamo questi vecchi svedesi che si Replica: ora controlliamo; b) i possibili bore mangiò da noi, mise una di queste to- da Raffaella Carrà, che fu per anni la don- re”. L’anonima “amica di colore”, ignota a fabeti, da rimorchio. Io e Marenco comin- chiedevano: ma che lingua sarà? è forse po- utenti non erano affatto disponibili a farsi vaglie. Che bella tovaglia, signora, è mera- na di Boncompagni, a Mario Marenco, l’a- fotografo e giornalista, è Aretha Franklin. cevamo a chiedere a queste ragazze, con il lacco? No, russo, diceva qualcuno. E allora fotografare. “Non ne volevano sapere. vigliosa, l’ha fatta lei?, le chiese Renzo. Gli mico di avventure svedesi (e post-svedesi), nostro orrendo inglese: come si dice, in sve- dirottavamo su qualcosa di finto sudameri- Scappavano. C’era gente che abitava nelle piaceva tanto. Anni dopo, quando già era da Giancarlo Magalli a Riccardo Pazzaglia, dese, ai-love-iù? Ce lo dicevano, e noi fati- cano, ola bola sola. E quelli immobili a sen- grotte, insieme al mulo. Incontrai un prete. molto anziana, mia madre mi disse: senti, il futuro teorico del brodo primordiale. Ov- *** cosamente lo ripetevamo. E come si dice: il tire, puntando le orecchie. Che lingua par- Chiesi: scusi, perché non vogliono farsi fo- vorrei che questa tovaglia, con i tovaglioli, viamente si animarono immediatamente Erano gli anni, come per forza tutti sanno, cielo stasera è abbastanza romantico? Con lano, proprio non capisco. No, non ce lo tografare? Mi spiegò: le foto vanno sui gior- se la prendesse Arbore. Come dire: gliela anche le riunioni di condominio. della dolce vita. E via Veneto e Fellini e Ma- una pratica raffinata nel tempo, fatta ad ar- chiedevano mai. Stavano educatamente a nali, e sui giornali ci finiscono solo i bandi- lascio. Gliel’ho data”. R. A.: “Eppure io e stroianni e le attricette e gli intellettuali. te, iniziavamo a ripetere sempre meglio le distanza. Eravamo gli extracomunitari. Pu- ti e quelli che sono arrestati. La foto vuol Gianni siamo molto diversi. Gianni è prag- “Divertente la Roma degli anni Sessanta? frasi in svedese. E le ragazze: bene! bravi! re oggi, se incontri due di loro mica li fermi dire qualcosa di male. Dovemmo far venire matico, toscano, aretino, intelligentissimo, *** Mah, insomma… Io ci stavo e ci sto bene per- per chiedere: che lingua state parlando?”. pure un interprete da Palermo, perché non pronto. Io sono un po’ più riflessivo, jazza- Magalli abita già a via Nemea, quando ché Roma ha un clima invidiabile, ho girato “Con Marenco andavamo a riuscivamo a capire il loro dialetto”. rolo pugliese, costruttivo, ma un costruttivo arriva Boncompagni. “Bussarono alla por- il mondo, ma il clima di Roma è irripetibile. *** faticatore. Noi abbiamo il grano, il Tavolie- ta. Si presentò uno strano omino vestito tut- Sì, certo, ci sono dei posti di eterna prima- rimorchiare le straniere al re, dobbiamo dissodare il terreno. Ma un to di nero, con una cravatta rossa, che tene- vera, tipo la Polinesia. Ma poi che fai, in Po- Testimonianza di Giancarlo Magalli. “Un *** po’ ho seminato, sennò stavo ancora al bar SABATO 17 SABATO LUGLIO 2004 va per mano una signora incinta e una bam- linesia, per tutto l’anno? La dolce vita? Mai Piccadilly. Anche al Foro, ma le giorno Boncompagni mi disse che voleva Difficile (ma possibile) che una simile La Gloria di Foggia a fare le parole crocia- bina piccola. La signora era Margherita, la trattata. Sì, Fellini, lo conoscevamo, nel mon- cambiare lavoro. Ma che vuoi fare, se non esperienza in terra siciliana abbia ispirato te”. G. B.: “Dopo tanti anni, c’è ancora tanto moglie svedese di Boncompagni, la bimba do dello spettacolo ci si conosceva tutti, ma giovani avevano tutte da fare” sai fare niente?, gli domandai. Mi disse che a Boncompagni, una decina di anni dopo, le affetto tra di noi, ci sentiamo e ci vediamo”. era la sua prima figlia Claudia, che ora fa il dolce vita niente…”. Intanto, finiva anche il in Svezia aveva fatto la radio, che gli sareb- parole della colonna sonora del celebre “Il medico ad Arezzo. Sono Gianni Boncompa- matrimonio con Margherita, la bella e ricca Durava ore, questo veloce e inesorabile ap- be piaciuto farla in Italia. I miei genitori padrino”, con Marlon Brando. “Parla più gni, il nuovo vicino, mi volevo presentare, ragazza svedese. “Se n’è andata, si è rifatta prendimento. Man mano il nostro svedese erano amici di Giulio Razzi, il direttore dei piano e nessuno sentirà/ il nostro amore lo *** disse l’omino nero con la cravatta rossa. Io una vita, lasciando a Gianni le tre bambine”, si faceva sempre più sciolto, frasi sempre programmi della radio. Gli presentarono viviamo io e te/ nessuno sa la verità/ nep- “La radio era allora una cosa per morti, ero studente. Diventammo amici. Era sim- dice Giancarlo Magalli. Racconta Raffaella più complicate. Come dite voi: a me piace il Gianni. Gli fu simpatico, gli fece fare alcu- pure il cielo che ci guarda da lassù”. moribondi”, racconta Arbore. Siamo ormai IL FOGLIO QUOTIDIANO patico, pieno di sorprese. In casa sua vidi il Carrà, per undici anni sua compagna di vita: pane con la Nutella? Piano piano, comin- ni piccoli lavoretti, interviste destinate ad al ’65, sta per cominciare la stagione di primo hi-fi della mia vita. Era ancora l’epo- “Gianni è un po’ cinico, q. b., quanto basta, ciavamo a fare le domande in svedese, una altre trasmissioni, dove poi sostituivano le Bandiera gialla, l’urlo di Rocky Roberts, “la ca della Fonovaligia, di cui andavo molto come nelle ricette. Ma io ho un miliardo di breve, una più lunga, un piccolo discorso. sue domande con quelle dei conduttori”. *** radio ai giovani che non la sentivano più”. fiero. E’ vero, in pochi anni quel palazzo di difetti, e lui mi ha sempre aiutata a essere Quelle restavano di sasso: ma come avete Gianni Boncompagni: “Con Renzo Arbo- Sta per iniziare il tempo, dice Arbore, “in via Nemea divenne un groviglio di vite”. pronta. E nella vita personale è stato un pa- fatto? ma come è possibile? E noi: mah, sen- re feci il concorso per programmatore di cui le puttanate si succedevano alle putta- dre eccellente. Le sue tre ragazzine – le chia- tendovi parlare… Non c’era uno scopo pre- *** musica. Maestro programmatore, era il ti- nate”. Che poi, dice Arbore, (quasi) come mavo Qui, Quo e Qua – sono diventate tutte ciso, perché il fine non era quello di scopa- Ma pioniere tra i pionieri, Boncompagni, tolo esatto. Un concorso di una serietà uni- diceva Emilio Salgari, “le cannonate si suc- *** donne estremamente perbene, anche grazie re. Solo un gioco, ci divertivamo da matti. come fotografo, aveva già partecipato alla ca. Dovevi sapere tutto sulle orchestre, i di- cedevano alle cannonate”. (5. continua)

ANNO IX NUMERO 196 - I PAG “Quando accesi il mio hi-fi, che mi ero a Gianni. Con loro, quando stavo con lui, non Lo abbiamo fatto tante volte, io e Marenco. campagna “Una radio in ogni casa”, orga- rettori, questo e quello, le canzoni, la musi- Stefano Di Michele RISTORIA DI UN ITALIANO / 6 Gli “eccessi di fragorosità” della radio di Gianni e Renzo

er meglio dire che razza di anno era votavano il disco migliore alzando delle rettori, vicedirettori, i tecnici col camice, Pquel 1965, prima che a un canzonettista bandiere. “Molta atmosfera, una conduzio- aule e studi. Il retaggio era ancora quello o a un regista o a un fancazzista, rigorosa- ne veloce, tutto diverso dai serissimi pro- dell’antica Eiar dell’epoca fascista”. mente la parola a uno storico: “L’anno del- grammi della nostra radio. Razzi tornò in la tournée italiana dei Beatles, dell’inizio Italia e disse che voleva fare un programma delle trasmissioni radiofoniche di ‘Bandie- analogo. Come, maestro, con i ragazzi che *** ra gialla’ di Arbore e Boncompagni, dell’i- urlano alla radio, con i dischi stranieri?, gli Riflessioni sparse di filosofia boncompa- nagurazione a Roma del Piper club e della risposero in Rai. Nessuno dei conduttori al- gnesca, riferite da Irene Ghergo, che da camparsa sulle scene dei capelloni” (Guido lora famosi volle rischiare. Razzi pensò a vent’anni lavora come autrice di program- Crainz, “Il paese mancato. Dal miracolo Boncompagni: c’ho uno adatto, un toscano mi televisivi con Boncompagni. “Se il mare economico agli anni Ottanta”, Donzelli edi- simpatico. Il ragionamento era il seguente: non ci fosse, a qualcuno verrebbe mai da tore). E sempre per dire che razza di anno se va bene, va bene, se va male ci siamo so- dire: oh, come vorrei un’enorme e inutile era quel 1965, va rammentato che alla Rai lo giocati uno che non è nessuno. Insomma, distesa di acqua azzurra?”. “Se i cani non c’era un’apposita Commissione Giudicatri- bruciavano una scarpina”. Un pubblico di esistessero, qualcuno potrebbe mai pensa- ce d’Ascolto, che come spiega bene il nome, liceali, che si ammucchiava fuori da via del re: vorrei tanto una cosa pelosa con quattro ascoltava (i dischi) e giudicava (quelli che Babuino per partecipare, “brani scelti da zampe e una coda?”. C’è da dire che Bon- la radio poteva trasmettere). Rammenta Gianni Boncompagni con la complicità di compagni dei cani ha paura, degli scara- Giancarlo Magalli: “Erano più che altro au- Renzo Arbore”. Una trentina di giovani in faggi orrore, degli animali in generale poco torevoli personaggi di una certa età, che si si fida. Segue sua nuova riflessione dal di- riunivano una volta al mese per stabilire: vano di via Nemea: “Dicono tutti che il ca- questo disco sì, questo disco no. Per esem- Anni 60, i testi delle canzoni di ne è il più fedele amico dell’uomo. Sarà pu- pio, la commissione aveva bloccato la tra- re fedele all’uomo, ma mica agli altri cani. smissione della musica dei Beatles con la “Bandiera Gialla” venivano Come se noi fossimo fedeli ai cammelli”. motivazione di ‘eccesso di fragorosità’. Ar- sottoposti a una commissione, non bore e Boncompagni si scontrarono subito con questa regola spaventosa, e alla fine sapevano l’inglese e passava di tutto *** riuscirono a far eliminare la commissione”. Renzo Arbore: “Il termine ‘Generazione studio. Fu l’irruzione sulla scena, certifica beat’ ce lo siamo inventati noi. La trasmis- la Garzantina della radio, a cura di Peppi- sione era improvvisata, facevamo con il no- *** no Ortoleva e Barbara Scaramucci, degli stro dirigente, Maurizio Riganti, un copio- Ricorda Arbore: “La commissione giudi- “urletti e gli strepiti dei fan all’annuncio ne fittizio, che poi non veniva rispettato ma cava i dischi che noi gli portavamo, com- della canzone”, prima un’innovazione, poi serviva per la Siae. Alla fine del ’65 dove- presi quelli delle canzoni americane, dove una piaga. Tra i ragazzi che partecipavano vamo scrivere il testo propiziatorio per il spesso c’erano delle parole improponibili (“un caso”, assicura Magalli), Mia Martini, ’66. Cominciammo: sarà l’anno della musi- al pubblico della radio democristiana. La Dario Salvatori, Roberto D’Agostino, Lore- ca, e non andavamo avanti. I Beatles veni- più famosa era ‘I got my mojo working’, che dana Bertè, Renato Zero. Che al tempo era vano ancora chiamati ‘musica ye-ye’, il pop più o meno significava: porto il mio cazzo a ancora e solo Renato Fiacchini. “Fu Gian- comprendeva tutto, c’era il folk di Bob Dy- lavorare. Mentre i commissari l’ascoltava- ni che lo portò alla Rca. Gli disse: serve un lan. Allora, una sera a casa di Gianni, ci in- no, Gianni cercava di coprire con chiac- nome d’arte, Fiacchini non funziona, ma ventammo la parola beat, battere, vediamo chiere a vanvera questa frase ogni volta che devi considerare che non sei nessuno, che cosa succede. Abbiamo adattato la parola veniva citata. Ballicchiava pure, Gianni, parti da zero. Ecco, Renato Zero andrebbe beat a tutta la musica fino al Settanta. Quin- per convincerli che il pezzo era ballabile… bene”, racconta Magalli. Precisa Arbore: di, Patty Pravo, la ragazza beat, la cosa beat, Riuscivamo così a confondere i commissa- “Il primo nome doveva essere Renato Zero, gli stivaletti beat, l’abbigliamento beat, i ca- ri, che poi neanche capivano l’inglese. poi, dopo il primo successo, si sarebbe do- pelli beat. La parola venne persino espor- Espedienti che ci permettevano di fare una vuto chiamare Renato Uno, dopo il secon- tata in Francia: la beat musique, la chia- bella scaletta musicale. Diciamoci la verità: do Renato Due, dopo il terzo Renato Tre, e mavano…”. Per la cronaca, quell’anno a io e Gianni poi abbiamo dirazzato, siamo via così. Il cognome cresceva col crescere Sanremo debutta Nicola di Bari, Wilma diventati umoristi e tecnici, registi e musi- del successo. Gianni ha queste pensate sur- Goich canta ‘Le colline sono in fiore’, tra gli canti, ma la radio l’abbiamo portata avanti reali… Del resto, il surreale che abbiamo ospiti stranieri Petula Clark. Batti e ribatti, noi. Abbiamo fatto conoscere tutto il perio- fatto noi, e che ancora ci diverte fare, non Arbore e Boncompagni impongono attra- do dei Beatles, dei Rolling Stones, del soul. lo fa più nessuno. L’umorismo crazy, pazzo. verso “Bandiera gialla” la voce di Aretha Abbiamo lanciato la musica nera che altri- Come quando Gianni ti fissa serio e dice: Franklin. Ma soprattutto, generale è l’al- mente nessuno avrebbe fatto conoscere, cazzo, questi fiori finti sembrano veri. Lo larme per la comparsa dei capelloni. siamo riusciti a far diventare la hit parade sai che in Giappone adesso li fanno veri ta- di Lelio Luttazzi più nera di quella di li e quali a quelli finti? Le puttanate che, Memphis, Tennessee…”. Dice anche, Arbo- grazie a Dio, ancora diciamo…”. *** re: “Gianni – non voglio parlare di me – ave- Nell’anno in cui Arbore e Boncompagni va molto talento nel dire: questo disco avrà debuttano con “Bandiera gialla”, i ben- successo. Aveva il senso commerciale del *** pensanti ci mettono poco a malpensare. pezzo, della musicalità. Ha una cultura ac- In trasmissione, Magalli faceva le imita- Capelloni, è un termine inventato a Roma. cademica, gli piace la musica classica, an- zioni di Totò, Renato Rascel, Aldo Fabrizi. E a Roma, gli zazzeruti, altra parola che che quella complicata. Io sono più verdia- Appena terminava, Boncompagni annun- andava per la maggiore, si accampavano no, lui più wagneriano. Ha dato un enorme ciava ai microfoni: “Anche questa settima- sulla scalinata di piazza di Spagna. Nel suo contributo allo svecchiamento della radio”. saggio, Guido Crainz racconta “l’accanirsi ottuso della stampa più conservatrice, a “Ti chiami Fiacchini, non va partire dal Corriere della Sera, o il con- *** creto agire di agenti di polizia lesti a com- Secondo programma della radio italiana, bene, parti da zero, ti chiamerò minare fogli di via e sanzioni”. E se per il 16 ottobre 1965, ore 17,45. “A tutti i maggio- Renato Zero, poi Uno, Due, Tre, Tempo, giornale della destra della capita- ri di anni diciotto, a tutti i maggiori di anni le, “la cittadinanza invoca un repulisti” dei diciotto, questo programma è rigorosamen- ogni successo ti cresce il cognome” “teppisti internazionali”, non è da meno il te riservato ai giovanissimi…”, e poi via con Corriere. Articolo intitolato “Tempi duri T-Bird, l’urlo di Rocky Roberts. “Prima era na abbiamo avuto l’imitazione di Ugo To- per i capelloni che bivaccano in piazza di tutta musica da ballo, io stesso ero pro- gnazzi”. L’unica che a Magalli non riusciva. Spagna”, di Paolo Bugialli, novembre ’65: grammatore di musica per programmi che Ogni puntata, stessa scena e stessa pena. “Cosa si può fare? […] Non resta probabil- si chiamavano: Per voi che lavorate, Musi- mente che andare lì armati di civismo, in- Anni Sessanta - Gianni Boncompagni fotoreporter (Archivio Boncompagni) ca della sera, Musica degli anni quaranta, *** setticida, e forbici. O si lasciano disinfetta- Allegre fisarmoniche, polke e mazurke…”, re e tagliare i capelli e allora il problema *** gione non me lo permette. Quelli restano in stato al Gilda. Non ha mai scritto un libro”. aggiunge Arbore. E Gianni Boncompagni: Programmazione nei mesi precedenti è risolto, o reagiscono, ingaggiano una ris- silenzio, non sanno cosa dire, poi rispetto- Ma gioca a golf, altra mondanità… “Macché “Il nome non lo inventai io, ma Luciano Ri- “Bandiera gialla” (riportata sulla Garzanti- sa, arrivano le guardie e il problema è ri- Ovviamente, né Boncompagni né Arbore samente mormorano un po’ imbarazzati: mi mondanità, vado ogni tanto a Sutri. Ci vuo- spoli, che era il capostruttura dei program- na dedicata alla radio): lettura della Divina solto lo stesso […] Bisogna disinfettare Tri- hanno in mente la rivoluzione. Ma nel caz- scusi, non lo sapevo. E spariscono”. A Clau- le un esame complicatissimo, per prendere mi di varietà della radio. La bandiera gial- Commedia di Dante Alighieri, con com- nità dei Monti dai capelloni”. Quando due zo che va a lavorare, nella voce di Aretha dio Sabelli Fioretti, su Sette, ha detto: “Sai la patente da golfista e poter scendere in la è quella che si mette in mare quando ci mento di Natalino Sapegno, inaugurazione anni dopo viene chiuso a Milano il Villag- Franklin, negli esagitati che gridano in stu- chi mi dà più fastidio? L’oncologo mondano campo. Sono una pippa, comunque ho avu- sono gli appestati, quelli col colera, allarme del traforo del Monte Bianco con il genera- gio beat (riecco la parolina arborian-bon- dio, c’è il soffio terreno del divino ’68. Pur che va alle feste. Il magistrato festaiolo che to l’abilitazione in un anno e mezzo, e di so- generale, gente da quarantena. Voi siete co- le de Gaulle e il presidente Saragat, tra- compagniana), secondo il questore “ricet- se i due, al momento, hanno ben altre esi- frequenta le terrazze. Quelli che danno gli lito ci vogliono tre anni di lezioni. Alla fine me gli appestati, diceva Rispoli”. L’idea del smissione intitolata “Sorella radio”, da San tacolo di elementi oziosi et vagabondi”, il genze e diversificate preoccupazioni. “Io e ergastoli, quelli da cui dipende la vita di un ho dovuto fare tre esami tremendi, sia ora- programma, dice Magalli, venne a Giulio Giovanni Rotondo, “dove Padre Pio celebra Corriere scriverà: “Il più pericoloso foco- Boncompagni eravamo ancora poveri. Ma li sia di pratica, un librone così…”. Razzi, che era andato in Inghilterra e ave- il cinquantenario del suo sacerdozio”. Ri- laio di infezione biologica e morale della con l’avvio di ‘Bandiera gialla’ eravamo cor- va scoperto che c’era una trasmissione di corda Gianni Boncompagni: “La radio, ne- città è stato eliminato. Era tempo”. Per di- teggiati da discografici, produttori, editori, “Come la chiamiamo ’sta grande successo, dove dei ragazzi in studio gli anni Sessanta, era seria, serissima, di- re che tempo era. parolieri, cantanti, compositori: tutti veni- *** vano a Roma apposta per abbordarci, per musica? E ci inventammo la parola Ma dice Boncompagni che più di quelli catturare le nostre grazie, per fare in modo beat: Patty Pravo divenne la che si attruppano intorno a un parrucchie- che noi lanciassimo i loro dischi in tra- re di media caratura o a un ristorante di smissione. Il punto di partenza era uno: non ragazza beat, gli stivaletti beat…” nuova fighetteria, del puttanone ritoccato o prendere soldi, la payola, come si diceva, la della presentatrice smutandata, gli fanno mazzetta. Niente payola, però l’invito a ce- uomo, devono stare a casa, a studiare. Non orrore le feste di beneficienza, la carità ac- na all’Augustea non si poteva rifiutare. Una andare al Billionaire”. Una gran verità. cattona dei tristi ricconi, “odio il lusso”. maniera per scroccare un’ottima mangiata Anzi, per essere esatti: detesta la benefi- senza pagare, con lo scotto di sentirti par- cienza in genere. “Tutta una cosa orrenda. lare dell’ultimo disco di Carmen Villani. *** Come quel programma che fanno ogni anni Una cosa accettabile. Oltretutto, Carmen E’ storia reale anche quella della “lista e che trovo orribile, Teléthon, tutte offerte Villani era bellissima, ci faceva piacere sa- nera” di Boncompagni. “La lista di proscri- di cinque o dieci euro, la coscienza coatta, pere che ce l’avrebbero presentata. Abbia- zione, la chiamo. Nelle cronache mondane sei obbligato a partecipare… Odio la bene- mo passato non so quante serate a tavola a del Messaggero e del Tempo ci sono gli ar- ficienza. E’ una mia teoria: tocca allo Stato discutere dei più sconosciuti cantanti del- ticoli su compleanni, aperture di parruc- pensarci, non a me. Io pago allo Stato il l’epoca, nessuno escluso. Adesso che siamo chieri, inagurazioni di ristoranti. La solita cinquanta per cento di tasse dei miei in- ricchi, la cena di lavoro resta per noi la lista di sfigati. Leggevo e memorizzavo quei troiti, ho pagato e pago cifre spaventose. Se peggiore sciagura che ci possa capitare…”. nomi, e l’ordine era di non invitare nessu- poi lo Stato sperpera tutti questi soldi per no di loro alle mie trasmissioni”. Conferma fare cazzate, per degli sprechi che gridano Irene Ghergo: “Vero. Gianni ha un forte vendetta, perché ci debbo rimettere mano *** snobismo. Ha anche diffidato i giornali che io? Perché devo pagare la Tac a un ospeda- Forse pure il ricordo di quelle sere, do- avevano inserito il suo nome nelle loro cro- le se i soldi lo Stato ce l’ha? Casomai, deve ve il pop della Villani si fondeva con l’a- nache mondane”. Casomai, altra monda- imparere a gestirli e a spenderli meglio. matriciana, ha avuto un peso nella manca- nità pratica. Quella, per esempio, che nasce Non va a fare i mondiali, tanto per dire….”. ta vita mondana di Boncompagni. La mon- dalla passione per i surgelati (ne parlere- danità romana, poi: rimasugli televisivi, ri- mo, a tempo e a temperatura debita). Anco- masugli nobiliari, rimasugli di stilisti, ri- ra Irene Ghergo: “Gianni è molto interessa- *** masugli politici. Da casa sua, Boncompagni to al mondo dei supermercati. Conosce tut- Si dirazza, per dirla con Arbore. Tornia- non si muove. “La frase più orrenda di tut- ti i direttori, si presenta e si informa: come mo agli anni della radio. Racconta Raffael- ti: vieni, che c’è un sacco di gente che non va? quanto vende? cosa vende? quali sur- la Carrà: “Hanno fatto scherzi di tutti i tipi. conosci… Si può partecipare a queste feste gelati vanno per la maggiore?”. Alla Gs o al- Hanno messo di mezzo tutti. No, a me nien- MERCOLEDÌ 21 LUGLIO 2004 di vip di mezza tacca giusto con una sen- te scherzi. Se ci provavano, io che sono pa- tenza esecutiva di un pretore che ti con- cifista, li ammazzavo: ho paura di tutto, an- danna al sacrificio. Ho letto che sono anda- “Odio la mondanità, le feste, si che di una formica. Urlavo pure se mi met- ti in trecento a una festa a Capri. Ma come può partecipare a questi raduni di tevano sotto il piatto, a tavola, quegli schifo- cazzo fai, ad andare a Capri? Macchina, si animaletti di plastica trasparenti. Loro traghetto, aliscafo, a piedi, finiscono in un vip di mezza tacca giusto se c’è un ridevano, io urlavo”. Aggiunge pure, Raf- posto orribile, con gente orribile… Non c’è pretore che ti condanna” faella Carrà, che “Gianni è capriccioso,

IL FOGLIO QUOTIDIANO charme. Forse, una volta, quando ci andava ogni tanto fa i capricci. Anche a me diceva: Malaparte… Dove vanno questi vip io an- tu devi fare i capricci da diva. Ma come si drei con il lanciafiamme, mi viene la sin- la Pam, fosse pure a un discount, Boncom- fanno i capricci da diva?, chiedevo io. Pren- drome del fuoco. Come dice Roberto D’A- pagni lo trovi. Al Gilda, mai. Non è un pa- di e vattene, rispondeva lui. Lo feci una vol- gostino, è tutto cafonal: cafoni i vestiti, le radosso, ma un dato di fatto. Sul suo bi- ta per un costume, un boa di struzzo. Dopo facce, le tette, i gioielli, la torta…”. Si al- glietto da visita c’è scritto (con variazioni ne avevo cinquanta, a disposizione. Ma è lunga sul divano, Boncompagni: “Una noia seconda delle impennate mondane del mo- stata l’unica volta: troppo faticoso fare i ca- mortale, non vado da nessuna parte. Quan- mento): “GIANNI BONCOMPAGNI. Non è pricci…”. Decisamente meglio gli scherzi, do telefonano per invitarmi, rispondo: mi mai stato in Sardegna. Non è mai stato a Sa- come appunto si vedrà. (6. continua)

ANNO IX NUMERO 200 - I PAG Foto Farabola spiace davvero, ma non posso, la mia reli- baudia. Non è mai stato a Capri. Non è mai Stefano Di Michele RISTORIA DI UN ITALIANO / 7 Amori&stracchino,Boncompagni visto da Carrà&Arbore

ra gli anni Sessanta e gli anni Settanta, che cerca sempre di alleggerire i problemi Trieste in giù’. Tutte le canzoni che lei ha Ttra Bandiera gialla e Alto gradimento, quotidiani. Quando lo conosci a fondo, ti cantato le ho scritte io, e mi rendono anco- tra il Sessantotto e Settantanove, Gianni piace o non ti piace, non ci sono vie di mez- ra un sacco di soldi dopo trent’anni… Lei è Boncompagni ha avuto un uomo e una don- zo. Piace alle persone intelligenti”. una specie di icona gay, le sue canzoni sono na. Ovvio, ma a scanso di inqualificabili ormai degli inni. In Germania abbiamo fat- equivoci si precisa: nel senso di un amico e to tre o quattro cose di enorme successo, in di un amore. Ora, una quarantina di anni *** Spagna, in Sudamerica…”. Raffaella: dopo, lo stesso uomo e la stessa donna ci so- Il jazzarolo foggiano e l’indolente areti- “Gianni non ha più avuto un vero successo no ancora, ma l’amico è restato amico e l’a- no fecero insieme diversi spot – parola che commerciale da quando le sue canzoni non more è diventato amicizia. Al dunque, che a quel tempo fortunatamente nemmeno le ha più cantate la sottoscritta. E vicever- si dirazza (Arbore docet). Perciò si raccon- esisteva. “Ancora oggi io e Gianni abbiamo sa, da quando le canzoni non me le ha più ta, come senza scampo si finisce inevitabil- nel nostro guardaroba una quarantina di scritte lui”. C’è una canzone di Boncompa- mente col dire, una storia d’amore e d’ami- vestiti Marzotto che abbiamo messo solo gni che la Carrà non ha mai cantato in Ita- cizia. Tranquilli: con risvolti divertenti. per i caroselli e che non abbiamo mai avu- lia. “Si intitola ‘Il presidente’: la storia di to il coraggio di regalare. Ci inventammo, una ragazza che incontra un presidente a per quella campagna, anche uno slogan un ballo e tutta la sera balla con lui, in mez- *** che finì male. Noi avremmo dovuto dire, co- zo a tantissime personalità. La mattina si Testimonianza di Raffaella Carrà (che me codino finale: naturalmente, vesto Mar- sveglia, apre il giornale e lo vede in manet- ovviamente era l’amore) su Boncompagni: te. Mi è sembrato che ci potesse essere un “Lui e lo stracchino sono una cosa sola. E riferimento a questo o a quell’altro perso- deve essere morbido, con la goccia”. Il rap- Lo stracchino? Io ero all’altro naggio. C’è sempre un presidente a rischio. porto tra Gianni e il pur nobile formaggio Così non l’ho mai cantata nel nostro paese”. molle è durato anni, costato calorie, quan- capo del mondo, avevo cantato in tificato in quintali e generato apprensione. uno stadio pieno, e lui se ne esce “Una volta ero a Buenos Aires, avevo fatto *** un concerto allo stadio, cantato davanti a con lo stracchino! (Carrà) Al tempo di Bandiera gialla, Gianni e sessantamila persone. Gianni è un pigro Renzo frequentavano molto il Piper. Il loca- terribile. Con tutti quei viaggi che facevo zotto. Invece dicevamo: naturalotto, se vesti le di via Tagliamento, ricordano nel loro li- intorno al mondo, poteva pure prendere un Marzente. Questa idea meravigliosa non bro “Fascisti immaginari” Luciano Lanna e aereo e farmi una sorpresa, raggiungermi. ebbe fortuna. La vecchia contessa Marzotto Filippo Rossi, era stato aperto nel ’65 da un Mai, neanche una volta. Comunque, all’e- si lamentò: ma come, adesso tutti mi chia- mitico personaggio, “l’ex marò della Deci- poca avevamo una governante, Licia, che è mano contessa Marzente? Com’è possibile, ma Mas Alberico Crocetta”, e negli anni poi diventata la mia segretaria. Dopo il con- il nome dei Marzotto, noi che a Valdagno “avrebbe cambiato il costume e le abitudi- certo chiamo casa. Risponde Licia tutta ab- abbiamo edificato… Una sera fummo invi- ni giovanili di tutta Italia”. Lo stesso Piper, battuta: con il signor Gianni non va. Dico: tati a cena dai Marzotto. Io e Gianni an- per inciso, che a un certo punto, dopo acce- passamelo. Arriva. Che succede? E lui: lo dammo in macchina, e prima di Vicenza in- se polemiche da parte di gruppi di genitori stracchino non è fresco. Lo stracchino? Io contrammo una nebbia terrificante, tal- e di esponenti cattolici, fu persino chiuso ero all’altro capo del mondo, avevo appena mente forte che a turno uno di noi usciva nelle ore pomeridiane, sospettato di di- cantato davanti a uno stadio pieno, avevo dalla macchina e conduceva l’altro: avan- strarre i giovani dallo studio. Racconta Ar- voglia di sentirmi dire: com’è andata?, e lui ti, attento, guarda la striscia, dritto, sterza… bore: “Lo chiamavamo il Tempio, come sen- se ne esce con lo stracchino! Ma questo fa Proprio come Totò e Peppino. Facemmo gli tivamo dire dai nostri amici ebrei che an- anche sentire il bambino che è in Gianni. ultimi dieci chilometri finali, prima di ar- davano in Sinagoga. C’era questo Crocetta, Ci siamo messi insieme che lui era più rivare alla villa dei Marzotto, con l’atteg- straordinario creativo dai capelli bianchi e grande di me, io molto giovane. Quando mi giamento dei parcheggiatori. Naturalmen- blu, grande intelligenza e cultura, capace di scriveva un biglietto d’amore lo faceva in te, poi Gianni esagerò con i padroni di casa scoprire Patty Pravo e Mia Martini, insieme inglese, non in italiano. Per timidezza”. tutta l’avventura. Fissò Pietro Marzotto, e all’attuale proprietario, Giancarlo Bornigia. con aria sfinita e seria lo informò: abbiamo Andavamo spessissimo lì anche perché non trovato una nebbia così fitta che non si ve- pagavamo, riveriti e ossequiati, svolgevamo *** deva il volante”. la nostra funzione beat. C’erano cantanti Testimonianza di Renzo Arbore (che ov- stranieri sconosciuti in patria, come Mal, viamente era l’amico) su Boncompagni: scovato da Crocetta e Boncompagni quando “Avevamo delle rubriche sui giornali, lui *** andarono in Inghilterra: videro questo elet- sull’Intrepido, io sul Monello. Ci faceva ri- “Da un punto di vista sentimentale, Gian- tricista così bello, con questa grazia nel dere questo fatto di essere editorialisti del- ni è uno assolutamente fedele. Siamo stati muoversi…”. E al Piper Arbore e Boncom- l’Intrepido e del Monello. E poi su altri gior- insieme quasi undici anni, un lungo matri- pagni conobbero Patty Pravo. nali come Big, settimanale musicale dei monio. Una cosa che veramente ci univa giovani, il più vispo. Facevo una rubrica di era l’ironia e l’autoironia. Lui è stato pre- aggiornamento che si chiamava Big Box, su sente anche nei miei momenti di paura e di *** tutto quello che arrivava dall’Inghilterra e stanchezza. Un bel compagno nella mia vi- Continua Arbore: “Una sera eravamo dall’America, ero io quello che si sentiva ta, ci siamo aiutati e sostenuti a vicenda. Al- con Luigi Tenco. Vede quella ragazza e di- tutti i dischi. Gianni faceva invece dei pez- la fine ci siamo separati solo per un fatto di ce: come balla bene, la vado a fermare. E si zi su due pagine su, che so?, Patty Pravo. Al distanze, ero sempre lontana, avevo un mette a ballare con lei. Patty, che non ci co- solito, il massimo della sfaticatezza. Sicco- grande successo in Spagna con le sue can- nosceva, viene da noi: questo stronzo mi ha me la sua faccia non era ancora molto nota invitato a ballare, mi vuole rimorchiare e al grande pubblico, una volta riuscì a otte- non mi ha riconosciuto, abbiamo fatto in- nere dal direttore di Big che nelle due pa- Fece scrivere sotto una foto di sieme una serata a Venezia una settimana ginate, anziché un articolo, ci fosse una fa. Lei in realtà era già una cantantina, no- grandissima fotografia di Sean Connery da- Connery a Buckingham Palace: me d’arte Guy Magenta, chissà poi perché vanti a Buckingham Palace, con sotto una “Boncompagni nei pressi della sua Magenta, forse perché vicina a Venezia… Io didascalia: Gianni Boncompagni fotografa- e Gianni capimmo al volo che quella ragaz- to nei pressi della sua casa romana. Riuscì casa romana” (Arbore) za era fortissima: sapeva ballare, cantava a convincere il direttore a questo bluff non benissimo. Divenne Patty Bravo perché spiegato pur di elimarsi il fastidio di scri- zoni, poi in America Latina. Questo ha fatto Crocetta sosteneva che la parola bravo era vere il pezzo”. Dice Boncompagni di se stes- sì che ci fosse un distacco inevitabile. una delle poche parole italiane conosciute so: “Non sono pauroso, non temo le malat- Quando non c’ero, Gianni si filmava a casa nel mondo. Poi, siccome diceva sempre del- tie, non ho superstizioni… Ho paura solo con una telecamera, mi raccontava a modo le cose molto trasgressive per l’epoca, Bra- Anni Settanta - Gianni Boncompagni con Raffaella Carrà (foto Farabola) delle ingiustizie, quelle che magari vedi in suo la sua solitudine: tu lontana, io qui da vo divenne Pravo, suonava più allusivo…”. un film, quelle contro cui non puoi fare solo… Vedevo questa registrazione e pian- ve della canzone italiana, quanto per Bon- ta che passavo lì mi hanno fatto fare il gay. in genere del pilota), raccontano gli amici, niente”. Dice Arbore dell’amico: “E’ pauro- gevo per due giorni. Non per la tristezza, compagni che detesta preti e tonache e re- Hanno accellerato leggermente la mia vo- Boncompagni non ha una buona opinione so, molto pauroso. Delle malattie, degli ma per le risate: era divertentissimo… Abi- *** ligioni, “anticlericale prima che uomo”, si ce, facendola diventare quasi maschile, e prima di salire e probabilmente ne ha una ospedali, viaggia poco… Se può non prende tiamo ancora di fronte, nello stesso condo- Il primo clamoroso successo arriva pro- sa: la sua canzone sarà in assoluto la prima quindi facevo il gay che si aggirava lì in stu- pessima quando scende. l’aereo, lo fa con grande difficoltà. Secondo minio. A volte ci incontriamo giù in giardi- prio grazie a Gianni Boncompagni, con la canzone di musica leggera trasmessa, sen- dio e ci provava con Renzo e con Gianni, me non si fida del pilota, perché come uo- no. Che fai?, gli chiedo. Una volta mi ha ri- sua versione italiana di una canzone di za tanti problemi, dalla Radio Vaticana. mentre loro andavano in onda. Franca- mo tecnologico del mezzo potrebbe pure fi- sposto: sto pensando di mettere una teleca- Sonny Bono, “Ragazzo triste”, quella di “ra- Proprio mentre la radio italiana, forse più mente, dopo un po’ mi sono stufata e sono *** darsi”. Dice Raffaella dell’antico amore e mera in casa mia. Tutto questo ci tiene le- gazzo triste come me ah ah / che sogni sem- bacchettona e di sicuro più democristiana, tornata a casa mia”. Che poi, praticamente, Infierisce Arbore: “Si mormora anche ormai anche antico amico: “Per Gianni le gati con un altro tipo di affetto. Per sempre. pre come me ah ah / non c’è nessuno che ti pretendeva la modifica di alcuni versi che una volta, mentre andava a Londra, il cose importanti e fondamentali devono ri- Anche con Sergio Japino è la stessa cosa. aspetta mai perché non sanno come sei…”. (avranno visto un’allusione politica nelle suo aereo avesse avuto delle difficoltà du- manere dentro. Cose che ti toccano profon- Gli voglio molto bene, a Gianni”. Boncom- Entra a passo di carica nella classifica del- parole “un giorno spero cambierà”?) prima Glielo chiedi e lui dice di sì, certo rante il volo. E in seguito i maligni compa- damente, ti offende il fatto di tirarle fuori. pagni: “Ho scritto tutte, ma tutte le canzoni le canzoni più vendute. Ma c’è di più. Ed è di mandarla in onda. Per inciso, i preti ra- che prendo l’aereo. Poi scompare. gni di viaggio raccontarono di aver avuto Le grandi sofferenze si dividono solo con le di Raffaella, dal ‘Tuca Tuca’ a ‘Ma che mu- una bella rivincita, non tanto per quella diofonici fecero lo stesso con “Dio è morto” l’impressione che, in quei momenti, Gianni persone più vicine. E’ Gianni è una persona sica maestro’ a ‘Com’è bello far l’amore da che sarà una delle cantanti più trasgressi- di Francesco Guccini. E fece la stessa figu- Solo per alcune fidanzate è arrivato pregasse…”. Boncompagni – quello che raccia pure la radio democristiana. ogni tonaca assalta, che sfotteva da ragazzo fino a New York (Magalli) i pellegrini in attesa che la Madonna si muovesse, che mette nella stessa categoria *** si trattava di attraversare un pianerottolo, Padre Pio e l’oroscopo – alle prese con un Racconta Raffaella Carrà: “In Gianni è nell’affollato condominio di via Nemea. pater nostro, una posta di rosario, un ac- come se ci fossero due personalità: una che cenno di ave Maria? Il diretto interessato fa finta di fregarsene di tutto e tutti; una se- nega sdegnato: “Ma che raccontano? Ma conda di un ‘clanista’ pazzesco, che ha sem- *** sono tutti matti? Era un nostro amico, se- pre bisogno di avere intorno il suo clan. “Gianni è questo: presa per culo, diverti- duto vicino a noi, che impaurito fece un fio- Sulle figliole, per esempio, è un finto di- mento, amici, voglia di ridere sempre”, so- retto di tipo sessuale”. Di tipo sessuale? stratto: non dice niente, ma finché non sa stiene Giancarlo Magalli. A Renzo Arbore, “Sì, insomma, di astinenza. Poi, per fortuna dove stanno tutte e tre, non è tranquillo. tra i (non molti) viaggi di Boncompagni, ne non successe niente, anche se si era rotto Grandi amicizie, le sue, grandi storie è rimasto impresso uno a New York. “Lui un motore. Onestamente, io me la facevo profonde. Incredibile la fedeltà di Gianni ha la fissazione tecnologica, con deforma- sotto per la paura. Ma per carità, niente pa- all’amicizia, ci sono amici che restano tali zione professionale. Stava tutto il giorno in- ter nostri”. a molti, moltissimi anni di distanza. Credo filato dentro quei negozi di indiani che che questo gli dia molta sicurezza”. La vendono robaccia elettronica, e per rispar- Carrà fu certo trasgressiva con il suo om- miare dieci dollari iniziava una trattativa *** belico in vista a Canzonissima, “una cosa lunghissima, che andava avanti ore e ore, e Assicura Irene Ghergo: “La zona più in- clamorosa”, ma forse ancora più trasgres- che non ci faceva vedere New York”. Tir- teressante di Gianni, al di là del suo spiri- siva, a quel tempo, era proprio la storia d’a- chieria? Arbore sostiene di no, “ma gli pia- to, è la zona nascosta, emotiva, sentimenta- more con Boncompagni: “Vivevo con un ce avere regali, fare degli affari. Ore e ore le. C’è, ma così tappata, così nascosta…”. uomo separato, con tre figlie. Una cosa non da questi negozianti indiani, a discutere di prevista dalle leggi di allora, non proprio dollari e di elettronica. Sono ovviamente un esempio di rigore. Ma che devo fare? dei furfanti, questi indiani, dei gabellaturi- *** Tendo a innamorarmi di persone che han- sti, ciononostante Gianni non riusciva a re- Sempre di amore e sempre di amicizia si no già avuto altre storie”. Dice pure: “Ma sistere alla tentazione, andava fin lì a sfru- tratta, va da sé di altro genere. Tanto per la non sono per i grandi show intorno alle sto- gugliarli… Era divertente, in seguito gli è fama di Boncompagni, quanto per il buon rie d’amore: non si sa mai cosa succederà”. venuta la paura di volare”. Secondo Magal- nome dell’Arma. “Gianni va pazzo per i ca-

SABATO SABATO 24 LUGLIO 2004 li, “se glielo chiedi sei mesi prima, lui dice rabinieri”, dicono. Lui conferma: “Vero, ne conosco un sacco. Tre di loro, in particola- *** re, sono tra i miei migliori amici. Li ho in- Insieme, Arbore e Boncompagni hanno Mi hanno fatto fare il gay che si contrati che erano tenenti, ora sono tutti e coinvolto la Carrà nelle loro mattane ra- aggirava in studio e ci provava con tre colonnelli. Appassionati del loro lavo- diofoniche. Al tempo di Alto gradimento – ro, molto professionali. E’ venuto a cena l’epopea gloriosa del colonnello Buttiglio- Renzo e Gianni. Io mi sono stufata anche il comandante generale”. Passione ne e di Scarpantibus, di Max Vinella e del che l’Arma ricambia. Così all’aretino è sta-

IL FOGLIO QUOTIDIANO professor Aristogitone, che presto verrà – e sono tornata a casa (Carrà) ta consegnata la tessera di carabiniere che veniva nientemente registrata, per ob- onorario: maresciallo Boncompagni ad ho- bligo alla reclamata comodità, direttamen- di sì, certo che viene, che prende l’aereo. norem. te nel salone di casa Boncompagni, “ridot- Poi, due giorni prima di partire comincia a Per non essere da meno, qualcosa do- to praticamente a uno studio di maialetti”, inventare scuse pazzesche, fugge, non si fa vrebbe adesso fare la polizia di Stato per colei che aveva mostrato l’ombelico all’Ita- trovare. Più di una volta mi ha fatto butta- Arbore, che con “volante uno a volante lia e insegnato il “Tuca Tuca” – che più ra- re biglietti e prenotazioni d’albergo… Solo due” pure appassionò agli sbirri prima di zionalmente nella prima versione si chia- con alcune fidanzate ha osato l’impensabi- Montalbano. “Il commissario Renzo”: non mava “Tocca Tocca” –, agli italiani, fu con- le, si è spinto fino a New York. Altrimenti, suona neanche tanto male. (7. continua) ANNO IX NUMERO 203 - I PAG Anni Ottanta - Gianni Boncompagni e Raffalla Carra in udienza generale dal Papa (foto Farabola) vinta dai due a questa missione: “Una vol- viaggia sempre in macchina”. Dell’aereo (o Stefano Di Michele RISTORIA DI UN ITALIANO / 8 L’Alto gradimento di Gianni (ovvero lavorare non lavorando)

Renzo Arbore e Gianni Boncompagni ai tempi di Alto gradimento (Foto Farabola)

estimonianza di Renzo Arbore, persona rabiniere con la sua bella sciabola…”. Fu- la centrale… Ci rotolavamo a terra dalle ri- evitatemi certe rotture di coglioni. Signori- il ballo di Peppeeeeeeè/ Ragazzi qua, ra- A un certo punto facevamo una puntata al Tdettagliatamente e compiutamente rono le cronache di Max Vinella, “qu’est ce sate, sentivamo amplificati i gemiti dei due na, mi prepari la pratica per l’aumento a gazzi là/ un braccio su, un braccio giù/ e in- giorno, le repliche andavano in onda pure informata sui fatti: “Se vogliamo parlare del que vous facè? Je v’avè becchè!”, dove sem- malcapitati che si passavano l’uno con l’al- Boncompagni e Arbore… Ci raccontavano sieme tutti in fila battiamo le mani/ il ballo la sera, per queste repliche prendevamo i contributo di Gianni Boncompagni ad Alto pre “accorrono i CC”, dove inesorabilmen- tro la cornetta per evitare la noia di quel che anche i militari, quando sentivano no- di Peppe è fatto in questo modo quà…”. soldi e non ci costavano fatica. Sabato e do- gradimento, possiamo dire che è stato un te “l’A.G. ha aperto un’inchiesta” e dove racconto. Appena si azzardavano a dire: ab- minare il colonnello Buttiglione, ormai si menica riuscivamo a fare ‘the best of’’, re- contributo fondamentale: la cialtroneria. persino “la Società Araldica ha inviato la biamo capito, colonnello, Marenco rilan- mettevano a sghignazzare. Dopo due anni, pliche delle repliche, con pezzi del lunedì, Tra noi due, amabilmente, è il più cialtrone. propria vibrata protesta”. L’illuminante ciava: non mi interrompere, stavo dunque bisognava cambiare. Anche noi esagerava- *** del martedì, del mercoledì e del giovedì. Perché, alla mia e alla sua cialtroneria, si presenza del “professor Anemo Carlone, dicendo che ieri sera, con l’attendente Rus- mo. E allora andavamo dal funzionario…”. A un certo punto, per comodità di Bon- Cercammo di mettere le repliche anche in aggiunge il fatto che lui è pure sfaticato. Con insigne luminare di alta medicina”. Quella solillo… E si ricominciava. La telefonata compagni, Alto gradimento veniva registra- un altro giorno. Soprattutto Gianni che non questa filosofia cialtronesca, ci siamo tro- oscura della cartomante Mortificazione, andava avanti per tre, quattro ore… E la se- to a casa sua. Conferma e aggrava la sua po- vuole lavorare, essendo questa la sua aspi- vati davanti al microfono di Alto gradimen- “che ve svela il presente, il futuro, il passa- ra dopo lo stesso. Appena i poveretti senti- *** sizione: “Vero: sono pigro e molto sfaticato. razione segreta. Un giorno andò da Rigan- to, per la prima puntata, il 14 luglio 1970, to, il trapassato, il futuro remoto e all’infini- vano Marenco che diceva: sono il colonnel- Renzo Arbore: “Sarei ancora indigente Stavamo chiusi in casa mia dalle undici del ti, il nostro vero complice sotterraneo, e gli senza un foglio scritto né altro. Solo la no- to senza stop”. Per non dire del professor lo Buttiglione!, si udiva un gemito spaven- se non avessi avuto Boncompagni che mi fa- disse: ho capito che non si può fare la radio stra fantasia e una pila di dischi”. E nean- Aristogitone, barese e reazionario in piena toso: oooohhhh…”. ceva aumentare stipendi ed emolumenti senza farlo. Testuale. Insomma, riconobbe che quelli bastavano. Boncompagni, con la euforia sessantottina, che “gli spacca le cor- con il suo sistema. Ogni tanto facevamo una “Vero: sono pigro e molto rassegnato che bisognava faticare”. sua fissa per la tecnologia, si era dotato di na a questi delinquenti dei miei studenti”, *** marachella e venivamo convocati dal diret- sfaticato… Il mio motto è: presto e un Gelosino, “allora avanzatissimo”, e con il quarant’anni di insegnamento nella gabbia tore della radio, Giuseppe Antonelli, uomo *** prezioso strumento immortalava tutto quel- scolastica. “Le mie mura scolastiche sono Il mito radiofonico. Il generale Damigia- di ferro ma persona adorabile, per essere male. A volte mi addormentavo io, lo che gli capitava a portata di orecchio. “A quattro, però sopra ci sta il soffitto, quindi ni (in seguito si dirà come il colonnello fu rampognati. Gianni a metà della rampogna Di tale deplorevole modo di procedere, Fiumicino aveva registrato la voce di una si- sono cinque. E sotto il soffitto ci sta il pavi- promosso tanto di grado quanto di volume) mi strizzava l’occhio, quel suo occhio areti- a volte Arbore” esiste prova inconfutabile. Autore: Gian- gnorina che cercava un certo ‘signor Ci- mento e sono sei mura. Io sto sepolto in mez- chiama Alto gradimento cercando ora il no, che mi diceva: sta a vedere come ribal- carlo Magalli. “Nell’ultimo anno di Alto prandi’. E sempre per cialtroneria, non lo zo a sei mura!”. Poi decine e decine di altri sottoposto Bergamonti, ora il sottoposto to la situazione. E non so come, ogni volta mattino alle otto di sera, registravamo in gradimento, Boncompagni andò vicinissi- potrò mai dimenticare, Gianni disse: perché personaggi, tipo “il professor Kurt Weill di Marmaglino, per informare che “essendo- uscivamo con l’aumento in tasca. Tanto che due settimane tutte le puntate dell’estate. mo al sogno di fare la radio senza farla. Esi- non mandiamo in onda questa registrazio- Magdeburgo, guaritore via radio” o “li pecu- mi levato dalla mia poltrona, sita dietro al se ne accorse pure il direttore generale. Ci Dalla Svezia avevo portato Marenco, con il ste un filmato, di quelle registrazioni a ca- ne? Non sapendo che fare, lo abbiamo mes- ri”. E, sommo tra i sommi, il colonnello But- grande tavolo di quercia della Caserma disse: ho capito che non devo farvi chiama- suo umorismo molto raffinato, poi c’era sa sua, che ho fatto io e che ora è nelle ma- so per quattro o cinque volte nella stessa tiglione. E qui siamo tanto al mito radiofo- Centrale del Comando Generale”, per re- re, perché ogni volta c’è un aumento”. Giorgio Bracardi, con un umorismo molto ni di Arbore, che non lo molla. Nel filmato puntata. Dopo due giorni la gente telefona- nico quanto alla vita vissuta. carsi al cesso, davanti alla porta del mede- più corporale, pernacchie e cose così, che si vede Boncompagni che dorme su un di- va per chiedere: avete trovato il signor Ci- simo nota “una fila di militari, tutti quanti ci faceva venire le lacrime agli occhi per le vano, Marenco attaccato a una bottiglia di prandi?”. Già l’avvio di una delle trasmis- evidentemente in preda ad alcuni dolori *** risate, e insieme suo fratello Franco, che fa- qualcosa, Arbore che dorme nell’altra stan- sioni più copiate, celebrate e rimpiante del- *** addominali. Essi erano i generali Banza, “Gianni derideva la radio com’era allo- ceva l’umbro che vendeva la supposta a tre za. Eppure, miracolosamente, il program- la radio italiana, fa capire che non era ma- La vita vissuta, nel resoconto di Arbore. Carnevali, Scarduffo, Lo Foti (…) Non sap- ra, i giradischi con la puntina di metallo punte. Ci siamo divertiti molto, lavorando il ma riusciva perfettamente, veniva benissi- le l’ardita idea iniziale dei due conduttori “Per sconfiggere la noia facevamo degli piamo chi occupa il gabinetto!! Si è chiuso pesantissima che danneggiava i dischi. meno possibile. Il mio motto è: presto e ma- mo”. Nota e informa Arbore: “A Magalli di chiamarla “Musica e Puttanate”. Tutto un scherzi telefonici notturni, grazie alla tecno- dentro presumibilmente il generale Sgra- Una cosa d’anteguerra. I microfoni decò le. Così, mentre registravamo facevo le mie quella registrazione non la ridò neanche (buon) programma. logia di Gianni che collegava il telefono con vagliotto che, evidentemente, per raggiunti erano bellissimi, io li avrei tenuti, ma lui telefonate, che finivano in sottofondo, piat- sotto tortura. Deve pagare fior di quattrini”. delle casse acustiche potentissime. Lo scher- limiti di età, sta esalando l’ultimo respiro!”. riuscì a farli abolire, erano assolutamente ti rotti, acqua che scorreva, rumori vari. A zo più riuscito era quello di Mario Marenco, sfondati, altoparlanti a valvola degli anni volte mi addormentavo io, a volte Arbore. *** figlio di un ufficiale della guardia di Finan- Trenta. Si deve pure a Gianni l’invenzione Io russavo, abbiamo trasmesso pure quello. *** “Ma era una cosa provvisoria, sapevamo za che aveva un collega che si chiamava But- *** dello sfumino. Fino ad allora, se volevi par- Una volta ci siamo addormentati sia io che I massimi onori, resi da Franco Monte- benissimo che non sarebbe mai passata”, tiglione, zio di Rocco e di Angela. Marenco, Torniamo alla vita reale (mica molto più lare al microfono della radio, dovevi prima Arbore, e tutto è rimasto in mano a Maren- leone nella sua “Storia della radio e della racconta, una nota di rimpianto nella voce, senza dirci che il nome era vero, in quelle reale). Ancora Arbore: “Prima ci scrisse il fare un cenno al tecnico, attirare l’atten- co. Con noi c’era il tecnico Annicchiaro. E televisione italiana” (Garzanti editore). “Il Gianni Boncompagni. “Alto gradimento, il papà di Marenco, perché intercedessimo zione con svariati segnali, poi aspettare il su tutto vigilava Maurizio Riganti, funzio- ’68 – dal quale non è nato né un libro né un nuovo titolo, lo inventai io. Un gioco di pa- presso il figlio per farlo smettere di sfotte- controsegnale. Se dovevi dire una puttana- nario Rai e nostro angelo custode”. film, nulla che si ricordi – aveva tuttavia role tipo alto tradimento, roba del genere. “Per sconfiggere la noia re il collega. Poi cominciò a farsi vivo al te- ta diventava un proclama. Allora riuscim- inaugurato un decennio di creatività diffu- Un programma molto diverso da quelli che lefono, cercando di beccarci nei meandri mo, superando problemi sindacali gravis- sa che trovò nella radio, pubblica e poi pri- si facevano allora, quando la radio serviva facevamo scherzi telefonici ”. Il più della Rai, il vero colonnello Buttiglione. simi, a far adottare questo sfumino: cioè *** vata, il suo sbocco naturale. Questa creati- ancora per parlare al paese, una specie di- riuscito aveva come protagonista il Chiamava: buongiorno, sono il colonnello abbassavamo il volume dei dischi noi stes- Arbore (l’altro appennicato): “Il motto di vità intelligente e assurda, ma anche fanta- retaggio del ventennio…”. Dice Boncompa- Buttiglione. Rispondeva un impiegato, che si, invece dei tecnici, senza segnali e con- Gianni era pure un altro: non fermarsi mai, stica e demenziale, venne rivelata proprio gni che una vaga idea di Alto gradimento colonnello Buttiglione, zio di Rocco ovviamente non ci credeva: sì, e io sono trosegnali. Nacque così lo sfumino. La pa- caschi il mondo, succeda quel che succeda. da una trasmissione della Rai, Altro gradi- lui se la portava in testa dagli anni Quaran- Scarpantibus. E metteva giù. Infine il co- rola poteva essere più nobile, ma lo sfumi- Così, se squillava il telefono inglobavamo lo mento, nata nel 1970 dall’incontro di due ta, quando al cinema di Arezzo venne ina- serate a casa di Gianni cominciò a torturare lonnello ci scrisse una lettera, ci chiamò il no è rimasto sfumino, con gran raccapric- squillo in trasmissione, mi inventavo uno ben note figure del divismo radiofonico, spettatamente proiettato Helzapoppin. “Mi due addetti all’osservatorio astronomico di capoufficio stampa di non ricordo quale cio di Boncompagni, che avrebbe preferito sketch. Poi toccava al povero Massimiliano Renzo Arbore e Gianni Boncompagni (...). colpì molto, era parecchio avanti per quel Monte Mario. Noi telefonavamo e passava- ministero: questa storia del colonnello But- qualcosa genere Lap 27. A me che sono di Fasan togliere tutte le porcherie, tagliare le Quella straordinaria trasmissione diven- tempo. Arbore? Mah, non so se a Foggia mo il fantomatico colonnello Buttiglione, tiglione… Allora lo promuovemmo a gene- Foggia lo sfumino va bene, a lui che è di incertezze. Che alla fine quasi non c’erano, terà il modello di quasi tutte le radio libe- MERCOLEDÌ 28 LUGLIO 2004 l’abbiano mai fatto vedere, Helzapoppin... che denunciava dei sommovimenti tellurici rale Damigiani, e avevamo in mente di ele- Arezzo per niente”. talmente eravamo diventati bravi. Il pro- re apparse nel corso del decennio. Senza C’era un tipo che per tutto il film girava con constatati nella famosa sala centrale della varlo a Capo di Stato Maggiore La Botte”. blema vero era invece il tiraggio di Maren- Alto gradimento è impossibile capire nella un vaso di fiori in mano gridando: mister caserma Zanzibar. I due malcapitati, di fron- co. Che peraltro non si addormentava mai, sua totalità il fenomeno dell’emittenza pri- Jonesssss! mister Jonesssss! Fui molto at- te al colonnello al telefono, si mettevano sul- *** perché andava avanti con una miscela vata, del suo linguaggio iterativo e afasico, tratto da quella vena umoristica surreale, l’attenti. E Marenco, per ore, con l’occhio da *** Il poeta Marius Marenco, che “compone esplosiva fatta di campari e caffé, una sbob- del suo ascolto epidermico e trasversale”. andai a vederlo quattro o cinque volte”. pazzo, li teneva inchiodati con particolari Gianni Boncompagni: “Renzo ti raccon- le sue poesie altamente rappresentative ba, una robaccia che lo caricava e lo ren- assolutamente superflui, inutili, disinteres- terà che ero molto bravo a farci aumentare della vita d’oggi”. Segue testo poetico: “Tu deva euforico e pimpante, una sua droga sati, rievocava in continuazione il movi- i soldi del contratto. Nonostante fossimo sei un bancario/ che la mattina alle otto/ personale. Un’euforia cialtronesca di diffi- *** IL FOGLIO QUOTIDIANO *** mento ondulatorio del lampadario centra- stati chiamati a rapporto perché arrivava- esci di casa e vai in banca/ Tu all’una esci cilissima gestione, quella di Marenco, che Fu pubblicato in volume “Il meglio di Al- Fu l’epica di Scarpantibus che squittiva. le sul tavolo centrale nella sala centrale no lamentele. Ci diceva il funzionario Rai: dalla banca/ e vai a casa/ Tu alle tre esci di del resto ancora oggi è difficilissimo da ge- to gradimento” (edizioni Rizzoli). Prefazio- Fu l’inutile affannarsi della povera Sga- della caserma Zanzibar, dettagliava che era vi dico mai niente, ragazzi? Ma sapete chi si casa/ e vai in banca/ Tu alle cinque esci dal- stire. Il suo tiraggio è stata la nostra milizia, ne essenziale dei conduttori: “Avete pro- rambona, “per questo io vado dal mio ami- in presenza dell’attendente Russolillo – e è lamentato? Il Capo di Stato Maggiore. Che la banca/ e vai a casa/ Ma cosa fai? Ma dove il nostro servizio militare. Tuttora lo riven- blemi di investimenti? Non sapete come in- co Roger che è bello e atletico, dal mio ami- che cazzo gliene fregava a quelli della pre- c’è scritto qui? Il generale X. E qui? Il sot- vai?/ Sei sempre in orario o bancario/ come dichiamo come motivo della nostra attuale vestire il vostro denaro? Inviate vaglia po- co alpino dalla penna nera che pensa sem- senza dell’attendente Russolillo? – e che il tosegretario degli Interni Y. Vi ho mai det- su un binario…”. Notevole, nella saga di Al- stanchezza senile”. Pure di altra faccenda, stali a: Renzo Arbore e Gianni Boncompa- pre alla gloria e alla baldoria, e dal mio medesimo attendente Russolillo aveva no- ti niente? Ma adesso basta, non ne posso to gradimento, “Il ballo di Peppe”, dei Cu- sempre “a proposito della fraccomoda di gni”. Seguivano i relativi indirizzi, per l’i- amico ragioniere con la penna stilografica, tato quel movimento ondulatorio sempre più. Volete l’aumento? Vi do l’aumento. Ma gini di Campagna: “Questo è il ballo di Boncompagni”, dà testimonianza Arbore. noltro dell’auspicato obolo. (8. continua)

ANNO IX NUMERO 207 - I PAG sempre distinto e signorile. E poi c’è il ca- sopra il medesimo tavolo centrale della sa- levatemi di mezzo questi rompicoglioni, Peppe/ questo è il ballo di Peppe/ questo è “Fu l’inventore di una frase straordinaria. Stefano Di Michele RISTORIA DI UN ITALIANO / 9 Gianni e l’arte di precorrere l’inflazione degli scherzi

ella mia vita ho riso molto. Potrei pure ricordava dove aveva fatto questa cresi- devi suggerirgli di fare il contrario di quel- Naccontentarmi. Ho fatto tantissimi ma… Poi lui si era laureato a Napoli, quin- lo che vuoi, di fare la donna e fa l’uomo, di scherzi. Retaggio toscano. Oggi c’è l’inflazio- di passò un’intera settimana in quella città, fare il coso e fa la cosa, digli giusto e dice ne degli scherzi, pure nei programmi televi- in una bolgia pazzesca, bestemmiando dal- sbagliato… Perché c’è sempre questa eufo- sivi, ma io e Arbore siamo stati dei precur- la mattina alla sera, finché uscì fuori il so- ria cialtronesca, in lui. Fellini mi ritelefonò sori. Giochi e scherzi per me sono sempre spirato documento. Vagliammo l’ipotesi di sfinito: scusa, ma è difficilissimo lavorare stati fondamentali” (Gianni Boncompagni) chiedergli il certificato di verginità, ma for- così”. E arrivò Marcello Mastroianni. se non ci sarebbe cascato, e addio scherzo. Gli abbiamo fatto fare tanti di quei docu- *** menti assurdi, tutti quelli possibili e im- *** Da ragazzino, ad Arezzo, vittime degli maginabili. Viene da riderci solo a ripen- A proposito di scherzi (poco) graditi. Ad scherzi di Boncompagni studente erano i sarci. Intanto mi consultava: che dici, la Alto gradimento – che opportunamente l’E- calli dei contadini aretini. Succedeva così: prendo bianca questa Cinquecento? Va be- spresso chiamava Alto sfottimento – veniva “Avevamo la cartella di scuola, con dentro ne per il caldo, si sporca di meno. E io: sì sì, usata la voce di alcuni politici del tempo dei libri pesantissimi, come il Campanini- fai bene, colore perfetto”. per rispondere a domande, diciamo così, Carbone, il vocabolario di latino. Il sabato non proprio brillanti. Il Popolo, quotidiano era giorno di mercato, tutti i contadini del della Dc, si indignò per conto di Fanfani. circondario venivano su lungo corso Italia, *** Che invece, da aretino ad aretino, telefonò con ai piedi dei sandalacci. Sostituivo i li- Il seguito della storia. “Gli dissero che a Boncompagni per dirgli che lui si diver- bri della cartella con otto pesantissimi doveva andare a ritirare questa macchina tiva molto e che non s’indignava affatto. Ha mattoni, tanto pesanti che alla fine nean- il sabato mattina alle otto, al concessiona- raccontato Renzo Arbore a Menico Caroli che si riusciva a tenerla in mano. Quando nel libro “Proibitissimo! Censori e censu- incontravo la mia vittima, facevo finta di rati della radiotelevisione italiana” (Gar- inciampare, e la cartella mi cadeva sui pie- Facendo finta di essere la Rai, zanti): “Non si divertivano invece i mega- di del poveretto, che cominciava a urlare dirigenti Rai, che ci imposero l’alt. Dopo il di dolore. Ma non reagivano mai in manie- chiamavamo le persone di notte e gli caso Fanfani ci recammo da loro e gli chie- ra troppo cattiva, perché psicologicamente facevamo un quiz un po’ scemo. demmo: visto che i politici non amano es- non si spiegavano come una cartella di sere sfottuti o, per meglio dire, che la Rai scuola potesse far così male: erano solo li- Riuscì anche con Marenco non ama che ciò avvenga, se noi vi portia- bri… I calli! i calli!, strillavano. Guardava- mo una lettera firmata da questi personag- no la cartella, restavano perplessi. E se ne rio Fiat che stava alla Magliana, portando- gi, ci concedete di continuare? Risposero andavano con il piede dolorante”. Altro si dietro tutti i documenti che aveva fatto. di sì. Così andai personalmente di politico scherzo adolescenziale (e come dice Paz- Era inverno. Mi chiese di accompagnarlo. in politico a farmi firmare una ‘licenza di zaglia, qui il livello è basso). C’era un tipo, Alle sette di mattina? Col cazzo, risposi. sfottò’. Firmarono tutti, tranne Maladodi”. un play boy di paese, tutto fighetto, che Vai con un taxi, tanto poi torni con la mac- quando arrivavano le compagnie di avan- china che hai vinto. Dai, che hai avuto una spettacolo tentava sempre di rimorchiare culata! Questa sede della Fiat l’avevamo *** le ballerine, prendeva appuntamento e le scelta apposta, stava fuori dal mondo, dopo Che poi, c’è scherzo e scherzo. E ci sono aspettava fuori dal teatro con una Lancia il raccordo anulare. Un posto in campagna, scherzosi e scherzanti. Rammenta bene scoperta, dandosi grande arie. “Con i miei la strada piena di pozzanghere, pioveva a Boncompagni: “Ad Alto gradimento face- amici ci procuravamo un po’ di merda diluvio. Marenco prende il taxi. Poi ci rac- vamo l’avvocato ubriaco il lunedì, dopo le umana, prodotta da noi stessi. La stende- contò che il tassista si era insospettito pri- partite, che gridava: Juve! Juve! Juve! Una vamo sulla maniglia, sui sedili, sul volante, ma di lui. Guardi che oggi la Fiat è chiusa, sera squilla il telefono di casa, alzo la cor- e ci nascondevamo aspettando l’effetto. La gli diceva. No, rispondeva sicuro Marenco, netta e sento: Juve! Juve! Juve! E io: oh, ra- ballerina esce, quello fa un gran sorriso, ho un appuntamento con l’ingegnere, mi gazzi, chi è al telefono? Niente, solo: Juve! intanto allunga la mano per aprire la por- devono dare una Cinquecento, ho qui tutti Juve! Juve! Poi sento la voce di Luca Cor- tiera… Brutto, eh?”. i documenti, che scherziamo. Tra pozzan- dero di Montezemolo, che conoscevo da ghere orrende, finalmente arriva a questa tempo: Gianni, è l’Avvocato. Era Gianni Fiat. Paga una mazzata spaventosa al taxi, Agnelli. Simpatico, in seguito l’ho visto una *** gli si presenta davanti agli occhi un deser- volta a Torino, quando facevo il consulen- Molti, ma molti anni dopo. “Con Arbore, to totale. Suona, e finalmente arriva l’uomo te per la Fiat”. Altra storia che verrà. che in questo genere di iniziative era una della vigilanza. Buongiorno, sono l’archi- colonna, abbiamo fatto a Marenco lo tetto Marenco, ho un appuntamento con scherzo Svegliati e vinci. Avevo a casa tut- l’ingegnere, devo ritirare la Cinquecento *** ta l’attrezzatura per simulare uno studio che ho vinto… Il vigilante: è chiuso. Ma- Resoconto ammirato di Silvana Giacobi- radiofonico. Facendo finta di essere la Rai, renco: lo so, ma lei mi chiami l’ingegnere, ni nel volume “Celebrità” (Mondadori), in chiamavamo le persone di notte (perciò ho tutti i documenti… Quello: non c’è nes- merito alla strumentazione presente in ca- sveglia), gli facevamo un quiz un po’ scemo, suno, è sabato. Marenco: lo so che è sabato, sa Boncompagni per gli scherzi telefonici e e alla fine annunciavamo che avevano vin- ma sono l’architetto Marenco, chiami l’in- per un’adeguata presa per il culo: “Gianni to un premio (dunque vinci). Funzionò in- gegnere… Il vigilante: ma chi chiamo, che era armato di dischi che riproducevano con credibilmente anche con Marenco, al qua- non c’è nessuno? Marenco poi raccontò grande fedeltà i suoni più diversi: la piog- le chiedemmo i nomi di dieci capitali”. che fu in quel momento esatto, sotto sec- gia e i temporali, corredati di tuoni e scro- L’architetto, compare di cazzeggio di Arbo- chiate d’acqua gelida, che capì che era sta- sci impetuosi; i rumori di una stazione, con re e Boncompagni, inventore dell’epica del annessi fischi di locomotive, sferragliare di colonnello Buttiglione, risultò così vincito- treni e brusio di fondo; il vocio dei mercati re di una Cinquecento. “La mattina dopo Ad Alto gradimento veniva affollati; lo squillo di telefoni impazziti, e mi chiama tutto eccitato: Gianni, stanotte tutto ciò che la quotidianità può offrire co- mi hanno telefonato quelli di Svegliati e usata la voce di alcuni politici del me sfondo acustico”. Poi si procedeva alla vinci, mi hanno fatto delle domande e ho tempo per rispondere a domande, selezione della vittima scegliendo sull’e- vinto una Cinquecento. Io facevo il per- lenco telefonico, “dando la preferenza ai plesso: ma sei sicuro? non sarà uno scher- diciamo così, non proprio brillanti nomi preceduti da un titolo o da una quali- zo? Prova a telefonare a Paola”. Paola era fica e soprattutto dagli appartenenti all’al- la segretaria di Maurizio Riganti, dirigente to tutto uno scherzo. Bestemmiando come ta gerarchia militare. Se trovavano un ge- della radio oltre che complice di Boncom- un ladro si avviò a piedi sotto la pioggia nerale impazzivano di gioia…”. pagni e Arbore. “Lui chiama. E Paola: ah, lungo uno sterrato di campagna, in mezzo benissimo, Marenco… Sicuro, ha vinto, ma al fango, finché trovò la fermata di un Anni Sessanta. Gianni Boncompagni a casa sua, con tenda e telefono svedesi (foto Farabola) mi deve portare i documenti. Dunque, mi tram…”. *** serve il suo certificato di cresima… Ma- Il tempo degli scherzi è durato molto e ta una macchina cabriolet, di quelle enor- to… Bracardi: ma no, che bombolotto, solo un po’ surreali, dadaisti più che scherzosi, renco: il certificato di cresima? Paola: sì, lo dura ancora. Simpatici, divertenti. Ma an- mi e scoperte, abbiamo chiamato Don Lu- l’antenna, mannaggia… Beh, allora chiama come quando si attraversava la strada fa- so, è una scocciatura, ma qui alla Rai sono *** che crudeli, dissacranti. Tecnica affinata rio e l’abbiamo fatto sedere a fianco della F. Questo F. era un nostro amico, bravissi- cendo il cane, “bau bau”, o come quando tutti mezzi preti… Poi mi serve la laurea… Su Marenco, “per la storia, non per Bon- da perfetti rompicoglioni. Alcuni mai rive- nostra finta Liza Minelli, e poi su e giù per mo antennista… La mattina dopo Bracardi l’architetto proponeva: andiamo a fare gli Marenco: la laurea? per una macchina? compagni”, racconta Arbore di quando lo lati, in seguito, come scherzi. Comunque via Veneto. Arrivarono mucchi di fotografi, arriva in studio. Mi ero messo d’accordo impiccati? Che era poi semplicemente que- Paola: beh, cosa vuole, questa è la norma- voleva Federico Fellini (pare uno scherzo, sempre architettati con assoluta dedizione un mare di gente, telecamere, giornalisti. E con i tecnici, che per l’intera giornata non sto: appendersi con una mano, reclinando tiva del concorso… Per capire il colpo di ma scherzo non è). “Fellini si innamorò di prima, e competenza poi. Ne ricorda alcu- la nostra amica ballerina, che non sapeva parlano d’altro: oh, hai visto quella alla pe- la testa come se si dormisse, ai ponteggi in genio, bisogna ricordarsi che il papà di Ma- Marietto, come lo chiamava, e gli voleva far ni, e siamo già negli anni Ottanta, Giancar- una parola di inglese, si limitava a mormo- coriana? perché, l’orgia con quindici ne- giro per la città, da piazza di Spagna a piaz- renco era un colonnello della Guardia di fare La città delle donne al posto di Mar- lo Magalli. “Lavorava con noi una balleri- rare ‘yes, oh yes’ a tutti quelli che incon- gri? e quella col cavallo? e l’ammucchiata za Navona, solo per vedere le reazioni del- Finanza, che aveva girato per lavoro tutta cello Mastroianni. Lo chiamava, si incon- na, Elena Berera. Molto brava, ma con una trava”. Un altro scherzo, certo diverso. “Il la gente. “Qualcuno passava di corsa, pen- l’Italia, e nessuno si ricordava più in quale travano a piazza del Popolo. Mario mi dice- caratteristica: somigliava moltissimo a Li- giorno dopo la morte di Willy De Luca, di- sando di avere a che fare con un matto, al- città fossero con precisione questi docu- va: ma che vorrà, ’sto Fellini da me… Mah, za Minelli. Con Boncompagni l’abbiamo rettore generale della Rai, ci sarebbero Memorabile la manovra di cui fu tri restavano a bocca aperta, a guardare”. menti. Il certificato di cresima era un vero ti starà esaminando, rispondevo. Mi te- portata da un truccatore Rai, abbiamo ac- stati i funerali. Chiamiamo la sezione truc- Un (fenomenale) anticipo di reality show. capolavoro: Marenco cominciò a vagare lefonò Fellini: dimmi, come fai a far fun- centuato la sua somiglianza, abbiamo av- co dell’azienda, io mi spaccio per un diri- vittima Bracardi a proposito di per le più svariate parrocchie perché non zionare Marenco? E’ molto semplice, dissi: vertito i fotografi… Quindi è stata rimedia- gente del settimo piano. Dico: bisognereb- Teletabù. “Ancora oggi non crede be andare a truccare il direttore generale. *** Sapete, ci saranno anche le autorità, al fu- sia stato uno scherzo organizzato” Raffaella Carrà nega di essere stata vit- nerale… Un responsabile del trucco pren- tima degli scherzi dei suoi amici. Ma Bon- de la cassetta e via di corsa per truccare la che roba, eh? Bracardi stava con gli occhi compagni rammenta: “Avevo comperato in salma. Solo quando arriva lì davanti, capi- di fuori. Ma dove? Ma dove? Là, tra Gbr e America alcuni dischi che riproducevano sce che era tutto uno scherzo”. Teleroma 56. Era disperato: ma non vedo temporali terribili, tuoni, acqua a valanga, niente… Forse l’antenna non va bene, hai oppure rumore di traffico impazzito, sire- sentito F.? Con il quale intanto ci eravamo ne, schianti di incidenti stradali. Effetti *** messi d’accordo: devi dire a Bracardi che speciali che in Italia non aveva nessuno. Memorabile la manovra di cui fu vittima la sua antenna non funziona, che deve met- Chiamavo Raffaella al telefono, magari in Franco Bracardi. Quando lo racconta Bon- tere sul tetto un traliccio; e una parte la pa- Sudamerica: qui un disastro, senti, si è al- compagni ride ancora quasi fino alle lacri- ghiamo noi, una parte la deve pagare lui. lagato tutto, l’acqua è sopra ponte Milvio! me. “Era il tempo di Discoring. Con Bra- Bisogna riconoscerlo, era una bella mazza- Oppure: un incidente orrendo, un mare di cardi facevamo insieme dei pezzi. Nello ta economica. F., persona seria, non ne vo- autoambulanze, ci sono un sacco di morti! studio avevo, un po’ camuffato in un ango- leva sapere, ma siccome eravamo tutti suoi E lei: oh Madonna, oh Madonna… Da casa, lo, un videoregistratore. Un mio fornitore clienti, con le buone e con le cattive lo ab- io e i miei amici ridevamo come matti. di primizie elettroniche mi aveva regalato biamo convinto. Figurarsi Bracardi: un tra- Gliel’ho fatto diverse volte, questo scherzo. una cassetta porno, una delle primissime liccio? Madonna, e quanto costa? Costa- E lei ha sempre abboccato. Sempre”. in giro, con scene spaventose, da far arros- va… Infine piazzano questo traliccio enor- sire un ergastolano. Sul video c’era un mar- me, altissimo. Niente, Bracardi prendeva chio, una specie di titolo: Teletabù. Era il tutto, pure la televisione turca, ma Tele- *** tempo delle prime televisioni private, ri- tabù no. Mi chiama: oh, non si vede niente. Un pezzo forte era il tarantolato, espres- cordo Gbr e Teleroma 56. Per cambiare ca- Devi aspettare la notte, dico, sai, quelle co- sione somma di Giorgio Bracardi. Dice Bo- nale, per sintonizzarsi, bisognava girare se le fanno di notte… La mattina dopo ar- nompagni: “Spesso lo faceva nei corridoi una rotellina. Insomma, eravamo in studio riva in studio. I tecnici, come al solito, fan- della Rai: si gettava a terra, pancia all’aria, con i tecnici, mettiamo questa cassetta, un no capannello: oh, visto quella? e il negro? e cominciava a ruotare su se stesso. Pazze- po’ la guardiamo, un po’ giriamo la rotelli- e il pompino? Ecco Bracardi. Tutti noi: al- sco, nessuno fa ridere come Bracardi. In- na per vedere le altre televisioni. Entra lora? E lui, con la faccia innocente: beh, sì, torno, tutti i tecnici in camice bianco. Do- Bracardi e gli si para davanti la scena di qualcosa ho visto, con un po’ di nebbia per po diversi minuti di questa strepitosa esi- SABATO 31 SABATO LUGLIO 2004 un pompino. Lui comincia a balbettare: od- bizione, arrivavamo io e Arbore, con una dio, oddio, avete visto? Noi: che succede? grande croce fatta di tubi, ricoperta di na- Implora: torna indietro, torna indietro! Era Un pezzo forte era il tarantolato, stro adesivo bianco. L’appoggiavamo sul ta- allibito, Franco: Madonna! Ma che cos’è? espressione somma di Bracardi. “Si rantolato e iniziavamo gli esorcismi. Ci di- Noi, facendo i finti tonti: ma cosa? Lui: vertiva moltissimo. In fondo a quel corri- quello!, e indicava le immagini del video di gettava a terra, pancia all’aria, e doio c’erano gli uffici dei corrispondenti Teletabù. Diciamo: niente, una televisio- cominciava a ruotare su se stesso” stranieri. Un giorno, mentre eravamo in-

IL FOGLIO QUOTIDIANO ne… Una televisione? E che razza di tele- tenti nella pratica, passano i due della visione è?, domanda Bracardi. Risposta: Bbc, certi tipetti con i baffetti da inglesi. Ci mah, la dovresti prendere anche tu, se ti la verità, ma qualcosa ho visto. Pur di non guardarono con aria stravolta. So per sicu- sintonizzi tra Gbr e Teleroma 56… Bracar- ammettere una nuova sconfitta sul fronte ro che hanno informato Londra su queste di finisce il lavoro, corre a casa come un di Teletabù. Ancora oggi Franco non crede gravi e deplorevoli forme di arretratezza razzo. Dopo un po’ mi telefona: ma qui, tra che sia stato uno scherzo organizzato”. culturale presenti ancora in Italia. Dove Gbr e Teleroma 56 non si vede niente, man- addirittura nei corridoi della radio nazio- naggia, mannaggia… Gli dico: mah, forse la nale si praticavano persino gli esorcismi”. tua antenna non ce la fa, ce l’hai il bombo- *** (9. continua).

ANNO IX NUMERO 210 - I PAG Gianni Boncompagni con la sua Mini Morris (foto Farabola) lotto? All’epoca c’era il famoso bombolot- Con Marenco, c’erano poi quei momenti Stefano Di Michele RISTORIA DI UN ITALIANO / 10 Filosofia di Gianni, il comunista consumista anticlericale

el comunismo, di Dio, del Cav. (con mol- gente ha ammazzato quel simbolo, quanti lavoravamo insieme è riuscito a entrare an- Dti annessi, i soldi, e pochi connessi, la ne ha fatti fuori, quanti ne ha fatti soffrire, che nella mia vita onirica: non solo lo ve- politica), del cibo e di altre sciocchezze. Ove quante persone non hanno vissuto per col- devo di giorno, ma lo sognavo anche di not- il cazzeggio di Gianni Boncompagni si fa fi- pa della religione e di assurdi precetti… te. Socialmente non fa il simpatico, ma losofia, sfiora i cieli della teologia, un po’ Che poi, anche questa storia dell’astinenza simpatico lo è, molto pieno di contraddi- scuola di vita e molto sega dalla scuola di vi- sessuale, completamente innaturale: tran- zioni. Gianni è un lusso, una delle persone ta. Ove la meditazione incrocia il conto in ne il caso di alcuni preti tedeschi, forse ve- più divertenti che abbia mai conosciuto. banca, Giorgio Amendola s’accosta a Silvio ri asceti, perché tanti si scoprono omoses- Generoso quando meno te lo aspetti, leale Berlusconi, la visione di vita ai quattro sal- suali? L’unica religione sessuofobica, quel- e mai mediocre. Sul lavoro è anche infanti- ti in padella e l’afflato al socialismo alla ne- la cattolica, a parte l’Islam, che poi è ses- le: se una cosa non gli viene subito o subito gazione del consumistico frigorifero. suofobica per modo di dire, quelli c’hanno non è possibile, si stufa, basta, non ne fa niente. Come i bambini, non ha il senso de- gli altri, offende senza rendersene conto. *** “Prima di essere uomo sono Tiranneggia, ma con charme”. Analisi del- Dice Boncompagni che di lui dicono che ateo… La religione è una delle più la personalità di Gianni svolta da Ambra: è comunista, “alla Rai mi hanno sempre “Forse cerca un distacco dai suoi anni. Con considerato comunista”. Ma dice pure, Bon- grosse bufale della storia…fin da Irene abbiamo anche pensato di fargli uno compagni, che “ogni tanto ho questa cosa scherzo: suonare, scappare di corsa, lascia- qui, anche se adesso è tutto cambiato: sono bambino non credevo a niente” re davanti alla sua porta un cesto con den- un po’ comunista, ma una cosa all’acqua di tro Jolanda, la mia bambina, e riprenderlo rose”. Spiega: “Non sono un fanatico, però lo poligamia, è sessuobofica solo per le di nascosto con una telecamera. Quando quando c’era Berlinguer e vincevamo le donne, mica per l’uomo…”. Problemi di re- l’ho conosciuto, soffrivo un imbarazzo paz- elezioni andavo sempre a festeggiare sotto ligione, dice Boncompagni di non averne zesco nei suoi confronti, ancora faccio fati- Botteghe Oscure”. Racconta che tra i co- mai avuti. “Ma per carità! Né problemi né ca se devo pensare a lui come a un amico. munisti che ha frequentato, quello che più dubbi. Cito sempre Voltaire. Gli dicevano: Una divinazione, non sono mai riuscita a lo colpiva era Giorgio Amendola. “Un tipo se Dio non ci fosse, bisognerebbe inventar- renderlo umano. Un incontro unico che ti illuminato, sono andato diverse volte a ca- lo. E lui rispondeva: beh, proprio quello che toglie l’incontro con i sogni, con quello che sa sua con Giorgio Cingoli, direttore di Pae- hanno fatto. Di solito, quando mi domanda- può ancora accadere. E’ una persona spe- se Sera, che era un comunista moderno. E no cosa sarebbe un uomo senza fede, ri- ciale, lo adoro, anche se ora non lo vedo poi c’era pure l’editore di Paese Sera, Ame- spondo che sarebbe come un pesce senza quasi mai. Non riesco a reggere un rappor- rigo Terenzi, altro signore a modo, molto in bicicletta. Un paradosso, ma siccome lo di- to così bello. Ciò che ha fatto nella mia vita gamba, moderato, non fanatico, non reli- co con tono serio e pensoso, la gente resta a è impensabile, più che nel lavoro, mai riu- gioso”. Frequentando la redazione di Pae- pensarci sopra, a cercare un senso… Non ri- scirò a ringraziarlo abbastanza. Ma di per- se Sera, Boncompagni conobbe anche un cordo nemmeno se la definizione l’ho in- sona non glielo dico neanche sotto tortura”. redattore del giornale di Cingoli, gagliardo ventata io o l’ho trovata in qualche librino (e francamente esagerato) militante della di aforismi. Comunque, mi pare buona”. causa. “Non aveva nemmeno il frigorifero a *** casa, perché diceva che lui era contro il Se il Cav. abbia dei sospetti, sul comuni- consumismo americano. La moglie lo vole- *** smo di Boncompagni, o se miracolosamen- va ammazzare. Per anni sono andati avanti Sistemato, diciamo così, il Principale, a te lo vede trasformato in una sorta di Ador- così. Io stupefatto gli chiedevo: scusa, ma passo di carica Boncompagni passa ai suoi nato, sulla strada della redenzione, non si come è possibile? E lui, senza fare una pie- rappresentati terreni, in una vasta gamma sa. Gianni riconosce: “Mi ha dato un sacco ga: no, a me non mi fregano, gli americani che va dal prete propriamente detto al de- di soldi”, ma è dubbio che gli abbia dato col frigorifero non mi fregano. E avanti co- mocristiano impropriamente praticante. pure la linea politica. “Quando stavo a Me- sì. La moglie si lamentava sempre: a casa Con gli uni e con gli altri, lui dice che non diaset e facevo Non è la Rai mi sono trova- nostra è tutto caldo, si muore di caldo. Po- si mischia, “di sicuro, amici democristiani to benissimo. C’era Paolo Vasile, c’era Ber- vera donna. Sono i paradossi del comuni- ancora adesso non ne ho”, e assicura che lusconi che veniva sempre, che mi faceva smo religioso. Cingoli lo sfotteva sempre, “fin da bambino non credevo a niente, con dei regali. Lui mi ha sempre fatto sentire questo suo redattore esagerato”. A Gianni, i miei amici già ad Arezzo pensavamo che come un monarca, per cui è difficile par- che sui frigoriferi non lesina, e sulle como- si finisse sempre per cadere in qualche larne male. Lo dico sempre: mi ha trattato dità non transige, la cosa un po’ divertiva e trappola, partiti o religione o amore”. come nessuno al mondo mi ha mai trattato, un po’ stupiva. E adesso che il compagno Quando faceva la regia di Non è la Rai, in pagato non so come, sempre gentile, sempre Gianni Boncompagni è un ricco signore, una delle sue rare uscite mondane, “trasci- presente… Quindi che faccio, ora mi metto con ineccepibile logica domanda: “Scusa, nato dai dirigenti Mediaset”, Boncompagni a fare lo stronzo? E che me ne frega? Te- ma dovrei rifiutare i soldi che mi danno so- una sera finì all’inagurazione di una banca. lefonava sempre, passava a trovarmi, mi fa- lo per il fatto che sono comunista?”. “Era inverno, ero vestito con una specie di ceva un sacco di complimenti: meraviglioso, impermeabile con dei grandi fiori, all’epo- Boncompagni, meraviglioso. Pensatela co- ca vestivo un po’ così… Era un’inagurazio- me vi pare, ma lui è uno che si fa volere be- *** ne molto formale, piena di gente in pompa ne, generoso, generosissimo in tutte le sue Ride divertito Renzo Arbore: “Credo che magna. A un certo punto, mi presentano un prestazioni. Feci con lui un contratto molto il comunismo di Gianni sia un comunismo cardinale, di cui non ricordo proprio il no- forte, i capistruttura di Mediaset facevano di tipo toscano, non legato all’ideologia. me. Quello mi sorride, scruta il mio imper- storie per un po’ di soldi in più o in meno. Forse nasceva più che altro dal fatto che meabile e dice: ah, dottor Boncompagni, ve- Lui li chiamò: Boncompagni deve esserci non aveva grande simpatia per la Chiesa, do che è vestito in maniera piuttosto ardita. comunque… Cazzo, che piacere trattare con magari proprio perché da piccolo è stato E io a lui: scusi, abbia pazienza, ma lei si è un uomo del genere. Come faccio a parlar- dai preti. Una cosa aretina, il suo comuni- visto come si è vestito? C’era con me Paolo ne male? Mi ha dato tanti soldi, mai ha fat- smo, una cosa sulla quale io ho sempre glis- Vasile, il capo di Meadiaset a Roma, che to una cosa che non mi piacesse…”. sato, perché politicamente io sono a-comu- era diventato di sasso. Io insistevo con il nista. Secondo me, Gianni sapeva benissi- cardinale: mi perdoni, ma lei va in giro con mo che il comunismo era un bluff, però una tonaca, una crociona, una collana al *** quando Berlinguer vinceva le elezioni, lui collo, la fascia rossa, il cappellino in testa, Esempio di magnanimità biscionesca (e e Raffaella Carrà andavano insieme sotto un anellone al dito, e poi dice a me? Abbia quindi da intendersi berlusconiana), nei Botteghe Oscure a festeggiare. Insomma, un pazienza, osservi il suo, di abbigliamento. Il confronti del compagno regista Gianni Bon- fatto toscano. E pure romagnolo”. Ricorda cardinale per la verità era spiritoso, e la compagni. “Una volta mi chiesero di fare prese bene. Del resto, quello che avevo det- un programma con Alberto Castagna, che è to l’avevo detto senza cattiveria, con ironia, anche mio amico. Iniziai questo program- Tra i comunisti che ha anche se Vasile nel frattempo si era fatto di ma della mattina, che si chiamava Casa Ca- frequentato, quello che più lo mille colori, bianco rosso giallo e verde, tut- stagna. Feci la scenografia, poi inventai un to insieme. Il prete, al contrario, pareva di- giochetto, una cazzata, e dopo un po’, al colpiva era Amendola: “Un tipo vertito. Comunque, in confronto a lui, io massimo due settimane, non ne potevo più, sembravo rigoroso come un lord inglese”. era proprio una tragedia. Un giorno, in re- illuminato” gia, mentre andava in diretta la trasmissio- ne, di colpo sentii di non farcela più. Mi al- anche Arbore, gli amici “comunisti” di *** zai: scusate, ragazzi, basta così… E me ne Boncompagni, in particolare proprio Cin- Altro momento di eccelsa goduria bon- andai, lasciando tutto in mano all’assisten- goli, “una persona molto carina”. Aggiunge: compagnesca, alle prese con un prelato, fu te. Allora direttore di Canale 5 era Giorgio “Pur occupandosi Gianni di politica, tra di sempre al tempo di Non è la Rai. Racconta Gori. Mi disse: hai ragione, scusami, è stata noi non abbiamo mai avuto discussioni po- Ambra: “Abbiamo rischiato la scomunica, colpa mia, è evidente che questo è un pro- litiche. Io sono sempre stato su posizioni fi- altroché. E invece Gianni in quel periodo gramma con cui tu non c’entri un cazzo. lo-americane dichiarate, ma in fondo anche non riusciva a dormire la notte per quanto Scusami, disse ancora Gori. Dopo che io do- Gianni… Tutto ciò che arrivava dall’Ameri- se la godeva”. Prima il diavoletto che ce vevo essere preso a cazzotti, perché avevo ca per noi era un modello: ah, il film ame- l’ha con Occhetto, poi un cartello in studio, lasciato su due piedi la trasmissione. ricano; ah, quell’ultimo libro di quello scrit- “Ambra c’è”, che evocava “Dio c’è”. E un al- Avrebbero potuto multarmi, farmi storie. tore americano; ah, la musica, soprattutto tro cartello, “Ambra for God”. “E in più – Invece mi pagarono tutto il programma, fi- la musica, tutto il soul, il ritmo and blues… racconta oggi Ambra – c’erano i ragazzini no alla fine, eravamo solo all’inizio, da ot- Un Gianni Boncompagni devozionale (elaborazione grafica e religiosa dello stesso Gianni Boncompagni) Forse, rispetto a me, lui era più swinging sotto casa mia che pregavano, facevano tut- tobre a giugno: come regista, come autore, London, ma tutto qui… Ma l’America, per to quello che chiedevamo loro di fare in te- pure le musiche pagarono… Dico loro: no, do fu candidato senatore della Dc negli an- splendidi. E questi chi sono?, domandai. Mi dall’antipasto al dolce. Ah, la grandiosa in- entrambi, è sempre stata l’America”. levisione, erano pazzamente innamorati. ni Settanta, nel quartiere romano di Laba- spiegarono: è la nazionale italiana di pal- novazione dei quattro salti in padella… Per Loro giocavano, ma c’erano adulti che Se il Cav. abbia dei sospetti, sul ro-Prima Porta. Mi chiamò Luca Cordero di lacanestro. Commentai: ammazza, che ra- molti anni la Findus mi ha mandato da as- *** prendevano tutto sul serio. Così su Fami- Montezemolo e incontrai Umberto nella se- gazzoni! E quelli: guardi che sono donne. saggiare in anteprima i suoi prodotti, ero glia Cristiana il cardinale Tonini, mi pare, comunismo di Boncompagni, non de della Fiat di via Bissolati. Mi disse Luca: Mah, da qui a lì, mi confondevo… Andai più insomma un assaggiatore Findus, e dicevo Fatto sta che quando l’Unità ha compiu- parla della faccenda, forse evoca l’anticri- il dottore ha intenzione di andare a Laba- vicino: uomini, veri uomini… Ormai cono- loro il mio parere. Conoscevo anche il pre- to ottant’anni, tra gli auguri giunti in reda- sto, facendo intendere che il mio demonio si sa. Gianni riconosce: “Mi ha ro. Domandai: a fare che? Luca: un comizio. scevo l’autista che mi veniva a prendere, sidente dalla Findus, uno svedese… Per ca- zione ai compagni redattori, c’era anche era Boncompagni. Sentivo cose orribili su E io: ma a Labaro l’ammazzano! Te lo im- sempre lo stesso. Guidava e mi fissava dal- rità, sono un appassionato, un cultore. Ogni quello del compagno regista Boncompagni: di me: ero Satana, il diavolo, il 666. Un mo- dato un sacco di soldi” magini, un comizio di Agnelli, con tanto di lo specchietto. E in dialetto torinese ripe- tanto mi produco nel risotto alla pescatora, “Nasco lettore dell’Unità. Sono di Arezzo, mento ero cinica e ridevo come Gianni, poi baldacchino, a Labaro e a Prima Porta? teva stupito: ma vuole che l’Avvocato non ci vogliono almeno cinque minuti, dico si portava a scuola, eravamo un pacchetto avevo le reazioni di una bambina di tre an- ragazzi, questo è troppo. E Vasile: no, Gori Scusate, tanto il seggio è sicuro, e il dottore abbia i soldi, che gli manchi qualcosa? Ep- quando lo propongo… Mi piace mangiare, di amici comunisti. Una volta la nostra pro- ni. Mentre il parrucchiere mi faceva i boc- ha detto che è colpa sua e quindi sarai pa- meno si fa vedere, meglio è. E’ incredibile pure continua a lavorare tutti i giorni. Ma certo, ma non impazzisco per il cibo. Poi, fessoressa ci buttò fuori dalla classe pro- coli, prima di andare in trasmissione, co- gato. Posso mai lamentarmi di una cosa del che da soli non lo capiscano. Deve andare qualche soldo, dottor Boncompagni, l’avrà sono astemio, mi perdo tutta questa cosa prio per questo. E’ una testata che mi ri- minciavo a piangere come un vitello. E genere? Mamma mia, che signorilità…”. in mezzo alla gente, gli dicevano i suoi. pur messo da parte, no? Niente, lavora…”. del vino per cui tutti impazziscono… E ho corda cose bellissime, quindi auguri”. Boncompagni, esaltato: ma che piangi, sei Agnelli in mezzo alla gente? Cose da pazzi. sempre cinquanta ghiaccioli in frigorifero, una divinità, i giornali sono così, gli attac- Luca mi guardava con gli occhi sbarrati”. sono un ghiacciolista fanatico… Quando chi saranno sempre più forti. Si divertiva *** *** stavo con la Carrà, invece, c’erano tonnel- *** come un matto, io mi disperavo. Chiedevo a E non che le comunicazioni tra il regista A un idraulico che una volta fece un late di stracchino dappertutto, pane e strac- Ma forse ha ragione Arbore. Trattasi di mia madre: mamma, ma non posso più fare comunista e il futuro presidente operaio *** pronto intervento in casa sua, Boncompa- chino, stracchino e pane…”. Conferma Raf- comunismo toscano, specificatamente are- la comunione? non posso più entrare in fossero facilissime. “Berlusconi telefonava Dal dottore alla ditta. Al tempo di Alto gni cucinò i paccheri. Surgelati, s’intende. faella: “Ogni tanto gli faccio io da mangia- tino, sostanzialmente anticlericale. Perché chiesa? E Gianni godeva e rideva come un spesso in trasmissione. Vasile rispondeva, gradimento, Gianni Boncompagni diventa re, magari un ragù, lo invito a cena e man- i preti, a Boncompagni, più dei padroni di- pazzo. Poi un giorno mi ammalo. Mi arriva e poi, inevitabilmente: dottore, le passo anche consultente della Fiat. “Mi chiama- gia come Dio comanda. Di solito lui fa del- spiacciono. “Lì ad Arezzo il Pci era l’unico un mazzo di rose rosse dal Vaticano. Erano Boncompagni. Soltanto che lì dove regi- va la segreteria del capo della Fiat auto: al- Il cibo degno, è sua opinione, l’ottimo pesce fresco Findus surgelato cot- partito che appoggiava un po’ l’anticlerica- del cardinale, mi chiedeva gentilmente scu- stravo c’era solo questo telefono di merda, lora, martedì mattina l’aspettiamo. Io an- deve essere congelato. “Ho sempre to a vapore, tutto è Findus, a casa di Gian- lismo, anche se era un anticlericalismo sa se mi aveva ferita, ma invitava a non far- mezzo rotto, non si capiva. Berlusconi par- davo a Torino in vagone letto, registravo la ni. Mangia sano, ma un po’ da ammalato, se- MERCOLEDÌ AGOSTO 4 2004 molto moderato, perché i comunisti di mi strumentalizzare. Gianni? Come al soli- lava a bassa voce, io sono mezzo sordo, e co- trasmissione e partivo. Erano delle riunio- avuto la fissa della Findus… e sono condo me. Ti salvi solo d’estate, quando or- Arezzo erano moderati, c’erano tanti catto- to, continuava soltanto a divertirsi”. sì non sentivo assolutamente nulla. Ogni ni che cominciavano alle nove e alle dieci ganizza qualche grigliata in terrazza. In lici tra di loro. Se esageravano, gli elettori tanto facevo: ah-ah-ha, una specie di risati- era tutto finito. Non servivano a niente. Mi ghiacciolista fanatico” compenso, divora gelati come un pazzo”. li sfottevano. Io lo dicevo sempre al mio na, sperando che lui stesse raccontando domandavano: Boncompagni, lei che ne di- amico Bubi, che era segretario dei comuni- *** una barzelletta. Poi ripassavo Vasile: guar- ce? E io: mah, sì, insomma borbottavo qual- Che col surgelato, molto Boncompagni a sti: vergognatevi, voi state con la Chiesa”. E Analisi della personalità di Gianni Bon- di dottore che Boncompagni non ha capito cosa… Però, a ripensarci, ho detto anche al- sua volta s’intende. “Mi disse che erano *** se l’azienda (appunto nel senso di Chiesa) compagni da parte di Irene Ghergo, da ol- nulla, prima di tutto perché è sordo, e poi il cune cose importanti, ho trovato dei nomi buonissimi, meglio di quelli che preparava Non tutti purtroppo apprezzano tanta de-

IL FOGLIO QUOTIDIANO gode di pochissima simpatia, pure alla sua tre vent’anni autrice dei suoi programmi: nostro tefefono non funziona. E ogni volta alle macchine, ho fatto tutte le loro con- sua moglie”. Perché il cibo degno, è sua dizione. Racconta Irene Ghergo: “Quella ragione sociale (il Padreterno, detto con “Ho passato con lui più tempo che con questa storia: dieci minuti al telefono con vention qui al palazzo dello sport: la Punto, opinione, deve essere ben congelato, otti- per i surgelati è vera fissazione. Una sera, ogni rispetto) non va meglio. Alternativa- qualsiasi altro uomo nella mia vita, è stato Berlusconi senza mai sapere cosa stesse di- la Panda, la Uno… Quando arrivavo a Tori- mamente surgelato, benissimo conservato. a cena da lui c’era pure Paolo Villaggio. mente, Boncompagni sostiene tanto “prima il mio matrimonio più lungo. Se sei debole, cendo. E a nessuno che venisse in mente di no mi venivano a prendere alla stazione “Ho sempre avuto la fissa della Findus, la Gianni si dava molto da fare, andava avan- di essere uomo sono anticlericale”, quanto Gianni prende il fugone, la sofferenza lo in- cambiare quel telefono di merda…”. con una 130. Il conducente diceva di essere cultura Findus. In Svezia c’erano molti sin- ti e indietro con tutte le sue specialità sur- “prima di essere uomo sono ateo”. Analisi quieta. Credo che questo suo rimuovere tut- l’autista dell’Avvocato. Arrivavo alle otto, gle, non facevano i manicaretti in casa. E gelate. Nonostante questo, Villaggio non e invettiva: “La religione è una delle più to gli procuri qualche disagio, perché non è mi portavano al Principe di Piemonte, que- poi, il mondo sta andando in quella dire- gradì: ogni portata che Gianni gli porgeva, grosse bufale della storia. Quanta gente ha una persona insensibile, anche se ha una *** sto albergo immenso dove non facevo nien- zione, questo è l’andamento. Avevo dei fri- lui si girava e la buttava dietro di sé, con fregato, nel corso dei secoli, questo fatto… sorta di pudore totale, non concede quasi “Tra le mie macchie nere, ho fatto da te, solo una gigantesca colazione. Una volta goriferi pienissimi di surgelati, pronto a fa- gran rumore di piatti rotti”. (10. continua)

ANNO IX NUMERO 214 - I PAG La religione cattolica, soprattutto. Quanta nulla. Poi, è una persona entrante. Quando consulente anche a Umberto Agnelli, quan- vidi la sala piena di ragazzi bellissimi, re una cena per venti persone, in mezz’ora, Stefano Di Michele RISTORIA DI UN ITALIANO / 11 Gianni e le donne,una questione di “amore compagnone”

h, le donne, le donne, le donne – e to, la situazione si fa irrevocabile, ogni via la carne in putrefazione, che aspettano sol- Avabbé ci si può pure stare. Ah, l’amore, di fuga è preclusa. Successe con una pre- tanto che l’avvoltoio le mangi. Ha sempre l’amore, l’amore – e non facciamo scherzi, sentatrice televisiva trentenne (il nostro di fatto questa cagata qui. Una volta era di- lasciamo perdere. Sostiene Gianni Bon- anni ne aveva sessanta) che in ogni modo ci magrito di trenta chili, voleva tornare gio- compagni: “Con le donne ho un buon rap- provava, “faceva orrende cene macrobioti- vane, non amava l’età che aveva. Io ero già porto, con loro mi prendo bene. Meglio che”, una sera dopo l’altra, finché siamo al vecchia, per lui. La vecchia Ambra, mi chia- prendersi con le donne che con gli alpini”. dunque, la signora è nella posizione fisica mava”. E racconta, Ambra, che in cucina Sostiene anche: “Non mi interessa la donna e filologica della Gradisca felliniana. Reso- Gianni aveva attaccato un cartello. “C’era navigata: sono già navigato io”. Sostiene in- conto di Gianni: “Non sapevo come fare, scritto: il presidente della Repubblica atte- fine: “Perché agitarsi tanto? Non è che cam- ero nell’angolo. Le dissi: hai notato che so- sta ufficialmente che Gianni Boncompagni bi qualcosa”. Cavare a Boncompagni la pa- no un po’ a disagio, reticente, tu hai è magro. Non per gli altri, ma per se stesso. rola amore è impresa sfiancante e inutile. trent’anni… Ovviamente mi riferivo al fatto Io lo adoravo, ingrassavo e dimagrivo. Lui, Siccome sulla linea d’orizzonte dell’amore che aveva già un’età avanzata. Quella inve- sconsolato, ammetteva: Ambra, non c’è pos- teme di incrociare il dolore, lui osserva il ce capì che il problema erano i miei, di an- sibilità, per dimagrire bisogna non mangia- panorama da lontano. Il gioco (forse). Il so- ni: ma no, figurati, anche se c’è una diffe- re. Veramente instancabile. Se gli facevo gno (forse) mai. Lui ironizza con sperimen- renza…”. E dunque? “Dunque niente, ho vedere qualche sua coetanea, replicava: ma tato cinismo, ma chi lo conosce dice che dovuto tenere la parte. Lei non capiva, io ri- chi è ‘sta vecchia che sta per morire? Gian- probabilmente è solo paura. “Non posso schiavo di passare per impotente”. Quando ni è francamente convinto delle cose che pensarmi innamorato, geloso. Penso alle il destino non dà scampo. Ma è più invidia dice, poi sta a te capire se è vero o è una ca- storie dei miei amici che non dormono più, o moralismo, quello che circola nei con- gata. Una volta l’anno abbiamo un ritorno bevono, fumano, prendono qualsiasi cosa… fronti dei rapporti boncompagneschi? di fiamma, ci incontriamo, ma adesso che Non sono tagliato per questo genere di sof- “Forse è soprattutto moralismo. Ma credo ho una figlia sono proprio fuori target… E’ ferenza…”. Dice Irene Ghergo, che molto lo di essermi sempre comportato benissimo, pazzo, completamente pazzo, ma molto più conosce e molto gli vuole bene: “Usa il cini- le mie fidanzate sono rimaste mie amiche”. sano di altri che ho incontrato. Mi piace- smo come difesa. Sulla parte sentimentale, rebbe tornare a lavorare con lui, sarei emotiva, è completamente chiuso. Se gli pronta a giocare come dieci anni fa. Dai, chiedi: come stai?, non risponderà mai: sto *** Gianni, in fondo non sono così vecchia!”. male”. Dice Renzo Arbore: “Lui non parla A proposito di fidanzate, a parte l’attua- di cose che creano problemi”. Dice Gian- le, tre sono state le storie fondamentali nel- carlo Magalli: “Gianni non litiga mai con la vita sentimental-giocosa di Boncompa- *** nessuno per sempre. Un uomo intelligente, Dal gioco e dallo scherzo, si rischiò di con un senso dell’ironia che sconfina nel ci- trasbordare in qualcosa di antipatico. Fu nismo. Mostra sempre distacco. Per lui nul- “Ho avuto molte compagne di quando Boncompagni finì, per un brevissi- la è sacro”. L’amore, che è amore, poi… divertimento…. Rido, scherzo, mai mo periodo, nell’inchiesta sui sexy provini, che coinvolse alcuni personaggi dello spet- potrei mettermi con una donna tacolo. Anni dopo, lui scuote la testa: “Nien- *** te, neanche me lo ricordo. L’ho rimosso, in- “Forse le donne sono un male necessa- priva di senso dell’umorismo” sieme ad altri ricordi tremendi. Infilarono rio. Io un seduttore? Ma per carità, per pure me perché uno disse: anche Boncom- niente. Ho avuto molte donne, molte com- gni. Innanzitutto Raffaella Carrà. “La vedo pagni, con le ragazze… Fui subito prosciol- pagne di divertimento, di giochi, il mio rap- sempre, abita qui vicino, abbiamo iniziato to. Per la verità, non l’ho vissuta male la sto- porto con loro è sempre amichevole, da insieme. Accidenti, un personaggio notevo- riaccia, perché sinceramente uno vive ma- compagnone… Le donne con me non si an- le. L’ho incontrata che facevo gli spot alla le quando ha un po’ di maretta, qualcosa da noiano, e comunque io non mi annoio con radio per il Cap, il codice di avviamento po- nascondere. Io invece ero proprio al di fuo- loro. Rido, scherzo, non potrei mai metter- stale. Prendevo delle attrici, facevo delle ri, niente di niente. La stampa mi ha tratta- mi con una donna senza senso dell’umori- scenette, delle trovatine. Una di queste era to benissimo in quell’occasione, tutti quan- smo… E’ molto importante che chi sta con Raffaella, che aveva già fatto un film con ti sono stati molto carini nei miei riguardi. me mi faccia divertire, o che almeno rida Frank Sinatra. Ci mettemmo insieme, fa- Mi potevano sparare a morte, ma nessuno alle mie battute. Molto spesso vanno a vuo- cemmo la luna di miele a Positano. Era l’ha fatto. Forse un incidente di percorso, si to, e allora è una tragedia. Se una battuta l’anno dell’uomo sulla luna, andammo in- può chiamare così, che non ha lasciato al- non viene capita o non fa ridere, con una sieme a vedere la luna ad Arezzo. Dopo che cun segno dentro di me”. Testimonia Ma- donna mi sento buttato al vento. A volte, mi sono lasciato con Raffaella, mi sono mes- galli: “Posso assicurare: mai visto Gianni succede. Ma mi sono sempre divertito con so con Isabella Ferrari. Adesso è un’attrice provarci con una persona, allungare un di- le ragazze con cui sono stato, sempre, sem- famosa, molto impegnata e sta con uno mol- to, anche perché è terrorizzato dalla possi- pre, sempre. L’amore è soprattutto gioco. to impegnato, molto intelligente, genere gi- biltà di un rifiuto. Sempre le ragazze con ro Nanni Moretti, legge un libro al giorno. cui è stato gli hanno fatto capire la loro di- Quando ci siamo messi insieme era giova- sponibilità. Gianni è educato e molto timi- “Non mi interessa la donna nissima, faceva filmetti come Sapore di ma- do, il contrario del vecchio maniaco che va navigata, sono già navigato io”. re… E’ durata tre anni. Poi è cominciata la con le ragazze”. Taglia corto Irene Ghergo: storia con un’altra diventata famosa, Clau- “Una vicenda terribilmente ingiusta. Lui è “Perché agitarsi tanto? Non è che dia Gerini. E’ durata sette, otto anni, c’è an- un pigmalione, ha l’occhio lunghissimo, in- cora tra noi un grande rapporto d’amicizia. dividua subito una forza speciale, nascosta, cambi nulla” Simpatica, colta, l’ho cresciuta io… Davvero anche nell’adolescente. Così è stato per la intelligente e simpatica, Claudia. Ripeto, Gerini, per la Ferrari, per Ambra”. Molti non lo vedono così, drammatizzano, non storie d’amore travolgenti, più che altro ma l’amore sentimento può durare un po’… molto simpatiche, da compagnoni di viaggi. Nei miei rapporti è essenziale l’allegria, Mi sono divertito, sono rimasto amico con *** non una cosa troppo sentimentale. Al mas- tutte. A volte, arrivano quattro o cinque ex “Ma che devo fare, in televisione, i mes- simo un quarto d’ora, venti minuti, poi si tutte insieme, qui in casa…”. saggi, l’educatore? Me ne frego. Mi sono di- passa a ridacchiare…”. Dice appunto chi lo vertito a fare trasmissioni a cazzo di cane, conosce che la sua è paura del dolore. Lui risponde: “Non so se è così. Ho visto amici *** messi male, bevevano come pazzi. Una vol- Commenta il suo amico Renzo Arbore: Sull’incidente dell’inchiesta sui ta uno di loro, ubriaco, alle tre di notte “Gianni è un tramatore. Trama, punta, poi sexy provini: “L’ho rimosso, fui chiamò me e Mario Marenco, che abita qui deve avere una formula magica che io non vicino. Partiamo in macchina, sotto una conosco bene, per affascinare ragazze così subito prosciolto, la stampa mi ha pioggia micidiale, fino a un bar di piazza giovani. Innanzitutto le fa sorridere e le stu- Navona, lo prendiamo e usciamo fuori. Pa- pisce, umorismo e cose varie, e se non ca- trattato benissimo” reva le scena di quel film dove Massimo piscono le sue battute si agghiaccia. Per lui Troisi discute con Lello Arena. Io, che ave- è il momento della selezione. Una cosa senza un minimo di spessore, non mi impe- vo cercato di mettere pace tra i due, gli di- drammatica, fare dell’umorismo e non es- gnavo a pensare, a studiare, arrivavo all’ul- cevo: guarda che questa qui ormai ti vede sere capiti. L’ironia è lo strumento più dif- timo minuto, dicevo: facciamo presto e ma- come il diavolo l’acqua santa, come ti no- ficile. Credo che lui conquisti anche i geni- le, un ottimo slogan. Perché, avete mai co- mino fa un salto indietro, non ne vuol più tori, le famiglie. Certamente non usa quel nosciuto qualcuno che fa velocemente e be- sapere niente, ormai è finita, sta con un al- tipo di ricatto genere: farò di te una stella. ne? Mai conosciuto. Ho sempre incontrato tro, non ti sopporta più. E poi qui piove, Casomai si fa, ma tacitamente, non si ba- quelli che fanno lentamente e male, tanto mettiamoci da qualche parte al riparo… E ratta. Gianni non ha mai barattato né pro- vale fare presto e male. Con me non ci sono quello: ah, adesso i signorini hanno paura messo. Comunque ha bisogno di una com- sprechi. Non mi è mai passato per la testa di bagnarsi, io sto male e loro hanno paura pagna, di una donna attorno”. Spiega la sua di mettermi a fare cose serie. Il mio mes- della pioggerellina… Replicavo: macché amica Irene Ghergo: “Lui non vuole donne saggio sarebbe un messaggio molto dada, pioggerellina, questo è il diluvio universa- alla pari, pensanti. Vuole l’inesperienza, nichilista”. Boncompagni, quando parla le! Il nostro amico niente, balbettava a vuo- non l’esperienza. Fugge davanti allo scam- della televisione, spesso usa definizioni al to sotto l’acqua. Marenco zitto, nemmeno bio alla pari. Qualcuno si deve sempre vetriolo. L’ha paragonata alla cacca, si fa e Gianni Boncompagni (ovviamente, personale elaborazione grafica di Gianni Boncompagni) una parola… Insomma, si è rovinato la vita adattare a lui, e le più giovani si adattano non si guarda. Oppure a un chewing gum: per una donna: pianti, bicchieri spaccati, di meglio. Ma non ho mai visto morbosità in qualche minuto e lo butti via. “La mia tele- retta che sua figlia, affetta da disturbi del- conta Boncompagni: “Pronto Raffaella? mi bia Saudita. Per fortuna il carattere dissa- nuovo pianti… Le donne soffrono meno per Gianni, ci sono zone molto romantiche nel visione è vuoto pneumatico”, ridacchia. la parola, riesce a pronunciare: Raffaella, portò fortuna, un boom, dal monoscopio di crante di Gianni mi ha insegnato a non pren- amore, non sono violente. Non ho mai visto suo rapporto con le ragazze. Con loro è de- ti amo”. Della faccenda si occupò pure Wal- mezzogiorno a undici milioni di persone. Ci- dermela per ogni critica ingiusta”. una donna ubriaca che si fa quattro, cinque bole, cede, non si impone”. Racconta il suo ter Veltroni nel suo “I programmi che han- fre pubblicitarie spaventose. Ebbi molto cre- whishy uno dietro l’altro. Hanno altre ri- amico Giancarlo Magalli: “Di Boncompagni *** no cambiato l’Italia”. Scriveva il futuro sin- dito in Rai, feci Pronto chi gioca? e poi Do- sorse, devi proprio essere un cesso terribi- ho visto quasi tutti i suoi amori. Ero lì quan- Delle loro rispettive televisioni, dice daco di Roma: “Raffaella Carrà ha ucciso il menica In…”. *** le per non avere alternative. L’uomo invece do si è fidanzato con Isabella Ferrari, gio- Renzo Arbore: “Io ho la fissa dell’altro, di quiz. Prima della sua trasmissione guada- Essendo la filosofia di Boncompagni quel- non ha risorse, vedevo amici che si arro- vanissima. Noi lavoravamo e lei stava a ca- non fare quello che va. A Gianni quello che gnare dei soldi in tv era difficile. Bisognava la del “presto e male”, che bene si associa al- vellavano… Io mai così, mai in tutta la vita. sa a cucinare, e tra l’altro cucinava malissi- va piace. Lui lo cavalca, l’amplifica. Io sono aver studiato o spremuto la memoria, essere *** la sua pigrizia, c’erano anche degli inconve- Prima che finisca, meglio avere la panchi- mo. Una volta Gianni comprò dei tartufi e diffidente rispetto alle mode, voglio l’altra abili a correre o pronti al pulsante. Ora in- Il ricordo di Raffaella Carrà: “Un pro- nienti. Rammenta Irene Ghergo: “Gianni na lunga. Diciamo che, da donna in donna, Isabella li gettò interi nel riso bollente: non televisione. Lui è entrato in pieno nelle re- vece diventa tutto troppo facile (…) In fondo gramma di grandissimo successo. Ma alla fi- ogni tanto si addormentava. E Raffaella si ur- ho sempre avuto un’evoluzione positiva”. aveva idea di come cucinarli. Poi andammo gole del consumo, del mercato, del fare i Pronto, Raffaella?, è un tipico programma ne stavo male, perché somatizzavo tutti i pro- tava molto. Lei pretendeva la sua partecipa- alla finale di miss Teenager, e lì ho visto na- numeri, l’ascolto. Io, pur non essendo mai degli anni Ottanta. Furbo, smaliziato, cinico, blemi della gente. Dissi: non ce la faccio più, zione, visto che era il regista, alle riunioni scere la sua storia con , che stato bocciato dall’auditel, continuo a esse- romantico, aperto, popolare. A ben guarda- soffro fisicamente, devo prendere distacco dopo il programma. Gianni al massimo arri- *** era la miss dell’anno precedente. Voglio di- re diffidente. Forse colpa del jazz, musica re la brava Carrà è stata, forse, l’unica vera da queste cose. Durante l’ultima puntata vava, si allungava su un divano e ricomincia- Ora Boncompagni, che ha 72 anni, sta con d’èlite… Mi porto dietro la fissazione del- testimone italiana della forma più alta e no- chiesi a Gianni: vieni qui, vicino a me. Non ti va a ronfare”. La Carrà ricorda di quando, se- una ragazza di 22 anni. Racconta Renzo Ar- Magalli sull’età delle fidanzate di l’alternativa, fissazione che invece Gianni bile del reganismo televisivo”. duti su un divano, guardavano i filmati dei bore: “Dice, scherzosamente, che ha una proprio non ha”. Riconosce Arbore: “Par- Della fidanzata storica Raffaella suoi concerti. Gianni consigliava: fai così, badante”. Di Boncompagni, e del fatto che Gianni: “Le giovani hanno tendo sempre dal fatto che si può ottenere *** muoviti in questo modo. “Ma poi le sue idee le sue donne siano molto più giovani di lui, il massimo con il minimo sforzo, Gianni si è Carrà: “La vedo sempre, abita qui le dovevo sviluppare tutte io, che se aspetta- circola anche una sua fenomenale battuta: problemi piccoli. Gli esami o il inventato il primo piano, che veniva guar- Ma come il resto dei connazionali, pure vo lui… Sì domani, sì domani, ripeteva in “Quelle della mia età sono tutte morte”. dato con sospetto da tutti i registi, perché il Veltroni, a quel tempo, soprattutto un pro- vicino, abbiamo iniziato insieme. continuazione…”. E i sonni di Boncompagni Precisa: “Beh, insomma, se non sono morte motorino. Non lo assillano” regista si innamora della cartolina, vuol far blema si poneva: “Per giorni, settimane, l’I- durante le trasmissioni hanno dato vita, ne- stanno comunque più di qua che di là…”. vedere l’immagine dietro, come se fosse un talia si lambiccò per capire il numero di Un personaggio notevole” gli anni, a imperdibili scene. “Gli ho visto fa- Giancarlo Magalli, che ha sempre la battu- fendere Gianni dalle accuse per il fatto che film. Mentre in televisione basta far vedere quei maledetti fagioli. Io ho sempre pensato re la televisione più fraccomoda del mondo”, taccia pronta, ha raccontato una volta a ha sempre fidanzate giovanissime. Un ma- un occhio, un ciglio che si inumidisce, e ot- se qualcuno li aveva dovuti contare davvero, dico: timido, agitato al telefono, masticava le dice ancora oggi, con ammirazione, Renzo

SABATO SABATO 7 AGOSTO 2004 Claudio Sabelli Fioretti, in un’intervista su niaco, un vecchio porco, dicono. Non è ve- tieni un effetto cento volte superiore. Così quasi undicimila legumi”. Ma no, nessuno li parole. Cose da pazzi. E Magalli moriva dal- Arbore. Sette: “Gianni se incontra una donna tipo: ro, non ha nessun sentimento del genere. il successo di Pronto Raffaella?, con Raf- ha contati uno per uno. A peso, si è fatto. la voglia di prendere il mio posto… Buffa, ho trent’anni e non mi sento realizzata, si Lo conosco, la ragione è tutt’altra. Il fatto è faella che, proprio per merito dei primi Svela il mistero del fagiolo lo stesso Bon- poi, la storia dei fagioli rimasta così impres- butta dalla finestra. Lui ha bisogno di com- che le ragazze giovani non hanno problemi, piani di Gianni, da personaggio ballerino è compagni: “Per la verità, un gioco simile lo sa. Ho visto che vent’anni dopo, a Striscia la *** pagne che gli dicano: porca miseria, doma- al massimo gli esami o il motorino. Mai sop- diventata una specie di Madonna della Ne- vidi su una tivù locale, e io più o meno l’ho notizia, fanno lo stesso gioco con le lentic- Dopo il mistero del fagiolo, il mistero ni mi interrogano sulle capitali e non le so. porterebbe di stare con una di quarant’an- ve. Ha uno straordinario senso fotografico”. copiato”. Li avete fatti certificare da un no- chie. Ma abbiamo fatto anche altri giochini, del film mai fatto. Parla Magalli: “Con E lui dice: dai, ripassiamole insieme”. Del ni con l’ansia di emergere… Le giovani taio, quei fagioli? “Ma no, facemmo a peso. inventati da Magalli: con i chiodi, con le pun- Gianni abbiamo scritto la sceneggiatura di resto, sempre con Sabelli Fioretti si è pre- hanno problemi piccoli, non lo assillano. Si *** Segnavamo, per dire, quanto pesavano cin- tine da disegno. O la domanda: perché dico un film. Un produttore lo comprò, pagò IL FOGLIO QUOTIDIANO so in giro lo stesso Boncompagni: “Una vol- parla al massimo delle capitali, e Boncom- quanta fagioli, e quindi si moltiplicava…”. Si rosso o rosa o giallo?”. Anche su questa fac- l’anticipo, scoprì che ci volevano troppi ta ho incontrato una ragazza e ho chiesto: pagni fa lezione di geografia”. Pronto, Raffaella?, inizia su Raiuno il 3 impegnò nella tenzone anche la signora Flo- cenda intervenne, peraltro, la signora Flora: soldi per realizzarlo. Dopo anni, scaduti i quanti anni hai? Diciotto. Oh, Madonna ottobre 1983, ore 12,05. La Garzantina tele- ra di Anna Marchesini: “Quante saranno ‘ste “Senta, sora Raffae’, il mi’ marito dice giallo diritti del primo, sono stati ricomprati da mia, diciotto anni. Ah, se avessi qualche an- visiva, a cura di Aldo Grasso, annota: “La lenticchie? Me dia ‘na mano, signorina Raf- urina, co’ licenza parlando, ma io j’ho detto: un secondo produttore, che a sua volta non no di meno. E lei cortese: ma non importa, *** Carrà si comporta come un’irreprensibile faella, io po’ co’ li conti: il mi’ marito sta a la- ma che se’ scemo? Te pare che alla televisio- ha realizzato niente. Alla fine, io e Bon- non è l’età anagrafica che conta. E io: ma Ride Ambra: “Quando facevamo Non è padrona di casa ed elargisce una domanda vora’, nun le po’ vede mai, ma perché nun lo ne fanno le gioche col pi…co quella cosa lì?”. compagni abbiamo preso un sacco di soldi cosa hai capito? Se tu avessi qualche anno la Rai, ogni anno ripescavano delle ragaz- alla portata di tutti (memorabile il quiz con- fate anche il sabato così il mi’ marito vede er Sospira Raffaella: “Certo, ci sono cose per senza che il film fosse realizzato”. A ripro- di meno”. Un vizio, obiettò Sabelli Fioretti. zine nuove dalle precedenti selezioni, e sistente nell’indovinare quanti fagioli ci bigonzo co’ le faciole, e io durante la setti- cui ti prendono in giro per anni, e magari va che nemmeno lentamente e bene fun- “No, una barzelletta”, replicò Gianni. Pure quindi più giovani di noi. E a noi Boncom- siano in un barattolo). Compie anche qual- mana le provo a indovina’. Posso saluta’ le non si ricordano che Pronto Raffaella? ha ziona.

ANNO IX NUMERO 217 - III PAG a volte la triste realtà prende il sopravven- pagni ci chiamava le avvoltoiate, quelle con che ‘miracolo’: una madre confessa in di- mi’ parente?”. Fu un enorme successo. Rac- salvato un uomo che stava per morire in Ara- Stefano Di Michele