UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

DIPARTIMENTO DI DIRITTO PUBBLICO

SCUOLA DI DOTTORATO

GIUSTIZIA COSTITUZIONALE E DIRITTI FONDAMENTALI

XXIII CICLO

TESI DI DOTTORATO

DAS RECHT ZWISCHEN EINHEIT UND FREIHEIT:

LA TEORIA GIURIDICA DI OTTO GIERKE

Settore scientifico disciplinare

Filosofia del diritto - IUS 20

RELATORE CANDIDATO PROF. TOMMASO GRECO FERNANDO D’ANIELLO MATR. 431666

ANNO ACCADEMICO 2010/2011

Das Recht zwischen Einheit und Freiheit:

la teoria giuridica di Otto Gierke.

Ungehorsam, Widerstand, Revolution erscheinen dann als letzte Waffen der Gerechtigkeit gegen das Recht. Aber wenn die Anwendung dieser Waffen unter Umständen sittlich erlaubt, ja sittlich geboten sein kann, so gibt es auf dem Rechtsgebiet für sie keinen Titel. Otto Gierke

Il principio degli stati moderni ha questa enorme forza e profondità, di lasciare il principio della soggettività compiersi fino all'estremo autonomo della particolarità personale, e in pari tempo di ricondurre esso nell'unità sostanziale e così di mantener questa in esso medesimo. Georg Wilhelm Friedrich Hegel

Se una grande filosofia esprime il pensiero del proprio tempo, essa esprime ugualmente ciò che manca a questo tempo e ciò che è maturo per realizzarsi nel tempo a venire. Solo così essa scava e illumina di riflesso il nuovo latente, ossia la società migliore, il mondo più vero. Ernst Bloch

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INDICE

INTRODUZIONE p. v

PRIMO CAPITOLO p. 1

SECONDO CAPITOLO p. 50

TERZO CAPITOLO p. 100

QUARTO CAPITOLO p. 149

OSSERVAZIONI CONCLUSIVE p. 196

BIBLIOGRAFIA p. 206

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CONTENUTO

INTRODUZIONE

CAPITOLO I

UN RECHTSPHILOSOPH NEL II REICH. GENESI E SVILUPPO DELLA TEORIA DI OTTO GIERKE TRA XIX E XX SECOLO: UNA PROSPETTIVA STORICA.

I. Premessa. Principali difficoltà nell'interpretazione dell'opera di Otto Gierke. II. L'autore della Genossenschaftslehre tra l'Ottocento giuridico tedesco e la I Guerra mondiale: per una prospettiva storica. III. Un giovane intellettuale 'radicalizza' la scelta germanista: il primo volume del Das deutsche Genossenschaftsrecht. IV. La sfida alla scienza giuridica dominante: l'alternativa organicista all'assolutismo statale e alla codificazione romanista. V. L'impossibile transizione in una teoria generale. VI. Der greise Gierke. La guerra e gli ultimi anni. Originalità del 'conservatorismo' gierkiano. VII. Conclusioni provvisorie.

CAPITOLO II

UNA 'VIA' TEDESCA ALLA MODERNITÀ: LA GENOSSENSCHAFT COME STRUMENTO PER UNA NUOVA SCIENZA GIURIDICA E UNA NUOVA TEORIA DELLO STATO.

I. Premessa. La Genossenschaft. II. Per una critica della scienza giuridica dominante. III. Una storia diversa e alternativa a quella ufficiale. IV. Intermezzo: Gierke interprete della Politica di Althusius. V. La via tedesca alla modernità. Critica di una riduzione reazionaria della Genossenschaftslehre. VI. La natura di diritto, popolo e Stato. VII. Limiti della teoria gierkiana: l'impossibile mediazione con la Sovranità.

CAPITOLO III

LA GENOSSENSCHAFT, IL GEMEIN E IL DIRITTO SOCIALE: IL METODO GIURIDICO DI OTTO GIERKE.

I. Premessa. Per una valutazione autonoma del contributo di Gierke.

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II. Ancora sulla Genossenschaft. Le ragioni di un dibattito. III. Un presupposto indispensabile: il contributo di Georg Beseler. IV. Polivalenza strategica di un concetto. A cosa serve la Genossenschaft? V. La critica alla codificazione: die soziale Aufgabe des Privatrechts. VI. La proprietà e il diritto sociale: il metodo sociologico. VII. Il concetto di diritto: critiche necessarie, auspicabili potenzialità. La Rechtsphilosophie di Otto Gierke.

CAPITOLO IV

ZURÜCK ZU GIERKE? LA CONTROVERSA 'RINASCITA' DI OTTO GIERKE NEL NAZIONALSOCIALISMO.

I. La Germania alla morte di Gierke. La repubblica di Weimar. II. Gierke e l'esperienza giuridica nazionalsocialista: ipotesi di analisi. III. L’Antrittsvorlesung di Herbert Meyer e la compiuta formalizzazione di un ritorno all'opera di Otto Gierke. IV. Ernst Rudolf Huber: il recupero del concetto di Genossenschaft per la definizione di un nuovo ordinamento del lavoro. V. Il compimento della 'rivoluzione' nazionalsocialista e la rottura con le tradizioni giuridiche precedenti. La critica a Gierke come premessa e qualificazione della Rechtserneuerung. VI. La polemica Höhn – Helfritz: un uso 'politico' di Otto Gierke? VII. Hans Krupa e un'analisi autonoma dell'eredità gierkiana.

OSSERVAZIONI CONCLUSIVE E PROBLEMI APERTI

BIBLIOGRAFIA

I. Opere citate di Otto Gierke. II. Letteratura specifica sull’opera di Gierke. III. Letteratura secondaria.

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Introduzione

Cade quest'anno il novantesimo anniversario della morte di Otto Gierke, scomparso ottantenne a Berlino nel 1921: trent'anni fa Albert Janssen, fra gli interpreti più profondi dell’autore della Genossenschaftstheorie, ricordava la medesima ricorrenza, caduta esattamente mentre si apprestava ad avviare i lavori della propria dissertazione dottorale, dedicata al metodo giuridico di Gierke, che avrebbe difeso qualche anno dopo. Si trattava, però, di una fase ben diversa da quella attuale: gli studi incentrati sull'opera di Gierke erano, infatti, numerosi, spaziando dall'attenzione per una radice 'sociale' e anti- individualista della Genossenschaftslehre, che ben si adattava alle trasformazioni che interessavano le scienze sociali dalla metà degli anni '60, sino a ricerche volte a evidenziare e approfondire i momenti chiavi della dottrina di Gierke e a confrontarsi criticamente con essi.

Anche l'Italia, seppur 'indirettamente', fu coinvolta da questa Reinassence del pensiero gierkiano – il termine venne utilizzato proprio da Janssen per indicare gli anni dell'esperienza nazionalsocialista caratterizzati da uno straordinario interesse per l'opera di

Gierke – se è vero che due degli interventi più famosi e significavi a lui dedicati apparvero sui Quaderni Fiorentini – il primo di Gerhard Dilcher, Genossenschaftstheorie und Sozialrecht: ein “Juristensozialismus” Otto von Gierkes?, in un volume dedicato al Socialismo giuridico

(1974-75), e il secondo proprio di Albert Janssen, Otto von Gierkes sozialer Eigentumsbegriff, in quello dedicato agli Itinerari moderni della proprietà (1976-77). In quegli stessi anni Paolo

Grossi, in un celebre studio dedicato alla proprietà, significativamente intitolato Un altro modo di possedere, ricordava, seppur brevemente, l’influenza che le teorie germaniste ma in particolare quelle di Gierke ebbero su alcuni giuristi italiani che, nella cosiddetta grande disputa sulla proprietà, tentarono di rovesciare la predominante impostazione romanista.

Bisogna, poi, ricordare il riferimento fatto da Edoardo Ruffini all’opera di Otto Gierke nei suoi studi sul principio di maggioranza, raccolti nel ’77 nel volume La ragione dei più.

Ruffini ricordava come Gierke avesse ripreso la teoria del diritto intermedio, attribuendo solo alla Genossenschaft l’applicazione del principio di unanimità, mentre

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nell’organizzazione corporativa, dalla quale si produceva una volontà comune diversa dalla somma delle singole volontà, rilevava quello di maggioranza.

Sui Materiali per la storia del pensiero giuridico del 1979 era, invece, comparso il saggio di Maximilien Fuchs, La Genossenschaftstheorie di Otto von Gierke come fonte primaria della teoria generale del diritto di Santi Romano, che provava a connettere le consociazioni di Gierke con il pensiero di Santi Romano – perlomeno quanto al suo periodo 'giovanile', rappresentato dalla breve prolusione La crisi dello Stato e dagli scritti sull'ordimento giuridico –. Nel saggio si ipotizzava che proprio l'impostazione del germanista abbia costituito un potente stimolo per la teoria romaniana del diritto come ordinamento – nel senso di un superamento del giusnaturalismo individualista, anche a partire dalla opposizione di Gierke alla teoria del contratto sociale e a quella della fictio, alla quale opponeva la Theorie der realen Verbandspersönlichkeit –.

Quasi esclusivamente, dunque, ci si confronta con contributi di giuristi tedeschi, comparsi all'interno del dibattito scientifico italiano: va, però, ricordato che nel 1970 nel III volume della sua Storia della filosofia del diritto, Guido Fassò aveva brevemente indicato in

Gierke un giurista prossimo alla sociologia positivista e ne aveva tracciato un quadro tutto sommato favorevole. In ogni caso si tratta di un’eccezione, alla quale se ne possono aggiungere poche altre: in effetti, nel dibattito italiano, Gierke non fu – e non è –figura centrale. A tal proposito va ricordato che, soprattutto in ragione dell’estraneità del concetto di Genossenschaft nella cultura giuridica italiana, gli studi su Gierke furono molto limitati: un’estraneità che aveva fatto sostenere a Francesco Ferrara, nel suo celebre studio sulle persone giuridiche, di non aver compreso cosa potessero essere le consociazioni di Gierke e di considerarle come l’ipotesi fantastica di un artista del diritto. Forse non era soltanto sorpresa ma vera incomprensione, quella rammentata da Adolf von Harnack nel ricordo di

Gierke all’indomani della sua morte, quando sottolineò, tornando con la mente al 1903 alla partecipazione a un congresso a Roma, lo stupore e la meraviglia degli italiani, che ebbero la sensazione di vedere in Gierke per la prima volte un autentico germano. Ancora oggi l'analisi italiana di Gierke riguarda prevalentemente il tentativo di una fondazione della teoria delle associazioni diversa dalla teoria della fictio savigniana: su questo ha scritto pagine interessanti Francesco Galgano, sulle quali occorrerà tornare.

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Accanto e in ragione di una certa distanza dal concetto centrale di cui Gierke si servì, le sue opere non furono mai tradotte in italiano, con le importanti eccezioni del lavoro su Althusius, che ha contribuito a rendere Gierke spesso più familiare agli studiosi del pensiero politico che ai giuristi, e della conferenza su La natura delle associazioni umane.

Ciononostante oggi non è possibile alcuno studio su Gierke che non prenda in considerazione anche il modo con cui, nel corso degli ultimi novant’anni, ci si è accostati alla sua opera e in che termini essa sia stata utilizzata. La vicenda dell'attenzione e dell'interesse verso Otto Gierke, soprattutto in Germania, merita dunque di essere brevemente ripercorsa perché fa parte a tutti gli effetti della storia stessa della

Genossenschaftslehre e perché senza una simile panoramica non è possibile cogliere fino in fondo tutti gli sviluppi che sono stati associati alla teoria gierkiana.

Nel corso della sua lunga vita Gierke divenne, indubbiamente, un affermato intellettuale: ne sono una prova il Rettorato nella prestigiosa Università di Berlino, a cui fu destinato nel 1902, e le innumerevoli conferenze tenute sempre nella capitale prussiana per celebrare importanti avvenimenti. Nato nel 1841 a Stettin, città appartenente al vecchio regno di Prussia, si formò nell'ambiente dell'amministrazione prussiana, di cui il padre e gran parte della famiglia della madre facevano parte, e prevalentemente nell'università berlinese. Ebbe tra i propri maestri quel Georg Beseler, che era stato insigne rappresentante della scuola germanista e, tra i primi, a scorgere nella Genossenschaft non solo la natura di un istituto irriducibile alle costruzioni romaniste, ma anche uno strumento per leggere il presente e il futuro di una nascente libertà di associazionismo. La connessione tra il germanesimo e le teorie liberali era, del resto, evidente non solo nelle formulazioni e nelle analisi della scienza giuridica germanista, ma anche nell’impegno diretto dei suoi esponenti: Beseler stesso, come molti suoi colleghi, fu rappresentante nell'assemblea francofortese del '48, la Paulskirche.

Proprio a Beseler dedicò i lavori per la sua abilitazione, che costituivano il nucleo centrale del primo volume del Das deutsche Genossenschaftsrecht, apparso nel 1868 – il quarto, e ultimo, volume sarebbe comparso solo nel 1913, ormai lontano dalla spinta polemica iniziale –. Diventato a sua volta un riconosciuto esponente della scuola germanista, fu tra i protagonisti della critica alla giuspubblicistica di Paul Laband e alla codificazione civilistica, che si concretizzerà nel 1900 con l'entrata in vigore del BGB. Tentò

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di superare la classica bipartizione tra diritto pubblico e diritto privato attraverso la fondazione e la valorizzazione della funzione sociale del diritto: agli studi privatistici, oltre vari contributi in saggi e conferenze, dedicò i tre volumi del Deutsches Privatrecht, pubblicati tra il 1895 e il 1917. Fu anche attivo politicamente, come dimostra la sua adesione alla Deutschnationale Volkspartei, per la quale contribuì a scrivere il programma elettorale per le elezioni dell'Assemblea costituente del 1919 e dal quale deciderà di uscire pochi mesi dopo per una linea sempre più marcatamente razzista e antisemita. Inoltre Gierke, pur restando fieramente convinto della necessità di un ritorno all'istituto monarchico, non fu certo un nemico della giovane repubblica e valutò positivamente il contributo realizzato dal suo allievo Hugo Preuss con la nuova costituzione di Weimar.

Nonostante i suoi sforzi, però, non riuscì a imporre alcuna vera svolta alla scienza giuridica tedesca e, per i suoi contemporanei, fu uno studioso indubbiamente rigoroso, incapace, però, di indicare una metodologia alternativa a quella dominante: di Gierke si parlò spesso, e si parla tuttora, come di uno sconfitto. Il concetto di Genossenschaft – da intendersi come realtà che preesiste e prescinde lo Stato e la stessa 'società civile' – poteva al più indicare una specificità del medioevo tedesco e attirare l'attenzione degli storici, ma appariva poco interessante per i giuristi e i filosofi del diritto. Il sistema gierkiano sembrava oscillare tra una sociologia del diritto – mai pienamente formalizzata e compiuta

–, un’impostazione teorica nata nella 'questione costituzionale' del II Reich e, perciò, inevitabilmente figlia del proprio tempo e in esso confinata, e una romantica, quanto nostalgica, valorizzazione di una pacificata società feudale, una sorta di mistico sogno, forse affascinante, sicuramente non proponibile nei termini di teoria (men che mai di politica) del diritto.

La fortuna del giurista di Stettin fu, dopo la sua morte, estremamente altalenante.

Negli anni '20 il nome di Otto Gierke, seppur non del tutto scomparso, sembrava, però, destinato a una rapida e definitiva rimozione. La sua opera, come ha ancora una volta sottolineato Janssen, era appena ricordata e riassunta, piuttosto che criticamente analizzata.

Fatta eccezione per un saggio del '22 di Georg Gurwitsch, che ne investiva direttamente la natura di Rechtsphilosoph, l'autore della Genossenschaftslehre sembrava oramai dimenticato o, nel migliore dei casi, destinato a tonare alla memoria solo grazie alla sorte dei suoi allievi più noti, tra cui Hugo Preuss, il padre della costituzione di Weimar.

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Particolare è la vicenda della recezione inglese di Gierke. Sin dai primi anni del

Novecento, per opera di Frederic William Maitland, il contributo di Gierke fu noto anche ai giuristi di lingua inglese. Un’ampia traduzione del terzo volume del Das Deutsche

Genossenschaftsrecht apparve sin dal 1900, con il titolo Political Theories of Middle Age. Gli studiosi inglesi, e non può certo essere un caso per un paese come l’Inghilterra che doveva confrontarsi con la fine dell’Impero, si concentrarono particolarmente sulla problematica federalista nell’opera gierkiana. Il primo lavoro fu di Sobei Mogi, Otto von Gierke. His political teaching and jurisprudence (1932). Mogi ha al suo attivo, inoltre, uno studio monografico dedicato proprio al federalismo. Negli Stati Uniti comparve, invece, il lavoro di John D. Lewis, The Genossenschaft-Theory of Otto von Gierke. A study in political Thought

(1935).

In Germania l'attenzione nei confronti di Gierke e l’interesse verso la sua opera si ridestarono nel corso della conferenza tenuta da Herbert Meyer per l'avvio del proprio rettorato a Göttingen (1929). In quella sede egli pronunciò un famoso discorso dedicato al

Volkstum che condensava nell'indicazione programmatica di ritornare a Gierke [Zurück zu

Gierke], come noto antesignano della battaglia contro il diritto romano e come teorico di una sostanziale sussunzione del popolo nel concetto di Stato. Erano gli anni del crescente successo del partito nazionalsocialista che di lì a poco avrebbe ottenuto il cancellierato per

Adolf Hitler prima, l'intera Germania poi. Il testo della conferenza di Meyer – inizialmente solo prossimo al partito, poi membro a tutti gli effetti – fu ristampato nel '33 e Gierke, nelle note che Meyer aggiunse, fu addirittura accostato allo stesso Adolf Hitler e al suo Mein

Kampf: la critica al diritto romano garantiva alla NSDAP un utile e illustre precedente per i suoi punti programmatici, approvati a Monaco sin dal 1920. Proprio il diciannovesimo punto era dedicato alla sostituzione del diritto romano con un autentico diritto comune tedesco. Questa interpretazione venne ben presto contestata all’interno della stessa cerchia di giuristi, indipendentemente dal fatto che fossero soltanto prossimi alla NSDAP o addirittura militanti del partito. Si aprì un intero decennio nel quale l'opera di Gierke fu finalmente studiata: per quanto sia difficile e quasi impossibile separare i giudizi che furono formulati su Gierke dalle istanze della 'rivoluzione' nazionalsocialista prima, dalla necessità di definire un nuovo ordine giuridico – la cosiddetta Rechtserneuerung – poi, vennero prodotte analisi ancora oggi estremamente valide sull'opera del professore di

Stettin – su tutte quella di Reinhard Höhn, fra i giuristi più illustri del III Reich.

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Altro contributo decisivo all'analisi di Gierke – stavolta svincolato, però, da considerazioni contingenti relative alla sua 'spendibilità' nella Rechtserneuerung nazionalsocialista e perciò ancor più interessante ai fini di un'analisi critica dell'opera gierkiana – venne, agli inizi degli anni '40, da un giovane studioso originario di Jena, Hans

Krupa. Appena pochi anni prima (1939) Erik Wolf, pubblicando la prima edizione della sua opera dedicata ai grandi giuristi tedeschi, annoverava Gierke proprio come uno dei Große

Rechtsdenker der deutschen Geistesgeschichte.

Occorre sottolineare che questo interesse per il giurista di Stettin in epoca nazionalsocialista, per quanto, come si vedrà, da precisare e da approfondire, segnerà pesantemente il giudizio successivo su Gierke, quasi che egli fosse da ascrivere a quella schiera di intellettuali che, a vario titolo, potevano essere considerati precursori del nazionalsocialismo. Questo interesse sarà, inoltre, decisivo nel colorare il contributo gierkiano di tinte esclusivamente conservatrici e reazionarie: nel migliore dei casi, Gierke sarebbe un autore da ricordare esclusivamente negli studi di storia del diritto, nei quali avrebbe dovuto recitare, di solito, esclusivamente la parte del contestatore della teoria giuridica dominante. Solo molti anni dopo, quando andrà complessivamente in crisi un certo modo di studiare e analizzare l'esperienza storica e giuridica del III Reich, Gerhard

Dilcher potrà insistere con decisione sull'assenza nell'opera gierkiana di qualsiasi caratterizzazione 'razziale' o puramente conservatrice: indicando, ad esempio, nella moglie di Gierke, Lilli Loening, ebrea, il miglior esempio della sua distanza dai razzismi e dall'antisemitismo emersi tra il XIX e il XX secolo.

Tale rapporto oggi è del tutto smentito con il riferimento diretto alle opere di

Gierke, nelle quali non ve n'è traccia di una connessione tra elementi razziali e la strutturazione delle Genossenschaften. In tal senso si può fare riferimento a un importante articolo del '20 in cui Gierke annunciava la sua uscita dalla Deutschenationale Volkspartei in ragione del crescente antisemitismo a sfondo razziale del partito– atteggiamento che aveva causato la decisione dei vertici del partito di non ricandidare la figlia di Gierke, Anna, in virtù della sua origine, appunto per parte di madre, ebrea –.

Tuttavia, come ha fatto notare Michael Stolleis (1994), gli studi di storia del diritto sono ancora lontani da una piena contestualizzazione della presenza di Gierke

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nell’esperienza giuridica nazionalsocialista e il tema resta ancora un semplice desiderio della ricerca scientifica.

Dopo la guerra e i primi due decenni di relativo silenzio, i contributi di Gierke furono nuovamente recuperati nel più vasto movimento di rigenerazione delle scienze sociali maturato nell'ambito del radicalismo studentesco della fine degli anni sessanta: non

è un caso che quasi tutti gli studi di questa fase siano promossi da giovani ricercatori nell'ambito delle proprie dissertazioni dottorali. L'attenzione manifestata per la storia

'sociale' e, dunque, per una rifondazione dell'analisi del passato a partire da assunti radicalmente diversi da quelli fino ad allora seguiti – ne ha scritto, da ultimo, recentemente

Eric Hobsbawn nella raccolta di saggi dedicati a Karl Marx (2011) – riuscì a mettere in discussione anche la tradizionale coloritura conservatrice dell'opera gierkiana.

Si tratta di quella che a tutti gli effetti può oggi essere definita come la seconda, grande 'rinascita' di Otto Gierke. Nel '65 Winfried Kilian difendeva la propria dissertazione sul rapporto tra Sinzheimer e Gierke, Soziale Selbstbestimmung und Tarifvertrag. Eine

Untersuchung über das Verhältnis Hugo Sinzheimers zu Otto v. Gierke. Nel '68 toccò a quella di

Friedhelm Jobs, Otto von Gierke und das moderne Arbeitsrecht, seguirono nel '72 quella di

Janssen, Otto von Gierkes Methode der geschichtlichen Rechtswissenschaft, nel '76 quella di

Hans-Werner Mundt sull'approccio social-politico negli scritti privatistici di Gierke,

Sozialpolitische Wertungen als methodischer Ansatz in Gierkes privatrechtlichen Schriften. In quest'ultimo caso l'analisi è condotta rigorosamente sulla quasi totalità degli scritti privatistici di Gierke, sottolineando l'impossibile qualificazione del giurista di Stettin come un nostalgico della società per ceti o come un teorico 'premoderno'. La tesi, però, è a volte estremamente radicalizzata fino a fare di Gierke addirittura un pluralista: una simile tesi è, invece, oggetto di una specifica relativizzazione e, in parte, contestazione.

Con l'eccezione del lavoro di Janssen, tutte queste dissertazioni furono difese, non a caso, a Francoforte, nella cui università, la J. W. Goethe, centro particolarmente attento ai movimenti che attraversano la società in quegli anni, insegnavano Helmut Georg Isele – che nel '63 aveva ripreso positivamente il contributo gierkiano nell'ottica giuslavorista e nel

'71 aveva curato la voce dedicata a Otto Gierke per l'Handwörterbuch zur deutschen

Rechtsgeschichte – e il già ricordato Gerhard Dilcher. Quella di Janssen fu invece discussa a

Göttingen, con la guida di Karl Kroeschell e Franz Wieacker: resta a tutt'oggi uno degli

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studi più profondi dell'opera gierkiana, anche se in questa sede spesso si è giunti a risultati diversi – come nel caso del rapporto tra Hegel e Gierke, estremamente relativizzato tra

Janssen –.

Infine, comparvero, sempre come dissertazioni dottorali, nel '79 lo studio della svizzera Susanne Pfeiffer-Munz sul diritto sociale, Soziales Recht ist deutsches Recht. Otto von

Gierkes Theorie des sozialen Recht untersucht anhand seiner Stellungnahmen zur deutschen und zur schweizerischen Privatrechtskodifikation, discussa a Berna, e nel 1980 quello di Helga

Spindler, Von der Genossenschaft zur Betriebsgemeinschaft, alla quale va il merito di aver recuperato un interessante testo giovanile di Gierke sul Genossenschaftswesen, anche se, si vedrà, non sempre si potrà condividerne l'uso fatto.

Il già citato saggio di Dilcher nei Quaderni fiorentini è quello che appare più decisamente orientato a un serrato confronto con l'intera produzione gierkiana. È ancora oggi un testo obbligato per la comprensione della Genossenschaftslehre e del suo autore.

Dilcher contesta la tesi di una visione tutta conservatrice di Gierke, che era stata riproposta da Ernst-Wolfgang Böckenförde nel suo La storiografia costituzionale del secolo decimonono, apparso in Germania nel 1961 e in traduzione italiana nel 1970, e prova a far risaltare l'aspetto più moderno di Gierke e, soprattutto, l'uso della Genossenschaft come strumento di politica del diritto in una fase nella quale il conflitto di classe sembrava prepotentemente mettere a repentaglio la stabilità della società tedesca. Dilcher valorizza la dialettica tra

Einheit e Freiheit, che innerva il lavoro sulle consociazioni e ne evidenzia l’aspetto progressista. A voler essere eccessivamente critici, questo lavoro, forse perché inserito in uno studio sul Socialismo giuridico, sembra piegare a volte l'analisi della teoria gierkiana a una sua piena valorizzazione, tralasciando la valutazione di alcune aporie fondamentali.

È inoltre, come già ricordato, sempre di questi anni lo sviluppo della tesi di un

Gierke pluralista, teorico dell’autonomia delle comunità nella produzione del diritto e, soprattutto, avversario non solo dell'onnipotenza statale ma anche di una valutazione dello

Stato stesso che non preveda il suo inserimento all'interno del genus delle consociazioni: argomento assunto in Germania e utilizzato, ad esempio, dal già citato Fuchs nella sua connessione tra l'opera di Gierke e quella di Santi Romano. Ne viene fuori l'immagine di un

Gierke non solo liberale, ma straordinariamente progressista e democratico. Occorre, però, precisare come lo stesso Fuchs abbia ammesso la presenza irrinunciabile nella

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Genossenschaftslehre dello Stato come soggetto che estende il proprio potere su tutte le altre consociazioni, introducendo così, neanche troppo velatamente, una potente critica all’impianto gierkiano; ad avviso di chi scrive, però, tale critica non è stata sufficientemente contestualizzata.

Come si accennava, di segno diverso era stato, invece, il contributo di E.W.

Böckenförde che nella sua Storia costituzionale del XIX secolo dedicava a Gierke un intero capitolo, analizzando dettagliatamente i suoi scritti di dottrina dello Stato e, in particolare, i primi due volumi del Genossenschaftsrecht, giungendo però alla conclusione di un Gierke fondamentalmente 'nostalgico' di un periodo ormai passato, dell’antica società per ceti: un'immagine che sarà inizialmente contestata negli stessi anni da Maurizio Fioravanti che in Giuristi e costituzione politica nell'Ottocento tedesco (1979), indicava la strada di un possibile recupero dell'opera gierkiana da una valutazione più complessa che ne esaltasse gli elementi di critica all'impianto costituzionale dominante nella Staatslehre tedesca di fine secolo e, pertanto, ne sottolineasse la modernità.

Prossima a una valutazione negativa, ancor più radicale di quella avanzata da

Böckenförde, è l’analisi di Hans Hattenhauer, che evidenziava i limiti della teoria gierkiana e ne faceva risaltare, soprattutto, l’impronta conservatrice. Indubbiamente il giurista di Kiel coglieva nel segno quando, riprendendo in parte l’analisi kelseniana, si domandava quanto della dialettica tra Einheit e Freiheit non fosse già preordinata nella sostanziale superiorità dell’articolazione consociativa (ein Über Ich, per usare l’espressione di Hattenhauer) sia sui singoli individui che sulle manifestazioni sociali, sino a limitare potentemente la libertà individuale. Appare, però, insostenibile la radicalizzazione di questa impostazione, che si spingeva fino a inquadrare l’opera di Gierke tra le radici spirituali del Nazionalsocialismo.

Sicuramente molto meno intensi, ma neppure del tutto assenti, gli studi affrontati nella ex DDR, dove si segnala l'interesse maturato per Gierke negli studi di storia del diritto del lavoro: l'interesse per Gierke veniva, però, ricondotto a una certa rigidità della valutazione degli strumenti giuridici classici e 'borghesi' da parte della scuola marxista ortodossa.

Nella seconda metà degli anni '90 comparvero a Göttingen due lavori: quello di

Thomas Haak, Otto von Gierkes Kritik am ersten Entwurf des Bürgerlichen Gesetzbuches, e quello di Christian-Matthias Pfennig, Die Kritik Otto von Gierkes am ersten Entwurf eines

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Bürgerlichen Gesetzbuches. Anche in questo caso le pubblicazioni furono realizzate in occasione della difesa di dissertazioni dottorali. I lavori si caratterizzano per il carattere estremamente specialistico e, com'è facile intuire dal titolo, sono indirizzati esclusivamente all'analisi della critica di Gierke al primo progetto del BGB; Haack, però, introduce anche alcune valutazioni sulla recezione nazista di Gierke, sebbene si tratti solo di cenni che si limitano a pochi autori, i quali ebbero per Gierke parole molto dure, come Höhn e Schmitt.

Haack arriva, perciò, ad affermare che una vera recezione non ci fu, a causa della valutazione liberale e perciò non funzionale al regime dell'opera di Gierke. Per quanto in parte corretta, se ascritta e riferita esclusivamente agli autori citati, tale valutazione appare quantomeno parziale, come pure non sembra sufficientemente problematizzato il tema della rinascita gierkiana in epoca nazionalsocialista, della quale oramai non è più rinviabile una ricerca critica complessiva.

Vale la pena di segnalare come nel 1990 comparve in Inghilterra una nuova traduzione di estratti del Das Deutsche Genossenschaftsrecht e, in particolare, del primo volume: il lavoro, Community in historical perspective, fu curato da Antony Black e tradotto da Mary Fischer.

Sempre a Göttingen è stato pubblicato l'ultimo dei lavori su Gierke: si tratta della ricerca del 2001 di Martin Peters, Die Genossenschaftstheorie Otto von Gierkes (2001) che seppur brevemente tentò di sottolineare la rilevanza della critica gierkiana alla modernità, in cerca di un suo possibile sbocco alternativo a quello storicamente assunto.

In Italia nel 1993 è comparso sulla rivista Filosofia Politica il saggio di Sandro

Mezzadra, giunto a uno studio su Gierke mentre completava i lavori della sua dissertazione dottorale dedicata a Hugo Preuss, Il corpo dello Stato – Aspetti giuspubblicistici della Genossenschaftslehre di Otto von Gierke. Si tratta dell'unico contributo di un autore italiano dedicato esclusivamente all'analisi della Genossenschaftslehre: anche in questo caso la tesi gierkiana viene interamente messa a confronto con la modernità politica 'classica' e a sottolinearne, anziché i limiti o le nostalgie, il tentativo, per quanto non privo di aporie e contraddizioni, di un’indicazione alternativa al moderno. Sempre negli anni '90, Francesco

Riccobono in uno studio sulle persone giuridiche, rivedeva il pensiero di Galgano su

Gierke e, piuttosto che enumerare le Genossenschaften come problema relativo ad allargare il

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novero dei soggetti di diritto, ne sottolineava gli aspetti maggiormente legati alla teoria dello Stato e alla filosofia politica.

Esaurita questa rapida analisi delle recezioni di Gierke, sicuramente parziale ma che definisce, comunque, un campione rappresentativo, e assunto, quindi, che oltre alle due rinascite maturate negli anni '30 e tra gli anni '60 e '70 sono presenti comunque numerosi contributi dedicati alla sua teoria, resta da verificare se, a distanza di novanta anni della morte, egli abbia ancora qualcosa da dire o se ci si possa limitare a una ricognizione esclusivamente nei termini di storia del diritto, una storia comunque trascorsa e ormai muta per le orecchie dei contemporanei.

È evidente, cioè, che la domanda preliminare di questo lavoro, la Lebensfrage a voler essere retorici, riguarda proprio le ragioni di ritornare a Gierke. Esattamente come nel 1928, nell'affollata aula magna di Göttingen, il neo rettore Herbert Meyer indicò la necessità di ritornare sulla strada aperta da Gierke, occorre qui preliminarmente chiarire perché Otto

Gierke sia stato al centro di questa ricerca.

L'interesse per Gierke è nato insieme con quello, più generale, per il cosiddetto antiformalismo tedesco di fine Ottocento. Quella netta biforcazione della scienza giuridica tra i seguaci della Pandettistica, che tentarono con Gerber, Laband e Jellinek di tradurre i concetti della scienza privatistica nel campo più insidioso del diritto pubblico, e coloro che, da Jhering in poi, costituirono quella cerchia, varia e composita, che denunciò il carattere ideologico della proposta formalista e, invano, lo contrastò. Sono note e sufficientemente chiarite le implicazioni ideologiche che sottendevano l'impostazione formalista, sia nel campo del diritto privato che nella sua traduzione giuspubblicistica.

In quella compagine, il ruolo di Gierke assume, però, una specificità originalissima.

Basta sfogliare l'elenco delle opere principali per rendersi conto della ricchezza e della pluralità del suo contributo. Se il nome di Otto Gierke è indubbiamente legato al corposo studio, in ben quattro volumi, Das deutsche Genossenschaftsrecht, come pure ai suoi studi sul diritto privato, in tre volumi, una serie di saggi, più o meno noti, dedicati ai temi più disparati – l'analisi e la critica dei progetti di codificazione, la funzione sociale del diritto privato, la natura del contratto di lavoro, il principio di maggioranza, solo per ricordarne alcuni – danno l'idea della sua vitalità intellettuale. Uno dei presupposti di questo lavoro è rappresentato dal tentativo di confrontarsi con l'opera di Gierke nella sua totalità,

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provando a enuclearne un motivo di fondo comune: una tale ambizione rischia di smarrire alcune peculiarità delle singole opere e dei singoli interventi ma prova a restituire una rappresentazione complessiva del contributo rechtsphilosophisch di Gierke.

Il tema della Genossenschaft rappresenta l'architrave sul quale l'intero sistema si regge: la Genossenschaft, una consociazione, come luogo e cifra del giuridico, di contro la classica impostazione individualista che si concludeva inevitabilmente in una visione assolutista dello Stato, contro la quale Gierke si scaglia con ogni forza. Sebbene il testo su

Althusius contenga non poche ingenuità, è anche vero che esso dimostra come Gierke fosse pienamente consapevole della natura propria della modernità, o perlomeno del suo tratto dominante. In effetti, a ben guardare, non si tratta semplicemente di ingenuità, quanto piuttosto dell'aver tentato di fare del giurista di Emden il possibile precursore di un’esperienza verso la modernità tutta tedesca e, pertanto, così diversa dal piatto individualismo francese. Althusius contrapposto a Hobbes e precursore di Rousseau: la tesi, oggi del tutto superata e improponibile, merita comunque attenzione. Innanzitutto perché va a Gierke il merito di aver riscoperto Althusius e di aver dato lo stimolo per continuare a studiarne l'opera, mai così fruttuosa come negli ultimi anni soprattutto verso una critica della sovranità moderna e una rinascita di una particolare idea di federalismo.

Ma anche perché quella su Althusius costituisce il tentativo di fondare anche nel senso della dottrina dello Stato quanto Gierke avesse individuato storicamente nel I volume del

Genossenschaftsrecht. Le consociazioni appartenevano alla storia tedesca e Althusius poteva ricordare come il moderno contrattualismo non nasca con Hobbes ma con il patto tra le consociazioni e il sovrano teorizzato dal syndacus di Emden.

La scienza giuridica acquista in Gierke un tratto di critica radicale quando investe direttamente il cuore della costruzione moderna dello Stato: da un lato l'individuo, monade sovrana, in sé autonoma, e dall'altra lo Stato che, costruendosi dalla volontà degli individui, ne acquista le proprietà e diventa il moderno Leviatano, che occupa l'intero spazio del giuridico. Con il recupero di Althusius e della Genossenschaft Gierke invece tenta la strada della limitazione dello Stato: esso non segna dunque i confini ultimi del giuridico, che dunque non coincide con lo Staat, meno che mai con lo Staatsoberhaupt labandiano, perché è solo una Genossenschaft fra le altre, una species diversa dello stesso genus. Ecco che la critica di Gierke supera i confini dell’indagine accademica e diventa politica del diritto, recuperando pienamente la lezione 'liberale' dei suoi padri seduti all'Assemblea della

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Paulskirche francofortese del '48. L'obiettivo polemico è, in termini moderni, la riduzione dello jus a lex, a mera volontà dello Stato e, soprattutto, la riduzione dello Stato a macchina nelle mani di pochi. Otto Gierke è, dunque, protagonista di un tentativo interessante: la fondazione di un diritto e di una scienza giuridica che superassero il riduzionismo dominante che rendeva il diritto una vuota parola di comando. Lo Stato, specie diversa del medesimo genere della Genossenschaft cui appartengono tutte le altre consociazioni, in

Gierke torna ad avere un corpo, si 'riempie' – di fronte al 'vuoto' dello Stato hobbesiano, come efficacemente ne ha parlato Mezzadra – e questo rende ancor più dialettica i rapporti fra le parti che lo costituiscono e di queste con esso stesso.

La transizione alla modernità è, quindi, per Gierke nient'altro che l'ennesima esplicitazione della dialettica tra Einheit e Freiheit: il momento consociativo garantisce uno sviluppo specificamente tedesco indirizzato verso lo Stato costituzionale e la storia va

'riletta' dalla rilevanza che esso ha assunto nel corso dei secoli. Così, il feudalesimo non è nostalgicamente rimpianto, ma visto come momento di necessario affrancamento dall’originaria comunità germanica e il servaggio nei confronti del signore come un momento di transizione verso una moderna esplicitazione dei rapporti tra membra e capo, tra gli organi e l'organismo nel suo complesso. In Gierke non c'è rimpianto o nostalgia del passato, ma una visione dei tempi lunghi della storia che prova a definire un esito possibile dell'evoluzione dello Stato distanziandosi dal modello francese e recuperando pienamente

Hegel nell’irriducibilità del giuridico a una volontà o a una 'procedura' che ne definirebbe il contenuto – sul modello della rappresentanza della nazione post '89 –. L'autonomia del giuridico, ovverosia la natura del diritto ascrivibile né a un neo giusnaturalismo né tanto meno a un’impostazione tutta materialistica, è da Gierke, dunque, manifestamente salvaguardata.

Per poter meglio definire questa dialettica, Gierke rilegge l'intera storia tedesca e tornerà sempre nel corso della sua vita ad alcuni esempi che considera in qualche modo paradigmatici di tale visione del divenire storico. Ricorrente è, ad esempio, il richiamo alle antiche città libere tedesche, autentiche protagoniste nella transizione dal mondo feudale a quello moderno. Anche in questo caso la città diventa il modello per immaginare una composizione armonica e gerarchica delle parti, che coordinandosi danno vita a una totalità che non limita ma anzi potenzia la libertà individuale. La quale esiste solo come libertà all'interno della Genossenschaft ovvero a condizione della sopravvivenza e della

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stabilità dell'organismo sociale e, osando qualcosa in più, solo al prezzo di garantire la libertà degli altri membri della consociazione. La città, inoltre, rappresenta un modello storico e giuridico cui fare riferimento anche per una sua traduzione nel mondo contemporaneo, dove quello spirito consociativo deve adesso vivere nella realtà dello Stato e del Reich.

Si tratta quindi di riproporre la dialettica di foggia hegeliana – palese è ad esempio il ricorso allo strumento decisivo dell’Aufhebung – nella scansione della storia umana come costante interazione tra Einheit e Freiheit: da questo punto di vista quando le originarie comunità germaniche diventano Körperschaften, Gierke non attribuisce loro una riduzione della loro natura consociativa, quanto piuttosto un rafforzamento tramite una ricollocazione all'interno di nuove coordinate storiche e sociali. Anche per questa ragione il passaggio è quasi obbligato verso lo Stato costituzionale moderno, inteso come unica forma giuridica che può garantire l'armonica compenetrazione tra le parti e la stabilità del principio consociativo.

Si è detto passaggio 'obbligato', ma occorre sottolineare che non è così introdotta un’impostazione determinista: Gierke riconosce alla scienza giuridica un ruolo attivo, protagonista ed è questa la ragione per cui contesta Laband o la codificazione, perché ne teme gli effetti deleteri sull'organismo sociale, il quale, essendo realmente una lebendige

Einheit, è comunque sempre a rischio di dissoluzione – qui da intendersi prevalentemente come effetto proprio del socialismo o dell'individualismo sfrenato –.

Ecco perché solo una fondazione del giuridico pienamente sociale – cioè capace di valorizzare, e non semplicemente di reprimere, gli elementi di trasformazione che maturano ed emergono nel corso della storia – può garantire la sopravvivenza dello Stato, minacciato da movimenti antisistema come quello socialista e comunista – che erano avviati, per quanto ancora privi di vera egemonia politica, a diventare soggetti realmente protagonisti della vita del paese, anche in considerazione della crescente e ormai inarrestabile industrializzazione della Germania. Politica del diritto e teoria del diritto procedono di pari passo: la fondazione sociale dello jus, la tutela del Gemein, la promozione dello spirito consociativo sono elementi che tornano costantemente nelle analisi di Gierke, dalla polemica contro la codificazione – sintetizzata in testi di straordinaria modernità nella

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critica, ad esempio, a una fondazione individualista della proprietà – agli interventi sulle associazioni del 1902 o sul contratto di lavoro del '14.

A tal proposito va riaffermato che è proprio questa idea del diritto, questa premessa giusfilosofica, a rendere necessario il 'ritorno' di Gierke al diritto germanico e non viceversa, ovvero il diritto sociale come naturale proseguimento di una rielaborazione del diritto comune germanico. Si tratta, cioè, di considerare sin d'ora come improponibile ogni interpretazione della teoria di Gierke come semplice nostalgia romantica della società per ceti, proprio alla luce della modernità con la quale Gierke si appropria della polemica germanista contro la scienza giuridica di indirizzo romanista per realizzare pienamente una fondazione sociale del diritto: è dunque il germanesimo che serve una nuova scienza giuridica e non questa fondata aprioristicamente su di un astratto ritorno al deutsches Recht.

Sia detto per inciso, perché occorrerà necessariamente tornarci: l'insistere sulla funzione sociale del diritto, potrebbe determinare la lesione dell'autonomia del giuridico.

In realtà qui sta uno dei grandi limiti – o, se si vuole, un segno distintivo – dell'opera di

Gierke: il sociale rappresenta, per l'appunto, una funzione e non un elemento costitutivo; il diritto serve perciò alla stabilità dell'organismo sociale e, pertanto, la dialettica fondamentale tra libertà e unità appare più volte schiacciata a preservare la seconda a danno della prima.

Il diritto acquista un carattere relazionale che lo rende irriducibile a semplice comando, ma è, invece, la connessione che fa stare insieme le parti, che le vivifica e che rende possibile la costituzione dell’Allgemeinheit come organismo. La dialettica parzialità – totalità è il vero luogo del giuridico: non esiste né un individuo astrattamente inteso tanto meno un sovrano al quale gli individui delegano diritti e facoltà. La storia dell'umanità è fatta innanzitutto di gruppi, e cioè di realtà storicamente definite che esprimono interessi.

Questi gruppi si strutturano e si organizzano in modo diverso, pur rispondendo sempre ai principi di Einheit e Freiheit. Nell’articolazione tra consociazioni, il primo principio determina la coesione di più gruppi, il secondo l'attenzione a preservare le specificità di ognuno di essi e la loro sopravvivenza. Il diritto, di conseguenza, riempie uno spazio che non è solo quello dello Stato, ma, quello più ampio della Körperschaft, in altre parole il luogo dove le consociazioni agiscono.

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Pur se la storia insegna che possono esserci diverse alterazioni della relazione tra i principi di Einheit e Freiheit, Gierke tiene a riaffermare che quella dialettica non si estingue.

Lungi dall'essere esclusivamente una critica all'impianto dell’assolutismo, la critica Gierke si fa nuovamente politica del diritto, individuando precise scelte di carattere costituzionale

– nel senso di un liberalismo organico e decisamente costituzionale, fiero avversario dell'ipotesi assolutista in quegli anni dominante nella scienza giuridica –.

Nel 1905, parlando delle norme, Gierke dirà che esse riflettono il convincimento di una comunità: l'elemento di statuizione diretta è estremamente limitato, perché piuttosto che nella volontà il diritto si struttura nei rapporti tra parti e la sua validità consiste proprio nella capacità di tenere insieme l'edificio sociale complessivo.

Resta da verificare, ed è questo uno dei problemi di questa ricerca, se lo schema qui proposto da Gierke sia in grado di superare le aporie della modernità: se, insomma, la strada suggerita da Gierke sia sufficiente a superare quelle contraddizioni e quei rischi che egli individuava nella teoria dominante. Si può anticipare che, proprio il non aver voluto rinunciare ad alcuni concetti chiave della modernità, primo fra tutti quello di sovranità, ha impedito a Gierke di superare alcune contraddizioni ma che l'indicazione del diritto come linguaggio dell'umanità sembra essere ancora oggi preziosa e, soprattutto, realistica.

Gierke, infatti, non cede mai a strade semplicistiche, attribuendo al diritto una missione irenica o, comunque, tranquillizzante. Semmai è il contrario: nella sua ipotesi il diritto ha esattamente il compito di garantire la piena compenetrazione degli interessi delle

Genossenschaften minori nell’ambito della stabilità imposto dall’Allgemeinheit, un compito che si realizza solo grazie ad un’efficacia lettura delle trasformazioni sociali e della piena integrazione delle parti nel Tutto.

Per provare a recuperare questo vasto e variopinto edificio concettuale, si è ritenuto di dover evitare a ipotetiche scansioni che segnerebbero l'evoluzione intellettuale di Gierke.

Al contrario, ci si è accostati all’opera gierkiana nel suo complesso. Questa ricerca muove dal convincimento che non esista un giovane Gierke, magari più liberale e attento alla mutevolezza del sociale, e un Gierke anziano, conservatore e reazionario. O meglio: questa distinzione non aiuta certo a rendere più comprensibile il messaggio gierkiano, mentre, sicuramente, rischia di tralasciare aspetti importanti. In caso contrario non è possibile spiegare il permanere di elementi comuni in tutta la copiosa opera del giurista di Stettin e,

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soprattutto, affidandosi a ipotetiche scansioni, si rischia di non cogliere con esattezza potenzialità e limiti della sua teoria. Che non riguardano tanto l'evoluzione intellettuale dell'autore, quanto piuttosto la coerenza stessa dell'opera.

Detto in altri termini: il punto non è tanto ipotizzare e verificare la progressiva tendenza di Gierke a ridimensionare le proprie tesi, sulla base degli eventi che dovette affrontare – del resto lo stesso Gierke tornerà a sottolineare alcuni errori della propria gioventù – quanto, piuttosto, individuare i concetti fondamentali di cui egli si serve e chiedersi se questo utilizzo sia in sé coerente con le tesi, dalle quali i concetti stessi sono stati prodotti, e quali risultati esso produca.

Ad esempio la Genossenschaft non investe soltanto un problema di carattere privatistico, tanto meno esclusivamente una questione di Staatslehre: è piuttosto lo strumento con il quale Gierke prova a ridefinire il giuridico, servendosene concretamente in momenti assai diversi fra loro. Da questo punto di vista la sua battaglia contro la partizione tra diritto pubblico e diritto privato è condotta con coerenza proprio grazie all'idea della natura consociativa, cioè sociale, del diritto.

Ciò detto, non si può negare che affrontare la ricerca di un'opera così complessa può rivelarsi estremamente difficile se non si precisa meglio il senso di alcuni interventi, contestualizzandoli all'interno delle precise condizioni toriche nelle quali essi maturarono.

Il fatto che alcuni dei testi più famosi di Gierke siano nati come risposta o come alternativa all'impostazione dominante, in ambito giuspubblicistico o giusprivatistico, rende del tutto impossibile evitare questo confronto.

Ecco perché si è tentato di far interloquire Gierke con gli anni che ha attraversato – una fase storica che, in pratica, abbraccia l'intera esperienza del II Reich, dalla sua fondazione alla sua distruzione con la nascita della Repubblica – e di verificare la consistenza dei concetti chiavi della Genossenschaftslehre in questo lungo e intenso lasso di tempo. A quel punto sarà possibile entrare nello specifico di questo grappolo concettuale e provare a verificarne la coerenza interna.

La ricerca si snoda lungo quattro capitoli. Il I capitolo attraversa la vita di Gierke, prova a individuare questi elementi di continuità senza nascondere le evoluzioni e la maturazione intellettuale dell'autore. Interessa soprattutto far dialogare Gierke con il suo

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tempo e con la storia che egli visse. Potranno essere così analizzati anche interventi e contributi 'minori' e non celebri come quelli solitamente citati, soprattutto in Italia. È, quindi, il capitolo per certi aspetti più lontano dalle premesse qui formulate, ma si è rivelato necessario per definire in modo più chiaro la complessità del pensiero gierkiano prima di procedere con l'analisi degli aspetti ritenuti maggiormente interessanti.

Il secondo e il terzo sono invece incentrati sulle questioni principali dell'opera di

Gierke.

Nel II capitolo viene affrontata la dialettica fondamentale tra Einheit e Freiheit, che nell'ipotesi di Gierke struttura l'intera storia tedesca. È l'ambito più prossimo a una

Allgemeine Staatslehre nella produzione gierkiana, ovvero si definisce come una critica complessiva del progetto della modernità, legato al nome di Hobbes e alle vicende rivoluzionarie francesi, e come una precisa indicazione costituzionale alternativa. Nella complessa articolazione delle Genossenschaften, Gierke individua il moderno compromesso liberale-costituzionale, capace cioè di contemperare le esigenze e gli interessi dei singoli con quelli del Gemeinwesen. L'attacco è frontalmente diretto contro Laband e la sua riduzione del giuridico a volontà dello Staatsoberhaupt.

Il III capitolo investe direttamente gli studi giuridici, analizzando il concetto di diritto e di norme e affrontando le polemiche che Gierke maturò, a partire da una valutazione genossenschaftlich del diritto, verso i progetti di codificazione e, più in generale, verso le dottrine del diritto dominanti del diritto privato. Il concetto di diritto sociale, per la sua stessa natura, richiede una sostanziale complementarità tra gli ambiti classicamente divisi del diritto – e in particolare di quello privatistico e di quello pubblicistico – perché il sociale presuppone la valutazione e la conseguente difesa di un elemento 'comune' che si ritrova solo nell'articolazione delle consociazioni – e cioè nell'organismo sociale – e non in un'idea astratta extra-giuridica – come la libertà nel caso della piramide puchtiana –.

Il IV capitolo è, invece, dedicato non all'opera di Gierke ma alla singolare attenzione maturata nei suoi confronti nella Germania nazionalsocialista: si trattò di uno dei periodi più fecondi della discussione sul giurista di Stettin, al centro di polemiche e dibattiti. Tornare a quella discussione su Gierke significa fare inevitabilmente i conti con il diritto in epoca nazionalsocialista: non si tratta, infatti, di mettere ancora in discussione una presunta continuità tra lo Staatsrecht di Gierke e le elaborazioni dei giuristi tedeschi negli

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anni '30, quanto piuttosto occorre provare a chiedersi quali obiettivi perseguiva quella recezione, perché fu tanto contrastata e quanto profonda fu l'analisi della

Genossenschaftstheorie da parte di giuristi che anelavano una non meglio precisata

Rechtserneuerung. Ecco perché la messa in discussione di Gierke nel nazionalismo – dopo i primi anni di un certo credito goduto negli stessi ambienti del partito – fu determinata, questa una delle tesi del lavoro, dalla transizione, resa necessaria dal consolidamento del regime, dal mito Volkstum a quello ben più concreto del Führertum.

Ovviamente quest’analisi non potrà non confrontarsi minimamente anche con quell’esperienza giuridica che si realizzò concretamente con il III Reich e, soprattutto, più che con il diritto positivo – a prescindere dalle sue fonti: le leggi dello Stato, i documenti ufficiali del regime o le sentenze dei tribunali – con le elaborazioni che la dottrina formulò per definire e sostenere la Rechtserneuerung. Elaborazioni che videro proprio in Gierke uno straordinario termine di paragone nel confronto polemico fra i giuristi.

A questo punto, si spera, dovrebbe essere stata definita un’immagine sufficientemente chiara e critica di Otto Gierke. Ma è possibile sin d’ora un primo, provvisorio, bilancio, anche per riprendere la questione sul perché tornare a Gierke. Il gesto del giurista di Stettin è da ascrivere innanzitutto a una certa tendenza 'sociologica', che si andava affermando nella scienza giuridica e che si rese necessaria a partire dalla seconda metà dell'Ottocento. Ma sarebbe riduttivo pensare a un giudizio limitato, a una semplice attenzione alla soziale Frage che inquietava i governi europei. In Gierke, infatti, la questione sociale si affronta solo intraprendendo una rifondazione della scienza giuridica che passa attraverso il concetto, storico e giudico, di Genossenschaft.

Contro le prevalenti costruzioni individualiste, Gierke prova a esplicitare una natura del giuridico che non sia il prodotto esclusivo di una volontà, ma che si configuri come il risultato di varie forze agenti all'interno di un contesto comune. Il diritto, quindi, serve esclusivamente alla stabilità dell'organismo e la sua 'validità' può essere riscontrata solo nella sua capacità di servire questo scopo. Ecco perché, in questa ricerca, si è preferito lavorare a partire da una valutazione unitaria dell'opera gierkiana: indubbiamente alcuni scritti sulla Genossenschaft conservano e prediligono una maggiore attenzione agli aspetti sociali ed economici piuttosto che a quelli giuridici. Ma ciò non vuole dire che si è di fronte ad un’evoluzione del pensiero di Gierke che si conclude con l'aperta sconfessione di una

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giovanile attenzione ai problemi sociali e una piega conservatrice e reazionaria. In realtà l'intera opera di Gierke oscilla tra una scelta radicale di liberare il giuridico da qualsiasi elemento condizionante e in sé preformato e dall’impossibilità di non ricondurlo sempre alla stabilità del sistema nel suo complesso. Così se le Genossenschaften sono indispensabili mediatori sociali, il loro ruolo è anche quello di garantire la compatibilità dei bisogni e dei desideri delle classi lavoratrici e di quelle più esposte alle trasformazioni del capitalismo industriale con quelli dello Stato: il diritto, quindi, finisce per servire qualcuno, che oscilla pericolosamente tra un bene (presunto) comune, per la verità ben poco chiaro, e una pericolosa esaltazione etica dello Stato, come per primo notò Hans Kelsen.

Già da questa rapida analisi si può sottolineare l'audacia di un gesto teorico, che spazia dai temi più rigorosamente giuridici, toccando questioni centrali come, ad esempio, la natura dell'istituto della proprietà privata, a quelli più propriamente di riflessione filosofica e di Staatslehre, come l'analisi dei concetti di Stato, popolo, individuo. Sempre

Gierke provò a contrastare l'impostazione dominante: il caso della polemica sulla codificazione civilistica è un efficace riassunto di come partendo da una precisa impostazione teorica, egli riuscisse a rimodulare gli istituti giuridici più rilevanti. Questa capacità critica è ancora oggi encomiabile, se si pensa al fatto che essa metteva in discussione un intero orizzonte teorico dominato da un'impostazione individualista e romanista.

Ma lo è ancora di più la capacità di affrontare questioni giuridiche, pur con i limiti che verranno più volte sottolineati, con una certa relativizzazione del diritto in quanto concetto. Gierke sembra essere consapevole che il diritto non ha funzioni taumaturgiche: esso può essere niente di più che diritto, cioè tentativo di organizzarsi di una comunità e di più comunità. Nello sforzo di organizzare la comunità umana, il diritto può fare la sua parte, ma non può andare oltre: quasi anticipando un tema classico del Novecento – e verrebbe da dire anche del nuovo millennio – Gierke ricorda come non sia il diritto a unificare gli uomini, quanto piuttosto sono questi ultimi a rendere possibile un’unificazione del giuridico. Fuori da ogni tentativo di vedere nel diritto una protezione rassicurante, Gierke ne squarcia il velo che copre il corpo vivo e plurale del sociale.

La critica di Gierke parla, quindi, soprattutto a coloro che vivono la fase della cd. frantumazione del giuridico: la cui impalpabilità non deve far smarrire la consapevolezza

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che esso è soprattutto il frutto di dinamiche sociali, di gruppi e di interessi. Che vanno analizzati e indagati e questo è, precisamente, anche un problema giuridico, non nel senso di una semplice analisi 'tecnica', perché proprio Gierke insegna quanto sia distante da una presunta 'oggettività' scientifica il compito del giurista. Quanto, piuttosto, a partire dalla convinzione che l'espressione della pluralità sociale può, da un occhio attento, essere riconosciuta, persino valorizzata. Il giurista è dunque per Gierke soggetto di frontiera, attento osservatore e codificatore delle trasformazioni che già vivono, seppur non sempre chiaramente decifrabili, nella società.

Ecco dunque che per i giuristi la scelta è sempre quella anticipata da Gierke: provare a scorgere l'alba di un nuovo giorno oppure essere rischiarati solo dal vespro, pur magnifico, di un mondo al tramonto.

Berlin – Göttingen – Napoli – Pisa

f.d.

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Le traduzioni dal tedesco, ove non diversamente indicato, sono state realizzate dall’autore.

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Capitolo I

Un Rechtsphilosoph nel II Reich.

Genesi e sviluppo della teoria di Otto Gierke tra XIX e XX secolo:

una prospettiva storica.

[I. Premessa. Principali difficoltà nell'interpretazione dell'opera di Otto Gierke. – II. L'autore della Genossenschaftslehre tra l'Ottocento giuridico tedesco e la I Guerra mondiale: per una prospettiva storica. – III. Un giovane intellettuale 'radicalizza' la scelta germanista: il primo volume del Das deutsche Genossenschaftsrecht. – IV. La sfida alla scienza giuridica dominante: l'alternativa organicista all'assolutismo statale e alla codificazione romanista. – V. L'impossibile transizione in una teoria generale. – VI. Der greise Gierke. La guerra e gli ultimi anni. Originalità del 'conservatorismo' gierkiano. – VII. Conclusioni provvisorie.]

I. La lunga vita di Otto Friedrich Gierke, nato l'11 gennaio 1841 a Stettin, città appartenente al vecchio regno di Prussia oggi in territorio polacco, e morto il 10 ottobre

1921 a Berlino, e la sua incredibile vivacità intellettuale, grazie alla quale ebbe modo di mandare in stampa, secondo un suo allievo, oltre diecimila pagine, tra monografie, saggi e interventi, costituiscono due grandi problemi per chi intende accostarsi alla sua opera1.

Si considerino, a titolo puramente esemplificativo, alcuni momenti salienti della sua vita: Gierke nasce poco prima dell'anno considerato decisivo per la storia tedesca del XIX

1 Le diecimila pagine sono citate dall'allievo di Gierke, Ulrich Stutz, nella sua Gedächtnisrede del 1921. Questo testo è estremamente rilevante sia per le dettagliate informazioni biografiche che per la minuziosità con cui vengono elencate le opere di Otto Gierke: si veda U. Stutz, Zur Erinnerung an Otto von Gierke, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte Germanistische Abteilung, 43, 1922, pp. VII-XLV-LXIII, il riferimento precedente è a p. XXXII. Ancora utile è il saggio presente nel volume di E. Wolf, Große Rechtsdenker, J.C.B.Mohr (Paul Siebeck), Tübingen 1963, pp. 669-712, sul quale occorre tener presente, in sede di valutazione storiografica, le differenze con la prima edizione in piena età nazionalsocialista (1939). Si può fare riferimento, inoltre, a H. G. Isele, Die Bedeutung für das moderne Arbeitsrecht, in Eranion in Honorem Georgii S. Maridakis, Athenis 1963, pp. 285-300 e in part. pp. 285-287. Brevi cenni biografici sono contenuti anche nella voce curata da Gerhard Dilcher in Juristen. Ein biographisches Lexikon von der Antike bis zum 20. Jahrhundert, a cura di M. Stolleis, Beck, München 2001, pp. 232 e ss. e in quella a cura di Andrea Fijal in Deutsche Biographische Lexikon, III vol., a cura di W. Killy, K.G. Saur, München 1996, p. 680. Può essere utile anche la ricerca in rete: si può partire dalla nota bio-bibliografica curata da Martin Peters all'indirizzo http://www.historicum.net/themen/klassiker-der-geschichtswissenschaft/19-jahrhundert/. Di Peters si veda, inoltre, Die Genossenschaftstheorie Otto v. Gierkes (1841-1921), Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 2001, pp. 24-54.

1

secolo, il 1848. È un giovane ma già affermato intellettuale – si è da poco addottorato e ha pubblicato il primo volume del suo monumentale studio sul Genossenschaftsrecht – avviato verso una rapida carriera accademica, quando si compie l'unità tedesca sotto la direzione prussiana: proprio rispetto al processo di unificazione, che si conclude con la proclamazione del Reich, Gierke lascia numerosi e commossi ricordi nelle sue opere 2.

Assiste entusiasta al governo di Bismarck e intraprende insieme ai suoi maestri la polemica contro la metodologia giuridica dominante, 'incarnata' da Paul Laband, e contro la codificazione civilistica e, al contempo, rilancia la centralità del concetto di Genossenschaft come presupposto del particolare cammino verso la modernità della nazione tedesca, una specificità da salvaguardare e potenziare. A tal fine recupera la figura di Althusius come primo teorico delle consociazioni, e presupposto irrinunciabile per un'altra modernità, ovvero diversa e antitetica da quella definitasi a partire dal Leviatano di Thomas Hobbes. La battaglia contro la codificazione civilistica, processo, avviato nel Reich sin dal 1873 verso il quale Gierke si rivolge con una notissima polemica, era destinata inevitabilmente sin dall'inizio alla sconfitta: il BGB, dopo una lunga gestazione e ben due commissioni imperiali impegnate a formalizzarlo, entrò in vigore nel 1900. Qualche anno prima (1890) il vecchio cancelliere Bismarck aveva dovuto far posto alle aspirazioni di Weltpolitik del nuovo Kaiser, Guglielmo II: le crisi dei primi anni del Novecento costituirono solo il preludio della Grande guerra, di cui Gierke ci offre un’interessante testimonianza nei suoi ultimi scritti. Si forma con lui una nuova generazione di giuristi, tra i più celebri spicca il nome di Hugo Preuss, che pochi anni dopo sarà tra gli indiscussi protagonisti del processo costituente di Weimar, e . Con la fine del primo conflitto mondiale Gierke dovrà nuovamente essere testimone del tramonto di un 'altro' mondo, l'ennesimo, di quella monarchia prussiana di cui era stato per tanti anni fedele interprete. Ciò nonostante, fino agli ultimi anni di vita, continuerà a essere attivissimo, intervenendo più volte nel dibattito scientifico e persino in quello politico: prova evidente è la partecipazione alla fondazione della Deutschnationale Volkspartei (1918) dal quale uscì polemicamente poco più di un anno dopo. Strinse amicizia e contatti con studiosi in tutto il mondo: nel suo Nachlass compaiono contatti con Frederic William Maitland – che tradurrà ampi passi del Genossenschaftsrecht in

2 Si faccia riferimento proprio al ricordo di un Gierke ormai settantaquattrenne: «In den Julitagen 1870 zu Unter den Linden, als König Wilhelm von Ems zurückkehrte und die französische Kriegserklärung eintraf, wurde mir eine Offenbarung zuteil. Der Volksgeist […] erschien mir […] in sinnlicher Gestalt. Ich sah in der versammelten Menschen nur noch einen Teil seines Lebens. Im Rufe der Massen und mehr noch in ihrem ehrfürchtigen Schweigen hörte ich seine gewaltige Stimme» cfr. O. Gierke, Volksgeist, in Der Tag – Ausgabe A, 30/8 e 1/9 1914 [pagine n.n.].

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lingua inglese – ma anche con gli italiani Salvatore Riccobono, Francesco Ruffini e Vittorio

Scialoja3.

In sostanza la vita di Gierke ben riassume grandezza e limiti dell'intero ceto dei giuristi nel II Reich: egli avvertì indubbiamente, negli anni successivi la fondazione del

Reich, una lacuna di una metodologia giuridica – e più in generale di un intero ceto accademico – che non brillava certamente per il tentativo di allargare la propria visuale.

Una scienza, cioè, incapace di relazionarsi con quanto di nuovo stava emergendo da una società in profonda trasformazione, che, anzi, credeva di poter continuare a interpretare con le rigide impostazioni del formalismo perfezionato dai successori di Savigny e tradotto nel campo del diritto pubblico da Gerber. Ed è indubbio che alcune delle sue intuizioni principali siano state elaborate dalla metà degli anni '70 ai primi anni del XX secolo.

Va, inoltre, aggiunto che anche la varietà della sua opera non rende agevole il tentativo di una valutazione complessiva: nel corso dei suoi studi, Otto Gierke ha divelto la tradizionale impostazione tassonomica delle scuole di diritto, occupandosi, ad esempio, di ambiti riconducibili classicamente al diritto pubblico, a quello costituzionale o al diritto privato. E, anzi, uno dei suoi tentativi più importanti e originali consistette proprio nel superare la classica, nonché ideologica, dicotomia tra diritto pubblico e diritto privato.

Non è dunque un caso se studiosi molto attenti dell'opera gierkiana abbiano proposto, di volta in volta, ipotesi diverse di possibili scansioni della sua attività, privilegiando, ad esempio, gli studi privatistici o quelli pubblicistici oppure ponendo l'accento sulla fase della – presunta – giovinezza liberale contrapposta a una tarda maturità contraddistinta da posizioni generalmente conservatrici4. Questa diversità di opinioni e di

3 La raccolta più consistente degli scritti postumi, inediti e autografi di Gierke è conservato nella biblioteca di Göttingen. Si tratta prevalentemente di lettere e scambi di auguri in occasioni di particolari cerimonie. Purtroppo sono ancora completamente da verificare e contestualizzare i rapporti fra Gierke e i giuristi italiani. Dall'archivio virtuale Kalliope – raggiungibile all'indirizzo internet http://kalliope.staatsbibliothek-berlin.de – è possibile avere una prima panoramica delle biblioteche che conservano altri inediti e autografi gierkiani. Non si sottovaluti la rilevanza di questi testi: solo di recente (fine 2010) è stato pubblicato il quarto volume del Deutsches Privatrecht, dedicato al diritto di famiglia, cfr. O. Gierke, Deutsches Privatrecht 4: Familienrecht, aus dem Nachlass, a cura di K. Kroeschell, Duncker und Humblot, Berlin 2010. 4 Ad esempio, uno dei critici sicuramente più efficaci e profondi dell'opera di Gierke, Gerhard Dilcher, pur senza dimenticare di sottolinearne la modernità, ha anche scritto: «[...] Gierke selbst vollzog, nachdem die großen Auseinandersetzungen mit Labands Positivismus und um Entwurf des BGB um 1890 abgeklungen waren, eine schon seinerzeit [...] registrierte Wendung seiner Genossenschaftstheorie zum Konservatorismus. [...] Das Prinzip der Einheit meint immer weniger das Volk, sondern wendet sich auch bei Gierke in einen teils pathetischen, teils – im Ersten Weltkrieg – aggressiven Nationalismus […]», cfr. G. Dilcher, Das Gesellschaftsbild der Rechtswissenschaft und

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giudizi della critica, di quella coeva come di quella più recente, rende la cifra delle difficoltà interpretative sull’opera del giurista di Stettin e, soprattutto, su di un possibile giudizio complessivo.

Obiettivo di questo primo capitolo vuole essere, più che una riflessione verso taluni aspetti e intuizioni del percorso intellettuale gierkiano o magari un’esposizione dei nodi concettuali principali, una scansione dell'itinerario intellettuale di Gierke, capace di farlo interagire con il suo tempo e che tenga anche presente, questa di sicuro una felice intuizione di Hans Werner Mundt5, della resistenza e del permanere di alcune categorie all'interno di tutta la sua riflessione. Una resistenza che sottolinea non solo la dimensione fondamentalmente unitaria della teoria giuridica di Otto Gierke, ma che si presta anche a saggiare la coerenza delle tesi avanzate nel corso di una produzione scientifica ininterrotta dal 1868 al 1920, e a verificarne, come si vedrà, la 'duttilità' a passare da un utilizzo analitico a uno, più ambizioso, di teoria generale.

Da dove partire, dunque, per provare a formulare un giudizio che provi a essere complessivo sulla sua opera?

Una delle tesi principali che ispira il presente capitolo è ritenere che, proprio alla luce alla diversità degli studi e degli interessi di Gierke, il solo modo per coglierne autenticamente il suo essere pienamente giurista 6 sia provare a evitare ogni ipotetica scansione, sia essa formulata sulla base di una diversa attenzione a scritti storici prima e dogmatici poi, sia nel caso di una diversità 'politica' nella risposta ai problemi che

die soziale Frage, in Das wilhelminische Bildungsbürgertum. Zur Sozialgeschichte seiner Ideen, a cura di K. Vondung, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1976, pp. 64-65. Quella di Dilcher è sicuramente un'opinione in sé corretta: innegabile è la diminuzione della vis polemica nelle opere del Gierke 'maturo', per altro da egli esplicitamente ammesso. Come pure è evidente la fascinazione di Gierke – come per la maggior parte dei suoi contemporanei – per un crescente nazionalismo nei primi anni del Novecento, che sfocerà poi nella Grande guerra. Se, dunque, un‟evoluzione c‟è stata, come del resto è anche ovvio, essa non è in grado di spiegare, però, il senso e la portata del gesto teorico di Otto Gierke. Un‟impostazione che privilegi i momenti di rottura, cioè, rischia di non cogliere gli elementi di continuità nell'opera gierkiana – dal 1868 al 1920 – ma soprattutto di verificarne l'intima coerenza. 5 La ricerca di Mundt, del 1976, sebbene orientata all'analisi degli scritti privatistici, tenta di ribaltare l'ipotesi di un Gierke reazionario e conservatore, sulla linea di quanto proposto a partire dagli anni '60 da Böckenförde e Hattenhauer. L'ipotesi di Mundt è, invece, rivolta al tentativo di utilizzare le categorie gierkiane, particolarmente nel diritto privato, per evidenziarne la valenza politica e sociale della sua opera complessivamente intesa. Cfr. H.W. Mundt, Sozialpolitische Wertungen als methodischer Ansatz in Gierkes privatrechtliche Schriften, Inaugural-Dissertation zur Erlangung des Doktorgrades des Fachbereiches Rechtswissenschaft der J.W Goethe-Universität zu Frankfurt am Main, 1976, particolarmente pp. 1-4. 6 Cfr. U. Stutz, Op. cit., p. XXXV.

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emergevano con sempre maggiore urgenza dallo sviluppo capitalistico di tipo industriale della Germania di fine Ottocento. È ovvio che occorrerà necessariamente tornare nel dettaglio di alcune specificità presenti in alcune sue opere, ma a partire dalla convinzione in base alla quale è proprio l'utilizzo di alcuni concetti chiave – Genossenschaft, Gemein,

Körperschaft, Verein,...– a segnare l'intera storia della produzione gierkiana, sia nelle sue intuizioni più interessanti che nei limiti e nelle aporie più evidenti. Ovvero che limiti e grandezze dell’opera di Gierke non sono da rintracciare in un’evoluzione del suo pensiero, in base alla quale egli da giovane liberale si sia poi trasformato in un conservatore reazionario, quanto piuttosto vanno individuate nelle sue tesi, che resteranno complessivamente stabili per tutta la sua attività intellettuale.

Bisogna anche aggiungere come sia agevole scorgere in quasi tutte le letture critiche di Gierke effettuate nel corso degli anni una sorta di 'pregiudizio' e cioè una lettura mai veramente autonoma e quasi sempre connessa alle teorie 'dominanti' della scienza giuridica di fine Ottocento. Una simile modalità di analisi si presta, magari involontariamente, a un esito quasi ovvio e scontato, ovvero la riduzione dell'opera gierkiana a semplice contrasto e resistenza – ovviamente vani e quasi sempre 'fuori tempo massimo' – alla scienza giuridica 'ufficiale'. Detto in altri termini, a essere studiato e analizzato non è mai Gierke, ma sempre la sua reazione alle teorie di Laband e Jellinek: è fin troppo facile prevedere l'esito di un simile tentativo e, cioè, la qualificazione del tentativo di Gierke come semplicemente nostalgico, conservatore, antiquato o, nel migliore dei casi, romantico. Oppure, per paradosso, come anticipatore di un pluralismo politico, di un istituzionalismo giuridico ante litteram: si tratta, quasi sempre, di reazioni diverse dovute ad analisi che muovono da un 'difetto' comune, quello cioè di non interagire con l'opera gierkiana ma esclusivamente con i poli della polemica che essa attivò.

Rari, anche se non inesistenti, sono stati, invece, i tentativi di cogliere la specificità e l'originalità di Gierke evitando innanzitutto una sua superficiale riduzione a nostalgico della società cetuale7, ma provando a risaltarne gli elementi di modernità, anche all'interno di una particolare linea di sviluppo della scienza giuridica tedesca di fine Ottocento8.

7 Per una visione fondamentalmente conservatrice, nella quale il gesto teorico gierkiano viene ridotto alla contemplazione della società feudale, si faccia riferimento a E-W. Bökenförde, Die deutsche verfassungsgeschichtliche Forschung im 19. Jahrhundert. Zeitgebundene Fragestellung und Leitbilder, Dunker und Humblot, Berlin 1961 trad. it. La storiografia costituzionale del secolo decimonono. Problematica e modelli dell'epoca, a cura di P. Schiera, Milano Giuffrè 1970, pp. 182-

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Tale rappresentazione dominante è agevolata anche dalla particolare configurazione dell'Ottocento tedesco, il secolo par excellence della scienza giuridica: inaugurato dalla nota polemica del 1814 sulla codificazione di Savigny e Thibaut, il XIX secolo si sviluppa lungo la dialettica tra la prima fase formalista – alla quale, di solito, si attribuisce un carattere conservatore e reazionario –, i cui presupposti risiedono nella

Scuola storica di Savigny poi perfezionatasi grazie alla pandettistica e al suo grande e riconosciuto maestro, Puchta, sino alla successiva esperienza antiformalista – al contrario più liberale e progressista –, segnata dalla Interessenjurisprudenz e dal Movimento per il diritto libero, che inaugurano il ventesimo secolo.

Sullo sfondo resta, per tutto il secolo, la via 'tedesca' alla modernizzazione e all'unificazione nazionale quale tentativo di definire una proposta che sappia essere radicalmente alternativa all'esperienza rivoluzionaria francese. Un tentativo al quale si piegherà il movimento liberale, incapace, per tutto il secolo, di rendersi autonomo e di operare, per tempo, una lettura delle profonde trasformazioni sociali della Germania. Esso persisterà nell'avversione a un’opzione di trasformazione sociale sul modello francese, anche solo nei termini di una limitata estensione del carattere democratico dello Stato, perché atterrito dai possibili sviluppi rivoluzionari. Al contempo non sarà mai in grado di concretizzare autenticamente in una proposta politica le proprie aspirazioni di una via tedesca alla modernizzazione, finendo per restare immobile e inerte di fronte all'avanzata del movimento conservatore, sia nella fase antecedente alla costruzione dell'impero che in quella successiva.

210, sul quale si tornerà nel corso di questa ricerca. Hans Hattenhauer, invece, vi ha scorto, non del tutto erroneamente, i rischi di un pericoloso assoggettamento dell‟individuo all‟organismo sociale, con evidenti esiti antidemocratici, si veda Id., Zwischen Hierarchie und Demokratie. Eine Einführung in die geistesgeschichtlichen Grundlagen des geltenden deutschen Rechts, Verlag C.F. Müller, Karlsruhe 1971 p. 126. 8 Indubbiamente chi per primo ha colto elementi di grande modernità nella dottrina gierkiana è stato Gerhard Dilcher, nel saggio Genossenschaftstheorie und Sozialrecht: ein “Juristensozialismus” Otto von Gierkes?, in Quaderni fiorentini 3-4, 1974-75, pp. 319-365. Il lavoro di Dilcher prova a connettere le tesi di Gierke con le dottrina del 'socialismo giuridico' di fine Ottocento, sottolineandone le critiche all'impostazione individualista ed eccessivamente liberale della scienza giuridica tradizionale. Come ricordato nell'introduzione, H. W. Mundt si addottorò con Dilcher e il suo è un altro testo molto interessante quanto al recupero complessivo della eredità di Gierke. Vanno segnalati anche i lavori di Albert Janssen, ad esempio la sua dissertazione dottorale, Otto von Gierkes Methode der geschichtlichen Rechtswissenschaft Studien zu den Wegen und Formen seines juristischen Denkens, Göttinger Dissertation 1974 nonché Otto von Gierkes sozialer Eigentumsbegriff, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico, V7VI, 1976/77, pp. 549-585. Altri riferimenti saranno evidenziati nel corso del lavoro.

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Detto in altri termini: anche di fronte all'inconsistenza della radicalità politica di scarse frange del movimento operaio – che, certamente, godeva in quegli anni, anche solo per via dello sviluppo dell'industria pesante, di un’indiscussa crescita della propria forza politica, ma era attestato su posizioni sicuramente non rivoluzionarie –, nonostante l'egemonia politica della borghesia non fosse, perciò, in alcun modo in pericolo –

Hobsbawm ha ironizzato sul fatto che dopo il '48 occorrerà l'ottobre del 1917 di Lenin per scuotere nuovamente la borghesia europea – le risposte alla questione sociale vennero quasi esclusivamente dalla parte conservatrice. Sia detto per inciso che uno scenario analogo – un passato che non vuole passare, per usare una celebre espressione, ormai nota alla storiografia tedesca per altre vicende – si ripeterà nel corso della repubblica di Weimar.

II. Tornando a Otto Gierke e all'interpretazione ormai classica, che fa del '48 l'anno spartiacque tra due mondi e tra due Weltanschauungen9, proprio al giurista germanista spetta di solito il ruolo di successore e prosecutore del vecchio Jhering che, contestata la propria adesione giovanile al formalismo della pandettistica 10 , indicherà alla scienza giuridica la strada di un realismo coniugato con i concetti di interesse e scopo [Zweck]. In

Gierke, invece, la contestazione alla corrente dominante della scienza giuridica coniugava la dimensione storicista a un convinto organicismo anti-individualista: in questo senso si rivelava perfettamente strumentale il ricorso al diritto germanico, come realtà in sé dotata di una natura diversa e antitetica a quella del diritto romano, di ispirazione individualista.

9 Il tema del rapporto tra Vormärz e Nachmärz è ormai argomento 'classico' sul quale la bibliografia è evidentemente estremamente ricca. Si rimanda ai noti contributi di M.G. Losano, Introduzione, in R. v. Jhering, Lo scopo nel diritto, Einaudi, Torino 1972 e a M. Fioravanti, Giuristi e costituzione nell'Ottocento tedesco, Giuffrè, Milano 1979. Si faccia inoltre riferimento anche al classico volume sulla scienza giuridica privatistica tedesca di F. Wieacker, Privatrechtsgeschichte der Neuzeit unter besonderer Berücksichtigung der deutschen Entwicklung, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1967, trad. it Storia del diritto privato moderno con particolare riguardo alla Germania, II vol., a cura di S. Fusco e U. Santarelli, Giuffrè, Milano 1980 e ai contributi di Michael Stolleis sul diritto pubblico e in particolare al secondo volume dedicato proprio a questa fase, M. Stolleis, Geschichte des öffentlichen Rechts in Deutschland, Bd. 2 Staatsrechtslehre und Verwaltungswissenschaft 1800-1914, C.H. Beck, München 1992. Da ricordare è anche il testo di W. Wilhelm, Zur juristischen Methodenlehre im 19. Jarhundert, Klostermann, Frankfurt am Main 1958, trad. it. Metodologia giuridica del XIX secolo, a cura di Pietro L. Lucchini, Milano 1974. 10 Jhering raccolse i sui interventi più dissacranti indirizzati alla scienza giuridica formalista nel volume Scherz und Ernst in der Jurisprudenz, Breitkopf & Härtel, Leipzig 1884 trad. it. Serio e faceto nella giurisprudenza, Sansoni, Firenze 1954.

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In effetti a differenza di autori la cui produzione scientifica è inevitabilmente segnata dal '48 – in modo, sia chiaro, differente per ognuno basti pensare ai casi di Karl

Marx, Rudolf von Jhering e Friedrich Gerber – la vita del giurista di Stettin è, invece, pienamente dentro la fase 'bismarckiana', contraddistinta dalla vittoria dell'opzione dei piccoli tedeschi, sia per ovvie ragioni cronologiche sia per il contesto, la media borghesia prussiana, dove ricevette la sua prima educazione: non a caso il suo allievo Ulrich Stutz lo ricorderà proprio come un prussiano ‚sino alle ossa‛11. Anche la vita e la produzione scientifica di Gierke, però, sono inevitabilmente segnate dagli eventi con i quali egli si confrontò: la nascita del secondo impero tedesco, il suo sviluppo e la sua avanzata nello scacchiere europeo sino al dramma della prima guerra mondiale con la fine del sogno imperiale tedesco e l'intorbidirsi dello scenario europeo in quella miscela di nazionalismo e militarismo – a cui Gierke, pur con le sue peculiarità, certo non fu estraneo – che esploderà con i totalitarismi prima e con la seconda guerra mondiale poi.

Appare perciò opportuno tentare di individuare, con tutte le cautele del caso, quali momenti abbiano segnato la vita di un autore che ha lasciato un’eredità così vasta e complessa: senza voler, occorre precisarlo nuovamente, intendere una presunta scansione che contrapporrebbe le varie fasi fra loro. Al contrario, si tratta di provare a definire una dimensione concettuale unitaria che sarà sollecitata, di volta in volta, a rispondere alle questioni specifiche con le quali si troverà a interagire.

Carl Schmitt, scrivendo di Gierke, ha indicato nella sua incapacità di organizzare in una teoria generale le intuizioni 'sociologiche' che ne animarono la fase giovanile12. In questo giudizio c'è sicuramente del vero: Schmitt individua il limite di Gierke nella mancata transizione da una serie di felici concetti, utilizzati in una modalità che richiamava una sociologia del diritto ante litteram, in una vera e propria teoria generale del diritto e dello Stato. Ecco perché Gierke sarebbe rimasto, in definitivo, un giurista legato

11 Si vedano le prime pagine di U. Stutz, Op. cit.. Aspetti sottolineati anche da Wolf : «In dieser Atmosphäre eines traditionsfreudigen preußischen Beamtentums, die aber von den Idealen der Paulskirchenzeit geistig und politisch bewegt war, hat sich sein Charakter gebildet», E. Wolf, Op. cit., p. 677. 12 C. Schmitt, Über die drei Arten des rechtswissenschaftlichen Denkens, Dunker & Humblot, Berlin 1934, trad. it. a cura di G. Stella, I tre tipi di scienza giuridica, Giappichelli, Torino 2002 p. 51. La critica schmittiana sottolinea la permanenza in Gierke di una istanza sociologica, che, però, non sarebbe mai capace di trasformarsi in una compiuta analisi sociale della Germania del „900. Ecco perché, in definitiva, Gierke non riuscirebbe mai a disfarsi del tutto di un‟analisi storico-sociale che era nata nella seconda metà del XIX secolo e che, perciò, era del tutto inadatta a cogliere le trasformazioni del Novecento.

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indissolubilmente al suo tempo, quello del II Reich e, in particolare, dell'Ottocento: le sue teorie non avrebbero retto alla transizione dal Reich al Novecento e, in definitiva, sarebbero rimaste un’immagine, per quanto vivida, di una società al tramonto. La cosa più interessante è, però, la presenza nell'analisi di Schmitt di una componente unitaria – in questo caso una sorta di analisi sociologica giuridica – del pensiero di Gierke che, restando tale, cioè senza riuscire a diventare una vera teoria, in grado di analizzare anche altri contesti, non riesce a superare la fine del secolo nella quale essa è stata prodotta: ed è esattamente questo che occorre verificare e contestualizzare.

A tal proposito sembra che, coerentemente con quanto ipotizzato riguardo il rapporto tra Gierke e gli anni che attraversa, tre siano i momenti che possono essere individuati quali centrali e per così dire chiarificatrici della sua vita. Occorre ribadire, però, un assunto: questi possibili momenti, più che a un'evoluzione intellettuale, rimandano al confronto intenso che Gierke avviò con gli anni nei quali egli si trovò a vivere. In tal senso gli anni '70 del XIX secolo sono dominati perciò da una sorta di questione costituzionale, relativa cioè alla natura del Reich e, di conseguenza, al ruolo della scienza giuridica pubblicistica. Gli anni '80 e '90, invece, sono segnati dalla codificazione civilistica e, più in generale, dal prepotente emergere della questione sociale: interessa in questo lavoro, nel presente capitolo come negli altri che seguiranno, provare a ricavare quale fu l'esito che la teoria di Gierke determinò quando si confrontò con questi eventi.

Il primo periodo è quello relativo alla sua formazione intellettuale e ai suoi primi passi come giurista, legati prevalentemente alla figura del suo maestro Georg Beseler.

Questa fase potrebbe idealmente concludersi nei primi anni Settanta del secolo ovvero in occasione della sua abilitazione e del primo volume del Das deutsche Genossenschaftsrecht. A seguire corrono gli anni di piena maturazione: la polemica con Laband, contro le ipotesi di codificazione e il sostegno a un’ipotesi di scienza giuridica 'neogermanista'. Si potrebbe considerare questa fase conclusa nel 1900, ovvero l'anno della 'sconfitta' di Gierke con la pubblicazione del BGB. Comincia così l'ultimo periodo gierkiano, quello di solito definito come più spiccatamente nazionalista e reazionario, ma che in realtà cela una fase complessa nella quale, conclusa l'esperienza 'militante' del giurista germanista, Gierke rielabora alcune delle sue categorie principali e, pur senza produrre significativi cambiamenti, procede a una sistematizzazione e ad alcune chiarificazioni. Anche se, giova premetterlo sin d'ora, questa fase rappresenta, in modo chiaro ed evidente, alcuni limiti propri

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dell'opera di Gierke che vengono meglio messi in risalto per via dell'assenza, negli scritti di questa fase di quell'attenzione alle dinamiche sociali che caratterizza, come si vedrà a breve, il primo periodo. Inoltre il recupero di alcuni interventi di segno chiaramente politico realizzati da Gierke in particolare dopo la rivoluzione del '18 permette anche di chiarire ulteriormente – e di relativizzare – il significato della 'svolta' conservatrice di solito attribuitagli.

Come si può intuire, questa impostazione segue chiaramente l'evoluzione teorica di

Gierke e ne privilegia i momenti di continuità, provando a far emergere i nuclei concettuali comuni e, per così dire, 'forti' della sua elaborazione, piuttosto che contrapposizioni o profonde periodizzazioni, il cui rischio più autentico è quello di mancare a un giudizio complessivo sulla sua opera e, come detto, di procedere a una lettura quasi sempre ispirata dal segno della polemica con i suoi grandi avversari. Inoltre, proprio questa ipotesi di

'continuità', permette di preservare quel grappolo concettuale che, elaborato nella fase

'giovanile', Gierke di fatto non abbandonerà mai, anche di fronte alle sconfitte della sua impostazione giuridica che fu costretto ad accettare, come nel caso della codificazione.

Va, inoltre, ricordato come alcune 'evoluzioni' furono segnalate dallo stesso Gierke: caso celebre e particolarmente noto è l'introduzione del 1913 al IV volume del Das deutsche

Genossenschaftsrecht: «I tre volumi pubblicati nel 1868, 1873 e 1881 del mio deutsche

Genossenschaftsrecht sono da tempo errati. Poiché la loro richiesta è ancora forte appare una ristampa inalterata. Preparare una nuova edizione non è in questione per ragioni obiettive e personali. Dovrei vivere una seconda vita, avere a disposizione una seconda giovinezza per rendere il lavoro all'altezza del presente»13.

Altre vanno connesse con la profonda trasformazione sociale che si ebbe in epoca guglielmina: se Gierke visse in costante polemica gli anni dell’ondata conservatrice del

1878/79 e quelli del nuovo corso dopo la caduta di Bismarck del 1890, ben altro atteggiamento dimostrerà nei confronti dell'imperialismo guglielmino, fino a essere completamente coinvolto nella militarizzazione della società tedesca prima e durante la

Grande guerra. È, quindi, realtà pacifica e assodata la transizione di Gierke a posizioni

13 O. Gierke, Das deustche Genossenschaftsrecht  Die Staats- und Korporationslehre des Neuzeit. Durchgeführt bis zur Mitte des siebzehnten, für das Naturrecht bis zum Beginn des neunzehnten Jahrhunderts, Weidmannsche Buchhandlung, Berlin 1913, p. V del Vorwort.

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diverse da quella della propria giovinezza, ma forse anche inutile ai fini di una sua piena comprensione.

III. Otto Gierke nasce l'11 gennaio 1841 a Stettin, è il figlio maggiore di Julius Gierke e Teresa Zitelmann, originaria di un'importante famiglia di giuristi. Sono anni complessi: di lì a poco il '48 distoglierà la borghesia tedesca dalle tranquille illusioni del Vormärz. La prima parte del secolo era stata dominata dalla figura di Savigny e dall’impostazione della componente romanista della Scuola storica: in particolare all'autore del Beruf si deve la capacita non solo di aver intuito correttamente la dimensione sociale e istituzionale della

Germania post-napoleonica ma di aver anche avanzato una proposta che, leggendo brillantemente i rapporti di potere, aveva finito con l'individuare un soggetto preciso, il ceto dei giuristi, al quale assegnare il compito dell’unificazione giuridica nazionale14.

Gierke, il quale non dimenticherà mai il debito profondo dei germanisti nei confronti di Savigny, considera Puchta il vero responsabile della deviazione da una prospettiva storica a una metodologia tutta formalista. E anzi, in opposizione alle tesi originali di Savigny, la Scuola storica sotto la guida di Puchta, aspirò alla rinascita pratica del puro diritto romano. Diversi anni più tardi scrisse: «Si mise da parte il nostro diritto

[germanico], quasi fosse un tappabuchi, e si attribuì valore al suo studio scientifico solo per aggiunte isolate al diritto comune e per le specificità dei diritti particolari»15.

Il precipitare degli eventi trovò ancora una volta il movimento liberale in difficoltà: la preoccupazione per una degenerazione della democrazia secondo l'esperienza francese era assai più forte di quella legata ai rischi dell'assolutismo monarchico16. Inoltre, ciò che mancò al movimento liberale fu la capacità di leggere le trasformazioni sociali che

14 Sulle particolarità di questo ceto e al suo rapporto con il potere, si faccia riferimento al citato saggio di G. Dilcher, Das Gesellschaftsbild der Rechtswissenschaft und die soziale Frage, cit., p. 53 e ss. 15 O. Gierke, Die historische Rechtsschule und die Germanisten. Rede zur Gedächtnisfeier des Stifters der Berliner Universität König Friedrich Wilhelm III in der Aula derselben am 3. August 1903 gehalten, Universitäts-Buchdruckerei von Gustav Schade (Otto Francke), Berlin 1903 ora anche in Id., Aufsätze und kleinere Monographien, 2 voll. a cura di W. Pöggler, Olms Weidmann, Hildesheim Zürich New York, vol II, p. 18 [744]. 16 Sulla particolarità tedesca relativa all‟impermeabilità del principio monarchico a limitazioni provenienti dalle impostazioni radicali e rivoluzionarie, cfr. W. Conze, Das Spannungsfeld von Staat und Gesellschaft, in Staat und Gesellschaft im deutschen Vormärz 1815-1848, Ernst Klett Verlag, Stuttgart 1962, pp. 207-269 e in particolare p. 221.

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intervennero in Germania e di farsi carico di una proposta politica complessiva che tentasse di individuare una precisa soggettività politico sociale alla quale affidare il compito di guida e direzione. Lo sviluppo tedesco, invece, sarà, invece, costantemente affidato più che all'iniziativa delle forze emergenti, al compromesso tra i vecchi ceti di potere burocratici e i grandi interessi economici, legati prevalentemente alla rendita fondiaria. Segnale emblematico di questa passività è testimoniato dalla scarsa reazione nei confronti dell'allontanamento dei cosiddetti Sette di Gottinga [die Göttinger Sieben], che scelsero la strada dell'espulsione dall'Università non accettando il ritiro della Costituzione da parte del re di Hannover (1837)17.

Lo scenario post-'48 è interamente dentro questo quadro – di sconfitta delle aspirazioni liberali e germaniste rappresentante nell'assemblea francofortese del '48 e, dunque, reazionario – e toccherà a Friedrich Gerber impostare il problema della dogmatica giuridica anche per il diritto pubblico, da sempre escluso da qualsiasi intervento scientifico.

«*...+ Gerber *<+ accetta una concezione del diritto come atto di dominazione dell'uomo sul mondo delle cose, ma proprio su questo fonda una nuova scientificità dell'operato del giurista, anzi, pensa che prima di lui non vi sia stata alcuna scienza del diritto, poiché i rapporti medievali impedivano di pensare in termini generali ed astratti, di costruire in senso dogmatico»18.

Egli avvia il proprio tentativo alla luce di un profondo organicismo di stampo antiliberale: l'idea cioè che, proprio per limitare le tensioni di un’eccessiva democratizzazione, la metafora organicista si presti a salvaguardare un'idea negativa di libertà, compressa nell’impostazione dell'Ordnung e capace, però, di tutelare alcuni diritti fondamentali dei cittadini. Si tratta sostanzialmente dell'età del diritto, per dirla proprio con

Gerber, ovvero di un’età che sappia leggere, interpretare e indirizzare, scientificamente, le trasformazioni con l'alfabeto e gli strumenti del diritto 19. La scienza, dunque, sembra

17 L'episodio è noto e rivela anche l'attenzione dei germanisti verso le teorie liberali: in particolare occorre sottolineare come il germanesimo fosse un vero movimento culturale, trasversale alle singole discipline, non a caso i Sette non erano solo giuristi ma anche linguisti e letterati, come nel caso dei fratelli Grimm. E come, viceversa, i romanisti fossero fieri avversari di queste tendenze politiche: lo dimostra proprio la solidarietà che Savigny negò al suo allievo prediletto, Jakob Grimm, tra coloro che furono allontanati dall'Università. Sulla sostanziale prossimità dei germanisti ai liberali occorrerà tornare, anche perché a parlarne diffusamente sarà lo stesso Gierke. 18 Cfr. M. Fioravanti, Giuristi e costituzione nell'Ottocento tedesco, cit., p. 156. 19 Dopo le intemperie del '48 che avevano preoccupato i liberali tedeschi, a partire dalla metà del secolo «la borghesia […] aveva rinunziato a perseguire fino in fondo le sue aspirazioni politiche di fronte ai poteri dello Stato autoritario […] e aveva dato la sua preferenza ad una politica della “realtà” cioè del

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trovare in Gerber lo studioso che più di tutti intuisce la necessità di far vivere il metodo savigniano proprio all'interno di quel diritto pubblico del quale, sin dall'inizio, Savigny si era disinteressato: ma sarà proprio questa intuizione a garantire il rafforzamento e il successo del metodo giuridico e, nello specifico, a perseverare nel proposito della Scuola storica di agire contro «il diritto naturale, derivante dal diritto della ragione, e così anche contro la rivoluzione francese»20.

Già da qualche anno, però, i germanisti, nonostante numerose difficoltà e scarsi risultati, tentano una reazione a quest’appiattimento della scienza privatistica alle categorie del diritto romano. Ad esempio fu Georg Beseler, futuro maestro di Gierke, a indicare una possibile strada alternativa: già nel '42 Beseler aveva dato alle stampe uno dei suoi testi più famosi, Völkerrecht und Juristenrecht21 nel quale ipotizzava una strada alternativa a quella tracciata da Gerber. Sebbene sconfitti politicamente dopo la conclusione delle illusioni dell'Assemblea francofortese del '4822, i germanisti provarono a condurre nel fronte più specificamente scientifico la propria battaglia. È lo stesso Gierke a sottolinearlo: «[I germanisti] tentarono l'esatto studio del passato del diritto tedesco, ma considerarono le loro ricerche storiche soprattutto come mezzo per fondare più saldamente e profondamente il diritto tedesco del presente»23. È in questo contesto che nasce e si forma il giurista di Stettin.

compromesso, per assicurare il proprio sviluppo economico sulla base dell'accordo con le vecchie autorità». W. Wilhelm, Metodologia giuridica nel secolo XIX, cit., p. 146. È in questo rinnovato clima che Gerber redige i Grundzüge des deutschen Staatsrecht del 1865. 20 Così Bernd-Rüdiger Kern, Die Historische Rechtsschule und die Germanisten, in G. Dilcher e B. R. Kern, Die juristische Germanistik des 19. Jahrhunderts und die Fachtradition der Deutschen Rechtsgeschichte, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung, Germanistik Abteilung, 101, 1984, pp. 1-46, la citazione è a p. 9. 21 G. Beseler, Völkerrecht und Juristenrecht, Leipzig 1843. Nel testo Beseler contestava la tesi savigniana di una provenienza tutta romanista del diritto tedesco e avanzava, invece, l'ipotesi dell'esistenza di un nucleo specificamente germanico. In quest'ottica il ruolo del giurista diventava, da meramente tecnico e 'notaio del potere', pienamente politico nella scelta degli istituti, specificamente nazionali, da adottare e privilegiare. Questa impostazione giuridica, che presupponeva un corpus germanico esistente, determinava anche la politicizzazione del movimento: i germanisti, cioè, si posero con decisione il problema dell'unificazione nazionale, non solo amministrativa ma politica. Su questo, diffusamente, si veda M. Fioravanti, Op. cit., pp. 99 e ss. Può essere utile rifarsi anche al ricordo di Beseler redatto dallo stesso Otto Gierke: Georg Beseler, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte – Germanistische Abteilung, XXIII, 1889, pp. 1-24. Su tutto questo si veda infra cap. III. 22 Molti germanisti, tra cui lo stesso Beseler, sedettero nell'Assemblea francofortese del '48: lo stesso Gierke parla della sostanziale somiglianza tra le assemblee dei germanisti e quella di Francoforte. Cfr. infra, cap. III. 23 O. Gierke, Die historische Rechtsschule und die Germanisten. Rede zur Gedächtnisfeier des Stifters der Berliner Universität König Friedrich Wilhelm III in der Aula derselben am 3. August 1903 gehalten, cit., p 22 [748].

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Non si può negare come lo studio del diritto fosse quasi una necessità per il giovane Gierke: il padre, politicamente attivo nella Preußischen Nationalversammlung 24, è un funzionario prussiano nonché anche Stadtsyndacus di Stettin. La famiglia materna, gli

Zittelmann, sono un’importante famiglia di giuristi, tra cui Ernst Zittelmann, docente di diritto civile a Bonn. Nel 1848 la famiglia si trasferisce a Berlino, ma nel 1850 la promozione del padre a presidente della Corte di appello di Bromberg impone un nuovo trasferimento: qui Gierke intraprende i suoi studi ginnasiali ma nel 1855 muoiono di colera entrambi i genitori e Gierke, insieme alla sorella di cinque anni più giovane, torna a Stettin, per vivere con la famiglia del fratello della madre, il consigliere di giustizia Otto Zittelmann – cui dedicherà, qualche anno dopo la sua dissertazione dottorale De debitis feudalibus–. Qui frequenta e completa gli studi ginnasiali e nel 1857 intraprende gli studi giuridici: il primo semestre è a Berlino, i tre successivi a Heidelberg, dove aderisce alla Burschenschaft

Alemania.

Queste associazioni studentesche rappresentavano quasi un rito di iniziazione per i giovani studenti e caratterizzavano in modo straordinario la vita degli universitari, indirizzandoli a un sistema di valori e di norme che segnasse l'introduzione di semplici

'borghesi' alla gestione del paese e cioè del governo e dell’amministrazione, fino a quel momento riservate ai nobili, a definitivo coronamento dell'opera di integrazione tra i vecchi ceti dominanti e le nuove forze emergenti25.

Tornato a Berlino nel ‘59, conobbe Georg Beseler: un incontro che segna l'inizio di un sodalizio accademico e umano. Al sesto semestre Gierke presentò una dissertazione, De debitis feudalibus, con Karl Gustav von Hoymer: il 21 agosto 1860 completò, dunque, i suoi studi universitari. Successivamente è sotto le armi per il sevizio militare e il 27 giugno 1865

è nominato aggiunto giudiziario a Berlino: nel 1866 partecipò alla guerra contro l'Austria come sottotenente di artiglieria e un anno più tardi si abilitò alla libera docenza per la quale

24 Si tratta dell‟assemblea convocata dal regno di Prussia in opposizione a quella, 'democratica', della Paulskirche di Francoforte. 25 Così H.-U. Wehler, Deutscher Kaiserreich, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1973 trad. it. L'impero guglielmino, a cura di P. Schiera, De Donato, Bari 1981: «La loro funzione socio-politica consistette […] nell'introdurre figli di borghesi ad un codice morale e di comportamento neo- aristocratico, modificando le loro norme e scale di valori; collegando così i potenziali rappresentanti di una futura politica borghese ai gruppi dirigenti preindustriali ed aristocratici, disinnescandone il potenziale di disturbo con una nuova mentalità collettiva ed indirizzandoli, in maniera che risultò totalmente coronata da successo, ad un altro modo di vivere» pp.135-136.

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lavorò sul tema delle consociazioni [«historiam et naturam universitatum et societatum quae dicuntur Genossenschaften»26].

Il tema è scelto di comune accordo con Georg Beseler: das deutsche

Genossenschaftsrecht, destinato a diventare il primo volume di un'opera che occuperà Gierke per gran parte della sua vita27. I volumi successivi lo impegneranno per almeno vent'anni: si può dunque comprendere quanto quest'opera rappresenti gran parte del percorso intellettuale di Gierke.

Nel primo volume Gierke, partendo dalle tesi del suo maestro Beseler, perviene a un uso sapientemente critico del concetto di Genossenschaft. Si tratta, cioè, di modulare il tema delle associazioni umane non più in un ambito esclusivamente privatistico ma, a partire dal quadro politico in rapida evoluzione, di adattarlo a strumento fondativo di una nuova metodologia del diritto pubblico. Questo primo volume è dunque segnato da un interesse particolare per una formulazione storica della Genossenschaft nonché da una vivace polemica politica contro l'impostazione tradizionale della scienza giuridica coeva.

Da qui la divisione del libro nei cinque periodi attraverso i quali viene esaminata l'evoluzione del concetto, a partire da una specificità germanica poi contaminata dalla recezione del diritto romano e dall'influsso di quello canonico.

Questi cinque periodi28, che dall'impero di Carlo Magno scandiscono l'evoluzione della specificità tedesca sino allo stato monarchico costituzionale prussiano, sono caratterizzati dalla dialettica tra Einheit e Freiheit che interviene nella costituzione dei gruppi umani, veri artefici del progresso storico. L'individuo, quindi, esiste solo all'interno di uno specifico gruppo e di un terminato contesto: questo vuol dire, quindi, che per Gierke non si può parlare di individui astrattamente intesi, perché, da un lato esistono, per dirla con Jhering, interessi e scopi, che, coalizzandosi fra loro, danno luogo a gruppi potenzialmente conflittuali. Dall’altro questi gruppi andavano analizzati e studiati come concreta, cioè storica, manifestazione del combinato tra i due principi. In questo modo era assegnata al fenomeno giuridico un'origine davvero particolare e del tutto opposta a quella

26 Le parole sono dello stesso Gierke, tratte dal suo curriculum scritto di suo pugno e presentato per l'abilitazione, cfr. Universitätsarchiv, cartella Habilitation, Jür. Fak. 142 UA/HU, p. 207. 27 Anche la sintesi originale del testo presentato da Gierke è conservata tutt'ora presso l'archivio della Humboldt Universität. Si veda cartella Habilitation, cit. pp.210 e ss. Si può leggere chiaramente la scansione dei periodi storici in base ai quali sarà poi realizzato il primo volume del Das deutsche Genossenschaftsrecht. 28 Sui quali, dettagliatamente, si veda infra cap. II.

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dei formalisti: l'uomo di Gierke è sempre un soggetto storico e l'organizzazione dei rapporti tra i vari gruppi umani, che normalmente si definisce diritto, va necessariamente storicizzata e ricondotta alle dinamiche di questi gruppi. E non, come volevano i formalisti, prodotto da una metafisica, idea di libertà de-storicizzata, dalla quale potevano trarsi i concetti giuridici. Il diritto si qualifica innanzitutto dalla 'forma' che assume il conflitto tra i due principi di unità e libertà, una forma che è soggetta a precise regole e leggi ma non è mai pienamente determinata.

La dinamica dei Vereine non è, però, esclusivamente sociologica – meno che mai

'proto marxista' – quanto piuttosto essa scandisce la progressiva costituzione di un organismo sociale, composto cioè di varie parti interdipendenti fra loro, la cui natura è data esattamente dal rapporto specifico che i due principi, quello di Einheit e quello di Freiheit, hanno raggiunto. Il Verein possiede sempre un’autonomia rispetto ai singoli che lo compongono: esso è una persona collettiva dotata di una propria volontà che non deriva meccanicamente dalla somma delle volontà singole. In questo senso esso è reale, cioè indipendente dalle unità che lo costituiscono.

Non c'è dunque né una sociologia ante litteram – per quanto il metodo giuridico non possa trascendere dall'analisi dei contesti nei quali i gruppi si costituiscono: il primo volume del Genossenschaftsrecht è dedicato proprio a questo – né tanto meno un determinismo nel quale i principi dialettici in gioco sono naturalmente spinti ad assumere un determinato ordine. L'analisi sociologica è, infatti, parziale, perché i gruppi vengono assunti come effetto del principio consociativo caratteristico della società tedesca – e quest'ultimo come tale, pur essendo Gierke attento a leggerne la lunga transizione dall'800 d.C. al moderno Stato costituzionale monarchico, non viene mai pienamente codificato –.

Ma non c'è neanche un'ipotesi determinista perché i principi di Einheit e Freiheit si combinano sulla base di precise coordinate storiche e sociali: la compattezza dei gruppi – e quindi anche dello Stato – non è una costante o un prodotto certo ma è affidato alle capacità dei due principi di comporsi 'armonicamente' – e cioè dei gruppi storicamente dati di determinare un certo livello di integrazione tra unità e libertà – .

L'intero volume è, inoltre, attraversato da una profonda critica all'impostazione assolutista di matrice francese, che aveva ridotto il diritto alla pura volontà dei singoli e, in particolare, tramite la nota costruzione hobbesiana, alla quale Gierke guarda con grande

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attenzione critica, dello Stato-Leviatano, al quale erano trasferiti i diritti di cui quelle volontà erano titolari, aprendo di conseguenza la strada alla modernità politica della divisione netta tra chi governa, e decide, e chi è governato. È noto che le costruzioni moderne sono segnate dall’individualismo, cioè dall’idea che, venuta meno ogni costruzione fondata su un’impostazione teologica o su di un ordine universale dato, sia possibile pensare la politica solo a partire dal singolo essere umano, la cui volontà è decisiva per la nascita della politica modernamente intesa. Gierke, invece, ribaltava questo assunto e proponeva, quale luogo e cifra del giuridico, proprio i gruppi, nei quali i singoli sviluppano la propria personalità. In questo modo la politica e il diritto non si riducono a un’iniziale e decisiva volontà, che, ad esempio, produce un patto, quanto alle dinamiche delle relazioni e dei conflitti dei gruppi sociali, dinamiche segnate da leggi di sviluppo bene precise.

Il tentativo di Gierke non può essere definito, dunque, una romantica contemplazione del passato, quanto piuttosto una «ricerca di un principio unitario pubblico di associazione e organizzazione sociale da far valere contro la disgregazione atomistica insita nei progetti sociali a matrice individualista»29. Qui la qualificazione di

'pubblico' e da intendersi in senso tecnico, ovvero come natura giuridica del rapporto: per

Gierke, infatti, l'istanza di una costruzione giuridica dello spazio tra lo Stato, il popolo e le

Genossenschaften è obiettivo irrinunciabile e che verrà poi successivamente sviluppato e perfezionato nei termini di una critica alle ipotesi di riduzione del diritto pubblico a böse

Willkür e, cioè, mero arbitrio, in questo caso dello Stato. Il pubblico è, quindi, il Gemein, l'ambito attraversato dal diritto che non si conclude – almeno teoricamente – nello Stato. In questo quadro l'identità prospettata da Gierke tra Stato e popolo30 va compresa non come uguaglianza di questi due concetti – il popolo è lo Stato e, viceversa, lo Stato è il popolo –, quanto piuttosto come piena compenetrazione del popolo, soggetto autonomo, nello Stato attraverso, non a caso, il diritto come elemento vivificante e 'cemento' tra le varie consociazioni nello Stato stesso31. Così la metafora organicista vale a rappresentare non solo

29 F. Riccobono, Soggetto, persona, diritti, Terzo Millennio Edizioni, Napoli 1999, p. 59. 30 Cfr. O. Gierke, Das deutsche Genossenschaftsrecht  Rechtsgeschichte der deutschen Genossenschaft, Weidmannsche Buchhandlung, Berlin 1868: «Das Wesen der modernen deutschen Staatsidee beruhe in der Identität von Staat und Volk [...]» p. 830. Su questi aspetti si veda più dettagliatamente il capitolo II. 31 Così S. Mezzadra, Il corpo dello Stato. Aspetti giuspubblicistici della Genossenschaftslehre di Otto von Gierke, in Filosofia politica VIII, 1993, pp. 445-476: «[…] lo Stato, personificazione del popolo come insieme di tutte le individualità e di tutte le associazioni, deve esserne distinto qualitativamente

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una nuova metodologia giuridica quanto piuttosto una vera filosofia della storia per la quale l'immissione degli individui nelle consociazioni sino a quella par excellence dello Stato segna e caratterizza l'evoluzione del popolo tedesco. Un’immissione che, non annulla l'individualità e la libertà, ma le rende di segno diverso perché innalzate nella totalità del gruppo, prima, e dell'articolazione delle consociazioni, sino a quella suprema, dopo.

Negli anni immediatamente successivi, Gierke continua ad approfondire la connessione tra il diritto germanico e l'ostilità alla scienza giuridica dominante: il presupposto da cui Gierke muove è l'idea di una metodologia che debba tener presente quanto si muove e si trasforma nella società. La dialettica Einheit-Freiheit era da intendersi come principio di interpretazione della realtà e come tale andava utilizzato: la scienza giuridica non poteva, perciò, accontentarsi di proporsi, da un lato, come arcana imperii di un ceto ristretto e dall'altro pretendere di esaurire il proprio compito nella 'estrazione' del diritto nazionale dalle pandette. Gierke lo afferma chiaramente nel 1871: «[esiste una] grave e interminabile malattia della vita del nostro diritto, ovvero il conflitto apertosi tra popolo e diritto *<+. I rimedi contro di essa, che a lungo si è manifestata nel nostro diritto, *<+ non sono più introvabili. Vivono nella rinnovata partecipazione che sempre più s'impone del popolo alla legislazione, all'amministrazione della giustizia, e nella vita del diritto in cerchie più ampie e più fitte. Vivono, inoltre, nel migliorare del diritto degli eruditi attraverso l’approfondimento dell'idea del diritto nazionale, sempre viva nella coscienza del popolo, anche se spesso lungamente e gravemente nascosta»32. L'indicazione è chiara: il diritto non può più essere appannaggio di una casta e deve fare sempre rifermento a una coscienza del popolo: sembrerebbe che in quest'ultima indicazione si celi quasi un ritorno al Volksgeist di Savigny e Puchta ma non è così e, nello sviluppare le sue tesi, Gierke avrà modo di chiarire maggiormente la sua proposta. Si può, però, sin d'ora costatare la

per poterle contenere e ricondurre al principio dell'unità politica» p. 466. Con Althusius, invece, non è l‟individuo che definisce lo Stato – costruzione moderna ed estranea al Syndacus di Emden – ma il popolo che, articolandosi in consociazioni, produce lo Stato. Mentre il popolo nella modernità è un prodotto dello Stato, nella fase precedente è realtà che esiste indipendentemente dalla compagine statale. Cfr. Althusius, La politica. Elaborata organicamente con metodo ed illustrata con esempi sacri e profani, traduzione condotta sul testo della terza edizione della Politica (1614) a cura di C. Malandrino, due tomi, Claudiana, Torino 2009: «Il diritto del regno, o diritto di sovranità, compete non ai singoli, ma, congiuntamente, a tutti i membri e all'intero corpo consociato del regno; come infatti la consociazione universale può essere costituita non da uno, ma da tutti i membri insieme, così si dice che il diritto di sovranità non appartiene ai singoli, ma a tutti i membri insieme. Così ciò che si deve alla collettività non lo si deve ai singoli, e ciò che deve la collettività non lo devono i singoli [Dig. III, 4, 7, 1: «Si quid universitati debetur, singulis non debetur: nec quod debet universitas, singuli debent»]» I Tomo, Libro IX, § 18. 32 O. Gierke, Der Humor im deutschen Recht, II ed., Weidmannsche Buchandlung, Berlin 1886 (prima edizione 1871) ora anche in Id., Aufsätze und kleinere Monographien, vol. I, cit., p. 82 [102].

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presenta di un chiaro nucleo concettuale improntato alla partecipazione e all'integrazione del popolo nelle scelte istituzionali e costituzionali: un primo sviluppo di quell'articolazione delle consociazioni che Gierke aveva storicamente descritto nel '68.

Questo quadro va necessariamente connesso a quanto stava avvenendo in Germania dopo la fondazione del II Reich.

IV. Dalla seconda metà del secolo la Prussia assunse la guida del movimento di unificazione tedesca e, nonostante le opposizioni del movimento che tentava di fare dell'Austria il perno su cui costruire il processo unitario, essa conseguì, grazie all'abilità di

Otto Bismarck, un piano successo a partire dagli anni '60 e un suo definitivo coronamento all'inizio del decennio successivo33.

In particolare Bismarck riuscì a fare dell'unificazione nazionale uno strumento di rafforzamento della sua posizione e della reazione tedesca: le guerre per i ducati Danesi

(1864), contro l'Austria (1866) e contro la Francia (1870-71)34 – alla quale Gierke prende parte proprio mentre svolge di Privatdozent a Berlino – divennero strumenti per incrementare l'autorità del Cancelliere ed emarginare l'opposizione, ovvero si trattò di iniziative di politica interna più che scelte dettate da ragioni di politica estera. Tra il 1870 e il 1871 la fondazione del II Reich era ormai compiuta35: cominciava così la lunga fase del cancellierato di Bismarck caratterizzata, per una prima fase, più che dal tentativo di isolare le opposizioni, come quella liberale, di integrarle pienamente nelle scelte del governo36.

33 O. Gierke, Das alte und das neue deutsche Reich. Vortrag gehalten zu Breslau am 7. December 1873, C. G. Lüderitz'sche Verlagsbuchhandlung, Berlin 1874 ora anche in Id, Aufsätze und kleinere Monographien, cit. «[...] dieses Reich ist ein neues Reich. Es ist keine Fortsetzung eines älteren Staatsgebildes, keine Restauration einer vergangenen Epoche, sondern das jugendliche Kind der großen, welterschütternden Jahre, die für uns Alle noch Gegenwart sind» pp. 3-4 [177-178]. 34 Combattendo in questa guerra come volontario, Gierke ricevette l‟Eiserne Kreuz, la croce di ferro. 35 Il giudizio sull'unità tedesca formulato da Gierke è, ovviamente, entusiasta: egli riesce comunque cogliere e a sottolineare tutte le differenze tra la vecchia struttura imperiale e quella nuovamente costituita: «[...] dieses Reich ist ein neues Reich. Es ist keine Fortsetzung eines älteren Staatsgebildes, keine Restauration einer vergangenen Epoche, sondern das jugendliche Kind der großen, welterschütternden Jahre, die für uns Alle noch Gegenwart sind. » pp. 3-4 [177-178]. Poco più avanti Gierke sottolinea nuovamente anche la necessaria struttura moderna dell‟impero che non può rimpiangere quello passato: «Nicht bloß die Misere der letzten Jahrhunderte, auch die Ideale des Mittelalters in des alten Reiches herrlichster Zeit sind dem neuen Reiche fremd und sollen ihm fremd bleiben immerdar!» p. 5 [179]. 36 Così P. von Oertzen, Die soziale Funktion des staatsrechtlichen Positivismus, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1974, pp. 159-160: «[…] gerade in dem ersten Jahrzehnt nach 1870 trieb der Kanzler eine

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Successivamente, invece, Bismarck ruppe ogni collaborazione con i liberali, evitò qualsiasi tentativo di ricostruire una coalizione 'allargata' e accentuò il carattere bonapartista del proprio governo: da quel momento in poi – e secondo Hans-Ulrich Wehler addirittura fino al 1918 – la Germania sarebbe stata governata da un raggruppamento «conservatore ed antiliberale i cui pilastri erano costituiti dai grossi interessi di produzione nell'industria e nell'agricoltura»37. Bismarck guidò il Reich fino al 1890 quando dovette cedere alle crescenti ambizioni del nuovo Kaiser.

La nascita del Reich e le pretese del Cancelliere, chiaramente definite già nel

Verffasungskonflikt tra il 1862 e il 1866 e dalle quali sarebbero scaturiti l'allontanamento dei liberali e la radicalizzazione dello scontro con il partito socialista, non potevano non avere effetti sulle scienze sociali e, in particolare, sulla Staatslehre38. Laband fu il primo che intuì questa trasformazione e non a caso i suoi scritti, a partire da quello sul bilancio del Reich

(1871), evidenziano una lettura che tentò di dare veste giuridica alle intuizioni di Bismarck anche se, come è stato efficacemente descritto, si trattò di una vera resa alla volontà dello

Staatsoberhaupt ed una vera frattura nella storia della scienza giuridica tedesca. In Laband, quindi, il diritto era interamente un prodotto dallo Stato: l'unico termine per definire la validità del giuridico era, in ultima istanza, proprio la volontà dello Stato. Il diritto si riduceva così a ciò che lo Stato ordinava e lo stesso Stato non poteva più essere confuso con una generica comunità, esso era invece pienamente rappresentato da organi precisi, il kaiser innanzitutto, il governo e la burocrazia. Contro questa opzione, che certo non mancava di chiarezza, il movimento liberale si trovò del tutto impreparato: «Ciò che drammaticamente manca alla giuspubblicistica liberale è la dimensione operativa immediata della riflessione scientifica di fronte all'emergere di una nuova realtà statuale che, al di là della sua 'legittimazione' storica, era l'unica in grado di gestire, e di organizzare concretamente, la circostante realtà politica e sociale»39.

Politik, der zumindest die gemäßigten Liberalen aus ganzem Herzen zustimmen konnten». 37 H.-U. Wehler, Op. cit., pp. 76 e ss. il quale riporta anche i critici giudizi di Burckhardt e Mommsen sul fallimento di questa politica bismarckiana quanto ad una vera svolta nel Reich. Il fatto che Wehler promuova un'interpretazione della Germania guglielmina come 'incubatrice' di una questione sociale e politica dalla quale scaturirà il nazionalsocialismo non è ostativa a riconoscere nella fase bismarckiana una 'modernizzazione' dall'alto con l'accordo tra gruppi diversi, vecchi ed emergenti, di potere. 38 Si veda P. von Oertzen, Op. cit., pp. 158-162 e M. Fioravanti, Op. cit., pp.306 e ss.. 39 M. Fioravanti, Op. cit., pp. 301-302.

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Ovviamente la polemica di Gierke continuerà proprio su questa prospettiva e, partendo dal lavoro sulla Genossenschaft, tenterà negli anni successivi di indicare una strada alternativa a quanto prospettato da Laband.

Chiamato a Breslau come ordinario nel '72, l'anno successivo sposa la sorella degli storici del diritto Edgar e Richard Loening, Lilli. Non si tratta di una mera nota personale: la famiglia della moglie ha origini ebree e questo aspetto è stato messo in rilievo anche per sottolineare l'assoluta inconsistenza dell'idea di un Gierke antesignano del nazismo 40 .

Sempre dal 1872 è membro del Verein für Sozialpolitik, tra il 1882 e il 1883 è Rettore a

Breslau41, dal 1884 torna a Heidelberg come professore e, infine, nel 1887 è chiamato a

Berlino.

In questi anni Gierke continua i suoi studi e perfeziona quello che era il nucleo della sua tesi. Il concetto di Genossenschaft, come ipotizzato nella prima stesura del primo volume del Das deutsche Genossenschaftsrecht, diventa lo strumento con il quale leggere l'intera storia tedesca: importante non solo nei termini di una proposta di formulazione della scienza giuridica sul terreno del diritto pubblico ma anche e soprattutto l'inizio di una riflessione che dovrebbe scompaginare del tutto il quadro giuridico, superando la stessa tradizionale divisione tra diritto pubblico e diritto privato.

Sono anni di grande vivacità intellettuale, Gierke scriverà nel decennio successivo, citando solo alcuni dei contributi principali il già citato Der Humor im Deutschenrecht, il secondo volume del Das deutsche Genossenschaftsrecht, sulla Geschichte des deutschen

Körperschaftsbegriffs42, l'importantissimo Die Grundbegriffe des Staatsrechts und die neuesten

40 A questo proposito si veda il contributo di G. Dilcher, Genossenschaftstheorie und Sozialrecht: ein «Juristensozialismus» Otto v. Gierkes?, cit. particolarmente a p. 360 «Den Rassismus hat er wissenschaftlich als unseriös abgelehnt, in seinem Leben, als Gatte einer Frau jüdischer Abstammung und Freund deutsch-jüdischer Gelehrter, ihn widerlegt». Dilcher non nasconde certamente la dimensione conservatrice, in particolare dell'ultimo Gierke ma ne sottolinea anche l'estraneità a qualunque fondamento su base razziale della Genossenschaft e della articolazione delle Genossenschaften. Torna sull‟assoluta inconsistenza di una relazione tra le teorie gierkiane e lo sviluppo nazionalsocialista anche Antony Black: «Certainly, Hitler too preached that individuals should submit themselves to a „greater whole‟, but it would be fair to say that what he meant this was quite different from what Gierke had meant», cfr. A. Black, Editor’s introduction, in O. Gierke, Community in Historical Perspective, traduzione a cura di M. Fischer, University Press, Cambridge 1990, p. xxiii. 41 U. Stutz, Op. cit., p. XVII. Per quell‟occasione tenne un discorso su Naturrecht und deutsches Recht. Rede zum Antritt des Rektorats der Universität Breslau am 15 Oktober 1882 gehalten, Rütten & Loenning, Frankfurt a.M. 1883 ora anche Id, Aufsätze und kleinere Monographien, vol. I, cit.. 42 O. Gierke, Geschichte des deutschen Körperschaftsbegriff, Weidmannsche Buchhandlung, Berlin 1873.

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Staatsrechtstheorien 43 , la voce Genossenschaftswesen per lo Staatswörterbuch curato da

Bluntschili44. E, ovviamente, le due famose recensioni dell'opera di Laband, la prima del

187945 la seconda del 188346. Nel 1880 compare la prima edizione della sua monografia su

Althusius. A questo punto è forse possibile provare a cogliere il quadro d'insieme e a definire anche quali sono gli elementi propri di questa fase che non mancheranno di ritornare anche nel corso degli anni successivi.

Gli scritti di questo periodo rappresentano il pieno sviluppo di un approccio metodologico e segnano la fase più alta dell'elaborazione di Gierke, tant'è che non sono pochi i critici che si sono approcciati alla sua opera esclusivamente sulla base di questi testi, considerando quelli successivi come un consolidamento e a volte una ripetizione di quanto sviluppato alla fine del XIX secolo. I temi con cui Gierke si confronta sono molteplici ma, in generale, tutti riconducibili ad una critica serrata alla scienza giuridica dominante, tanto in ambito privatistico che in ambito giuspubblicistico.

Occorre innanzitutto meglio precisare lo scenario nel quale Gierke si muove. Nel

1878 era cominciato lo scontro, durissimo con i socialisti: Bismarck avrebbe addirittura voluto inasprirlo verso la fine degli anni '80 ma dovette desistere e nel 1890 fu costretto a dimettersi. In questo modo le leggi antisocialiste non furono rinnovate, non tanto, o non soltanto, per una maggiore apertura dei governi conservatori, quanto piuttosto per la necessità ormai palese di integrare questi partiti all'interno dei rapporti di potere esistenti, purché, ovviamente, questi restassero saldamente a favore della grande borghesia. Del resto è stato scritto chiaramente a proposito della situazione dell'intera Europa: «[...] Dopo il 1870 diventò sempre più chiaro che la democratizzazione della vita politica era inevitabile. Le masse si sarebbero affacciate alla ribalta, piacesse op no ai governanti. E questo fu appunto quello che avvenne»47.

43 O. Gierke, Die Grundbegriffe des Staatsrechts und die neusten Staatstheorien, in Zeitschrift für die gesamte Staatswissenschaft, XXX (1874), pp. 153-198, 265-335 di cui la seconda parte è anche in Aufsätze und kleinere Monographien, I vol., cit. 44 Bluntschli's Staatswörterbuch in drei Bänden, I vol., Expedition des Staatswörterbuch, Leipzig und Stuttgart 1875, la voce curata da Gierke è a pp. 775-812. 45 O. Gierke, Rezension: Das Staatsrecht des deutschen Reiches, von Dr. Paul Laband. Zweiter Band. Tübingen 1878 in: Zeitschrift für das Privat- und öffentliche Recht der Gegenwart, a cura di C.S. Grünhut, VI Band, Wien 1879. pp. 221-235. 46 O. Gierke, Labands Staatsrecht und die deutsche Rechtswissenschaft, in Jahrbuch für Gesetzgebung, Verwaltung und Volkswirtschaft im Deutschen Reich, 7 1883, pp. 1097-1195 ora anche in Aufsätze und kleinere Monographien, vol. I, cit.. 47 E. J. Hobsbawm, The Age of Empires 1875-1914, Weidenfeld and Nicolson, London 1987 trad. it.

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In questo contesto, quindi, Gierke si trova a dover affrontare un doppio ordine di problemi: innanzitutto evitare la strutturazione di una Staatslehre del tutto chiusa alla ricchezza del sociale: evitare, cioè, che lo Stato definisse la propria volontà nelle sue istituzioni di vertice e, ancora meglio, che quello si indentificasse interamente in queste, provando a integrare pienamente il popolo nell’articolazione dello Stato, la consociazione suprema. In secondo luogo, senza che questa considerazione determinasse un romantico rimpianto del vecchio feudalesimo, era evidente che la nuova economia che accompagnava e indirizzava lo sviluppo del Reich non era dotata di sufficienti sistemi di protezione dei singoli e, in particolare, di quelli più esposti alla trasformazione capitalista. Indubbiamente essi erano tutti uguali di fronte alla legge – merito indiscusso secondo Gierke del passaggio dal feudalesimo all'assolutismo – ma, in fondo, per l'economia non esistono cittadini ma solo parti di un sistema che deve produrre ricchezza la cui distribuzione avviene sempre secondo le norme che il sistema capitalistico si dà. Il rischio consisteva nell'abbandono del singolo al suo destino, la fine del popolo come realtà esistente di per sé e la piena riduzione della società a somma di individui in lotta fra loro. Un simile esito da un lato impedisce la strutturazione del popolo come soggetto politico – e dunque indebolisce il Reich – dall'altro attribuisce maggiore vigore a ipotesi antisistema come quella socialista. Sono questi gli elementi fondamentali che attivano la ricerca di Gierke in questi anni.

Strumento individuato per intraprendere quest’ambiziosa sfida è, ovviamente, il concetto di diritto. Per quanto ostile a una ripresa dell’idea del diritto in senso giusnaturalista 48 , che, anzi, Gierke contesta apertamente, a suo avviso è necessario recuperare una specifica natura del diritto, un’idea del diritto49: ovviamente la storia serve nuovamente a individuare nella particolarità germanica un precedente utile e illustre.

Mentre, infatti, i romani parlavano di un diritto come di una facoltà riconosciuta a un singolo, i germani conoscevano l’idea della libertà e del diritto non come arbitri ma come eticamente determinati. Il contenuto etico del diritto è individuato da Gierke nella sua

L'età degli imperi 1875-1914, a cura di F. Salvatorelli, Laterza, Roma-Bari 2011, pp. 100-101. 48 La critica di Gierke al giusnaturalismo è chiarissima: l‟idea del diritto si manifesta «nicht in einem abstrakten Weltrecht, sondern realisiert sich in dem konkreten Rechtsbildungen der im Strome der Geschichte auf- und untertauchenden menschlichen Genossenschaften» O. Gierke, Naturrecht und deutsches Recht, cit., p. 8 [378] 49 La presenza di un‟idea del diritto non riconducibile ad uno schema giusnaturalista è una costante del pensiero di Gierke, la si ritroverà, ad esempio, nell‟intervento su Diritto e Morale: «Der Wechsel der Erscheinungsformen schließt nicht die Ewigkeit der in ihnen erscheinenden Idee aus», cfr. O. Gierke, Recht und Sittlichkeit, in Logos, 6, 1916/1917, pp. 211-264, ora anche in Id, Aufsätze und kleinere Monographien, cit, vol.II, pp. 1009-1062, particolarmente p. 245 [1043].

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connessione tra diritti e obblighi – ovvero il Recht contiene tanto il diritto del singolo che i suoi obblighi50 – e nella rilevanza che esso attribuisce all’elemento associativo. Gli obblighi contenuti nel diritto sono, infatti, determinati sempre dalla comunità nella quale i singoli individui agiscono: il contenuto dell’obbligo è, cioè, rivolto direttamente alla stabilità e alla sopravvivenza della comunità. Il diritto è quindi la relazione che unisce i singoli alla propria comunità (in particolare tramite l’azione del principio di libertà) e che organizza i rapporti fra le consociazioni (tramite il principio di unità).

Il testo del '75 dedicato al Genossenschaftswesen è estremamente interessante nell'evidenziare come la metodologia gierkiana innovi profondamente il metodo giuridico classico. Gierke realizza come il riferimento al diritto germanico in contrapposizione a quello romano possa giocare un ruolo molto più interessante di quello avuto nella prima generazione dei germanisti. Perché il diritto e la scienza giuridica escono dalle vuote formule concettuali nelle quali sembravano destinati e incontrano altre discipline, l'economia, la storia, la sociologia. «La natura consociativa [Genossenschaftswesen] economica è quella delle classi a rischio della propria autonomia economica attraverso lo sviluppo capitalistico» 51 . Sono qui indicati precisamente i nuovi soggetti e le nuove condizioni con cui la scienza giuridica deve confrontarsi. Nello stesso testo, poco più avanti, Gierke precisa anche meglio il senso di quest’affermazione: «Il nuovo sviluppo economico è capitalista. Il capitale mobile controlla la produzione e determina la distribuzione; il suo influsso è così decisivo che i restanti fattori dell'economia sono, sempre più, solo forme particolari del capitale e come tali sono trattate dalle leggi»52. Da tutto ciò discende che «La posizione dipendente [non libera] del lavoro nella moderna impresa costituisce la radice della moderna questione sociale. Sotto l'influsso della libera concorrenza e della tendenza a estendersi, il capitale viene inevitabilmente spinto a utilizzare la propria sovranità assoluta nei propri e nei vicini interessi e sempre più estenderne sempre di più i confini»53. Gierke, riportando questo processo del capitalismo sotto il moto generale della storia di dialettica tra Einheit e Freiheit scriverà qualche anno dopo: «Ogni possibilità del superamento del logorante processo di disgregazione [della

50 O. Gierke, Das deutsche Genossenschaftsrecht. Zweiter Band. Geschichte des deutschen Körperschaftsbegriffs, Weidmannsche Buchhandlung, Berlin 1873, p. 130. 51 O. Gierke, voce Genossenschaftswesen in Bluntschli's Staatswörterbuch in drei Bänden, I vol., Expedition des Staatswörterbuch, Leipzig und Stuttgart 1875, p. 755. 52 Ivi, p. 786. 53 Ibidem.

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vita], ogni speranza di salute e vite si basa nell'attività di un'altra forza che muova secondo la legge costituiva interna delle unità vitali organiche all’unione, concili i contrasti in un’unità più elevata e impregni le funzioni specifiche con affinità dall'unità, vicoli la forza che tende alla disgregazione con maggiore sforzo e connetta ciò che è diviso senza annullare le sue specificità. Solo dove questa forza misteriosa non è sbocciata, il progresso non rappresenta l'ultimo passo di ogni struttura organica – il passo verso la tomba»54.

Questo processo di estensione e di concentrazione del capitalismo produce l'effetto di rendere sempre più dipendente la maggior parte della popolazione – inquadrata nella classe lavoratrice – e, soprattutto, dei nullatenenti [besitzlos], i piccoli imprenditori, gli artigiani e i piccoli proprietari terrieri55. Una situazione simile non è sostenibile e occorre che sia affrontata, pena l'ipotesi di una rivoluzione sociale che destabilizzi, fino alla morte, l'organismo sociale. Coglie dunque il segno Sandro Mezzadra, quando scrive lucidamente:

«Gierke mostra dunque di registrare con precisione la potenza dirompente – per lo stesso immaginario individualistico-contrattuale che aveva sostenuto la fase aurorale dello sviluppo capitalistico – del processo storico attraverso il quale il Pöbel hegeliano si era trasformato nel moderno proletariato *<+» 56 . La risposta possibile a questo processo disgregante, individuata da Gierke, passa proprio dal riconoscimento della libertà di associazione della classe lavoratrice. In questo modo, infatti, si accentua la forza e la protezione degli interessi dei più esposti alle trasformazioni del capitalismo ma, contemporaneamente, si tempra l'individualismo e, proprio attraverso il principio associativo, si rafforza la solidità di ogni organizzazione – i cui interessi sono necessariamente superiori ai bisogni individuali – anche di quella dello Stato. Si tratta, cioè, di non identificare più, soprattutto nell'ambito politico, la libertà nell'arbitrio soggettivo, ma, piuttosto, di credere che «[...] la vera libertà economica non consista in un godimento sconfinato sino alle leggi penali, ma pretenda un consapevole ordinamento nella generalità che, contemporaneamente, limiti i singoli e riconosca sopra di se solo stessa» 57 . Qui, evidentemente, la teoria gierkiana si fonde con un’impostazione etica ed è portata a vedere nella Allgemeinheit il luogo dove i conflitti possono essere mediati. Interessa qui segnalare

54 O. Gierke, Die Soziale Aufgabe des Privatrechts. Vortrag gehaltenen 5. April 1889 in der juristischen Gesellschaft zu Wien, Berlin 1889, ora anche in Aufsätze und kleinere Monographien, vol. II, cit.;p. 11 [615]. 55 O. Gierke, voce Genossenschaftswesen, cit., p. 789. 56 S. Mezzadra, Op. cit., p. 458. 57 O. Gierke, voce Genossenschaftswesen, cit., p. 792.

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ancora una fase: «Questa moderna natura consociativa *<+ ricongiunge gli individui in legami organici, senza mettere in discussione la libertà individuale attraverso e produce una vita comune, intrecciata in migliaia di punti, senta che essa voglia sostituirsi allo

Stato»58. Questo è forse il punto di maggiore capacità gierkiana di un’analisi davvero dinamica delle associazioni e, contemporaneamente, di un loro 'spazio' affrancato dallo

Stato: per quanto impossibile slegarla completamente dall'esito di un innalzamento etico dello Stato, in Gierke le relazioni tra i singoli, intesi come individui e come gruppi, non sono necessariamente condotte verso la mediazione finale della consociazione suprema. O, in altri termini, non si può affermare che la tensione della dinamica consociativa sia necessariamente indirizzata verso la costruzione dello Stato, per di più eticamente rafforzato (un super Io). Come si dirà, è questa una contraddizione che mina di certo la teoria gierkiana – per di più pericolosamente – ma interessa qui segnalare come l’analisi di

Gierke fuoriesca dalla normale impostazione giuridica a lui coeva e si ponga il problema di una chiara interlocuzione della mutevole realtà sociale. Il protagonismo delle

Genossenschaften, da intendersi come libertà di associazionismo, definisce comunque uno spazio che è sottratto da ogni tipo di determinismo: se lo Stato tornerà prepotentemente soggetto centrale è solo perché per Gierke non se ne può fare a meno, in un’ipotesi nella quale la libertà è piegata sempre alla stabilità del sistema59.

Da questi presupposti Gierke – che sono quelli che meglio rappresentano la sua attenzione al sociale– definisce e struttura la propria teoria.

La teoria dominante è identificata in quella romanista: la reazione al diritto romano e alla romanistica è una critica innanzitutto a quell’individualismo e alle sue conseguenze che guida tanto l’impostazione scientifica di Laband che il processo di codificazione60. A

58 Ivi, p. 786. 59 Coglie questi rischi Hans Hattenhauer, seppur accentuandoli eccessivamente, fino a collocare Gierke quale precursore del nazionalsocialismo e, dunque, rendendo inimmaginabile qualsiasi tentativo di recupero del giurista di Stettin. Cfr. H. Hattenhauer, Zwischen Hierarchie und Demokratie – Eine Einführung. Die geistesgeschichtlichen Grundlagen des deutschen Rechts, II ed. ampliata, C. F. Müller, Heidelberg Karlsruhe 1980: «Die Personifizierung des Vereins, die ein halbes Jahrhundert zuvor der Freiheit des Individuums den Weg gebahnt hatte, konnte nun dazu dienen, diese wieder einzuschränken» § 306, p. 147. 60 La lunga genesi del BGB tedesco merita di essere velocemente ripercorsa. La prima commissione fu istituita, presieduta da Heinrich Eduard Pape (presidente del Reichsoberhandelsgerichts), operò dal 1874 al 1877. La prima bozza fu pubblicata nel 1888. Dal 1890 al 1895 si tennero i lavori della seconda commissione presieduta da Gottlieb Planck, già membro della prima. Al termine dei lavori fu pubblicata una seconda bozza: l'anno successivo fu resa nota la terza e ultima versione, promulgata il 18 agosto 1896 ed entrata in vigore il primo Gennaio 1900. Su tutto questo si veda diffusamente infra III capitolo.

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Laband Gierke dedica due corposi contributi che compendiano la distanza di Gierke con il giurista ufficiale del II Reich. Il torto di Laband consisteva, ad avviso di Gierke, nell'operare sempre ed esclusivamente in termini di astratta logica giuridica: i concetti sarebbero sottoposti a un vero e proprio processo di isolamento genetico, ovvero di espulsione dal metodo di lavoro del giurista di ogni elemento che non sia riconducibile a un livello di purezza concettuale tale da garantire la piena autonomia e indipendenza della scienza giuridica da ogni altro approccio scientifico. Ma questo tentativo si rivela impossibile: «La giurisprudenza deve ricavare i suoi concetti dalla vita e non a essa imporli»61; proprio la vita, a detta di Gierke, scorre in una corrente potente e non nel sistema delle nostre categorie del pensiero. Da qui si sviluppa una critica serrata che conduce a un ripensamento dell'esito labandiano del diritto pubblico, attribuendo allo Stato, grazie all'idea della Genossenschaft, la qualità di consociazione suprema, senza, però, nessuna differenza qualitativa con le consociazioni minori: ecco perché il diritto diventa una funzione della vita consociativa.

In questo modo Gierke 'riempie' di corpi intermedi quello Stato che la modernità aveva di fatto 'svuotato', definendo solo un rapporto verticistico tra il vertice dello Stato e i singoli individui, e prosegue la battaglia dei liberali cercando di assumere un profilo che, autonomizzando il diritto dalla mera Willkür del legislatore, premi gli sforzi per una monarchia costituzionale, nella quale le varie parti siano armonicamente organizzate. In questo modo i rischi di una scienza giuridica 'ancella' del potere e pienamente dentro l'ipotesi di governo autoritaria e bonapartista di Bismarck potevano essere scongiurati. La critica alla giurisprudenza romanista, dunque, investe direttamente la teoria dello Stato, con la quale essa produceva una riflessione non solo individualista ma anche assolutista: l'idea che il diritto derivasse dalla volontà e che fosse un prodotto dei singoli uomini si era rivelata straordinariamente funzionale alla tesi di Hobbes di un Leviatano che veniva prodotto da una masse di singoli che solo dopo la formazione dello Stato poteva diventare popolo. Infine, anche grazie a Rousseau, lo 'spazio' tra il sovrano e gli individui era del tutto svuotato, privo cioè di ogni corpo intermedio62. A titolo di esempio si può citare un

61 O. Gierke, Rezension: Das Staatsrecht des deutschen Reiches, von Dr. Paul Laband. Zweiter Band. Tübingen 1878 in: Zeitschrift für das Privat- und öffentliche Recht der Gegenwart, a cura di C.S. Grünhut, VI Band, Wien 1879. pp. 221-235, qui p. 223 e continua: «Das Rechtsleben ist bei aller Selbständigkeit und Geschlossenheit doch nur eine Function des Gemeinlebens und wird daher in seiner gesammten Bildung durch alle übrigen Functionen des gesellschaftlichen Körpers bedingt und bestimmt» 62 Cfr. O. Gierke, Naturrecht und deutsches Recht cit.: «Unter allen eigentümlich germanischen

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testo del '75: scrivendo della fase di transizione dal feudalesimo allo Stato assoluto, Gierke evidenzia: «La mediazione delle cerchie del popolo fu spezzata; l'individuo fu liberato da insopportabili catene, nelle quali si erano ossificati legami dei secoli passati. Ma soprattutto la battaglia necessaria contro i gruppi esistenti superò il proprio obiettivo e non attaccò solo quegli elementi oramai atrofizzati *<+, piuttosto si volse principalmente contro la natura corporativa»63.

La questione merita di essere ulteriormente precisata e messa in connessione con il contesto storico.

All'irrigidimento della natura assolutista dello Stato corrispondeva anche un violento attacco di Bismarck ai nuovi movimenti sociali che si andavano organizzando e, in particolar modo, al partito socialista. Per oltre un decennio esso fu dichiarato fuori legge e impedita ogni forma di organizzazione: tutto ciò non impedì ai socialisti di continuare la propria ascesa tant'è che i voti che essi conquistarono alle elezioni continuarono a crescere, nonostante la campagna repressiva. A quest’analisi va aggiunto il carattere particolarmente duro della crisi economica (la Grande depressione) che colpì l'Europa a partire dal 1873. Ci si trovò quindi di fronte ad una situazione particolarmente inedita: la crisi economica rendeva instabile il già traballante accordo tra le classi sociali e contribuiva a evidenziare la minaccia di una trasformazione dello Stato in senso socialista – per una parte della borghesia tedesca – o, più realisticamente, a compromettere uno sviluppo pacificato di coesione interna senza alterare i rapporti di potere esistenti.

In una prima fase la grande borghesia tedesca – la quale continuava a disporre di forze considerevoli e non era realisticamente ancora minacciata nella sua egemonia dai movimenti operai e socialisti – tentò di imporre un’idea dello Stato fortemente autoritaria, anche dal punto di vista della dottrina costituzionale, per desertificare, ovvero dichiarare incompatibile con il nuovo Reich, quanto si andava sviluppando nella società. Dal 1890 in poi, però, la strada della democratizzazione era per certi aspetti non più evitabile:

Bildungen traf die zwischen Staat und Individuum vermittelnden Verbände der tödtlichste Pfeil der naturrechtlichen Doktrin. Der souveräne Staat und das souveräne Individuum verbündeten sich gegen die Korporation. Die ständische, genossenschaftliche und herrschaftliche Gliederung der alten Gesellschaft ging in Trümmer, die Gemeinde wurde ihrer Selbständigkeit beraubt, die Kirche selbst zur Staatsanstalt degradirt. Das letzte Ziel der korrekten Theorie, wie Rousseau sie formulirte und die französische Revolution sie annähernd verwirklichte, war die Auflösung des socialen Körpers in eine allgewaltige centralisierte Staatsmaschine und eine atomisirte und nivellirte Masse freier und gleicher Individuen» pp. 28-29 [398-399]. 63 O. Gierke, voce Genossenschaftswesen, cit. p. 784.

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l’integrazione delle masse nel governo del Reich diventava una questione da affrontare con maggiore realismo e l'abrogazione delle leggi antisocialiste lo palesò chiaramente64.

All'interno di questo scenario Gierke tentava la strada di una critica all'impostazione assolutista – mediante la sussunzione dello Stato nel genus della

Genossenschaft e, dunque, la sua qualificazione come organismo composto da un'articolazione di più Genossenschaften – e dal riconoscimento della validità delle consociazioni intermedie quali soggetti chiamati a contribuire alla stabilità dell'organismo sociale.

Su questo punto è il caso di prestare particolare attenzione. Si tratta di immaginare le consociazioni non come semplici rappresentati delle istanze dei soggetti che le compongono, ma di provare a fare dello Stato – comunque dotato delle sue istituzioni, prima fra tutte il Kaiser – un soggetto più complesso, all'interno del quale partecipano attivamente le varie consociazioni che si sviluppano liberamente dal sociale ma che hanno il compito di determinare la piena compatibilità delle loro istanze con quelle superiori dell'organismo sociale e, cioè, dello Stato stesso. Esso non può ridursi allo Staatsoberhaupt perché proprio il diritto permette di cogliere la maggiore rilevanza di strutture solitamente escluse dal novero delle istituzioni statali: per Gierke le consociazioni garantiscono l’introduzione nella scienza giuridica della questione degli interessi dei corpi intermedi, senza che essi passino per il termine dei diritti individuali, che finirebbero, inevitabilmente, per attribuire alla macchina dello Stato un ruolo eccessivo e, comunque, centrale – come poi avverrà in Jellinek e nella nota teoria dell'autolimitazione –.

Indubbiamente quindi la tesi gierkiana oscilla tra l'ambiguità e l'aporia:

«Nell'organicismo collettivistico gierkiano resiste tuttavia il germe dell'individualismo. Il continuo parallelo tra il corpo umano e l'organismo sociale testimonia l'incapacità gierkiana di concepire caratteristiche dell'ente collettivo - prima tra tutte la volontà - che non siano duplicazioni di caratteri naturali dell'individuo»65. A questo occorre aggiungere che da un

64 Interessante è anche la riflessione di Wehler che connette alla teoria gierkiana la modalità con la quale gli interessi contadini provarono, riuscendoci, a trasformarsi in una soggettività politica: nel 1862 fu fondata la prima Lega contadina, a cui ne seguirono molte altre negli anni successivi, si veda H.U. Wehler, Deutsche Gesellschaftsgeschichte – Dritter Band: Von der «Deutschen Doppelrevolution» bis zum Beginn des Ersten Weltkrieges 1849-1914, C.H. Beck, München 1995, pp. 183-184.Il carattere repressivo, autoritario e centralista del governo di Bismarck era dunque eccessivo e non riusciva né a dialogare né a 'gestire' quanto stava emergendo dalle trasformazioni che attraversavano al Germania. 65 F. Riccobono, Op. cit., pp. 60-61.

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lato, la scienza giuridica dominante dimostrerà di sapersi adattare molto bene alla sussunzione di più attori sociali all'interno del sistema di governo66, dall'altro l’integrazione gierkiana non si emancipa mai del tutto dall'impostazione moderna della sovranità 67: palese è qui il rischio, già ricordato, di una limitazione dell'autonomia delle

Genossenschaften, a vantaggio della loro subordinazione all'interesse 'sovrano' dello Stato.

D'altro canto però, se Gierke muoveva contro l'ipotesi di un’applicazione del metodo privatistico al sistema pubblico – ovvero alla nascita di una scienza del diritto pubblico sviluppata con i concetti delle pandette – a essere investita dalla sua critica era la tradizionale metodologia privatistica, la cui ideologia determinava in un ambito che oggi sarebbe definito di filosofia politica un'esaltazione dello Stato, come pure una riduzione del diritto a vuota concettualità e mero calcolo logico.

Con l'opposizione alla codificazione68, Gierke suggeriva un approccio metodologico completamente diverso e molto più attento ai fenomeni e alle trasformazioni sociali che attraversavano la Germania. Affermare che il diritto va tratto dalla vita significava, in sostanza, assumere la sua contaminazione con la realtà e imponeva allo scienziato di non poter essere neutrale rispetto ai fenomeni che essa produceva ma di gestirli o, quantomeno, non ostacolarlo. Soprattutto c'era in Gierke la piena consapevolezza che questi aspetti non potevano essere confinati in un diritto speciale e sussidiario, ma dovevano essere elementi costitutivi dell'intero 'materiale giuridico' tedesco: «Tuttavia è un errore fatale, – un errore, che la bozza del codice civile tedesco ha commesso, credere di poter affidare la funzione sociale alle leggi speciali, per sviluppare senza intoppi il diritto privato comune in modo puramente individualistico, alleggerendone così il compito. Si ottengono due sistemi controllati da spiriti completamente diversi: un sistema del diritto civile comune, nel quale risiede il ''puro'' diritto privato e una pletora di diritti particolari, nei quali governa un diritto provato, confuso e mischiato con il diritto pubblico»69.

66 Cfr. su questo, e particolarmente sul problema della proprietà, Stefano Rodotà, Il terribile diritto. Studi sulla proprietà, Seconda edizione ampliata, Il Mulino, Bologna 1990. 67 Su questo cfr infra cap. II. 68 Gierke si oppose alla codificazione in particolare in due scritti nei quali egli sintetizzò la propria avversione contro le proposte avanzate dalle Commissioni imperiali incaricate di predisporre il testo. I testi del primo apparvero prima negli annali Schmollers, quelli del secondo sul Täglichen Rundschau. Sono: Der Entwurf eines bürgerlichen Gesetzbuchs und das deutsche Recht, Dunker & Humblot, Leipzig 1889 e Das Bürgerliche Gesetz und der Deutsche Reichstag, Carl Heymanns Verlag, Berlin 1896. Si veda nel dettaglio infra cap. III. 69 O. Gierke, Die soziale Aufgabe des Privatrechts, cit., p. 12 [616].

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La Genossenschaft e le critiche all'impianto tradizionale, seppur ambiguamente oscillanti tra una moderna metodologia sociale e un recupero di istituti feudali (che però va compreso esclusivamente come indicazione di una possibile modalità alternativa a quella dominante), costituiscono una rete concettuale di cui Gierke si serve per porre le basi di una nuova metodologia giuridica, che ambisca anche a superare la distinzione classica tra diritto pubblico e diritto privato in favore del diritto sociale, categoria con la quale egli immagina di poter portare a compimento quella specificità delle consociazioni tedesche che, lontano dall'essere mere unioni contrattuali, rappresentano delle entità reali, all'interno delle quali l'interesse dei singoli è mediato e superato dall'interesse della consociazione stessa. Il cerchio si chiude quando, come detto, allo Stato è riconosciuta la natura di consociazione, puntando dunque a un nuovo organicismo, nel quale il diritto rappresenta la forza naturale e vivificante che tiene insieme le parti.

Si può affermare, dunque, che in questa fase il pensiero di Gierke va maturando alcuni nodi centrali che caratterizzano per intero la sua opera. Si tratta cioè della costruzione su base anti-individualista del diritto e dello Stato, assumendo come soggetti da analizzare e 'politicizzare' i gruppi e, più in generale, le Genossenschaften. Il recupero del diritto germanico, motivo del primo volume del '68, serve proprio questo scopo, come pure la monografia su Althusius: si tratta di fondare una specificità tedesca a partire da una sua presenza nella storia stessa della nazione. Le Genossenschaften sono soggetti non pienamente decodificati: non sono le 'classi' di cui Marx aveva offerto una spiegazione chiara quanto alla loro genesi e al loro sviluppo; si tratta, piuttosto, di definire lo spazio del giuridico come attraversato non da individui ma, sulla base del vecchio Jhering, interessi attorno ai quali gli individui si coalizzano – in una dimensione che, ovviamente, non si riduce alla mera adesione soggettiva quanto piuttosto, grazie ad un'analisi più chiaramente storica e sociologica, alla rilevanza della formazione sociale sulla volontà individuale.

Ovviamente quest’analisi può essere considerata progressista o conservatrice in ragione della rilevanza che l'autonomia di tali formazioni assume rispetto al sistema nel suo complesso. Ma è indubbio il gesto di rottura con la metodologia giuridica tradizionale, nel senso di un deciso anti assolutismo statale, un’integrazione di diversi attori sociali nel governo del Reich, un’ipotesi del diritto comunque non riducibile al comando statale.

Quello che qui preme sottolineare è che, però, è in questo rapporto che va letta e valutata la proposta gierkiana: è qui che se ne valuta la dimensione sociologica, l'aspetto

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istituzionale, l'atteggiamento politico. Se il tono dei successivi interventi di Gierke apparirà più duro, non si può però pensare a un’evoluzione in senso reazionario: indubbiamente aumenterà in Gierke, con gli anni, la scelta di combattere con ogni mezzo l'eventuale

'eversione' della classe operaia e dei socialisti. Ma si tratta di un elemento non decisivo ai fini della valutazione della Genossenschaftslehre: è nelle sue premesse che essa trova, ad avviso di chi scrive, la sua grandezza e la sua aporia e non nel presunto tradimento di un’impostazione iniziale.

Questo non significa non riconoscere una progressiva accentuazione dell'elemento unitario a danno di quello rappresentato dalla libertà: lo ha messo ben in evidenza Dilcher, soprattutto nei termini di una contestualizzazione del ceto dei giuristi nelle scelte della borghesia tedesca nell'era guglielmina70. Questa impostazione ha, senza alcun dubbio, un fondamento: in questo lavoro, però, è apparso più utile provare a definire quale sia stata la natura dell'opera di Gierke e se essa contenesse delle innovazioni rispetto alla teoria dominate – e a questa domanda si può rispondere affermativamente – e se nel suo insieme essa potesse dirsi coerente. Del resto il tentativo di Dilcher non introduce chiaramente le ragioni di una progressiva spinta ad accentuare il proprio carattere conservatore e a limitare la spinta liberale che gli veniva direttamente dai suoi maestri della Paulskirche.

Si può aggiungere, però, che con il 1900 si concludeva una fase per la scienza giuridica tedesca: quella cominciata con il 1890 di progressiva inclusione e integrazione di alcune classi sociali. A quel punto, Gierke avrebbe dovuto provare a rendere, sono parole di Schmitt, la propria intuizione giovanile in una vera e propria teoria generale. Dire che fallì sarebbe sbagliato: in realtà Gierke non ci provò neppure. In questo senso ha dunque sicuramente senso parlare di una progressiva accentuazione delle intuizioni gierkiane.

Occorrerà meglio precisare questo periodo, l'ultimo della vita del giurista di Stettin.

Sui rischi e i limiti della proposta di Gierke si avrà modo di tornare, occorre solo precisare che, ovviamente, una simile impostazione non avrebbe retto alle trasformazioni e alla massificazione sociale che accompagnò la Germania dalla fine del XIX secolo alla prima guerra mondiale. Privata di quell'attenzione per il sociale, la teoria gierkiana cadde in una mera esaltazione di uno stato di cose che andava lentamente sparendo. La nostalgia, dunque, non sarebbe tanto rivolta al vecchio mondo feudale, quanto all'immagine di un

70 G. Dilcher, Das Gesellschaftsbild der Rechtswissenschaft und die soziale Frage, cit., p. 64.

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Reich che si stava lentamente, ma inevitabilmente, trasformando e che non riusciva a venire a capo di alcune contraddizioni, soprattutto politiche e istituzionali, la cui gravità si sarebbe avvertita ancora nella repubblica di Weimar.

V. Il Novecento in Germania si apre con l'entrata in vigore del BGB: quasi il simbolo del fallimento della battaglia condotta da Gierke negli anni precedenti, il quale ne accetterà comunque l'esito, scegliendo di confrontarsi lealmente con la nuova configurazione giuridica tedesca. Nonostante la sconfitta delle proprie tesi, Gierke si affermò come intellettuale e accademico di fama internazionale: nel 1902 venne eletto Rettore a Berlino, nel 1903 e nel 1909 fu chiamato a pronunciare discorsi in occasione di importanti avvenimenti pubblici. Sempre nel 1909, nel corso di un viaggio negli Stati Uniti, ricevette la laurea ad honorem dall'Università di Harvard71 e il 27 gennaio 1911 fu elevato al ceto nobiliare [Adelsstand], da cui il caratteristico von premesso al cognome. Il Reich, intanto, stava cambiando pelle e si avviava insieme all'Europa, grazie ad una nuova politica di egemonia mondiale, alla mattanza del primo conflitto mondiale. È in questo clima che occorre anche valutare la progressiva tendenza di Gierke a radicalizzare il proprio pensiero nel senso di un accentuato conservatorismo.

Dopo l'estromissione di Bismarck fu ben presto chiaro che, nonostante l'attivismo del nuovo Kaiser Gugliemo II, quella capacità di dirigere e di governare propria del 'padre' del II Reich non era riproducibile e i cancellieri che seguirono non riuscirono a replicarne la forza e l'energia. Eppure la vecchia classe dirigente continuò, dosando sapientemente le alleanze con i ceti produttivi affermatisi, a mantenere saldo il controllo dell'Impero. Sin dalla fine del XIX secolo si era andato affermando il capitalismo della grande industria con il conseguente sviluppo e rafforzamento di oligopoli «La struttura sociale della Germania imperiale impediva una politica economica sociale legalitaria a vantaggio del benessere della maggioranza dei cittadini [...] Lo Stato tedesco, con i suoi interventi in campo economico, mantenne ininterrottamente sino al 1918 i propri tratti decisamente illiberali e antidemocratici»72.

71 In quell'occasione Gierke tenne una relazione sui rapporti tra il diritto costituzionale tedesco e quello americano, cfr. O. Gierke, German Constitutional Law in Its Relation to the American Constitution, in Harvard Law Review, vol. 23, n. 4, 2/1910, pp. 273-290. 72 H.-U. Wehler, L’impero guglielmino, cit., p. 68.

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Si può affermare, in estrema sintesi, che si andava consolidando un complesso di elementi istituzionali, politici, economici e sociali – tra i quali bisogna segnalare la crescita, a partire dalla seconda metà del XIX secolo dell'antisemitismo e il considerevole aumento della quota di militari sulla popolazione con il relativo utilizzo dell'esercito non solo in termini di politica estera ma anche e soprattutto di disciplina del 'fronte interno' – il cui esito sembrava inevitabilmente il conflitto con le altre potenze europee. In questa fase indubbiamente a Gierke manca la vis polemica dei primi anni, la stessa analisi sociale che aveva caratterizzato i suoi interventi sembra qui appannata, in favore della riproposizione di alcuni suoi temi classici. In questo senso – come già ricordato all'inizio di questo capitolo

– aveva visto giusto Schmitt, perlomeno nel valutare negativamente l'ipotesi gierkiana, sostanzialmente perché incapace di strutturarsi come teoria compiuta. Indubbiamente il venire meno dell'attenzione e dell'interesse per l'analisi e l'indagine sociale, sospingerà

Gierke, con il passare negli anni, a sostenere, esattamente come la stragrande maggioranza della popolazione tedesca – ed europea –, la militarizzazione prima e alla guerra poi.

Nel 1902 pronunciò, proprio in occasione dell'avvio del suo Rettorato, uno dei suoi interventi più famosi, quello sulla natura delle associazioni umane73, l'anno successivo quello sul rapporto tra la Scuola storica e i germanisti74, in occasione dei festeggiamenti per il fondatore dell'università di Berlino.

Il primo intervento è in netta continuità con la produzione degli anni precedenti ma, essendo stato predisposto per una conferenza, si rivela anche molto più chiaro e immediato, permettendo così di fare luce su alcuni punti della teoria di Gierke. Si tratta di una riflessione legata agli aspetti più squisitamente teorici dell'organicismo: le associazioni umane non sono soggetti fittizi, come voleva la romanistica, ma delle entità reali.

«*<+ il diritto è un componente della vita comunitaria. La giurisprudenza non può perciò trattare dell'origine del diritto, senza rifarsi alla comunità che lo ha prodotto; essa deve rispondere alla domanda che immediatamente si pone, se cioè solo lo Stato possa

73 O. Gierke, Das Wesen der Menschlichen Verbände. Rede bei Antritt des Rektorats am 15. Oktober 1902 gehalten, Universitäts-Buchdruckerei von Gustav Schade (Otto Francke), Berlin 1902, ora anche in Aufsätze und kleinere Monographie, vol. II, pp.697-726 trad. it La natura delle associazioni umane, a cura di A. Costazza in Società e corpi, a cura di P. Schiera, Bibliopoli, Napoli 1986, pp. 29-56. 74 O. Gierke, Die historische Rechtsschule und die Germanisten. Rede zur Gedächtnisfeier des Stifters der Berliner Universität König Friedrich Wilhelm III in der Aula derselben am 3. August 1903 gehalten, Universitäts-Buchdruckerei von Gustav Schade (Otto Francke), Berlin 1903 ora anche in Aufsätze und kleinere Monographie, cit., vol. II, pp.727-787.

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creare il diritto, o se non lo possa fare invece anche un'associazione diversa, sotto forma di statuto autonomo, oppure anche una comunità non organizzata, sotto forma di diritto consuetudinario. *<+ Se ho detto prima che il diritto è una componente della vita comunitaria, devo ora aggiungere che l'ordinamento della vita comunitaria è una componente del diritto. *<+ Il problema della natura delle associazioni *<+ *è+ problema centrale»75

La tendenza ad associarsi è connessa alla natura umana, dai contesti più semplici fino ad arrivare all'organismo che tutte le racchiude, lo Stato. La costituzione [Verfassung] determina la composizione del corpo sociale in base tramite veri e corpi principi giuridici, tra i quali compare quello di appartenenza [Mitgliedschaft]: in tal senso rilevante è la precisazione in base alla quale: «Il diritto, stabilendo come e a quali condizioni l'unità di vita della totalità, diventi, nelle manifestazioni di vita di determinati membri o complessi di membri, fenomeno giuridico, fa del concetto di organo un concetto giuridico»76. È questo precisamente il cuore della teoria gierkiana: la capacità dei gruppi di creare diritto, una capacità che è stata ricollegata all'istituzionalismo o alla teoria di Santi Romano77.

Le comunità gierkiane hanno una loro realtà esattamente come gli individui, questa realtà, però, deve essere compenetrata e ‚vivificata‛ dal diritto, il quale costituisce anche in questo caso un polo non eliminabile dalla dialettica con la quale si definisce il sistema nel suo complesso, compreso lo Stato. In questo testo, però, il riferimento allo Stato è molto più marcato: senza mai smettere di sottolineare che tanto lo Stato che gli altri corpi sono organismi sociali – e cioè riprendendo l'argomento classico del medesimo genus, in questo intervento il movimento verticale e ascendente dell'unità è oggettivamente preponderante rispetto a quello della libertà. È qui che l'organicismo gierkiano mostra le sue crepe più

75 O. Gierke, La natura delle associazioni umane, cit. pp. 30-31. 76 Ivi, p. 50. 77 Cfr. M. Fuchs, La «Genossenschaftstheorie» di Otto von Gierke come fonte primaria della teoria generale del diritto di Santi Romano, in Materiali per una storia del pensiero giuridico, IX, 1979, pp. 65-80. L'analisi di Fuchs si svolge lungo due questioni principali, il rapporto tra Gierke con la teoria dell'istituzione e quello con la tesi della pluralità degli ordinamenti giuridici. Sul primo punto sono da tener presente le comuni riflessioni, in chiave anti contrattualistica, operate da Gierke e Santi Romano sul problema della valutazione giuridica degli stabilimenti industriali: l'organizzazione di una fabbrica non può essere ridotta ad un semplice contratto fra persone poste in posizione paritaria, mentre invece si tratta di un ordinamento di diritto obiettivo, di un ricco complesso di relazioni e interdipendenze di cui il contratto di lavoro è solamente il fondamento. Quanto alla pluralità degli ordinamenti, Fuchs connette lo studio storico giuridico condotto da Gierke sulle comunità umane che creano il proprio diritto con le argomentazioni del Romano contro la tesi statalistica o monistica del diritto, attraverso ai numerosi cenni alla società medioevale, caratterizzata da una molteplicità di comunità collegate fra loro, contenuti ne L'ordinamento giuridico.

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evidenti: privo di quell'attenzione alle questioni e ai movimenti sociali emergenti con la quale erano stati intessuti i lavori precedenti, l'intervento palesa ulteriormente i rischi di un’esaltazione dello status quo e di un suo sviluppo verso una certa gerarchizzazione delle associazioni fino ad una vera e propria trasmutazione dello Stato in termine ultimo e

'eticamente' fondato di tutta la sua costruzione. Quasi che, privato del suo tratto sociologico

(l’attenzione di Gierke verso il reale e gli attori sociali che emergono da nuove contingenze storiche sembra ormai esaurita), il metodo di Gierke prestasse il fianco ai rischi di trasformazione in una fredda lettura della società, nella quale, però, mancava una vera proposta di riforma sia dell'impianto giuridico che di quello economico-sociale: le associazioni, che erano nate dal sostegno all’idea della libertà di associarsi, finiscono poi per rafforzare la categoria di sovranità dello Stato, invocando una generale 'pace sociale' e invitando ad una concordia nel supremo interesse della nazione78. Cessare ogni pericoloso conflitto sociale in nome di una superiore armonia che avrebbe garantito pace e benessere collettivi: quello di Gierke, in realtà, era la proposta di un ulteriore rafforzamento dello

Stato e della totale eliminazione dei conflitti sociali, persino la loro rimozione dall’analisi della scienza. Un invito che, bisogna sottolinearlo, ben si adattava alle richieste della classe dirigente tedesca, unificata dalla rinnovata alleanza tra forze emergenti e vecchie burocrazie al potere.

Emerge qui prepotentemente la superiorità del principio unificante, a danno della libertà: non è un caso che proprio in questo intervento, Gierke si vantava di come la teoria organica permetteva di poter concepire la messa a morte di un uomo da parte dello Stato, circostanza che nessuna teoria su base individualista poteva coerentemente disciplinare.

C'è un evento che rafforza chiaramente l'interpretazione qui proposta, di solito poco notato dagli interpreti gierkiani. Nel 1911 la Deutsche Juristen-Zeitung chiese ai giuristi di esprimersi sulla proposta di eliminare la pena di morte: Gierke rispose con un breve testo nel quale manifestava apertamente la propria contrarietà79. Al di là del merito della questione, «[La pena di morte] è la ultima ratio della giustizia penale»80, è interessante la ripresa di alcuni motivi già espressi nel corso dell'intervento del 1902 sulla natura delle

78 Fa riferimento a questo rischio anche Carl Schmitt quando definisce quella di Gierke non una teoria concreta dello Stato ma una teoria generale dell'associazione «[Gierke] costruì la monarchia prussiana del secolo XIX […] come una ''associazione suprema'' residuale dell'epoca assolutistica, in tal modo involontariamente apprezzandola» C. Schmitt, I tre tipi di scienza giuridica, cit., pp. 51-52. 79 O. Gierke, Abschaffung der Todestrafe?, in Deutsche Juristen Zeitung, XVI, 1911, pp. 234-235. 80 Ivi, p. 235.

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associazioni. Gierke ricorda come da giovane egli fosse stato entusiasmato, nel corso dei suoi studi a Heidelberg, dal professor Mittermaier il quale contestava la fondatezza della

Todesstrafe nel corso delle sue lezioni: tant'è, ed è lo stesso Gierke a ricordarlo, che tra le tesi che concludevano la sua dissertazione dottorale, De debitis feudalibus, la prima era dedicata alla richiesta di abrogazione della pena di morte. Ben presto il giovane studente dovette ricredersi. Le ragioni di questo cambiamento risiedono nella valutazione che «mi appariva sempre più chiaro come la richiesta di una completa eliminazione della pena di morte fosse un prodotto di una visione individualistica»81. Solo in una simile, 'limitata', concezione era possibile immaginare lo Stato come privo del diritto di dare la morte all'individuo: il singolo stesso non era fornito di quel diritto e, perciò, in un classico schema contrattualistico, non avrebbe potuto cederlo a terzi. Al contrario in un'ottica consociativa, per la quale è il tutto a prevalere sulle consociazioni parziali e sugli stessi individui, la messa a morte di un singolo è non solo un diritto ma addirittura un obbligo.

L'intervento del 1903 è, invece, dedicato al rapporto tra la Scuola storica e i germanisti: si tratta di un intervento molto famoso – già citato in questo capitolo – perché è un utile affresco della prima generazione dei germanisti, nel quale Gierke sottolinea il nesso con il fondatore della scuola storica e il suo successivo superamento. Le conclusioni di Gierke – occorre tener però presente il fatto che si trattava di una conferenza e una certa retorica era quasi indispensabile – puntano sulla funzione della scienza e, soprattutto, di una prospettiva storica sul diritto: tener sano l'organismo nazionale – in questo caso dunque l'accenno non è posto sul carattere sociale – e lavorare con profitto per il presente e il futuro del diritto tedesco82.

Importanti sono il II e il III volume del Deutsches Privatrecht: il primo comparso nel

1905 dedicato ai diritti reali, l'altro del 1917 al diritto delle obbligazioni. Si tratta dei testi che meglio esprimono l'adesione di Gierke alla nuova fase giuridica successiva alla codificazione. Nell'introdurre il II volume, Gierke si mostra ancora 'battagliero': il BGB ha molte lacune, troppe e solo una riconciliazione con lo spirito germanista potrà essere

81 Ivi, p. 233. 82 Cfr. O Gierke Die historische Rechtsschule und die Germanisten. Rede zur Gedächtnisfeier des Stifters der Berliner Universität König Friedrich Wilhelm III in der Aula derselben am 3. August 1903 gehalten, Universitäts-Buchdruckerei von Gustav Schade (Otto Francke), Berlin 1903 ora anche in Aufsätze und kleinere Monographien, vol. II, cit. p. 36 [762].

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d'aiuto per una rinascita del diritto privato83. Ma si tratta di un puro auspicio: il testo si presenta, perlopiù, come una fedele analisi e interpretazione del nuovo sistema.

Nel 1913 Gierke è a Londra per Il Congresso Internazionale di Storici e presenta un altro dei suoi testi più famosi, Sulla storia del principio di maggioranza84. Nello stesso anno pubblica l'ultimo volume del Das deutsche Genossenschaftsrecht, del 1914 l’intervento su

Guerra e cultura85, del 1915 sono gli scritti Il diritto e la guerra86 e Lo spirito del popolo tedesco in guerra87, del 1917 quello, già citato, dedicato a Recht und Sittlichkeit. È in alcuni di questi scritti, soprattutto, che possono essere registrate alcune espressioni e una certa enfasi, che avrebbero poi giocato un ruolo decisivo nell'attribuire a Gierke una spiccata accentuazione dell’elemento nazionalista e völkish 88 , fino a renderlo esclusivamente un conservatore reazionario; anche se, ovviamente, simili valutazioni non possono non tener presente il contesto nel quale questi interventi vengono realizzati89.

Nell’aprile del 1913 Gierke intervenne al Congresso internazionale di storici tenutosi a Londra. Oggetto del suo discorso fu la storia del principio di maggioranza. A differenza che per i Greci e Romani, esso era inizialmente sconosciuto ai germani. Essi, infatti, nell'assemblea non distinguevano tra un’unità (dell'assemblea stessa) e pluralità

(delle voci all'assemblea): citando i noti passi della Germania di Tacito, Gierke ricorda come le assemblee fossero di solito luoghi dai quali si usciva solitamente concordi e per coloro che non volessero piegarsi alla decisione che i più assumevano – e che de facto diventava quella dell'intera comunità – il rischio era quello di essere espulso ed, eventualmente, pagare con la vita la propria convinzione. Infatti «non c'era un obbligo

83 O. Gierke, Deutsches Privatrecht, II Bd. Sachenrecht, Duncker & Humblot, Leipzig 1905. 84 O. Gierke, Über die Geschichte des Majoritätsprinzip, in Jahrbuch für Gesetzgebung, Verwaltung und Volkswirtschaft im Deutschen Reiche, 39, 1915, pp. 7-29 ora anche in Aufsätze und kleinere Monographien, vol. II, cit., 85 O. Gierke, Krieg und Kultur. Rede am 18 September 1914, in Deutsche Reden in schwerer Zeit, Erster Band, hrsg. von der Zentralstelle für Volkswohlfahrt und dem Verein für volkstümliche Kurse von Berliner Hochschullehren, Carl Heymanns Verlag, Berlin 1915. 86 O. Gierke, Das Recht und der Krieg, in Beiträge zur Erläuterung der deutschen Recht, 59 1915, pp. 3- 27 ora anche in Aufsätze und kleinere Monographie, vol. II, cit.. 87 O. Gierke, Das deutsche Volksgeist im Krieg, Deutsche Verlags-Anstalt, Stuttgart und Berlin 1915 ora anche in Aufsätze und kleinere Monographien, vol. II, cit.. 88 Cfr. J. D. Lewis, The Genossenschaft-Theory of Otto von Gierke – A Study in political Thought, University of Wisconsin Studies, Madison 1935, p. 23. Il giudizio di Lewis, che pure tenta di rivalutare la teoria gierkiana, è articolato, anche se molto unilaterale nella ricostruzione dell‟opinione di Gierke sull‟esperienza di Weimar. 89 Si faccia riferimento, ad esempio, al testo del 1914: «Denn der gerechte Krieg ist nicht bloß Zertrümmerter, sondern auch Erbauer. Er vernichtet bloß, sondern erzeugt auch Werte. Der gewaltigste aller Kulturzerstörer ist zugleich der mächtigste aller Kulturbringer», cfr. O. Gierke, Krieg und Kultur, cit., p. 81.

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giuridico, di adeguarsi alla decisione della maggioranza e così di riconoscerla come propria» 90 , ma questo significava soltanto la necessità di scegliere se restare o meno all'interno della comunità. Il principio comincia ad avere una sua storia anche in Germania solo a partire dallo Specchio sassone (circa 1225) quando si stabilisce che l'elezione dell'imperatore avviene solo tramite l'unanimità [Einstimmigkeit] dei principi elettori; successivamente la Bolla d'oro (1356) riconosce il Majoritätsprinizip91. L'insistere su questi aspetti ha una sua importanza: si tenga presente che Gierke aveva già affrontato nel II volume del Genossenschaftsrecht il problema del Majoritätsprinzip proprio al fine di sottolineare ulteriormente una precisa specificità della storia tedesca. Il persistere del requisito dell'unanimità si spiega con il fatto che, se per il primo diritto medioevale germanico la volontà della Genossenschaft non era più la somma di una serie di volontà individuali e indipendenti, non la si poteva tuttavia ancora considerare come la volontà di un ente astratto, distinto dai singoli suoi componenti. Essa era piuttosto la volontà dell'assemblea concretamente concepita come pluralità e unità a un tempo. Come unità, poiché le decisioni dell’associazione vincolavano in certi casi anche gli assenti ed i membri futuri. Come pluralità, poiché erano pur sempre ancora le volontà composte dei singoli che davano vita alla volontà collettiva. Non si concepiva ancora, insomma, una decisione collettiva che non risultasse dall'accordo delle singole volontà92.

Il passaggio centrale è quello relativo alla transizione dalle originarie

Genossenschaften al concetto di Körperschaft93. È qui che si registra la definitiva affermazione del principio di maggioranza, ovvero nella capacità di distinguere il soggetto collettivo dagli individui che lo compongono, le cui volontà sono diverse da quella che è 'incorporata' nella Körperschaft: in questo modo il volere della maggioranza acquista vita propria e diventa Gesamtwille, cioè del soggetto collettivo. «La tesi consociativa delle associazioni umane s'impose nuovamente contro la teoria dello Stato e delle corporazioni come enti.

*<+ Le associazioni umane sono organismi sociali, sviluppano l'esistenza di genere sull'esistenza singola come organismi autonomi, così si pongono anche per il diritto di

90 O. Gierke, Über die Geschichte des Majoritätsprinzip, cit., p. 10 [834]. 91 Cfr. il testo della Bolla d'ora, patragrafo III: «Nach der Eidesleistung durch die Kurfürsten oder Gesandten in der vorgenannten Form und Weise mögen sie zur Wahl schreiten. Und sie sollen die Stadt Frankfurt nicht eher verlassen, bis die Mehrheit von ihnen dem Erdkreis und dem Christenvolk ein weltliches Haupt gewählt hat, das heißt einen Römischen König und künftigen Kaiser». 92 Su tutto questo si veda soprattutto E. Ruffini La ragione dei più. Ricerca sulla storia del principio maggioritario, Il Mulino, Bologna 1977, particolarmente pp. 9-11. 93 Cfr. O. Gierke, Über die Geschichte des Majoritätsprinzip, cit., p. 15 [839].

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fronte agli individui come persone di un ordinamento superiore. *<+ Essi sono persone collettive reali, organismi autonomi con una propria unità vitale, un tutto organico, che si forma dalle singolarità esistenti ma non coincide in nessun modo con la somma delle sue parti» 94 Solo in questa prospettiva si può formulare nuovamente il principio di maggioranza, cioè come semplice elemento giuridico di un determinato organo. Per tale ragione, l'organo potrebbe disciplinare diversamente la formazione della propria volontà, essa non deriverebbe comunque meccanicisticamente dalla somma delle volontà individuali, perché ha una sua natura propria. Questo significa che: «Anche dove in ragione di una costituzione democratica, la somma dei membri che decide a maggioranza funge da organo supremo, la volontà comune si manifesta nel risultato della votazione solo per quelle ultime decisioni ad essa riservate, mentre gli altri organi autonomi manifestano immediatamente la personalità del tutto per le proprie competenze»95. Si ritorna dunque all'idea originaria di Gierke di un soggetto collettivo come realtà autonoma, la cui volontà e le cui azioni non si concretizzano tramite dei rappresentanti, quanto piuttosto tramite degli organi, rendendo possibile che sia lo stesso soggetto collettivo «l'ente collettivo può compiere un illecito, un delitto, e subire la relativa punizione. In quest'ottica non può ovviamente parlarsi di rappresentanza»96.

Infine, sempre di questo periodo, è un intervento dedicato al diritto del lavoro, che è stato al centro di tentativi di ripresa dell’elemento progressista in Gierke. Il testo è dedicato al Dienstvertrag, ovvero a quello specifico contratto tedesco di lavoro che si contrappone alla formulazione romanistica della locatio conductio operarum. In quest'ultimo caso il lavoro non sarebbe altro che una merce come le altre, da qui l'abitudine di far ricomprendere il

Dienstvertag e il Werkvertrag come semplici Dienstmiete e Werkmiete (cioè noleggio di servizi o di opera) sotto lo stesso genere della Sachmiete e, per l'appunto, noleggio di cose. Ad avviso di Gierke è invece più corretto definire per questi contratti un genere ad hoc: il giurista di Stettin si compiace del fatto che molti codici stanno accogliendo questa impostazione, ad esempio quello prussiano aveva già adottato una classificazione a se stante, quella di Verträge über Handlungen. Ovviamente per Gierke il presupposto da mettere in questione è l'idea stessa che si ha di lavoro: se quella di ascendenza romana poteva permettersi di svalutare il lavoro a mera cosa, perché esso trovava un precedente

94 Ivi, p. 26 [850]. 95 Ivi, p. 27 [851]. 96 F. Riccobono, Op. cit., p. 60.

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nella schiavitù, oggi, invece, «*<+ ci appare come manifestazione della libera personalità.

L'ordinamento giuridico può considerarlo esclusivamente come tale e non come un bene reale il cui uso può essere ceduto»97. Si può sorridere se si ragiona in termini marxiani e si commenta l'elaborazione di Gierke come ingenua98: ma anche in questo caso la radice storica germanica alla quale occorre risalire per individuare il precedente del Dienstvertrag

– e Gierke la individua nel Treudienstvertrag99– serve per sottolineare una diversità tedesca necessaria e indispensabile per salvaguardare la funzione sociale del diritto e la stabilità dell'organismo sociale. «È evidente che il contratto di lavoro [Dienstvertrag] fonda diritti e obblighi per il lavoratore. Con la promessa del servizio egli perde una parte della propria personalità: pertanto egli non ha soltanto un diritto di credito [Forderungsrecht] per il compenso dovuto, piuttosto può anche richiedere al padrone [Dienstherren] le cure e l'assistenza a cui egli è obbligato. D'altro canto i suoi obblighi non si esauriscono nella realizzazione dell'opera concordata. *<+ egli deve fare in modo che il suo comportamento nel corso del lavoro sia soddisfacente»100.

La specificità tedesca porta, poi, il contratto di lavoro nella sfera del diritto pubblico, sradicandolo dal solo terreno privatistico: Gierke sembra essere consapevole che la disciplina giuridica del lavoro è un elemento indispensabile della costituzione del corpo sociale. Proprio l'attenzione al sociale contraddistingue l'istituto germanico da quello

97 O. Gierke, Die Wurzeln des Dienstvertrags, in Festschrift für Heinrich Brunner zum fünfzigjährigen Doktorjubiläum am 8. April 1914, Duncker & Humblot, München und Leipzig, 1915, pp. 37-68 ora anche in Aufsätze und kleinere Monographien, vol. II, cit.. In questo caso la citazione è a p. 38 [856]. 98 Su questa linea sembra attestarsi, ad esempio, Rudolf Schneider, il solo giurista della DDR di cui, al momento, è noto un contributo dedicato anche – ma non solo – a Otto Gierke e, in particolare, al saggio sul contratto di lavoro. Schneider valuta quello gierkiano come un tentativo di congiungere il passato feudale con il presente capitalistico, ovviamente senza riuscirci. Ciononostante a suo avviso la teoria di Gierke – da intendersi prevalentemente come pretesto per preservare il dominio dei grandi proprietari – ebbe comunque successo, imponendosi come presupposto della possibile armonia tra le classi, e dello stesso conflitto capitale lavoro, all'interno di un sistema che continuava ad essere capitalista. Inoltre con la teoria del monarchisch organisiertes Ganzes, che piegherebbe all'autorità del capitalismo ogni altro interesse ed escluderebbe qualsiasi ipotesi di codecisione [Mitbestimmung], Gierke avrebbe di fatto aperto la strada alla teoria giuslavorista e alla legislazione fascista. Se questa seconda ipotesi è da verificare storicamente quanto alla continuità tra la tesi gierkiana e il corporativismo fascista ma è tutto sommato accettata da molti quanto alla superiorità del Tutto, della Allgemeinheit, che Schneider fa coincidere con il capitalismo, sembra invece eccessivo pensare alla ricostruzione gierkiana come mera riproposizione di istituti feudali. Si veda R. Schneider, Zu den bürgerlichen Theorien über den Arbeitsvertrag im Kapitalismus bis zur Jahrhundertwende, in Festschrift für Erwin Jacobi, VEB Deutscher Zentralverlag, Berlin 1957, pp.362-389. 99 O. Gierke, Die Wurzeln des Dienstvertrags, cit, pp. 39-40 [857-858]: «Die römische locatio conductio operarum ist bekanntlich als Abspaltung von der Sachmiete entstanden. [...] Der deutschrechtliche Dienstvertrag wurzelt vielmehr im Personenrecht. Seine Vorstufe bildet der Treudienstvertag, dessen älteste Form der Vertrag des Gefolgmannes mit dem Gefolgsherrn ist [...] » . 100 Ivi, p. 60 [878].

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elaborato con categorie romaniste101 e gli consente di affrontare la disciplina di settori specifici con l'espresso fine di garantire una stabilità della Allgemeinheit. Il diritto pubblico può, dunque, determinare il contenuto del contratto di lavoro, ad esempio prevedendo strumenti di protezione dei lavoratori e obblighi specificamente giuridici per i datori di lavoro. Ha un fondamento tedesco e particolarmente consociativo l'accordo della determinazione normativa del lavoro attraverso i contratti collettivi [Tarifvertrag]. Essi sono contratti privatistici conclusi tra associazioni di lavoratori e datori di lavoro: in questo caso

è evidente la dimensione sociale dell'istituto ma soprattutto la sua derivazione diretta dall'accordo di consociazioni, le quali integrano e superano il diritto individuale e, insieme allo Stato, definiscono un nuovo Gemeinschaftsrecht 102.

VI. Si è spesso insistito sull’evoluzione in senso conservatore della teoria gierkiana: in effetti, anche la sola analisi delle introduzioni del Das deutsche Genossenschaftsrecht nel volume del 1868 con quella nel volume del 1913 rende bene l'immagina di una – verrebbe da dire ovvia – trasformazione del pensiero gierkiano. In parte, una simile evoluzione la si spiega contestualizzandola in un mondo che può dirsi concluso con il 1914 e, cioè, con l'inizio della Grande guerra. Anche Gierke fu travolto da quella militarizzazione sociale che accompagnò il conflitto bellico: il tono dei suoi scritti lo dimostra come pure la scelta, nei primi anni di guerra, di contribuire – per la verità insieme alla quasi totalità degli accademici tedeschi103 – alla propaganda ufficiale e al pieno 'inquadramento' dell'intera società nel corso di una guerra che non conosceva uguali nella storia dell'umanità.

101 Ivi, p. 68 [886]: «Der römische Begriff der Dienstmiete enthielt kein Moment, das über den individualistischen Vertragsrahmen hinauswies». 102 Gierke si sarebbe dichiarato completamente a favore di uno sviluppo del diritto del lavoro nel senso di una normazione tramite contratti collettivi qualche anno dopo nel terzo volume dei suoi studi dedicati al diritto privato. Cfr. O. Gierke, Deutsches Privatrecht: Schuldrecht, Duncker & Humblot, München und Leipzig, 1917. p. 605. 103 M. Stolleis, Geschichte des öffentlichen Rechts in Deutschland, Bd. 3, Staats- und Verwaltungsrechtswissenschaft in Republik und Diktatur 1914-1945, C.H. Beck, München 1999; pp. 51 e ss.. Particolarmente p. 59: «Die Staatsrechtslehre interpretierte den Vorgang damals und auch nach Kriegsende eher als Abweichung vom rechten Wege denn als Beginn einer neuen Zeit […]. Die herrschende Meinung fußte dagegen auf einer außerordentlich alten und schon sprichwörtlichen Tradition […], wenn sie die Wahrung parlamentarische Kompetenz für sekundär hielt und die Exekutive wie selbstverständlich den Zugriff gewährte». A fronte di un inquadramento pressoché totale della Staatslehre nel sostegno esplicito al conflitto, Stolleis riporta inoltre i nomi dei due pubblicisti che si opposero al conflitto: Walther Schücking (1875-1935) e Hans Wehberg (1885-1962),

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Può essere utile rifarsi ad alcuni testi di Gierke, redatti nel corso della guerra104: è indubitabile la piena adesione del giurista di Stettin a questa militarizzazione delle scienze e il suo pieno sostegno alla guerra. Va anche detto, però, che questa immagine non sempre si rivela efficace: indubbiamente Gierke fu prossimo ad ambienti conservatori, ma anche in questa fase della vita non rinunciò alla battaglia intellettuale e politica. E allora, l'immagine di un Gierke conservatore non potrà essere minimizzata ma certamente contestualizzata e meglio precisata: a tal senso sembra opportuno rifarsi ai suoi interventi di taglio meno accademico apparsi sul quotidiano berlinese Der Tag, nei quali Gierke, pur sviluppando le convinzioni espresse contemporaneamente in occasioni ufficiali e maggiormente formali, mostra un'attenzione a questioni e problematiche che merita di essere analizzata.

Il 27 dicembre 1918 Gierke contribuì a fondare la Deutschnationale Volkspartei – lo ricorderà con grande fierezza nel 1920 – e nel gennaio 1919 pubblico un programma per le prossime elezioni dell'Assemblea costituente105. Se dunque con la guerra Gierke aveva preso parte ad una mobilitazione che aveva coinvolto pressoché interamente la società tedesca, con la fine delle ostilità egli si mise al servizio della causa antisocialista, che restava una delle sue preoccupazioni principali – come pure di tutta la borghesia tedesca – nonostante l'evidente distanza degli ambienti operai da qualsiasi ipotesi di trasformazione sociale in senso sovietico.

Indubbiamente la Deutschnationale Volkspartei si caratterizzerà per una sua sempre più accentuata opposizione alla repubblica nata con Weimar: ma è qui interessante seguire lo specifico atteggiamento di Gierke che rivela una sua personalissima posizione e che quindi non può essere associato sic et simpliciter alle idee del partito di cui comunque si sentiva cofondatore, tant'è che appena nel 1920 ne sarebbe polemicamente uscito106.

si veda p. 58. 104 Si può fare riferimento, ad esempio, a Das Recht und der Krieg, Beiträge zur Erläuterung des deutschen Rechts 59, (1915), p. 3-27 Ara anche in Aufsätze und kleinere Monographiene, vol. II, cit. e poi anche a Unsere Friedensziele, Springer, Berlin 1917. 105 O. Gierke, Parteilose Wähler, in Der Tag – Ausgabe A, 3-4 gennaio 1919 [pagine n.n.]. 106 La Deutschnationale Volkspartei era, sin dalle origini, un partito estremamente conservatore e reazionario. Nel programma fondativo del '18 la questione ebraica era circoscritta, ovvero riferita soltanto al «predominio del giudaismo manifestatasi dalla rivoluzione nel governo e nello spazio pubblico». Si tratta cioè del 'classico' argomento che equipara socialismo e giudaismo, vista anche l'origine di molti dirigenti socialdemocratici e comunisti. L'intero programma della DNVP del '18 è in W. Mommsen (a cura di), Deutsche Partei Programme, Isar Verlag, München 1960, pp. 533-543, la citazione è a p. 538. Il testo riporta anche programmi e Richtlinien degli anni successivi che testimoniano la costante radicalizzazione del partito. Bisogna però tener presente, al di là dei documenti ufficiali, che il 'circolo antisemita' era una corrente comunque molto forte e riconosciuta

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Quello del gennaio 1919 è un testo interessante che rivela una serie di interessanti principi che a detta di Gierke dovranno muovere non solo l'azione del partito ma contribuire a dar forma al futuro Stato che la Costituente è chiamata a organizzare. Si tratta di principi molto noti e tipici del gergo gierkiano e che egli riprenderà pochi mesi dopo nel corso di una conferenza pubblica universitaria107, e dunque dopo le elezioni fissate dal

Congresso nazionale dei consigli per il gennaio 1919108. Gierke sottolinea alcuni aspetti tipici dello Stato tedesco e che, proprio in ragione di una visione storica, devono essere recuperati: l'attenzione al sociale, intesa come difesa della proprietà e come

La DNVP raccolse un buon risultato alle elezioni (di poco oltre il 10% e 44 seggi) ciononostante Gierke decise, di lì a poco, di abbandonare il partito. In quello che è il suo ultimo contributo di cui potersi avvalere – apparso sul quotidiano Der Tag alla fine dell'ottobre 1920 – Gierke spiegò, parzialmente, le ragioni di una simile decisione.

Il partito che si poneva chiaramente contro le Repubblica e il compromesso weimariano, che invece Gierke aveva definito 'accettabile', aveva di recente deciso di non ricandidare la figlia di Gierke, Anna perché ebrea per parte di madre109. Ovviamente Gierke reagì e nell'articolo offre interessantissime valutazioni sul problema rappresentato dal crescente antisemitismo nel e del partito.

Se è vero che c'è, ad avviso del quasi ottantenne giurista, una questione ebraica, ovvero il problema di un’eccessiva influenza dello spirito ebraico su quello tedesco – rispetto la quale era anche naturale e giustificato organizzare un’efficace battaglia politica – non è una risposta degna di un partito quella di trasformarsi in un movimento antisemita.

In particolare è del tutto inaccettabile l'idea di una riduzione della questione ebraica a

nel partito: il testo del '19 andrebbe perciò letto tenendo presente la discussione complessiva, nella quale emerge chiaramente una forza consistente dell'antisemitismo. Su questo è utilissimo il lavoro di J. Striesow, Die Deutschnationale Volkspartei und die Völkisch-Radikalen 1918-1922, 2 voll., Haag & Herchen, Frankfurt am Main 1981 nel quale si offre una chiara rappresentazione della vicenda della progressiva radicalizzazione della componente antisemita e di tutto il partito sin dalle elezioni del '19 per la Costituente. Si tratta di un lavoro certosino che testimonia le discussioni e le polemiche sui singoli aspetti del programma relativo alla questione ebraica. È proprio Striesow a segnalare, d'altronde, che «Obwohl die Antisemiten fast geschlossen für die DNVP eingetreten waren, konnte nicht übersehen werden, daß einflußreich Kreise in der Partei sich keineswegs mit ihnen identifizierten, sondern durchaus eine Mitarbeit von Juden in der Partei anstrebten», p. 102. 107 O Gierke, Der germanische Staatsgedanke. Vortrag gehalten am 4 Mai 1919, Weidmannsche Buchhandlung, Berlin 1919 ora anche in Aufsätze und kleinere Monographien, cit., vol. II, pp. 1063- 1091. 108 Per tutto questo si veda infra IV capitolo, I paragrafo. 109 Su Anna Gierke e la sua vicenda si può fare riferimento, oltre che al citato lavoro di Striesow, a M. Baum, Anna von Gierke. Ein Lebensbild, Beltz, Weinheim 1954.

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problema razziale, ovvero ipotizzare una connessione tra lo spirito tedesco – nazionale – e l'origine naturale di ogni individuo, la Abstammung. È necessario, cioè, smentire radicalmente ogni presunta connessione tra la specificità della storia tedesca e una presunta purezza razziale che determinerebbe l'esclusione della partecipazione di alcuni cittadini perché originari di una Abstammung diversa – meno che mai inferiore –. Nell'ipotesi gierkiana un popolo non è mai puro, cioè incontaminato da altre culture e da altre razze: al contrario, la forza dello spirito germanico deriva proprio dalla molteplicità di elementi che in esso si fondono. La stabilità dell'organismo sociale è data dalla capacità di una corretta articolazione delle Genossenschaften, e cioè da una piena integrazione dei bisogni e dei desideri dei gruppi nella consociazione suprema dello Stato: nulla ha a che fare tutto ciò con una presunta radice naturale (razziale) delle consociazioni.

Appare più incisivo citare le parole dello stesso Gierke: «Sono uscito dal partito perché a mio avviso esso non si è opposto con la necessaria solerzia alla condotta eccessiva della sua corrente antisemita. *<+ Le difficoltà specifiche dell'antisemitismo cominciano quando si lega la contrarietà al germanesimo [Deutschtum] nella origine ebraica. Poiché il nostro diritto non conosce alcuna differenza nella posizione dei cittadini di nascita ariana o ebrea, il cosiddetto antisemitismo razziale *<+ sarà come minimo condannato come ingiustificato dalla maggioranza del nostro popolo. *<+ L'antisemitismo lede gli sforzi per preservare la salute del popolo quando considera l'origine ebraica come un difetto, che impedisce l'appartenenza alla stirpe tedesca o considera pienamente tedeschi soltanto coloro che non hanno una sola goccia di sangue ebreo nelle vene. È noto come non esista alcun grande popolo di razza pura [ungemischt]. Tutte le nazioni hanno avuto origine nel corso dei tempi dalla mescolanza di elementi provenienti da popoli diversi e sono stati decisivi riguardo al carattere definitivo della nazione non rapporti numerici quanto di forza, corporali e spirituali. *<+ *Il partito] non ha respinto a sufficienza l'idea che per i candidati l'assenza di un’origine puramente tedesca [deutschvölkischer] costituisca una mancanza notevole, ma anzi l'ha incoraggiata»110.

110 Cfr. Gierke, Einige Wünsche an die Deutschnationale Volkspartei, in Der Tag, Ausgabe A, 23-24 ottobre 1929. Il passo citato è nella sezione dell'articolo comparsa il giorno ventiquattro: poco più avanti Gierke affermerà che se c'è una differenza tra i prussiani e i tedeschi del sud è nella loro capacità di guida politica e militare, anche dovuta al fatto che la Prussia ha subito più di ogni altra terra l'influsso e il contributo del sangue slavo (!). Dunque senza voler rimuovere il concetto di razza e attribuendogli anche una connotazione natural-essenzialistica, Gierke sottolinea proprio l'aspetto positivo che può produrre la miscela di elementi diversi. Se si vuole imputare qualcosa a Gierke bisogna sottolineare come egli sia stato forse troppo sicuro della tenuta del popolo tedesco ma

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Il testo, nonostante il motivo per il quale venne preparato – il problema 'personale' di Gierke per la vicenda della figlia – e il carattere non accademico, è di una chiarezza cristallina che lo rende utilissimo anche nella valutazione complessiva dell'opera gierkiana.

Sembrano necessarie solo due considerazioni. La prima riguarda la connessione di questo articolo – dal taglio chiaramente più divulgativo e 'polemico' – con i lavori scientifici di Gierke: è stato detto che il riferimento al germanismo in Gierke assume sempre un taglio storico e mai naturale, ovvero che le consociazioni come pure il rinvio al diritto germanico non sono mai basati su una questione razziale, come pure alcuni suoi riferimenti – ad esempio quello classico del Blut und Boden – potevano far pensare. Questo significa che, in

Gierke, la razza non diventa una questione giuridica, soprattutto non è un fattore di definizione dello Stato o delle altre consociazioni. La seconda riguarda Gierke stesso: per quanto indubbiamente prossimo agli ambienti conservatori, Gierke accettò, sia pure con molte preoccupazioni tipiche del suo ambiente – su tutte la paura di uno sviluppo del processo rivoluzionario tedesco sul modello di quello russo –, la sfida della nuova costituzione di Weimar. Da giurista si confrontò senza tentennamenti con il nuovo ordine che era nato dal crollo del suo tanto amato Reich. Ed è una precisazione importante che caratterizza le scelte dell’ultimo Gierke e ne restituiscono tutta la complessità.

Va, perciò, ribadito come gli ultimi anni della sua vita, per quanto non potrebbero smentire il suo interesse e la sua adesione al nazionalismo tedesco, dimostrano certamente l'attenzione per lo sviluppo in senso democratico del Reich. La Costituzione di Weimar, approvata nel 1919, richiederà a tutti i funzionari pubblici, compreso i docenti universitari, un giuramento di fedeltà ai valori costituzionali111. Gierke, settantanovenne e prossimo a dover lasciare l'università, viste anche le nuove disposizioni che imponevano limiti d'età

soprattutto del diritto germanico di fonte alle fascinazioni della NSDAP prima e del III Reich poi. Sul ruolo della razza nella Staatslehre gierkiana scriverà parole chiarissime Reinhard Höhn, fra i giuristi più importanti del III Reich, negando decisamente il ruolo dell‟elemento razziale e del sangue nella teoria di Gierke: «Rasse, Blut und Boden haben in Gierkes Rechtssystem kein Raum. Der Staat ist von ihnen unberührt» Cfr. R. Höhn, Otto von Gierkes Staatslehre und unsere Zeit zugleich eine Auseinandersetzung mit dem Rechtssystem des 19. Jahrhunderts, Hanseatisceh Verlganstalt, Hambug 1936 p. 152. Da ciò Höhn faceva discendere la necessità per la rivoluzione nazionalsocialista di non potersi più rifare a Gierke come ipotizzato nei primissimi anni del regime da alcuni giuristi. Su tutto questo cfr. infra cap. IV. 111 L'art. 176 disponeva che «Tutti i pubblici impiegati e gli appartenenti alle forze armate devono giurare fedeltà alla presente costituzione.» ma in realtà l'articolo rilevante, contenuto anche nel dispositivo del giuramento, è il 130: «Gli impiegati sono al servizio della collettività, non di un partito. Ad essi sono assicurati la libertà del pensiero politico e quella di riunione».

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più stringenti, decise di adempiere comunque l'obbligo costituzionale, presentandosi dal funzionario addetto e firmando il proprio giuramento il 17 gennaio 1920112.

Senza voler attribuire a questo gesto un significato eccessivo e, anzi, volendolo ricondurre comunque a quel 'fervore religioso' che Gierke nutriva per il diritto, è comunque un evento rilevante l'aver deciso, senza alcun calcolo di opportunità politica o di compiacenza verso il nuovo governo, di aderire apertamente alla nuova forma istituzionale della Germania, della quale il suo allievo Hugo Preuss era stato il vero 'padre', scegliendo, come sempre nella sua vita, di manifestare chiara fedeltà alla nuova impalcatura giuridica.

In ogni caso, manifestando sempre una simpatia per il ritorno all'istituzione monarchica,

Gierke considerò positivamente il compromesso weimariano e l'impalcatura costituzionale che ne era scaturita.

Quello del 1920 è l'ultimo intervento di Gierke: messo a riposo qualche mese dopo, si spegne per una polmonite all'età di ottant'anni nella notte del 10 ottobre 1921 nella sua casa di Charlottenburg, a Berlino. Dai suoi contemporanei, pur apprezzato e stimato, era stato considerato uno sconfitto. Nonostante gli scritti dei suoi allievi, a lui dedicati, per ricordare il suo dottorato, non si segnalano, negli anni immediatamente successivi alla morte, interventi sul senso e l'eredità delle sue opere.

VII. Da quanto è finora emerso, il giudizio sull'opera di Otto Gierke va sospeso, essendo necessario un approfondimento di alcuni dei nodi teorici che qui sono stati soltanto brevemente sintetizzati. Quello che appare, però, agevole da sostenere è la presenza di un nucleo tendenzialmente compatto della teoria gierkiana, formulato prevalentemente nelle sue linee generali nel corso del secondo periodo che qui si è ipotizzato, ovvero alla fine dell'Ottocento. Il punto da chiarire resta, dunque, verificare se e in che modo questa teoria contenga delle aporie che ne minino alla base la coerenza interna e, se si, quali sono. Tutto questo non ha nulla a che fare con una presunta 'involuzione' di

Gierke da una tradizione liberale a una più schiettamente conservatrice: il punto, semmai, è

112 Originale del documento firmato da Gierke è in Universität Archiv, Personal Akten der Prof. v. Gierke, II, p. 2.

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di chiedersi se nelle premesse della teoria gierkiana qualcosa fungesse da freno alle sue potenzialità.

Indubbiamente la prossimità e la militanza nel partito conservatore non possono non tradire una certa distanza del Gierke anziano con il tono polemico contro l'assolutismo del giovane intellettuale prussiano. Anche questa 'distanza' va, però, contestualizzata e ricercata nelle 'fonti' piuttosto che in una sua 'transizione' da una fase liberale a una conservatrice. È quello che si tenterà di fare nei prossimi capitoli. Appare evidente come sia impossibile provare a tracciare sin d'ora delle conclusioni: troppe sono le questioni che meritano un approfondimento e sulle quali è ancora prematuro formulare una valutazione.

È, però, possibile quantomeno tentare di capire su quali basi questa valutazione sarà effettuata.

È stato detto che la dialettica di Einheit e Freiheit – anche nella formulazione di

Einheit e Vielheit, Allgemeinheit e Besonderheiten come ricorda Dilcher 113 – segna l'intera produzione gierkiana, sia in termini di ricostruzione storica che, ben più interessante, di teoria del diritto. Ovviamente il problema resta capire in che termini questi due principi si compenetrano e, invece, quanto è consistente il rischio di una subordinazione dell'uno all'altro. Questo problema è stato qui affrontato solo marginalmente: l'articolazione delle consociazioni, come valore in sé, non rischia forse di limitare la spinta, dal basso verso l'alto, o anche da una dimensione periferica a quella centrale, dalla massa di consociazioni alla unità dello Stato, del principio di libertà? Questo è, indubbiamente, uno degli aspetti che merita di essere indagato. Appare, inoltre, interessante quella quota di autonomia che, sottratta all'onnipotenza statale, sembra quantomeno indicare una capacità autonoma di disciplina e dei rapporti tra le consociazioni, non tanto nel senso di un pluralismo giuridico, quanto in quello più interessante di un’ipotesi federalista. Ma anche in questo caso, quanto conta sull'accordo finale la presenza della Allgemeinheit non necessariamente come soggetto che interviene direttamente ma anche soltanto come comune riconoscimento di una matrice comune dalla quale, comunque, non è possibile evadere?

Lo stesso discorso vale per le questioni maggiormente legate al diritto privato: la critica alla codificazione e la proposta di un diritto sociale evidenziano chiaramente l'attenzione di Gierke per una frantumazione del tessuto sociale dovuta all'avanzata del

113 G. Dilcher, Genossenschaftstheorie und Sozialrecht: ein «Juristensozialismus» Otto v. Gierkes?, cit., p. 332.

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capitalismo. Il timore di conflitti non disciplinati, ma, anzi, potenzialmente, extra sistemici, spinge Gierke a promuovere interventi volti a 'riempire' quelle che a suo avviso sono vuote formule giuridiche. Il caso interessante è indubbiamente quello della proprietà per la quale, opponendosi a una teoria che fa del soggetto il signore assoluto di un bene – al quale tocca lo jus utendi et abutendi – Gierke propone l'idea di una funzione sociale, ovvero della necessaria compatibilità nell'esercizio di un diritto reale di un individuo con le aspettative, gli interessi e gli obiettivi del Gemein. Ma l'ipotesi gierkiana non vide la 'duttilità' dell'impostazione tradizionale ad ammettere, formalmente, il riconoscimento di un’utilità sociale – il caso classico è quello dell'esproprio – senza però dover minimamente intaccare il contenuto dell'istituto e, cioè, senza dover introdurre limitazioni eccessive a danno della classe dei possidenti.

La Genossenschaft è, per concludere, un concetto con il quale tornare a confrontarsi ed è, forse, non scontato provare a suggerire sin d'ora che la sua vera forza consiste nella capacità di aprire uno spazio che, senza dover prevedere il necessario superamento della generalità, riesca a pensarsi anche indipendentemente da essa. La Genossenschaft sarebbe in grado di aprire lo spazio di una realtà politica e giuridica non del tutto riconducibile allo

Stato: questa via di fuga merita di essere indagata.

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Capitolo II

Una 'via' tedesca alla modernità: la Genossenschaft come strumento per una nuova scienza giuridica e una nuova teoria dello Stato.

[I. Premessa. La Genossenschaft. – II. Per una critica della scienza giuridica dominante. – III. Una storia diversa e alternativa a quella ufficiale. – IV. Intermezzo: Gierke interprete della Politica di Althusius. – V. La via tedesca alla modernità. Critica di una riduzione reazionaria della Genossenschaftslehre. – VI. La natura di diritto, popolo e Stato. – VII. Limiti della teoria gierkiana: l'impossibile mediazione con la Sovranità.]

I. «Per quello che è, l’uomo ringrazia l'unione con i suoi simili»1: le fin troppo note parole con le quali si apre il primo volume del Das deutsche Genossenschaftsrecht del 1868 racchiudono un'importante indicazione sostanziale e metodologica. Avvertono il lettore che la visuale scelta da Gierke per esplorare l'intera storia umana è quella delle associazioni o, più in generale, delle esperienze collettive che connettono fra loro i singoli uomini, in un rapporto che non è di tipo meccanico o, al contrario, accidentale ma che si configura, invece, come una tensione umana verso la relazione stabile con i propri simili. Una tensione che, se in origine era legata a fattori naturali, come la famiglia o il clan, assumerà caratteristiche del tutto peculiari, condizionate dal momento storico con cui essa si troverà a interagire, sino a fare della Genossenschaft una realtà che, pur conservando una sua natura specifica, potrà essere adottata come elemento istituzionale persino nel II Reich. La Storia procede lungo le strutture e gli sviluppi che queste relazioni assumono: l’attenzione di

Gierke investe, dunque, esattamente queste forme associative2.

1 O. Gierke, Das deutsche Genossenschaftsrecht, Weidmannsche Buchhandlung, Berlin 1868 p. 1, d'ora in poi DdGR I. Si tratta di un motivo ricorrente nella vasta opera di Gierke. Diversi anni più tardi egli affermerà nel corso della Rektoratsrede berlinese: «Tutta la costruzione sistematica del diritto, la forma e il contenuto dei principali concetti giuridici e la soluzione di numerosi problemi particolari di carattere pratico dipendono dalla costruzione della personalità associativa», cfr. O. Gierke, Das Wesen der menschlichen Verbände, Schade Verlag, Berlin 1902 ora anche in O. Gierke, Aufsätze und kleinere Monographien, mit einer Einleitung herausgegeben von Wolfgang Pöggeler, vol. II Olms-Weidmann, Hildesheim Zürich New York 2001, trad. it. La natura delle associazioni umane, a cura di Alessandro Costazza, in Società e corpi, a cura di P. Schiera, Bibliopolis Napoli 1986 p. 49. 2 DdGR I, p. 1: «Die Möglichkeit, Associationen hervorzubringen, die nicht nur die Kraft der

Si è avuto modo di ribadire come il tema della Genossenschaft affiori lungo tutta la produzione scientifica di Otto Gierke e che, nonostante l'arco temporale particolarmente consistente, essa resista come strumento concettuale fondamentalmente unitario. Si contrappone all'idea, di derivazione romanista, della fictio iuris ed è lo stesso Gierke a precisarlo in uno dei suoi interventi più famosi: «Da quando esiste una scienza dello Stato e del diritto, la concezione secondo la quale ogni comunità non è altro che un aggregato di individui è combattuta da un'altra concezione che vede nei corpi sociali totalità indipendenti con esistenza propria» 3 . Occorre dunque definire la natura di questo strumento concettuale, cercando di coglierne gli aspetti polemici con i quali Gierke tentò di imporre la propria teoria a partire dal confronto con quelle dominanti. Necessaria è, però, una premessa.

La traduzione della parola Genossenschaft è problematica. Nella voce curata per l’Handwörterbuch zur deutschen Rechtsgeschichte si legge che essa è un’unione di persone per la realizzazione degli scopi, culturali, economici, sociali, giuridici o politici dei suoi membri4. Il punto centrale è, ovviamente, la qualificazione di quest’unione. La recezione del diritto romano, ad esempio, introduce i concetti di univeristas e di societas, come uniche espressioni della modalità di condivisione di diritti e obblighi5. Già Dilcher segnalava una certa ambiguità del termine Genossenschaft che, a fine Ottocento, «*<+ tra le correnti socialiste e il liberalismo riformista, voleva correggere o anche superare lo sviluppo della società industriale capitalista attraverso forme cooperative o associative» 6 . La visione gierkiana, invece, tenta di recuperare la polivalenza del concetto: la Genossenschaft, infatti, è una specificazione dei Gemeinleben e delle Körperschaften: di solito i traduttori italiani l'hanno resa con consociazione – e qui questa scelta viene confermata7 – per rimandare al

gleichzeitig Lebenden erhöben, sondern vor Allem durch ihren die Persönlichkeit des Einzelnen überdauernden Bestand die vergangenen Geschlechter mit den kommenden verbinden, gab uns die Möglichkeit der Entwicklung, der Geschichte» 3 O. Gierke, La natura delle associazioni umane, cit., p. 36. Per una maggiore precisazione di portata e natura della distanza gierkiana dalla fictio di ascendenza savigniana, cfr. infra cap. III. 4 Cfr. la voce Genossenschaft, a cura di H. Stradal, in Handwörterbuch zur deutschen Rechtsgeschichte, a cura di A. Erler e E. Kaufmann, I vol., Erich Schmidt Verlag, Berlin 1971, pp. 1522-1527 (1522). 5 Ivi, pp. 1525 e s., cfr. inoltre infra III capitolo. 6 Cfr. G. Dilcher, Zur Geschichte und Aufgabe des Begriffs Genossenschaft, in Recht, Gericht, Genossenschaft und Policey. Studien zu Grundbegriffen der germanistischen Rechtshistorie, Symposion für Adalbert Erler, a cura di G. Dilcher e B. Diestelkamp, Schmidt, Berlin 1986, p. 116. E continua asserendo che il concetto corra il rischio «zu einer leeren Allgemeinheit abzugleiten und damit seinerseits nicht mehr zu Kennzeichnung der sozialen und rechtlichen Beziehung, auf die er angewandt wird, beizutragen». 7 Ovviamente il riferimento non può non andare alla consociatio althusiana.

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principio [genossenschaftlich] in base al quale esse si costituiscono (in opposizione o insieme con quello della Herrschaft).

Un’altra traduzione, anche’essa corretta, è quella di cooperativa, indicando espressamente il movimento che si sviluppò con il nascente capitalismo industriale.

Quest’uso del termine si rivela prevalente, ad esempio, nel lessico marxiano: proprio in quest’ambito, però, il termine acquista tanto una valenza positiva (di solito genossenschaftlich fa riferimento a collettivo o addirittura a comunismo) che una negativa, soprattutto nella critica contro l’impostazione di Lassalle espressa, ad esempio, nella Kritik des Gothaer Programms8 o, anche, nel Capitale (noto è il giudizio, contenuto nel libro III, a proposito della presenza nelle cooperative di tutte le lacune che caratterizzano il sistema dalle quali esse sono prodotte). Una critica che si sostanziava nell’incapacità delle forme cooperative di evadere dalle logiche del profitto e del capitalismo.

Ovviamente anche in Gierke è presente questo elemento cooperativo, ma c’è anche dell’altro, ovvero fare del movimento genossenschaftlich uno dei poli di sviluppo della storia e delle relazioni degli uomini. Per evitare, dunque, ogni tipo di possibile equivoco – anche perché non risultano analisi di Gierke rivolte all’uso marxiano del termine o, più semplicemente, alla polemica all’interno dello schieramento socialista – si è preferito continuare a tradurre il termine Genossenschaft con consociazione, che rimanda, quindi, ad una finalità complessiva e non soltanto economica dell’unione.

Il principio consociativo, se da un lato si caratterizza quale contrapposizione a quello – verticale – della Herrschaft, cioè del dominio, dall’altro rende la Genossenschaft esistente di per sé, autentica persona reale. Dunque quando fa riferimento alla

Genossenschaft, Gierke utilizza espressamente un termine 'tecnico' con il quale s’intende un'associazione [Verein] con autonoma personalità giuridica9. L'idea che quest’unione possieda

8 E, però, nella lettera che Engels scrive a Babel, con la quale si apre di solito la Critica, si fa riferimento alla necessità di sostituire la parola Stato con quella più chiara di Gemeinwesen, altro noto termine gierkiano, utile anche a indicare l‟esperienza della Comune di Parigi. Sugli usi marxiani del termine Genossenschaft, come pura introduzione, si faccia riferimento alla voce Genossenschaft, a cura di A. Pelizzari e A. Petrioli, in Historisch-Kritisches Wörterbuch des Marxismus, a cura di W. Fritz Haug, V vol., Argument Verlag, Hamburg 2001, pp. 280-294, part. pp. 283-286. 9 DdGR. I, p 5, ma si veda anche: «[L'associazione] deve essere, come l'individuo, una unità di vita fisico-spirituale, capace di volere e di tradurre in atto la propria volontà. Il diritto però ordina e compenetra allo stesso tempo anche la struttura e la vita interna dell'associazione. L'associazione deve essere perciò, al contrario dell'individuo, un'entità vitale in cui il rapporto tra l'unità del tutto e la molteplicità delle parti è suscettibile di regolamentazione mediante norme esterne da parte della volontà umana» O. Gierke, La natura delle associazioni umane, cit., p. 38.

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un’esistenza propria, distinta dalla somma dei singoli membri che la compongono, significa che essa non si limita a rappresentarne gli interessi o a soddisfarne gli scopi ma li eleva, li trasforma in interessi e scopi comuni che diventano propri della stessa

Genossenschaft: in questo senso occorre precisare che essa viene costituita sulla base di due principi antitetici ma complementari. Ovvero: il principio della libertà di associarsi degli uomini, a cui corrisponde dialetticamente quello di una necessaria sublimazione delle ragioni che hanno spinto verso quell'unione, temprandole tramite gli interessi superiori dell'organismo sociale di cui fanno parte. Nel primo capitolo del secondo volume dell’opera, dedicato alla Storia del concetto tedesco di Körperschaft, Gierke precisa ulteriormente questa distinzione: originariamente erano pensabili due modelli associativi, quello fondato sulla supremazia del Capo [Herr], il Herrschaftsverband, e quello, fondato, invece, sulla prevalenza del legame e del vincolo sui singoli componenti, ovvero l’unione consociativa che si manifesta nel raduno di tutti i consociati, cioè la Genossenschaft10. Per ora questa definizione è sufficiente, nel seguito della trattazione sarà necessario precisarla a seconda della funzione specifica per la quale Gierke la impiegherà.

Ovviamente queste due costruzioni giuridiche rimandano ai due principi costitutivi dell’intera storia umana e la cui dialettica informa tutta l'opera di Gierke: il riferimento va ai principi di Einheit [unità] e Freiheit [libertà]11.

Che l'ambizione fosse di fare del concetto di Genossenschaft un grimaldello per tentare di evadere dalle rigidità classiche della scienza giuridica dominante non è un mistero e Gierke lo palesa sin dal 1868 nella premessa al primo volume dei Das deutsche

Genossenschaftsrecht, quando scrive chiaramente: «Occorre analizzare il diritto della consociazione tedesca, esclusivamente il suo lato giuridico. Proprio nel diritto l'associazione tedesca è stata messa in pericolo dall'influsso straniero più che in altri ambiti

10 Cfr. O. Gierke, Das deutsche Genossenschaftsrecht – Zweiter Band Geschichte des deutschen Körperschaftsbegriffs, Weidmannsche Buchhandlung, Berlin 1873, d‟ora in poi DdGR II, pp.42-56. Non importa qui precisare che la forma originaria consociativa è segnata da grandi limiti, con quello di essere legata necessariamente ai componenti che la costituiscono: essa pur avendo una propria realtà di fronte ai singoli individui, ne dipende in modo radicale, tanto che la fuoriuscita di singoli dalla Consociazione potrebbe comportare – lo stesso Gierke segnala che non c‟è un criterio definitivo – la definizione di un nuovo legame (p. 52). Importa qui precisare come per Gierke le forme originarie del legame tra gli uomini siano due: lo storico del diritto vuole smentire così la naturalezza del legame di tipo romanista e suggerire, al contrario, una dialettica tra due modelli – che pure si influenzano reciprocamente – che deriva dai due principi originari di libertà e unità. 11 «Der Kampf dieser beiden grossen Principien bestimmt eine der mächtigsten Bewegung in der Geschichte» DdGR I, p. 2. Ovviamente questa dialettica può assumere forme diverse: Herrschaft e Genossenschaft, Einheit e Vielheit, etc.

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*<+. *Lo scopo principale di quest’opera è] la rivendicazione dello spirito tedesco proprio a quell'ambito e a quella proprietà atrofizzata dalla giurisprudenza in un sistema teorico autonomo e così abbozzare di una costituzione del diritto e dello Stato tedesco, della libertà e dell'autonomia tedesca»12.

Viene qui evocata, anche solo per grandi linee, la conflittualità con l'impostazione romanista e canonista – gli 'influssi stranieri' – e quella dicotomia tra diritto pubblico e diritto privato, figlia di una certa impostazione scientifica, che Gierke vuole problematizzare e superare. Si accenna anche alla natura consociativa che informerebbe non solo le associazioni e, ovviamente, le consociazioni ma tutte le organizzazioni umane: essa si presenterebbe come principio unitario e unificante contrapposto al principio di

Herrschaft e che definirebbe una scansione, ipoteticamente alternativa, della modernità. In tal senso rilevante sarebbe poi il ruolo del popolo tedesco, chiamato, proprio tramite il concetto di Genossenschaft, ad inverare questa ipotesi alternativa13.

È bene precisare ulteriormente che Einheit e Freiheit non sono principi che si escludono reciprocamente e necessariamente, quanto piuttosto la diversità e la pluralità delle organizzazioni umane si ricava proprio dalle possibili forme che entrambi possono definire influenzandosi e combinandosi fra loro.

Inoltre, proprio in queste pagine introduttive, Gierke ha definito a grandi linee il suo metodo di lavoro destinato a turbare l'approccio classico dei giuristi, che prelude a quella spiccata attenzione per le dinamiche sociali del proprio tempo con le quali il giurista di Stettin si confronterà e che tenterà di interpretare e non soltanto di incasellare all'interno delle categorie giuridiche classiche: come si avrà modo di riferire, con la Genossenschaft

Gierke non si limita a esplorare storicamente la specificità germanica, ma a confrontarsi criticamente con la Staatslehre dominante, con la scienza giuridica fino ad intervenire direttamente nei dibattiti centrali del suo tempo, come quello relativo alla codificazione, o attribuendo specifiche e caratteristiche ''funzioni sociali'' al diritto privato.

12 DdGR I, pp. 4 e 5. 13 «Keinem anderen Volke in dem Zuge nach Universalität und in der Fähigkeit zu staatlichen Organisation nachstehend, die meisten an die Liebe der Freiheit übertreffend, haben die Germanen Eine Gabe vor allem Völkern voraus, durch welche sie der Freiheitsidee einen besonderen Gehalt und der Einheitsidee eine festere Grundlage verliehen haben, – die Gabe der Genossenschaftsbildung.» DdGR I, p. 3. Sulla compenetrazione dei due principi e, in particolare, delle due forme originarie di legame (le cd. Mischformen) cfr. anche DdGR II, p. 55.

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Necessario è dunque partire proprio dal concetto di Genossenschaft provando a indicarne non solo la natura e il 'funzionamento', ipotizzato da Gierke, quanto anche il bersaglio polemico contro il quale esso è rivolto. Due ultime precisazioni su questo punto sembrano, però, necessarie.

Occorre ribadire come la Genossenschaft non fosse di certo un concetto estraneo alla generazione dei maestri di Gierke, anzi era stato proprio Georg Beseler, a cui Gierke dedicò il primo volume dei Das deutsche Genossenschaftsrecht, a rendere possibile una ripresa funzionale a farne un concetto vivo e fecondo, presupposto di una moderna libertà di associazione, e non semplicemente un anacronistico ricordo dell'età cetuale: occorrerà necessariamente tornare su questo aspetto14.

Infine non è possibile avviare questa riflessione senza aver, seppur per brevi cenni, rappresentato quei presupposti teorici e metodologici verso i quali Otto Gierke sembra straordinariamente debitore.

Sviluppare il ragionamento giuridico partendo dal tema del principio consociativo, significa assestarsi sulla dialettica individuo-comunità 15 o, con altra terminologia, singolarità-molteplicità e farne il presupposto sul quale fondare l'intera teoria giuridica.

Ecco perché il superamento di diritto pubblico e diritto privato, da intendersi come abbandono di una pratica giuridica fondata esattamente su una scissione non mediabile tra il singolo (soggetto a cui spetterebbe la piena titolarità del diritto privato, da sempre definito come l’ambito del diritto che quod ad singulorum utilitatem spectat) e la comunità, costituisce una conseguenza necessaria dell'approccio gierkiano che tenta proprio di evitare un superamento di questa dialettica – tramite l'impatto e il conseguente predominio di uno dei due poli sull'altro – ma anzi di problematizzarla e di vivificarla. Questa dialettica, ovviamente, non può non avere in Hegel un suo presupposto irrinunciabile: la sua eredità ed influenza sono presenti sin dal primo volume dei Das deutsche Genossenschaftsrecht.

L'idea centrale di Gierke è che il singolo esista sempre come parte di un gruppo nel quale trova il proprio completamento, che la libertà non esista mai esclusivamente come proprietà del singolo individuo, ma che essa possa essere pienamente realizzata solo all'interno di un sistema all'interno del quale rilevi tanto la dimensione della Freiheit che

14 Anche su questo cfr. infra cap. III 15 Con l'avvertenza che non sia possibile intendere questa dicotomia nel senso che sarà sviluppato da Ferdinad Tönnis, tanto meno di fare del concetto di Genossenschaft un precedente della Gemeinschaft.

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quella dell'unificazione e dell'unità. Come si avrà modo di verificare, infatti, per Gierke la natura del giuridico è chiaramente dialettica, nel senso di un’articolazione plurale della totalità. Sin da ora, dunque, è possibile indicare nell'opera di Gierke, più che una nostalgica commemorazione della società per ceti, l'immagine di una società dinamica, che si articola in più ''strutture'' – parti, Teile, elementi, membra, Glieder, Organe – e che tenta dunque una strada alternativa, ma non necessariamente antiquata o ''non liberale'', al modello francese dello Stato assoluto (e del singolo come dominus assoluto, ad esempio, nella vicenda della proprietà).

Ecco perché, infine, il tema della Genossenschaft, lungi dal poter essere ridotto soltanto a costituire un polo alternativo alla costruzione giuridica savigniana della persona ficta, in realtà si proponeva di riscrivere il codice delle relazioni umane, di tutte le relazioni umane, sulla base di un principio nuovo che superasse la visione monolitica della

Herrschaft. L'ambito di riferimento non è più, quindi, 'soltanto' giuridico, anche se l'operazione gierkiana è chiaramente ispirata da un processo di giuridificazione della complessità politica e sociale, attraverso, come già ricordato, nuove categorie analitiche che superano l’impostazione classica – e dominante – della scienza giuridica.

II. Punto di partenza obbligato è la critica di Gierke alla scienza giuridica a lui coeva, al Labandismus e cioè a quella parte della scienza giuridica ispirata da Laband, e da

Gerber prima, ovvero dai grandi maestri della Rechtswissenschaft tedesca, perlomeno della sua parte predominante.

Paul Laband si avviava ormai a diventare il 'teorico ufficiale' del II Reich, riducendo il giuridico allo statuale e confinando la dimensione dello Stato esclusivamente nello

Staatsoberhaupt16; qualche anno prima, Gerber aveva indicato la strada di una fondazione su base romanista della scienza giuspubblicista: per Gierke gli esiti di questo approccio sono nefasti. Perché cancellano la dimensione materiale e sostanziale del diritto in favore di un piatto logicismo. La critica investe direttamente i nodi centrali della scienza giuridica moderna: la riduzione del diritto a puri concetti logici. Il diritto, invece, pur configurandosi

16 Si vedano le rilevanti considerazioni svolte in M. Fioravanti, Giuristi e costituzione politica nell'Ottocento tedesco, Giuffrè, Milano 1979, pp. 349-350.

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sempre e solo come diritto positivo – da qui la critica al giusnaturalismo –, deve però sempre essere analizzato da una scienza che fondi le proprie operazioni logiche con un fondamento filosofico ed etico17.

«Il 'metodo giuridico' non è nient'altro che quel procedimento scientifico che viene determinato attraverso le specifiche proprietà della sostanza, non appena questa sostanza è

'diritto'. Perciò il convinto ed energico sforzo di Laband, di trattare del tutto giuridicamente il diritto dello Stato dell'Impero tedesco, è da approvare senza riserve. Quello per cui è mancato, non è di essere un peso per questa inoppugnabile tendenza. Piuttosto, a prescindere da possibili incompletezze del metodo, l'errore principale *<+ può consistere solo nel fatto che Laband abbia determinato erroneamente o in modo troppo ristretto il metodo giuridico»18 e ancora «Il pericolo di questo approccio consiste nel fatto che esso considera per esaurito il compito della scienza quando il materiale rozzo [spröde] viene ricondotto in qualche modo ad un sistema di categorie logiche»19.

A questa errata e ristretta impostazione teorica corrisponde una precisa teoria dello

Stato, un’ideologia dello Stato, alla quale Gierke non risparmia le critiche. Gierke individua chiaramente il rischio di una riduzione della riflessione giuridica alle categorie romaniste, con le quali prende forma lo Stato assoluto moderno, a partire dal concetto di un singolo, un individuo, concepito come portatore di una volontà assoluta e in sé fondata al quale fa da contraltare uno Stato anch'esso assoluto e costruito come un 'macroantropo', dal corpo però ''vuoto'' perché con la sua nascita non esiste più alcun altro corpo intermedio ma solo una relazione tra il centro titolare della sovranità e i singoli individui20. L'idea di uno Stato come soggetto autonomo e posto di fronte ai singoli individui, necessita di un presupposto fondamentale, ovvero attribuire allo Stato – ma in generale alle comunità – una personalità.

17 Proprio questa impostazione faceva parlare di Gierke come un vero filosofo del diritto, si veda G. Gurwitsch, Otto von Gierke als Rechtsphilosoph, in ''Logos'' 11, 1922-23, pp. 86-132, in part. p. 93. 18 O. Gierke, Labands Staatsrecht und die deutsche Rechtswissenschaft, in ''Schmollers Jahrbücher''. 7 1883, pp. 6-7, ora anche in Aufsätze und kleinere Monographien, cit., vol. I, pp. 276-277. E continua sempre a proposito di una ristrettezza del metodo proposto da Laband: «Es muss also doch wohl die „juristische Methode“, wie sie Laband versteht, nicht die volle und ganze „juristische Methode“ sein, wie sie dem Wesen des Rechts entspricht» Ivi, p. 14 [284]. 19 O. Gierke, Die Grundbegriffe des Staatsrechts und die neuesten Staatsrechtstheorien, in ''Zeitschrift für die gesamte Staatswissenschaft'' 30 1874 circa la metà dell‟intervento di Gierke è adesso anche in Aufsätze und kleinere Monographien, cit., vol. I, pp. Il testo fu edito nuovamente nel 1915 a Tübingen e qui si fa riferimento a questa edizione, p. 2. 20 Da qui la critica di Gierke al giusnaturalismo e alla moderna scienza giuridica, considerati l'uno il presupposto teorico dell'altra.

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Si tratta di una vera e propria operazione artificiale, una fictio iuris con la quale un’entità è resa non solo pensabile ma autentico soggetto giuridico: non è nient’altro che un banale surrogato. È evidente, infatti, che lo Stato non sia una persona come le altre, una simile qualificazione si rivela necessaria e indispensabile, però, per chiudere la teoria dello

Stato all'interno dei confini di una scienza giuridica che conosce solo gli uomini come soggetti dotati di volontà e, di conseguenza, per fare della scienza romanista la base della nuova Staatslehre. Ecco perché la teoria di Laband definisce lo Stato come una persona giuridica, ovvero come soggetto giuridico ed esso, pur non potendo prescindere del tutto dai singoli che lo costituiscono, si presenta concettualmente diverso e indipendente da essi21. Da questa definizione logico-formale discendono importanti conseguenze, tra cui, quella maggiorente rilevante, l'idea che la personalità debba essere pensata e concettualizzata come sinonimo di totalità autonoma che non è composta di parti: si tratta cioè di immaginare lo Stato come un soggetto in sé sufficiente, privo di organismi interni e dotato di propria volontà22. Questo determina che « *<+ la volontà dello Stato è diversa da quella dei suoi membri; non è la somma delle loro volontà, ma è una volontà autonoma di fronte ad essi, anche se essi sono chiamati a cooperare alla formazione della volontà statuale. *<+ I diritti di supremazia spettanti allo Stato *<+ non sono, invece, diritti dei membri componenti, esercitati, per tutti, dallo Stato, quasi come un amministratore, ma sono diritti spettanti autonomamente allo Stato stesso *<+»23.

Da questa premessa, Laband deduceva tutto il suo sistema giuridico, che investiva i principali elementi 'costituzionali' del II Reich: la definizione dell'impero come persona, il rapporto tra l'Impero e gli Stati membri – le cui competenze venivano evidentemente sminuite –, il ruolo del Kaiser e quello dello Staatsoberhaupt.

21 Anche in questo caso palese è il tentativo di operare una critica all'ideologia filosofica e giuridica, attraverso il riferimento, per quanto velato, al modello del Leviatano di Hobbes: gli uomini, con un atto di volontà determinato dalla paura di una morte violenta, danno vita ad una creatura dotata di vita propria che li trascende. Come ha scritto Carl Schmitt: «Più che creare il nuovo Dio, [quel] la paura lo evoca. Pertanto il nuovo Dio è trascendente rispetto a tutti i singoli autori del patto, ed anche alla loro somma, anche se questa trascendenza è tale solo in senso giuridico, non metafisico», cfr. C. Schmitt, Scritti su Thomas Hobbes, a cura di Carlo Galli, Giuffrè Editore Milano 1986, p. 85. La relazione ipotizzata da Gierke è del tutto immanente, perché frutto di una complessa articolazione di consociazioni reali. 22 Cfr. O. Fröhling, Labands Staatsbegriff. Die anorganische Staatsperson als Konstruktionsmittel der deutschen konstitutionellen Staatslehre, Inaugural-Dissertation zur Erlangung der juristischen Doktorwürde der Rechts- und Staatswissenschaftlichen Fakultät der Philipps-Universität Marburg, in particolare p. 30 e ss.. 23 P. Laband, Das Staatsrecht des deutschen Reichs, Bd. 1, Möhr, Tübingen 19155, trad. it. a cura di O. Ranelletti e M. Siotto Pintor, Il diritto pubblico dell'impero germanico, Utet, Torino 1925, p. 102.

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Una volta che lo Stato viene pensato come persona, ad esso possono essere applicate tutte le categorie 'classiche' della scienza giuridica24. Di questa impostazione

Gierke, ovviamente, punta a demistificare l'ideologia di fondo e a criticarne sia l'impianto filosofico che le conseguenze specificamente giuridiche: « *<+ riducendo la personalità dello Stato alla figura civilistica di una singola persona finta, Laband giunge necessariamente ad una costruzione in ultima istanza puramente individualista ovvero privatistica dello Stato»25.

L'accusa, dunque, è di un metodo zu eng, troppo limitato, ristretto, incapace quindi di contenere una realtà viva e plurale. Ecco perché il punto di partenza non è l'individuo, quanto proprio la dimensione collettiva, i rapporti che si vengono a creare tra individui: il

Gemeinleben rappresenta lo sfondo di ogni possibile discussione sul diritto e sullo Stato come pure la Genossenschaft è reale non tanto per una sua autentica esistenza – assimilabile a quella naturale degli individui – quanto piuttosto perché la sua stessa pensabilità, la sua fondazione teorica non richiede un rinvio ad altre entità, ma è del tutto autonoma26.

Non solo: «La caratteristica fondamentale [dell'idea di autorità] consiste nel fatto che considera lo Stato come una realtà diversa dal popolo, una realtà, definita territorialmente e personalmente, che concentra in una cerchia chiusa, un’unità necessariamente legata al concetto astratto di questo Stato, la somma di tutto il potere pubblico, ovvero il diritto e l'obbligo di rappresentare in questa cerchia l'interesse generale

24 «Woher entnimmt denn Laband jene allgemeine Begriffe, die er als unumstössliche und einer Kritischen Prüfung nicht weiter bedürftige Wahrheiten in das Staatsrecht einführt? Aus dem traditionellen allgemeinen Theil der Pandektensysteme!» O. Gierke, Rezension: Das Staatsrecht des deutschen Reiches, von Dr. Paul Laband. Zweiter Band. Tübingen 1878 in: Zeitschrift für das Privat- und öffentliche Recht der Gegenwart, a cura di C.S. Grünhut, VI Band, Wien 1879. pp. 221-235, cfr. p.225. 25 O. Gierke, Labands Staatsrecht..., cit. p. 32 [p. 302]. E ancora «La concezione della persona ficta risulta, proprio nella sua applicazione al soggetto del potere temporale più alto, particolarmente insostenibile. Come può ad un essere concettuale fittizio spettare, in ultima istanza, il diritto sulla vita e la proprietà di uomini in carne ed ossa? Come può il re svolgere la sua missione sublime in quanto tutore di una persona incapace d'agire come un alienato mentale? E come può la Corte suprema dell'Impero amministrare la giustizia in nome di un'ombra? Se non esistono altre persone vere al di fuori degli individui, allora anche lo Stato in quanto tale non può essere, se è persona, che una persona fittizia.» O. Gierke, La natura delle associazioni umane, cit. pp. 33-34. Coglie esattamente questo contributo di Gierke, il suo allievo Hugo Preuss, che pure non fu tenero con l'opera del maestro, cfr. H. Preuss, Gemeinde, Staat, Reich als Gebietskörperschaften, Springer, Berlin 1889, pp. 110-111. 26 Questo allargamento della scienza giuridica oltre le pure categorie logiche, in favore di una impostazione filosofica, ha fatto scrivere a Georg Gurwitsch che quella di Gierke sarebbe a tutti gli effetti una vera filosofia del diritto «Die materiel-inhaltlichen Grundbegriffe des Rechts, auf denen die juristische Methode fußen muß, werden somit nur durch die Philosophie gewonnen. […] Die Kritik des positivistischen Formalismus führt somit unmittelbar zur Forderung, die philosophische Erkenntnis des Rechts der juristischen Betrachtungsweise zugrunde zu legen» cfr. G. Gurwitsch, Otto von Gierke als Rechtsphilosoph, in Logos, 11, 1922-23, pp. 93-94.

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(salus publica) contro gli interessi particolari, di creare ordinamento e diritto e di regolare il rapporto dei membri fra di loro» 27 . Gierke svela anche le conseguenze di questa impostazione, che assumendo il feticcio della salus publica e ponendola come 'suprema' non fanno altro che sviluppare «un comodo appiglio per permettere ogni violazione della legge»28.

L'ambito teorico è molto chiaro: lo Stato non riempie integralmente lo spazio del

Körperschaftsrecht, ne costituisce certo una parte consistente ma non si identifica con esso.

Questo permette, anche se il tema come si vedrà va problematizzato, una necessaria compenetrazione di diritto e Stato e una reciproca interdipendenza: appare chiaro, però, che uno dei principali fronti polemici di Gierke sia una riduzione della giuridicità alla volontà dello Stato, la riduzione del bene comune all'arbitrio – perché ne è titolare esclusivo lo Stato – e la scomparsa degli altri elementi del Gemeinleben. Non si tratta di negare la possibilità teorica di individuare e fondare il 'bene comune' – concetto che invece conserva un ruolo centrale anche nella teoria delle Genossenschaften con significative ripercussioni sull'esito della produzione gierkiana 29 – quanto piuttosto di smascherare il tentativo ideologico che fa dello Stato – e di uno Stato pensato e costituito in un determinato modo – come l'unico soggetto capace di interpretare autenticamente il bene della collettività, piegando ogni altro elemento, persino l'autonomia del diritto, alla realizzazione e al perseguimento di quel bene arbitrariamente determinato.

Si è detto – e si vedrà in dettaglio – come Gierke viva la fase di profonda trasformazione della Germania verso il pieno sviluppo del capitalismo industriale; una trasformazione che palesava conflitti e interessi contrapposti, la cui soluzione andava ricercata attraverso l'affinamento del metodo giuridico, in particolare dando rilevanza giuridica a quanto emergeva, autonomamente, dai conflitti e dai movimenti che attraversavano dalla fine dell'Ottocento il Volk. Privo di questa attenzione alle particolarità e ridotto solo a comando dello Stato – il quale stabilirebbe motu proprio la sintesi degli interessi in campo – il bene comune diventava un feticcio, un arnese senz'anima che non sarebbe stato in grado di comporre quei dissidi. Se in precedenza è stato sottolineato il piano teorico della critica di Gierke, è bene precisare come la sua preoccupazione è, dunque, rivolta anche alla ''tenuta'', alla stabilità dell'assetto scientifico dominante che, a

27 DdGR I, p. 642. 28 DdGR I, p. 643. 29 Cfr. le conclusioni di questo e del prossimo capitolo.

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suo dire, rischierebbe di essere travolto dai nuovi movimenti che animano la Germania della fine del XIX secolo: ecco perché comincia in questo modo una trasformazione profonda del metodo giuridico e della tradizionale Staatslehre.

Allo stesso modo risulta a suo avviso impossibile tentare di spiegare tutte le altre forme di vita comune sempre e soltanto a partire dal presupposto dello Stato: il tentativo non è, dunque, quello di mettere in discussione uno dei fondamenti dell'intera scienza giuridica ottocentesca, ovvero la divisione tra Stato e diritto, ma di criticarla alla luce di una tensione dialettica tra i due poli che non può mai annullarsi del tutto ma che, viceversa, permette di identificare il principio consociativo proprio sulla base di una articolazione, non predefinita, ma storicamente determinata, di funzioni tra diritto e Stato, senza che l'uno debba ridursi all'altro. Indubbiamente, da questo punto di vista, la teoria gierkiana è pienamente dentro il dibattito ottocentesco e quella ''tradizione giuridica'' che poi sarà messa in discussione solo successivamente dalla Scuola di Vienna e da Hans Kelsen. Si tratta, però, di capire in che misura la riflessione di Gierke contenesse elementi di novità autentici rispetto alle teorie che intendeva contestare e quanto delle sue riflessioni Gierke stesso abbia invece lasciato prive di uno sviluppo teorico quando non nel senso di un loro aperto rovesciamento teorico.

III. «Possiamo con la grande riflessione germanista non rinunciare all'unità del diritto, senza rinunciare al nostro futuro. E con questa tesi è, da sempre, inconciliabile un diritto pubblico assolutista, ma anche un diritto privato individualistico. Abbiamo bisogno di un diritto pubblico che sia sempre diritto, che stabilisca un rapporto di reciprocità tra il tutto stesso e le sue parti, tra la generalità sovrana e tutti i più stretti legami, tra la comunità e il singolo; che pervada e vincoli lo Stato da cima a fondo e anche là dove la coercizione viene meno, goda della protezione del giudice; che premetta certamente gli obblighi verso la collettività ma allo stesso tempo conceda e assicuri ai singoli membri diritti, al più debole la partecipazione allo Stato; che derivi dalla necessità e dalla costanza della collettività e accolga in sé la libertà. Ma abbiamo anche bisogno di un diritto privato, nel quale viva e si

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muova l'idea della comunità nonostante la santità della sfera intangibile dell'individuo»30.

L'impostazione gierkiana tenta innanzitutto di allargare la visuale della scienza giuridica: questo è precisamente il contributo germanista per una rinascita della Rechtswissenschaft. La modernità, pur scandita da profonde differenze, appare segnata dalla riduzione ai soli concetti complementari di Stato e individuo ed è proprio da questo rapporto che si sviluppa il principio di autorità che informa lo Stato moderno: «Tutte le teorie dello Stato, mentre identificavano lo Stato con l'autorità e il popolo con la somma dei sudditi, erano molto lontane dal riconoscere lo Stato come personalità del popolo organizzata e, cosa importantissima, nessuna di esse riconosceva tra Stato e individui autonomi elementi di congiunzione nel senso di una vera collettività [Gemeinwesen]» 31 . Si tratta, quindi, di rovesciare il paradigma dominante e individuare una possibile strada alternativa a quella sin qui affermata tradizionalmente.

Quello che Gierke intende realizzare è un compito imponente. Si tratta di una totale rilettura della storia attraverso la dialettica Einheit e Freiheit la cui tensione 32 avrebbe definito una specificità germanica rispetto alle altre esperienze politiche e giuridiche europee. La successiva immissione di elementi 'stranieri' (a partire dalla recezione del diritto romano) avrebbe determinato una progressiva limitazione, sino quasi alla scomparsa, di questa specificità che riacquisterebbe vigore e forza solo nel XIX secolo. A

30 O. Gierke, Die soziale Aufgabe des Privatrechts, Vortrag gehaltenem 5. April 1889 in der Juristische Gesellschaft zu Wien, Berlin 1889, rist. Vittorio Klostermann, Frankfurt a/Main, 1948 ora anche in Aufsätze und kleinere Monographien, II vol., cit. pp. 605-642, qui particolarmente p. 10 (614). Sulle conseguenze della critica gierkiana alla divisione tra diritto pubblico e diritto privato si veda diffusamente il III capitolo del presente lavoro. 31 DDGR I, p. 649. Gierke prosegue, poi, sulla sostanziale omogeneità della riflessione giuspolitica moderna: «Ausdrücklich sprachen sich von verschiedensten Standpunkten Hobbes wie Rousseau gegen jede selbständige Sondergesellschaft im Staat und daher insbesondere gegen das freie Associationsrecht der Staatsbürger aus und in Deutschland nahm bis auf Hegel kaum eine Rechtsphilosophie, am wenigsten die kantische, irgend unabhängig Gemeinden oder Genossenschaften in ihr System auf». Il riferimento di Gierke va espressamente al Leviatano, c. 10 §27, al De cive, c. 13 §13 e al Contratto Sociale, II, c.3. Si faccia anche riferimento a O. Gierke, Die Grundbegriffe des Staatsrechts und die neuesten Staatsrechtstheorien, in Zeitschrift für die gesamte Staatswissenschaft, XXX (1874), ora anche in Aufsätze und kleinere Monographien, vol. I, cit., pp. 298 e ss. [136 e ss.] e a Id., Naturrecht und deutsches Recht. Rede zum Antritt des Rektorats der Universität Breslau am 15 Oktober 1882 gehalten, Rütten & Loenning, Frankfurt a. M. 1883 ora anche Id, Aufsätze und kleinere Monographien, vol. I, cit. , pp. 28-32 [398-402] 32 «Genossenschaft und Herrschaft kombiniren sich im Laufe der Zeiten; in der Genossenschaft tritt ein Herr an die Spitze, in der Herrschaft entwickelt sich eine Genossenschaft der Dienenden. Aber zu einer inneren Versöhnung beider Principien kommt es nicht, sondern wechselnd tritt das eine oder andere siegend in dem Vordergrund. Die tausendjährige Periode, welche wir zunächst zu behandeln haben, enthält einen ununterbrochenen Fortschritt der Herrschaft gegenüber der Genossenschaft, nur noch in untergeordneten und engen Kreisen steht diese am Ende dieser Zeit unberührt da» DdGR I p. 13.

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questo punto sembra necessario introdurre l'ipotesi di scansione della Storia, avanzata da

Gierke sulla base del principio consociativo.

La periodizzazione è nota: si tratta di cinque momenti, dall'antichità all'incoronazione di Carlo Magno il primo, per poi procedere sino al 1200 il secondo e fino alla conclusione del medioevo il terzo, il quarto sino al 1806 e, per concludere idealmente questo processo, Gierke afferma che «siamo all'inizio del quinto periodo, dal quale ci attendiamo l'attenuazione di antichissimi contrasti nelle teorie della cittadinanza generale e dello Stato rappresentativo»33. Non è difficile cogliere anche in questa affermazione, così lapidaria, una chiara ascendenza hegeliana e anche un primo sbilanciamento verso la monarchia costituzionale prussiana, valutata come l'ideale conclusione dello sviluppo storico e ideale tedesco e, proprio nelle forme di una monarchia liberale, la piena realizzazione di una forma costituzionale che si sviluppi attraverso i due principi, senza doverne sacrificare uno alle ragioni dell'altro. A questo proposito, è stato scritto: «Giunto a questo punto, il movimento dialettico non procede più oltre, in particolare non porta alla contrapposizione degli individui emancipati nei confronti dello Stato, ma realizza l'accordo e l'immanente conciliazione dei due termini»34.

Seppur brevemente, è comunque il caso di approfondire questa scansione, tentando prevalentemente di isolare chiaramente l'elemento consociativo e di individuarne l'evoluzione35.

Sin dal primo periodo si registra quella dialettica tra Genossenschaft ed Herrschaft che produce due diverse tipologie di organizzazioni collettive, la consociazione e il legame di dominio, entrambe calate in una dimensione patriarcale36. Gierke intende il passaggio

33 DdGR I, p.10. I cinque periodi costituiscono inoltre la scansione nella quale si organizza il volume del 1868. 34 E.-W. Böckenförde, Die deutsche verfassungsgeschichtliche Forschung im 19. Jahrhundert. Zeitgebundene Fragestellungen und Leitbilder, Dunker und Humblot, Berlin 1961, trad. it. La storiografia costituzionale tedesca nel secolo decimonono. Problematica e modelli dell'epoca, a cura di P. Schiera, Giuffrè, Milano 1970, p. 196. 35 Ricostruisce i cinque periodi anche S. Mogi, Otto von Gierke. His political teaching and jurisprudence, P.S. King, London 1932, particolarmente il capitolo II. Come pure J. D.Lewis, The Genossenschaft-Theory of Otto von Gierke. A study in political Thought, University of Wisconsin Studies, Madison 1935, pp. 28-35. 36 Indicazione interessante arriva dal primo volume del Deutsches Privatrecht: «Durch die genossenschaftliche Verfassung, die alle freien wehrhaften Männer zu Teilnahme an den Gerichtsversammlungen beruft, ist dafür gesorgt, dass das Recht im Bewusstsein Aller lebendig bleibt» O. Gierke, Deutsches Privatrecht, Duncker & Humblot, Leipzig 1905, p. 3. Una chiara esposizione dello sviluppo dei principi opposti e complementari di Herrschaft e Genossenschaft, si ritrova anche nel II volume del Das deutsche Genossenschaftsrecht. Gierke analizza le due forme

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dall’antica Genossenschaft 37 alla nozione di Stato, prima sconosciuta, motivato dall'ampliamento delle popolazioni a stirpi e genti: l'antica consociazione, dunque, scomparirebbe per ''consumazione'', superata dalla fine delle piccole comunità e dal loro necessario ingrandimento 38 . Questo passaggio, che pure segna la fine della pienezza dell'antica libertà individuale alla quale se ne affianca una civile [bürgerliche Freiheit] che non assicura alcuna libertà generale e duratura, ma definisce una prima importante particolarità tedesca rispetto al modello greco-romano: «Anche lo Stato greco romano era radicato nella volontà comune dei cittadini autorizzati: ma, una volta fondato, considerava il diritto come legge, il potere pubblico come potere dello Stato (imperium) con autorità sovrana contro di cittadini, e risultò, al di sopra e al di fuori del comune, ogni concetto ideale di Stato trascendente, che obbligò ogni particolarità a piegarsi alla generalità personificata»39. Dunque Gierke si premura di specificare sin dall'inizio come Stato e

Popolo siano concetti diversi ma connessi e non disgiungibili, lo Stato limitando e dando forma alla concretezza del popolo, acquista a sua volta consistenza e realtà. Il periodo si conclude con l'incoronazione di Carlo Magno, che unifica il Reich non nel senso, moderno, di un’omogeneità amministrativa, quanto piuttosto per aver posto realtà diverse sotto il proprio comando e la propria autorità.

Il secondo periodo coincide con l'affermazione del modello di Herrschaftsverband e del suo legame, inscindibile, con la terra: Gierke intende il sistema feudale come l'incontro di due opposti movimenti, l'uno dall'alto verso il basso che determina l'imposizione di

Herrschaft e Dienst come sistemi di legame tra gli uomini, l'altro, dal basso verso l'alto, rende ogni diritto legato in modo indissolubile con la terra, ovvero era lo stesso legame con la terra a definire lo status giuridico degli individui [die Abhängigkeit alles Rechtes von Grund

associative originarie, ovvero l‟Herrschaftsverband e la Genossenschaft. Il primo si caratterizza per la presenza di un Capo [Herr], il quale guida e rappresenta il gruppo. Si tratta di una rappresentazione particolare, perché, a ben guardare, il Capo è il gruppo. Diversamente, per la Genossenschaft, nella sua formulazione originaria, era il legame a definire il gruppo, ovvero l’unione consociativa di tutti con tutti, cfr. DdGR II, pp. 42-56. 37 Esempi tipici di consociazione di questa fase sono la famiglia in senso stretto, la casa, la comunità domestica, la famiglia in senso più ampio, la stirpe e il clan. 38 Si veda il § 6 del DdGR I: Die Erweiterungen der Völkerschaften zu Stämmen und Völkern. Die Bünde. Das Königthum. Die Reiche. 39 DdGR I, p.45. Il germanismo invece conservò sempre una connessione tra il concetto di Stato e quello di popolo: «[...] Diese Einheit trat ihnen nunmehr nicht als eine lustige Abstraktion außer und über des Volk, sondern blieb dem Volk immanent, wurde als die zu rechtlicher Gestaltung gelangte Volkspersönlichkeit selber erkannt; und nicht der Untergang des Individuums im Staat, sondern seine vollste und freiste Entwicklung soll durch harmonische Verbindung bürgerlicher und individuellere Freiheit erstrebt werden» DdGR I, p. 46.

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und Boden]40. L'affermazione di questo modello e la conseguente limitazione del principio consociativo a poche realtà ha importanti conseguenze giuridiche, ovvero la riduzione del diritto a diritto privato 41 . Anche in questo caso però, nonostante la storia potrebbe consegnare l'immagine dell'affermazione piena ed esclusiva di un preciso modello di relazioni sociali, Gierke ritiene che, per quanto in una dimensione 'dormiente', il modello consociativo non sia del tutto sconfitto, che il sistema feudale non sia riuscito ad affermarsi completamente e che, anzi, sia addirittura possibile individuare le prime forme organizzative destinate a spodestare l'impianto verticistico del feudalesimo.

Il terzo periodo (1200-1525) avvia, proprio grazie alle Genossenschaften e alla vita comune consociativa, «[...] l'emancipazione della persona dalla terra, senza escludere al contrario l'autonomia dei diritti reali – *<+ la divisione di diritti pubblici e privati – [lo sviluppo] del concetto della personalità complessiva ideale di Stato, comune e corporazione *<+»42. Anche questo processo si realizza sulla base di una dialettica tra dimensione consociativa e di dominio: la destrutturazione dei ceti avviene tramite lo sviluppo della signoria territoriale [Landeshoheit]. In questo esempio è davvero chiarissima la configurazione dei processi storici come portato dialettico del principio di Einheit e di

Freiheit: il livellamento [Nivellirung] dei ceti [Stände] si realizza solo a patto di uno sviluppo, contrario, del principio unificante della statualità, seppur ancora confinata negli spazi ristretti della Landeshoheit o, successivamente, del Territorialstaat. Da sottolineare, poi, l'importante ruolo delle città libere che si costituiscono come comunità corporative e realizzano per la prima volta attraverso la loro costituzione il pensiero statale tedesco comunitario43. Non manca ovviamente il riferimento all'introduzione di elementi stranieri come causa dell'alterazione degli originari elementi consociativi: «Quantunque non riuscì a

40 DdGR I, p. 154. 41 L'espressione è 'rubata' al Gierke critico dell'Althusius. In questo caso, meno enfaticamente, Gierke si limita a chiarire: «Alles Recht nahm so den Charakter des Privatrechts an, der Vertrag war Alles, das Gesetz Nichts; es gab nur noch Rechtsverhältnisse zwischen Individuum und Individuum» DdGR I, p. 154. 42 DdGR I, p. 10. 43 Anche in questo caso chiaro è il riferimento ad una dialettica storica che vedrebbe sorgere all'interno di un contesto complessivamente dominato dal principio di autorità embrionali elementi del principio consociativo, proprio all'interno delle città libere. Da esse verrebbe preparato il successivo sviluppo della storia attraverso il 'superamento' della forma di Herrschaft e una sua compenetrazione con la Genossenschaft. Si veda anche DdGR II, p. 820. Il quarto capitolo è interamente dedicato alla Stadtpersönlichkeit, che comincia a svilupparsi sin dalla fine del X secolo. È, inoltre, proprio con le città che si comincia a sviluppare il concetto di territorio [Gebiet], inteso come spazio dove la città esercita la propria autorità, che sarà poi dirimente nella nascita dello Stato modernamente inteso (cfr. DdGR II, p. 575).

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distruggerlo, la recezione del diritto romano condusse tuttavia a detronizzare il nostro diritto tedesco»44.

Il quarto periodo vede l'affermazione definitiva della signoria territoriale e del principio di autorità [Obrigkeit] sviluppato proprio grazie al diritto romano 45 . Questa affermazione si impone anche in ambito filosofico e giuridico: nel primo caso con l'identificazione del popolo come somma di individui-atomi e, di conseguenza, dalla spoliticizzazione dei cosi detti corpi intermedi: tra lo Stato e i singoli individui non può esserci nulla se non gruppi espressamente previsti, creati e autorizzati dallo Stato. Gli ultimi anni di questo periodo sono caratterizzati chiaramente dalla dialettica sin qui esaminata: «[L'idea dello Stato assoluto] da un lato si è imposta sempre più in una unità statale crescente sino alla centralizzazione, nello sviluppo della moderna organizzazione amministrativa [Verwaltungsorganisation], in un livellamento che accennava ad una uniformazione delle differenze locali di diritto pubblico. D'altro canto sempre più si sono infrante le barriere che separavano l'individuo dal rapporto diretto con lo Stato e producevano una disuguaglianza del diritto pubblico soprattutto attraverso l'uso privatistico degli stessi diritti e obblighi pubblici *<+» 46 . In definitiva si ha modo di verificare che la dialettica fra Einheit e Freiheit, ma in generale fra tutti gli elementi concepiti come poli di una tensione non eliminabile, si palesa come il vero motore del progresso umano.

Ad ogni avanzamento sulla linea evolutiva ipotizzata, si determina un processo che, sinteticamente, è possibile definire, a seconda dei casi, di 'liberazione' o di

'accentramento' (dirimente è, ovviamente, il principio che guida il processo), a cui corrisponde il superamento della situazione precedente e l'avvio dello sviluppo delle condizioni per il successivo 'balzo' evolutivo. L'accentramento dei poteri dello Stato

44 DdGR I, p.16. 45 DdGR I, pp. 647-650. 46 DdGR I, p. 651. Qui si registra, dunque, anche una valutazione positivamente critica del processo di definizione dell‟assolutismo moderno. Gierke torna spesso su questa valutazione, cfr. ad esempio la voce Genossenschaftswesen in Bluntschli's Staatswörterbuch in drei Bänden, I vol., Expedition des Staatswörterbuch, Leipzig und Stuttgart 1875: «In der That ist der Staatsgewalt auf diesem Wege gelungen, was nur so gelingen konnte: die Herstellung der Gleichheit vor dem Gesetz. Zerbrochen ward die Staastmittelbarkeit der mediatisirten Menge des Volks; geschaffen ward an Stelle des Ständerrechts ein gemeines Recht für Alle, befreit ward das Individuum von den unerträglichen Fesseln, in welche es die verknöcherten Bildungen vergangener Jahrhunderte schlugen. Aber fast überall ging der notwendig gewordene Kampf gegen die bestehenden Verbände über sein Ziel hinaus und griff nicht unterschiedslos ihre abgestorbenen Elemente und das, was lebensvoll an ihnen war, gleichzeitig an, sondern wandte sich gegen das korporative Leben überhaupt» p. 784.

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moderno serve, ad esempio, a recidere definitivamente l'idea di un legame tra singoli individui e la terra, perché sviluppa il concetto di territorio sul quale sovrano è solo lo Stato e di fronte al quale stanno individui formalmente uguali, che hanno nei confronti dello

Stato diritti e obblighi47. Questo affrancamento determina, d’altro canto, una diversa libertà degli individui, una libertà 'civile'. Si sviluppa così una vera e propria pratica istituzionale a partire proprio da una 'giuridificazione' della dialettica tra uno Stato modernamente inteso e i gruppi e le associazioni, liberamente sviluppate ma organicamente connesse fra loro e con il supremo Gemeinwesen: in tal modo si avvia a realizzarsi la piena compenetrazione tra i due principi e la 'soluzione' al conflitto sin qui determinatosi.

Compare dunque l’idea di uno sviluppo orientato al Gemeinwesen, concetto particolarmente complesso, perché esso non incarna solo un’idea (il bene comune) ma anche la completa realizzazione istituzionale di tale idea. Mentre nel concetto latino di respublica, la res è solo una realtà inanimata, e publica fa riferimento più al pubblico

[Öffentliche] che al comune [Gemein], il termine tedesco Gemeinwesen, che si sviluppa a partire dall’evoluzione delle città, indica das Seiende, Lebendige und seine Immanenz in einer

Gemeinschaft 48.

Il quinto periodo, che prende avvio dal 1806 e cioè dalla caduta sotto le armate napoleoniche e dalla nascita del Bund, è segnato dalla vittoriosa costruzione del Reich.

Gierke ritiene che il risultato finale di questo processo sia costituito proprio dalla monarchia prussiana e dalla sua guida per l'unificazione tedesca: proprio quella monarchia che si sviluppava in antitesi al processo assolutistico francese – per cui ''eroica'' era l'affermazione di Federico il Grande di essere solo il primo servitore dello Stato [der erste

Diener des Staates] – e il cui «*<+ ideale non era il Leviatano teorizzato da Hobbes, che aveva divorato la libertà religiosa ed etica dei cittadini»49. Lo Stato comincia a definirsi come popolo organizzato, si sviluppa la costituzione rappresentativa, il controllo e la partecipazione del popolo alla produzione del diritto. È in questa fase, inoltre, che si afferma definitivamente il moderno movimento di associazione: il quale, pur con numerose analogie con il modello medioevale, si caratterizza per una spiccata tendenza alla pluralità

47 Questa impostazione del moderno Bürger nasce proprio nella Bürgerschaft prima e nella Stadt poi, cfr. DdGR II p. 828. 48 DdGR II, p. 820. 49 Otto Gierke, Der germanische Staatsgedanke, Weidmannsche Buchhandlung, Berlin 1919, ora anche in Aufsätze und kleinere Monographien, vol. II, p. 20 [1082]. Si tratta del testo di una conferenza tenuta a Berlino il 4 maggio 1919.

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delle forme e dell’organizzazione interna con le quali le consociazioni vengono alla luce.

Esso rende possibile la strutturazione di differenti unità associative, in modo tale che nessuna, neanche quella più potente, lo Stato, possa considerarsi un modello ed un’esperienza storica definitiva50.

IV. È stata così delineata una rilettura dello sviluppo storico che muove dalla dialettica di principi opposti, che, presupponendo una particolarità germanica, renda possibile il superamento della visione tradizionale dello Stato e del diritto. La riflessione sin qui avviata va quindi ulteriormente approfondita, proprio nei termini di una specificazione della via tedesca alla modernità, anche grazie all'interesse nutrito da Gierke per l'opera di Johannes Althusius51 (1557-1638) al quale dedicò un testo52, forse tra i più famosi, che ha contribuito non poco a riscoprire e riaffermare l'importanza del Syndicus di

Emden. La stessa centralità del concetto di Genossenschaft potrebbe essere fatto risalire al precedente illustre dell'opera althusiana.

Il testo di Gierke non è solo una monografia dedicata ad Althusius ma ha un'ambizione più grande, ovvero quella di retrodatare proprio al giurista tedesco l'avvio del moderno giusnaturalismo e, ancor di più, farne un precursore della sovranità popolare, in questo pienamente antesignano di Jean Jacques Rousseau e della sua nota teoria esposta nel Contratto sociale. In premessa, è bene precisare che il riferimento a Rousseau va interpretato nel senso di una piena adesione di Althusius, nell’interpretazione gierkiana, al

50 J.D.Lewis, The Genossenschaft-Theory of Otto von Gierke. A study in political Thought, cit.: «Human communal life is by no means concentrated in a single, universal form of association; the system of human association presents a complex picture of rich and fluid variety» p. 61. 51 È da qualche anno disponibile la traduzione integrale in italiano dell'opera principale di Althusius, l'edizione del 1614 della Politica, cfr. La politica: elaborata organicamente con metodo e illustrata con esempi sacri e profani, a cura e con un saggio introduttivo di C. Malandrino, Claudiana, Torino 2009. Di rilievo è anche la Disputatio politica «De Regno» del 1602, rinvenuta ed edita da Michael Stolleis e comparsa in Italia nei Quaderni Fiorentini, XXV (1996). A questo quaderno si può fare riferimento per un articolo introduttivo al De Regno di Giuseppe Duso proprio sulla Disputatio, Una prima esposizione del pensiero politico di Althusius: la dottrina del patto e la costituzione del regno, pp. 65-126. Sulla rilevanza della consociatio in Althusius si faccia riferimento direttamente alla Politica: «Pertanto argomento della politica e la consociazione attraverso la quale, con patto esplicito o implicito, i simbiotici si obbligano reciprocamente alla mutua partecipazione a ciò che è utile e necessario alla pratica e al consorzio della vita sociale» Althusius, Op. cit., p. 221 52 O. Gierke, Johannes Althusius und die Entwicklung der naturrechtlichen Staatstheorien, Verlag von M & H. Marcus, Breslau 1913, trad. it. Giovanni Althusius e lo sviluppo storico delle teorie politiche giusnaturalistiche, a cura di A. Giolitti, Einaudi, Torino 1974. La traduzione italiana è stata realizzata sulla III edizione tedesca (1913) e non comprende alcune note aggiunte da Gierke nel corso degli anni.

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modello della sovranità popolare, da contrapporre ai predecessori del filosofo francese, tra cui Hobbes, che, invece, avrebbero definito lo Stato in chiave esclusivamente assolutistica.

Non bisogna, però, pensare che questa scelta presupponga una visione della modernità semplicistica, nella quale Hobbes incarnerebbe la figura del teorico dell'assolutismo, nemico feroce dei diritti individuali. In realtà, la visione di Gierke è molto più complessa: non a caso, più volte, egli ritorna su quelli che sono, a suo avviso, alcuni elementi comuni della modernità, presenti tanto in Hobbes che in Rousseau, come ad esempio la lotta contro ogni corpo intermedio tra lo Stato e gli individui.

Per quanto non sia possibile accettare per intero le sue tesi perché superate ed effettivamente 'datate' 53 , è anche vero che, nonostante la forza argomentativa, Gierke dissemina la sua opera anche di piccole contraddizioni che tradiscono una certa incapacità di risolvere nel senso da lui prospettato – ovvero nei termini di una possibile continuità tra il medioevo e la modernità54 – l'evoluzione delle moderne scienze dello Stato e che si rivelano utilissime all'interprete contemporaneo.

Gierke lavorò su questo testo per tutta la vita: una prima versione apparve già nel

1880, la terza nel 1913. In realtà, le modifiche complessive all'opera furono poche, ennesima evidenza di come da alcune impostazioni metodologiche e interpretative elaborate in gioventù, Gierke non si sarebbe mai più discostato. Si tratta, dunque, di un'opera che sintetizza bene alcuni nodi teorici con i quali Gierke tenta di ricostruire i momenti dirimenti nello sviluppo delle moderne scienze giuridiche e dello Stato. Le tesi di Gierke, nonostante da tempo le sue valutazioni su Althusius siano considerate superate55, meritano di essere brevemente sintetizzate.

Innanzitutto è bene, però, porre un quesito preliminare: perché il syndicus di Emden suscitò tanto interesse in Gierke? La domanda, all'apparenza pedante, necessita di una risposta. Nella teoria del giurista di Stettin, Johannes Althusius viene considerato, per la

53 Cfr. C. Schmitt, Verfassungslehre, Duncker & Humblot, Berlin 1928 trad.it. Dottrina della costituzione, a cura di A. Caracciolo, Giuffrè, Milano 1984, p. 99. Ma per una critica della visione gierkiana dell‟Althusius, si può fare riferimento all‟importante ricerca di H. Hofmann, Repräsentation. Studien zur Wort- und Begriffsgeschichte von der Antike bis ins 19. Jahrhundert, Duncker & Humblot, Berlin 20034 (I versione 1974), trad. it. Rappresentanza – Rappresentazione. Parola e concetto dall’antichità all’Ottocento, a cura di C. Tommasi, Giuffrè, Milano 2007, part. pp. 435 e ss.. 54 Chiarissima l'impostazione gierkiana espressa nel capitolo III dell'Althusius: «[Il concetto di sovranità] per quanto estraneo al primitivo pensiero medioevale, ha percorso durante il Medioevo le prime tappe del suo sviluppo storico» p. 121. 55 In particolare G. Duso, op cit., p. 66.

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verità con qualche incertezza che rischia di generare qualche equivoco, come un antesignano della concezione della moderna sovranità popolare 56 in virtù della sua costruzione dal basso delle varie consociazioni, a partire dalle famiglie, che naturaliter si evolvono sino allo Stato, definito da Althusius come comunità politica, consociatio pubblica: si tratta quindi di specie diverse dello stesso genere. Il consenso dei partecipanti è, perciò, causa efficiens della consociazione e la sovranità non viene mai alienata (ad un sovrano o ad un gruppo di ottimati) quanto piuttosto resta sempre nella piena disponibilità del popolo.

Sono stati così introdotti due elementi, quindi, che definiscono concettualmente l'orizzonte nel quale Althusius si muove e che non potevano non richiamare l'attenzione di Gierke: innanzitutto la consociazione e la questione della volontà.

Quanto al primo, la consociatio viene definita come modalità attraverso la quale gli uomini s'incontrano e realizzano la propria natura umana 57 . Il patto con il quale la consociazione si genera è in questo caso irrilevante o, perlomeno, secondario: esso può essere ''tacito o espresso'', perché definito e reso necessario dal bisogno che spinge gli uomini ad associarsi. In realtà su questo punto l'ambiguità con la quale Gierke valuta il testo althusiano desta non poche perplessità: tale consenso, se serve a definire l'originario diritto degli individui, dovrebbe essere non determinato – cioè, detto in altri termini, si potrebbe scegliere di non far parte della consociazione –, mentre Gierke sembra oscillare tra la 'naturalità' della corporazione – solo in essa l'uomo compie la sua vera natura, per cui il suo consenso non è l'elemento ultimo sul quale la consociatio si fonda – e, di contro, l'attestazione della volontà del singolo come elemento sostanziale e imprescindibile di fondazione del legame sociale. Si vedrà più avanti come Gierke pieghi la sua teoria a questo secondo aspetto, l'unico in grado di garantire l'ipotesi prospettata.

56 O. Gierke, Giovanni Althusius e e lo sviluppo storico delle teroie politiche giusnaturaliste, cit. «La caratteristica della sua opera [indicata dallo stesso Althusius] è lo svolgimento della sovranità popolare» p. 33. Per sovranità si deve intendere quella che superiorem non recognoscens: la differenza con Bodin risiederebbe, secondo Gierke, non in una diversa strutturazione qualitativa del concetto di sovranità (che risulterebbero dunque simili in entrambi gli autori) ma nel soggetto che la detiene, il popolo secondo Althusius, il principe secondo Bodin. È anche vero che Gierke ritiene che, nella concezione althusiana, il limite dello jus majestatis, definito come potestas praeminens et summa universalis disponendi de iis, quae universaliter ad salutem curamque animae et corporis membrorum Regni seu Reipublicae pertinent, sia da individuare nel potere divino. Ma questa affermazione non sembra capace di inquadrare correttamente il tema della sovranità althusiana nell'ambito della particolarità delle teorie medioevali e, coerentemente, di distinguerla dalla sovranità moderna, alla quale invece Gierke tenta di rifarsi. È, però, indicativa di un certo disagio nel chiarire pienamente la natura più autentica delle teorie althusiane. 57 Il senso di quest‟affermazione è chiaramente d‟influenza aristotelica. Gierke ne è consapevole ma, si vedrà, non trae da questo giudizio tutte le conseguenze quanto agli esiti della teoria di Althusius.

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Secondo elemento interessante riguarda il titolare del consenso o della volontà: dall'individuo alle consociazioni. In quest'ultimo caso bisogna precisare come la volontà della consociazione non vada interpretata come la semplice somma dei consensi o delle volontà individuali ma acquista per Gierke autonomia e autosufficienza (sulla base della teoria gierkiana della Genossenschaft). Ovvero: la volontà è quella del corpo sociale, della consociazione, del popolo da intendersi come realtà autenticamente esistenti, composte di individui ma strutturalmente non riducibili ad essi presi singolarmente. È la totalità (una totalità che non può mai ambire alla piena assolutezza, che dunque è sempre relativa, anche nel caso dello Stato) che acquista vita propria e che, dunque, si differenzia dalla massa caotica di individui.

Infine, questione mai citata ma sempre presente in tutta l'opera e che, almeno in parte, spiega l'interesse di Gierke, la provenienza tedesca di Althusius: in tal modo l'ambizioso progetto gierkiano trova un fondamento importantissimo. Ovvero ipotizzare una diversa linea di sviluppo delle teorie giusnaturaliste, una linea tipicamente tedesca, caratterizzata proprio dalle corporazioni che si sarebbe opposta a quella individualistica e assolutista francese58.

Il problema è nella contestualizzazione di alcuni concetti-chiavi operata da Gierke che non rimandano solo ad Althusius ma a tutta la modernità politica: il tema della volontà e del consenso è illuminante. Se è vero che Gierke, nella parte iniziale, aveva posto il tema del patto come non necessario perché quella stessa volontà era in parte sublimata e determinata dalla natura umana – si badi che questo sarebbe anche in linea con una certa tradizione aristotelica – in seguito Gierke chiarisce questo punto e lo capovolge. Per quanto tacito o espresso il consenso si rivela necessario per la costituzione della società e tutti i diritti dello Stato derivano, in ultima istanza, dal fatto che essi sono il prodotto di diritti

58 O. Gierke, Giovanni Althusius e lo sviluppo storico delle teorie politiche giusnaturaliste, cit. «Durante il secolo XVIII la dottrina politica giusnaturalistica […] si sviluppò in due direzioni opposte: la prima costituì il coronamento dell'idea centralistico-atomistica e approdò infine all'annientamento teorico di tutti i membri intermedi fra l'individuo sovrano e la totalità sovrana; la seconda invece ricavò dalla concezione individualistico -collettivistica il principio della libera associazione e intraprese con il suo aiuto una ricostruzione della struttura corporativa» p. 194. Su questo aspetto si sofferma anche Albert Jansenn: «Es geht ihm [Gierke] um den Nachweis, daß der „deutsche Geist“ die Entwicklung der politischen Ideen wesentlich beeinflußt hat; der fast vergessene und von ihm neu entdeckt Althusius ist dafür seiner Meinung nach der beste Beweis», A. Jansenn, Otto von Gierkes Methode der geschichtlichen Rechtswissenschaft: Studien zu den Wegen und Formen seines juristischen Denkens, Göttingen Dissertation 1974, p. 35.

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individuali liberamente ceduti e messi in comune59. In questo modo Althusius non solo potrebbe essere considerato come il vero 'padre' dei moderni diritti degli individui, ma anticiperebbe Hobbes nell'aver interpretato correttamente la natura del medioevo, nel quale l'ordine del mondo secolare era tutt'uno con l'ordinamento divino e, dunque, posto al di fuori delle possibilità umane di modificarlo, e annunciato l'avvento della modernità, la quale, persa ogni fiducia ed ogni fondamento in un ordine extramondano, necessitava di un pieno razionale e deducibile per costituire l'obbligo e le istituzioni giuridiche. Da questa volontà originaria, come detto, sarebbe possibile fondare, in un movimento ascendente, le varie consociazioni le quali, compenetrandosi, darebbero vita ad una concezione pienamente corporativa dello Stato e della sovranità, che, come si vede, non sparisce come concetto ma dovrebbe cambiare natura perché anche essa non sarebbe absoluta ma dovrebbe rispettare i diritti particolari di ciascuna associazione inferiore.

A questa particolare forma assunta dalla sovranità farebbe da contraltare quella che si sviluppa a partire da un assorbimento della corporazione nel concetto romanistico di universitas, che presuppone le associazioni solo come unità fittizie e non reali, cui lo Stato attribuisce diritti e privilegi. Nel primo caso, dunque, la sovranità piena ed esclusiva resterebbe sempre al popolo, da intendersi però come massa di individui che, per poterla esercitare, dovrebbe svilupparsi pienamente come Volk, ovvero strutturarsi nelle sue corporazioni fino a dar vita a quella suprema, lo Stato; nel secondo è lo Stato, detentore della sovranità, a cederla, secondo la propria volontà, a corpi intermedi.

È ora chiaro come la teoria dei corpi abbia l'ambizione, nell'opera gierkiana, di definire una critica della moderna sovranità politica fondata sull'idea che la sua strutturazione o articolazione organica possa regolarne gli appetiti assolutistici. Detto in altri termini: la forma della sovranità althusiana permetterebbe di definire una critica allo sviluppo della sovranità in senso assolutista e di prevedere, normativamente, una sua

59 O. Gierke, Giovanni Althusius e lo sviluppo storico delle teorie politiche giusnaturaliste, cit. «Questo fondamentale principio individualistico è da lui temperato solo con l'ammettere che lo Stato derivi dall'individuo i suoi potere non direttamente, bensì attraverso una serie di membri intermedi insopprimibili» p. 93. Inoltre, più avanti, Gierke sottolinea come la grandezza di Althusius consista proprio nell'aver determinato, a partire da una concezione esclusivamente privatistica, il concetto di contratto in base al quale «il popolo, in qualità di mandante, conferiva ad un supremo mandatario l'amministrazione dei diritti che esso non poteva esercitare direttamente, e un diritto alla 'negotiorum gestio' indipendentemente nell'ambito dei poteri di cui il mandatario era investito» Ivi, p. 125. L'obiettivo è ovviamente rendere il contratto, determinato sulla base di un consenso, revocabile in caso di 'mancato adempimento' perché mai la collettività potrebbe «aver contemplato una totale alienazione della propria libertà» Ivi, p. 127.

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piena regolazione, senza dover, quindi, radicalizzare la critica sino a mettere pienamente in discussione il concetto stesso di sovranità60.

Il primo punto da chiarire è se questa impostazione possa essere, perlomeno in parte, rivelarsi una soddisfacente rappresentazione della teoria di Althusius. Si tratterà, poi, di capire quanto alcune considerazioni siano efficaci nell'analisi della modernità politica.

I concetti di cui ci si può servire per verificare al meglio la teoria di Gierke sono quelli di libertà, volontà e sovranità. La modernità politica si serve dell'unione dei primi due, ovverossia una volontà pienamente libera, per fondare una nuova concezione della sovranità o del potere modernamente inteso. Svanito ogni fondamento di origine divina, il gesto hobbesiano, di autentica rottura con la tradizione precedente, definisce un istante dal quale tutto ha origine e in base al quale poter dividere la storia umana in un prima e un poi. Non importa storicizzare questo momento, collocarlo cioè chiaramente nello scorrere della storia, davvero importante è che tramite esso sia possibile fondare una storia: prima di quel momento c'è solo uno stato di natura, non decifrabile perché composto solo da individui isolati e in continua lotta fra loro, non c'è, dunque, propriamente storia.

Questa lotta o meglio, come dirà Foucault, la paura di una lotta permanente e, soprattutto, di una morte violenta, è alla base di un'uscita da questa condizione 'naturale' verso quella civile. La modernità «sorge da un conflitto» che intende esorcizzare e neutralizzare: il prezzo di questo risultato è la potenza assoluta del Leviatano, mentre la naturale politicità di Althusius si esprime «in una situazione di prima creazione, in cui non

è ipotizzato il conflitto tra gli uomini»61. Perché in Althusius resta insuperabile quella piena naturalezza politica dell'uomo che ne determina l'evoluzione e lo incammina verso la strutturazione delle consociazioni.

60 Il punto è, ovviamente, controverso. Occorre però segnalare che la sovranità althusiana non può essere scissa da quella idea del mondo aristotelica nella quale si definiscono i limiti della sovranità stessa. È stato scritto che l'anarchia che viene condannata da Althusius (nella Disputatio del 1602) è da intendersi non «nella mancanza di un potere che crei ordine» come nel caso della modernità ma va riferita alla « […] mancanza appunto di arché, di guida di coordinamento, e dunque di ordine tra le parti del corpo politico», cfr. G. Duso, Op. cit., pp. 80-81. Il corpo come tale non può essere oggetto di trasformazioni o di modificazioni, perché esso è strutturato in sé: al massimo può scomparire nel senso letterale della morte per consumazione. La forza del diritto è quella che vivifica l'organismo e ne consente un'armonica divisione dei compiti fra le parti. 61 G. Duso, Op. cit., pp. 75-76.

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In Hobbes, dunque, ma si potrebbe generalizzare per tutta gli autori successivi, lo stato di natura costituisce una sorta di ipotesi scientifica, di struttura trascendentale, con la quale fondare, su base razionale, l'obbligazione giuridica e la dimensione statale. Come si vede, gli unici protagonisti di questa fase sono gli individui, i singoli che però decidono di uscire da questa condizione di eterna paura per una morte violenta. La differenza con

Althusius è già evidente: il popolo ancora non esiste, esso è mera somma di individui, non ha personalità, non ha 'corpo'. Ed è invece proprio quella materialità attribuita al Volk che permette al giurista di Emden di attivare un processo di immediata attribuzione del singolo alle varie consociazioni (un percorso naturale) e di fare del popolo un soggetto che non solo esiste naturalmente ma è anche politico.

L'idea, espressa da Gierke in modo per la verità confuso, secondo la quale il libero arbitrio prevale sul bisogno va necessariamente chiarita. Perché è evidente che anche la modernità deve fare i conti con la natura della volontà sulla quale si definisce il contratto e che la paura di una morta violenta struttura l'argomentazione hobbesiana in termini non meno deterministici che quella tipica dell'etica classica. È altrettanto evidente, però, che

Gierke tenta una strada senza uscita: perché non contesta e non problematizza la natura libera della scelta, ma la colloca già nel pensiero althusiano, dove però, come detto, questa libertà è del tutto soffocata non tanto da un’impostazione determinista – ovvero: è il bisogno di socialità che spinge l'uomo verso la consociazione – quanto piuttosto da una teologica e cosmologica in base alla quale l'uomo è naturalmente immesso in un sistema di relazioni che non può contestare o peggio ribaltare62.

62 O. Gierke, Giovanni Althusius e lo sviluppo storico delle teorie politiche giusnaturalistiche, cit., p. 98: «Con perfetto accordo essi trasferivano il fondamento giuridico dello Stato completamente ed esclusivamente nel ''consensus'' che costituiva la sostanza di quel contratto, da essi concepito come una dichiarazione di volontà giuridicamente libera e perciò vincolante, nonostante la necessità intrinseca od estrinseca in certo modo la presupponeva». Qui l'ambiguità di Gierke sulla natura del consenso viene fuori manifestamente. Con maggiore precisione, però, si tratta, più che ambiguità, dell'incapacità di problematizzare fino in fondo la natura della volontà e le conseguenze che questa natura determina. Si tratta, cioè, di definire se e in che modo questa volontà sia del tutto libera o meno, ovvero se quella di confluire in una consociazione sia frutto di una scelta del tutto libera (come tale anche non esperibile dall'individuo che deciderebbe così di restarne ai margini), sia una scelta in parte predeterminata (come nel caso di Hobbes che pone a suo fondamento la paura per la morte violenta, e come a tratti Gierke sembra protendere: «Il bisogno genera l'unione», p. 36) oppure sia in sé preformata dalla natura umana che verrebbe a completarsi, aristotelicamente, proprio nelle associazioni. Come è evidente la questione investe direttamente il contenuto del pensiero althusiano e della recezione di Gierke. Sulla connessione tra l'etica classica e l'obbligazione giuridica moderna, anche nel senso di una rivalutazione della distanza tra queste due prospettive, in favore di un‟ipotesi che, al contrario, sottolinei maggiormente le analogie quantomeno sulla libertà della volontà, si veda L. Milazzo, Dall'infelicità all'insicurezza. Etica classica e potere moderno, in Nuove frontiere della sicurezza, a cura di T. Greco, Giappichelli, Torino 2010.

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Ha scritto, a questo proposito e rivolgendosi allo stesso Gierke, parole chiarissime

Hasso Hofmann: «Va insomma evidenziato il fatto che la coerente negazione del dominio patrimoniale (e soprattutto dell’autocrazia principesca) non equivale già in sé ad asserire la sovranità del popolo, sul presupposto di una libera comunità di cittadini giuridicamente uguali. Nella Politica althusiana il ‚populus‛ si struttura gradualmente, dal basso verso l’alto, per tramite e nella forma delle consociazioni. Ma queste ultime, consentendo agli uomini di sviluppare compiutamente la propria natura socievole, non sono associazioni libere, aperte e spontanee (quali compariranno solo nella più tarda società di classe).

Trattasi piuttosto di unioni simbiotiche, a carattere corporativo e prevalentemente chiuso, ossia di ordinamenti giuridici parziali, cetuali, esclusivi, nonché dotati di autonomia, di forza coercitiva all’interno e di un proprio potere di sanzione. L’affermazione di Gierke secondo il quale Althusius, con la propria dottrina del patto sociale, ‚riduce tutto il diritto pubblico e diritto privato‛ pare perciò quantomeno equivoca»63.

Ecco come la fondazione del potere e della sovranità si rivela non più conciliabile, dopo Hobbes, con la precedente tradizione, compreso Althusius. Il Leviatano, infatti, costruito sulla base dell'ipotesi sopra descritta si rivela una macchina che tutto fagocita: i singoli cedono il potere ed è 'rappresentandosi' questo potere che gli individui danno vita allo Stato il quale assume una forza irresistibile e che non conosce eguali. In questo senso il

'corpo' dello Stato hobbesiano è del tutto 'vuoto': la neutralizzazione politica e giuridica dello spazio all'interno dei confini statuali è una delle conseguenze principali della moderna statualità.

V. Pur senza sottovalutare i limiti sin qui evidenziati dell'analisi gierkiana sullo sviluppo dei principali concetti della modernità politica e senza ridimensionare il fallimento quanto al tentativo di attribuire ad Althusius un ruolo che egli non avrebbe mai potuto avere, si può affermare che Gierke, d'altro canto, colga la natura che rende, una volta venute meno ogni istanza teologica, gli individui e, in particolare, la loro volontà il termine ultimo – ed esclusivo – sul quale fondare l'obbligazione giuridica. Una modernità

63 H. Hofmann, Rappresentanza – Rappresentazione. Parola e concetto dall’antichità all’Ottocento, cit., p. 445.

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assunta in una linea di sviluppo omogeneo, che, come detto, tramite la negazione di politicità e giuridicità diretta dei corpi intermedi tiene insieme Hobbes, Rousseau e Kant.

L'ipotesi dalla quale avviare una rilettura alternativa deve, agli occhi del giurista di

Stettin, necessariamente affrontare il cuore della tradizione giuspolitica moderna, rovesciando il paradigma individualista e, dunque, modificando il concetto stesso di individuo, evitando di dedurre direttamente dalla sua volontà l'obbligazione giuridica e lo

Stato stesso.

Formulata questa tesi e prima di svilupparla compiutamente, appare opportuno precisare chiaramente la distanza da alcune linee interpretative della Genossenschaftslehre di

Gierke. Molti sono stati i critici che ne hanno sottolineato l'aspetto conservatore, reazionario o, nel migliore dei casi, nostalgico di un tempo ormai superato. Su questa impostazione può essere collocato anche Norberto Bobbio il quale, riferendosi al pluralismo, ha scritto: «Per pluralismo degli antichi intendo quello che di fronte allo Stato accentratore e livellatore, riesuma il vecchio Stato di ceti o di ordini, che la Rivoluzione francese aveva dato per morto, e la società industriale avanzante ha reso sempre più anacronistico: tale fu certamente la dottrina dei ''corpi sociali'' che Gierke aveva dissotterrato dall'antico diritto germanico; *<+»64. Il giudizio è netto: la teoria di Gierke costituirebbe un corpo estraneo, 'anacronistico', nello sviluppo del liberalismo ottocentesco.

Compie una valutazione più problematica, invece, Ernst-Wolfgang Böckenförde il quale afferma che Gierke, insieme al liberalismo organico, «*<+ non ha riconosciuto la Società civile come tale *<+»65, che per la sua teoria «è decisivo il carattere pre-capitalistico ed anti- individualistico del pensiero 'tedesco' del Diritto e dello Stato, la conservazione dell'eredità contadino-comunitaria contro la struttura emancipativa della Società industriale» 66 .

Sebbene «questa posizione doveva per forza di cose portare a conseguenze pluralistiche e democratiche»67, con l'alleanza di Bismarck con i nazional-liberali e lo sviluppo della società economica liberale, Gierke si dimostrò «''arrivato-troppo-tardi'', tagliato fuori dal corso della storia»68. Il giudizio di Böckenförde è dunque molto più variegato anche se, a ben guardare, muove dal medesimo presupposto di Bobbio: Gierke sarebbe un nostalgico

64 Cfr voce Pluralismo, in Dizionario di Politica, diretto da Norberto Bobbio, Nicola Matteucci, Gianfranco Pasquino, Utet, Torino 1990 in particolare p. 790. 65 E.-W. Böckenförde, Op. cit., p. 188. 66 Ibidem. 67 Ivi, p. 189. 68 Ibidem.

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della vecchia società per ceti e solo uno scherzo della Storia permetterebbe la possibilità di rendere quella stessa teoria antiquata come capace di svilupparsi in senso pluralista e liberale. La stessa contingenza storica impedirebbe a Gierke di interloquire davvero con il suo tempo, visto che la costruzione della società tedesca sarebbe stata condotta, perlomeno sino al 1890, in modo autoritario dall'azione di Bismarck, rifiutando un modello di mediazione consociativa degli interessi.

Queste interpretazioni appaiano quantomeno riduttive69. A titolo esemplificativo si può fare riferimento alla valutazione dell'opera gierkiana di Michael Stolleis, che appare indiscutibilmente più critica e attenta a coglierne specificità ed elementi di modernità:

«Negli anni dopo il 1866, decisivi per il Liberalismo, il diritto consociativo di Gierke costituiva un appello politico a non accettare la riduzione ad un liberalismo economico e ad opporsi nel diritto dello Stato al risultato unilaterale della dimensione del dominio. Erano opzioni per lo Stato costituzionale, per i diritti fondamentali, per una monarchia, di certo d'ispirazione romantica nel senso di una visione germanica, ma allo stesso tempo orientata socialmente in senso moderno, nel profondo una posizione '''consociativa'', che restava ferma a prima del XIX secolo, doveva condurre nello sviluppo successivo del secolo ad un pluralismo consociativo»70.

Esattamente a partire da questa impostazione, si tenterà di ora dimostrare come il tentativo gierkiano si proponga di rileggere alcuni concetti chiave della modernità attraverso un impianto che non è di pura nostalgia di un'epoca passata ma di autentico confronto con gli sviluppi delle teorie individualistiche; ovvero che Gierke s'iscrive non per caso o per i capricci della Storia nello sviluppo in senso organicista del liberalismo e che le sue ipotesi vanno anche nel senso di una 'impalcatura' costituzionale e istituzionale capace di vivificare la dialettica propria delle Genossenschaften tra individuo e vita collettiva.

69 Per un‟interpretazione che superi una lettura puramente reazionaria di Gierke, si può fare riferimento a molti interventi. Aveva espresso dubbi su un‟interpretazione esclusivamente nostalgica della Genossenschaftslehre Maurizio Fioravanti in Id, Giuristi e costituzione nell'Ottocento giuridico tedesco, cit. pp. 328 e ss.. Importanza decisiva ha il saggio di Gerard Dilcher, Genossenschaftstheorie und Sozialrecht: ein «Juristensozialismus» Otto v. Giekes?, in ''Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno'', nn. 3-4, 1975-75, pp. 319-365 dove a p. 342 si legge come Gierke abbia tentato di ancorare i principi della democrazia e del liberalismo nella condizione del compromesso costituzionale. Importante è anche il contributo di Albert Janssen, Otto von Gierkes Sozialer Eigentumsbegriff, in ''Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno'', nn. 5-6, 1976- 77, pp 549-585. Rilevante è anche il contributo di Sandro Mezzadra, Il corpo dello Stato. Aspetti giuspubblicistici della Genossenschaftslehre di Otto von Gierke, in ''Filosofia Politica'', n. 3 dicembre 1993, pp. 445-476. 70 M. Stolleis, Geschichte des öffentlichen Rechts in Deutschland, C.H. Beck, München 1992, p.361.

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Innanzitutto nella Genossenschaftslehre l'individuo è pensato non più come monade autonoma ma sempre e comunque in una stretta – e necessaria – connessione con il

Gemeinleben, che ne rappresenta il principio vitale, da intendersi in senso aristotelico pienamente come una causa efficiente: «Noi ci sentiamo come un Io in se stesso conchiuso, ma ci sentiamo anche parte di una totalità vivente che agisce in noi. Se volessimo ignorare la nostra appartenenza a un determinato popolo e Stato, ad una comunità religiosa e ad una Chiesa, ad una categoria professionale, ad una famiglia e a diverse associazioni e corporazioni, allora finiremmo per non riconoscere più noi stessi nel povero resto che ne rimarrebbe»71. Se quindi, nella tradizione moderna, l'individuo dotato di una volontà più o meno libera, era il punto di partenza dell'intera riflessione politico-giuridica, liberata da elementi teologici e extra mondani, Gierke sceglie la strada di considerare l'uomo all'interno dei rapporti sociali nei quali è calato e a privilegiarne l'aspetto comunitario, il naturale tendere verso vite associative, piuttosto che una concettualizzazione astratta priva di qualsiasi fondamento storico72. Questa impostazione ha anche rilevantissime ricadute metodologiche quanto all'analisi che la Rechtswissenschaft deve compiere dei presupposti sociali e storici per elaborare efficaci proposte di riforma degli istituti giuridici classici.

Come detto, lo Stato, nella modernità classica, nasce da un patto che permette il passaggio da uno Stato di natura – la cui realtà storica è trascurabile visto che rileva in modo particolare come ipotesi logica – a uno civile, che segna l'uscita dell'uomo da una condizione ferina a quella che ne garantisce quantomeno la sopravvivenza. Prima di questo momento, dunque, non esiste nulla ovvero uno stato nel quale gli uomini non possono avere certezze di nulla, se non della propria forza e basarsi esclusivamente su di essa per conservare quanto hanno e , sopra ogni cosa, la vita.

In tal senso la ragione che spinge al patto riveste una necessità di primo piano nelle moderne teorie perché assicura una 'non rinviabilità' dell'evento fondativo dello Stato, che

71 O. Gierke, La natura delle associazioni umane, cit., p. 46. 72 Ivi, p. 45: «[...] Gli individui vengono determinati, rientrando le loro prestazioni nel contesto sociale, da influenze psichiche e spirituali che derivano dalla loro unione. Noi vediamo, è vero, come singoli individui eccezionali intervengano creativamente e trasformino la società per mezzo di qualcosa di assolutamente particolare che deriva solo da loro. Ma un tale successo ha luogo solamente qualora la comunità collabori perlomeno passivamente, facendo proprio quel carattere individuale che le proviene dall'esterno». Intervento straordinariamente moderno che segnala limiti oggettivi posti all'intervento umano ed esplicita chiaramente la determinazione della volontà umana solo nell'ambito della formazione sociale nella quale essa è inserita.

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diventa così un essere razionalmente fondato e, allo stesso tempo, necessario e non sostituibile.

Quando Gierke, perciò, scrive: «[...] Le teorie del contratto sociale facevano dello

Stato un prodotto della volontà del popolo, ma ponevano come sempre lo Stato come qualcosa di diverso dal popolo»73, intuisce esattamente come la modernità sia segnata dalla subordinazione della nozione di popolo al concetto di Stato: è lo Stato che infonde vita, che rappresenta il popolo, e non viceversa, perché il popolo non è soggetto politico ma semplice somma di individui, massa di atomi che conservano la propria individualità e che tendono ad una vita collettiva solo attraverso lo Stato. Logica conseguenza di questa impostazione è anche la scomparsa di ogni corpo intermedio – da qui, nuovamente, l'immagine di un corpo ''vuoto''74. Ricondurre ogni realtà al concetto di Stato75 definisce la critica con la quale Gierke si scaglia contro la forza 'assorbente' del moderno Leviatano: si tratta, nello specifico della pretesa dello Stato di rendere pensabili esclusivamente come concessioni dell'autorità statale ogni facoltà propria delle consociazioni, negandone così ogni velleità autonomistica. La critica al contrattualismo è, quindi, una critica consapevole a due distinte e complementari riduzioni: la critica alla concezione dell'individuo come atomo indipendente immerso in un 'pulviscolo' di altre singolarità, fra loro indipendenti e autonome (prima riduzione); la pretesa di una derivazione meccanicista dello Stato dalla volontà dell'individuo (seconda riduzione).

Questa impostazione si fa strada lungo tutta la modernità: «La trasformazione della idea di dominio [Herrschaftsidee] nell'idea di una autorità statale si impone nelle città e nei territori tedeschi già nel XV secolo»76 ma si realizza pienamente con la rivoluzione francese.

73 DdGR I, p. 649. 74 DdGR I, p. 645: «[Es gibt] außer dem Staat nur Individuen […]». 75 DdGR I, p. 644: «[Die Obrigkeit] sucht erstens alle öffentliche Bedeutung der Gemeinden und Genossenschaften durch den Staatsbegriff aufzufangen, zweitens Alles, was diesen Verbänden an eigner Bedeutung verbleibt, auf den Begriff einer staatlich verliehenen Vermögensfähigkeit zu reduciren. Alle Körperschaften sollen daher, so weit sie öffentlichrechtlicher Natur sind, als Staatstheile gelten, sei es nun als Abtheilungen des Staatsgebiets oder der Unterthanen, als Verwaltungsbesitze oder Staatsanstalten». 76 DdGR I, p. 650. Una delle ragioni di progressiva erosione della natura consociativa è da individuare, a detta di Gierke, nell'attività dei giuristi e dei tribunali. I romanisti, infatti, utilizzarono l'impianto pubblicistico del Corpus iuris, nel senso di un'attribuzione ai signori territoriali tedeschi di diritti e facoltà riconosciuti dai romani solo all'imperatore. Questa impostazione romanista si fonderà successivamente con le teorie del diritto naturale: «Das Naturrecht verbündete sich ferner mit dem römischen Recht zur Zerstörung der organischen und socialen Elemente, welche das germanische Recht in reicher Fülle auch auf privatrechtlichem Gebiet als Bande und Schranke der Individualbefugnisse ausgestaltet hatte» O. Gierke, Naturrecht und deutsches Recht, Rede zum Antritt des Rektorats der Universität Breslau, Literarische Anstalt Rütten & Loening, Frankfurt a/M. 1883 ora

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Da qui discendono importanti ricadute: «Lo sviluppo dell'idea autoritativa di Stato in

Germania contenne la negazione principale di tutti gli elementi consociativi

[genossenschaftlichen] dello Stato» 77 . Il rilievo è centrale perché definisce una nuova immissione di elementi 'stranieri' all'interno di una specificità, non solo teorica ma realmente storica, tedesca. Occorre adesso necessariamente meglio precisare questa specificità. Essa si sostanzia nell'apertura a nuove categorie, ovvero nella capacità della scienza giuridica di uscire fuori dal riduzionismo moderno Stato-individuo e di concepire, all'interno di una tensione dialettica che rende impossibile qualsiasi precipitazione di un elemento sull'altro, una pluralità di concetti specificamente nella loro formulazione giuridica: accanto allo Stato, dunque c'è il diritto, il popolo e quella naturale propensione umana allo sviluppo di collettività segnate dal combinato del principio consociativo e del principio di autorità. Questi elementi, dunque, non vanno pensati come gerarchicamente ordinati o all'interno di un sistema che fa di alcuni di essi i prodotti diretti dell'azione degli altri. Si tratta invece di pensare la Storia come animata da elementi originari fra di loro connessi in modo vario e mutevole a seconda di tempi e circostanze e a partire dalla tensione par excellence quella tra Einheit e Freiheit.

Ecco perché, nuovamente, è necessario che la scienza giuridica tenga presente la dimensione storica e sociale per meglio analizzare i rapporti tra questi elementi, a partire dall'eccedenza che il diritto assume sullo Stato: «È possibile che in un determinato popolo e in un determinato tempo lo Stato si assuma tutte o molte delle funzioni della vita comune: ma proprio nelle culture elevate e soprattutto nel mondo moderno gli ambiti non politici dell'esistenza sociale umana trovano espressione in particolari strutture dell'esistenza, che non coincidono con l'organizzazione statale»78. È, quindi, chiaro come l’articolazione della

anche in Aufsätze und kleinere Monographien, cit. vol. I, p. 30 [400] 77 DdGR I, p. 801 e continua: «Deshalb entsprach der positive Entfaltung des neuen Systems der Verwaltung, Gesetzgebung und Rechtsprechung zugleich die Beseitigung der Teilnahme landständischer Genossenschaften am Staatswesen». Si avrà modo di affrontare la questione se e in che termini la teoria di Gierke costituisca una vera novità del panorama giuridico tedesco o, piuttosto, un romantico guardare al passato, alla società per ceti, ad una sorta di età dell'oro nella quale ogni conflitto trovava la sua naturale composizione. Qui è importante segnalare come Gierke comunque sottolinei il valore positivo anche della linea di sviluppo 'francese': «[...] begann mit dem sogenannten aufgeklärten Despotismus die bewusste Wirksamkeit des Staates für die den Absolutismus ergänzende Emancipation der Individuen, für die Nivellirung der Stände, für die Gleichheit Aller vor dem Gesetz» p. 651. È evidente, quindi, la necessaria complementarità dei due principi e la irriducibile presenza di entrambi nelle forme storiche delle esperienze collettive umane. 78 O. Gierke, Die Grundbegriffe des Staatsrechts und die neuesten Staatsrechtstheorien, cit., p. 99. In realtà su questi temi Gierke tornerà costantemente nel corso della propria vita. Si può fare riferimento, ad esempio, ad uno scritto del 1915: O. Gierke, Das Recht und das Krieg, Beiträge zur Erläuterung des deutschen Rechts, 59, 1915, pp. 3-27 ora anche in O. Gierke, Aufsätze und kleinere

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vita comune non coincide, necessariamente, con la compagine statale, piuttosto il

Gemeinleben si presenta come articolazione consociativa di gruppi e realtà diverse, anche se lo sviluppo storico dell’idea di Stato ha determinato una sempre maggiore cessione di competenze dal comune allo Stato stesso, fino quasi a giungere ad una perfetta identificazione dei due ambiti. A questo punto, la soluzione che individua Gierke è rappresentata dalla rilevanza che le consociazioni possono avere all’interno della statualità moderna, rispondendo così ad una precisa questione costituzionale. Alla modernità del rapporto individuo-Stato, Gierke contrappone un’impostazione che privilegia la pluralità dei gruppi e la loro piena integrazione nella articolazione della macchina statale.

VI. È dunque lecito parlare di una pluralità di elementi nella dottrina gierkiana – accanto agli individui, hanno un'autonoma esistenza proprio le forme di vita collettive e comuni –, tutti ordinati fra loro in un rapporto che è sia gerarchico che funzionale: si tratta di una precisa scelta nel senso di un sistema si definisce attraverso la tensione dialettica, potenzialmente anche conflittuale, tra questi elementi. Il recupero di Hegel nell'opera gierkiana non avviene, dunque, esclusivamente sulla base di una ripresa dell'unione «del pensiero nazional-politico-costituzionalistico con quello evolutivo-storico-socialteorico»79, quanto, più profondamente, nella costituzione dialettica del giuridico, nei termini di struttura di articolazione della totalità, irriducibile ad una impostazione di tipo meccanicistico, in base alla quale la norma sarebbe perfettamente deducibile da una serie di premesse fondanti l'obbligazione.

Monographien, cit., II vol., pp. 945-969. Si tratta di un testo interessante dove viene affrontato, nuovamente, il problema della natura di diritto e Stato, come elementi necessari l‟uno dell‟altro ma non riducibili ad un rapporto di creatore e creatura. «Allein irrig ist auch die heute verbreitetere Vorstellung, daß das Recht ein Geschöpf des Staates sei. Ganz abgesehn davon, daß ein Gewohnheitsrecht und autonomische Satzung gibt, kann auch der machtvolle Staat, mag er sich ein noch so weit erstrecktes Rechtsmonopol beilegen, aus sich heraus nicht das hervorbringen, was den Wesenskern des Rechtes bildet und ihm seine innere Macht verschafft. Die eigentliche Substanz des Rechtes ist die kundgemachte Überzeugung der Gemeinschaft der Rechtsgenossen von dem, was die gerechte Abgrenzung der Willensbereich erfordert, also eine Vernunftaussage. […] Das Rechtsbewußtsein aber kann der Staat nicht schaffen; er findet es vor» p. 5 [p.947]. 79 Il riferimento va a E.W. Böckenförde, Op. cit., p. 190, il quale lamenta nella critica gierkiana la totale assenza di attenzione e problematizzazione dell'influenza di Hegel sul giurista di Stettin. Lo stesso Böckenförde, però, limita considerevolmente natura e consistenza di tale rilievo.

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Gli individui, pur dotati di una propria esistenza come singoli, partecipano sempre a una comunità, nella quale essi si completano e si perfezionano. La comunità rende l’individuo un soggetto storico: ostile all’equiparazione, anch’essa romanista, degli uomini come persone fisiche e della loro mera qualificazione come individui giuridicamente uguali,

Gierke utilizza qui le consociazioni per procedere ad un’analisi degli interessi di cui quegli individui sono portatori (le consociazioni, ad esempio, sono prevalentemente economiche: quella degli operai, quella per tutelare i piccoli proprietari,<). La partecipazione a una comunità non esaurisce la dimensione sociale del singolo individuo: la tensione alla socialità non può mai dirsi pienamente raggiunta ma si definisce in una costante – e storicamente determinata – articolazione di comunità. La loro organizzazione è del tutto libera: non a caso qui Gierke vede la nascita del principio moderno di libertà di associazione, proprio come portato dialettico del combinato di due principi, quello di unità che caratterizzava i vecchi ceti, e quello di libertà che nasce e si sviluppa con la modernità e la centralità che essa assegna all'individuo. Viene così definito, pertanto, un contesto diverso dai vecchi ceti medioevali, nel quale la natura sociale dell'uomo si lega ad un principio dinamico grazie al quale, in ultima istanza, sono gli uomini stessi che producono queste comunità sulla base di interessi e necessità specifiche.

Tuttavia, è bene precisarlo ulteriormente perché si tratta di una specificazione importante destinata ad avere importanti ripercussioni, la libertà dei singoli è costantemente temprata dal principio contrario della Einheit: ovvero le formazioni sociali devono comunque tendere a rafforzare ulteriormente la coesione sociale interna al sistema e non possono porsi come soggetti ad esso ostile80. La dimensione etica attribuita alla salvezza della Gesamtheit rappresenta la cifra del limite della Freiheit individuale e collettiva.

Il diritto, dunque, si manifesta in Gierke come strumento di costituzione e regolamentazione delle comunità, che producono diritto nella misura in cui sono in grado di disciplinare la propria organizzazione in modo del tutto autonomo. Anzi, è proprio qui che s’individua il compito più importante e decisivo di tutto il diritto: «Tutta la costruzione sistematica del diritto, la forma e il contenuto dei principali concetti giuridici e la soluzione

80 Sulla necessaria priorità dell'organismo sociale sulle parti, è lo stesso Gierke a indicare una possibile lettura: O. Gierke, Der Entwurf eines Bürgerlichen Gesetzbuchs und das deutsche Recht, Duncker & Humblot, Leipzig 1889 «[...] erst muss man leben, bevor man daran gehen kann, das Leben zu gestalten und mit würdigem Inhalt zu erfüllen» p. 5.

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di numerosi problemi particolari di carattere pratico dipendono dalla costruzione della personalità associativa»81. Questa sequenza di comunità, però, lungi dal porre un modello pienamente fluido vede nello Stato la comunità massima, che va posto sotto il genere delle altre Genossenschaften – quindi rispetto ad esse qualitativamente simile – ma è quantitativamente diverso proprio perché sovrano e, come tale, principio ordinatore di tutte le altre.

Gierke non tenta nemmeno la strada del superamento o dell'aggiramento del concetto di sovranità, prova anzi a concepirlo come termine ultimo, di chiusura, di un sistema che, pur essendo dinamico e dialettico, concepisce sempre e solo lo Stato come momento conclusivo di questo movimento ascendente dagli individui verso forme sempre più complesse di comunità. C'è dunque un primo importante elemento di cui occorre tener presente.

La dimensione 'pubblicistica' delle Genossenschaften e il loro rapporto con il diritto non rende la dottrina gierkiana una anticipazione del successivo sviluppo istituzionalista, francese e italiano. Bisogna sempre tener presente che le Genossenschaften realizzano la propria natura – esattamente come gli individui – all'interno e solo all'interno di una generalità più grande. È dunque lo Stato che assegna loro senso e prospettiva: nascono come soggetti che sublimano interessi individuali ed esprimono un interesse collettivo, da mediare in quello comune, e non come rappresentanti di un interesse da contrapporre, meccanicamente e in modo conflittuale, agli altri. Eppure alcune frasi di Gierke potrebbero indurre in errore: «Due sono i motivi che costringono la giurisprudenza ad occuparsi della natura delle comunità umane. Da una parte il diritto è una componente della vita comunitaria. La giurisprudenza non può perciò trattare dell'origine del diritto, senza rifarsi alla comunità che lo ha prodotto; essa deve rispondere alla domanda che immediatamente si pone, se cioè solo lo Stato possa creare il diritto, o se non lo possa fare invece anche un'associazione diversa, sotto forma di statuto autonomo, oppure anche una comunità non organizzata, sotto forma di diritto consuetudinario. *<+ Se ho detto prima che il diritto è una componente della vita comunitaria, devo ora aggiungere che l'ordinamento della vita comunitaria è una componente del diritto. *<+ Il problema della natura delle associazioni

81 O. Gierke, La natura delle associazioni umane, cit., p. 49.

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non è perciò più, a questo punto, per la giurisprudenza solo problema preliminare ma problema centrale»82.

Indubbiamente queste affermazioni possono ingenerare qualche equivoco, nel senso di una lettura della teoria di Gierke come un vero e proprio pluralismo giuridico ante litteram, a partire dall'idea cioè che le Genossenschaften si pongano come soggetti autonomi nel senso di una loro capacità a produrre diritto per lo Stato ma, anche, potenzialmente contro di esso. In realtà, invece, se si recupera pienamente l'immagine del corpo, questa possibilità può essere esclusa facilmente. Gierke ritiene che le Genossenschaften abbiano una propria capacità di ordinamento nel senso che esse sono in grado di gestire in modo libero la propria costituzione e la propria 'vita' ma non possono mai ambire a superare lo Stato, del quale rappresentano, invece, uno strumento di articolazione più efficiente. Il problema, cioè, è che la configurazione gierkiana del principio consociativo deve tener presente il fatto che esso è connesso da un lato alla naturale attitudine dell'uomo alla strutturazione di comunità – è, cioè, un elemento caratteristico dell'uomo – e solo successivamente si pone come principio costituente delle comunità stesse83. Detto in altri termini: proprio in virtù di quella dimensione dialettica che informa la teoria giuridica di Gierke, l'autonomia – così come la 'realtà' – dei corpi sociali non va interpretata nel senso di una loro capacità di creare diritto – il che significherebbe una riduzione del diritto a strumento del corpo stesso o quantomeno una loro identificazione – quanto piuttosto essa esprime la loro appartenenza a un 'tutto' che li sovrasta ma è, allo stesso tempo, vivificato dalla loro presenza. Si tratta, cioè, di una teoria che tenta di escludere la riconducibilità del diritto a un unico principio e che, invece, considera la giuridicità proprio come dialettica tra

82 Ivi, pp 30-31. Ancor più chiaramente sul ruolo 'produttivo' delle Genossenschaft: «Zur Rechtserzeugung befähigt ist jede organische Gemeinschaft. […] vor Allem der Staat als organisierte Gemeinschaft; aber auch die Kirche, die Gemeinde, jede Genossenschaft» O. Gierke, Deutsches Privatrecht, I, cit., pp. 119-120. 83 Esprime valutazioni tese a dimostrare una influenza di Gierke su Santi Romano, Maximilien Fuchs in La «Genossenschaftstheorie» di Otto von Gierke come fonte primaria della teoria generale del diritto di Santi Romano, in Materiali per una storia della cultura giuridica, n., 19, pp. 65-80. Il primo a cogliere in Gierke il punto di partenza per uno sviluppo in senso pluralista fu Carl Schimtt, cfr., ad esempio, Staatsethik und pluralistischer Staat, in Kant Studien, XXXV, 1930, p. 28, altri riferimenti nel corso della ricerca. Ma il giudizio complessivo di Schmitt su Gierke è, comunque, molto più complesso, generalmente negativo: ecco perché sembra fozato ricondurlo tra i precursori della proposta di Fuchs. Esclude chiaramente, invece, una rivendicazione autonomistica contro lo Stato, Francesco Riccobono, in Id, Soggetto, persone, diritti, Terzo Millennio edizioni, Napoli 1999. In questa direzione anche Lewis: «To regard Gierke as a “pluralist” is obviously quite erroneous in view of the dominant role he assigns to the state and to the state law. The pluralist elements of his theory are always carefully balanced by the organic and authoritarian» J. D. Lewis, The Genossenschaft- Theory of Otto von Gierke – A Study in political Thought, cit., p. 91.

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momenti diversi, compenetrabili e non eliminabili, una dialettica che è però eticamente orientata alla stabilità del sistema. Il riferimento, ancora una volta, più che all'istituzionalismo va a quel tipico sviluppo tedesco di metà Ottocento che, muovendo da

Hegel, tentava di uscire dalla fondazione ultima della giuridicità – e della stessa politica – esclusivamente sulla base della volontà individuale, attraverso un metodo razionale e meccanicistico.

Il paragrafo 61 del primo volume dei Das deutsche Genossenschaftsrecht precisa anche gli elementi consociativi presenti nella moderna idea di Stato: si tratta di una serie di aspetti che diventeranno tipici della dottrina dello Stato di Gierke, tanto da poter essere individuati in momenti assai diversi della sua produzione84. È questo il punto conclusivo della costruzione teorica di Gierke, ovvero nella ripresa di elementi consociativi nello Stato costituzionale, assunto a termine conclusivo dell'evoluzione della dialettica tra Einheit e

Freiheit.

A questo punto è possibile precisare meglio senso e portata di alcuni concetti proposti da Gierke. Innanzitutto il concetto di diritto85. Esso, nella sua funzione primaria, definisce e struttura il principio consociativo: il diritto è la strutturazione, storicamente determinata, dei rapporti che gli uomini stabiliscono fra di loro. Il diritto nasce da questa dimensione sociale degli uomini ed essendo essa una caratteristica innata e necessaria dell'umanità, si può affermare che il diritto coesista con gli uomini dalla notte dei tempi.

«L'ultima fonte di tutto il diritto resta piuttosto la coscienza comune di una esistenza sociale»86 e, nello stesso intervento poche righe prima Gierke ha chiarito: «L'essenza del diritto consiste nel fatto che approvi [bejaht] e limiti il potere esterno della volontà all'interno

84 Si può procedere ad un confronto con l'intervento del 1919 e alle proposte che in quella sede Gierke formulò, cfr. infra cap. I. 85 La domanda è posta dallo stesso Otto Gierke: «Wo steckt sein [des Rechts] wesentlicher Kern: in seinem unentrinnbaren und mit zwingender Macht ausgerüsteten Befehl, oder in seinem praktischen Nutzen, oder in seinem inneren Vernunftgehalt? Was ist das Primäre in seinem Begriff: die Ordnung oder die Freiheit, – das objektive Gesetz, von dem alle Rechte nur Reflexe sind, oder die subjektiven Rechtssphären, welche das Gesetz nur einhegt und sichert? Und was ist des Rechtes letzter Zweck: ist es ein bloser Diener der Sittlichkeit, oder soll es vor allem Interessen schützen, Interessen des Gesellschaft wie der Einzelnen, oder ist es vielleicht insofern sich selbst Zweck, als es die specifische Idee des Gerechten in gleich souveräner Weise zu verkörpern hat, wie die Kunst die Idee des Schönen und die Wissenschaft die Idee des Wahren?» O. Gierke, Naturrecht und deutsches Recht, cit, p. 6 [376]. 86 O. Gierke, Die Grundbegriffe des Staatsrechts und die neuesten Staatsrechtstheorien, cit., p. 103.

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della comunità umana. Appena una maggioranza di volontà si dirige verso la realizzazione, ha bisogno di un simile ordinamento del diritto»87.

Gli individui, a loro volta, si organizzano in Genossenschaften, sebbene queste collettività siano sempre tentate da una riorganizzazione su base autoritaria, ovvero di un irrigidimento sulla base del principio di Herrschaft. Gli individui costituiscono il popolo che non è, alla maniera di Laband, esclusivamente l'oggetto del potere sovrano ma che, organizzatosi, si fa Stato88. Stato e popolo sono dunque identici: non nel senso che ''sono la stessa cosa'' ma che l'organizzazione consociativa del popolo permette la costituzione dello

Stato moderno tedesco. L'organizzazione per Genossenschaften del popolo si configura, cioè, come il 'corpo' dello Stato: il popolo stesso, in questo suo sviluppo, diventa soggetto attivo e decisivo della costituzione statale. Gierke chiarisce così in modo evidente una critica alla concezione assolutista e indica un modello costituzionale e rappresentativo89.

Chiarito dunque il rapporto tra Stato e popolo, Gierke specifica anche quello tra

Stato e diritto, autentica caratteristica dell'esperienza tedesca: «Si può così indicare la conciliazione della libertà del popolo e del potere sovrano [Herrschergewalt] come la caratteristica distintiva della riflessione germanista sullo Stato *<+» 90 . La natura consociativa dello Stato determina un’importante conseguente: esso non è nient'altro che una particolare forma associativa degli uomini. Anzi, non ha nulla di diverso, dal punto di vista qualitativo, dalle altre Genossenschaften. È un concetto questo su cui Gierke torna più volte ed è, ovviamente, centrale. «Come suprema generalità, lo Stato non ha sopra di sé alcun altra generalità. Esso è sovrano, perciò mentre tutte le altre associazioni [Verbände]

87 Ivi, p. 102. 88 «Das Wesen der modernen deutschen Staatsidee beruht somit in der Identität von Staat und Volk. Der Staat ist das organische Volk. Als Staat erlangen das Volk, welches als ein historisch gewordenes Einheitswesen in ganz bestimmter Gliederung im geistigen, sittlichen, wirtschaftlichen, ja selbst im physischen Leben zur Erscheinung kommt, auch rechtlich eine Gesammtpersönlichkeit» DdGR I, p. 830. 89 O. Gierke, Die Steinsche Städteordnung. Rede zur Feier des Geburstages seiner Majestät des Kaisers und Königs gehalten in der Aula der Königlichen Friedrich-Wilhelms-Univeristät zu Berlin am 27. Januar 1909, Universitäts-Buchdruckerei von Gustav Schade (Otto Francke), Berlin 1909 ora anche in Aufsätze und kleinere Monographien, cit. vol. II pp. 791-823: «So ist der anstaltliche Staat des absolutistischen Zeitalters in den genossenschaftlichen Staat der Gegenwart überführt […]. In ihm wird das Volk selbst Person. Seine Persönlichkeit ist immanente Gesamtpersönlichkeit. Sie lebt in allen Gliedern des großen Körpers. Sie heischt von ihnen alle Hingabe und pflichtgemäßen Dienst» p. 33 [821]. Sempre a tal proposito, si può fare riferimento alle penetranti considerazioni di G. Dilcher, Op. cit.: «Damit hat er den Schutz der Individualsphäre vor dem Zugriff des modernen Leviathan, also den Sachlichen Kern des Denkens in einem Begriffspaar Staat-Gesellschaft, in seine Staatstheorie aufgenommen und rechtlich abgesichert» p. 354 ma si veda anche anche pp. 357-358. 90 O. Gierke, Der germanische Staatsgedanke, cit., p. 8 [1070].

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sono determinate attraverso qualcosa di esterno ad esso e trovano all'esterno il proprio regolatore ultimo, esso si determina esclusivamente in base a se stesso e contiene in sé il proprio regolatore»91. Ancora «Lo Stato è la persona che realizza la suprema generalità

[höchste Allgemeinheit]. Si differenzia da tutte le altre persone associative [Verbandspersonen] nel fatto che, oltre lo Stato, non c'è nulla di simile. D'altro canto è solo l'ultimo membro nella serie di associazioni sviluppatesi in persone [der zu Personen entwickelten Verbände], mentre lo Stato incorpora rispetto agli individui la volontà comune in unità giuridica»92.

«La teoria organica considera lo Stato e le altre associazioni alla stregua di organismi sociali. Essa afferma cioè l'esistenza, oltre agli organismi particolari, di organismi collettivi di cui gli uomini sono componenti. In tal modo essa si limita a sussumere sotto un concetto generale fenomeni in cui riscontra caratteristiche comuni»93. «Lo Stato è solo il più importante fra gli organi della produzione del diritto»94 e prosegue «Lo Stato è infine certamente generalità ma in nessun modo, come insegna una teoria diffusa, semplicemente la generalità umana. È semplicemente uno tra gli organismi sociali dell'umanità e definisce il suo contenuto concettualmente essenziale esclusivamente un determinato ambito della vita comune»95.

L'ipotesi teorica dalla quale Gierke muove è la possibilità di concepire la sovranità solo come caratteristica 'quantitativa' dello Stato, grazie alla quale esso si differenzia dalle altre consociazioni. In questo modo, lo Stato stesso possiede una propria realtà, non derivata ma originaria – come nel caso delle costruzioni teoriche che muovono dalla fictio dello stato come persona – ma è inserito nello spazio del Körperschaftsrecht, il quale ne limita le pretese e permette che, sviluppando pienamente gli elementi consociativi, ovvero

91 DdGR I, p. 833. 92 DdGR II, p. 831. E prosegue: «Der Staatsbegriff ist daher zwar nicht der Gegensatz der Körperschaftsbegriffes, aber er ist weiter und enger als dieser. Er ist weiter, weil er nicht nur als höchste Steigerung des Körperschaftsbegriffes, sondern auch als höchste Steigerung des Anstaltsbegriffes zur Erscheinung kommen oder auch korporative und anstaltliche Momente in sich verschmelzen kann. Er ist aber andrerseits enger, weil die Körperschaftsbegriff eine Reihe weiterer Merkmale in sich ausnehmen muss, um zum Staatsbegriff zu werden» 93 O. Gierke, La natura delle associazioni umane, cit., p. 38. Corsivo aggiunto. 94 O. Gierke, Die Grundbegriffe des Staatsrechts und die neuesten Staatsrechtstheorien, cit., p. 31 e continua: «Auch andere organisirte Verbände erzeugen autonomisch Recht. Und ferner wird nicht alles Recht durch organisirte Gemeinschaftsgewalten ausgesprochen, sondern fort und fort vermögen die Volksgemeinschaft und alle anderen Gemeinschaftskreise unmittelbar und ohne Rücksicht auf ihre politische Organisation durch Bethätigung ihres Rechtsbewusstseins Recht zu erzeugen». 95 O. Gierke, Die Grundbegriffe des Staatsrechts und die neuesten Staatsrechtstheorien, cit., p. 99. Gierke insiste similmente sul rapporto tra Stato e diritto e sulla necessaria storicizzazione di questa relazione anche nel Deutsches Privatrecht: «Hieraus erwächst zugleich Herrschaft des Staates über das Recht und Herrschaft des Rechtes über den Staat, wobei sehr ungleichartige Gebietsabgrenzungen möglich sind» O. Gierke, Deutsches Privatrecht I, cit., p.118.

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tenendo conto dell'intero corpo statale, fatto di esistenze singole e collettive, Gierke possa qualificare lo Stato germanico come Rechtsstaat, Kulturstaat, Sozialstaat. «Lo Stato attuale è per noi Stato culturale [Kulturstaat] perché non si limita alla protezione giuridica, piuttosto tende al perfezionamento della comunità umana in ogni direzione; ma è anche Stato di diritto, perché non si pone al di fuori, ma entro il diritto e riconosce l'ordinamento giuridico, nel quale vede il prodotto di una riflessione nata con lui, volontariamente come norma e limite anche della sia volontà sovrana»96.

La ''forma'' entro la quale la sovranità si sviluppa – vale a dire una dimensione capace di conservare, senza annullarli, i due principi fondativi – serve a definire non solo la strutturazione dello Stato ma anche i suoi stessi limiti che, ovviamente, sono rappresentati proprio dalle altre Genossenschaften dalle quali la sovranità 'proviene' e si forma. In tal senso

Gierke nega l'esistenza di soggetti, siano essi individui o collettivi, pienamente sovrani, nel senso 'assolutistico': la sua proposta è, più che di pluralismo, di un autentico organicismo sociale, ovvero di una articolazione della realtà prodotta sulla base di uno schema precostituito, tenuta insieme dalla forza unificante del diritto e, soprattutto, dalla capacità dell'organismo nel suo complesso di realizzare interessi generali all'interno dei quali trovano soddisfazione anche quelli individuali97. Ecco perché non è un caso che, accanto a quelli che ne hanno sottolineato gli aspetti romantici e ‘conservatori, c’è anche chi ha visto in Gierke l’esponente classico del liberalismo di fine Ottocento98.

96 Ivi, p. 107. Preziose le indicazioni di Dilcher che precisano il senso e la portata dell'aggettivo kultural: «Sie [Die Tat der Begriff des Kultur] ist ihm [Gierke] aber nicht etwa eine literarisch-ästhetische Kategorie, sondern umfaßt die politisch-sozialen Werte, die er in der europäischen Entwicklung seit der Verbindung von Antike, Christentum und germanischem Staatsgedanken wirksam und angesammelt sieht: Es sind ihm dies vor allem die Werte individueller Freiheit, der Organisationsfähigkeit größerer staatlicher Einheiten, eine für die Schwachen in der Gesellschaft fühlende und tätige Sozialethik, verbunden mit dem Prinzip der Selbsthilfe und Selbstverwaltung.», G. Dilcher, Op. cit., pp. 364-365. 97 «Es gab keinen souveränen Staat und es gab kein souveränes Individuum. Der Staat blieb in den Einzelnen und in unzähligen gesellschaftlichen Gliederung stecken; er überließ das geistig-sittliche Gebiet der Kirche und das wirtschaftliche Leben der Genossenschaft. Das Individuum blieb in der Gemeinschaft beschlossen; in Familie und Körperschaft ging es mit seinem Sinnen und Trachten auf». O. Gierke, Die soziale Aufgabe des Privatrechts, cit., p. 6 [610]. In questo caso il riferimento di Gierke è alla dimensione originaria delle popolazioni germaniche ma esso si rivela comunque importante essendo centrale nel suo lavoro il tentativo di evidenziare, come più volte ricordato, una specificità tedesca dello sviluppo storico statale e, conseguentemente, delle dottrine dello Stato. 98 Nel senso di una visione liberale di Gierke e decisamente anti-assolutista, si orienta anche R. Höhn, Otto von Gierkes Staatslehre und unsere Zeit zugleich eine Auseinandersetzung mit dem Rechtssystem des 19. Jahrhunderts, Hanseatische Verlagsanstalt, Hamburg 1936 in particolare: «Mit solchem Gedankengängen bewegt sich Gierke in den Rechtsvorstellungen seiner Zeit, wonach das Recht die Aufgabe hat, die Macht des Staates zu beschränken. So kommt es ihm auch entscheidend darauf an, mit dem Begriff der Gesamtperson, die gleich der Einzelperson im Recht steht, die Stadt als

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Il realismo gierkiano, quindi, consiste nel non poter e nel non voler predeterminare la configurazione che assumerà l’articolazione finale delle Genossenschaften ma di lasciare all’azione dei due principi dialettici e delle forze storiche, nelle quali trova spazio anche la libertà degli uomini, la determinazione della forma che essa acquisterà, diventando suprema generalità. In tal senso il ruolo della scienza giuridica non è più meramente ricognitivo ma finalizzato a interpretare l’azione delle forze sociali e a favorire lo sviluppo e l’armonia delle e tra le consociazioni sino alla loro articolazione universale, perché è proprio il diritto lo strumento con il quale le comunità si organizzano, in un processo costante di composizione e scomposizione che non è predeterminato, ovvero è aperto agli esiti più diversi, ma sottostà sempre alle regole della storia.

Il Rechtsstaat si definisce all'interno del diritto e in tal senso va pensata anche la sua prerogativa di sovranità. Intanto perché: «*<+ nella misura in cui lo Stato coincide con un'altra sfera di vita di un individuo, di una generalità piccola o di un suo membro, esso è legato al diritto, mentre viceversa il diritto pubblico, e cioè il diritto che regola i rapporti tra lo Stato come generalità e le generalità più strette o i singoli cittadini come membri di una generalità più ampia e così definisce l'organismo statale, è vincolato attraverso lo Stato»99 e ancora poche righe dopo: «L'affermazione ''salus publica suprema lex est'' nello Stato di diritto si capovolge: il bene pubblico è certamente il contenuto positivo dell'attività statale, ma la legge indica i confini di quanto lontano il perseguimento del bene pubblico possa procedere contro il bene particolare»100. In questo modo Gierke ritiene di essere giunto alla costituzione di uno Stato di diritto che sia organicamente limitato nelle sue pretese e che proceda verso diverse e migliori composizioni della dialettica fra i principi sin qui contrapposti. Effettivamente, per quanti limiti sia possibile individuare all'interno di questa teoria, non se ne può negare una certa distanza, in chiave maggiormente liberale, rispetto

Rechtsstaat zu kennzeichnen» p. 26 e «Die Korporation und die Mitgliedschaft in der Korporation werden dazu benutzt um dem liberalen Bürgertum gegen die absolute Staatsgewalt zum Siege zu verhelfen. Hatte einst der Absolutismus die Korporation überwunden, so soll jetzt die Korporation den Absolutismus überwinden helfen» p. 45. Höhn definisce, quindi, il sistema gierkiano come strumento per giustificare e legittimare il moderno stato costituzionale: « [Gierke] bezeichnet den konstitutionelle Staat unbedenklich als einen genossenschaftlichen Staat» p. 47. Analogo giudizio è espresso anche nell'altra opera di Höhn dedicata a Gierke, Otto von Gierke, Deutsche Rechts- und Wirtschaftswissenschaft Verlag, Berlin 1936: «So wird die Vorstellung vom Staat als Persönlichkeit zum juristisch-dogmatischen Ausdruck für den Kampf des Bürgertums gegen den souveränen Fürsten. An diese Lage war der Begriff der juristischen Staatspersönlichkeit gebunden» p. 8. Il giudizio di Höhn appare, però, interessato ad una lettura orientata a rendere incompatibile il pensiero di Gierke con la Rechtserneuerung nazionalsocialista e va, pertanto, contestualizzata proprio in quel dibattito, per il quale si rinvia al IV capitolo di questa ricerca. 99 DdGR I, p. 831. 100 Ibidem.

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all'impostazione della scienza giuridica dominante. Perché non si tratta solo di un’indicazione di carattere meramente programmatico, quasi una 'formula magica' che debba inverarsi autonomamente: Gierke individua con chiarezza i soggetti istituzionali chiamati a dare un seguito a queste prescrizioni.

«[Quando] il diritto diventa inadeguato per le necessità dello Stato, deve essere modificato sulla base della disciplina costituzionale attraverso gli organi che producono diritto. [Quando] il diritto diventa dubbio o controverso, anche in questo caso gli organi giurisdizionali, i tribunali, devono chiarire cosa è diritto. Occorre un’amministrazione della giustizia nel diritto pubblico e, nell’esigenza di protezione giudiziaria del diritto pubblico, pressoché ovunque fallita attraverso esclusivamente la legge positiva, culmina l'idea dello

Stato di diritto» 101 Questa indicazione, pur nei limiti evidenti dell'impostazione complessiva, segnala un'indubbia dimensione dinamica del sistema giuridico e soprattutto rende pienamente 'costituzionale' questa dinamicità nel senso di un’attribuzione ai

Tribunali di una funzione chiaramente creativa nel senso di una connessione tra il 'bene pubblico' e il contenuto delle disposizioni giuridiche. Da ultimo, l'articolazione gerarchica delle Genossenschaften vuole proporsi come criterio di democrazia, non solo formale, ma sostanziale, assicurando ai singoli individui una collocazione chiara nell'organismo sociale e, ovviamente, anche le tutele e i benefici che da questa collocazione derivano: proprio l'analisi di questi benefici, che rispondono a precisi interessi individuali e sociali, permette al sistema di evolvere.

Oltre ai tribunali, che allargano il livello dello Staatsoberhaupt, le Genossenschaften assicurano un’estensione reale della partecipazione del popolo, che va oltre la classica impostazione della rappresentanza di tipo parlamentare (come luogo che esprime la volontà della nazione). Esse, infatti, richiamano la necessità di integrare nel governo della

Allgemeinheit le forze che oggi si chiamerebbero sociali e che preludono ad una organizzazione federale nel senso di una democrazia rappresentativa anche per funzioni e per interessi. Gierke immagina, dunque, una vera istituzionalizzazione delle forze vive del tessuto economico e sociale: le associazioni dei lavoratori non servono solo a tutelare i propri membri, quanto piuttosto a farsi portavoce, più efficacemente che nella classica rappresentanza dei 'cittadini', delle istanze concrete di interessi provenienti da realtà vive del corpo della società. Realtà che nella seconda metà dell’Ottocento erano ormai forze

101 DdGR I, p. 832.

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concrete, che rischiavano di cedere a sirene antisistema (socialiste) e che, pertanto, non andavano sottovalutate ma, anzi, pienamente integrate a livello istituzionale e costituzionale. Ovviamente, questa integrazione non è in Gierke conseguentemente sviluppata: per lo più le consociazioni restano luoghi di mediazione prevalentemente economica e non ambiscono a sostituirsi, in nessun modo, alla forma della rappresentanza classica.

Senza voler forzare eccessivamente il pensiero di Gierke, sembra però essere chiaro al giurista di Stettin il tema della problematizzazione relativa al fine ultimo dello Stato e al soggetto, o alla pluralità di soggetti, chiamato a definirlo. Se, infatti, con lo sviluppo del II

Reich si assisteva alla concentrazione di questa sovranità nello Staatsoberhaupt, Gierke fa invece esplicito riferimento ad una pluralità di soggetti che inevitabilmente conferisce al sistema nel suo complesso una tensione interna, 'costituzionale', fra vari soggetti istituzionali. Una tensione che innerva interamente il corpo dello Stato, sia dal basso verso l'alto – tramite la pluralità di Consociazioni chiamate a interpretare e manifestare i bisogni dei cittadini concretamente individuati – che 'orizzontalmente', ovvero tra specifici soggetti istituzionali.

Infine, l’esito, per così dire necessario, della Storia si materializza proprio nel moderno Stato costituzionale come regolatore sommo dei principi dialettici sin qui affrontati 102 : anche perché il moderno capitalismo si presenta come l'interprete più autentico del movimento moderno di atomizzazione e individualizzazione. La critica di

Gierke si rivolge, quindi, alla propria società e a quella specifica forma economica che più di ogni altro processo può condurre alla definitiva scomposizione della società, attraverso il conflitto – mortale – tra interessi privati non temprati da nessuna forza, da nessun interesse, da nessun valore superiore.

Inteso in questo modo, il gesto teorico di Gierke appare attualissimo in quel secondo Reich che si stava avviando a far parte delle grandi potenze mondiali. Se indubbiamente resta sullo sfondo una certa idea della totalità che Gierke aveva

102 «Der repräsentative Verfassungsstaat selbst ist somit weder eine reine Genossenschaft, wie der älteste Patriarchalstaat, noch eine reine Herrschaft, wie der Lehnsstaat, noch ein rein genossenschaftliches Gemeinwesen, wie die mittelalterliche Stadt, noch ein aus einer selbständigen Herrschaft und einer selbständigen Genossenschaft zusammengesetztes Doppelwesen, wie der landesherrliche Staat der Neuzeit: sondern er ist ein die genossenschaftliche Spitze (die Monarchie) organisch, d.h. Nicht als Summe, sondern als eine lebendige Einheit verbindendes Gemeinwesen.» DdGR I, p.833.

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indubbiamente elaborato studiando la natura storica e giuridica del medioevo, è altrettanto importante sottolineare lo sforzo di una dottrina che riesce ad interloquire con il proprio tempo, che non rimpiange una mitica 'età dell'oro', ma che sa invece proporsi come scienza giuridica che aiuti e consolidi il processo di unificazione nazionale, che eviti uno scollamento delle masse dallo Stato, attratte dalle sirene del socialismo e del comunismo, senza però dover necessariamente accentuare la loro presenza nel parlamento, che cementifichi la compattezza del Reich e lo trasformi nel protagonista della Weltpolitik. A ben guardare, le critiche da rivolgere a Gierke sono di tutt'altra natura.

VII. Non si può negare che l'operazione di Gierke sia ambiziosa nel suo impianto complessivo – una rilettura storica dell'intero sviluppo tedesco per enucleare la dialettica tra Einheit e Freiheit propria dello spirito germanico e verificarne l’impatto sulle manifestazioni ed esperienze giuridiche – quanto si riveli, in definitiva, come un'opera incompiuta o, più gravemente, segnata da insanabili contraddizioni. Si è detto dell’inadeguatezza di una valutazione di Gierke come un nostalgico o, nel migliore dei casi, un romantico avulso dal suo tempo: la proposta gierkiana è invece, come si è tentato di dimostrare, perfettamente dentro la discussione giuridica di fine Ottocento, con indubbi elementi di modernità. Ma la valutazione complessiva della sua opera non può fermarsi qui.

Non è il caso di sottolineare come Gierke non potrebbe mai superare la prova kelseniana della purezza e autonomia della scienza giuridica. Non è però problema da affrontare: Gierke è ovviamente figlio del suo tempo e va valutato esattamente dalla prospettiva della scienza giuridica di fine Ottocento e di inizio Novecento. Bisogna verificare, cioè, se sia rimasto coerente con le premesse dalle quali ha iniziato il suo percorso e se la costruzione teorica proposta sia omogenea, ovvero non precluda a esiti diversi da quelli inizialmente prospettati.

Indubbiamente affascinante è l'ipotesi di un’eccedenza del diritto rispetto allo Stato, dalla quale discenderebbe la necessaria compenetrazione di entrambi i termini. Questa è una delle ragioni per cui non si può considerare Gierke come un nostalgico, interessato ad

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una riproposizione della feudalità o della cetualità. Egli ha, invece, proposto come tema di una nuova fondazione della scienza giuridica il tentativo di tenere insieme gli individui, intesi come monadi dotate di una propria volontà, con le formazioni collettive e con il prodotto proprio della modernità, lo Stato. Individui che sono, così, debitamente storicizzati insieme alle formazioni sociali a cui danno vita. E la strada scelta è quella di evitare una connessione meccanicistica tra la volontà individuale e lo Stato finendo così per produrre una scissione tra i due soggetti e fondando un comando che, legittimato dal basso tramite il patto originario, acquisterebbe esclusivamente la dimensione di disciplina imposta dal vertice verso il basso. Tant'è vero che lo Stato è il popolo organizzato e solo nel popolo gli individui non sono atomi indistinti ma completano la propria natura. All'interno di questo schema le consociazioni hanno proprio il compito di articolare la vita pubblica e sociale: la politica, dunque, non si riduce alla volontà di un soggetto, sia esso individuale o collettivo, ma è la mediazione concreta degli interessi e delle forze in campo che, proprio tramite le Genossenschaften, non nascono come elementi egoistici – dal cui conflitto potrebbe perire l'intero organismo sociale – ma come mediati verso l'interesse generale, termine ultimo della costruzione gierkiana.

Dunque la 'complessità', intesa come sistema istituzionale plurale e articolato in parti interconnesse, va riferita ad una critica della rappresentanza alla francese e alla promozione di corpi intermedi come fattori di arricchimento della vita politica e, soprattutto, di coesione sociale ma anche, più radicalmente, come la critica ad un sistema politico che pretenda di essere interamente deducibile in modo 'artificiale' a partire dal concetto di individuo, salvo poi rovesciare su questi atomi indistinti la forza onnipotente del Leviatano.

La principale preoccupazione di Gierke è che lo schema meccanicistico, prima ancora che sbagliato, possa non funzionare perché privo di una certa capacità di adattamento agli sviluppi storici e sociali: l'idea che il comando sovrano segua semplicemente una dimensione verticale, dall'alto verso il basso, rischia di non tener presente i fermenti e la vitalità che attraversano il sociale e di minarne la coesione. Così lo

Stato rischia di diventare un corpo morto, il popolo comincia a dividersi, l'amalgama che tiene tutto insieme a corrompersi e l'edificio complessivo a franare. Ecco perché Gierke aumenta i fattori della propria dottrina del diritto e dello Stato e li lega fra loro: così facendo la scienza giuridica non è più mera attività di deduzione logica, o ancora

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traduzione giuridica del volere politico, quanto piuttosto essa deve interpretare e favorire le diverse articolazioni che le tensioni fra gli elementi assumono. Il giurista si fa storico, sociologo, economista: perché determinati da concrete forze in campo sono quelle tensioni.

«La collettività delle persone adesso definisce, però, il corpo dello Stato non come una somma di atomi sotto di se inseriti piuttosto, come si ripete nel maggior numero di corpi, in una determinata struttura giuridica statale. Questa struttura non manca in alcun Stato ma può essere formata molto diversamente»103. È quella diversità che va studiata, analizzata e compresa al fine di una sua giuridificazione: ed è questa attenzione una caratteristica importante della metodologia adottata da Gierke.

In realtà, però, la definizione di diritto non dice nulla sui suoi reali risvolti pratici.

Se lo Stato, per realizzarsi, presuppone il diritto, occorre necessariamente che esso sia maggiormente chiarito nella sua natura più profonda. Pensarlo come una sorta di dialettica fra principi, per di più orientato alla stabilità del sistema, non aiuta a sviluppare il senso di un'affermazione che ambisca a fondare una teoria generale. È anche vero che a più riprese

Gierke richiama il ruolo di organi istituzionali e l'attività delle consociazioni, che dovrebbero riempire la vita pubblica dello Stato moderno: così facendo il giurista di Stettin immagina un’indubbia complessità di questa vita e s'inserisce in una tradizione liberale seppur di tipo organicistico104.

Ma allora, pur teorizzando questa eccedenza dei corpi sociali rispetto allo Stato, il vero limite è stato quello di aver pensato proprio lo Stato come il termine ultimo, l'espressione sovrana che tutto contiene. E questo è un limite che, se non nel metodo di lavoro proposto almeno quanto agli sviluppi ultimi della teoria, rischia di rovesciare del tutto l'impostazione del giurista di Stettin.

103 O. Gierke, Die Grundbegriffe des Staatsrecht, cit., p. 119. 104 Intuisce questa caratteristica di Gierke e la colloca in una derivazione del liberalismo hegeliano Paolo Becchi in Id., Il tutto e le parti. Organicismo e liberalismo in Hegel, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1994, particolarmente p. 192. Gerhard Dilcher ha parlato, a proposito di Gierke, di un ''socialismo giuridico'', come responsabilità per lo Stato e per il diritto per lo sviluppo della società e non una semplice assunzione del modello liberale di divisione di Stato e società. La definizione può essere accolta e non entra in contraddizione con quanto esposto in questo capitolo soprattutto se tiene in considerazione che lo stesso Dilcher precisi il proprio giudizio ricordando come lo stesso cancelliere Bismarck, nella sua polemica contro i liberali, potesse definire come Sozialismus la propria politica sociale, cfr. G. Dilcher, Op. cit., p. 325 particolarmente la nota 22. In questo modo, la definizione proposta da Dilcher sembra fare riferimento, più che ad una qualificazione positiva – socialista – del contributo di Gierke ad una sua caratterizzazione negativa – ovvero come critica ad alcuni aspetti del liberalismo classico e 'dominante'.

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Lo Stato, infatti, altro non è, per Gierke, se non una particolare forma di Gemeinleben fra tante: si definisce esclusivamente come la specie la più 'grande' del medesimo genere; la sovranità, il concetto fondante della modernità, diventa, ma solo ad una valutazione superficiale e ingenuamente, una caratteristica semplicemente quantitativa. Ovvero, in base all’idea di una sostanziale identità di genere dello Stato con le altre Genossenschaften, esso si sviluppa come la consociazione più potente, ma è, a sua volta, imbrigliato in una rete di rapporti rispetto alla quale la propria potestas per quanto piena non sarebbe mai del tutto absoluta.

Compare, quindi, l’idea di uno sviluppo del diritto orientato al Gemeinwesen, concetto particolarmente complesso, perché esso non incarna solo un’idea (il bene comune) ma anche la completa realizzazione istituzionale di tale idea. Mentre nel concetto latino di respublica, la res è solo una realtà inanimata e publica fa riferimento più al pubblico

[Öffentliche] che al comune [Gemein], il termine tedesco Gemeinwesen, che si sviluppa a partire dall’evoluzione delle città, indica das Seiende, Lebendige und seine Immanenz in einer

Gemeinschaft105.

«Lo Stato, superiore a tutti per il suo potere assoluto sovrano, pretende per sé un diritto di grado superiore, e lascia partecipare in certa misura dei vantaggi del diritto pubblico solo quelle comunità, che esso giudica quali istituzioni pubbliche»106. Ancor più chiaramente: «Il diritto pubblico non è altro che l'ordinamento esistente di un’unità complessiva [Gesammteinheit] superiore [rispetto alle parti che la compongono] con un autonomo scopo di vita. Esso, invece di servire l'idea superiore del Comune immortale

[Gemeinwesen], si degrada a mezzo per gli scopi richiusi nell’esistenza, siano essi di tutti o della maggioranza, così cade la grandezza [Hoheit] ottenuta a fatica dello Stato!» 107 .

Compare nuovamente la sovranità intesa nel modo più assoluto e 'assorbente': non si può

105 DdGR II, p. 820. Questi aspetti sono stati sottolineati anche da G. Gurwitsch che individua proprio nella realtà del Gemeinwesen l‟idea del diritto, cfr. G. Gurwitsch, Otto von Gierke als Rechtsphilosoph, in Logos, 11, 1922-23, pp. 86-132, in questo caso p. 96. Ancor più interessante è il riferimento a p. 103: «[…] die Konstruktion eines neuen Begriffes des Ganzen, in dem die Einheit und Vielheit sich gegenseitig bedingen und begründen. Ein Ganzes dieser Art bezeichnet Gerke gerade durch den Terminus „Organismus“, und dieses ist der weitere, speziellere Sinn des Organischen bei Gierke, neben dem allgemeineren, vorhin auseinandergesetzten». 106 O. Gierke, La natura delle associazioni umane, cit. pp. 53-54. 107 O. Gierke, Die soziale Aufgabe des Privatrechts, cit., p. 9 [613]. Bisogna tener presente che qui Gierke si riferisce a una possibile degenerazione: quando, cioè, il diritto pubblico non serve più il Gemeinwesen ma scopi particolari, fossero anche quelli di una maggioranza o, addirittura, quelli di tutti i consociati, a ulteriore dimostrazione della impossibilità di identificare il tutto con la mera somma delle parti che lo costituiscono.

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liquidare così, senza minimamente contestualizzarlo, il concetto che più di tutti: «*<+ rappresenta dunque l'elemento centrale della definizione moderna dello Stato *<+ articolandosi in riferimento agli aspetti e alle vicende fondamentali della storia delle istituzioni statali»108.

La sovranità, anche e soprattutto nella teoria gierkiana, cela il collante con il quale le consociazioni si tengono insieme109. Non si tratta soltanto della più grande fra tutte, ma della consociazione che permette a tutte le altre di poter esistere: le Genossenschaften, infatti, nascono e si sviluppano solo come articolazioni di una generalità più grande, che conferisce loro senso ed esistenza. Lo aveva notato Kelsen quando intravedeva e denunciava nella teoria organica un pericoloso sviluppo in senso etico110. E questo è, in effetti, un problema non aggirabile che non chiama in causa la purezza del metodo ma, più chiaramente, la struttura complessiva che tiene insieme le Genossenschaften. Gierke, dunque, rende esattamente la sovranità il concetto grazie al quale lo Stato si differenza da tutte le altre consociazioni: tutte sono, infatti, comprese in una totalità più grande mentre lo

Stato rappresenta il termine ultimo di questa evoluzione e al di fuori di esso non c'è nulla.

108 Cfr. Voce ''Sovranità'' a cura di A. Negri in Enciclopedia Feltrinelli Fischer, Scienze Politiche – Stato e politica, Feltrinelli Editore, Milano 1970, p. 433. Per una visione alternativa, cfr. voce ''Sovranità'' a cura di N. Matteucci in Dizionario di politica, cit., pp. 1079-1088. 109 Questa presenza della categoria della sovranità nell‟opera di Gierke è anche al centro della valutazione di Lewis che, correttamente, sottolinea i limiti dell‟impianto gierkiano e la sua sostanziale modernità, in termini di politica del diritto, esclusivamente nel II Reich: «Like Burke, Gierke was very willing to criticize and was very attentive to idea to reform; but, like Burke, he could tolerate no criticism of fundamental institutions. The institution of the monarchy was one of these fundamentals; Prussian dominance in the Reich, historically proven to be necessary, was another; state sovereignty was a third; and, whatever havoc they might raise with his dogmatic system still they had to be included» cfr. J. D. Lewis, The Genossenschaft-Theory of Otto von Gierke – A Study in political Thought, cit., p. pp. 20-21. 110 Cfr. H. Kelsen, General Theory of Law and State, Harvard University Press, Cambridge 1945, trad. it. Teoria generale del diritto e dello Stato, a cura di S. Cotta e G. Treves, Edizioni di Comunità, Milano 1952: «In questa teoria la sociologia dello Stato assume la forma di biologia sociale. Una tale biologia potrebbe venir senz'altro respinta come assurda, se non fosse per l'importanza politica che riveste. Il vero scopo della teoria organica, scopo di cui molti dei suoi sostenitori non sembrano consapevoli, non è affatto di spiegare scientificamente il fenomeno dello Stato, ma di assicurare il valore dell'istituto dello Stato come tale, o di un qualche Stato in particolare; di confermare l'autorità degli organi dello Stato e di accrescere l'obbedienza dei cittadini» p. 190. E anche Georg Gurwitsch aveva rimarcato l'esistenza di una incongruenza nella teoria gierkiana, evidente nel rapporto tra una visione etica dell'organismo sociale e una teoria realista delle Genossenschaften: «Die vorbehaltlose Anwendung des ethischen Begriffes des geistig-sittlichen Organismus auf die Lösung der Frage vom Rechtswesen des sozialrechtlichen Subjekts muß ohne weitere Analyse ernste Bedenken erregen, und jedenfalls ist hier eine gewisse Lücke in Gierkes Ausführungen zu konstatieren, soweit sie, trotz aller Wesensverwandtschaft, den Unterschied zwischen der Kategorie des geistig-sittlichen Organismus, als rein ethischem Begriffe, und der Genossenschaft, als Denkform des Rechtlichen Ganzen der sozialrechtlichen Gesamtperson, unbestimmt lassen. Diese Lücke hat sicherlich um vieles die allgemeine Unklarheit der Gierkeschen Verbandstheorie vermehrt» G. Gurwitsch, Otto von Gierke als Rechtsphilosoph, cit. p. 122.

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La dialettica e la dinamicità previste nella Gesamtheit sono inevitabilmente schiacciate da questa potente e assoluta qualità dello Stato111.

Il rischio è di una teoria che, pur contenendo indubbi elementi di modernità che si è tentato di sottolineare e, anzi, pur tentando una strada alternativa a quella del liberalismo dominante, evitando e combattendo i movimenti radicali del socialismo e del comunismo, non faccia altro che appiattirsi sulla nozione di Stato e su quella di interesse generale.

Ovvero di ridursi ad una impostazione che esclude del tutto il conflitto sociale e che, anzi, lo esorcizza completamente perché le uniche forme di mediazione sociale sono quelle istituzionalmente previste: al di fuori delle quali non si produce più alcun compromesso perché chi va oltre quei limiti si pone al di là della comunità civile, attenta alla tenuta del sistema, diventa e va trattato come un soggetto pericolosamente eversivo. Solo una società pacificata – in ogni modo – può poi attivare quelle connessioni tra gruppi che costituiscono l'amalgama per cementare ulteriormente il corpo complessivo, che altro non è se non lo

Stato: ovvero una società strutturalmente unitaria, plurale al suo interno ma priva di autentici conflitti che ne mettessero in discussione la solidità112.

Un esito possibile è che, proprio nell'ambito della dialettica tra Einheit e Freiheit, questa debba sempre soccombere rispetto a quella perché l'unità definisce l'ambito teorico, lo spazio nel quale la libertà è pensabile e può realizzarsi. Non a caso Gierke intende il suo sistema come migliore rispetto a quelli di stampo individualista perché questi sono incapaci a fondare il diritto di uccidere il singolo e l'obbligo morale di quest'ultimo di sacrificarsi per lo Stato113 . Ecco che il Gemeinleben si propone non più soltanto come articolazione istituzionale ma come una vera eccedenza etica che sovrasta gli individui e ne completa la natura. L'unità chiarisce l'unica condizione possibile nella quale può avvenire il temperamento degli interessi e degli scopi: solo chiarendo che non tutti i bisogni possono essere soddisfatti e che la condizione perché essi siano considerati degni di tutela è la loro

111 Per una valutazione della sovranità in Gierke alternativa a quella proposta in questa sede, si può fare riferimento a S. Mogi, Otto von Gierke, His political teaching and jurisprudence, cit.: «Against the hierarchy of sovereign authority his organic theory is useful in order to justify the theoretical value of the lower forms of association or corporation in the state» p. 261. 112 Su questo punto efficacissima e sempre attuale la nota critica di Hans Kelsen: «Non è necessario essere marxisti per considerare come un fantasma, di fronte ai profondi contrasti di classe, che dividono il popolo statalmente organizzato, che forma giuridicamente un'unità, una volontà collettiva che unifichi l'intero popolo» cfr. H. Kelsen, Tra scienza del diritto e sociologia, Guida, Napoli 1974, p. 55. 113 È forse efficace in questo caso l‟immagine di una transizione dal Gierke più giovane, contrario alla pena di morte, a quello della maturità, favorevole. Cfr. infra cap. I, par. V.

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compatibilità con i bisogni e gli interessi complessivi del sistema, esso potrà sopravvivere e assicurare a tutti una vita dignitosa, seppur minima (ma pensata e teorizzata come la migliore delle condizioni possibili!).

Ed allora, proprio sulla base di quel principio, la dinamicità che aveva animato la prima parte di questa impostazione potrebbe trasformarsi pericolosamente in un movimento molto moderno di disciplinamento sociale114 a più livelli, non solo verticale, dall'alto verso il basso, ma all'interno di ciascuna consociazione, che finirebbero per educare i propri membri alla compatibilità con gli interessi del supremo Gemeinleben, a moderarne i bisogni e le aspettative piuttosto che favorirne la partecipazione alla vita dello

Stato.

Ovviamente si tratta di un rischio, qui volutamente estremizzato, che non va assunto come una conclusione necessaria della teoria di Gierke, per quanto alcune sue espressioni retoriche, autorizzano una riflessione in tal senso e hanno evidentemente influito negli anni successivi sullo sviluppo di teorie giuridiche dichiaratamente conservatrici. D’altro canto alcune espressioni permettono di pensare che un esito di questo tipo non fosse del tutto estraneo al suo autore: senza voler ricorrere a testi dell'ultimo

Gierke, influenzati dal clima della guerra prima e della sconfitta tedesca poi, nel suo intervento più famoso di inizio secolo questa interpretazione si fa in più parti ricorrente115.

114 Senza attribuire a questo estratto gierkiano un peso eccessivo, non si può non restare preoccupati di fronte ad una affermazione simile: «[...] in ogni tempo e in tutti i rapporti culturali le funzioni sociali dipenderanno, per svilupparsi pienamente e senza disturbo, dalla protezione e dalla cure da parte di una forza capace di imporsi su volontà resistenti. E così, sebbene solo una determinata parte della vita comune definisca il suo contenuto concettualmente ampio, lo Stato non è, quanto allo scopo della sua esistenza, un‟unione [Verein] fondata per determinati scopi individuali, piuttosto i suoi compiti coincidono con i compiti culturali del genere umano, perché e nella misura in cui per la loro realizzazione deve esistere una forza suprema [höchste Macht]», cfr. O. Gierke, Die Grundbegriffe des Staatsrechts und die neuesten Staatsrechtstheorien, cit., p.101. Si tratta di concepire la funzione delle consociazioni come esclusivamente all'interno del sistema statale: esse servono innanzitutto a ''correggere'' gli eccessi dei singoli, dei quali occorre limitare e moderare bisogni e aspettative, perché è inimmaginabile la loro continua e progressiva soddisfazione. Ed è solo all'interno di questo sistema che l'uomo può essere concepito come tale, coincidendo i fini dello Stato con quelli del genere umano: colui che è al di fuori dello Stato, si pone quindi al di fuori della stessa comunità umana, è communis hostius ominium, come Cicerone considera il pirata nel De officiis. 115 Indiscussa, ad esempio, è la rilevanza che Gierke assunse per un autore come Rudolf Smend e la sua Integrationslehre. È noto che tra i vari processi di integrazione proposti da Smend quella funzionale si prestasse proprio allo scopo di aumentare la compattezza della totalità anche grazie all'uso di bandiere, vessilli, cortei, parate e in generale di quei «[...] Processi il cui senso è una sintesi sociale e che mirano a rendere comune un qualunque contenuto spirituale o a rafforzare l'esperienza vissuta dalla comunanza (Gemeinsamkeit) in esso, con il duplice effetto di intensificare la vita sia della comunità che del singolo. Il processo stesso può situarsi in un ambito sensitivo e accompagnare, stimolare e simbolizzare il contenuto spirituale; […]» Cfr. R. Smend, Verfassung und Verfassungrecht, München-

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La 'mediazione' consociativa proposta da Gierke sarebbe dunque, in ultima analisi, fallimentare, perché incapace di articolare in modo quantomeno dialettico il rapporto tra

Stato e individui e finirebbe comunque per imporre una superiorità, piena ed esclusiva, del

Leviatano. Il presupposto teorico della sua teoria sembra autorizzare un giudizio simile: con tutta evidenza il limite della Genossenschaftslehre, almeno sotto il profilo della dottrina dello Stato e della filosofia politica, è quello di non aver passato in rassegna sino in fondo il cuore della modernità e aver proposto, in ultima istanza, un modello forse più complesso ma, in ultima istanza, anche meno coerente. Perché la teoria dominante, nell'assegnare direttamente un primato allo Staatsoberhaupt, riusciva a imporsi per una maggiore duttilità e utilizzabilità sulla teoria gierkiana, che invece restava pericolosamente in equilibrio tra un ruolo attivo delle consociazioni e un ritorno alla sovranità piena e assoluta dello Stato, incapace e, anzi, senza alcuna volontà di sottoporre a critica il concetto stesso di Stato. La dinamicità della teoria gierkiana, dunque, sembra essere interamente funzionale alla stabilità dello Stato: appare così confermato il timore di veder riproposto anche dal suo metodo la conclusione di qualificazione etica dello Stato, con l'''aggravante'' di trasformare in valore e realtà etica il portato di rilievi storici e sociali.

È però, d'altro canto, non può essere sminuito il portato che questa impostazione abbia sia nei termini di una problematizzazione della democrazia rappresentativa moderna sia, più direttamente legata all'esperienza storica di Gierke, alla formulazione di un nuovo metodo giuridico che sappia tradursi anche in disposizioni e efficaci e valide per il diritto.

Sono questioni che meritano di essere affrontate.

Leipzig 1928 seconda edizione in R. Smend, Staatsrechtliche Abhandlungen und andere Aufsätze, Berlin 1968, trad it a cura di F. Fiore e J. Luther, Costituzione e diritto costituzionale, Giuffrè Milano 1988, p. 89. E ancora: «Se lo Stato e la forma dello Stato, così come il diritto, vivono del riconoscimento di coloro che vi sono assoggettati, questo ''riconoscimento'' dello Stato si compie tramite la sottomissione del singolo all'effetto dei fattori costitutivi dell'integrazione statale» Ivi, p. 96. Tutto questo non può richiamare alcuni passaggi di Gierke: «Vi sono attimi, in cui lo spirito comunitario ci si manifesta con forza elementare in forma quasi sensibile, e riempie e sopraffà il nostro intimo a tal punto, che noi quasi non percepiamo più la nostra stessa esistenza singola come tale. Un'ora magica di questo tipo io la vissi a Berlino sul viale Unter den Linden, il 15 luglio dell'anno 1870» O. Gierke, La natura delle associazioni umane, cit. p. 47 e ancora: «[…] Ama la totalità più di te stesso! E ciò ha un senso solo qualora la totalità sia qualcosa di più alto e di più pregiato della somma degli individui […]» Ivi, p. 56.

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Capitolo III

La Genossenschaft, il Gemein e il diritto sociale:

il metodo giuridico di Otto Gierke

[I. Premessa. Per una valutazione autonoma del contributo di Gierke. – II. Ancora sulla Genossenschaft. Le ragioni di un dibattito. – III. Un presupposto indispensabile: il contributo di Georg Beseler. – IV. Polivalenza strategica di un concetto. A cosa serve la Genossenschaft? – V. La critica alla codificazione: Die soziale Aufgabe des Privatrechts. – VI. La proprietà e il diritto sociale: il metodo sociologico. – VII. Il concetto di diritto: critiche necessarie, auspicabili potenzialità. La Rechtsphilosophie di Otto Gierke]

I. «Cosa definiamo individuo e cosa universalità [Allgemeinheit] sono solo indispensabili astrazioni concettuali della realtà dell'uomo storico, inafferrabile nella sua totalità per il nostro pensiero»1: così si esprime Otto Gierke in uno dei suoi interventi più celebri, tra i più citati dalla critica, Die soziale Aufgabe des Privatrechts (La funzione sociale del diritto privato), formulato in occasione di una conferenza viennese del 5 aprile 1889. Subito dopo Gierke continua: «[L'ordinamento giuridico] non può dimenticare l'unità dell'obiettivo e deve aspirare al bene comune [Gemeinwohl] anche nel diritto privato, dove esso provvede innanzitutto all'interesse individuale, ed essere giusto per i singoli nel diritto pubblico, dove esso si riferisce al tutto»2. E conclude: «Oggi più che mai il diritto privato ha il compito di proteggere i deboli contro i forti, il bene della comunità [das Wohl des Gesamtheit] dall'egoismo individuale»3.

Nelle parole di Gierke s’intravede il tentativo di una fondazione del diritto diversa da quella individualista, fondata cioè sulla qualificazione dell'individuo come soggetto sovrano e in sé conchiuso: la critica è, dunque, nuovamente rivolta contro una determinata

1 O. Gierke, Die soziale Aufgabe des Privatrechts, Berlin 1889, rist. Vittorio Klostermann, Frankfurt a/Main 19, ora anche in O. Gierke, Aufsätze und kleiner Monographien, mit einer Einleitung herausgegeben von Wolfgang Pöggeler Olms-Weidmann, Hildesheim Zürich New York 2001, II vol., pp. 4-5 [pp. 608-609] 2 Ibidem. 3 Ivi, p. 23 [627].

direzione assunta dalla scienza giuridica dei romanisti, che, procedendo da una nozione astratta e non storica di individuo, mascheravano l'intento ideologico di una riduzione del diritto a mero comando 4 . Una simile qualificazione dell'individuo, infatti, riusciva perfettamente a coagularsi in una macchina statale assolutista e a determinare quella netta separazione tra il diritto privato e quello pubblico5. Non manca, come nella polemica con

Laband, la denuncia della connessione tra alcune impostazioni della scienza giuridica dominante e motivi ideologici e politici: anche in questo caso Gierke definisce come elemento straniero e destabilizzante l'impostazione individualista del diritto naturale, suggellata storicamente dalla rivoluzione francese, che ha determinato l'eliminazione di ogni limite alla nuova potenza centrale [Centralmächte], riconoscendo solo l'individuo, libero e uguale, e l'onnipotente Stato meccanicistico e, dunque, annullando ogni altra forma intermedia di aggregazione degli individui.

Sono anni di grande produzione intellettuale per Gierke, che coniuga i suoi studi

'classici' sulla consociazione con la polemica antiromanista e, in special modo, contro il processo di codificazione nel Reich. Ne scaturiscono alcune delle teorie più famose di

Gierke: l'attenzione al Gemein, allo spazio cioè tra individuo e Stato, a rischio di dissoluzione nella prospettiva individualista e la cui statalizzazione, nella prospettiva indicata dal socialismo, avrebbe condotto alla barbarie6; il rapporto tra diritto pubblico e diritto privato, una vera Lebensfrage der Gegenwart; la messa in questione della natura di alcuni fra i più importanti istituti giuridici, come la proprietà. Il solo elenco di questi problemi rende la cifra delle difficoltà connesse ad una valutazione complessiva del lascito di Gierke.

Valutare l'opera del giurista di Stettin come 'conservatrice' e 'reazionaria' è stato per anni, salvo alcuni chiari ed efficaci interventi contrari, un vero classico della storiografia giuridica. In effetti una simile valutazione non manca di efficaci argomenti: dalla critica al

BGB ai tentativi di riformulazione della scienza giuridica in netta antitesi con l'indirizzo

4 In questo senso all'impostazione romanista, Gierke contrapponeva la necessità di una ripresa della specificità germanica del diritto: «Was wir vom römischen Recht gelernt haben, wollen wir nicht verlernen, und dankbar wollen wir festhalten an der durch die wunderbare juristische Denkkust der Römer gebildeten Form. Aber der Geist, der die Form beseelt, sei der Geist der Rechtes unserer Väter! An der germanischen Rechtsgeist also wenden wir uns, wenn wir vor einer Neuordnung unseres Privatrechtes stehen, und von ihm empfangen wir die Mahnung, der sozialen Aufgabe eingedenk zu sein, die das Privatrecht in der heutigen Gesellschaft zu lösen hat» Ivi, p. 12 [616]. 5 «Hier die Souveränität der Einen und untheilbaren Staatsgewalt, dort die Souveränität des Individuums […]» Ivi, p. 5 [609]. 6 Ivi, p. 10 [p. 614].

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dominante, la vicenda di Gierke sembra essere incapace di fuoriuscire dalla semplice resistenza alla teoria giuridica dominate ed acquisire un profilo autonomo che le permetta di essere valutata per quello che è e non soltanto per quello che, presumibilmente, non sarebbe riuscita ad essere. Indubbiamente parte di questa valutazione è corretta: non si può negare – del resto lo stesso Gierke lo ha ammesso chiaramente – come lo sviluppo della scienza giuridica tedesca si allontanava decisamente da quanto egli stesso avesse sperato e lavorato. L'introduzione al II volume del Deutsches Privatrecht, testo pubblicato nel 1905, rappresenta evidentemente una, parziale, ammissione di resa di fronte alla 'svolta' della codificazione, seppur argomentata dalla speranza che l'indirizzo germanista, non essendo stato del tutto sconfitto ed essendo riuscito a migliore il testo definitivamente approvato del BGB, si sarebbe potuto tornare ad imporsi nella scienza giuridica.

Per quanto parzialmente corretta, questa impostazione rischia di diventare eccessiva se impedisce o altera un recupero della teoria gierkiana o, più precisamente, se il giudizio su di essa viene sempre e comunque deformato dal rapporto con le teorie dominanti, risultando così essere, inevitabilmente, sempre anacronistica o reazionaria.

Del resto, all'interno di questa ricerca, è stato sufficientemente chiarito come l'impostazione gierkiana, pur se inserita in una particolarissima impostazione del liberalismo organico, per nulla nostalgica, non possa non fare i conti con alcune contraddizioni, ad esempio in riferimento alla dialettica tra Einheit e Freiheit, con l’inevitabile torsione di questa a favore di quella in una teoria che ammette esplicitamente la piena assunzione del concetto moderno di sovranità. Quello della Genossenschaft come criterio di sviluppo storico, però, non rappresenta che l'inizio della prospettiva gierkiana, che prosegue negli anni successivi su di un terreno più schiettamente giuridico. Diventa dunque imprescindibile tentare di approfondire quali effetti producesse il concetto di

Genossenschaft nell’impostazione della Rechtswissenschaft: il programma di Gierke, già chiaramente definito nelle recensioni all'opera di Laband, acquista ulteriore senso e prospettiva nei lavori esplicitamente dedicati al diritto privato, alla sua funzione sociale e alla critica alla codificazione. A partire da questi contributi sarà quindi possibile completare l'analisi delle proposte avanzate da Otto Gierke e coglierne gli elementi precipui e caratterizzanti. L'analisi non può non partire dove si era interrotta nel I capitolo, ovvero proprio dal concetto di Genossenschaft.

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Nelle pagine seguenti si tenterà di ripercorrere lo sviluppo della teoria e del metodo di Otto Gierke a partire proprio da quelle Genossenschaften e da quel principio consociativo che, sin dal primo volume di Das deutsche Genossenschaftsrecht, aveva assunto il rilevante ruolo di fattore di sviluppo e progresso dell'intera umanità. Nel capitolo precedente si è tentato di ricostruire senso e portata di quel principio e, in particolare, del suo rapporto con il problema della sovranità: adesso l'operazione dovrà essere necessariamente interna al sistema teorizzato da Gierke. Ovvero, si tenterà di analizzare il successivo sviluppo della sua teoria e, in particolare, quali conseguenze ha l'adozione del concetto di Genossenschaft all'interno di una critica alle categorie giuridiche tradizionali. Le consociazioni, infatti, preludono a una critica alla dogmatica tradizionale, non solo in ambito pubblicistico, ma anche nel diritto privato. Anzi, è la stessa partizione tra diritto pubblico e privato a essere messa in questione, a partire dalle lezioni dei maestri germanisti7. Proprio il tema della consociazione permette di integrare, nella prospettiva di un organismo sociale e di un

Gemeinwohl da tutelare, l'ambito pubblicistico e quello privatistico. Ad essi Gierke affianca il concetto di diritto sociale e un metodo di costruzione del giuridico che, non a caso, è stato definito da molti autori come sociologico8. Proprio in virtù di questa impostazione, Gierke contesterà il lungo processo di codificazione e alcune formulazioni classiche – romaniste – dei principali istituti giuridici, tra i quali quello della proprietà. A questo punto sarà possibile tentare una ricostruzione delle categorie giuridiche adottate da Gierke, evitando un loro confronto alla luce degli sviluppi successivi della scienza giuridica tedesca e, in particolare della purezza cristallina della Reine Rechtslehre. Questa impostazione, inevitabilmente, analizzando il testo gierkiano alla luce di una sua aderenza o meno al gesto teorico di Kelsen, finisce per piegarne la lettura allo scontato esito di interpretare

Gierke come un reazionario o, nel migliore dei casi, come un giurista incapace di cogliere le oscurità e le contraddizioni della scienza giuridica tedesca tra Otto e Novecento.

Più utile si rivelerà indagare il nucleo concettuale autonomo della sua produzione e verificare, come nel I capitolo, la coerenza delle argomentazioni gierkiane, i loro limiti

7 O. Gierke, Die historische Rechtsschule und die Germanisten, Rede zur Gedächtnisfeier der Stifters der Berliner Universität König Friedrich Wilhelm III in der Aula derselben am 3. August 1903, Gustav Schade, Berlin 1903, ora in Aufsätze und kleinere Monographien, cit., II vol.: «Ein wesentlicher Zug der germanistischen Bewegung bestand darin, dass sie, obschon vom Privatrecht ausgehend, mit wachsender Energie zugleich das öffentliche Recht umfaßte. War doch nichts so tief in der germanische Rechtsidee gegründet, als die innere Einheit von privatem und öffentlichem Recht» p. 23 [749]. 8 Il primo a sottolineare questi aspetti fu Georg Gurwitsch, Otto v. Gierke als Rechtsphilosoph, in Logos, 11, 1922-23, pp. 86-132.

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come pure, se ce ne fossero, quei meriti e quelle potenzialità che, seppur a livello embrionale e quasi 'intuitivo', possono rintracciarsi nella sua costruzione teorica.

II. La lunga vicenda della persona giuridica rappresenta un vero e proprio 'classico' della scienza giuridica9. Sebbene sembrava ormai affidato esclusivamente alle ricostruzioni degli storici del diritto, quantomeno in ambito pubblicistico, l'evoluzione del diritto, in particolare di quello internazionale e comunitario, essa sembra rilanciare persino oggi il problema della natura giuridica di soggetti che non sono né Stati sovrani né individui: si tratterebbe pertanto, non solo di un ritorno alla persona giuridica, in quanto nozione, concetto ed elaborazione dottrinale, ma alle persone giuridiche, come attori e protagonisti dello spazio giuridico contemporaneo10.

Il tema, che tanti contrasti ha suscitato nella scienza giuridica, è definito da Otto

Gierke come il problema di come sia possibile attribuire ad un gruppo di individui quella personalità che, almeno empiricamente, sembra contraddistinguere esclusivamente gli individui. È noto che la stessa idea di personalità segni una distinzione all'interno dello stesso genere

9 La bibliografia in questione è, ovviamente, sterminata. Per menzionare soltanto le opere che hanno provato a descrivere la lunga parabola della persona giuridica, a puro titolo esemplificativo, sono da ricordare gli ormai classici studi di Francesco Ferrara, Le persone giuridiche, Utet, Torino 1915 e Francesco Ruffini, Le persone giuridiche in Sinibaldo da Fieschi e Friedrich von Savigy, in Archivio giuridico 1898. Importante è il contributo di R. Orestano, Azione, diritti soggettivi, persone giuridiche. Scienza del diritto e storia, Il Mulino, Bologna 1978. Successivamente il tema della persona giuridica è stata al centro dell'attenzione di Francesco Galgano del quale meritano di essere segnalati i recenti contributi Storia del principio di maggioranza, Il Mulino, Bologna 2006 e Delle persone giuridiche. Art.11-35 – Commentario del codice civile, Zanichelli Editore, Bologna 2006 in particolare pp. 1-120, nuova edizione del commento apparso nel '69. Si veda anche F. Todescan, Storia e realtà della fictio iuris, Cedam, Padova 1979. Rilevantissimo è il volume dei Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico dedicato proprio agli Itinerari moderni della persona giuridica, voll. 11-12, 1982- 83. Si sofferma sulle implicazioni giuspubblicistiche della teoria gierkiana anche F. Riccobono, Soggetto Persona Diritti, Terzo Millennio Edizioni, Napoli 1999. In lingua tedesca sono utili punti di partenza le voci Körperschaft dello Historische Wörterbuch für Philosophie, curata da W. Krawietz, pp. 1101-1134 e quella curata da A. Kaufmann per l'Handwörterbuch der deutsche Rechtsgeschite, pp.. Si veda inoltre F. Schikorski, Die Auseinandersetzung um den Körperschaftsbegriff in der Rechtslehre des 19. Jahrhundert, Duncker & Humblot, Berlin 1978, originariamente pensato poi come un contributo esclusivo di chiarificazione della critica gierkiana. Si veda anche F. Simon, Assoziation und Institution als soziale Lebensformen in der zeitgenössischen Rechtstheorie, Dunker & Humblot Berlin 2001. 10 Appare inutile anche solo provare a indicare una bibliografia minima di riferimento. Ma non si può non segnale sviluppi anche in parte differenti: in altro senso, maggiormente attenta alle implicazioni d'ordine giuridico sul ritorno alla centralità del concetto di persona al posto di quello di soggetto, è indirizzata la ricerca di S. Rodotà, Dal soggetto alla persona, Editoriale scientifica, Napoli 2007 e, in senso ancora più ampio, Id., La vita e le regole, Feltrinelli, Milano 2008.

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umano: per cui essa si contraddistingue per essere un sostrato che permette di considerare l'uomo come un soggetto giuridico. Una finzione, almeno nella teoria dominante del XIX secolo, permetterebbe di traslare questa personalità anche a soggetti che uomini non sono, ad esempio quelli collettivi.

Quello del fantasma11 della persona giuridica è stato tra gli argomenti più discussi nell'Ottocento: per decenni i giuristi, parafrasando il beffardo motto di Kant, sono andati alla ricerca della soluzione al problema della juristische Person. In realtà, com'è noto, la vicenda è assai più antica12 ed è stata al centro di specifici studi e analisi, non ultima proprio quella di Gierke che tentò di dare nuova vitalità al movimento germanista superando la costruzione romanista della persona giuridica, teorizzata da Savigny e perfezionata dalla pandettistica.

Ciò che a prima vista appare come una contrapposizione tra due differenti modalità di costruzione di un istituto giuridico, cela, invece, uno scontro, ben più ampio, tra due diversi modi di concepire la scienza giuridica: non è, però, un caso che sia proprio la juristische Person a costituirne una polemica centrale. I soggetti collettivi, infatti, obbligano la teoria a confrontarsi con il concetto di individuo, con quello di gruppo, con le categorie fondamentali della scienza giuridica moderna, sino al concetto di Stato, dal momento che nella teoria organica, esso è «[...] la principale delle persone giuridiche, che attraverso la caratteristica della sovranità che lo distingue da tutte le altre persone, assume una posizione particolare»13. È evidente che, assumendo i Verbände, come centrali nella propria riflessione, Gierke intendeva andare al cuore della distinzione classica tra diritto pubblico e diritto privato, fondata sull'assunzione di due monadi contrapposte e complementari, ovvero lo Stato assoluto e il singolo uomo e rovesciare questa impostazione perché emergessero tutte le specificità del sociale, ovverosia di ciò che eccede una drastica riduzione della prospettiva nell'uomo, astrattamente assunto, e nello Stato, costruito in

11 L'espressione è del pandettista Alois Brinz, ricordata da Paolo Grossi nell'introdurre i due tomi dedicati agli Itinerari moderni della persona giuridica dei Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico, voll. 11/12, 1982-83. Ma la cita lo stesso O. Gierke: «Den Kern der Genossenschaftstheorie bildet die von ihr dem Phantom der persona ficta entgegengestellte Auffassung der Körperschaft als realer Gesammtperson» O. Gierke, Die Genossenschaftstheorie und die deutsche Rechtsprechung, Weidmann, Berlin 1887, rist. Georg Olms Verlagsbuchhandlung, Berlin 1963, p. 5. 12 «Rechtssubjekte außer den Einzelmenschen hat es thatsächlich gegeben, so lange es ein Recht giebt» O. Gierke, voce juristische Person in Enzyklopädie der Rechtswissenschaft – Rechtslexikon, fondata da Franz von Holtzendorff, a cura di Josef Kohler, II vol., Dunker & Humblot, Leipzig 1881, p. 418 13 Ivi, p. 422.

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senso assoluto. Il principale compito della scienza giuridica è proprio quello di vivificare lo spazio ''intermedio'' tra questi due poli. «Le associazioni comunitarie di Gierke, benché egli adoperi il concetto in modi diversi, non hanno dunque per niente il carattere di associazioni societarie, di unioni di interesse degli individui sovrani ma, *<+ di consociazioni, di comunità che si elevano al di sopra dell'ambito degli interessi individuali riuniti, che raggiungono un'autonomia in contrapposizione ai singoli e rappresentano uno scopo comune e comprendono ed integrano i singoli anche come tale, in rapporto al loro status»14.

La 'posta in gioco' della teoria gierkiana non è soltanto una configurazione alternativa dei principali istituti giuridici contemporanei, quanto piuttosto la capacità di immaginare lo spazio tra individuo e Stato come autonomo, reale e perciò capace di esprimere un diritto che non annulli questa sua dimensione dialettica e non 'assolutizzi' né gli individui – intesi in modo astratto, de-storicizzati – né lo Stato: le collettività – financo quella suprema – hanno il compito di evitare una fondazione del giuridico tutta deducibile, meccanicisticamente, dal concetto di individuo sovrano. Proprio la complessità e l'estensione di questa vicenda impongono di provare a restituire alla Genossenschaftstheorie di Gierke, prima ancora di ogni sua critica, il suo significato più profondo, dalla corretta definizione dei principali concetti di cui Gierke si serve. Pertanto, prima di giungere alla consociazione, varrà forse la pena precisare senso e portata dei concetti di persona giuridica e di Körperschaft.

È necessaria, però, un’ulteriore premessa, senza la quale la tesi di Gierke non può essere compresa nella sua interezza. Il giurista di Stettin non giunse a maturare 'per caso' il tema della Genossenschaft. Anzi: il dibattito sull’alternativa germanica alla costruzione romanista della fictio era già presente nelle discussioni di metà Ottocento15 e la sua portata

14 E.W. Böckenförde, Das deutsche verfassungsgeschichtliche Forschung im 19. Jahrhundert. Zeitgebundene Fragestellungen und Leitbilder, trad. it La storiografia costituzionale tedesca nel secolo decimono. Problematica e modelli dell'epoca, a cura di P. Schiera, Giuffrè, Milano 1970, p. 187. Come già ricordato, non si può integralmente concordare con Böckenförde nel suo giudizio complessivamente negativo, finalizzato a vedere in Gierke un semplice nostalgico di un mondo ormai non più esistente e a connettere la Genossenschaft esclusivamente con un‟immagine tardo- medioevale, i vecchi Stände. 15 Cfr. G. Dilcher, Zur Geschichte und Aufgabe des Begriffs Genossenschaft, in Recht, Gericht, Genossenschaft und Policey. Studien zu Grundbegriffen der germanistischen Rechtshistorie, Symposion für Adalbert Erler, a cura di G. Dilcher e B. Diestelkamp, Schmidt, Berlin 1986, pp. 114- 123, «Der Gedanke des Genossenschaft entwickelte sich im Europa des 19. Jahrhunderts in Anknüpfung an ältere historische Formen solidarischer Zusammenschlüsse einerseits, wurde vorangetrieben von einer auf die Frage der zukünftigen Gesellschaft ausgerichteten Theoriebildung

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era stata intravista dai maestri germanisti di Gierke e, in particolare, da quel Georg Beseler a cui Gierke dedicò il primo volume del Genossenschaftsrecht e al quale si deve l'avvio di una riflessione che recide l'istituto consociativo da ogni retaggio feudale e lo inserisce in quella traiettoria che conduce alla codificazione di una moderna libertà di associazione.

Questa riflessione, proprio per l' impianto fortemente politico che la caratterizzava e che ebbe non poco influsso su Gierke, merita di essere necessariamente riportata.

III. Georg Beseler16 (1809-1888), maestro di Gierke e celebre esponente del ramo germanista della Scuola storica, fu tra i principali animatori dell’opposizione allo sviluppo delle teorie di Savigny e dell'impostazione romanista condotta, tra i tanti, da Friedrich

Gerber17: uno scontro che, com'è noto si ripeterà nella generazione successiva, tra Otto

Gierke e Paul Laband18. Beseler è tra i primi ad avviare una riflessione, innovativa e non apertamente reazionaria – ovvero non nostalgica del vecchio ordinamento cetuale – sul concetto di Körperschaft, provando a isolare in modo compiuto la nozione di Genossenschaft, distinguendola da altre modalità di concepire giuridicamente i collettivi umani, ad esempio tanto dalla universitas19 di fondazione romanista che dalla Gesamthand, riconducibile alla

andererseits» p. 114. Si veda anche: R. Schulze, Genossenschaft – Zur Entwicklung eines Rechtsbegriffs, in Stadt – Gemeinde – Genossenschaft, Festschrift für Gerhard Dilcher zum 70. Geburstag, a cura di A. Cordes, J. Rückert, R. Schulze, Erich Schmidt Verlag, Berlin 2003, pp. 225- 250. 16 Un quadro biografico di Beseler è realizzato dallo stesso Gierke in un articolo commemorativo apparso dopo la sua morte, cfr. O. Gierke, Georg Beseler, in Zeitschrift der Savigny Stiftung für Rechtsgeschichte, Germ. Abt., 10-XXIII, 1889, pp. 1-24. 17 Sullo scontro in seno alla Scuola storica tra romanisti e germanisti la bibliografia è sterminata. Il conflitto tra Beseler e Gerber può essere definito come una richiesta di apertura e attenzione della scienza giuridica alle nuove forze sociali che si stavano sviluppando in Germania, di contro ad una impostazione romanista che sembrava sorda a queste istanze e desiderosa di imbrigliare tutta la società nei suoi schemi logici. Su questo e anche sulla critica dell'opzione germanista e liberale si veda M. Fioravanti, Giuristi e costituzione politica nell’Ottocento tedesco, Giuffrè, Milano 1979, pp. 99 e ss.. Di rilievo e di estremo interesse sul rapporto tra germanisti e romanisti è anche il contributo dello stesso Otto Gierke, Die historische Rechtsschule und die Germanisten, cit., ora in Aufsätze und kleinere Monographien, cit., II vol., pp. 727-787. 18 Da ricordare, però, il giudizio di Maurizio Fioravanti ostile ad una ipotesi di contiguità tra Savigny, Gerber e Laband, individuando in quest'ultimo l'autore che, più di ogni altro, ha determinato una rottura profonda con la tradizione tedesca della scienza giuridica d'impostazione savigniana ottocentesca. 19 Cfr. K. J. Bieback, Die öffentliche Körperschaft. Ihre Entstehung, die Entwicklung ihres Begriffs und die Lehre vom Staat und den innerstaatlichen Verbänden in der Epoche des Konstitutionalismus in Deutschland, Dunker & Humblot, Berlin 1976: «[...] die Genossenschaft ist eine ursprüngliche, aus der Mitte der Mitglieder gewachsene oder geschaffene Verbandsform, die deshalb im Gegensatz zur römisch-rechtlichen ''universitas'' in einer notwendigen, engen Verbindung zu den Mitgliedern steht»

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figura della communio20. Detto in altri termini, il tema era quello di verificare se e come fosse possibile pensare e fondare l'esistenza di enti dotati di diritti, senza dover necessariamente rifarsi o ad una mera somma di diritti individuali o all'ipotesi savigniana della fictio. In particolare, secondo Beseler, la corporazione è concetto di genere, che racchiude in sé sia la Gemeinde21 che la Genossenschaft22.

L'intera vicenda di Beseler, con i suoi contributi più importanti e celebri, è esemplificativa di quella fase pre-gierkiana che caratterizza la discussione sulla persona giuridica dopo la sistematizzazione savigniana: un tema prevalentemente di diritto privato e che, però, affida allo Stato il giudizio ultimo sulla possibilità o meno di costituire un fondamento giuridico per le associazioni umane. Jan Schröder, in un corposo intervento23, ha tentato di individuare ben tre fasi in questa lunga genesi beseleriana del concetto di

Genossenschaft: dal 1835, con il primo contributo di Beseler, quella, cronologicamente collocata ai primi anni Quaranta del secolo finalizzata alla vera e propria sistematizzazione in ambito privatistico della Körperschaftslehre e, infine, la terza legata agli sviluppi della teoria di Beseler, ovvero successiva al 184724.

Sarebbe inutile ripercorrere questa lunga genesi: preme sottolineare alcuni aspetti.

Innanzitutto il tema della persona giuridica nasce da considerazioni prevalentemente privatistiche: nella sua fase 'arcaica' l'interrogativo nasce dalle diverse valutazioni in merito alla natura dei diritti nell'ambito di un patto successorio. Questa impostazione domina

p. 431. 20 Per Gesamthand o gesamte Hand ci si riferisce ad un istituto riferito esclusivamente a piccoli collettivi, nei quali è necessaria e indispensabile la cooperazione di tutti. Tra il XVI e il XVII secolo essa fu ascritta alle due forme latine della societas e della communio. 21 «[…] ist an einen bestimmten geographischen Besitz gebunden, und erfasst, wenn auch auf verschiedene Weise, alle Bewohner desselben, so dass eine Ausnahme davon besonders begründet sein muss [...]» G. Beseler, Völkerrecht und Juristenrecht, Weidmann'sche Buchhandlung, Leipzig 1843, p. 162. 22 Ibidem. Su questo si legga anche F. Ferrara, Op. cit., pp. 178-179: «Il Beseler dice: La riunione di più persone rivolta al raggiungimento duraturo di scopi comuni dicesi corporazione. Ma la corporazione è concetto di genere e si divide in due specie: essa è o una comunità o una Genossenschaft. […] sussiste una grande diversità fra diritto romano e tedesco, perché mentre l'uno conosce solo due forme acutamente contrapposte, l'universitas e la communio, il diritto tedesco invece conosce delle figure intermedie». 23 L'intervento di Schröder è dedicato proprio alla fase immediatamente pregierkiana, quindi ampiamente ascrivibile al Vormärz, dello sviluppo della teoria della Genossenschaft, si veda J. Schröder, Zur älteren Genossenschaftstheorie. Die Begründung des Modernen Körperschaftsbegriffs durch Georg Beseler, in Itinerari moderni della persona giuridica, Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, voll. 11 e 12, 1982-83, pp. 399-459. 24 Le opere di Beseler cui Schröder presta attenzione ai fini della scansione in tre fasi della älteren Genossenschaftstheorie sono: Lehre von den Erbverträgen, I Teil Göttingen 1835, Volksrecht und Juristenrecht, cit. e, infine, System des gemeinen deutschen Privatrechts, I Band, Leipzig 1847.

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interamente l'intero percorso intellettuale dei germanisti: sino alla fase più avanzata della sua riflessione, nella polemica con i romanisti, Beseler non abbandona mai il campo del diritto privato25. L'elemento che per primo segnerà Gierke, sarà proprio l'assunzione del concetto nell'ambito di uno scenario completamente diverso, quello del diritto pubblico.

Tuttavia il contributo di Beseler non va, però, sottovalutato, o comunque neutralizzato, nella sua capacità di rottura dell'impostazione precedente, aprendosi a scenari del tutto nuovi. Esso, infatti, investe la categoria della Genossenschaft imprimendole un senso e una prospettiva del tutto nuove ed autenticamente moderne. L'ipotesi della pandettistica era di sussumere la materialità del concetto delle associazioni – cioè l'evidenza empirica che si trattasse di una pluralità di soggetti riuniti per perseguire scopi comuni – in una procedura tecnica, in base alla quale lo Stato riconosceva queste associazioni come soggetti giuridici. In Volksrecht und Juristenrecht,26 l’opera più celebre di

Beseler, si perviene ad una nuova fase della Genossenschaftstheorie, Beseler definisce la

Corporazione come «l'unione di più persone ''orientata al raggiungimento di uno scopo comune»27.

L'impostazione qui assunta recide ogni rapporto tra l'ente e la volontà dello Stato, ormai ininfluente ai fini della fondazione delle corporazioni, la cui esistenza è demandata esclusivamente alla libertà dei singoli membri di decidere se associarsi o meno: siamo, dunque, alle origini del moderno concetto della Freiheit der Körperschaftsbildung. Ed è questo un aspetto importantissimo perché impedisce definitivamente di scorgere in Beseler un

25 Per quanto interna al campo proprio del diritto privato, la lezione di Beseler avvia una qualificazione della Genossenschaft che ne fa strumento di promozione e tutela della libertà individuale nei confronti di una scienza giuridica eccessivamente legata a fare dello Stato il soggetto ultimo e 'portante' del sistema. Da questo punto di vista, la strada poi seguita da Gierke è indubbiamente, se non anticipata, quantomeno intravista dal suo maestro. 26 «Mit diesem Werk hat Beseler die Ansätze der ursprünglichen historischen Schule Konsequenz zu Ende gedacht; er hat die von Hugo begründete historische Schule, die von v. Savigny und Puchta auf den Kopf gestellt worden war, wieder auf die Füße gestellt. Beseler gab der historischen Rechtsschule ihren rechtspolitischen Auftrag zurück, diesmal mit Frontstellung der Germanisten gegen die Romanisten» B.R. Kern, Die jüngere Germanistik und die Spaltung der historischen Schule, in G. Dilcher – B.R. Kern, Die juristische Germanistik des 19. Jahrhunderts und die Fachtradition der deutschen Rechtsgeschichte, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte, Germ. Abt., 101, 1984, p.15. 27 G. Beseler, Völkerrecht und Juristenrecht, cit p. 161. Si tratta del sesto capitolo, dedicato proprio al diritto della Genossenschaft. Se, come ricordato sopra, la Gemeinde si caratterizzava per un indispensabile legame di tipo geografico con un determinato ambito, a caratterizzare la Genossenschaft era l'assenza di questo legame e la possibilità di una unione per il perseguimento di uno scopo comune, tant'è che la Genossenschaft può essere costituita sulla base di uno sviluppo storico o per un preciso atto di fondazione. In questo secondo caso, rilevante è il fine comune in base quale i singoli decidono di unirsi: cfr. p. 169 e ss.

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nostalgico del vecchio modello cetuale28: l'ipotesi della scissione tra le Körperschaften e la volontà dello Stato permette, infatti, di assegnare il primato della fondazione delle associazioni all'esclusivo incontro di più volontà individuali, rompendo definitivamente la tela di rapporti sociali, fissi e predeterminati, nei quali il singolo doveva essere inserito, caratteristica propria del vecchio ordinamento per ceti29.

Fino al '43 Beseler, però, non riesce nell'impresa di distinguere completamente la moderna Körperschaft dalla Gesellschaft-Gesamthand: bisognerà attendere il System del '47 per una riflessione specificamente indirizzata ad individuare questo criterio distintivo, con l'avvertenza che esso non rappresenti il ritorno dell'ipotesi romanista, ovvero dell'atto di riconoscimento da parte dello Stato. Ad esso verrà preferito una valutazione circa gli aspetti della struttura costituzionale [verfassungsmäßige Struktur] dell'associazione. In tal modo si ha motivo di credere che a essere investita di un ruolo dirimente nella definizione della realtà giuridica sia proprio la scienza, chiamata a un'opera, se non creativa, quantomeno valutativa e interpretativa: in questo Beseler recupera pienamente il nucleo più profondo del pensiero di Savigny. In sostanza si tratta di una svolta che tiene dentro due elementi: da un lato l'abbandono del vecchio concetto di corporazione, dall'altro la battaglia contro il criterio meramente tecnico dei romanisti. A questo, si preferisce un concetto che Schröder definisce sociologico, perché capace di comprendere la dimensione materiale delle associazioni senza dover ricorrere all'autorizzazione dello Stato perché esse possano essere riconosciuti e grazie al quale «il diritto può essere prodotto anche tramite il convincimento del popolo»30. Dunque la critica investiva il cuore delle teorie romaniste, perché riportava la scienza giuridica ad un ruolo di maggiore attenzione verso i movimenti

28 Nel riprendere su questo punto la critica che Gerber aveva avanzato proprio a Beseler, Schröder sottolinea come anche al maestro di Gierke fosse chiaro, sin dal 1843, quanto fosse impossibile tenere insieme «Die Rückbeziehung der Körperschaftslehre auf die ständischen mittelalterlichen Genossenschaften und die Verteidigung der stände-ungebundenen modernen Assoziationen. […] Es geht Beseler bei seiner Genossenschaftstheorie eben doch nicht um eine Wiederbelebung des mittelalterlichen Genossenschaftswesens in einer ständisch abgestuften, ungleich berechtigten Gesellschaft von Individuen, die nicht als solche, sondern nur durch ihren Stand frei sind […]» J. Schröder, Op. cit., p. 440. Schröder cita poi lo stesso testo di Beseler laddove individua il compito della modernità nel far valere l’idea della patria e della libertà nel popolo. 29 In questa prospettiva cfr. Bieback, op. cit, pp. 431-432. 30 J. Schröder, op.cit, p. 445. Come si vedrà l'utilizzo di una categoria ''sociologica'' per definire una teoria giuridica tornerà anche negli interpreti dell'opera di Gierke. Qui il sociologico serve ad indicare la consapevolezza di tenere insieme, nel concetto di Genossenschaft, elementi tecnici a una materialità non riducibile a pura strutturazione logica. Non bisogna però immaginare con questo un'evasione dalla scienza giuridica: Beseler, come poi anche Gierke, ritiene che questa duplicità debba essere una caratteristica propria del diritto e indagabile solo attraverso una scienza giuridica che la sappia valorizzare e non mortificare, come nel caso dei romanisti.

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e gli sviluppi sociali della Germania di metà Ottocento. La Genossenschaft poteva diventare uno strumento utile a definire bene i tre ambiti dai quali i germanisti non si sarebbero discostati mai: ovvero il rapporto tra individuo, popolo e Stato.

L'attenzione per la natura delle associazioni umane divenne un tema proprio di quella cultura liberale espressa politicamente nell'Assemblea costituzionale francofortese del '48, la cosiddetta Paulskirche, della quale lo stesso Beseler fu membro31; coloro che maturarono le posizioni maggiormente conflittuali con i germanisti erano giuristi dichiaratamente ostili a questo approccio, esponenti di posizioni conservatrici o non politiche. L'impostazione liberale però, anche per via di un’oggettiva fumosità dei concetti impiegati – e cioè incapaci di esprimere una strategia complessiva ascrivibile a nessuna forza sociale alla quale attribuire il compito di guidare la Germania verso una modernizzazione – restò inevitabilmente sconfitta.

Qui comincia la riflessione e l'opera di Otto Gierke, il quale intuisce immediatamente come quello della consociazione sia un tema non più confinabile nelle maglie di una vecchia divisione tra ambito pubblicistico e privatistico: del resto Gerber ha già chiarito come la scienza giuridica non possa più accontentarsi dello studio e dell'analisi del diritto privato, ma debba fare i conti con quel diritto pubblico che per troppo tempo era stato escluso da una rigorosa analisi scientifica perché ascrivibile per intero ai capricci e agli arbitri del legislatore.

IV. Juristische Person è, semplificando, il genere più ampio di quella categoria giuridica che si riferisce ad ogni soggetto di diritto che non è un singolo uomo32: si tratta, dunque, di un termine tecnico con il quale la personalità viene estesa anche ai soggetti collettivi. Una simile definizione la si ritrova in un testo redatto tra il 1880 e il 1881, quando

31 Ivi, pp.437-438. Ma interessanti considerazioni sono svolte anche successivamente: «[...] es ist bezeichnend, dass nicht einmal die liberalen Staatsrechtler in der ersten Hälfte des 19. Jahrhunderts ohne weiteres von der Freiheit der Vereinsbildung auf die Freiheit der Körperschaftsbildung geschlossen haben, und auch im modernen Recht dieser Schluß nicht gezogen wird», p. 448. Lo stesso Gierke parla della Paulskirche «[...] geradezu als eine Forsetzung der Germanistenversammlung», cfr. O. Gierke, Die historische Rechtsschule und die Germanisten, Gustav Schade, Berlin 1903, ora anche in Aufsätze und kleinere Monographien, cit., II vol., p. 25 [751]. 32 O. Gierke, voce juristische Person, cit. p. 418.

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Gierke cura alcune voci per il Lexikon curato da Franz von Holtezendorff: si tratta di una serie di contributi molto interessanti che testimoniano la polemica con la teoria dominante evitando però , viste anche le finalità dell'opera, una critica netta e radicale degli istituti come avverrà nell'opera del 1895 dedicata al diritto privato tedesco: dove, ad esempio, il concetto di persona giuridica sarà abbandonato.

Gierke ritiene che alle origini del diritto tedesco mancasse tanto la nozione di personalità singola – decisiva ai fini giuridici era l'appartenenza al popolo [Volksgenosse] – che di Verbandperson. Diritti e doveri erano attribuiti ad uno specifico e reale portatore

[Träger] distinguendo così i gruppi consociativi [genossenschaftlichen Verbände] e quelli di dominio [herrschaftlichen Verbände]. Nei primi il soggetto era la totalità dei consociati nella loro reale o astratta assemblea, negli altri rilevanti era il signore o capo [Herr] inteso come

Haupt eines Ganzes. Lo sviluppo segue i cinque noti periodi come delineati da Gierke.

Importante è il passaggio che avviene nella seconda metà del medioevo quando le

Genossenschaften si condensano in Körperschaften, nelle quali «l'unità complessiva

[Gesammteinheit] compare dinanzi alla pluralità complessiva come una persona di un ordinamento superiore costante nel cambiamento»33.

Si assiste, cioè, seppur solo in una fase iniziale, alla distinzione tra l'entità collettiva come tale e i membri che la compongono e ad una acquisizione di autonomia e indipendenza della prima rispetto ai secondi: avvertimento essenziale perché testimonia una specificità tedesca proprio rispetto alla concettualizzazione della personalità collettiva rispetto all'elaborazione successiva alla recezione del diritto romano, che introduce lo strumento della persona ficta. Glossare il diritto romano significava rifarsi alla premessa sulla quale era fondato, in altre parole su di un individualismo che aveva (e avrebbe) poi condotto ad una impostazione assolutista nell'ambito dello Staatsrecht. In particolare la persona romanista era concepita come un’unità, nel senso che «tra il tutto associativo e i membri associati esistono solo relazioni giuridiche [Rechtsbeziehungen] dello stesso modo, come ne esistono tra individui autonomi»34. Si trattava, cioè, di immaginare lo Stato come

33 O. Gierke, Deutsches Privatrecht, I Band, München 1895, rist. Dunker Humblot, München und Leipzig, 1936, p. 458, d'ora in avanti DP I. Sempre qui si specifica il carattere ancora limitato di questa trasformazione: «Allein die körperschaftliche Verbandperson des deutschen Rechts blieb eine der verbundenen Gesamtheit immanente Einheit, sie war eine Gesammtperson, sie bedeutet nichts Anderes als das in seiner Lebenseinheit erkannte und zum Rechtssubjekt erhobene gemeine Wesen». Processo simile si afferma negli Herrschaftsverbände che si avviano a diventare Anstalten. 34 DP I, p. 460.

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una forza autonoma e indipendente dagli individui e dal popolo, un’entità, costruita esclusivamente grazie alla teoria scientifica, ma che acquistava una forza e una potenza straordinaria. Ecco perché Gierke non perde occasione di connettere questi aspetti alla filosofia politica moderna e alle teorie del diritto naturale35. Da qui lo sviluppo prosegue con la teoria della persona morale e quella della persona ficta nella sua formulazione savigniana.

L'ipotesi di Savigny è nota: persona giuridica non sarebbe altro che una finzione, attraverso la quale più individui vengono considerati come una realtà autonoma dal diritto, dotata di una propria volontà e di procedure per manifestarla. L’argomentazione di

Savigny è semplice ed efficace: se lo stesso concetto di persona era stato applicato all’uomo, proprio al fine di 'gradare' la sua condizione giuridica36, allo stesso modo persona può essere anche una collettività. In questo modo un gruppo d’individui è reso una persona e, come tale, lo si annovera tra i soggetti di diritto in virtù di questa finzione. Chiarissimo il testo di Savigny: «La capacità giuridica fu da noi dimostrata come coincidente col concetto dell'uomo singolo. La consideriamo ora come estesa a subietti artificiali, creati per semplice finzione. Tale subietto vien chiamato da noi persona giuridica, cioè persona che è ammessa solamente per uno scopo giuridico. In essa troviamo un nuovo soggetto di rapporti di diritto oltre l'uomo singolo»37. Sulla rilevanza della finzione anche in termini costitutivi del concetto stesso torna spesso Savigny: interessante ad esempio è la consapevolezza con la quale egli si allontani dal precedente concetto di persona moralis. «Prima era molto usato il nome di persona morale, che io rigetto per due ragioni: in primo luogo, perché esso in generale non tocca ciò che vi ha di essenziale in questo concetto, dove non entra per nulla alcun rapporto morale. In secondo luogo, perché quella espressione è appropriata piuttosto

35 Oltre ai volumi, particolarmente i primi due, del Das deutsches Genossenschaftsrecht, si può fare fierimento a DP I, pp 461-464. Altre indicazioni, infra cap. II. 36 F. C. Savigny, System des heutigen römischen Rechts, Veit, Berlin 1840-1849, trad. it. Sistema del diritto romano attuale, a cura di V. Scialoja, Utet, Torino, 1886-1898: «Il concetto primitivo della persona ossia del soggetto di diritto deve coincidere col concetto dell'uomo, e questa primitiva identità dei due concetti si può esprimere con la seguente formula: Ogni singolo uomo, e solo l'uomo singolo, è capace di diritto. Tuttavia questo primitivo concetto della persona può dal diritto positivo ricevere modificazioni […] limitative ed estensive […]. Può cioè, in pirmo luogo, negarsi a taluni singoli uomini, in tutto o in parte, la capacità giuridica. Può in secondo luogo, estendere la capacità a qualche altro ente, oltre l'uomo singolo, e così può artificialmente formarsi una persona giuridica», pp. 1-2. 37 Ivi, p. 240. Analoghe considerazioni sono svolte da Puchta: «Die Menschen sind die natürlichen Personen, indem bei ihnen die Persönlichkeit an ein Subject von natürlichen Dasein geknüpft ist. Das Recht hat aber auch Personen ausgestellt, die eine bloß ideelle Existenz haben, insofern das Subject der Persönlichkeit bei ihnen nur ein Begriff ist, entweder ein Verein natürlicher Personen, universitas personarum, oder ein Vermögen, universitas bonorum», cfr. G. F. Puchta, Pandekten, Verlag von Johann Ambrosius Barth, Leipzig 1872 §25, p. 39.

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ad indicare, tra i singoli uomini, quelli che sono gli opposti degli immorali, di guisa che quel nome richiama il nostro pensiero ad un ordine di idee affatto diverso»38. Ovviamente, in questa costruzione, lo Stato è titolare del potere di stabilire le modalità attraverso cui questa finzione viene realizzata, ovvero attraverso cui si attribuisce la personalità.

Nell'ipotesi germanista, invece, il diritto «[...] non crea la personalità, piuttosto la trova e la ricopre con una determinata facoltà giuridica»39. Si tratta, cioè, di definire la persona giuridica «vera e reale come l'uomo stesso» 40: in questo modo la definizione gierkiana permette di evitare la connessione obbligata con lo Stato e, anzi, di porre il fondamento di esistenza della persona giuridica « *<+ o in un processo storico politico o in un atto costitutivo, per mezzo del quale una volontà non individuale è resa autonoma ed è incorporata in un organismo vitale»41.

Ecco perché, qualche anno dopo la formulazione della voce nel Lexikon, nel 1895

Gierke tenterà una sorta di pulizia concettuale, ritenendo insignificante o fuorviante il concetto di persona giuridica e preferendo quello di Verbandspersönlichkeit per cui la persona collettiva è «una persona reale e completa come la persona singola tuttavia nei confronti di questa una persona composita [zusammengesetzte]»42.

A questo punto è possibile formulare una preliminare valutazione. Pur con questa differenza lessicale e di utilizzo dei concetti giuridici, la progressione gierkiana dalla

38 F. C. Savigny, Sistema del diritto romano attuale, cit. pp. 244-245. Merito di Savigny, riconosciuto dallo stesso Gierke, è dunque, la trasformazione del vuoto collettivo di persona morale in un individuo artificiale autosufficiente quale centro del diritto di gruppo. La traduzione normativa dell'impostazione savigniana trovava piena realizzazione nel processo di codificazione, sul quale Gierke scriveva, a proposito della primo progetto di Codice: «Die juristische Person des Entwurf ist, wie schon mehrfach bemerkt wurde, das wohlbekannte künstliche Individuum, welches durch eine Fiktion ins Dasein gerufen wird, um als Träger eines der Herrschaft der einzelnen Menschen als solcher entzogenen Vermögens die leere Stelle des in Wirklichkeit fehlenden Rechtssubjektes auszufüllen». O. Gierke, Der Entwurf eines bürgerlichen Gesetzbuch und das deutsche Recht, Verlag von Dunker & Humblot, Leipzig 1889, rist. Keipp Verlag, Goldbach 1997, p. 145. 39 O. Gierke, voce juristische Person, cit., p. 421. 40 Ivi, p. 420. 41 Ivi, p. 421. 42 DP I pp. 469-470: «Der heute gebräuchlichste Name für Verbandsperson ist der erst in unserem Jahrhundert üblich gewordene Name „juristische Person'“, der an sich entweder nichtssagend oder irreführend ist. Die im Mittelalter aufgekommenen Bezeichnungen der Verbandsperson als einer „fingierten“, „vorgestellten“ oder „erdichteten“ Person stehen und fallen mit der Fiktionstheorie. Bereits seit längerer Zeit ist der Ausdruck „mystische Person“ verschwunden. Der von Pufendorf geprägte Name „zusammengesetzte Person“ gerieth schon bei den späteren Naturrechtslehrern in Vergessenheit. Dagegen hat sich der eine Zeit lang durch das Naturrecht zu allgemeiner Herrschaft gebrachte Name „moralische Person“ trotz seiner Fehlerhaften Geburt bis heute behauptet». Le caratteristiche di questa personalità sono chiarite da Gierke nelle pagine successive: essa è reale ma, allo stesso tempo, è persona solo a causa di proposizioni giuridiche. Il diritto oggettivo non crea questa personalità ma la riconosce.

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juristische Person alla Verbandspersönlichkeit non sembra configurare pienamente quella netta e aperta ostilità con l'ipotesi romanista e savigniana, sulla quale si sono concentrati numerosi autori43. Appare quantomeno riduttivo porre la distinzione tra le due modalità di costruzione teorica nei termini di una vera alterità radicale, per cui «la categoria dei soggetti di diritto era stata, nel pensiero del Savigny, una categoria di contenuto eterogeneo: essa comprendeva entità naturali, quali uomini, ed entità ''artificiali'', le persone giuridiche. La categoria aveva assunto in Otto von Gierke, contenuto omogeneo: soggetti di diritto erano gli uomini o entità sociali dotati di qualità corrispondenti all'uomo»44.

In realtà è del tutto evidente che l'assunto da cui muovono entrambe le teorie è identico: la necessità di chiarire il concetto di soggetto di diritto poiché non può esistere un diritto senza soggetto. In questo senso la personalità è quel requisito che realizza la soggettività giuridica ed anche in Gierke assolve pienamente a questo scopo. Essa è riconosciuta anche a soggetti collettivi, quindi non esclusivamente agli individui: ma se in

Savigny essa doveva passare per la stretta strada dell'autorizzazione statale in Gierke essa preesiste allo Stato perché anche esso è un Verband come altri. È dunque a una chiara metodologia giuridica ideologicamente orientata che va ricondotta la disputa.

Se, infatti, il problema resta confinato alla questione dei soggetti di diritto, la tesi gierkiana finisce immediatamente in contraddizione perché lo Stato, per quanto specie particolare del genere comune del Verband, è il soggetto chiamato a disciplinare questa pluralità, che viene forzatamente ridotta a mera espressione di una ricchezza 'naturalistica' da normare sulla base di un comando esclusivo dello Stato. Rilevante è invece l'idea che questi gruppi possano produrre diritto per disciplinare i rapporti al proprio interno – pur nei limiti già descritti nel I capitolo – ma soprattutto l'intuizione di una sistematica che non si fonda esclusivamente sul concetto di individuo, ma che concepisca la collettività, intesa storicamente come oggetto di specifica analisi giuridica, come il luogo nel quale gli individui si relazionano reciprocamente e dal quale scaturisce l'esigenza del diritto.

43 Il primo a notare questa somiglianza, nei termini di una limitazione delle potenzialità della teoria di Gierke, fu Hugo Preuss: «Wenn Gierke (Genossenschaftstheorie, p. 631 n.21) sagt „Die Person ist eine verkörperte psychische Einheit“ u.s.w., so bleibe im Sinne der hier vertretenen Grundansicht Gierkes das Wort „verkörpert“ wohl besser fort; den durch diesen Zusatz wird immer wieder die Idee der Fiktion nahe gelegt», H.Preuss, Gemeinde, Staat, Reich als Gebietskörperschaften, Springer, Berlin 1889, p. 155, nota 56. 44 Così F. Galgano, Delle persone giuridiche. Commentario del codice civile, Zanichelli, Bologna 1969, p. 10.

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Anche in questo caso, quindi, più che a un’alterità fra istituti giuridici costruiti diversamente, bisogna fare riferimento ad una distanza nella natura del diritto e nella funzione della scienza giuridica.

È la dimensione collettiva che rende possibile la strutturazione del giuridico ed è quindi per tale ragione che sono inizialmente proprio i gruppi a produrre diritto. Con la conseguenza, decisiva, che essi non sono creazione esclusiva dello Stato, per quanto necessitino di una regolamentazione per il loro riconoscimento da parte dello Stato.

Nell'ipotesi germanista, del resto, il movimento consociativo struttura una moderna ipotesi di libertà di associazione: non si tratta, quindi, della necessità di dover pensare come reali e viventi il Gemeinwesen, quanto, piuttosto, di evitare la costruzione del diritto a partire dal singolo e dall'individuo dovendo poi scegliere la strada dell'equiparazione forzata – la fictio appunto – di realtà utili ai fini pratici ma impossibili da elaborare dogmaticamente in una prospettiva individualista.

In questo modo, parlare della Genossenschaft come realtà significa innanzitutto tener presente i compiti della scienza giuridica che non è chiamata a creare ex novo delle formule tramite le quali attribuire diritti alle collettività ma, al contrario, deve compiere un importante esercizio di ricognizione – viene qui introdotta una istanza di attenzione al sociale di grandissimo rilievo – di quali siano le forze che sono state prodotte dal corpo vivo della società. Non si può parlare però di una vera sociologia giuridica perché in

Gierke quest’ attenzione non riuscirà mai a definirsi compiutamente come una teoria e un metodo, ma resterà in tutta l’opera gierkiana coma una sorta di semplice monito e invito per il giurista.

Da qui la rilevanza assunta dai concetti di Körperschaft e di Genossenschaft, anche qui da intendere come genere, quello, e specie, questo. La Körperschaft è «un legame con una personalità che deriva da esso stesso; la sua anima è una volontà comune unitaria, il suo corpo un organismo associativo»45. La principale distinzione delle Körperschaft è quella relativa alle Gemeinden e alle Genossenschaften. In questo senso è palese l'evoluzione di

Gierke verso una semplificazione e una maggiore coerenza nello sviluppo delle tesi germaniste.

45 DP I, p. 474. Ad essi sono contrapposti le Anstalten, che ricevono personalità dall'esterno. Lo Stato si configura come la terza (ed ultima) fattispecie di Verbandspersönlichkeit, essendo costituito da elementi delle altre due modalità.

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Nel Lexikon Gierke, infatti, probabilmente causa di una relativa incertezza nella definizione teorica di alcuni concetti, definiva ancora la specie della Korporation come il caso più importante e noto della persona giuridica. Essa viene definita come una associazione di persone [Personenverein] con una propria personalità giuridica. Nell'ipotesi romanista essa poteva essere concepita come communio o universitas: nella tradizione germanista, la Korporation può assumere la dimensione della Genossenschaft, aprendosi così agli usi più diversi.

La voce Genossenschaft anticipa, inoltre, alcuni temi che diventeranno caratteristici dell'opera gierkiana: essa, a fronte di evidenti esigenze di sintesi e di chiarezza, condensa efficacemente sia il metodo che Gierke adotta ed esplicita chiaramente a cosa egli faccia riferimento quando si serve di questo concetto. Per cui se lì si faceva riferimento alle

Genossenschaften come una specificazione delle Körperschaften nel Deutsches Privatrecht si chiarisce meglio che con consociazioni pubbliche si indicano tutte quelle Körperschaften che non sono Gemeinde46. Nel Lexikon Gierke si sarebbe occupato esclusivamente di quelle

Genossenschaften in senso stretto ovvero quelle che «vengono indicate come consociazioni di mestiere ed economiche basate sull'iniziativa personale-autodifesa»47. La precisazione è preziosa perché riduce chiaramente la portata del concetto a termine tecnico, permettendo un'analisi del ruolo che Gierke assegna a questo strumento nello sviluppo sociale. Una precisazione che diventerà decisiva nel Deutsches Privatrecht proprio perché la natura stessa della öffentliche Körperschaft «consiste nell’elevazione del suo diritto sociale [Sozialrecht] elemento costitutivo dell'ordinamento giuridico»48. Di questo tipo di consociazioni fanno parte: kirchliche Körperschaften, Spezialgemeinden, Ständische Körperschaften – tra cui anche alcune consociazioni di mestiere– e consociazioni economiche che perseguano il raggiungimento di un interesse pubblico. Mentre consociazioni private sono quelle create semplicemente da un atto di volontà dei singoli membri, ne sono esempio classico la famiglia e le consociazioni economiche. È importante precisare che ad esse «non rileva solo il diritto individuale ma anche quello sociale»49.

Lo sviluppo capitalista produce una questione sociale che non può essere sottovalutata: esso elimina le vecchie forme di organizzazione economica e favorisce,

46 DP I, p. 619. 47 O. Gierke, voce Genossenschaft, cit. p. 83. 48 DP I, p. 619. 49 DP I, p. 624.

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contestualmente, lo sviluppo di nuove teorie, come quella comunista e socialista, che ritengono necessario fare affidamento esclusivamente alla potenza dello Stato – o ad un altro soggetto al suo posto – per una disciplina verticale e discendente dell'organizzazione economica e sociale. Il rischio avvertito da Gierke è di una società in eterno conflitto, perché priva di reali strumenti di mediazione e affidata alla sola regolamentazione della burocrazia statale o dell’equilibrio della forza: non si tratta di rimpiangere la vecchia struttura economica – Gierke sottolinea anche gli effetti benefici introdotti dalla nuova organizzazione economica50 – quanto piuttosto di sottolineare l'assenza, nella nuova, di strumenti di tutela dei settori più esposti alle trasformazioni indotte dal capitalismo51. In questo senso la teoria gierkiana rappresenta certamente uno stimolo per implementare le attività dello Stato e prefigura, qui distaccandosi nuovamente dalle classiche tesi liberali, il moderno Sozialstaat52.

Il presupposto da cui muove Gierke è il principio della libera associazione, in base al quale possono svilupparsi dal basso e dall'interno nuovi organismi economici i quali possono superare i limiti dell'individualismo moderno e potenziare, tramite una forza comune, gli atomi economici che la potenza del capitale ha prodotto ed espone costantemente a notevoli rischi. Solo tramite queste nuove forme consociative «i piccoli artigiani

[Handwerker] e mestieranti di sostenere la concorrenza schiacciante e logorante delle grandi imprese»53. Si avverte, dunque, il pericolo dell'eliminazione delle vecchie forme di tutela

'feudale' e della progressiva solitudine dell'individuo, abbandonato e indifeso di fronte a profonde trasformazioni sociali: l'organismo sociale rischia di disintegrarsi, gli individui di non riuscire a vivere in questa nuova forma delle relazioni economiche: il pericolo è di una disumanizzazione. Da questi 'preliminari' stimoli, il movimento consociativo ha conosciuto,

50 O. Gierke, Die Bodenbesitzverteilung und die Sicherung des Kleingrundbesitzes, in Schriften des Vereins für Socialpolitik, Bd. 58, 1893,ora anche in Aufsätze und kleinere Monographien, vol. II, cit. p. 166 [662]: «Zahlreiche wirtschaftliche Fortschritte wären ohne diese individualistische Ordnung nicht denkbar gewesen». 51 «Das Individuum hat den festen Halt verloren, den ihm die alten korporativen und feudalen Verbände in seinen wirtschaftlichen Verhältnissen verliehen» Ibidem. 52 Cfr. G. Dilcher, Genossenschaftstheorie und Sozialrecht: Ein «Juristensozialismus» Otto v. Gierkes?, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, nn. 3-4, 1975-75 «Im Industriestaat muß jedenfalls dem Kapitalrecht ein selbständiges Arbeitsrecht gegenübertreten, das der Arbeit das Ihre gibt» Ivi, cit., p. 171. «Seine Linie (zwischen Kapitalismus und Sozialismus) ist die des sozialen Rechts, der Versöhnung von Individualismus und Gemeinschaft, von römischer Form und germanischer Einheit, auf der Ebene der geschichtlich gewonnen Freiheit und Differenzierung der geistigen Funktionen», p. 336. 53 O. Gierke, voce Genossenschaft, cit., p. 84.

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in Inghilterra Francia e Germania, una complessa evoluzione: sino ai casi di associazioni di lavoratori per scopi politici, sociali ed etici, ad esempio nella forma assai nota dei sindacati.

A questo proposito solo due considerazioni incidentali. La prima riguarda una chiara propensione di Gierke di combinare elementi dell'impostazione liberale classica con una visione più attenta alle ricadute sociali di talune trasformazioni del modello economico: il principio della libera organizzazione si combina con quello della necessaria integrazione nello Stato di soggetti collettivi con compiti specifici di mediazione e di tutela dei piccoli lavoratori54. In secondo luogo, occorre segnalare come la lettura della società tedesca operata di Gierke sembra soffrire di una certa 'ristrettezza': senza voler tornare sul tema della presunta 'nostalgia' di Gierke per la società per ceti, è però evidente un limite profondo nell'analisi di Gierke della società capitalista e delle sue ripercussioni sulla struttura sociale degli Stati. Appare evidente, cioè, l'incapacità di Gierke di fare i conti pienamente con le trasformazioni prodotte dal capitalismo e, di conseguenza, a volte i rimedi prospettati risentono di questa ristrettezza, finendo per apparire strumenti spuntati.

Chiarito il senso di queste formulazioni gierkiane è possibile trarre una prima conclusione. Mosso dal convincimento di voler vivificare lo spazio intermedio tra

54 Nella critica al progetto definitivo di BGB Gierke contesta la formulazione normativa che distingue tra associazioni non economiche, che possono essere liberamente costituite, da quelle invece che perseguendo scopi economici richiedono una autorizzazione statale. Il riferimento va al Titolo 2 del BGB, con il quale veniva disciplinata la juristische Person distinguendo tra nichtwirtschaftlicher Verein [§21.: Ein Verein, dessen Zweck nicht auf einen wirthschaftlichen Geschäftsbetrieb gerichtet ist, erlangt Rechtsfähigkeit durch Eintragung in das Vereinsregister des zuständigen Amtsgerichts] e wirtschaftlicher Verein [§22.: Ein Verein, dessen Zweck auf einen wirthschaftlichen Geschäftsbetrieb gerichtet ist, erlangt in Ermangelung besonderer reichsgesetzlicher Vorschriften Rechtsfähigkeit durch staatliche Verleihung]. Per Gierke si tratta di un‟inaccettabile spada di Damocle che cade sulla testa di ogni associazione. E avanza due distinti argomenti. Innanzitutto, poiché nella complessa società capitalistica non è possibile determinare precisamente quali associazioni perseguano fini e obiettivi sozialpolitischen e quali no, si può aprire la strada ad arbitri e irregolarità: si tenga presente che il riferimento storico a cui Gierke guarda è certamente la legislazione sulle consociazioni economiche (quella prussiana è del 1867, quella dell‟impero del 1873 poi modificata e ampliata nel 1898) ma anche il divieto di costituzione delle organizzazioni socialiste, abrogato agli inizi degli anni novanta del secolo. Soprattutto, questa esclusione presuppone l'idea che gli interessi di classe, e in particolare quelli della classe lavoratrice, non siano meritevoli di essere rappresentati, anzi che la loro rappresentazione sia dannosa. «Es ist die Furcht vor der sozialdemokratischen Bewegung, die hier […] dem Gesetzgeber die Feder geführt hat». Questa paura che spinge ad una limitazione (come nel caso bismarckiano) della rappresentazione della pluralità delle consociazioni rappresenta, ai suoi occhi, non solo un'evidente lesione della giustizia ma anche una trasgressione contro le richieste di un’idonea politica sociale. Consentire alla classe lavoratrice di potersi liberamente organizzare per migliorare le proprie condizioni di vita è, dunque, non solo giusto e importante dal punto di vista della scienza giuridica che deve preservare la tenuta dell'organismo sociale, ma anche indispensabile per evitare il rischio di una deriva rivoluzionaria. È facile constare come in questa breve analisi di Gierke sono presenti tutti gli elementi classici che contraddistinguono la sua analisi: attenzione al sociale come metodologia di lavoro, scienza giuridica come socialmente orientata, stabilità del sistema come presupposto – e obiettivo – di ogni dogmatica. Cfr. O. Gierke, Das Bürgerliche Gesetzbuch und der deutsche Reichstag, Carl Heymanns Verlag, Berlin 1895, pp. 58-61.

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individuo e Stato, Gierke ha tentato di fondarne l'autonomia evitando il ritorno ad un piatto individualismo ma cercando di cogliere nel momento associativo un 'luogo', reale – cioè storicamente determinato, dotato di una propria autonomia che lo differenzia, anche eticamente, dalla mera somma degli individui. Non ha torto Gurwitsch quando ne sottolinea la dimensione morale: diversamente il problema si rivela nuovamente una questione tutta giuridica, che investe esclusivamente l'ordinamento giuridico. Questa è la realtà dei Verbände e non semplicemente la loro equiparazione agli uomini come soggetti giuridici. Essi esistono in quanto tali e non come frutto di consapevoli scelte creative, degli individui o dello Stato. In questo senso il tentativo di Gierke si traduce, giuridicamente, nella proposta dell'autonomia dei Verbände di natura consociativa, i quali si strutturano dinamicamente all'interno del complesso organismo generale, che è lo Stato. Il quale è chiamato a regolare e disciplinare il fenomeno perché acquisti una rilevanza anche giuridica: ecco perché Gierke non elimina il concetto di personalità, perché come lo Stato la riconosce agli uomini solo in alcuni casi – nonostante con il progredire del Kulturstaat essa è ormai attribuita quasi a tutti gli uomini – allo stesso modo i soggetti collettivi vengono disciplinati per avere piena rilevanza giuridica.

In questo senso Francesco Ferrara aveva insieme torto e ragione quando bollava come oscura e impraticabile la Genossenschaftslehre. Aveva ragione perché non vi è dubbio che dal punto di vista della sua applicazione pratica, la teoria gierkiana non sembrava poi distante da quella savigniana e, anzi, sembrava molto più oscura e di difficile applicazione concreta. Ecco perché nell'ambito dell’applicazione privatistica del concetto di Genossenschaft, la teoria gierkiana non è riuscita ad imporsi. Sia per una certa oscurità nella chiara definizione del concetto di Genossenschaft e per una evidente contraddizione quanto alla costruzione concettuale dell'istituto. Non si può negare, infatti, che se la teoria romanista finiva per dover ammettere la personalità di un gruppo o di una collettività, la strada germanista, nell'attribuire loro realtà e consistenza autonoma, finiva per non spiegarne affatto la natura e l'origine, dovendo fittiziamente assumerle nel novero dei soggetti giuridici.

D'altro canto Ferrara non inquadrava completamente la questione posta da Gierke perché riduceva il problema alla sua realizzazione all'interno dell'ordinamento giuridico, evitando completamente il confronto con la polemica antindividualista del XIX secolo ovvero al tentativo di attribuire rilevanza e autonomia a quella società compresa tra lo

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Stato e gli individui. In questo senso la prospettiva gierkiana palesa una doppia ambizione: autonomizzare il sociale e limitare lo Stato, anch'esso concepito come Verband e, dunque, come organismo costituito di parti e, pertanto, giuridicamente limitato dall'azione dei soggetti collettivi e da quel diritto che lega i rapporti fra il tutto e le parti55.

Proprio in questa prospettiva, sganciata dalla polemica sul novero dei soggetti di diritto, la Genossenschaftstheorie si rivela ancora oggi straordinariamente interessante. Le

Genossenschaften, infatti, rimandano a un'idea del diritto che non si riconosce nella formulazione classica di semplice sistema di norme prodotte dalla volontà di un soggetto o, nell'ipotesi meglio conosciuta da Gierke quella di Jhering, come un comando tutelato coattivamente. Genossenschaft è innanzitutto uno spazio, meglio un luogo, storicamente individuato, nel quale il giuridico non è mai riducibile ad un soggetto – sia pure la consociazione in quanto tale – ma si definisce sempre come relazione tra soggetti, i quali esistono e possono riconoscere non come individui isolati ma sempre a partire dalla relazione e dal riconoscimento degli altri.

In questo senso si può affermare che nell'ipotesi di Gierke l'individuo non è mai un

'soggetto', astratto, quanto piuttosto la concreta fisicità e individualità dell'uomo, inserita all'interno di un contesto storico-sociale la cui analisi conduce all'emersione di bisogni e interessi. Compito della scienza giuridica è rappresentato, per Gierke, dalla lettura di questi interessi e dall'individuazione di modi specifiche per contemperare gli interessi individuali e quelli della Allgemeinheit.

Prima di verificare ulteriormente le conseguenze di questa impostazione, è necessario verificare nel dettaglio alcune degli sviluppi nella teoria di Gierke, in particolare quanto al citato superamento della tradizionale dialettica di diritto pubblico e diritto privato, nell'ambito della critica alla codificazione, e sui principali concetti giuridici che

Gierke tenta di ridefinire attraverso una critica dell’impostazione tradizione.

55 È stato detto, cfr. infra cap. II, che questo organicismo non fonda un pluralismo giuridico ante litteram per via della chiusura del sistema che Gierke opera sovrapponendo a questa pluralità di consociazioni la Genossenschaft suprema e sovrana dello Stato; una sovrapposizione che schiaccia le altre consociazioni e le riduce a 'mediatori' tra lo Stato e gli individui, condensando e indirizzando bisogni e desideri di questi verso gli obiettivi e le scelte di quello.

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V. Nel Natale del 1894, mentre mandava in stampa il primo volume del Deutsches

Privatrecht, Gierke spiegava le ragioni della sua decisione di interrompere i suoi studi sul

Genossenschaftsrecht e di concentrarsi sul diritto privato. Il diritto tedesco, sentenziava

Gierke, non è morto, ma la maggioranza dei giuristi procede per strade diverse, straniere, quelle del diritto romano: non è però troppo tardi e se il Corpus Iuris non è riuscito a uccidere il diritto tedesco, anche un codice civile non potrà rivelarsi mortale56. Il riferimento è, evidentemente al processo della codificazione civilistica in Germania, la cui esigenza era stata sottolineata da August Thibaut oltre mezzo secolo primo e contro il quale si era levata la voce di Savigny, dando vita alla famosa polemica dei primi anni del XIX secolo. La questione si ripresentò con l'avanzata e il successo dell'unificazione nazionale condotta dalla Prussia guidata da Otto Bismarck. Completata l'unificazione nazionale della

Germania, si decise di avviare il processo di codificazione nazionale 57 , nonostante numerose perplessità di diversa natura, in parte risalenti alla nota polemica del 1814 tra

Savigny e Thibaut, in parte a ragioni di opportunità politica.

I lavori di una Prima commissione si aprirono il 19 settembre 187458: a presiederla era

Heinrich Eduard Pape, presidente del Reichsoberhandelsgerichts, e ne facevano parte altri dieci membri, tra cui Bernahrd Windscheid. Il primo progetto frutto dei lavori della commissione fu pubblicato alla fine del 1887: si trattava di «[...] un caratteristico documento dell'ormai morente positivismo giuridico»59. Su questo testo, frutto del lavoro di un élite di scienziati, caratterizzato da linguaggio scientifico encomiabile ma distante, alieno dalla vita quotidiana della nazione, si concentrarono numerose critiche, fra cui quella di Otto Gierke,

56 DP I, pp. V e VI dell'introduzione. 57 L'estensione della competenza del Reich al complesso del diritto civile venne realizzata il 12 dicembre 1873 su proposta dei deputati nazional-liberali: venne così aperta la strada al codice civile. Su questo aspetto e sugli aspetti del lungo processo di codificazione resta indispensabile punto di riferimento F. Wieacker, Privatrechtsgeschichte der Neuzeit unter besonderer Berücksichtigung der deutschen Entwicklung, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1967, trad. it Storia del diritto privato moderno con particolare riguardo alla Germania, Giuffrè, Milano 1980, a cura di S. Fusco, II vol., pp. 177-206 e in particolare la valutazione del progetto definitivo come compenetrazione di istanze liberali e conservatrici, pp. 193 e ss.. Efficace sintesi della lunga e accidentata fase – durata oltre dieci anni – di trasferimento delle competenze sul diritto civile, di quello penale e del gerichtliche Verfahren è in Handbuch der Quellen und Literatur der neueren europäischen Privatrechtsgeschichte, a cura di H. Coing, III. Band, II. Teilband, C.H.Beck'sche Verlagsbuchhandlung, München 1982, pp. 1575-1578. 58 Dopo la prima riunione e l'adozione di un piano di lavoro, le attività principali della commissione iniziarono il 1 ottobre 1881, con l'adozione di un regolamento interno. Su questi aspetti sempre utile è la sintesi contenuta nell'Handbuch der Quellen und Literatur der neueren europäischen Privatrechtsgeschichte, cit. pp. 1586 e ss.. 59 F. Wieacker, Op.cit, p. 179.

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che proprio a questo primo progetto dedicò numerose pagine dense e impegnative, complessivamente segnate da una valutazione più che negativa del progetto60.

Il 5 gennaio 1890 si insediò la Seconda commissione, costituita da dieci, successivamente undici, membri fissi [ständige Mitglieder] e da altri dodici, poi tredici, non permanenti [nichtständige Mitglieder] – prevalentemente esponenti del mondo economico e produttivo per evitare l'astrattezza e la lontananza dalla vita reale che avevano contraddistinti il primo progetto61– : cinque anni dopo, il 24 ottobre 1895, venne pubblicato un secondo progetto insieme con una corposa relazione 62 . Successive, scarse modifiche

[Entwurf III] non intaccarono la sostanza di questo testo, frutto di un compromesso fra più tendenze e interessi della Germania di fine secolo: il 18 agosto 1896 il Kaiser Guglielmo II approvò la legge e il ventiquattro dello steso mese il Bürgerliches Gesetzbuch für das Deutsche

Reich apparve nella Gazzetta ufficiale dell'Impero ed entrò in vigore il primo gennaio 1900.

Fatta questa breve premessa è indispensabile cercare di individuare i motivi della critica che Otto Gierke muoveva a questo processo: a partire, infatti, da questa critica, è possibile ricostruire, attraverso il tramite del diritto sociale, anche la natura propria del

Rechtsidee nel giurista di Stettin.

La critica di Gierke si rivolge prevalentemente contro la natura romanista dell'impianto dei progetti di Codice, se ne contesta non tanto l'utilizzo di concetti provenienti dal diritto romano ma l'adesione incondizionata alle forme più radicali della giurisprudenza concettuale ignorando anche le riserve sollevate in alcuni ambienti romanisti: «Se sin dall'inizio, la bozza, in riferimento alla vita organizzata in comune, era decisa a restare fedele alla sua tendenza dominante individualista e non una volta, davanti

60 Una prima esposizione di questa critica apparve tra il 1888 e il 1889 divisa in sezioni nello Schmollers Jahrbuch für Gesetzgebung, Verwaltung und Volkswirkschaft, voll. XII e XIII. Successivamente Gierke la ampliò e la pubblicò in un testo unico, Der Entwurf eines bürgerlichen Gesetzbuch und das deustche Recht, cit.: per le note si farà riferimento a quest'opera con la sigla Anti-BGB I. La critica di Gierke al primo progetto è al centro di due dissertazioni dottorali: Thomas Haack, Otto von Gierkes Kritik am ersten Entwurf des Bürgerlichen Gesetzbuch, Lang, Frankfurt am Main 1997 e Christian Matthias Pfenning, Die Kritik von Otto von Gierke am ersten Entwurf eines bürgerlichen Gesetzbuches, Cuvillier, Göttingen 1997. 61 Con scarsi risultati secondo Wieacker: «[...] essi piegarono il capo di fronte all'autorità del noto specialista, evidentemente senza far valere con la necessaria decisione la propria esperienza pratica» F. Wieacker, op cit, p. 185. 62 Nonostante «Die zweite Lesung hat […] manche Verbesserung gebracht», DP I, p. 25, Gierke non trovò soddisfacente neanche questa versione. Le sue critiche apparvero sul Täglichen Rundschau dal 1 al 14 gennaio 1896 e furono raccolte successivamente in un volume unico, Das bürgerliche Gesetzbuch und der Deutsche Reichstag, Carl Haymanns Verlag, 1896: la sigla per quest'opera è Anti- BGB II.

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alle grandi imprese dello spirito associativo germanista, a sacrificare il dogma della pandettistica ortodossa, sviluppato da tempo dalla più libera scienza romanista, in nessun modo essa poté così creare un diritto conforme anche solo in parte alla vita tedesca del presente!»63. È così chiamato in causa lo stesso Jhering «Nella campagna, che egli ha condotto dall'ambito del diritto romano contro il romanismo, lo consideriamo, dall'ambito della scienza giuridica germanista, come nostro alleato. Sappiamo, dunque, di essere d'accordo con tutti quei romanisti imparziali che, pur volendo collocare al vertice il diritto romano, di cui si fidano, e guardare con distacco quel diritto germanico, noto, di solito, esclusivamente in cerchie ristrette, combattono tuttavia quel particolare genere romanista, la giurisprudenza dei concetti, che nel progetto di BGB conduce il proprio gioco»64.

L'impostazione romanista presuppone un individualismo che rende i singoli individui centrali, monadi in sé conchiuse, ai quali attribuire diritti e facoltà. «Cosa significa individualizzazione? Obblighi normativi non sono più fissati, nella loro produzione reale come anche nella loro giustificazione etica, in Dio o in un astratto ordinamento mondiale naturale *<+ ma nel singolo uomo, ad esempio nella forma del contratto politico in Hobbes, Locke, Rousseau e Kant»65.

Il singolo diventa così un dominus, al quale fa da contraltare lo Stato assoluto.

Questa impostazione, cioè, produce, in ambito di teoria dello Stato, una assolutizzazione del concetto di individuo e di Allgemeinheit, deviando pericolosamente a giudizio di Gierke, dall'impostazione dialettica, di mediazione tra Einheit e Freiheit. In ambito più schiettamente giuridico, invece, essa presuppone quella distinzione classica tra diritto privato e diritto pubblico – statale – proprio perché individuo e Allgemeinheit sono due mondi diversi e separati, i cui interessi e scopi sono necessariamente diversi e possono anche confliggere.

La critica di Gierke, invece, muove dall'idea che lo scopo del diritto non sia un'entità astratta, ma esattamente la ragione per cui il diritto sorge, un’aristotelica causa efficiente, individuata nella tensione tra i due poli che agiscono nella storia, ovvero, più

63 Anti-BGB I, p.144. 64 Anti BGB I, p. 23. 65 Cfr. D. v. der Pfordten, Zur Differenzierung von Recht, Moral und Ethik, in Recht und Moral, a cura di H. J. Sandühler, Felix Meiner Verlag, Hamburg 2010, pp.33-48. Come si vede, la questione, già emersa, della comune ricaduta, in ambito privatisico e pubblicistico, della impostazione romanista, come pure dei suoi presupposti ideologici, è una vera costante dell‟opera gierkiana.

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chiaramente, nella cura e nella tutela del corpo organico. Tale tutela è stata affidata per secoli alla cultura germanista che non conosceva una contrapposizione netta e marcata tra i due ambiti, ma che, anzi, ne tentava un’integrazione, grazie alla quale può oggi svilupparsi nuovamente un diritto sociale66. Torna inoltre, in modo espresso, la connessione ideologica tra diritto romano e interessi del capitalismo: «Poiché il primo progetto era romanista, esso era anche individualista e capitalistico»67.

Per tutte queste ragioni, la pubblicazione del primo progetto del BGB parve a

Gierke solo materia straniera [ein fremdartiger Stoff], un compendio delle Pandette travasato in paragrafi di legge68. La valutazione del secondo progetto non è meno articolata69. «Il secondo progetto è meno dottrinario, meno influenzato dal romanismo e dall’individualismo; tenta, non del tutto senza successo, di parlare un linguaggio più umano, apre la porta, che era rimasta sbarrata dal Primo progetto, alle teorie germaniste e s'imbatte in nuove definizioni nelle quale soffia uno spirito sociale»70 ciononostante «Nel suo nucleo il primo progetto è rimasto intatto. Il vecchio non prevale soltanto esternamente: il cuore più profondo dell'opera è preservato. *<+ Si tratta di una mera revisione. Non è il prodotto di un nuovo spirito: il secondo progetto non è che la riformulazione del primo»71.

Gierke insiste sul carattere politico del processo di codificazione, che dimentica, invece, il suo scopo sociale. Questo carattere politico coincide con l'attribuzione al legislatore di un’onnipotenza giuridica e con la riduzione di tutto il diritto al suo comando.

In questo modo, si tradisce non solo l'impianto storico dal quale Gierke non può recedere, cioè l'idea che il diritto abbia una consistenza determinata storicamente, ma anche quello sociale. Si disarticola, così, il complesso organismo sociale, inteso come compenetrazione e articolazione delle Genossenschaften, attribuendo allo Stato un compito che esso non può

66 «Wir besinnen uns wiederum auf die Einheit alles Rechts, wir nehmen in den Zweck des öffentlichen Rechtes die Freiheit und in den Zweck des Privatrechts die Gemeinschaft auf» Gierke, Die soziale Aufgabe, cit. p. 8 [612]. 67 Anti-BGB II, p. 46. 68 Anti-BGB I, p. 2. 69 Sono introdotte sei questioni con le quali Otto Gierke riprende i temi affrontati nel corso della critica al Primo progetto: “I. Può il Reichstag esonerasi da un approfondito esame del Progetto di un Codice civile? II. È sufficiente che il Secondo progetto sia migliore del Primo? III. Il progetto contiene diritto popolare [volksthümliches]? IV. Il progetto contiene diritto tedesco?, V. Il progetto contiene diritto sociale?, VI. Cosa dovrebbe fare il Reichstag se dall'esame risultasse che il Progetto, così come esso appare, non possa essere elevato a Codice?”. 70 Anti-BGB II, p.7. 71 Anti-BGB II, p. 8.

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avere perché il diritto dovrebbe pervadere l'intero organismo sociale e non emanare direttamente da una delle sue parti, per quanto quella più rilevante.

In questo senso occorre leggere la questione relativa al carattere volkstümlich del diritto72: si tratta di una delle caratteristiche che dovrebbe possedere il Codice al fine di definire un diritto volkstümlich, deutsch, schöpferisch e, ovviamente, sozial.

Con la prima delle qualificazioni assegnate al codice – volkstümlich – Gierke intende contrapporre ad un'idea del diritto fondata sulla sua estraneità al popolo – perché frutto della volontà dello Stato o di una classe di esperti chiamati a interpretare il Volksgeist e ad assicurare l'evoluzione del diritto – quella che invece valorizza la partecipazione del popolo alla formazione del giuridico, che da esso emana, non nel senso di una ennesima riduzione meccanicistica del diritto alla volontà del Volk, ma di una connessione necessaria tra il diritto, la sua evoluzione e gli interessi sociali che storicamente vengono a determinarsi: il costante riferimento alla dialettica tra Einheit e Freiheit consente di tenere insieme l'evoluzione di questi interessi con la tenuta complessiva dell'organismo sociale.

Il carattere volksthümlich73 del BGB va analizzato nel senso di una vera e propria questione 'costituzionale': quando denuncia il carattere specialistico del codice – un testo elaborato dai giuristi e comprensibile esclusivamente ad essi74 – Gierke richiama la classe dei giuristi ad un atto di responsabilità nei confronti del popolo tedesco. Ovvero, non è più pensabile un diritto come una sorta di arcana imperii al servizio esclusivo dello

Staatsoberhaupt, con i giuristi ridotti a notai del potere. Chiarita l'importanza dei giudici nell'assetto costituzionale75, il diritto deve diventare un linguaggio comprensibile di uso quotidiano da parte dei cittadini, per le necessità delle famiglie e dell'economia. «Un codice che pensa e parla alla maniera del popolo [volksthümlich+ *<+ sviluppa una pratica valida e libera, che continuamente produce e rafforza l'armonia tra il diritto scritto e la coscienza

72 Nell'introdurre la critica al primo progetto Gierke si era chiesto:«Schöpft er [der Entwurf] das Recht, welches uns beherrschen soll, aus dem tiefen Born des nationalen Bewußtseins? Spricht er deutsch zum deutschen Volke […]?» Anti-BGB I, p. 1. «Die Erfordernisse des Lebens und nicht durch formal- logische Ableitung aus dem System gewonnenen Begriffe müssen für den Inhalt des künftigen Gesetzbuches bestimmen sein», A. Janssen, Otto von Gierke Methode der geschichtlichen Rechtswissenschaft. Studien zu den Wegen und Formen seines juristischen Denkens, Dissertation zur Erlangung des Doktorgrades der Juristische Fakultät des Georg Universität Göttingen, Musterschmidt, Göttingen Frankfurt Zürich, 1972, p. 63. 73 Ovvero relativa all'aspetto linguistico, esterno, e a quello della costruzione teorica, interna: entrambi concorrono a definire la formulazione della legge. 74 Anti-BGB II pp. 11-12. 75 Sulla quale cfr. infra cap. II.

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giuridica [Rechtsbewusstsein] del popolo» 76 . In tal senso va anche riferito l'aggettivo schöpferisch, un carattere che «provenga dallo spirito del nostro popolo e del nostro tempo»77.

Se è vero che, tra il primo e il secondo progetto, si registrano sensibili miglioramenti

– «se si confrontano i paragrafi vecchi con quelli nuovi, ci si chiede stupiti come sia stato possibile che la prima volta potesse essere scelto un così impossibile modo di parlare

[Redeweise]»78 – il risultato finale sembra ben lontano dalle aspettative di Gierke79.

Il carattere tedesco del diritto va colto nella necessità, profondamente avvertita da

Gierke, di completare il processo di unificazione nazionale, evitando che proprio la sistematizzazione del diritto avvenga in modo specialistico, dimenticando completamente il carattere nazionale del diritto, necessario a rendere il Recht la dimora [Heim] del popolo tedesco. Se il primo progetto non solo aveva preferito il diritto romano, ma aveva modellato il materiale giuridico tedesco in forme concettuali romanistiche80, il secondo progetto è, invece, chiaramente tedesco81. Nonostante gli indubbi progressi compiuti nel senso di una maggiore attenzione alle specificità del diritto tedesco, quando Gierke passa ad analizzare i singoli istituti, il giudizio cambia e si fa più negativo: il carattere tedesco, ad una valutazione più attenta, non riesce comunque ad imporsi sul triplice carattere che permane anche nel secondo progetto, ovvero la saldatura del romanismo, dell'individualismo e del capitalismo. Il caso del diritto di famiglia è emblematico.

La critica di Gierke si concentra soprattutto sulla mancata valorizzazione del matrimonio come istituto capace di definire una nuova comunità – la comunità coniugale come unità di persone –, e della sua conseguente costruzione individualista. «Esso [il progetto di codice] accorda alla moglie il potere domestico [Schlüsselgewalt] di origine tedesca, tuttavia lo costruisce come rappresentanza [Vertretung] dell'uomo nell'esecuzione dei suoi affari. Al marito sottrae non solo il potere maritale, ma anche ogni potere di rappresentanza

[Vertretungsmacht], tanto che egli può sbrigare affari della moglie solo in ragione di un

76 Anti-BGB II, p. 12. 77 Anti BGB I, p. 26. È evidente, in queste formulazioni, la distanza con il Volksgeist di Savigny. 78 Anti-BGB II, p. 13. 79 «Leider aber hat die zweite Kommission sich nicht entschlossen, mit der Sprache des ersten Entwurfes völlig zu brechen» Ibidem. 80 Anti-BGB II, p. 24. 81 «Er hat nicht nur eine Anzahl deutscher Rechtssätze, den der erste Entwurf feindlich entgegengetreten war, zur Anerkennung gebracht, sondern auch einige deutsche Rechtsgedanken eingelassen» Anti- BGB II, p. 25 Tant'è che Papiniano si sarebbe meravigliato se avesse potuto leggere questo codice.

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mandato. La moglie fa uso della capacità di agire [Geschäftsfähigkeit] che le è stata conferita, così il marito deve starsene a guardare, finché si tratta solo di vincoli patrimoniali. Per contro, egli riceve un nuovo diritto di revoca senza termine, se la moglie si obbliga senza il suo consenso o quello del giudice tutelare ''ad una prestazione procurata da lei in persona''

(ad esempio come insegnate, attrice, operaia) *<+. Un’ingiusta supposizione deve parlarsi per il possesso esclusivo del marito su tutte i beni mobili che si trovano nel possesso di uno o di entrambi i coniugi»82. Similmente, di una vera comunità non si può parlare anche nel caso del rapporto tra genitori e figli, la cosiddetta Hausgemeinschaft. In precedenza il diritto tedesco collegava, infatti, la fine della potestà dei genitori sui figli quando si sposavano o costituivano una realtà economica propria ed autosufficiente83. Nel secondo progetto si fa invece riferimento ad un carattere esclusivamente formale, ovvero al raggiungimento della maggiore età84.

Si nota chiaramente, lungo tutta l'analisi del codice, il tentativo di recuperare classici istituti propri del diritto germanico: non si tratta, però, di semplice nostalgia o, peggio, di un atteggiamento deliberatamente ostile allo sviluppo della società tedesca, quanto piuttosto del tentativo di smascherare il carattere ideologico di questo sviluppo e di provare a ipotizzare una strada alternativa alla prospettiva individualista. È importante cogliere sin d'ora il fatto che il riferimento agli istituti germanici se, da un lato, lascia le tesi di Gierke esposte al rischio quantomeno della loro mancata attuazione pratica, dall'altro può essere interpretato come lo stimolo ad una scienza giuridica che provi sempre a cercare nuove strada e non si appiattisca alla sterile presa d'atto di quanto il sistema economico esige: su questa, in verità assi stretta, linea di confine passa gran parte del giudizio complessivo dell'opera gierkiana.

Il giudizio finale sulla bozza di BGB è, comunque, impietoso ed è esplicitato nel sesto ed ultimo paragrafo che non a caso si apre con una domanda relativa ai compiti del

Reichstag quanto al processo di codificazione: Was thun, cosa fare? A detta di Gierke la bozza di codice civile rappresenta un duro colpo alla forza del germanesimo e per la

82 Anti-BGB II, pp. 35-36. 83 Il riferimento di Gierke va, evidentemente, al § 210 della quarta sezione, Von Aufhebung der väterlichen Gewalt, dell‟ALR, si veda Allgemeines Landrecht für die Preußischen Staaten, a cura di H. Hattenhauer, Luchterhand, Berlin 1994, p. 395 : «Wenn ein Sohn nach erlangter Großjährigkeit eine eigne von den Aeltern abgesonderte Wirtschaft erreichtet: so geht er dadurch aus der väterlichen Gewalt». 84 Anti-BGB II, p. 37.

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nazione tedesca una sconfitta paragonabile solo ad una dissoluzione dell'unità del Reich così faticosamente raggiunta 85 . La critica però investe nuovamente il processo di codificazione in quanto tale che, dunque, non produrrebbe risultati migliori anche nel caso in cui fosse nominata una terza commissione incaricata di produrre una nuova bozza

(resterebbero gli errori delle prime bozze e il risultato continuerebbe ad essere puramente raffazzonato). Meglio sarebbe immaginare un’unificazione giuridica per passi singoli

[stückweise], ovvero tramite leggi ad hoc che provvedano, ad esempio, ad una razionalizzazione del diritto delle obbligazioni o a chiarire la posizione delle associazioni

[Vereine] nell'ordinamento giuridico86.

La critica alla codificazione si fonda dunque su una metodologia giuridica alternativa, da Gierke costruita su una impostazione storicista, che lo porta ad analizzare sempre le reali condizioni nei quali i soggetti agiscono. Ecco perché torna costantemente il riferimento al capitalismo come sistema economico e sociale che produce squilibri alterando il vecchio ordine preesistente. La tesi di Gierke, occorre ribadirlo, non è nostalgica, seppure egli dissemini i propri testi con valutazioni e commenti che potrebbero autorizzare il lettore a quel tipo di giudizio. In realtà è proprio il riferimento allo sviluppo capitalistico a proiettare Gierke verso il futuro, piuttosto che farne un romantico aedo di una mitica età dell'oro. Il capitalismo, infatti, produce squilibri sociali che vanno gestiti e non semplicemente codificati come fa la scienza romanista. Gierke ha colto la connessione tra l'impianto romanista e le esigenze del capitalismo e prova ad individuare un'altra strada per la scienza giuridica: il riferimento al diritto germanico è proprio il tentativo di indicare una strada alternativa. In questo senso è significativa ed emblematica, ad esempio, la critica al II progetto per la mancata previsione di adeguate tutele per gli affittuari, esposti al rischio di sfruttamenti usurai 87 . Gierke non dimenticava di sottolineare come un progresso sia stato fatto, ad esempio, nella previsione di obblighi specifici per i datori di lavoro perché assumano provvedimenti necessari ad assicurare la vita e la salute dei lavoratori: previsione che secondo Gierke emana spirito sociale88. O come quando, criticando l'astratta e illimitata libertà contrattuale – presupposto qualificante il moderno capitalismo

– la qualificava come null'altro che «un'arma tremenda nelle mani dei forti, un arnese

85 Anti-BGB II, p. 68. Concetto ribadito anche precedentemente «Es könnte sich zeigen, daß die äußere Rechtseinheit mit einer Einbuße an innerer Einheit der Nation erkauft wurde» p. 64. 86 Anti-BGB II, p. 67 87 Anti-BGB II, p. 50. 88 Anti-BGB II, p. 54.

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spuntato nelle mani dei deboli, diventa così mezzo per l'oppressione degli uni sugli altri, per lo spietato sfruttamento della superiorità spirituale ed economica»89.

Oltre al dato storico, c'è, però, una componente 'dogmatica' che è definita dal sistema organicista o, per restare al lessico gierkiano, dall'articolazione delle

Genossenschaften. Quest’ articolazione – non rilevano qui gli aspetti relativi alla coerenza complessiva dell'argomentazione gierkiana, per i quali si faccia riferimento al cap. II – produce il Gemein, l'ambito occupato da soggetti singoli e collettivi e non riducibile a nessuno di essi. In questo modo si determina un diritto individuale e uno sociale. Il primo disciplina il singolo come parte di diverse Allgemeinheiten, tutelandone così la libertà intesa come libertà all'interno delle consociazioni: dalla famiglia alle consociazioni economiche, il singolo è tutelato sempre in base al posto che egli occupa all'interno dei contesti comuni dove egli vive e si realizza pienamente. A questo si aggiunge proprio l'organismo sociale, sia nel suo complesso che come articolazione di parti diverse e gerarchicamente organizzate. Con parole di Gierke: «Diritto individuale è il diritto che pone in rapporto l'uno con l'altro i titolari umani della volontà come nature singole. Il diritto individuale considera perciò i singoli uomini come unità in sé chiuse. Riguarda anche le associazioni umane, quando e nella misura in cui esso le equipari agli individui come unità riunite. Il diritto individuale si basa sul rapporto di coordinazione e deriva dall’indipendenza

[Ungebundenheit] del soggetto. Diritto sociale è il diritto che ordina le relazioni dei titolari umani della volontà come natura sociale. Il diritto sociale considera i singoli uomini come parte di un tutto più grande, le associazioni umane come tutti sociali (collettività) o ancora membra di un tutto associativo più grande. *<+ Oggi diritto privato è il diritto di tutti gli individui e inoltre quel diritto sociale che non è incorporato al diritto pubblico attraverso una proposizione statale; per cui anche il diritto di famiglia, il diritto delle società e il diritto delle corporazioni delle associazioni private. Diritto pubblico è tutto il diritto dello

Stato, ovvero tutto il diritto che considera lo Stato come tutto e i singoli uomini come pure le restanti associazioni come membro dello Stato, e inoltre quel diritto sociale che per la condizione delle comunità ad esso subordinato è riconosciuto come pubblico, perciò anche

89 O. Gierke, Die soziale Aufgabe des Privatrecht, cit., pp. 22-23 [626-627] e continua molto chiaramente: «Das Gesetz, welches mit rücksichtslosem Formalismus aus der freien rechtsgeschäftlichen Bewegung die gewollten oder als gewollt anzunehmenden Folgen entspringen läßt, bringt unter dem Schein einer Friedensordnung des bellum omnium contra omnes in legale Formen»

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il diritto della chiesa, del comune, il dritto delle consociazioni pubbliche e quello internazionale»90.

Il diritto sociale, può essere inteso in due modi91. Come Sozialrecht e come soziales

Recht. Questo è una parte dell'ordinamento giuridico che da un lato armonizza la tutela della propria autonomia con le altre funzioni sociali e dall'altro assicura la superiore unità della funzione sociale del diritto sulle sue differenti e necessarie ramificazioni. Il Sozialrecht, invece, è quella parte dell'ordinamento giuridico che disciplina le relazioni interne di comunità rilevanti giuridicamente, che considera il singolo sempre nella sua posizione giuridica di membro di una comunità.

Quest'ultima distinzione è indubbiamente efficace dal punto di vista descrittivo, ma non deve far pensare ad una contrapposizione netta tra i due sistemi: in realtà Gierke torna costantemente al tema dell'unità del diritto e sulla sua necessaria riunificazione, contro le tesi dominanti che prevedevano una netta distinzione tra l'ambito privatistico e quello pubblicistico. Della citata distinzione occorre tenere presente che quello che più rileva, nel concetto di diritto sociale, è il costante riferimento ad una 'quota' del giuridico che non può essere ricondotto alla tradizionale distinzione tra ciò che spetta al singolo e ciò che spetta allo Stato, perché la natura del diritto sta proprio nella sua dimensione relazione tra istanze individuali e processi tendenti all'unificazione. L'unità può essere pensata solo in diretta connessione con il Gemein, ovvero come compenetrazione e sintesi – si potrebbe azzardare come Aufhebung vista l'evidente influenza hegeliana sull'intera produzione di Gierke – delle istanze individuali e di quelle generali. In questa dialettica, che si struttura orizzontalmente – tra vari soggetti singoli e collettivi – e verticalmente – nella articolazione gerarchica delle Genossenschaften – si definisce l'ambito proprio del giuridico, del quale rileva anche un carattere specifico, una qualità essenziale – l'idea del diritto – rappresentata proprio dalla tutela del Gemein, e cioè dalla subordinazione degli interessi individuali e particolari a quelli complessivi. O meglio dalla possibilità di realizzare quelli solo a patto della loro compenetrazione in quelli della Allgemeinheit.

90 DP I, p. 26-27. 91 Si è soffermata su questa precisazione Susanne Pfeiffer-Munz nella sua tesi dottorale all'università di Berna, cfr. Id, Soziales Recht, ist deutsches Recht. Otto von Gierkes Theorie des sozialen Recht untersucht anhand seiner Stellungnahmen zur deutschen und zur schweizerischen Privatrechtskodifikation, Schultess Polygraphischer Verlag, Zürich 1979, p.27.

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VI. Il tema del diritto sociale contiene un’importante ricaduta rispetto a una delle vicende più complesse e affascinanti dell'Ottocento, sicuramente fra le più discusse: quella della proprietà. È stato sottolineato come essa, e in particolar modo una versione di quella vicenda, pervada l'intera riflessione della scienza giuridica ottocentesca 92 : nonostante l'inarrestabile potenza dell’impostazione individualista, si levarono, però, alcune voci contrarie alla vulgata dominante, fra loro diversissime per natura, scopi e ambizioni93. Una rassegna di queste voci non attiene a questa ricerca: qui occorre tener presente che Otto

Gierke costituì, in verità più per i critici successivi che per i suoi contemporanei, un contributo a suo modo originale all’impostazione tradizionale del concetto di proprietà, seppur scaturisse, più che da un’elaborazione dogmatica pienamente alternativa, da una deduzione dall'idea generale del diritto sociale e dalle funzioni ad esso assegnate. Il vero tema, dunque, è rappresentato dal tentativo di chiarire la particolarità della critica gierkiana in quest’universo di voci che si opposero alla dominante corrente individualista.

La proprietà è, non a caso, la questione che più di tutte è stata al centro di studi e discussioni, in particolare nell'opera gierkiana, tanto nella fase di contestazione alla codificazione che in quella successiva, negli scritti sul diritto privato. Proprio in riferimento alla questione della proprietà, la goccia dell'olio socialista 94 , che deve pervadere il meccanismo giuridico, si presenta anche come efficace metafora di una impostazione che

92 «L'individualismo possessivo, fortificato dall‟ascesa politica della borghesia, concretamente regolato e definito dal supporto normativo dei Codici e dalle riutilizzate tecniche romane e romanistiche, reso più aggressivo dalle ventate anti proprietarie che emergono frequenti anche se non efficaci, è l'atteggiamento dominante dell'intero secolo», P. Grossi, 'Un altro modo di possedere'. L'emersione di forme alternative di proprietà alla coscienza giuridica postunitaria, Giuffrè, Milano 1977, p. 11. 93 Ivi: «L''operazione' proprietà collettiva – che vedrà fra poco tanti combattenti con varia ingenuità ma con pari acrimonia su posizioni contrapposte – sta per essere varata[…]. Sta, infatti, per iniziare la grande disputa. La proprietà collettiva, la forma appropriativa originaria, le forme appropriative dei diversi momenti storici e dei diversi paesi, in modo particolare quella degli antichi germani, son problemi che diventeranno di qui a poco oggetto normale delle quotidiane cicalate accademiche e addirittura delle conversazioni dei salotti, con straordinaria capacità – che chiunque dimostra – di passare dall'argomento economico alla fondazione erudita, dal discorso giuridico a quello socio- etnologico», p. 114. Il testo di Grossi, nel suo ultimo capitolo (particolarmente pp. 380 e ss.) analizza anche la rilevenza che il contributo di Gierke assunse per gli autori italiani interessati a far emergere una visione alternativa al modello individualista della proprietà. 94 Gierke scrive esattamente di «ein Tropfen sozialistische Öles», da intendersi in senso letterale: solo una goccia delle istanze proprie dei movimenti socialisti può colare nel sistema giuridico e garantire la piena armonia dell'organismo complessivo, il perfetto equilibrio fra le parti che danno vita al tutto. Ein Tropfen ma non di più: i continui accenni alla polemica anticomunista e il costante riferimento ai rischi impliciti della barbarie socialista rappresentano plasticamente senso e limite dell'espressione adoperata da Gierke. Wieacker sottolinea come l'espressione derivi dall'esperienza della Paulskirche quando Ludwig Uhland ribadì la necessaria unzione con goccia abbondante di olio democratico di coloro che volessero guidare la Germania, cfr. Wieacker, Op.cit, p. 180, nota 7.

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oscilla fra le teorie prettamente individualiste e le rivendicazioni comuniste del movimento operaio per una socializzazione della proprietà, entrambe considerate da Gierke come estremamente pericolose. L'analisi gierkiana, anche in questo caso fermamente ancorata all'impostazione dialettica tra Einheit e Freiheit e a quella tra individuo e Allgemeinheit, non abbandona mai la preoccupazione di un cedimento ad una di queste due tendenze, opposte ma straordinariamente simili nella comune erosione della specificità germanica del diritto.

Proprio di fronte a questo timore, la battaglia per un diritto sociale si fa ancora più stringente.

Si tratta di ripensare completamente il modello della proprietà, proprio negli anni di maggiore affermazione del modello individualista, espresso nei lavori delle commissioni per il BGB: non pochi critici hanno sottolineato la grande modernità di questa impostazione, di contro ad una riduzione premoderna, 'conservatrice' quando non apertamente reazionaria della tesi di Gierke; ad esempio Gerhard Dilcher ne ha appunto sottolineato gli aspetti di modernità e di attenzione alle dinamiche sociali, particolarmente conflittuali, di fine Ottocento: «Accanto all'obiettivo della mobilità di un mercato della terra liberalizzato, sarebbe necessario tener conto della funzione sociale della proprietà terriera»95, cercando dunque di coniugare, correttamente, la ripresa di istituti classici del diritto germanico nella direzione di un loro utilizzo sociale.

Per entrare immediatamente al cuore del problema il testo di Gierke rende più efficacemente di qualsiasi altra sintesi. «La nostra concezione germanista è profondamente connessa alla tesi ''nessun diritto senza obbligo'', in modo che ogni diritto ha un limite ad esso immanente. Il sistema romanistico di poteri in sé illimitati, che sono ridotti solo dall'esterno attraverso poteri contrari, contraddice ogni concetto sociale del diritto. Per noi nessun potere [Herrschaft] giuridico passa solo in sé che pretenda l'interesse ragionevole in se protetto e ammettere le condizioni di vita della società. Così decade il concetto assolutistico di proprietà, come esso nei nostri testi delle Pandette si vanta e viene condotto in forma legale dalla bozza tedesca [del BGB]: ''Il proprietario di una cosa ha il diritto, di trattare la cosa con arbitrio con l'esclusione e di disporre della stessa''. Naturalmente si aggiunge subito: ''nella misura in cui non sono fondate limitazioni a questo diritti attraverso la legge o diritti di un terzo''. E quando noi cerchiamo come nel diritto vivente

95 G. Dilcher, Genossenschaftstheorie und Sozialrecht: ein «Juristensozialismus» Otto v. Gierkes, cit., p. 337.

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realmente come si comporti con queste limitazioni, scopriamo che ogni dispotismo esclusivo è una semplice finzione. Ma questa finzione è pericolosa socialmente! Essa fonda la presunzione dell'illimitatezza e bolla le limitazioni come singolarità. Alla sua base c'è tensione eccessiva del concetto di proprietà, sul quale possono trionfare tutti gli oppositori della proprietà privata. No! La proprietà privata, già in base al suo stesso concetto, non è un diritto assoluto. Tutti i limiti ad essa stabiliti negli interessi pubblici con l'inclusione della possibilità dell'esproprio sono definiti nel suo concetto e discendono dalla sua natura profonda»96. Questa lunga e densa citazione di Gierke permette di cogliere appieno il senso della 'sfida' lanciata alla scienza giuridica dominante ma definisce chiaramente anche l'idea che egli ha del concetto di diritto.

La finzione di cui parla Gierke è quella in base alla quale l'unità del diritto è riconosciuta esclusivamente nel diritto pieno e illimitato del proprietario, lo ius utendi et abutendi: un diritto che può essere limitato solo da Spezialgesetzen e, dunque, alterandone la natura propria – difesa dai germanisti – che invece consiste esattamente nell'idea che non esistano soggetti – siano essi individuali o collettivi – pienamente sovrani e che, pertanto, kein Recht ohne Pflicht97.

Nella formulazione propria dei Pandettisti, al contrario, era attribuito al singolo un diritto assoluto, salvo poi prevedere, tramite interventi speciali, limitazioni a tale diritto soggettivo98. È, però, opportuno prestare estrema attenzione al fatto che l'impostazione romanista in realtà ben si adattava alle esigenze delle classi dominanti e che, dunque, non si può parlare di una contraddizione tra gli interessi della borghesia e le norme del codice del

96 O. Gierke, Die soziale Aufgabe des Privatrechts, cit. pp. 15-16 [619-620]. 97 Il senso di questa affermazione è precisato chiaramente: «Mit dem Satze „kein Recht ohne Pflicht“ hängt innig unsere germanische Anschauung zusammen, daß jedes Recht eine ihm immanente Schranke hat. Das romanistische System an sich schrankenloser Befugnisse, welche nur von außen her durch entgegenstehende Befugnisse eingeschränkt werden, widerspricht jedem sozialen Rechtsbegriff. Uns reicht schon an sich keine rechtliche Herrschaft weiter, als das in ihr geschützte vernünftige Interesse es fordert und die Lebensbedingungen der Gesellschaft es zulassen» Ibidem. Curiosamente su questo punto c'è una straordinaria assonanza con la tesi di Marx: «Lo “ius utendi et abutendi” esprime il fatto che “la proprietà privata è diventata del tutto indipendente [unabhängig] dalla comunità [Gemeinwesen]” e “l'illusione” che essa “sia fondata sulla pura volontà privata, sul disporre ad arbitrio della cosa”» in K. Marx-F. Engels, L’ideologia tedesca, in Opere complete, Editori Riuniti, Roma, vol. V, p. 77. 98 Il § 848 del primo progetto prevedeva: «Der Eigentümer einer Sache hat das Recht mit Ausschließung anderer nach Willkür mit der Sache zu verfahren und über dieselbe zu verfügen, soweit nicht Beschränkungen dieses Rechts durch Gesetz oder durch Rechte Dritter begründet sind» Nel secondo progetto, invece, la formulazione differiva di poco: «Der Eigenthümer einer Sache kann, soweit nicht das Gesetz oder Rechte Dritter entgegenstehen, mit der Sache nach Belieben verfahren und Andere von jeder Einwirkung ausschließen»

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1900: è stato infatti chiarito che «[...] la coerenza della legislazione, e l'unità dell'istituto proprietario, venivano assicurati non già ipotizzando una impossibile esclusione dell'intervento legislativo nel settore disciplinato, bensì considerando la legislazione speciale una prosecuzione ed un continuo adattamento alle nuove realtà dei principi codificati, e non una deroga a questi»99. Di conseguenza «*<+ non sussiste un’opposizione logica tra pienezza dei poteri del proprietario ed ampia legislazione speciale [...]»100.

Gierke101, dunque, è pienamente consapevole della carica ideologica propria della formulazione romanista dell'istituto e si avvale proprio di questa connessione per sottolineare ulteriormente la necessità di una dimensione sociale della proprietà: essa non può essere limitata solo esternamente – si è visto che per questa strada non si fa altro che favorire le classi dominanti – quanto piuttosto il punto di equilibrio va individuato internamente, nel concetto stesso del diritto (inteso come rapporto tra Recht e Pflicht), tramite il bilanciamento della dimensione individuale e di quella generale, ovvero proprio nella manifestazione più evidente del diritto sociale. Detto ancora più chiaramente: nella qualificazione del Gemein come cifra del limite per i diritti individuali.

Già nella critica al primo progetto del BGB Gierke aveva sottolineato i rischi di una deriva assolutista nell'impostazione della proprietà privata102. In quel testo, infatti, era riconosciuto al singolo un potere assoluto: nel caso della proprietà terriera esso si estendeva dal centro della terra sino allo spazio ed era caratterizzato dal totale arbitrio

[willkürlicher Herrschaft] del suo titolare103. Esattamente per questa pienezza e assolutezza del diritto, eventuali limitazioni potevano «[essere] pensate solo come eccezioni alla regola

99 S. Rodotà, Il terribile diritto. Studi sulla proprietà privata, Seconda edizione ampliata, Il Mulino, Bologna 1990 p. 133. 100 Ivi., p. 134. 101 L‟idea del diritto che, come concetto, contiene tanto il Recht che il Pflicht è una costante dell‟intera analisi gierkiana: anche in questo caso l‟analisi storica prelude ad una diversità di impostazione e di funzione tra la scienza romanista e quella germanista, cfr. DdGR II p. 130: «Denn während das römische Recht ein System von eiseitigen Befugnißen war, baute sich das deutsche Recht auf dem Gedanken der Gegenseitigkeit als ein System von Rechten und Pflichten auf. Das Recht ward nicht als absolute, sondern als sittlich-beschränkte Willensmacht, als gegenseitige Beziehung verschiedener Willen zu einander, vorgestellt. Dem Römer war jedes Recht an ich eine Reine und schrankenlose Befugniß, welche nur von außen her durch andere Befugniße beschränkt oder durch gleichzeitig begründete Pflichten bedingt werden könnte: für die germanische Auffassung trug jedes Recht in sich selbst die Schranke über welche hinaus es sich zu Unrecht verkehrt hätte, und es enthielt als wesentliches und notwendiges Korrelat des Befugniß zugleich die Pflicht in sich, die nur die andere Seite derselben Beziehung zu sein schien. Diese Einheit von Recht und Pflicht, die vielfach sogar bis zu einer Identität der Namen führte, ist zu allen Zeiten ein Grundzug unseres Rechts geblieben» 102 Anti-BGB I, pp. 102 e ss. 103 Anti-BGB I, p. 323.

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specificamente fondate e dovranno essere valutate come tali sempre nel senso di eccezionalità»104: nell'ipotesi germanista, invece, una proprietà priva di qualsiasi obbligo non è pensabile. «[...] La prima bozza del BGB aderì all’impostazione romanista così decisamente come mai era possibile. Lo stesso BGB ha in nessun modo superato la torsione concettuale romanista, per quanto ne abbia accresciuto l'adesione alla teoria tedesca»105. Si tratta di un motivo ricorrente e decisivo dell'analisi di Otto Gierke, con il quale viene contestato anche il secondo progetto del BGB: «Quando nello stesso codice la proprietà terriera si presenta simile unicamente nella forma di un diritto reale privo di limiti e senza obblighi e per quanto riguarda l'alienazione e la trasmissione ereditaria è simile alla proprietà di beni mobili, appare così il concetto di proprietà individualistico e capitalistico come la sola espressione dell'idea del diritto per così dire in sé logica ed esistente per il diritto comune»106.

A cosa era rivolta, dunque, la critica di Otto Gierke? La si può ridurre ad una semplice critica all'indirizzo dominante il quale aveva però, come già ricordato, concepito efficaci strumenti per interpretare lo sviluppo del regime proprietario in un momento di rapida transizione alla società industriale mantenendo intatta la propria esigenza sistematica e i propri criteri formali? Oppure essa prelude a una critica ben più profonda, che chiama in causa la natura stessa dell'istituto e la sua compatibilità nel 'sistema'?

Entrambe le alternative sembrano poco attente alla specifica natura della critica di Gierke, o limitandola, nel primo caso, o estremizzandola pericolosamente ai fini interpretativi dell'autore della Genossenschaftslehre. Il criterio gierkiano di intendere la proprietà va individuato altrove.

Ad avviso di Gierke, il diritto contiene in sé espliciti riferimenti per la propria autolimitazione: non si tratta dunque di immaginare una serie di norme particolari che integrano – limitano – il diritto soggettivo del titolare della proprietà quanto piuttosto di salvaguardare l'unità del diritto. Questa indicazione, però, va necessariamente connessa con gli altri elementi caratteristici della teoria di Gierke, perché altrimenti rischia di restare

104 Anti-BGB I, p. 324. Ancora: «Der Entwurf des deutschen Gesetzbuches dagegen giebt die Chikane frei. Die Motive erblicken in der Freiheit des Mißbrauches gewissermaßen die Blüthe der privatrechtlichen Befugniß […]» O. Gierke, Die soziale Aufgabe des Privatrechts, cit., p. 14 (618). 105 O. Gierke, Deutsches Privatrecht, vol. II, Dunker & Humblot, Leipzig 1905, p. 361. 106 Anti-BGB II p. 47. Nella pagina precedente si rimarca: «Sharankeloser Befugniss ist es abhold, den Rechten läßt es Pflichten entsprechen, von dem Gedanken der Gegenseitigkeit geht es aus, es werts dem Missbrauch der Rechte und fordert ihren richtigen Gebrauch».

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una mera indicazione di principio, priva di qualsiasi utilità pratica. La teoria della proprietà in Gierke va dunque connessa con l'ordine delle consociazioni e con la specifica idea del diritto e, particolarmente, del diritto sociale.

È, però, indispensabile ricorrere nuovamente al testo gierkiano per meglio precisare senso e portata dei limiti che egli pone alla 'assolutezza' della proprietà. «Colui che possiede un pascolo in montagna, che scopre che una galleria passa proprio sotto il suo fondo, può bloccarne il transito. Un cavo del telefono corre sopra un angolo della mia proprietà fondiaria, allora io posso tagliarlo. Il dirigibile deve ottenere innanzitutto il permesso di tutti i proprietari dei fondi dei quali intende attraversare lo spazio aereo. Chi non è proprietario terriero, non può neanche respirare legittimamente senza permesso.

Questo non è semplicemente un diritto non sociale [unsoziales], è antisociale!»107.

Ecco, dunque, un’indicazione importante, quella relativa appunto alla dimensione sociale del diritto. In tal senso interessante è anche il riferimento alla caratteristica della proprietà nella Germania medioevale: «La proprietà tedesca contiene nel suo concetto limiti.

*<+ Anche della proprietà non si può abusare, piuttosto essa è orientata ad un giusto uso.

Definisce il suo contenuto non una forza arbitraria ma regolata giuridicamente. Ed essa non

è puro potere [Befugnis], ma contiene obblighi nei confronti della famiglia, del vicino e della generalità»108. In questo senso, quindi, rileva la duplice dimensione del diritto soggettivo: il potere riconosciuto al singolo rappresenta solo una parte del concetto di diritto, che invece si qualifica come relazione di volontà109. Accanto ai diritti del singolo ci sono obblighi corrispondenti che sono parte integrante del Rechtsbegriff.

L'unità del diritto a cui Gierke fa riferimento è indicazione essenziale: esso si caratterizza per una struttura formale e per un contenuto materiale. Come ha acutamente notato Gurwitsch, nella teoria di Gierke occorre sempre tener presente l'idea del diritto, die

Rechtsidee, che unifica questi due aspetti: essa può essere dedotta, nuovamente, solo dalla

107 O. Gierke, Die soziale Aufgabe des Privatrechts, cit., p. 17 [621]. 108 Il testo è tratto dal II volume del Deustches Privatrecht, cit., p. 358. Questo testo di Gierke è particolarmente rilevante perché redatto dopo la codificazione e l'entrata in vigore del BGB. Nonostante i tentativi finalizzati a sottolineare gli effetti della battaglia degli anni precedenti – «Unsere [heutige] Eigentumsordnung beruht auf einem modernen Eigentumsbegriffe, der aus dem Zusammenstosse germanischer und römischer Gedanken erwachsen ist» p. 361– si rivela di fatto un cedimento alla impostazione romanista. Il diritto di proprietà diventa un illimitato, per quanto solo in relazione ad altri diritti reali. Gierke prova comunque a individuare limiti interni al concetto di proprietà, cfr. p. 364. 109 Così A. Janssen, Otto von Gierkes sozialer Eigentumsbegriff, in Itinerari moderni della proprietà, Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, voll. 5/6, 1976-77, pp. 564-565.

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costruzione organica di Gierke, la quale definisce una gerarchia degli scopi110. Il passo citato precedentemente a proposito del Grundeigentum si conclude non a caso così: «Proprio chi tiene alla proprietà terriera, può sottolineare non abbastanza precisamente che essa non è una sovranità assoluta che assorbe la cosa reale [Sachkörper] ma, in ultima istanza, un diritto d'usufrutto circoscritto ad una parte del territorio nazionale»111.

La comunità diventa quindi il luogo, reale, storicamente determinato, nel quale si definiscono le priorità, i fini ultimi dell'ordinamento, i suoi obiettivi, i suoi scopi: ecco perché anche la priorità deve essere necessariamente indirizzata alla sociale Harmonie112.

Rileva, dunque, nuovamente il principio consociativo, ovvero l'armonia sociale o il

Gemeinwohl al servizio dei quali sono posti i singoli scopi individuali. Solo in questo senso, infatti, gli individui non sono tali ma parti di un tutto e i loro diritti diventano

Nutzungsrecht il cui titolare è, in ultima istanza, sempre e solo la comunità. Questo in particolare per quei beni il cui utilizzo può determinare l'impossibilità per altri di goderne:

Gierke non nega dunque in via di principio una certa assolutezza della proprietà, ma la subordina alla compatibilità con il Gemeinwohl.

Si tratta di puntare, inoltre, a un'idea 'contenutistica' del diritto: un contenuto che non è da intendersi come un ritorno a concezioni giusnaturalistiche113 quanto piuttosto a quella costante connessione tra individui e comunità che rappresenta il campo proprio del diritto e che è finalizzata a vivificare, a far progredire quel rapporto. Ovvero, in termini forse più brutali, alla tutela e al riparo della Allgemeinheit dal pericolo di frammentazione e di derive individualiste. Ecco perché anche il concetto di proprietà va decostruito a partire dalla sua dimensione storica non essendo riducibile esclusivamente all'aspetto logico formale114.

Ciò chiarito, si può ri-costruire il concetto, tenendo presente tutti gli elementi – storici e sociali – che concorrono alla sua determinazione e non, come faceva la giurisprudenza romanista, pensandolo esclusivamente come facoltà del singolo. Una

110 G. Gurwitsch, Otto v. Gierke als Rechtsphilosoph, cit., p. 96. 111 O. Gierke, Die soziale Aufgabe des Privatrechts, cit., p. 621. 112 O. Gierke, Die Bodenbesitzverteilung und die Sicherung des Kleingrundbesitzes, cit., p. 170 [666]. 113 Su questo è sempre rilevante quanto scritto da Gurwitsch. L'opzione giusnaturalista è esclusa proprio perché è in base a costruzioni di diritto naturale che si ricava un concetto assoluto della proprietà, su questo si veda anche Hans Werner Mundt nella sua dissertazione dottorale, Id, Sozialpolitische Wertungen als methodischer Ansatz in Gierkes privatrechtlichen Schriften, Frankfurt a/Mein 1976, p. 119. 114 O. Gierke, Deutsches Privatrecht, Bd. II, cit. p. 348

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siffatta ricostruzione coincide con il prevalere degli aspetti storico-sociali su quelli logico- formali. In questo senso la scienza giuridica gierkiana acquista caratteristiche e modalità di lavoro che la differenziano profondamente da quella romanista. È indubbiamente più agevole leggere il tentativo di Gierke di superare la distinzione tra diritto pubblico e diritto privato, tramite una riunificazione del diritto che sia sociale, nel quale cioè il dato formale e quello materiale possano convivere.

Ovviamente in quest’analisi, la ricerca storica serve a smentire una presunta naturalezza dell’impostazione individualista: gli studi di Gierke, sin dagli anni ’70 del XIX secolo, erano orientati a verificare la presenza di forme di proprietà germaniche originarie e, perciò, più antiche della proprietà di elaborazione romanista. Si tratta, ovviamente, non di un’indicazione progettuale e di politica del diritto – un vago e improbabile ritorno alle vecchie forme germaniche – quanto, piuttosto, del tentativo di demistificare la dimensione assoluta degli istituti romani, dimostrando che la storia della proprietà non poteva ridursi a una sola vicenda, ma doveva saper cogliere uno scenario fatto di tante sfaccettature e di una naturale pluralità. Una volta che andava in crisi l’impianto che faceva della proprietà romanista l’unica pensabile, era possibile adottare interventi del tutto nuovi, anche all’interno di uno scenario da essa dominato ormai quasi integralmente: è il caso, delle misure che Gierke propone per la protezione dei piccoli contadini115.

Quale giudizio può essere attribuito a questa impostazione? Se ne possono sottolineare gli aspetti anche radicali oppure si può qualificare la prospettiva gierkiana sulla proprietà come nulla di più che un vagheggiare – certamente carico di phatos ma privo di una efficacia concreta – una priorità del gruppo sull'individuo? Non necessariamente: entrambe le direzioni proposte sembrano inidonee a un giudizio complessivo sulla ricerca di Gierke dell'Eigentumsbegriff.

Senza negarne i limiti intrinseci116, si può affermare che la critica di Gierke era rivolta a una riduzione tutta individualista della proprietà, la cui formulazione celava un

115 Cfr. il già citato saggio Die Bodenbesitzverteilung und die Sicherung des Kleingrundbesitz, cit.. 116 È opinione di chi scrive che sono stati accentuati eccessivamente nell'opera di Gierke gli esiti della definizione del diritto a partire dal riconoscimento della sua funzione sociale. Se appare evidente che permane e si rafforza negli scritti gierkiani la polemica avversa a una riduzione individualista del regime proprietario, pur tuttavia non se ne possono celare i limiti. L'analisi sociale di Gierke, anche in questo caso, non sembra completamente consapevole della portata propria della trasformazione in atto nella società industriale. Gierke sembra ancora convinto della possibilità di una mediazione pacifica dei vari interessi in campo, anche di fronte ad istituti evidentemente incompatibili con il nuovo scenario determinato dallo sviluppo in senso capitalista. Il referente sociale di Gierke sembra essere,

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impianto ideologico incapace di proteggere il ceto dei piccoli e medi contadini dalla progressiva espulsione dal sistema produttivo. Questa 'espulsione' avrebbe inevitabilmente compromesso la stabilità del sistema, la salute dell'organismo sociale e prestato il fianco a una sua destrutturazione: una costante ricerca di stabilità del sistema è dunque motivo centrale della ricerca gierkiana.

Se si prova a relativizzare il rapporto tra individuo e comunità, in una prospettiva non necessariamente del tutto aderente all’originaria impostazione gierkiana, la proprietà assume l'importante limite dello stesso uso sociale dei beni, ovvero assume l'idea della compatibilità della distribuzione proprietaria con i fini propri di ogni organizzazione umana: all’assolutizzazione di un diritto si contrappone una impostazione che tiene conto, empiricamente, della necessaria rilevanza della destinazione sociale dei beni sottoposti al regime proprietario. Si tratta di un’impostazione che tiene conto della deriva individualista e, soprattutto, dei rischi connessi all’eliminazione del carattere sociale degli istituti giuridici che una scienza giuridica deve invece essere in grado di preservare. Non facendo riferimento a previsioni straordinarie, affidate dunque all'arbitrio del legislatore, ma riferendosi innanzitutto a quelle caratteristiche immediate del diritto che lo rendono capace di auto-disciplinarsi in quei contesti critici facendo riferimento alla tensione tra Einheit e

Freiheit, meglio ancora alle esigenze e alla libertà del singolo da far compenetrare in quelle della collettività. C'è in quest’ostilità ai provvedimenti di tipo straordinario un’evidente critica alla riduzione monista in senso statale della formulazione di questi provvedimenti: nell'ipotesi di Gierke, l'idea del diritto come realtà in sé sufficiente richiama nuovamente ad

prevalentemente, il ceto dei piccoli proprietari terrieri che, come nel caso degli artigiani con le Genossenschaften, vanno protetti e tutelati dagli eccessi del capitalismo. Solo in questo modo si spiega, ad esempio, l'attenzione di Gierke alla proprietà e in modo particolare alla continuità [Stetigkeit] della proprietà terriera cui deve puntare un diritto privato che comprenda il proprio compito sociale. Un'idea, dunque, frutto di un‟errata valutazione della rilevanza del tema proprietà nell'ambito dei conflitti sociali e di un‟eccessiva rilevanza a strutture sociali consociative in parte in via di estinzione. Non si può, altrimenti, comprendere il senso di queste chiare valutazioni «Wenn wir jedoch mit der öffentlichen Kontrolle und Bekundung der Rechtsverhältnisse an Grundstücken nicht als eine staatlich gewährleistete Mobilisierung des Grundbesitzes erreichen, so werden wir zwar einen sehr freien, sehr prompten und sehr sichern Verkehr mit Bodenwerthen erzielen, aber die große soziale Funktion des Grundeigenthums, die innige Verknüpfung von Einzelnen und Familien mit der Scholle, die Wahrung des Ständigen, Traditionellen, Heimathlichen in Gesinnung und Sitte, die feste Einwurzelung und kräftige Gliederung des gesellschaftlichen Körpers werden wir untergraben», O. Gierke, Die soziale Aufgabe des Privatrechts, cit., p. 18 [p. 622]. Questa distinzione ed evidenza dei limiti dell'impostazione gierkiana è stata sottolineata per primo da H.W. Mundt: «Zwar sah Gierke auch die enormen wirtschaftlichen Fortschritte und das Wachstum des Wohlstandes, den die Befreiung des Bodens aus ständischer und feudaler Gebundenheit gebracht hatte, er sah in ihr jedoch zugleich eine große Gefahr für den bestand der Gesellschaftsordnung schlechthin» H.W. Mundt, Sozialpolitische Wertungen als methodischer Ansatz in Gierkes privatrechtlichen Schriften, cit., p. 120.

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una eccedenza rispetto alla decisione statale e qualifica la comunità – non necessariamente quella statale – come luogo di mediazione di interessi reali. Resta indiscutibilmente inevaso il problema della qualificazione di questi interessi, se essi siano cioè di per sé capaci di produrre diritto o se, viceversa, sia sempre l'Allgemeinheit deputata a definire quali siano quelli 'accettabili' – meritevoli di tutela – e quali no: l'attenzione al Gemeinwohl come parametro finale di valutazione pare suggerire questa seconda strada.

Eppure, come occorre insistere sui rischi del costante riferimento al Gemein come centro d’imputazione finale della costruzione giuridica, se ne devono sottolineare, però, anche le potenzialità. Contrariamente all'impostazione pandettistica che, sull'esempio di

Puchta, pretendeva di ricavare i concetti da un’astratta idea della libertà umana, il Gemein gierkiano è qualcosa di reale, perché coincide con l'insieme delle condizioni attraverso le quali coesistono entrambi i principi di Einheit e Freiheit, di Herrschaft e di Genossenschaft. Se la piramide concettuale era un sistema pensato a uso esclusivo dei giuristi, nell'ipotesi di

Gierke, invece, la partecipazione reale degli individui, a ogni livello consociativo, è invece presupposto essenziale per la tenuta del sistema. Alla dogmatica specialistica, si sostituisce un metodo sociologico politicamente orientato non solo a proteggere i settori più esposti alle trasformazioni capitalistiche ma anche a rendere tutti protagonisti della stabilità del sistema 117 : il rinvio può andare, dunque, alla rilevanza delle teorie di Gierke nel rinnovamento della compagine statale nelle forme del Sozialstaat.

D'altro canto non si può negare che quest’attenzione alla dimensione sociale era del tutto priva di una conseguente analisi politica dei soggetti chiamati a realizzare, o anche solo a garantire, questa funzione sociale del diritto. Una delle ragioni della sconfitta della proposta gierkiana risiede proprio in questa lacuna: mentre il modello della pandettistica, in fondo, ben si adattava a tener conto delle esigenze delle classi dominanti con la previsione di 'espropri' che mai si posero in conflitto aperto con gli interessi dei grandi proprietari terrieri, la proposta di Gierke era invece priva di una soggettività disposta a farsi carico di una traduzione giuspolitica del Gemeinwohl. Ammesso che una simile traduzione politica fosse possibile: al di là di una conduzione dall'alto di alcune politiche socialmente orientate, come nei fatti era avvenuto ad esempio con le leggi sociali di

Bismarck, non è chiaro chi potesse farsi carico di una simile attenzione al Gemeinwohl, a parte le ovvie perplessità sulla mancanza di una necessaria decostruzione anche di questo

117 Sulle possibili degenerazioni di questa impostazione, cfr. infra cap. II.

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concetto. Il quale non può non richiamare, nuovamente, una società pacificata, davvero distante da quella, così viva e pulsante di fine Ottocento, nella quale gli effetti della Grande depressione si facevano sentire soprattutto sulle classi più deboli e maggiormente esposte alla trasformazione capitalista.

Ciononostante la proposta di Gierke non può non affascinare e, per quanto incompleta e sicuramente 'sconfitta', essa ha ancora qualcosa da dire. Ancor più che di una rilevanza di Gierke sui giuristi di Weimar118 o di una sua sopravvivenza nelle tradizioni giuridiche successive, bisognerebbe forse sottolineare la messa in discussione della proprietà come diritto in sé pieno ed autosufficiente, specchio di una concezione individualista e, pertanto, priva di limiti all'esercizio dei diritti. Gierke indica, invece, la strada della necessaria compatibilità – una compatibilità che sussiste già nella stessa formulazione del concetto di diritto – tra le aspettative dei singoli e quella della comunità: il comune è l'unico spazio nel quale i diritti possono essere formulati, ed è in quello spazio che devono trovare, anche quello più rilevante, come la proprietà, la propria natura, il proprio fine e i propri mezzi. È dunque il Gemein che qualifica il Recht e ne rende possibile l'esistenza: una qualificazione che, seguendo il metodo di Gierke, va ricercata attraverso una compatibilità storica e sociale del diritto, proprio grazie all'analisi di una rinnovata scienza giuridica. In questo senso, ovvero nell'idea che il diritto non nasca illimitato e che tocchi poi ad un soggetto, magari allo Stato, mitigarne eccezionalmente gli effetti, ma che esso debba necessariamente riconoscersi in una dimensione intermedia tra la Allgemeinheit e la singolarità, risiede l'interessante intuizione teorica di Otto Gierke.

Si può discutere della nebulosità, dell'oscurità dogmatica come pure dell’inconsistenza in termini di politica del diritto della proposta gierkiana, non si può però similmente sottovalutare o semplicemente tralasciare nella critica all'Eigentumsbegriff tradizionale una sorprendente e interessante intuizione le cui conseguenze complessive erano probabilmente sconosciute allo stesso giurista di Stettin.

118 Non è del tutto convincente il riferimento di A. Janssen che individua il gesto teorico gierkiano quale ispiratore dell'art. 153, III comma della Costituzione di Weimar, «Eigentum verpflichtet. Sein Gebrauch soll zugleich Dienst sein für das Gemeine Beste», cfr. Id, Otto von Gierkes soziales Eigentumsbegriff, cit., p. 579.

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VII. Chiarita – si spera – la metodologia giuridica di Otto Gierke, una metodologia giuridica che pone gli elementi storico sociali non solo come condizionanti il diritto, ma come sue parti costitutive, è possibile concludere analizzando, da un punto di vista dogmatico, il concetto di diritto così come Gierke lo ha elaborato.

Prima di procedere, però, non sembra banale insistere, nuovamente, su di un punto. Presto offuscata dalla chiarezza formale e cristallina della Reine Rechtslehre kelseniana, la teoria di Gierke sulla definizione del diritto non ebbe sicuramente grande successo già tra i contemporanei. Indubbiamente alcune formulazioni, spesso criptiche o vaghe, non potevano reggere il confronto con teorie ben più limpide, come ad esempio quella di Georg Jellinek che con la sua Allgemeine Staatslehre e, meglio ancora, con il System der subjektiven Rechtes tentava di completare quella fondazione della scienza giuridica in ambito pubblicistico a partire proprio da una ridefinizione dei principali elementi del sistema.

A chi oggi si accosta alle pagine dedicate dal giurista di Stettin allo studio del concetto di diritto, alla partizione tra diritto oggettivo e soggettivo, a quelle sulla distinzione tra diritto e morale e quelle sul concetto di norma e sul rapporto tra forza e diritto, le pagine di Gierke potrebbero apparire tremendamente invecchiate, quasi che parlassero da un altro mondo o da un'epoca remota. Il confronto con Hans Kelsen rischierebbe, però, di adombrare gran parte delle intuizioni di Gierke e di impedire una sua piena comprensione, fosse anche esclusivamente nei termini di una panoramica della sua opera scevra da pregiudizi. In realtà il tentativo che qui s’intende azzardare è quello di evitare del tutto – almeno per quanto riguarda questi aspetti – il confronto con la Reine

Rechtslehre e provare a intravedere nell'analisi di Gierke una vera e propria strada alternativa a quella che sarà successivamente preconizzata da Kelsen.

In tal modo non si tratterà più di verificare il possibile scarto, o il ritardo o, anche, l'anticipazione di Gierke rispetto alla direzione intrapresa dalla scienza giuridica dominante, quanto di coglierne gli aspetti autentici e di chiedersi quanto di queste elaborazioni potessero costituire la base di una teoria autonoma e coerente della scienza giuridica.

Gierke ritiene che il diritto, pur restando unitario, vada però scientificamente distinto in oggettivo e soggettivo. Il diritto oggettivo è un insieme di proposizioni giuridiche

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[Rechtssätze] ovvero di norme che «devono determinare esternamente in modo assoluto il libero volere umano secondo la convinzione definita di una comunità»119. Si tratta cioè di proposizioni [Sätze] che ambiscono a determinare l'agire umano in base ai convincimenti di una comunità storicamente definita.

Contestualmente: «Diritto soggettivo è l'insieme dei rapporti giuridici o, poiché i rapporti giuridici consistono in facoltà e obblighi, di facoltà e obblighi. Le proposizioni giuridiche sono determinazioni della volontà, così i rapporti giuridici sono determinazioni della volontà. Il diritto soggettivo è l'insieme di determinazioni di volontà esterna che sono poste tramite norme giuridiche. La natura del diritto soggettivo si ricava dal suo rapporto con il diritto oggettivo. Diritto oggettivo e soggettivo si completano reciprocamente. Sono solo due lati dello stesso fenomeno complessivo e restando anche dopo la loro contrapposizione condizionati e determinati reciprocamente»120. Il contento delle facoltà – o del diritto propriamente inteso – è un Dürfen, quello dell'obbligo è un Sollen oppure un

Nichtdürfen.

Si torni alla definizione del diritto oggettivo. Con modo assoluto Gierke fa riferimento al fatto che le norme devono essere imposte incondizionatamente ovvero la loro esecuzione non può essere occasionale, ma il diritto stesso deve predisporre meccanismi capaci di imporre una determinata azione nel caso in cui un individuo non voglia adattarsi alle disposizioni giuridiche 121. Tuttavia questa imposizione non costituisce un elemento indispensabile per la definizione concettuale del diritto: il diritto, cioè, non coincide con la sua realizzazione e una eventuale mancata applicazione della norma – usando una terminologia non gierkiana – non ne determina automaticamente l'invalidità. Del resto neanche la coercizione potrebbe imporre, in alcuni casi, un fare ad un determinato soggetto: se ne deduce che la Erzwingbarkeit costituisce un tratto rilevante del diritto, ma non la sua natura, cosicché se essa viene meno non viene meno con essa anche il diritto. Gierke, dunque, si pone in una posizione critica tanto con le teorie del diritto come comando che da quelle della riduzione del diritto alla sua realizzazione.

119 DP I, p. 113. Appare utile riportarne anche la formulazione originale tedesca: «Objektives Recht also […] ist der Begriff der Rechtssätze. Rechtssätze aber sind Normen, die nach der erklärten Überzeugung einer Gemeinschaft das freie menschliche Wollen äußerlich in unbedingter Weise bestimmen sollen». 120 DP I, pp. 251-252. 121 DPI, p. 114.

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Con esternamente [äußerlich] Gierke fa invece riferimento alla distinzione con la morale, ma in un senso particolare: egli non intende fondare una totale distinzione fra i due ambiti perché, per quanto il diritto si rivolga a comportamenti esterni, mentre la morale a convincimenti interni, entrambi sono soggetto ad una sorta di processo di ritorno. La volontà umana alla quale il diritto si rivolge è libera, nel senso della piena possibilità di un comportamento contrario a quello previsto: il diritto, a differenza delle leggi naturali e da quelli sociali o economiche, fonda esclusivamente un Dürfen o un Sollen e nessun Können o

Müssen. Ogni uomo, posto di fronte alla regola giuridica, può decidere se rispettarla o trasgredirla: a rilevare è la convinzione che permette una transizione da un diritto fondato esclusivamente su comandi esterni ad un ruolo attivo del soggetto coinvolto nell'adesione alle norme. Questa convinzione introduce l'altra grande caratteristica del diritto e cioè la sua dimensione sociale. Il diritto è un convincimento di una comunità: esso non è semplicemente – come voleva il dogma della volontà – semplicemente manifestazione di un Wille perché in questo caso tornerebbe il tema della riduzione della volontà ad un solo soggetto, sia esso individuale e collettivo, e Gierke intende esattamente evitare la strada di una deduzione unilaterale del giuridico.

Questo significa anche che il diritto non coincide con lo Stato, esso si rivela, piuttosto, una delle possibili comunità che possono produrre diritto. «La produzione del diritto è un’attività umana. Ma il soggetto di questa di quest’attività non sono gli individui, ma le comunità. Il singolo uomo, collabora, agisce sempre come membro e al servizio di una comunità umana»122.

Tale convincimento deve essere dichiarato, nel senso che ha bisogno di una forma, da qui deriva una forma caratteristica del diritto che è quella degli imperativi che però non ne costituiscono la natura più interna ma, al massimo, la forma esterna che assumono le norme. Questo sia per evitare l'equiparazione di diritto e Stato e la subordinazione di quello a questo sia perché, a ben vedere, si tratta di ridefinire il rapporto con le

Quellenforschungen. Si tratta, cioè, di concepire le fonti delle norme in un ambito che è pienamente quello sociale, come spazio di relazioni storiche tra l'individuo e lo Stato.

Proprio lo Stato, come suprema forza organizzata e Genossenschaft massima, emana le norme ma non le crea arbitrariamente, quanto piuttosto esse vivono come convincimenti propri di una società, da assumere e analizzare storicamente. Il diritto, quindi, non è una

122 DP I, p. 125.

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semplice relazione formale perché esso vive in quella fitta serie di rapporti e di determinazioni, storiche e sociali, che ne precisano il contenuto: lo Stato si preoccupa solo di garantire quella forza, comunque, necessaria perché il diritto sia rispettato.

La natura propria del giuridico è quindi triadica: essa si sviluppa all'interno di uno spazio sociale, storicamente definito, all'interno del quale gli individui sono calati e, in parte, determinati. Il diritto non è volontà ma convinzione, con cui si rimanda cioè al duplice aspetto della natura sociale e individuale, a segnare l'impossibilità di escludere del tutto il singolo dal processo di costituzione del diritto ma, contestualmente, l'eccedenza di questo processo da qualsiasi tentativo di ridurlo a pura deduzione meccanicistica dalla volontà – a prescindere da valutazioni sul soggetto titolare –. Questa socialità non è il

Volksgeist savigniano: nel senso che la comunità diventa qui precondizione non di uno spirito popolare da interpretare – compito rimesso ad uno specifico ceto elitario – quanto piuttosto il luogo nel quale l'individuo si realizza pienamente, ri-conoscendo gli altri individui e, di conseguenza, anche i limiti alla propria volontà.

È questo il cuore della filosofia del diritto di Otto Gierke. Certo, torna costantemente il riferimento al contesto storico-sociale, che sottende ad un'impostazione chiaramente sociologica, ma è importante tener presente che qui si definisce il tratto più propriamente rechtsphilosophisch dell'autore della Genossenschaftslehre. I soggetti di Gierke, fra cui si definiscono relazioni giuridiche, non sono mai monadi isolate, ma sono sempre inseriti in una dimensione morale. La libertà di Gierke non è mai arbitrio ma, piuttosto, è una libertà vincolata moralmente123 e questo vincolo è costituito dalla rilevanza del Gemein e della Gemeinschaft. In questo senso quindi il diritto ha una sua specifica natura: qui emerge con chiarezza come l'idea del diritto non ha nulla a che vedere con una riproposizione del giusnaturalismo, perché non fa riferimento ad un contenuto necessario del diritto, che sarebbe estraneo al metodo sociologico di Gierke124. Attiene, invece, alla necessità del diritto come collante sociale, come struttura relazionale nella quale l'uomo si realizza e si completa: perché è grazie al diritto che l'uomo trova il suo posto nell'organismo sociale125.

123 DP I, p. 30. Si veda anche O. Gierke, Recht und Sittlichkeit, in Logos, 6, 1916/1917, pp. 211-264, ora anche in Id, Aufsätze und kleinere Monographien, cit, vol. II, pp. 1009-1062. 124 Cfr. O. Gierke, Naturrecht und deutsches Recht, Rütten & Loening, Frankfurt a/Mein, 1883, ora anche in Aufsätze und kleinere Monographien, cit., vol. I, pp. 371-402. 125 Dovrebbe oramai essere chiaro perché, più che ad un pluralismo giuridico ante litteram, l'organicismo gierkiano rinvia dunque ad una necessaria analisi 'sociologica' della realtà nella quale gli individui vivono, dalla quale deriva il costante riferimento alle comunità come soggetti che producono il diritto «Die Rechtserzeugung ist menschliche That. Das Subjekt dieser That aber sind nicht Individuen,

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Non sempre chiara e coerente da un punto di vista epistemologico, la teoria di Gierke, però, aveva il merito di rompere con una tradizione che faceva della volontà – sulla cui presunta libertà ironizzava Marx nella deutsche Ideologie – l'origine del diritto e, da un lato, connetteva le volontà ad una dimensione relazionale – perciò essa non è mai del tutto, libera, con le importanti conseguenze che quest’avvertenza ha in ambito di teoria dello

Stato, dall'altro rendeva la forma giuridica irriducibile ad una deduzione meccanicistica ma la strutturava come autentica dimensione dialettica, rappresentata dall'ambito del Gemein.

Si può quindi affermare che il diritto si fonda e preserva una dimensione dell'umanità nei termini di costante riferimento all'altro e non si semplice somma di individui astratti. Il rinvio alla socialità permette proprio l'assunzione del carattere relazionale del diritto e del suo riferirsi sempre a contesti specifici nei quali prende forma: si tratta di un'azione duplice, di un doppio movimento, ascendente e discendente, in base al quale la dimensione sociale produce il diritto che la pervade e contribuisce alla sua trasformazione e al suo sviluppo.

Ancora non si può mancare di sottolineare come questa costruzione, che pure contiene molti indiscutibili elementi di interesse, pecchi di ingenuità in alcune formulazioni conclusive. Il diritto, afferma Gierke, è come il Vero o il Giusto, cioè contiene in sé la misura della propria giustizia. È connesso alle altre funzioni sociali, con le quali è chiamato a coordinarsi in vista dello sviluppo della Storia mondiale. Ma l'idea del Giusto è nel diritto stesso e non può servire uno scopo ad esso esterno126. Significativamente: il diritto è giusto perché è diritto. La soluzione di Gierke sembra sottovalutare i rischi di un formalismo che torna nuovamente proprio in un contesto che sembrava attento a volerne affermare gli aspetti realistici. Un formalismo che, se si considera complessivamente la teoria di Gierke, e l'idea dello Stato come generalità suprema finisce in assenza di contro-poteri reali – visto che le Genossenschaften servono ad integrare e non, come osservato nel II capitolo, ad affiancarsi allo Stato – con il determinare la torsione del diritto ad un piatto positivismo.

Gierke purtroppo ha fatto troppo poco per eliminare, o quantomeno limitare, questo rischio, che resta pericolosamente incombente su tutta la sua teoria. A voler segnalare, in conclusione, il limite proprio di tutte quelle sociologie del diritto che non possono o non vogliono fare i conti con la natura del diritto.

sondern Gemeinschaften. Der einzelne Mensch, der dabei mitwirkt, handelt stets als Glied und im Dienste einer menschlichen Gemeinschaft» DP I, p. 125. 126 Cfr. DP I, p. 121.

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Non basta, dunque, porre l'accento sul Gemein: bis hierher und nicht weiter. Perché la determinazione del Gemein, inevitabilmente, riproduce una costruzione dell’organismo segnata dalla dimensione della Herrschaft. Con la presunzione di poter individuare il

Gemein, Gierke rischia di ricadere in una logica sovrana di tipo moderno, cioè assolutista.

Occorre procedere sino agli sviluppi più radicali di questa impostazione e lasciare che il suo esito non sia necessariamente predeterminato nell'articolazione dell'organismo sociale. E cioè: qualificare come davvero libera la forma dell’articolazione consociativa e riconoscere l’esito del conflitto e dell’integrazione delle consociazioni come pure prodotto storico. Solo così, la scintilla di realismo, certamente presente nell'opera di Otto Gierke, può raggiungere una sua piena formulazione e non restare semplicemente connessa agli sviluppi del metodo di analisi sociale del diritto. Solo così il Gemein diventa pienamente autonomo ed esposto esclusivamente ai propri convincimenti e ai capricci della Storia, dei quali non si può prescindere. Solo così la critica alla libertà astratta e individualista, diventa strumento di reale alternativa all’impostazione monista e assolutista dello Stato: solo così, soprattutto, essa può sganciarsi da una superiorità etica dell'organismo di fronte alle parti che non può non determinare contraddizioni, limiti e persino qualche inquietudine.

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IV Capitolo

Zurück zu Gierke?

La controversa 'rinascita' di Otto Gierke nel nazionalsocialismo.

[I. La Germania alla morte di Gierke. La repubblica di Weimar. – II. Gierke e l'esperienza giuridica nazionalsocialista: ipotesi di analisi. – III. L' Antrittsvorlesung di Herbert Meyer e la compiuta formalizzazione di un ritorno all'opera di Otto Gierke. – IV. Ernst Rudolf Huber: il recupero del concetto di Genossenschaft per la definizione di un nuovo ordinamento del lavoro. – V. Il compimento della 'rivoluzione' nazionalsocialista e la rottura con le tradizioni giuridiche precedenti. La critica a Gierke come premessa e qualificazione della Rechtserneuerung. – VI. La polemica Höhn – Helfritz: un uso 'politico' di Otto Gierke? – VII. Hans Krupa e un'analisi autonoma dell'eredità gierkiana.]

I. È noto che lo scoppio della prima guerra mondiale rappresentò la fine di un'epoca e l'inizio di un'altra: anche la scienza giuridica dovette fronteggiare una vera e propria transizione generazionale, se è vero che i principali esponenti della tradizione giuridica ottocentesca non sopravvissero alla conclusione del conflitto ed Otto Gierke, a settantasette anni, rappresentava ormai il vero decano dei giuspubblicisti mentre una nuova, giovanissima, generazione di Staatslehrer e, più in generale, di giuristi si affacciava nelle

Università tedesche1.

Nel corso della guerra anche Gierke si era speso per favorire quella mobilitazione totale dell'intera società tedesca che avrebbe dovuto condurre alla vittoria: non si trattò di una scelta individuale, ma dell'adesione al progetto di arruolamento delle scienze e delle università che si realizzò pienamente nei primi anni del conflitto2 e che era perfettamente coerente con quella militarizzazione totale con la quale il conflitto assunse una intensità come

1 Cfr. M. Stolleis, Geschichte des öffentlichen Rechts in Deutschland, Bd. 3, Staats- und Verwaltungsrechtswissenschaft in Republik und Diktatur 1914-1945, C.H. Beck, München 1999, p. 56. 2 Ivi, pp. 61-65. Si veda, inoltre, quanto alla valutazione relativa alla prima guerra mondiale e ai suoi obiettivi i testi dello stesso O. Gierke e in particolare: Krieg und Kultur, Rede am 18. September 1914, in Deutsche Reden in schwerer Zeit, Erster Band, hrsg. Von der Zentralstelle für Volkswohlfahrt und dem Verein für volkstümliche Kurse von Berliner Hochschulen, Carl Haymanns Verlag, Berlin 1915, pp. 77-101, Das Recht und der Krieg, Beiträge zur Erlauterung des deutschen Rechts 59 (1915), p. 3- 27 e Unsere Friedensziele, Verlag von Julius Springer, Berlin 1917.

mai prima. Moltissimi, ad esempio, furono i giuristi che sottoscrissero un documento, firmato da oltre 30.000 persone, per la guerra sottomarina senza limiti3.

L'inevitabilità della sconfitta cominciò a palesarsi dalla seconda metà del 1917 quando, nonostante la conclusione delle ostilità con la Russia, colpita dalla rivoluzione comunista, e la possibilità di spostare ingenti truppe sul fronte occidentale, le armate tedesche non riuscirono a riportare nessuna vittoria davvero definitiva, in grado, cioè, di determinare le sorti del conflitto, prima che l'arrivo delle truppe statunitensi rendesse vano qualsiasi sforzo ulteriore. Fu allora che la guerra continuò solo, come si disse allora, per paura della pace. I primi a rendersi conto dell'approssimarsi della sconfitta furono proprio i capi militari e, in particolare, Ludendorff e Hindenburg i quali, con grande abilità, non osteggiarono e, anzi, reclamarono direttamente una nuova centralità del parlamento nella gestione della guerra e dell'armistizio, per avviare così, sin dagli ultimi mesi di guerra, il mito della 'pugnalata alle spalle' [Dolchstoß] da attribuire ai gruppi democratici, pacifisti e socialisti.

Nonostante alcune opinioni contrarie, appare, infatti, oggi palese come lo Stato maggiore riuscì a sfilarsi con straordinaria sagacia dalla responsabilità della sconfitta e a fare in modo che la fine delle tante illusioni con la quale la guerra era stata avviata e, ancor più grave, le durissime imposizioni di Versailles fossero addebitate alla nascente

Repubblica e al parlamentarismo, al quale i vertici militari, nel momento peggiore, si erano rivolti 4 . Tutto ciò è paradossale soprattutto se si pensa al moderatismo della

3 Tra cui lo stesso Gierke, che si era già espresso per il proseguimento della guerra sottomarina. 4 Il 29 settembre 1918, Ludendorff comunicò l'ormai prossimo crollo del fronte occidentale e, ponendo fine a quella che nessuno poteva negare essere stata una dittatura personale, consigliò la nascita di un governo sostenuto dal Reichstag con la maggioranza più ampia possibile, che includesse, dunque, anche i socialdemocratici. Proprio accogliendo la proposta del generale, il 4 ottobre 1918 il principe Max von Baden venne nominato cancelliere. Arthur Rosenberg nei suoi testi sulla Repubblica di Weimar, redatti tra gli anni venti e gli anni trenta e, perciò, una preziosa 'cronaca' più che un‟efficace analisi storica, si disse contrario ad attribuire al Comando supremo dell'Esercito e a Ludendorff in particolare, qualsiasi 'retro pensiero' nella richiesta al Parlamento di assumere ogni iniziativa per arrivare alla pace. Si veda A. Rosenberg, Die Entstehung des deutschen Republik 1871-1918, Berlin 1928; rist. col titolo Entstehung der Weimarer Republik, Europäische Verlagsanstalt, Frankfurt am Main 1961, trad. it. Origini della Repubblica di Weimar, a cura di G. Gentili e L. Paggi, Sansoni, Firenze 1972 e Geschichte der deutschen Republik, Karlsbald 1935; rist. col titolo Geschichte der Weimarer Republik, Europäische Verlagsanstalt, Frankfurt am Main 1961, trad. it. Storia della repubblica di Weimar, a cura di L. Paggi, Sansoni, Firenze 1972. Questa 'purezza' dello Stato maggiore è stata con il tempo smentita, cfr. E. Eyck, Geschichte der Weimarer Republick, Eugen Rentsch Verlag, Erlenbach-Zürich 1954, trad. it. Storia della Repubblica di Weimar (1918-1933), a cura di E. Collotti e L. Baligioni Terni, Giulio Einaudi Editore, Torino 1966 e H.-U. Wehler, Das deutsche Kaiserreich, 1871-1918, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1973, trad. it. L'impero guglielmino 1871-1918, a cura di P. Schiera, De Donato, Bari 1981. Si veda inoltre D. J.K. Puekert, Die Weimarer Republik. Krisenjahre der Klassischen Moderne, Suhrkamp Verlag, Frankfurt a.M.

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socialdemocrazia tedesca5, che sin dall'inizio della Rivoluzione del '18 tentò di evitare ogni tipo di frattura con il vecchio ordine – ovvero un proseguimento degli eventi in senso

‘sovietico’ – e alla sostanziale incapacità organizzativa dei comunisti e delle forze radicali, del tutto minoritari tra gli strati sociali cui si rivolgevano6.

In appena due anni, il mondo, nel quale Gierke era cresciuto e si era formato, scomparve: la rivoluzione del novembre 1918, nata del tutto spontaneamente il 3 e il 4 novembre da una rivolta di marinai della flotta di stazza a Kiel. Essi avevano rifiutato di prender parte al tentativo, inutile e suicida, promosso dai vertici della marina, di proseguire la guerra per trattare una pace a 'migliori' condizioni: al rifiuto di obbedire, seguirono la costituzione dei consigli dei soldati per sostituire il potere degli ufficiali. Dalle navi la rivolta si estese inizialmente alla città di Lubecca, dove si costituì anche il consiglio degli operai, per diffondersi ben presto in tutto il paese – Amburgo, Monaco, Berlino –, fino a rendere impensabile non solo la permanenza al trono del Kaiser Guglielmo II ma anche la prosecuzione della monarchia stessa.

La prospettiva rivoluzionaria aveva colto nuovamente impreparata la socialdemocrazia tedesca che non seppe fare altro che assumere una posizione di compromesso con le vecchie classi dominanti. Friedrich Ebert, capo del partito socialdemocratico e primo presidente della Germania repubblicana, tentò sin dall'inizio di porsi in continuità con il vecchio ordine, all'interno del quale l'abdicazione del Kaiser non

1987, trad. it. La Repubblica di Weimar. Anni di crisi della modernità classica, a cura di E. Grillo, Bollati Boringhieri, Milano 1996. 5 H.U. Wehler, Op. cit.: «Prigionieri di una potente continuità, i dirigenti della MSPD videro nella discontinuità liberatrice dalla rivoluzione per lo più una minaccia e non una possibilità di ristrutturare la società; furono dei reggenti anziché dei plenipotenziari della rivoluzione. Il loro regime di transizione venne da essi coscientemente visto come una parentesi provvisoria. Essi continuarono a rimanere incollati all'illusione del consenso, chiedendo per primi la ''pace sociale'' invece di risolvere i conflitti. Il pericolo tutto drammatizzato proveniente da sinistra parve alla loro stolida mentalità quietista certamente più pericoloso della vulnerabilità rispetto ad una destra che era solo temporaneamente paralizzata. Al momento della verità, per quanto seriamente essi abbiano preso l'esigenza di mutamenti, non si mostrarono all'altezza della situazione» p. 226. 6 Questa incapacità dei movimenti comunisti di radicarsi fra operai e soldati era stata palesata, del resto, sin dal dicembre 1918, quando il Congresso nazionale dei consigli aveva bocciato ogni ipotesi di prosecuzione della rivoluzione e convocato l‟assemblea costituente. Ancor più chiaramente: «Ai comunisti mancavano tanto i quadri capaci di progettare la presa del potere con la violenza quanto una programmazione ed una preparazione sufficienti […] Spartakus e la KPD non avevano nel 1918 e nel 1919 la più piccola possibilità di successo, anche se il ''terrore rosso'' assunse tratti grottescamente esagerati nella fantasia della piccola borghesia e dei possidenti» H.U. Wehler, op. cit, p. 223. Si veda anche W. Abendroth, Aufstieg und Krise der deutschen Sozialdemokratie, Stimme Verlag, Frankfurt am Main 1964, trad. it. La socialdemocrazia in Germania, Editori Riuniti, Roma 1980, pp. 59 e ss.. Sui contrastati rapporti tra socialisti e comunisti si può fare rifermento all‟antologia di testi, documenti e risoluzioni ufficiali dei Consigli e dei partiti di Sinistra La rivoluzione tedesca, 1918-1919, a cura di G. Ritter e S. Miller, Feltrinelli, Milano 1969.

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doveva costituire l'evento sul quale fondare un nuovo ordine: dopo le prime settimane di coabitazione con i socialisti indipendentisti, la socialdemocrazia ottenne al Congresso dei consigli degli operai e dei soldati della Germania (16-19 dicembre 1919) una larghissima maggioranza, che convocò, come già ricordato, l’Assemblea costituente 7 . Il processo rivoluzionario era così indirizzato verso uno sviluppo 'democratico' e distante da ipotesi radicali sul modello dei consigli russi.

Del resto, anche l'esito delle elezioni per l'Assemblea costituente – fissate proprio al

Congresso nazionale dei consigli per il 19 gennaio8 – evidenziava chiaramente la distanza del popolo tedesco da ogni prospettiva rivoluzionaria9. Perciò si può convenire con il giudizio di Peukert «La rivoluzione del 1918-19 restò rigidamente *<+ all'interno della tradizione del movimento liberale fondata sul parlamento e sullo Stato di diritto»10.

In realtà proprio con il 'compromesso' di Weimar – un accordo che provava a integrare, tramite l’azione del partito socialista, le masse nel governo della Germania e a dare risposte ai problemi storici dell’assetto istituzionale del Reich – si aprì un decennio di tensioni, alimentate da vecchie questioni – si pensi proprio al tema della strutturazione del

Reich e del rapporto con gli Stati territoriali e a quello, davvero scottante, dell’enorme potere della Prussia nell'Impero11 – e nuovi problemi ai quali non si riuscì dare soluzione.

7 Va ricordato che il 19 gennaio '19 si ebbero le elezioni per l'Assemblea nazionale, a suffragio universale maschile e femminile, che tenne i suoi lavori non a Berlino ma Weimar, per timore di eccessive ingerenze di movimenti e manifestazioni popolari: artefice del testo della Costituzione fu Hugo Preuss che dovette modificare i suoi propositi iniziali per giungere ad un compromesso accettabile. L'11 agosto il Presidente Ebert firmò il testo definitivo. 8 È lo stesso Gierke a definirle fondamentali per la sorte del popolo tedesco: «Niemand, der zu Wahlurne berufen wird, darf sich der Ausübung des Wahlrechts entziehen». Il giurista di Stettin non era certo estraneo alla vita politica tedesca: egli preparò un vero e proprio manifesto programmatico che, apparso sul quotidiano Der Tag, invitava gli elettori a votare per il partito nazionalista tedesco, di cui Gierke era stato tra i fondatori. Con quel testo Gierke si rivolgeva agli elettori senza partito: quasi un modo, si direbbe oggi, per conquistare i cosiddetti indecisi. Si faccia riferimento, anche per la precedente citazione, ad O. Gierke Parteilose Wähler, in Der Tag, 3 e 5 gennaio 1919 [pagine n.n.]. 9 Alle elezioni per l'assemblea costituente l'SPD conquistò il 37,9 per cento, l'USPD il 7,6 per cento: anche messi insieme questi due partiti non rappresentavano la maggioranza assoluta. La coalizione fu pertanto allargata al Zentrum con il 19,7 per centro e al DDP (Partito democratico tedesco) dei liberali di sinistra con il 18,5 per cento. Fuori dalla coalizione di governo restarono la Deutsche Volkspartei (DVP) dei liberali nazionali con il 4,4 per cento e con il 10,3 per cento la Deutschnationale Volkspartei (DNVP), il partito di Gierke, dal quale sarebbe, però, presto uscito. 10 D. J.K. Peukert, Op. cit., p. 43. Si veda anche M. Stolleis, Op. cit., pp. 74-80. Sembra utile segnalare il giudizio di Sandro Mezzadra che afferma come proprio il carattere democratico, inteso come autocoscienza del popolo che si auto-organizza, costituisca la novità più autentica del compromesso di Weimar, cfr. S. Mezzadra, La costituzione del sociale. Il pensiero politico e giuridico di Hugo Preuss, Il Mulino, Bologna 1999 p. 299. 11 Chiara panoramica di queste difficoltà è in E. Eyck, Op. cit., pp.68-84, e più specificamente in S. Mezzadra, op .cit., in particolare l'ultimo capitolo. Efficace il giudizio di M. Stolleis, Op. cit., p. 90: «Der Kompromißcharakter war an der Struktur der Verfassung absulesen, an der Mischung liberaler

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La socialdemocrazia tentò, quasi a imitazione dei liberali ottocenteschi, di limitare i rischi e le incertezze di una prospettiva rivoluzionaria: i radicali spartachisti e comunisti, già di per sé poco rappresentativi, vennero allontanati e isolati ed essi stessi non riuscirono ad avanzare proposte e programmi validi. Come già ricordato sin da subito Ebert tentò di scongiurare il più possibile la rottura con il vecchio ordine, proprio per arrestare qualsiasi ipotesi di sviluppo rivoluzionario sulla base degli eventi russi del 1918: in questo modo si aggravava, irrecuperabilmente, la frattura in seno ai gruppi socialisti e comunisti.

Uno degli allievi di Gierke, Hugo Preuss, lavorò alla stesura di una costituzione, con spirito pragmatico e autentica passione civile 12 . Non è oggetto di questa ricerca analizzare la complessità del compromesso weimariano e le 'dispute' giuridiche che esso comportò sin da subito13. Interessa però segnalare come a quella costituzione Gierke giurò fedeltà, sebbene ormai prossimo al Ruhestand: un atto decisamente finalizzato a dare una adesione al sistema di Weimar, più che un semplice adempimento amministrativo.

Purtroppo non si conoscono valutazioni dirette e complessive di Gierke sull'opera del suo allievo. Il decano dei giuspubblicisti tedeschi sembrava aver ormai esaurito il suo ruolo: si spense nel '21, appena in tempo per vedere la nascita di quel mondo che aveva sostituito il suo adorato II Reich. Ciononostante provò comunque a interagire con il nuovo contesto che si era venuto a determinare: ancora una volta Gierke non si limitò a rimpiangere un tempo passato, ma tentò di guardare il futuro che attendeva il popolo tedesco.

È interessante e utile rifarsi ad uno dei suoi ultimi interventi pubblici, quello del maggio 191914, che rappresenta il tentativo di continuare a utilizzare le categorie, che aveva perfezionato durante tutta la sua vita, nell'analisi del mondo nuovo che stava sorgendo.

und sozialistischer Elemente im Grundrechtsteil oder am potentiellen Gegeneinander von Parlamentarismus und präsidentieller Diktatur. Für die Revolutionäre war die Verfassung das Siegel des Scheiterns der Revolution und des Verrats der Mehrheitssozialisten, für die Monarchisten das Symbol der verhaßten, von der Alliierten aufgezwungenen ''Republik''». 12 Sul pragmatismo di Preuss si faccia riferimento, ad esempio, all'ipotesi di evitare un decalogo di diritti fondamentali, proprio per limitare conflitti eccessivamente profondi tra i partiti di maggioranza. Per una dettagliata ed efficace ricostruzione del lavoro di Preuss come costituente si può fare riferimento al lavoro di Sandro Mezzadra, Op. cit.. Il testo è utilissimo anche ai fini di una comparazione tra l'opera di Gierke e quella di Preuss. Interessante sintesi anche in M. Stolleis, Op. cit., pp. 80 e ss.. 13 Su tutto questo si veda il terzo capitolo del testo citato di M. Stolleis «Revolution, Reichsverfassung und Versailles», pp. 74-124. 14 O. Gierke, Der germanistische Staatsgedanke, Vortrag gehalten am 4. Mai 1919, Berlin Weidmmansche Buchhandlung 1919, ora anche in Id. Aufsätze und kleineren Monographien, vol. II, cit., pp.1063-1091. Ma Gierke aveva sintetizzato alcuni di questi punti nel citato intervento dello stesso anno su Der Tag, nel quale, rivolgendosi ai senza partito, sintetizzava il programma del partito negli „elementi‟ nazionale, cristiano, storico sociale e della libertà, da rappresentare all‟Assemblea nazionale.

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Così una riflessione autenticamente 'germanista' lo spingeva a segnalare – nuovamente – alcuni carattere essenziali del nascente stato tedesco: nazionale15, fondato storicamente 16, preservato nella sua costruzione organicamente strutturata, sociale17. Interessanti sono anche i richiami al Kulturstaat e, ancor più, al Rechtsstaat, rispetto al quale la nuova Costituzione

«*<+ può superare la costituzione del Reich sin qui adottata, le cui preoccupanti lacune e debolezze consistono nella incompletezza di dispositivi per la tutela del diritto pubblico»18.

A questo proposito Gierke suggeriva, oltre alla protezione di diritti fondamentali inviolabili e la tutela delle minoranze attraverso procedure aggravate per le modifiche costituzionali, anche un Tribunale dell'Impero [Reichsverwaltungsgericht] come «supremo custode dei diritti e dei doveri pubblici di tutti i membri dell'impero e di tutte le unità associative, i Comuni e le Consociazioni» 19 . E aggiungeva chiaramente che un simile

Tribunale avrebbe dovuto occuparsi anche di conflitti costituzionali, in particolare tra quelli derivanti tra l'Impero e gli stati membri. Per quanto evidentemente ispirato dal tentativo di leggere il processo di costituzionalizzazione in corso, in diretta continuità con la storia dello spirito germanico – e perciò di depotenziare gli effetti della Rivoluzione –, non si può negare, anche in questo caso, una capacità di Otto Gierke di relazionarsi agli eventi in corso, di non ritirarsi in un nostalgico ricordo del passato ma di provare a confrontarsi con le questioni più spinose che Gierke intravedeva chiaramente nella difficile mediazione in corso a Weimar.

Ovviamente giudizi comunque positivi sulla Costituzione di Weimar – definita da

Gierke erträglich e cioè accettabile – vanno comunque connessi alla ipotesi, esplicitamente

15 Con l‟aggettivo „nazionale‟ Gierke fa inoltre esplicito riferimento alla propria contrarietà contro ogni ipotesi pacifista e, in particolare, contro ogni associazione internazionale, in quegli anni rappresentata in Germania soprattutto da Walther Schücking (1875-1935) e Hans Wehberg (1885-1962). Si faccia riferimento, per una rapidissima analisi dei due giuristi, a M. Stolleis, Op. cit., p. 58. Gierke ritiene, al contrario, che il pacifismo impedirebbe ai tedeschi di giocare un ruolo di primo piano nell‟agone mondiale e di renderli dei servi. Si veda O. Gierke, Parteilose Wähler, cit. [pagine n.n.] 16 Qui Gierke esprimeva la sua preferenza per uno Stato federale [bundesstaatliche Form], alternativo tanto ai modelli unitari che a quelli eccessivamente federali. Pertanto occorreva «den Einzelstaaten wirkliche Staatlichkeit, kraftvolles Eigenleben und einen unabhängigen Bereich selbstständiger Machtentfaltung wahren» ,cfr. O. Gierke, Der germanistische Staatsgedanke, cit., p. 25 [1087]. 17 In questo caso Gierke torna a promuovere la necessità di un‟alternativa tanto ai peccati del capitalismo – promuovendo una efficace politica sociale – che alla barbarie del socialismo – assicurando la libertà dell'individuo e la proprietà privata –, cfr. Ivi, pp. 26- 27 [1088-1089]. 18 Ibidem. 19 Ivi, p. 28 [1090].

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dichiarata da Gierke, di un ritorno all’istituzione monarchica, elemento insostituibile di quel germanesimo espresso nella formula Reich und Kaiser20.

Le sue proposte, tutt'altro che retoriche, presuppongono, inoltre, non solo la chiara identificazione delle controversie, ma anche delle soluzioni incredibilmente moderne e interessanti.

II. Appena un anno dopo la morte di Gierke comparve il saggio di Georg

Gurwitsch, che tentava di problematizzare gli aspetti più squisitamente filosofici della dottrina gierkiana, contribuendo a segnalarne alcuni aspetti poi divenuti caratteristici. Si tratta dell'unico contributo dedicato espressamente all'opera di Gierke apparso in

Germania dopo la morte del giurista di Stettin. Un contributo particolarmente ricco che, a differenza di molti altri interventi, non si riproponeva una semplice analisi del corpus gierkiano, ma tentava di recuperare il nucleo della filosofia del diritto di Gierke. Sembrava che egli fosse destinato a non sopravvivere alla generazione dei suoi allievi, gli unici che potevano ancora garantire un richiamo al nome del vecchio Gierke, come nel citato caso di

Hugo Preuss21: per paradosso il vecchio germanista era studiato con maggiore attenzione nei paesi di lingua inglese che in patria22.

Per il resto, la Genossenschaftslehre sembrava ormai destinata al più a investire ricerche specialistiche di storia sulla dottrina dello Stato nel corso del II Reich. In effetti, di fronte ad una società come quella weimariana, complessa e attraversata da conflitti e

20 Su questo cfr. Gierke, Einige Wünsche ad die Deutschnationale Volkspartei, in Der Tag, 23-24 ottobre 1920. La valutazione positiva sulla costituzione di Weimar è al secondo capoverso dell‟articolo, tra i meriti che Gierke attribuisce all‟azione del suo partito. 21 Cfr. A. Janssen, Otto von Gierke Methode der geschichtlichen Rechtswissenschaft, cit., pp. 2 e 3, dove si lamenta negli scritti critici successivi la morte di Gierke l‟assenza di autentiche interpretazioni della sua opera: si trattava nel migliore dei casi di necrologi contenti una mera descrizione del suo vasto contributo intellettuale. Diverso fu il caso del saggio di Gurwitsch. 22 In lingua inglese si registrano numerosi contributi prevalentemente incentrati sull'eredità di Gierke in termini di filosofia politica. L'interesse verso Gierke del mondo anglosassone è da addebitare alla recezione che ne aveva fatto lo storico Maitland, traducendo interi passi della Genossenschaftstheorie, cfr. Political Theories of the Middle Age, University Press, Cambridge 1913. Ma anche i contributi più significativi in lingua inglese non arrivarono prima degli anni '30: si veda S. Mogi, Otto von Gierke. His political teaching and jurisprudence, P.S. King & Son, London 1932 e J.D. Lewis, The Genossenschaft-Theory of Otto von Gierke. A study in political Tought, University of Wisconsin Studies, Madison 1935.

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lacerazioni sempre più profonde, l'analisi di Gierke di un organismo armonicamente strutturato, sembrava del tutto incapace di proporsi anche solo come strumento analitico23.

Eppure, a distanza di nemmeno dieci anni dalla sua morte, Gierke tornò improvvisamente protagonista nei dibattiti fra i giuristi tedeschi: una renassaince favorita da ambienti prossimi al nazionalsocialismo che videro in Gierke un possibile aggancio teorico con la proposta del Partito Nazionalsocialista di una rifondazione su basi nuove e diverse del mondo e, in particolare, del mondo giuridico. Il professore di Stettin, che aveva osteggiato la codificazione su base romanista e aveva guardato con interesse alla fondazione di un diritto nazionale e germanico, venne immediatamente assunto come possibile antesignano di quella ‚rivoluzione‛ che negli anni '20 andava diffondendosi in

Germania, il cui scopo era la fondazione di una nuova civiltà pienamente e specificamente tedesca e che dal punto di vista del diritto avrebbe assunto la rivendicazione non tanto di una Reformation quanto, più radicalmente, di una Rechtserneuerung.

È stato Albert Janssen a parlare di una renasseince di Otto Gierke a partire dagli anni

Trenta del Novecento24: si tratta di un fenomeno riscontrabile anche solo scorrendo i manuali di storia del diritto dedicato al periodo nazionalsocialista. Il nome di Otto Gierke viene utilizzato costantemente a partire dalla fine degli anni Venti, nella polemica contro il diritto romano, sulla cui opposizione al diritto germanico era stato dedicato uno dei punti fondanti della NSDAP.

23 Per un quadro d‟insieme della Staatslehre in epoca weimariana si può fare riferimento a M. Stolleis, Im Bauch des Leviathan – Staatsrechtslehre im Nationalsozialismus, in Nihon University Comparative Law, vol. 6, 1989, pp. 11-28, ora anche in Id., Recht im Unrecht. Studien zur Rechtsgeschichte des Nationalsozialismus, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1994, 126-146 e particolarmente pp. 128-134 e alla bibliografia ivi citata. 24 A. Janssen, Otto von Gierkes Methode der geschichtlichen Rechtswissenschaft, cit., pp. 3, p.4: «Die Frage, ob Gierkes Staatsdenken und seine zivilrechtlichen Lehren den nationalsozialistischen Anschauungen entsprächen, durchzog einen großen Teil der Gierke-Literatur dieser Zeit»; si veda anche per una bibliografia la nota 16 a p. 4. Si faccia riferimento, inoltre, alla incisiva panoramica Gierke im heutigen Schrifttum redatta in pieno regime nazionalsocialista in R. Höhn, Otto von Gierkes Staatslehre und unsere Zeit zugleich eine Auseinandersetzung mit dem Rechtssystem des 19. Jahrhunderts, Hanseatische Verlagsanstalt, Hamburg 1936, pp. 9-14. Nello stesso testo è presente anche un capitolo dedicato a Gierkes Bedeutung für die Entwicklung des Staatsdenkens, pp. 110-148. L'analisi di Höhn – su cui si tornerà più dettagliatamente – è comunque esplicitamente convinta dell'inadeguatezza della teoria di Gierke nell'interagire con il sistema concettuale giuridico nazionalsocialista. Infine, appare quantomeno parziale il giudizio di Haak secondo cui «Zusammenfassend läßt sich feststellen, daß NS-Autoren Gierkes Arbeiten trotz dessen organisch- nationalem Anstaz und völkischem Pathos überwiegend als zu liberalistisch ansahen», cfr. T. Haak, Otto von Gierkes Kritik am ersten Entwurf des Bürgerlichen Gesetzbuches, Peter Lang, Frankfurt am Main 1997, p. 158, testo invece importante e incisivo per quanto riguarda la ricostruzione della critica al BGB di Gierke.

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Occorre innanzitutto analizzare come questa ripresa fu possibile, come essa si venne configurando, quanto del pensiero genuinamente gierkiano fosse presenta in essa. In altre parole: quanto della Renaissance costituisca una vera ripresa del nucleo concettuale gierkiano?25 È indispensabile precisare sin d'ora che questa rinascita di Otto Gierke non costituì un fenomeno unitario, tutt'altro: l'intera esperienza nazionalsocialista è segnata da un confronto critico con l'eredità gierkiana ed è attraversata da correnti profondamente diverse fra loro. Fino al 1933, il richiamo a Gierke è un passaggio obbligato nel recupero di un diritto germanico da contrapporre a quello romano, in piena attuazione dei principi della NSDAP. Successivamente la compatibilità della Genossenschaftslehre con il nuovo assetto nazionalsocialista è messa in discussione da uno dei giuristi più autorevoli e influenti del partito, Reinhard Höhn: fino ai primi anni quaranta questa impostazione sembra oramai prevalente e la fortuna di Gierke sembra avviata al tramonto. Ma proprio agli inizi del nuovo decennio, e in una certa continuità con le prime difficoltà delle armate tedesche, un giovane studioso, Hans Krupa, attento lettore di Carl Schmitt – il quale per primo aveva circoscritto gli effetti delle tesi di Gierke non solo alla teoria giuridica nazionalsocialista ma, più in generale, alla loro vitalità nel Novecento – riscopre nuovamente il giurista di Stettin e ne traccia un profilo assai più libero – e molto più originale – dalle strette maglie di un esclusivo confronto con la Rechtswissenschaft degli anni

Trenta.

La scansione cronologica qui proposta non va, ovviamente, considerata rigidamente, quasi che Gierke sia stato, di volta in volta, innalzato nel firmamento della

Rechtswissenschaft nazionalsocialista e successivamente, con la stessa rapidità, rimosso. La recezione di Gierke fu un fenomeno più complesso e può essere interpretata solo attraverso un confronto serrato con lo sviluppo dell'esperienza giuridica nazionalsocialista. Ecco perché una simile scansione temporale, seppur efficace sul piano espositivo, necessita di essere meglio precisata.

Innanzitutto non è possibile sostenere che tale disputa celi, ovvero sia interamente interpretabile sulla base di una diversa collocazione, prossima o distante, di chi la condusse

25 Di solito, tra gli elementi più reazionari e più prossimi ad un'ideologia pericolosamente ambigua e oscillante verso una degenerazione 'razzista', a essere citata è la nota frase di Gierke, contenuta in Die Grundbegriffe des Staatsrecht und die neuesten Staatsrechtstheorien, in Zeitschrift für die gesamte Staatswissesnchaft, XXX (1874), p. 99: «Schon die physische Gemeinschaft des Blutes, der Sprache und des Bodens ist zwar bis zu einem gewissen Umfange die unerlässliche Grundlage für das Gedeihen des Staates, kann aber begrifflich so gut ohne den Staat wie der Staat ohne sie bestehen».

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rispetto al regime, perché essa, invece, taglia trasversalmente tanto coloro che aderirono pienamente al partito, come Herbert Meyer, Reinhard Höhn o Ernst Rudolf Huber – e anche solo citando questi tre nomi si ottengono tre giudizi diversi se non opposti sull'autore della Genossenschaftslehre – tanto coloro che se ne tennero maggiormente distanti. Lo stesso Carl Schmitt – come si vedrà meglio in seguito – nutriva un giudizio fortemente critico sull'opera di Gierke già a partire dal 1930 con il suo studio su Hugo

Preuss: per quanto ostile ad una riduzione della Genossenschaftslehre alla semplice esaltazione del II Reich, Schmitt riteneva quantomeno che la critica gierkiana si fosse rivelata del tutto inefficace26.

Se, dunque, il criterio non può essere identificato con la valutazione del regime operata dai giuristi, o con il rapporto che essi intrattennero con il III Reich, occorre porre la figura di Gierke a confronto con quella Rechtserneuerung la cui definizione investì tutti gli anni '30. Stolleis ha descritto questo decennio anche nei termini di un costante dissidio intorno a tre grandi questioni: il problema della personalità giuridica o della Gemeinschaft, quello dello Stato di diritto e quello del rapporto tra diritto pubblico e diritto privato27. È esattamente all'interno di queste Streitigkeiten che l'opera di Gierke venne messa a confronto con la rivoluzione hitleriana, a volte per una ripresa piena, come nel caso del superamento della classica divisione tra diritto pubblico e diritto privato, altre volte la stessa ripresa era messa in discussione, come nella polemica Höhn-Huber sul rapporto tra

Genossenschaft e Gemeinschaft nazionalsocialista.

Ciò chiarito non si può negare che, soprattutto grazie all'intervento di Höhn, il 1933 sia un anno spartiacque anche per la ripresa di Gierke: sino a quel momento il giurista di

Stettin, pur senza dimenticarne i limiti, venne assunto quale precursore della battaglia da combattere contro l'impostazione giuridica liberale. Dopo il '33, e in particolare dopo gli studi di Höhn databili tra il '34 e il '35, questa 'attualità' di Gierke fu pesantemente messa in discussione: l'ipotesi che appare più convincente è quella di iscrivere questo processo nella transizione da una fase meramente rivendicativa della novità rappresentata dalla rivoluzione nazionalsocialista alla sua realizzazione tramite proprio la Rechtserneuerung. In tal senso, all'ideologia antiromanista occorreva aggiungere dell'altro perché si potesse

26 C. Schmitt, Hugo Preuss. Sein Staatsbegriff und seine Stellung und der deutschen Staatslehre, Möhr, Tübingen 1930, trad. it. in Id., Democrazia e liberalismo. Referendum e iniziativa popolare Hugo Preuss e la dottrina tedesca dello Stato, a cura di M. Alessio, Giuffrè, Milano 2001, pp. 103-109. 27 M. Stolleis, Geschichte des öffentlichen Rechts in Deutschland, Bd. 3, cit., pp. 325-342.

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considerare definita – e definitiva – una nuova concezione della scienza giuridica. Si vedrà che il passaggio principale fu realizzato affiancando il concetto di Führertum a quello di

Volkstum: a quel punto intervenne l'autorità di Höhn a rendere questo sviluppo come qualcosa di unico nella storia del diritto tedesco e, pertanto, lo stesso richiamo a Gierke divenne inutile e, per certi aspetti, addirittura dannoso.

Ciò detto, il giudizio su Gierke restava sempre 'viziato' dal rapporto con il nazionalsocialismo: l'idea stessa di un recupero di Gierke pone il problema, per certi aspetti estremamente rischiosi, di un’analisi autentica della sua opera, della sua attualità. Solo a partire dai primi anni quaranta del secolo, grazie soprattutto ad Hans Krupa, l'opera di

Gierke fu valutata, finalmente, in modo autonomo, senza dover più fare riferimento alla sua attualità o alla sua aderenza ai modelli nazionalsocialisti.

Ecco perché il criterio cronologico e questa stessa scansione qui proposta, pur con i limiti di cui si è detto, continuano ad apparire strumenti utili per una valutazione complessiva della recezione dell'opera di Otto Gierke dalla fine degli anni '20 ai primi anni

'40.

In questa sede si tenterà di problematizzare il rapporto tra Gierke e il nazionalsocialismo, cercando di cogliere tutte gli aspetti e le implicazioni dell'interesse verso Gierke negli anni Trenta e nei primi anni Quaranta del secolo scorso, precisando che il problema di una presunta matrice nazista in Gierke è oggi problema complessivamente superato. Sia perché è oggi abbastanza fuorviante tentare di chiedersi quanto ci fosse del passato tedesco nell'esperienza storica nazionalsocialista. E anche perché è stato argomentato molto autorevolmente che la stessa vita di Gierke è ricca di episodi – a partire dal matrimonio con Lilli Loening, una donna ebrea – che basterebbero da soli a smentire ogni possibile connessione della sua opere con l'immaginario razzista del nazionalsocialismo28.

La connessione tra Otto Gierke e l'esperienza giuridica nazionalsocialista merita di essere approfondita per la posta in gioco di un simile rapporto: essa, infatti, non riguarda esclusivamente il giudizio su uno dei due poli, ma entrambi, ovvero nella messa in

28 Cfr. G. Dilcher, Genossenschaftstheorie und Sozialrecht: ein «Juristensozialismus» Otto v. Gierkes?, cit., p. 360. Bisogna nuovamente ricordare come la figlia di Gierke, Anna, affermata pedagogista, proprio per l'origine ebrea della madre, fu costretta dal regime ad abbandonare la carriera accademica, cfr. infra cap. I par. VI.

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questione tanto della presenza – giustificata o meno – di Gierke nella dottrina nazionalsocialista, tanto nella valutazione che venne attribuita all'opera dell'autore della

Genossenschaftslehre. In altri termini il rapporto da analizzare attiva due distinte questioni, profondamente intrecciate: in che termini si realizzò il recupero di Otto Gierke da parte del nazionalsocialismo e quanto della dottrina gierkiana era presente nell'esperienza giuridica nazionalsocialista. In questo modo dovrebbe essere evitato il problema, da un lato, di considerare il recupero di Gierke a senso unico – sia nel senso di una sua coerenza che in quello di una mera strumentalità – e anzi di cogliere le ragioni e l'interesse di un simile recupero, ma anche di leggere l'esperienza giuridica nazionalsocialista – seppur nei limiti di una sua connessione esclusivamente con il giurista di Stettin – non nei termini di una sua

'estraneità' ad ogni precedente (o successiva) tradizione giuridica, ma provando a recuperarne maggiormente la sua collocazione storica29.

III. Negli anni venti, seppur compromesso dal fallito putsch di Monaco (8-9 novembre 1923)30, il partito di Hitler vide aumentare i propri consensi. Sin dagli anni venti

29 Senza nessuna pretesa di completezza, sono da tener presenti, per lo studio della storia del diritto in epoca nazionalsocialista gli atti del congresso, tenuto a Berlino Ovest l'11 e il 12 ottobre 1983, dalla Sezione tedesca della Vereinigung für Rechts- und Sozialphilosophie raccolti in Recht, Rechtsphilosophie und Nationalsozialismus, a cura di H. Rottleuthner, in Archiv für Rechts- und Sozialphilosophie, XVIII, 1983. Utile è anche Staatsrecht und Staatsrechtslehre im Dritten Reich, a cura di E.-W. Böckenförde, C.F. Müller, Heidelberg 1985. Si faccia riferimento, inoltre, a Rechtsgeschichte im Nationalsozialismus, a cura di M. Stolleis e D. Simon, J.C.B. Möhr (Paul Siebeck), Tübingen 1989 e Die Deutsche Rechtsgeschichte in der NS-Zeit ihre Vorgeschichte und ihre Nachwirkungen, a cura di J. Rückert und D. Willoweit, J.C.B. Möhr (Paul Siebeck), Tübingen 1995. Entrambi questi ultimi due testi raccolgono gli interventi di due conferenze tenutesi tra l'agosto e il settembre del '87 e ai primi di settembre del '91. Più recenti i contributi di H. Dreier e W. Pauly, Die deutsche Staatsrechtslehre in der Zeit des Nationalsozialismus, in Veröffentlichung der Vereinigung der Deutschen Staatsrechtslehrer, 60, 2001 pp. 9-147. Si veda anche Kontinuitäten und Zäsuren. Rechtswissenschaft und Justiz im "Dritten Reich" und in der Nachkriegszeit, a cura di E. Schumann, Wallstein, Göttingen 2008. Importanti sono, inoltre, i contributi di Michael Stolleis: la voce Nationalsozialistisches Recht, nell‟Handwörterbuch zur deutschen Rechtsgeschichte, III Band, a cura di E. Erler ed E. Kaufmann, Eric Schmidt Verlag, Berlin 1984, pp. 873-892 e la raccolta di saggi apparsi nell‟ultimo trentennio Recht um Unrecht. Studien zur Rechtsgeschichte des Nationalsozialismus, Suhrkamp, Frankfurt am Main 2006. 30 Il putsch della Bürgerbräukeller, nonostante il fallimento, contribuì ad alimentare il 'mito' di Adolf Hitler e la propaganda nazionalsocialista: lo stesso processo agli autori del tentato colpo di Stato – che si concluse con pene molto lievi – divenne l'occasione per radicalizzare l'opposizione alla Repubblica di Weimar ed estendere il consenso delle camice brune. Una sintesi efficace del putsch e di ciò che ne seguì è nel testo ormai classico sul nazionalsocialismo, cfr. W. L. Shirer, The Rise and Fall of the Third Reich, Simon & Schuster, New York 1959 trad.it Storia del Terzo Reich, a cura di G. Glaesser, Einaudi, Torino 1962, pp.78-89. Purtroppo fu solo uno dei tanti processi nei quali a essere giudicata era la stessa istituzione repubblicana. La politicizzazione dei procedimenti giudiziari assunse nella

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erano stati pubblicati i venticinque punti programmatici della NSDAP: il diciannovesimo è rilevantissimo proprio per cogliere le ragioni di un successivo interesse per Otto Gierke.

Esso prevede: «Esigiamo la sostituzione del diritto romano, al servizio di un ordinamento del mondo materialista, con un diritto comune tedesco»31. Il diritto romano, come già nel corso del XIX secolo, era indicato quale strumento di un apparato ideologico estraneo allo spirito originario della comunità germanica. Il socialismo e la sua scienza materialista rappresentavano il perfetto contraltare dell'impostazione liberale: in questa dominava una visione individualista, in quella la comunità era costruita solo attraverso strumenti formali, grazie ai quali non si riusciva a comporre la distanza tra singoli e Gemeinschaft. Questa tesi non era estranea alla storia giuridica tedesca e il richiamo a Gierke apparve quasi naturale, soprattutto nella sua polemica contro il diritto romano – sia in ambito pubblicistico, sia in quello privatistico – condotta grazie al ricorso alla Genossenschaft, intesa come forma originariamente germanica di definizione del rapporto individuo-comunità.

Il 5 giugno 1929 Herbert Meyer (1875-1941), professore di Storia del diritto tedesco all'università di Göttingen, inaugurò il proprio rettorato con una lezione dedicata a Recht und Volkstum32: proprio quell'occasione costituì l'inizio della rinascita di Otto Gierke, nel quale, Meyer lo ribadiva sin dalle prime battute della sua prolusione, «[...] si levava il convincimento di essere destinato quale custode e guardiano della specificità nazionale del

repubblica due facce. La prima era relativa alla natura stessa dei casi: oltre a quello già citato contro Hitler, molto famoso fu, ad esempio, quello contro un giornalista per aver definito il Presidente Ebert un traditore della patria, il processo seguì proprio la querela mossa dall‟esponente socialista. Questi avvenimenti si trasformarono così in una sorta di discussione collettiva – che avveniva sui giornali popolari e sulle riviste specializzate – sulla Repubblica e sul suo futuro. L‟altro aspetto è legato invece alla stessa fase weimariana e alla neutralità con cui l‟aveva qualificata Schmitt. I Tribunali divennero i luoghi dove tentare di ricomporre dispute e questioni che andavano al di là del caso stesso – con ovvie conseguenze quanto alla legittimità di alcune sentenze – e che non era possibile affrontare altrove per la grande debolezza del sistema politico. L‟amministrazione della giustizia, già duramente compromessa, ne uscì praticamente a pezzi, dilaniata da una lotta interna e dalla totale sfiducia che la maggioranza dei cittadini le attribuiva. 31 I venticinque punti della NSDAP furono approvati a Monaco il 24 febbraio 1920 e costituiscono un vero e proprio manifesto programmatico. Il programma della NSDAP è in W. Mommsen (a cura di), Deutsche Parteiprogramme, Isar Verlag, München 1960, pp. 547-550. 32 Il testo di questa conferenza venne stampato nello stesso anno. Questa edizione è stata riprodotta nel volume Göttinger Universitätsreden aus zwei Jahrhunderten (1737-1934), a cura di W. Ebel, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1978, dal quale saranno tratte le citazioni qui utilizzate. Una seconda edizione comparve a Weimar nel 1933 per il Verlag Hermann Böhlaus Nachfolger: il testo era inalterato, ma l'autore aveva aggiunto una introduzione e un apparato di note. Meyer elogia il ruolo di Adolf Hitler nella rinascita del popolo tedesco, simile alla fondazione dell'impero di Bismarck. Nella nota 10 [p. 40] le opera di Gierke, Die soziale Aufgabe des Privatrechts e Der germanische Staatsgedanke, sono accostate al Mein Kampf di Hitler nella misura in cui tutte avrebbero contribuito a ridestare l'orgoglio nazionale e di legare il singolo allo Stato e al suo Führer. L'apologia di Meyer è in questo caso eccessiva e il richiamo alla biografia di Hitler appare del tutto singolare, soprattutto se si fa riferimento all'idea di Rechtsstaaat che Gierke proprio nel testo del '19 aveva tratteggiato.

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nostro diritto contro quella confusione in parte incombente, in parte già verificatasi»33. E già questa battuta fa intravedere una chiara linea interpretativa, che fa di Gierke – enfaticamente definito come il profeta della verità – l'antesignano di ogni critica alla riduzione del diritto a romanesimo e della necessaria salvaguardia e ripresa di una specificità germanica del Recht. Dunque questa conferenza può a buon diritto costituire l'inizio della rinascita di Gierke: con l'Antrittsvorlesung di Meyer il giurista di Stettin venne esplicitamente considerato quale precursore di una trasformazione della scienza giuridica che di lì a qualche anno, con la presa del potere della NSDAP, avrebbe assunto le dimensioni di una Rechtserneuerung34.

Meyer conosceva molto bene Gierke e sicuramente aveva avuto modo di confrontarsi con lui: nato a Breslau – dove Gierke era stato libero docente e aveva ottenuto la sua prima cattedra – studiò nell'università cittadina proprio negli anni in cui lo stesso

Gierke cominciò il suo insegnamento; doveva dunque conoscere molto bene la

Genossenschaftstheorie avendone seguito gli sviluppi sin dai primi anni della sua elaborazione. Successivamente Meyer proseguì gli studi di storia del diritto e nel '29 divenne rettore a Göttingen. Era prossimo agli ambienti nazionalsocialisti e nel 1933 divenne membro effettivo del partito: fu così chiamato a Berlino, dove rimase sino alla morte avvenuta nel 194135.

La prolusione di Göttingen è una sintesi efficace di alcuni dei temi classici nel corso degli ultimi anni di Weimar e già profondamente intrisi di una certa retorica che poi diverrà dominante dopo il '33. Oggetto della lezione è il rapporto tra Recht e Volkstum: occorre, ad avviso di Meyer, chiedersi cosa ci sia di errato nella Rechtswissenschaft e, in particolare, nella Storia del diritto se non riesce ad analizzare e a valorizzare questo specifico rapporto. Meyer muove dalla Scuola storica ottocentesca, nella quale convivevano

33 H. Meyer, Recht und Volkstum, cit., p. 603. 34 Per un primo inquadramento delle conseguenze suggerite da questa espressione, usata e abusata dai nazionalsocialisti, si può fare riferimento a H. Lange, Liberalismus, Nationalismus und bürgerliches Recht. Ein Vortrag, Tübingen 1933; E. Wolf, Das Rechtsideale des nationalsozialistischen Staates, in Archiv für Rechts- und Sozialphilosophie, XXVIII, 1935, pp. 348-363; F. Wieacker, Der Stand der Rechterneuerung auf dem Gebiete des bürgerlichen Rechts, in Deutsche Rechtswissenschaft, II, 1937, pp. 3- 27. 35 Non ci sono molte informazioni sull'opera di Meyer: l'analisi dell'opera dei giuristi in epoca nazionalsocialista è, anche in Germania, ancora lacunosa. Qualche elemento biografico è rinvenibile nella Deutsche Biographie (disponibile in internet) mentre per un primo inquadramento generale si può fare riferimento al saggio di Diethelm Klippel, Subjektives Recht und germanisch-deutscher Rechtsgedanke in der Zeit des Nationalsozialismus, in Die Deutsche Rechtsgeschichte in der NS-Zeit, a cura di J. Rückert e D. Willoweit, cit., pp. 31-54.

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due distinte anime, la germanista e la romanista. La prevalenza di questa a danno di quella, determinò non solo la piena codificazione di istituti giuridici di foggia romanista, ma una torsione della cultura giuridica ad una impostazione formalista e individualista, con la quale non si poté più cogliere la specifica caratteristica dell'elemento germanico nel diritto.

Gierke tentò di opporsi a questo processo, ma fu sconfitto: il suo gesto guardava al futuro, sebbene egli restasse un uomo del passato36.

La critica di Meyer, sebbene a tratti densa e oscura, merita però di essere sintetizzata e chiarita: alla scienza giuridica del XIX, e in particolare all'ala germanista, va il merito di aver provato a utilizzare le armi dell'analisi storica per contrapporsi alle ricostruzioni del diritto naturale e del romanesimo. Esse conducevano a una separazione del giuridico dall'elemento nazionale: l'intera scienza giuridica di derivazione ottocentesca determina questa rimozione del Volkstum dalla natura propria del giuridico. Anche le ultime manifestazioni della scienza del XIX secolo, come la Giurisprudenza degli interessi e la Freirechtbewegung, nell'assegnare una rilevanza all'elemento sociale – gli scopi o l'interesse – su quello giuridico, finivano per sganciare del tutto il diritto dal Volkstum37, sino a rendere possibile l'affermazione in base alla quale «Le forme fondamentali della vita sociale spirituale, dalla quale sgorga tutto il diritto, sono indipendenti dalla razza e dalla nazione, come ritiene la Scuola storica. L'affinità del diritto all'interno di differenze di razze così profonde può essere spiegata solo tramite un comune fondamento umano»38. E questo fondamento comune va del tutto respinto39.

Quello che Meyer ipotizza è uno sganciamento complessivo dall’impostazione giuridica ottocentesca, la quale, sia nella sua variante formalista che in quella antiformalista, proponeva una dequalificazione del giuridico in materia rozza, deducibile o in modo sillogistico, nell'ambito di un sistema chiuso, concettuale e non storico, o tramite una sua derivazione dal sociale – dal conflitto di classe o anche semplicemente da una

36 H. Meyer, Op. cit., p. 606. E continua «Er wußte dem Deutschen seinen Weg zu weisen, den Weg, der seinem Volksgeist entsprach. Und keiner seiner Zeitgenossen hat sich um die praktische Ausgestaltung unseres geltenden bürgerlichen Rechts solche Verdienste erworben wie er. Sein eigenstes Werk ist es, daß der undeutsche romanisierende Entwurf des Bürgerlichen Gesetzbuchs in der Versenkung verschwand und nunmehr auch der germanistischen Rechtswissenschaft bei der Weiterarbeit ihr Recht wurde, sein Verdienst, daß wir ein, wenn auch nicht rein deutsches, doch immerhin nicht undeutsches bürgerliches Recht erhalten haben» 37 Ivi, pp. 610-611. 38 Ivi, p.612. In questo caso Meyer cita esplicitamente le conclusioni del lavoro di H. Fehr, Hammurapi und das salische Recht: eine Rechtsvergleichung, Marcus & Weber, Bonn 1910 p. 136. 39 Ibidem.

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ricognizione degli interessi dei soggetti, individuali o collettivi – finendo così per assegnare al diritto un ruolo secondario e del tutto privo di una sua autonomia concettuale. Il diritto, invece, nella visione di Meyer, conserva una sua specificità, che ne segna anche il destino in base al popolo nel quale si sviluppa: ma non nel senso di una sua possibile interpretazione sociologica quanto, piuttosto, nella connessione necessaria tra il Volk e il Recht, così che ogni popolo abbia il suo, vero e unico, diritto.

Si tratta, quindi, di non ignorare le differenze che esistono tra i popoli e di recuperare un'idea compatta ed unitaria dei Germani – questo davvero un vero topos non solo del pensiero nazionalsocialista delle origini ma anche della riflessione scientifica di fine Ottocento – che non erano barbari, ma un popolo di elevata cultura40: in tal modo, la cosiddetta recezione del diritto romano non è descrivibile come un processo unidirezionale, quanto piuttosto come l'articolazione nel mondo germanico di alcuni istituti romani che avevano una certa affinità con pratiche e procedure germaniche41. Fino ad oggi anche la storia del diritto, persino quella elaborata da Beseler e Gierke, non si è rivelata in grado di passare dalla pur necessaria determinazione delle fonti alla conoscenza della struttura e della chiara articolazione dell'unità del nostro diritto nazionale42 e, cioè, di recuperare la specifica connessione del giuridico con la vita del popolo. Ecco perché «La conoscenza delle determinazioni legislative non significa possedere un rozzo arnese: per diventare giurista, occorre soffermarsi sulle leggi, padroneggiare lo spirito dell'intero ordinamento giuridico, quello scritto e quello non scritto, per essere in grado di utilizzare le teorie fondamentali che pervadono il nostro diritto tedesco e gli conferiscono il suo carattere specifico. Per fare questo, si deve, però, conoscere anche la storia del nostro diritto che lascia manifestare chiaramente queste teorie, e si deve essere un uomo integro [ein ganzer

Mann], dal profondo senso di responsabilità; possedere cultura e libertà interiore e con lieto orgoglio difendere il proprio carattere nazionale»43.

Per inciso occorre considerare che gran parte della produzione scientifica di Meyer fu incentrata proprio al rinnovo della metodologia della Rechtsgeschichte all'insegna del recupero dell'elemento nazionale, che conferiva al diritto la sua specifica forma e funzione in un determinato popolo: in particolare dopo il '33, gli studi di Meyer si fecero sempre più

40 Ivi, p. 615. 41 Ivi, p. 614: «So ward in die römische Form ein deutscher Inhalt gegossen». 42 Ivi, p. 620. 43 Ivi, p. 624.

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orientati all'analisi delle tradizioni indogermaniche e al loro ruolo nella strutturazione di un nucleo embrionale del diritto germanico.

A partire da questo intento di rifondazione metodologica, Meyer, nonostante i limiti da egli stesso chiaramente evidenziati nell'analisi del giurista di Stettin 44 , può affermare con sicurezza che occorre tornare nuovamente a Gierke, Zurück zu Gierke45: perché mai prima del suo Deutsches Privatrecht si è tentato di cogliere l'idea fondamentale del diritto nazionale tedesco. Vengono riproposti così alcuni dei temi classici gierkiani, come l'inserimento del singolo in una comunità – che, precisazione importante, Meyer qualifica, però, semplicemente come Gemeinschaften senza fare riferimento alla

Genossenschaft46 –, la subordinazione degli interessi individuali a quelli comuni, la natura sociale del diritto che permea anche l'istituto della proprietà. Ritorna, dunque, un tema classico della produzione gierkiana, quello della funzione sociale del diritto, e inserito plasticamente in una idea fortemente gerarchica, dove il singolo è solo membro di un tutto: quanto questa visione ben si accordasse anche alle prime teorizzazioni dei nazionalsocialisti non dovette certamente sfuggire al Rettore di Göttingen.

Eppure, anche solo a questo livello – se si limita l’analisi alla sola prolusione di

Meyer – appare evidente come la ripresa di Gierke sia oltremodo retorica e priva di una sua autentica base teorica. Si tratta di una traduzione nel pieno del Novecento di un linguaggio e di una teoria che Gierke aveva coniato nella polemica ottocentesca della codificazione e dell'assolutizzazione dello Stato e del potere dello Staatsoberhaupt. Tale traduzione palesa chiaramente un aspetto ideologico di critica all'impostazione liberale e

44 La critica principale che Meyer rivolge a Gierke è quella di essere, inevitabilmente, un figlio del suo tempo. Perciò in Gierke non sarebbe pienamente valorizzato quel Volksgeist, da intendersi come manifestazione reale della dimensione nazionale, che si articola in diverse manifestazioni sociali – dal linguaggio al diritto – e che permette l'identificazione degli elementi specificamente germanici e quelli, invece, ''estranei''. Il Volksgeist è contrapposto al Rechtsgefühl ottocentesco che invece si caratterizza per la sua arbitrarietà, cfr. p. 607. Arbitrarietà è qui da intendersi soprattutto come mancanza di fondamento e di stabilità: il Rechtsgefühl, cioè, varia in base alla dottrina giuridica dominante, mentre il Volksgeist si qualifica per la propria natura precipua, ovvero capace di determinare l'esatta fisionomia di un determinato popolo, il suo sviluppo, il suo destino. Esso è dentro la Storia e anche oltre di essa. È interessante notare come il rapporto tra questi due termini sia costantemente messo in discussione: alcuni giuristi della generazione successiva a quella di Savigny e Puchta, tra cui sono da annoverare Jhering e lo stesso Gierke, tentarono di relativizzare il ruolo del Volksgeist, preferendogli quello più pregnante del Rechtsgefühl. 45 Ivi, p. 620. 46 La ragione è, ovviamente, scontata: a Meyer interessa ben poco recuperare il concetto di Allgemeinheit come strutturazione articolazione di Genossenschaften, che potrebbe addirittura provocare fratture nel compatto organismo comunitario. La Gemeinschaft, al contrario, si presta meglio a preservare questa compattezza e, cosa più importante, a fondare l‟unità del popolo in caratteristiche naturali, più che nell‟azione di principi dialettici, soggetta a contingenza storica.

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democratica: non c'è dubbio, però, che il richiamo a Gierke – più che lasciar intravedere una ripresa delle teorie gierkiane – palesi semplicemente la volontà di ripristinare un conflitto con il romanismo tutto sommato puramente 'episodico' se è vero che il nazionalsocialismo non smise mai di servirsi di quelle categorie che la scienza giuridica romanista aveva ideato e che erano ancora funzionali – e anzi, indispensabili – nel sistema economico e sociale che era stato inaugurato nel '33.

Bisogna ricordare che i nazionalsocialisti provarono sin dall'inizio a denunciare i limiti dell'impostazione individualista e a rimarcare la natura 'sociale' 47 del diritto germanico. Un diritto che si rifaceva direttamente a una purezza originaria dei Germani che il nazionalsocialismo avrebbe dovuto ripristinare per opporsi alle storture del romanismo e del liberalismo. D'altro canto occorre essere consapevoli che «[...] con l'evoluzione dei rapporti politici (l'''Asse'' in primo luogo) anche la polarità Romani-

Germani verrà meno *<+ e allora tutto il peggio che era stato addebitato ai Romani viene definitivamente riversato sull'Ebreo: l'antica lotta di Roma contro Cartagine *<+ diverrà l'archetipo della lotta delle potenze dell'asse contro quelle definite ''giudeo- plutocratiche''»48.

Inoltre, la critica di Meyer era rivolta contro l'asse diritti naturali – romanismo – liberalismo e si serviva di Gierke per riprendere una polemica contro il formalismo del diritto romano per presentare una presunta specificità nazionale dell'elemento giuridico, la quale avrebbe poi condotto alla qualifica della piena soggettività giuridica solo per i

Volksgenossen: in tal modo, i punti della NSDAP del 1920 hanno una loro intima coerenza e se il diciannovesimo contestava proprio il diritto romano, il quarto49 definiva chiaramente quali conseguenze politiche e giuridiche comportasse questa scelta nel senso della formulazione di un criterio 'naturale' – la razza – quale elemento costitutivo della

Gemeinschaft e capace di escludere un numero considerevole di soggetti dall'appartenenza all'organismo sociale. Una conclusione del tutto assente nell'opera del giurista di Stettin.

47 Una efficace critica di questi aspetti è in A. Somma, I giuristi e l'asse culturale Roma-Berlino. Economia e politica nel diritto fascista e nazionalsocialista, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main 2005: «[...] Nel contesto tedesco, i fautori di un ordinamento in linea con l'evoluzione economica trovano nei riferimenti al diritto germanico uno strumento retorico attraverso cui avvalorare costruzioni – diversamente da quanto sarebbe accaduto ricorrendo al diritto romano concettualizzato – capaci di assecondare l'incombente processo di massificazione e quindi di standardizzazione del traffico commerciale» p. 272. 48 L. Canfora, La Germania di Tacito da Engels al nazismo, Liguori Editore, Napoli 1979, p. 74. 49 «Staatsbürger kann nur sein, wer Volksgenosse ist. Volksgenosse kann nur sein, wer deutschen Blutes ist, ohne Rücksichtnahme auf Konfession. Kein Jude kann daher Volksgenosse sein».

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Così la ripresa da Gierke serviva a riprendere, esclusivamente, la polemica contro il romanismo e, in particolare, contro l'idea di un individuo sovrano e autonomo, simboleggiata dal diritto soggettivo50. Proprio a proposito della polemica nazionalsocialista contro i diritti soggettivi, è stato notato 51 come la ripresa di Gierke, anche se solo indirettamente, costituì una costante. Il diritto soggettivo costituiva «il cardine dell'ordinamento giuridico borghese»52 e andava sostituito con il concetto di «posizione giuridica del membro del popolo [Volksgenosse] quale sua funzione e posto di comando nella comunità»53. Altre critiche al concetto di diritto soggettivo come premesse per la

Rechtserneuerung nazionalsocialista vennero da Walther Merk54 e da Walther Schönefeld55, sempre agli inizi degli anni '30, e divennero costanti nella discussione giuridica degli anni successivi, ponendosi come critica radicale dei diritti fondamentali 56. Pur senza citare

50 Si veda, proprio nel senso di una ripresa del XIX punto nei termini di una polemica contro il diritto soggettivo, Nationalsozialistisches Handbuch für Recht und Gesetzgebung, a cura di H. Frank, Zentralverlag der NSDAP, München 1934, p. VII: «Der Nationalsozialismus hat es sich zur Aufgabe gemacht, an Stelle des fremder Weltanschauung entsprungenen rezipierten Rechtes deutsches Recht zu setzen, und dieses deutsche Recht ist nach nationalsozialistischer Rechtsauffassung nicht Mittel der Verwirklichung des subjektiven Rechts des einzelnen, der von niemanden anzutastenden absoluten Rechtsmacht, sondern es hat im Dienste der Gemeinschaft zu stehen». La copertina del libro raffigura l'idea della giustizia nazionalsocialista: un aquila è seduta sull'elsa della spada, che funge anche da sostegno per i due piatti della bilancia. Nella spada, appena sotto l'aquila, ma sopra la bilancia, quasi a fare da fulcro, è posta la svastica. 51 Su questi temi, imprescindibile è il citato saggio di Diethelm Klippel, Subjektives Recht und germanisch-deutscher Rechtsgedanke in der Zeit des Nationalsozialismus, cit.. La riflessione di Klippel svela chiaramente la dimensione ideologica della polemica contro il diritto soggettivo e sottolinea i numerosi rinvii all'opera di Gierke che, direttamente o implicitamente, sono contenuti nella maggioranza dei testi di epoca nazionalsocialista dedicata a questo argomento. Ovviamente, il tentativo di Klippel è quello di indagare la natura della polemica contro il diritto soggettivo e, in tal senso, il richiamo a Gierke, seppur rilevante, è esclusivamente tangente agli obiettivi del saggio: non è dunque sufficientemente problematizzata senso e portata della ripresa di Gierke da parte dei giuristi nazionalsocialisti negli anni '30. In ogni caso è assolutamente condivisibile la conclusione di Klippel sui limiti di tale ripresa da parte dei giuristi nazionalsocialisti: «Gierke betont ausdrücklich, im Privatrecht stünden die Befugnisse des einzelnen im Vordergrund, weshalb auch in der Systematik des Privatrechts der Standpunkt des subjektiven Rechts beizubehalten sei; allerdings sei der Zusammenhang zwischen Recht und Pflicht nicht zu vergessen» 52 K. Larenz, Rechtsperson und subjektives Recht. Zur Wandlung der Rechtsgrundbegriffe, Junker und Dünnhaupt Verlag, Berlin 1935, p. 5. 53 Ivi, p. 20. 54 Cfr. ad esempio, W. Merk, Neugestaltung unseres bürgerlichen Rechts, in Geistige Arbeit, 1, 1934, p. 8. 55 W. Schönefeld, Der Kampf wider das subjektive Recht, in Zeitschrift der Akademie für Deutsches Recht 4, 1937, p.107. Ma si veda anche il fugace richiamo, effettuato molti anni più tardi, a Gierke nella relazione al II Convegno dei giuristi italo tedeschi, tenutosi a Vienna dal 7 al 12 marzo 1939, predisposta dal direttore dell'ufficio razza del Reich, Ruttke, in Lo Stato, anno X, 1939, pp. 129-167 e disponibile anche come estratto autonomo, dal titolo Razza e diritto. 56 U. Scheuner, Die Rechtsstellung der Persönlichkeit in der Gemeinschaft, in Deutsches Verwaltungsrecht, a cura di H. Frank, München 1937, p. 89: «Die Ablehnung des Begriffs des subjektiven öffentlichen Rechts sich auch gegen die mit ihm verbundene Ideen, den Gedanken einer der Einwirkung der Gemeinschaft entzogenen 'staatsfreien' Sphäre des einzelnen, die Vorstellung von ursprünglichen Grundrechten und Freiheitsrechten des einzelnen im Staate, überhaupt gegen die Anerkennung von bestimmten Personen oder Verbänden um Staate eingeräumten Garantien. [...] In

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direttamente l'opera di Gierke, alcune espressioni ricordano moltissimo la sua critica al diritto romano: è altrettanto evidente, però, che se ne assunse solo la pars destruens senza alcuna relazione con quanto Gierke aveva affermato, ad esempio nei testi sul diritto privato, alla compresenza nel concetto di Recht certamente di una aspettativa e una funzione sociale, ma anche di specifiche facoltà attribuite al singolo. Inoltre, si è comunque lontani – quantomeno nella prolusione di Meyer – da un autentico accostamento critico ai principali concetti utilizzati da Gierke.

Infine, quello che Meyer definisce un limite dell'opera gierkiana ne rappresentava un tratto caratteristico, ovvero l'esclusione nella definizione delle Genossenschaften di elementi razziali o anche, più semplicemente, nazionali: per Gierke l'idea del diritto era un elemento da valorizzare ma non nel senso indicato da Meyer. Non si trattava, cioè, di sviluppare esclusivamente il suo specifico tratto nazionale, quanto piuttosto di evidenziare e rafforzare quella forza centripeta che tiene insieme l'articolazione delle Genossenschaften.

La cui genesi costituisce meglio di ogni altra teoria il contributo di Gierke a uno studio del diritto orientato in senso sociologico – esattamente quello che Meyer contestava richiamando Jhering o la Interessenjurisprudence – ovvero capace di utilizzare la dialettica tra Einheit e Freiheit per tradurre giuridicamente quei conflitti che animavano al moderna società capitalistica evitando che potessero produrre la distruzione complessiva dell'organismo sociale. Ecco perché non si può parlare di una riduzione alla connessione tra Recht e Volkstum, almeno non nel senso della dimensione fortemente escludente come appare dalle teorie nazionalsocialiste: si può dire che lo stesso Meyer, nell'accentuare questo rapporto, determini egli stesso la totale subordinazione del giuridico a un elemento esterno (il Volkstum), mortificandone l'autonomia anche solo nei termini di categoria concettuale. La Genossenschaft di Gierke, dunque, non aveva nulla in comune con la

Gemeinschaft che Meyer ipotizzava quale luogo concreto di manifestazione del Volkstum: e sarà proprio la generazione successiva dei giuristi nazionalsocialisti a recuperare pienamente il senso di questa differenza.

Questa rapida analisi della prolusione di Meyer non completa certamente il quadro di questa prima ripresa di Gierke in ambito nazionalsocialista: negli anni successivi si avranno continui richiami, il più delle volte in modo implicito, all'opera di Gierke

der deutschen Volksgemeinschaft, wie sie der Nationalsozialismus geformt hat, ist kein Raum mehr für Grundrecht des einzelnen gegen Volk und Staat».

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attraverso la polemica contro il diritto romano, la natura del singolo, il rapporto tra individuo e comunità, la necessità di strutturare gli interessi particolari perché essi siano compatibili con quelli 'nazionali', etc.. Essa permette di chiarire, però, come la polemica contro il diritto romano definisse una ancor più rilevante questione: ovvero l’ostilità dei giuristi prossimi alla NSDAP verso il diritto soggettivo. Meyer, dunque, è l'esponente che, primo di ogni altro, nel '29 intuì una certa assonanza con i motivi classici del NSDAP e le teorie gierkiane: negli anni successivi questa assonanza fu costantemente utilizzata. Essa venne, in parte, accettata, soprattutto nei termini nella battaglia contro l'impostazione individualista del diritto romano, ma venne anche energicamente rifiutata, proprio a partire da una migliore contestualizzazione del concetto di Genossenschaft e la sua inapplicabilità all'interno del sistema giuridico nazionalista.

In particolare, dopo il 1933 – e, cioè, dopo l'affermazione definitiva del movimento hitleriano – l'ipotesi di un ritorno a Gierke cominciò a incontrare sempre più oppositori, tant'è che i richiami espressi al giurista di Stettin sono sempre volti a segnalare la sua distanza dal sistema giuridico nazionalsocialista, seppur non manchino alcuni motivi ricorrenti che, implicitamente, rinviano positivamente alla sua opera. Evidentemente, contò nella scienza giuridica tedesca, la decisa presa di posizione di uno dei giuristi più autorevoli e influenti, Reinhard Höhn, che stroncò chiaramente ogni ipotesi di un recupero della Genossenschaftslehre. Si può dire, quindi, che la ripresa di Gierke attraversa l'intera esperienza nazionalsocialista, nelle tre grandi dispute di cui parla con efficacia Stolleis; tale ripresa appare, però, compromessa con il rafforzamento del regime, la sua istituzionalizzazione e la rapida carriera di Höhn, il quale, senza abbandonare la battaglia contro il concetto di diritto soggettivo, non ritenne più utile e anzi dannoso ritornare a Otto

Gierke. Dunque questi due approcci, anche se cronologicamente coesistenti, vanno necessariamente distinti: occorrerà analizzare innanzitutto quanto resta dell'eredità di

Meyer e, di conseguenza, quanto Gierke continuò a essere considerato un punto di riferimento mentre successivamente si passerà ad analizzare, particolarmente nel rapporto con il concetto di Genossenschaft, il successivo rifiuto della teoria gierkiana.

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IV. Prima di procedere oltre e di analizzare come l'analisi di Meyer sarà contestata,

è necessario soffermarsi brevemente sull'intervento, formulato tra il '33 e il '34 da Ernst

Rudolf Huber (1903-1990)57 dedicato all'ordinamento consociativo [genossenschaftliche] del lavoro58: si tratta di un contributo per certi aspetti 'anomalo', perché riprende la teoria di

Gierke in una prospettiva assai lontana da quella di Meyer e, più in generale, delle dispute proprie del regime elencate da Stolleis. Sono almeno tre le ragioni che spingono a occuparsi di questo breve saggio: innanzitutto la figura stessa di Huber, tra gli esponenti principali, perlomeno quanto ai giuristi, del regime. In secondo luogo, l''originalità' dell'intervento, ovvero la sua distanza di motivi comuni di rinascita dell'opera di Gierke che, come si è detto, a partire dal '29 si svilupparono sin dentro la strutturazione del regime. L'attenzione di Huber per la Berufsordnung si rivela, infatti, un pretesto per un'analisi circostanziata delle caratteristiche che lo Stato dovrà assumere a seguito della rivoluzione nazionalsocialista. Infine, l'interesse per un intervento maturato a cavallo della presa di potere di Adolf Hitler e, perciò, espressione anche di una nuova e diversa sensibilità: a distanza di pochi anni quello che era solo un movimento auto professatosi 'rivoluzionario' si era ormai affermato in tutta la Germania, arrivando, ormai, a controllare e a disporre dell’intera macchina statale.59.

Il saggio di Huber si rivela molto interessante, ancorché a tratti inconcludente sotto il profilo programmatico e 'normativo': egli muove dalla constatazione che l'economia del

XIX secolo sia stata ormai trasformata dall'avvento del capitalismo senza che questo significhi automaticamente l'introduzione di un nuovo ordine e di una stabilità complessiva (il richiamo, per quanto implicito, a Gierke è evidente). Il compito del movimento nazionalsocialista è proprio quello di definire questo nuovo ordine60: i rischi della lotta fra classi vanno evitati, la contrapposizioni fra interessi sociali diversi è eccessivamente rischiosa, la stessa organizzazione sociale ottocentesca non rappresenta un

57 Allievo di Schmitt, aderì nel 1933 al nazionalsocialismo. Studiò prima a Bonn, poi a Kiel e infine a Lipsia. Fu indubbiamente uno dei giuristi più noti del regime anche se, al termine della guerra, dopo un lungo periodo di inattività, connessa alla Entnazifizierung, fu apprezzato per la monumentale Deutsche Verfassungsgeschichte in otto volumi. 58 E. R. Huber, Die genossenschaftliche Berufsordnung, in Blätter für Deutsche Philosophie - Zeitschrift der Deutschen Philosophischen Gesellschaft, Berlin, 7, 1933/34, pp. 293-310. 59 Il 24 marzo 1933 venne approvata la Ermächtigungsgesetz, la legge per rimediare alle necessità di popolo e impero, meglio conosciuta come legge dei pieni poteri con la quale, a detta di Carl Schmitt, la Costituzione di Weimar, pur essendo formalmente in vigore, era nei fatti abrogata. 60 Si trattava, in particolare, di far fronte alle legittime aspirazioni del movimento giovanile di un nuovo sistema di suddivisione del lavoro. Queste aspirazioni erano state mortificate da Weimar e toccava quindi al nazionalsocialismo « […] ottenere chiarezza spirituale sul senso e i principi costitutivi di un nuovo ordinamento del lavoro» E. R. Huber, Op. cit., p. 293.

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argine a queste fratture. «L'obiettivo supremo del nuovo stato è di realizzare, verso l'interno come per l'esterno, la legge di vita [Lebensgesetz] del popolo tedesco. Questo significa per la vita interna della nazione che le deve essere dato un nuovo ordinamento del popolo»61. Un ordinamento [Ordnung] e non un semplice sistema [System] perché solo il primo garantisce «una forma complessiva [Gesamtgestalt] nella quale la parte e il tutto si completano efficacemente in una continua corrente dinamica»62. Proprio in questo nuovo ordinamento occorrerà definire anche una nuova Arbeitsordnung grazie alla quale la forza dei vari gruppi dei lavoratori siano al servizio della totalità: in sostanza si tratta di una messa a lavoro dell'intera nazione o, con le parole di Huber, di inquadrare tutta la classe lavoratrice nell'intera nazione63.

Chiariti questi aspetti preliminari, Huber passa a definire la sua proposta normativa. Per quanto riguarda le associazioni dei lavoratori, il riferimento potrebbe andare al modello italiano della corporazione fascista ma questa soluzione non soddisfa

Huber che sottolinea la diversità di natura e contenuto del movimento nazionalsocialista da quello italiano. Ecco perché occorre recuperare in tutta la sua purezza e originarietà, fino a contrapporla anche ad altre esperienze figlie di rivoluzioni per tanti aspetti simili a quella

61 Ivi, p. 295. 62 Ivi, p. 294. 63 In realtà l'operazione è proprio quella della messa a lavoro di ogni individuo. Occorre prestare attenzione al fatto che nazione e popolo sono concetti fra loro simili ma dialettici: nel senso che il popolo si definisce, nell'ideologia nazionalsocialista, solo attraverso caratteristiche nazionali – razziali – per cui il Volk esiste come espressione di precise caratteristiche völkisch. Il nuovo ordinamento proposto da Huber altro non è che una subordinazione di ogni interesse alla totalità nazionale: in questo senso davvero la materializzazione concreta di uno dei rischi presenti nell'opera di Otto Gierke. I lavoratori vanno inquadrati in questo ordinamento perché la loro opera sia effettivamente al servizio della nazione: Huber anticipa così un tratto caratteristico del regime, per cui non esistevano 'cittadini' ma solo Volksgenossen qualificati da un determinato status (operai, artigiani, soldati,...). La perversione, ma anche la modernità del sistema, risiedeva nel fatto che tutti gli individui erano inseriti all'interno della Arbeitsordnung perché servissero quella nazione che avevano contribuito a costituire e dalla quale non potevano sfuggire. La natura di questa dimensione 'biopolitica' era stata intravista da Franz Neumann a proposito dell' irreggimentazione del tempo libero, cfr. F. Neumann, Behemoth. The structure and Practice of National Socialism, Oxford University Press, New York 1942, trad. it. Behemoth. Struttura e pratica del nazionalsocialismo, Feltrinelli, Milano 1977, particolarmente pp. 383-386. Inoltre si vedano anche interessanti considerazioni sulla 'scomparsa' degli individui nello Stato nazionalsocialista a favore di una rigida funzionalizzazione come criterio grazie al quale si accedeva alla Comunità: M. Stolleis, Geschichte des öffentlichen Recht, III Bd., cit., p. 318: «[...] die Rechtsordnung [sollte] das Individuum nicht mehr als „Menschen“, sondern funktional und sektoral als ''Mann und Frau'', ''Bauer'', ''Vater'', ''Soldat'', ''Beamter'', ''Fremder'', also als zweckbestimmten Zugrechnungspunkt ''konkreter Ordnungen'' wahrnehmen». È poi un riferimento indispensabile, la rassegna operata da Massimo La Torre, in Id., La «lotta contro il diritto soggettivo». Karl Larenz e la dottrina giuridica nazionalsocialista, Giuffré, Milano 1988, pp. 362-387, connessa alle funzioni assunte dai concetti di 'ruolo' e 'status' e particolarmente p. 375: «Il Volksgenosse, nella dottrina nazista, non esiste come tale, come figura giuridica generale, ma solo come portatore di funzioni e di ''posti'' particolari, vale a dire come ''contadino'', come impiegato, come ''soldato'' ecc.».

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nazionalsocialista, la forma [Gestalt] della Genossenschaft tedesca64. La quale, nel diretto riferimento a Gierke e Preuss, può essere definita come una struttura intermedia

[Zwischenform] tra l'Anstalt e il Verein, qui utilizzati per definire il prodotto, rispettivamente, dell'assolutismo e del liberalismo65 a cui è necessario contrapporre la dialettica pianamente sociale della Genossenschaft intesa, gierkianamente, come opposizione non mediata e non mediabile tra unità e pluralità: solo in questo modo è possibile considerare contemporaneamente l'uomo tanto come persona autonoma che come membro di un tutto, parte di una unità superiore66. Ovvero, mentre Anstalt e Verein non riescono a superare la propria dimensione parziale – nel caso dell'Anstalt essa è costituita da una volontà esterna per difendere interessi pubblici, mentre il Verein nasce sulla base di un patto per tutelare interessi privati e si esaurisce in essi – soltanto la Genossenschaft «[...] afferra l'uomo per ciò che è, ovvero contemporaneamente soggetto e oggetto, persona autonoma e membro di un tutto [eingeordnetes Glied]»67. Inoltre, solo la consociazione tedesca – qui davvero il richiamo a Gierke è evidente – non è una realtà associativa isolata, ma contribuisce a determinare un’unità superiore: le tante consociazioni vanno quindi articolate in una struttura sociale nella quale domini, nuovamente, una volontà comune.

Il riferimento a Gierke si fa più sfumato quando si tenta di distinguere la

Genossenschaft dalla Körperschaft, facendo della prima un concetto di genere, nella quale la seconda rientrerebbe come specie. L'obiettivo di Huber è quello di smentire una possibile riconduzione dello Stato sotto il concetto di consociazione, ribadendo come esso provenga tanto dalla dimensione di Genossenschaft che da quella autoritativa: in sostanza scompare quel tentativo di giuridificazione del concetto di popolo e lo Stato diventa pienamente il concetto esclusivo e totalizzante al quale tutto deve necessariamente subordinarsi. E questa gerarchia non va più pensata in modo organico ma, contrariamente a quanto sostenesse

Gierke, in un modo pienamente autoritativo: la volontà comune 'suprema' non avrebbe un fondamento consociativo, scandito dalla dialettica tra Einheit e Freihet, ma definibile

64 E.R. Huber, op. cit, p. 296: «Denn die werdenden deutsche Berufsordnung mag äußerlich an den faschistischen Aufbau angelehnt sein; ihre geschichtliche Wurzel hat sie in der Gestalt der deutschen Genossenschaft, und das ist etwas anderes als die Form der romanischen Korporation». 65 Ivi, p. 297: «Der Verein ist eine Ausdrucksform des Individualismus; die Staatsauffassung, der er entspricht, ist der Liberalismus. Die Anstalt ist eine Ausdrucksform des Kollektivismus, die Staatsauffassung, der sie entspricht, ist die Absolutismus». 66 Ivi, p. 298: «Nur sie [die Genossenschaft] ist Person im vollen Sinne des Wortes, d.h. nicht nur rechtsfähig, sondern auch willens- und handlungsfähig. Denn nur die Genossenschaft hat einen Gemeinwillen, der ihr eigener Wille ist […]. Nur die deutschrechtliche Genossenschaft ist eine wirkliche Person, die eigenes Leben, eine eigene Gesetzlichkeit und einen eigenen Willen besitzt». 67 Ivi, p. 299.

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esclusivamente nei termini di Herrschaft 68 . Huber, cioè, ritiene che la costruzione consociativa dello Stato possa svilupparsi solo nel senso democratico-parlamentare – con gli esiti visti con la repubblica di Weimar – mentre la rivoluzione nazionalsocialista potrà imporsi solo definendo dall'alto l'unità politica, attraverso il comando e la gerarchia.

In questo modo si forza eccessivamente il pensiero di Gierke nell'ascriverlo alla propria tesi di eliminazione di elementi consociativi dalla Staatslehre in favore di soli elementi autoritativi e potestativi; anche se riesce perfettamente a sfruttare alcuni elementi contraddittori69 della teoria gierkiana per un suo totale ribaltamento.

Operata questa chiarificazione 'concettuale', la determinazione di nuove corporazioni [Körperschaften] di diritto pubblico, fondate tanto sulla libertà consociativa che sull'ordinamento per membri, non sembra prospettare particolari novità sul piano teorico, tanto nel campo del diritto pubblico che di quello privato, ma presuppongono la compenetrazione classica tra interessi dei singoli e gli obiettivi politici complessivi, ovverosia raccordando la Nazione con lo Stato e il Popolo 70 . Non si può, però, non ricordare come la dimensione autoritativa indichi chiaramente quali siano i rapporti tra le parti. Ecco perché l'articolazione delle corporazioni è profondamente autoritaria e perde del tutto quella dimensione di analisi sociale che aveva acquistato con Gierke: «Solo quando gli interessi individuali sfociano nel compito complessivo della nazione, solo quando essi si autolimitano al servizio del Popolo e dello Stato, dalla molteplicità, nella quale prende forma la libertà consociativa, può realizzarsi l'ordinamento corporativo»71: non c'è più dialettica tra Einheit e Freiheit, ma c'è l'istanza unificante e gerarchica che procede dal capo dell'organismo sociale sino alle sue membra ed è solo all'interno di questa gerarchia che gli interessi singoli potranno trovare – apparentemente – soddisfazione72. Da questo punto di vista Huber è chiarissimo: il senso pieno della Berufsordnung non è certo l'accostamento sconnesso di gruppi di interessi organizzati, ma piuttosto «l'unità composta

68 Ivi, p. 303: «Der deutsche Staat ist nach seinem Grundprinzip autoritativer, nicht genossenschaftlicher Staat, auch wo er, was wichtig und sogar notwendig ist, eine genossenschaftliche Berufsordnung anerkennt und fördert». 69 Su cui cfr. infra le conclusioni dei capitoli II e III. 70 E.R. Huber, op. cit, p. 304: «Die Verbände der Berufsordnung müssen deshalb Körperschaften des öffentlichen Rechts sein. Denn die öffentlich-rechtliche Körperschaft ist die juristische Form für einen Verband, der einen eigenständigen und doch politisch gebundenen Lebensbereich verantwortlich verwaltet». 71 Ibidem. 72 Proprio in tal senso Huber parla di una vittoria del Volk sulle classi, i ceti e gli interessi particolari: vittoria assicurata solo dal riconoscimento pieno dell'autorità del Führer e della superiore sovranità dello Stato cfr. Ivi, p. 305.

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e articolata di Corporazioni che sanno che sopra tutti i desideri e i bisogni dei singoli e dei loro gruppi sta lo Stato e le sue ampie funzioni»73. Huber concludeva il suo contributo definendo questa specifica modalità di organizzazione corporativa come la premessa della costituzione dello Stato totale, nel quale «*<+ tutti i processi vitali e le manifestazioni sociali, tutte le istituzioni e le associazioni sociali sono assoggettate alla legge della vita, al Nomos, dello Stato. Lo Stato è il titolare supremo e arbitro di ogni evento sociale»74.

Non è possibile collocare chiaramente l'intervento di Huber in una storia della recezione nazionalsocialista di Gierke: è evidente, però, come dopo il '33 e con un costante consolidamento del regime, il richiamo all'antiromanismo e al diritto germanico originario si rivelasse, ormai, del tutto insufficiente. Se è vero che alcuni echi gierkiani continuarono ad essere presenti nella polemica contro il diritto soggettivo, è altrettanto palese che Huber coglieva il punto quando indicava nella Staatslehre una questione decisiva per il nuovo ordinamento nazionalsocialista. In tal senso, il tornare a Gierke doveva necessariamente essere pienamente contestualizzato: il giurista di Stettin aveva ancora qualcosa da dire a quei giuristi e, particolarmente, a quei pubblicisti impegnati nella strutturazione della rivoluzione realizzatasi nel gennaio del 1933 con la nomina di Hitler a cancelliere. Huber risolveva il problema piuttosto chiaramente: riteneva incompatibile con l'ideologia del nuovo Stato ogni tentativo di limitazione della Herrschaft, quantunque con elementi consociativi 'germanici'. Non c'è dubbio che le indicazioni del giurista di Kiel contribuiscono a precisare meglio il senso di alcuni rischi presenti nell'opera di Gierke anche se appare eccessiva la riduzione dell'opera gierkiana al total Staat.

Se per Huber, dunque, questo non comportava alcun giudizio negativo sull'opera di Gierke – anche nei termini di una sua inattualità – sin da subito questo giudizio non parve suscitare consensi: Reinhard Höhn lo avrebbe contestato radicalmente.

V. Ribadendo come non sia possibile definire una esatta scansione cronologica nella discussione nazionalsocialista sull'eredità di Gierke, si può, però, ragionevolmente

73 Ibidem. 74 Ivi, p. 306. Ecco perché non è parte del complesso sociale, come nel pensiero liberale, ma è ad esso trascendente.

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affermare che, dopo il 1933, la Rechtserneuerung imposta dalla NSDAP tentò di mettere in discussione ogni possibile connessione tra la rivoluzione realizzata sino a quel momento e le precedenti dottrine giuridiche d'impianto liberale. In tal senso, seppur continuò a manifestarsi un positivo confronto con Gierke, il messaggio lanciato da Meyer appena pochi anni prima sembrava terribilmente invecchiato: il Volkstum di per sé aveva ancora troppi legami con una visione ottocentesca e inidonea a cogliere lo spirito più autentico della rivoluzione75. Esso andava necessariamente connesso con il Führertum76 oppure – era ad esempio il caso di Schmitt – inserito in quella dialettica più particolareggiata tra Staat,

Bewegung e Volk. Proprio Schmitt aveva più volte rimarcato, proprio nel 1933, come si dovesse considerare per sostanzialmente abrogata la Costituzione di Weimar e che, dunque, il rinnovamento aveva avuto inizio: appena un anno dopo Schmitt poteva pubblicare un articolo, oggi molto citato, dall'eloquente titolo Der Führer schützt das Recht77.

I giuristi, in particolare quelli dediti al diritto pubblico e alla Staatslehre, si divisero: alcuni cessarono le proprie attività o passarono ad occuparsi di altre questioni, altri, pur non

75 A maggior ragione se si pensa che nei primi anni il regime dovette anche confrontarsi con il problema, tutt'altro che secondario, di dimostrare che la rivoluzione non solo era avvenuta ma poteva anche dirsi conclusa. Le SA, squadre d'assalto [Sturmabteilung], infatti, continuavano a menzionare una seconda rivoluzione, schiettamente anticapitalista, che avrebbe determinato il compimento della prima, realizzatasi con la nomina di Hitler a Cancelliere del Reich. Queste voci furono sedate solo con la liquidazione delle SA – il prezzo che Hitler versò alla Wehrmacht per ottenerne la fedeltà – avvenuta con la notte dei lunghi coltelli (30 giugno 1934). 76 A tal proposito il 20 novembre 1934 Erik Wolf si esprimeva chiaramente al Bund Nationalsozialistischer Deutscher Juristen «Es gehört deshalb zu den Kennzeichen der Echtheit der nationalsozialistischen Revolution, daß die Bewegung eine zuvor versiegte Rechtsquellen: das Volkstum, wieder entdeckt und eine neue: das Führertum, erschlossen hat» cfr. E. Wolf, Das Rechtsideal des nationalsozialistischen Staates, in Archiv für Rechts- und Sozialphilosophie, XXVIII Band, 1935, p. 348. Michael Stolleis ha sottolineato proprio come il Führertum costituisse di per sé un concetto ostile ad ogni tipo di regolamentazione giuridica, cfr. M. Stolleis, Op. cit., p. 316. Anche Massimo La Torre sottolinea la rilevanza di questo passaggio al Führerstaat come centrale nell'opera di un altro Rechtsphilosoph del nazionalsocialismo, Karl Larenz. In particolare, da una fase originaria, risalente al 1929, nella quale il diritto coincide con la coscienza giuridica del popolo e, come tale, «[...] il giudice può verificare la concordanza delle disposizioni di legge ai valori e ai sentimenti espressi nella coscienza del popolo», M. La Torre, Op. cit., p.21. Dopo il 1933, la tesi di Larenz si trasforma e, nell'assegnare al Führer, la decisione ultima sulla validità delle convinzioni del popolo, diventa «mero sfondo ideologico di una concezione del diritto violentemente volontarista», Ivi, p. 22. Ma si faccia anche riferimento alle penetranti considerazioni sulla distinzione tra Volksstaat e Führerstaat, Ivi, pp. 379 e ss.. 77 Si veda in Deutsche Juristen-Zeitung, 39, 1934 pp. 945-950. Si trattava di un commento e di una legittimazione alla piena assunzione di responsabilità di Hitler per le esecuzioni avvenute nel corso della tristemente nota Notte dei lunghi coltelli del giugno 1934. «Der Richtertum des Führers entspringt derselben Rechtsquellen, der alles Recht jedes Volkes entspringt. In der höchsten Not bewahrt sich das höchste Recht und erscheint der höchste Grad richterlich rächender Verwirklichung dieses Recht. Alles Recht stammt aus dem Lebensrecht des Volkes» p. 947.

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essendo militanti del Partito, si posero in aperta ostilità proprio con questi ultimi, tra cui spiccava la figura di Reinhard Höhn78.

È necessario, però, preliminarmente, quantomeno accennare a cosa venne a determinarsi dalla fine del gennaio del '33 con la nomina di Hitler a Cancelliere (30 gennaio) e, appena due mesi dopo, all'emanazione del Ermächtigungsgesetz, provvedimenti assunti dopo l'incendio del Reichstag (27 febbraio)79. È opinione ormai ricorrente che la fine della Repubblica di Weimar possa essere retrodatata al 1930, quando s’instaurò di fatto una dittatura, sostenuta dal Presidente della Repubblica Hindenburg e ampi settori della destra conservatrice e nazionalista, decisi ad evitare qualsiasi ipotesi di accordo con la SPD e , dunque, a concludere il compromesso weimariano. Nonostante gran parte di questo medesimo schieramento fosse decisamente ostile all'allargamento ai nazionalsocialisti – fra cui lo stesso presidente Hindenburg – fu solo grazie a profonde divisioni che alcuni rappresentanti di quelle stesse forze – «furfanti e intriganti»80 – pensarono di servirsi di

Hitler e del suo partito per concludere definitivamente l'esperienza repubblicana. Fino a quel momento la NSDAP godeva indubbiamente di consensi sufficienti ma era ben lontana dal disporre di una maggioranza al Reichstag81.

78 M. Stolleis, Geschichte des öffentlichen Rechts, III Bd., cit., p. 322. Efficace l'immagine di apertura del capitolo: Distruzione e autodistruzione di una disciplina, p. 316. 79 Più precisamente, il giorno dopo l'incendio Hitler emanò un decreto per la protezione del popolo e dello Stato [Reichstagsbrand Notverordnung: Verordnung des Reichspräsidenten zum Schutz von Volk und Staat] – che Joachim Fest considera il vero momento in cui ebbe inizio la dittatura. In appena cinque paragrafi erano stabiliti limiti alla libertà personale, alla manifestazione di opinioni, alla libertà di stampa, di associazione e di assemblea ed era aumentato il ricorso alla pena di morte. Il 5 marzo del '33 si tenero le ultime elezioni libere e nonostante le intimidazioni e il terrorismo nonché l'uso politico della macchina statale, la NSDAP non riuscì ad ottenere la maggioranza assoluta dei seggi. Si fermò, infatti, al 43,9 per cento dei voti, ovvero 288 seggi – 73 al Zentrum, 120 alla SPD e 81 alla KPD –. Il 23 marzo venne approvata la Legge per l'eliminazione dello Stato di bisogno del popolo e del Reich [Gesetz zur Behebung der Not von Volk und Reich], meglio nota come Ermächtigungsgesetz, di appena cinque articoli. Se si considera che i deputati comunisti erano già in clandestinità, votò contro solo una sparuta pattuglia di deputati socialdemocratici. Gran parte dei testi normativi, dei verbali della discussione al Reichtstag e di altri documenti e testimonianze è stata riprodotta in Das »Ermächtigungsgesetz« vom 24. März 1933, a cura di R. Morsey, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1976. 80 W. L. Shirer, Storia del Terzo Reich, cit., p. 200. 81 Coglie il punto D. J.K. Peukert, Op. cit., pp. 281-282: «[...] le vecchie élites distrussero deliberatamente le istituzioni democratico-parlamentari già compromesse. Questa svolta autoritaria attuata dai governi presidenziali dal 1930 al 1932 pose fine irrevocabilmente al sistema politico- sociale di ''Weimar''. […] la NSDAP, alla fine del 1932, aveva palesemente già esaurito tutto il suo potenziale elettorale e cominciava a mostrare i primi sintomi di logoramento. Se riuscì a sprigionare tutto il dinamismo distruttivo del movimento nazionalsocialista e giungere alla ''presa del potere'' fu soltanto grazie al cartello delle élites di potere formatosi il 30 gennaio 1933. La libertà morì a tappe […]. Nel 1930 la politica dei regimi presidenziali distrusse quanto ancora rimaneva della Costituzione repubblicana, e creò un vuoto di potere di fronte al quale fallirono gli stessi piani autoritari. In tal modo tutte le alternative a ''Weimar'' furono bruciate». Si veda anche I. Kershaw, The Nazi

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Carl Schmitt ricorda come la costituzione di Weimar abbia cessato di esistere nel momento in cui il governo era stato affidato – seppur non completamente, e anzi, inizialmente solo pochi elementi del primo gabinetto di Hitler provenivano dalla NSDAP – ad una forza nata dichiaratamente con l'obiettivo di disfare il compromesso weimariano82.

In effetti, brillantemente, Schmitt aveva indicato il problema della presenza dei nazionalsocialisti al governo come questione costituzionale: il gabinetto che Hindenburg doveva nominare nel gennaio 1933 aveva il solo mandato di portare il paese alle elezioni, perché il Reichstag era di fatto sciolto dopo il fallimento a costituire un governo di Kurt von

Schleicher. Affidare ora la Cancelleria a Hitler significava mettere a disposizione la macchina statale di una forza anticostituzionale, proprio in un momento così delicato e di grande incertezza politica.

Proprio Schmitt dedicò poca attenzione al giurista di Stettin: i suoi riferimenti alla

Genossenschaftslehre furono pochi e sempre di segno negativo. Certo, in Gierke Schmitt vedeva un (lontano) precursore della teoria dell'ordinamento e ne sottolineava l'attenzione per la dimensione sociale. Ma il sistema di Gierke, nel suo complesso, era fallimentare: oltre ad esprimere un’esigenza sociologica, ovvero un'attenzione alle strutture sociali del II

Reich, Gierke era stato incapace di tradurre queste istanze in una teoria generale compiuta.

Dictatorship: Problems and Perspectives of Interpretation, Edward Arnold Publishers, 19923 trad. it. Che cos'è il nazismo? Problemi interpretativi e prospettive di ricerca, a cura di C. Ferrara degli Uberti, Bollati Boringhieri, Torino 1995, p. 69: «[...] già parecchio tempo prima dell'affermazione del nazismo nell'arena politica cresceva in settori potenti dell'élite industriale la propensione ad abbandonare la Repubblica di Weimar in favore di una meglio accettata soluzione autoritaria che ripristinasse la redditività agendo innanzi tutto sul lato della repressione antioperaia». Quest'ultimo testo è un fondamentale contributo all'analisi delle diverse teorie interpretative storiografiche del fenomeno nazionalsocialista: il terzo capitolo, da dove è tratta l'ultima citazione, si occupa di verificare il nesso tra politica ed economia. 82 Si veda C. Schmitt, Un giurista di fonte a sé stesso, Neri Pozza, Venezia 2006, pp. 53 e ss. Ma anche p. 254: «La costituzione di Weimar non potrebbe, né materialmente nel contenuto, né formalmente nel suo vigore legale di costituzione, essere la base di uno Stato nazionalsocialista. La costituzione di Weimar non è più in vigore»; quest'ultima citazione è tratta dal noto saggio Staat, Bewegung und Volk. È possibile che questo giudizio sia da ascrivere – applicando precise categorie schmittiane – all'idea che dal 1930 al '33 la Germania sia stata attraversata da una dittatura commissaria, mentre con il nazionalsocialismo essa si sia fatta sovrana e cioè intenzionata ad andare oltre l'ordine giuridico esistente. Schmitt sembra fare riferimento a questa dimensione sin dai giorni successivi all'approvazione della Ermächtigungsgesetz: «Die zweite kennzeichnende Besonderheit des neuen Gesetzes liegt darin, daß die Reichsregierung Verfassungsgesetze im formellen Sinne erlassen kann, die neues, von dem bisherigen Verfassungsrecht abweichendes materielles Verfassungsrecht schaffen. […] Das neue Gesetz ist aber außerdem ein Ausdruck des Sieges der nationalen Revolution» in Id, Das Gesetz zur Behebung des Not vom Volk und Reich, in Deutsche Juristen Zeitung, 38, 1933, pp. 453-458. Il giudizio, però, mette in ombra le responsabilità di determinate forze politiche nella distruzione di Weimar.

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Quando Schmitt scrive che Gierke ha fondato une teoria generale dell’associazione83, finisce per accostarlo a von Stein, perché entrambi, pur accorgendosi di quali siano gli aspetti ('sociali') di cui una teoria del diritto non può fare a meno, non sono riusciti ad andare oltre una generica attenzione verso gli elementi sociali, fallendo miseramente nel tentativo di trasformare la dottrina dominate del XIX secolo. La

Genossenschaftslehre era stata, nel migliore dei casi, un tentativo di contrapporsi alle impostazioni dominanti della Staatslehre ottocentesca, ma non aveva più alcuna efficacia nel corso del nuovo ordine giuridico che compariva con il nuovo secolo. Anche Schmitt ebbe modo di ragionare in un intervento molto famoso sulle novità introdotte dal nazionalsocialismo: Staat, Bewegung und Volk è forse il più celebre degli scritti schmittiani del periodo nazista, quello nel quale egli tentò di delineare i principi fondamentali del nuovo ordine costituzionale84. La rottura con il vecchio ordine, seppur formalmente ancora in vigore, è evidente: Schmitt insiste, sin dalle pagine introduttive, nel ribadire due considerazioni.

Con la prima si affermava che la transizione dal vecchio al nuovo ordine fosse avvenuta in modo legale, ovvero secondo i principi stabiliti dall'ordinamento weimariano.

La seconda, ancor più rilevante, sottolinea invece l'esaurimento, forse non formale ma certamente sostanziale, della costituzione del '19: è nato un nuovo ordine giuridico che è radicalmente diverso da quello precedente, perché fondato su presupposti diversi da quelli democratico-liberali del XIX secolo. Senza voler approfondire ulteriormente questi aspetti,

è importante tener presente che si sviluppa così una nuova articolazione della dimensione costituzionale tedesca, nell'ambito della quale il Popolo [Volk] diviene concreta realtà esistente, addirittura individuabile grazie ad un criterio di stirpe e razza, il quale però necessità del Movimento [Bewegung], incarnato dalla Guida [Führer], per poter raggiungere la piena consapevolezza dei propri metti e dei propri scopi, materialmente utilizzabili in quella organizzazione della totalità che è lo Stato. Giorgio Agamben ha giustamente sottolineato85 come questo approccio, lungi dall'essere una semplice, quanto strategica,

83 C. Schmitt, Über die drei Arten des rechtswissenschaftlichen Denkens, Dunker & Humblot, Berlin 1934, trad. it. a cura di G. Stella, I tre tipi di scienza giuridica, Giappichelli, Torino 2002 p. 51. 84 C. Schmitt, Staat Bewegung, Volk. Die Dreigliederung der politischen Einheit, Hanseatische Verlagsanstalt, Hamburg 1933, trad. it. Stato, movimento popolo, a cura di D. Cantimori ora in C. Schmitt, Un giurista davanti a se stesso, cit., pp.255-312. Di Schmitt si può anche fare riferimento al contributo Der Rechtsstaat, in Nationalsozialistische Handbuch für Recht und Gesetzgebung, cit., pp. 3-10. 85 G. Agamben, Introduzione in C. Schmitt, Un giurista davanti a se stesso, cit., pp. 20 e ss.

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adesione al regime vittorioso, contiene una potente anticipazione dello sviluppo proprio delle società postdemocratiche.

In ogni caso, anche senza voler aderire a questa tesi, si dovrà pur ammettere che quest’articolazione ridiscute completamente l'impostazione organicista gierkiana. E non solo per l'evidente riferimento alle associazioni che lo stesso Schmitt compie all'interno del saggio quanto perché se in Gierke il popolo era un concetto tipicamente giuridico, ovverosia interpretabile mediante categorie giuridiche, qui esso viene considerato come elemento impolitico bisognoso di una guida per raggiungere la propria affermazione. La totalità non si esprime più in una serie di rapporti e di legami, che definiscono la struttura dello Stato, Genossenschaft suprema e, per tale ragione, impostata su un’irriducibile dialettica tra singolo, altre Genossenschaften e Stato medesimo, quanto piuttosto nella radicalizzazione della sovranità moderna che si materializza nel principio della Guida o del

Capo [Führer] e nella totalizzazione dello Stato e del Popolo, sovrapponibili seppur non confondibili. Il superamento di Gierke è evidente.

Diversa e più particolareggiata attenzione fu rivolta a Gierke da Reinhard Höhn, indubbiamente uno dei giuristi più noti – e più 'militanti' – del III Reich: nato il 29 luglio

1904, si laureò a Jena nel 1926 per poi abilitarsi ad Heidelberg. Proprio nell'antica città universitaria fu dal '35 libero docente, dal 1936 membro dell’Akademie für Deutsches Recht di

Kiel e dal '39 professore ordinario a Berlino, rilevando la cattedra di Rudolf Smend. Sin dal

1933 fu membro delle SS, nelle quali divenne Hauptabteilungsleiter del Centro di comando sino ad affiancare Reinhard Heydrich prima, e a diventare amico personale di Heinrich

Himmler poi; tanto che nel ’39 fu promosso SS-Standartenführer e nel 1944 SS-Oberführer.

Dopo la guerra, superata la fase di denazificazione, lavorò ad Amburgo presso la Akademie für Führungskräfte der Wissenschaft. Morì il 14 maggio 200086.

Il 5 dicembre 1935 Höhn aveva tenuto a Berlino come professore straordinario la lezione inaugurale del proprio corso, dedicata proprio alla Gierkes Staatslehre und unsere

Zeit, che si rivela una sintesi efficace dei motivi ricorrenti della polemica di Höhn87 contro la Genossenschaftslehre e i tentativi di una sua attualizzazione. Non si trattò di una ripresa estemporanea: il corso del semestre invernale 1935-36 fu interamente dedicato all'autore

86 Si può fare riferimento a U. Wesel, Der Letzte. Zum Tod des Juristen Reinhard Höhn, apparso, proprio in occasione della morte del giurista, sul Frankfurter Allgemeine Zeitung, 23 maggio 2000, p. 54. 87 R. Höhn, Otto von Gierke, Deutsche Rechts- und Wirtschaftswissenschaft Verlag, Berlin 1936.

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della Genossenschaftstheorie e, sempre nel '36, Höhn mandò in stampa i risultati a cui era pervenuto proprio a partire da quelle lezioni88. Egli era consapevole di confrontarsi con un autore che aveva riscosso, fino a quel momento, ampi consensi anche tra i giuristi prossimi alla NSDAP o addirittura membri del partito. Ecco perché la sua non è soltanto una ripresa di alcuni motivi 'classici' della Genossenschaftslehre, quanto piuttosto un confronto serrato con il sistema giuridico di Gierke, confronto che era, poi, proiettato sulla Rechtserneuerung, per cui occorreva chiedersi quanto del giurista di Stettin potesse ancora essere considerato fruibile o quantomeno utile.

L'analisi di Höhn è cristallina: «È noto come Otto von Gierke fu quel teorico dello

Stato che s’impegnò a porre un freno al costante processo di disgregazione individualista tramite la concezione dello Stato come organismo e corporazione» 89 e tuttavia: «Le premesse, grazie alle quali il sistema giuridico di Gierke poté ottenere significato, sono oggi venute meno»90. Punto di partenza è ovviamente la concezione dello Stato e l'attualità di una polemica sulla personalità giuridica in un contesto come quello nazionalsocialista che riteneva di aver prodotto una realtà giuridica per la quale la Gemeinschaft assumeva una diretta – e cioè senza alcun tipo di mediazione teorica – rilevanza giuridica.

L'accusa di Höhn rivolta a Gierke è quella di ricorrere nuovamente ad una finzione giuridica. La cosiddetta unità, reale ma invisibile, nella quale gli individui sono inseriti e che rende pensabile la totalità, tradisce una certa incapacità di Gierke di pensare la

Gemeinschaft come qualcosa di autentico, di concreto e, soprattutto, di presente. La

Genossenschaft gierkiana si rivela una nuova concettualizzazione, forse più sottile, ma che palesa il ritardo della Genossenschaftslehre di pensare la comunità come qualcosa che esista davvero, indipendentemente dagli individui che la compongono: «L'unità invisibile è solo un mezzo per superare le mere relazioni degli individui, dopo la quale la comunità

[Gemeinschaft], come si trovava nell’originaria comunità germanica, si dissolve»91. Ecco spiegata anche l'insistenza con cui Höhn parla di un abbandono di Gierke della

88 R. Höhn, Otto von Gierkes Staatslehre und unsere Zeit zugleich eine Auseinandersetzung mit dem Rechtssystem des 19. Jahrhunderts, Hanseatische Verlagsanstalt, Hamburg 1936. 89 R. Höhn, Die Juden im Staatsrecht. Auseinandersetzung des Juden Jellinek mit Gierkes Staatslehre, in Jugend und Recht, 10, 1936, p. 33-36. Si coglie l'occasione per ringraziare Vera Finger per la segnalazione. 90 R. Höhn, Otto von Gierkes Staastlehre und unsere Zeit, cit., p. 7. Ancora in R. Höhn, Otto von Gierke, cit.: «Wie jede Rechts- und Staatslehre, so ist auch Gierkes Lehre ein Kind ihrer Zeit und mit dieser Zeit und ihren Bedürfnissen eng verknüpft» p. 6. 91 R. Höhn, Otto von Gierkes Staastlehre und unsere Zeit, cit., p. 42. Cfr anche R. Höhn. Otto von Gierke, cit., p. 11.

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Genossenschaft verso l'esclusivo utilizzo del concetto di Körperschaft92. Gierke è accusato di aver tradito il suo progetto originario e di non essere riuscito fino in fondo a tradurre giuridicamente la realtà della comunità, che rappresentava il tratto distintivo degli antichi germani: in tal senso, la sua teoria non esce dalle secche di un piatto individualismo e rende la comunità solo un velo che nasconde un intreccio di relazioni e rapporti tra singoli che costituiscono gli elementi che danno vita alla comunità, senza i quali essa non è comunque pensabile.

Gierke, in definitiva, non si sarebbe mai del tutto emancipato dalle correnti dominanti della seconda metà dell'Ottocento93. Ecco, dunque, che lo stesso organicismo gierkiano non sarebbe nulla di realmente diverso dall'impostazione borghese del XIX secolo, la quale sceglieva un compromesso tra la sovranità del monarca e quella del popolo94: ovvero Gierke sarebbe l'autore che più di ogni altro si sarebbe battuto per una limitazione del potere del monarca attraverso lo sviluppo del concetto di personalità dello

Stato. Per tutte queste ragioni, la dottrina di Gierke va necessariamente abbandonata95.

Infatti, per Höhn, proprio nel superamento dell'individualismo e nell’immediatezza della Gemeinschaft si definisce la Rechtserneuerung che può essere portata a termine solo dal nazionalsocialismo, evidentemente, facendo a meno dell'eredità del giurista di Stettin:

«Non abbiamo più bisogno di costruire una unità invisibile, per immaginare una comunità.

Esattamente come non abbiamo bisogno della rappresentazione di una persona. Per noi una comunità è talmente naturale [selbstverständlich] e vitale [lebensnah] che la costruzione

92 R. Höhn, Otto von Gierkes Staastlehre und unsere Zeit, cit. p. 34: «So hat die alte Genossenschaft in Gierkes System keinen Platz mehr, sie wird durch den Begriff der Körperschaft verdrängt. Die Körperschaft wird zum alleinigen Maßtasb genommen». 93 Ivi, p. 42: «Er versucht mit der Vorstellung des Körperschaft, einem Begriff, den er wiederum aus dem Anfang der individualistischen Entwicklung im Mittelalter entlehnt und auf seine zeit übertragen hat. Im Endergebnis aber kann er mit der Auffassung vom Staat als Körperschaft einerseits dem 19. Jahrhundert nur unvollkommen gerecht werden, andererseits vermag er damit die individualistischen Grundprinzipien nicht zu überwinden, sondern kann sie nur abschwächen». Questa permanenza di Gierke nel solco della Staatslehre ottocentesca è testimoniata anche dalla sua ascrizione ai teorici liberali, posti a difesa della monarchia costituzionale, sulla quale si veda infra II Capitolo. a pp. 33-34 Höhn parla di un superamento del concetto di Genossenschaft a favore di quello di Körperschaft, intendendo con questo passaggio la consapevolezza maturata da Gierke della che «non ci sia più posto per l'antica Genossenschaft» (p. 34). Questo passaggio di Höhn merita qualche considerazione. Se si vuole intendere che la Consociazione ottocentesca viene elaborata da Gierke con criteri diversi da quelli dei secoli precedenti – in ciò intendendo una impossibilità di rendere la Genossenschaft uno strumento nel migliore dei casi nostalgico della società per ceti –, allora il giudizio di Höhn va condiviso. 94 R. Höhn, Otto von Gierke, cit., p. 7. 95 Ivi, p. 15: «Für eine nationalsozialistische Verfassung kann uns Gierkes Rechtssystem mit dem Begriff der Gesamtperson, seinem Verhältnis von Einheit und Vielheit und der Unterscheidung verschiedener Willenssphären nicht mehr Vorbild sein».

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di una unità invisibile appare inutile. Non comprendiamo più come, al nostro tempo, si possa avere bisogno *<+ della persona giuridica» 96. «La comunità per noi è la realtà concreta, nella quale viviamo, per ottenere la quale non abbiamo bisogno di alcuna astrazione»97. Ed è esattamente a partire da questa diversità che Höhn comincia una riflessione sulle teorie di Gierke confrontandole con la Rechtserneuerung nazionalsocialista: ad essere investiti sono i concetti principali di cui si serve il III Reich che si caratterizzano – almeno nell'analisi di Höhn – come in piena discontinuità con le esperienza giuridiche precedenti. In tal modo Höhn può esplicitamente mettere in discussione l'assunto da cui era partito Meyer, aggiungendo un chiaro punto interrogativo al suo motto98.

Si prenda il caso del territorio: Höhn ascrive alla teoria gierkiana l'uso del sostantivo Gebiet che celerebbe una visione individualistica e assolutamente distante dall'idea della comunità di sangue99. Gebiet definirebbe semplicemente il perimetro nel quale sussiste l'unità invisibile dell'organizzazione di individui: in questo modo «[...] non è pensabile una corporazione fondata su una base razziale [rassischer]»100 perché «il momento razziale può giocare un ruolo solo in una comunità [Gemeinschaft] autonoma e concreta e non in una corporazione [Körperschaft] come una unità concettuale»101. Una tale comunità si fonda sull'intreccio di elementi concreti: il sangue e il Boden, che qualifica il suolo al quale appartiene un determinato Volk: la comunità diventa quindi storicamente presente, definita dai suoi elementi razziali, individuati dal sangue, e specificamente connessa ad un determinato territorio102. Qualificazioni reali, quelle del sangue e del suolo, che, invece,

96 R. Höhn, Otto von Gierkes Staatslehre und unsere Zeit, cit., pp. 42-43. 97 R. Höhn, Otto von Gierke, cit., p. 12. 98 Con il capitolo Zurück zu Gierke? – si noti l'uso della forma interrogativa – si conclude l'esposizione di Höhn sul rapporto tra Rechtserneuerung nazionalsocialista e Genossenschaftslehre, cfr. R. Höhn, Otto von Gierkes Staatslehre und unsere Zeit, cit. pp. 149-155. 99 Ivi, p. 75. 100 Ibidem. L‟assunzione del Gebiet come elemento polemico non è casuale e permette di equiparare la dottrina gierkiana a quella dominante in Germania: com‟è noto, ad esempio, il territorio è uno dei tre elementi utilizzato da Jellinek per definire lo Stato (gli altri sono il popolo e il potere). In questo modo Höhn priva Gierke di qualsiasi alterità vera alle dottrine dominanti e lo confina nel XIX secolo, essendo il nuovo Stato tedesco determinato anche in senso sostanziale tramite la razza. 101 Ibidem. 102 «Wenn wir heute von Blut und Boden sprechen, so meinen wir nicht das Gebiet der individualistischen Begriffswelt. Der Boden als Blut- und Nahrungsquelle der Volksgemeinschaft ist etwas ganz anderes als ein Körperschaftssubstrat. Wir bezweifeln, daß man eine bäuerliche Gemeinde mit Erbhöfen, die unveräußerlich und unbelastbar sind, die Bauerngeschlechter nähren und erhalten sollen, sich heute rechtlich noch als Gebiet „mit hoheitlich erfaßtem Boden“ vorstellen kann» Ibidem. Su questo punto Höhn riceverà critiche molto dure da Karl Hugelmann, rettore a Münster e nazionalsocialista convinto. La sua ipotesi, esposta in un breve articolo, prevede la possibilità di rifarsi alla Genossenschaftslehre anche in una prospettiva razziale: Gierke sarebbe stato comunque convinto della priorità del popolo rispetto allo Stato, in questo modo la caratterizzazione del Volk non sarebbe

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Gierke ha espressamente escluso debbano integrare necessariamente il concetto di Stato o di consociazione suprema.

Ecco perché appare abbastanza chiaro come Höhn ritiene che il rinnovamento del diritto pubblico possa cominciare solo dalla rimozione del concetto di persona giuridica103, quale che sia la sua costruzione scientifica, perché è per l'appunto la distinzione tra normatività e realtà che deve essere superata.

Il giudizio di Höhn investe dunque il carattere autenticamente liberale della produzione gierkiana, valutato come assolutamente proprio della dottrina borghese del

XIX secolo: il nazionalsocialismo rifiuta l'idea che la volontà comune sia meccanicamente deducibile dalle volontà singole ed è proprio di questa impostazione che Gierke non riesce a liberarsi, proprio perché la sua costruzione necessita sempre di definire, a partire da singole esistenze, l'esistenza collettiva, quasi che essa non potesse esistere senza le altre. Al contrario, il nazionalsocialismo ritiene che l'unità della comunità sia rappresentata dalla

Volksgemeinschaft la cui costituzione non è più semplice rapporto di organizzazione tra individui e totalità ma, piuttosto, « *<+ piano e programma in base ai quali deve essere utilizzata la forza della comunità esistente e formato l'ordinamento della comunità»104.

Il concetto di Gemeinschaft viene potenziato dalla matura dottrina nazionalsocialista grazie a quello di Führer: si tratta cioè di concepire la comunità come qualcosa di pienamente reale il cui diritto scaturisce dalla volontà del Führer, il solo in grado di scegliere e di incarnare cosa sia diritto da cosa non lo è 105 . Se si connettono queste

esclusivamente giuridica ma in essa rileverebbero proprio il Blut und Boden negato da Höhn, cfr. K. Hugelmann, Otto von Gierkes Staatslehre und unsere Zeit, in Braune Wirtschaftspost, 5, 1936-37 pp. 990-993 e particolarmente p. 993. 103 Si veda particolarmente R. Höhn, Der individualistische Staatsbegriff und die juristische Staatsperson, Carl Heymanns Verlag, Berlin 1935. 104 R. Höhn, Otto von Gierke, cit., p. 15 e continua «Für eine nationalsozialistische Verfassung kann uns Gierkes Rechtssystem mit dem Begriff der Gesamtperson, seinem Verhältnis von Einheit und Vielheit und der Unterscheidung verschiedener Willenssphären nicht mehr Vorbild sein». 105 R. Höhn, Otto von Gierkes Staatslehre und unsere Zeit, cit. P 70: «Die Volksgemeinschaft ist kein unsichtbare Einheit, zu deren Sichtbarmachung Organe tätig werden müssen, sie beruht nicht auf der Trennung der Sphären wie der Organismus. Deshalb ist auch der Organbegriff, der auf dieser Trennung beruht, hier nicht anwendbar. Die Begriffe Gemeinschaft und Führer stammen aus einer anderen Welt als die Begriffe Organismus und Organ. Jede Übertragung auf die heutige Zeit nimmt ihnen ihr Wesen und macht es auf der anderen Seit unmöglich, das in Gemeinschaft und Führung liegende neue Rechtsprinzip zur Auswirkung kommen zu lassen». Il rilievo del concetto di Führer nella sistematica di Höhn è evidente, soprattutto nella trasformazione che esso determina della stessa categoria di Gemeinschaft. «L'ordine del Führer non è un atto individuale, che si rivolge alle volontà individuali nell'individuo singolo. Esso si rivolge ai seguaci [Gefolgsmann], richiede la sua piena personalità e non una risoluzione di volontà» p. 50. Se si dovesse utilizzare la teoria gierkiana, argomenta Höhn, il Fuhrer potrebbe essere assimilato solo ad un 'organo' del potere statale,

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considerazioni a quelle, già affrontate, di Schmitt, è chiaro come diventi del tutto obsoleto o, perlomeno, insufficiente il concetto di Volkstum. Gli stessi diritti fondamentali della costituzione di Weimar non sono altro che l'espressione di una strutturazione non autenticamente unitaria: ovvero il permanere di una sfera del singolo intoccabile per lo

Stato. Ma proprio la piena inclusione del singolo nella comunità rende del tutto superfluo il permanere della divisione tra una sfera individuale e una corporativa106. Allo stesso modo appare chiaro che Höhn abbia colto nella teoria di Gierke alcuni elementi di modernità e ne abbia sottolineto particolarmente gli aspetti più vivi della discussione ottocentesca, tra cui quella dello Stato costituzionale e dei limiti all'assolutismo. Il suo giudizio era, peró, legato alla possibilità di una compatibilità di queste tesi all’interno della Staatslehre nazionalsocialista e, soprattutto, alla definitiva rottura con il precedente mondo liberale.

In questo senso, ad avviso di Höhn, la ripresa di Gierke è del tutto impropria in una fase in cui occorre comporre pienamente l'idea del Führertum e, cioè, strutturando la

Gemeinschaft esclusivamente su aspetti 'naturali' – sia in termini di definizione dei

Volksgenonossen che di individuazione dei nemici della comunità – che, però, va poi del tutto depotenziata, attribuendo ogni competenza sulla sua disponibilità al Führer. Ecco perché egli non è semplicemente un organo, parte di un organismo complesso107, ma è quella realtà singola alla quale è demandata l'unica possibilità di rendere presente e viva la comunità.

L’ipotesi gierkiana del doppio movimento, ascendente, frutto del principio di

Freiheit, e discendente, prodotto del principio di Einheit, era del tutto incompatibile con questa impostazione verticistica: la critica di Höhn era quindi innanzitutto rivolta a coloro che rischiavano di depotenziare questa nuova costruzione affidandosi a concetti e teorie del passato. L’antiromanismo, che pure aveva caratterizzato la prima fase della ripresa gierkiana, era, quindi, un mito che andava utilizzato con cura: perché rischiava di determinare l’incapacità della cultura giuridica tedesca di emanciparsi da una certa impostazione liberale.

equiparazione che tradirebbe invece lo spirito della Rechtserneuerung nazionalsocialista. 106 R. Höhn , Otto von Gierke, cit., p. 17. 107 Ivi. p. 20 e alla pagina precedente: «Mit dem Organismusbegriff wird das individualistische Rechtssystem selbst nicht überwunden. Durch das Bild des Organismus werden zwar die schroffen Beziehungen zwischen einzelnen und Staat verdeckt, aber im Organismus selbst besteht diese Beziehungssystem weiter, es erscheint dann als „Ganzes“ und „Teil“. So wird es möglich, weiterhin einander „berechtigte und verpflichtete Subjekte“ gegenübertreten zu lassen, obwohl rein äußerlich eine Einheit im Organismus gegeben ist».

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VI. Anche Hans Helfritz (1877-1958) aveva avuto come proprio maestro Otto Gierke e ne proseguì le ricerche sull'ordinamento consociativo nel diritto comunale108. Helfritz era stato monarchico – perciò estremamente critico con la costituzione di Weimar – sebbene non mantenne ottimi rapporti con il regime nazionalsocialista: costretto a lasciare la carica di Rettore a Breslau già dal 1933 – probabilmente a causa della chiamata nel 1929 di un liberale, Ludwig Waldecker, a Breslau – gli fu concesso di continuare a insegnare diritto pubblico, sebbene fosse evidentemente isolato dal regime 109 . L'articolo che Helfritz pubblicò nel giugno del '35 sul Reichsverwaltungsblatt era intitolato Otto von Gierke e la recente dottrina sulla persona giuridica dello Stato110. Il titolo decisamente neutro non deve trarre in inganno: si tratta di un attacco chiaro e deciso contro le teorie di Höhn – evidentemente non ancora raccolta nei saggi specifici su Gierke, ma presenti nei lavori sino a quel momento pubblicati. All'interno dell'articolo Gierke, lungi dall'essere distante dall'esperienza giuridica del III Reich, è un giurista il cui nome e la cui opera sono destinati a sopravvivere per secoli.

L'attacco di Helfritz investe, dunque, la tesi fondamentale di Höhn, secondo il quale

Gierke sarebbe solo un esponente di dottrine ormai superate, comunque incapaci di emanciparsi del tutto dall'impostazione dominate del XIX secolo. A questa obiezione,

Helfritz replica con due diverse valutazioni: non è vero che la dottrina di Gierke sia inutilizzabile111 e anzi essa è tutt'oggi vivissima anche nell'esperienza giuridica del III Reich, la quale non può essere fondata come del tutto indipendente dalle tradizioni giuridiche precedenti, siano esse quelle del XIX secolo che dell'epoca weimariana. Il saggio si sviluppa come un confronto con l'impostazione di Höhn e merita di essere ripercorso.

108 Era, inoltre, nipote di Georg Beseler e dal 1920 al 1945 ordinario a Breslau, dove aveva insegnato Gierke e lo stesso Herbert Meyer. Si veda Stolleis, pp. 160 e 161. 109 Si veda anche Stolleis, Geschichte des öffenlichen Rechts in Deutschland, Bd. III, cit., p. 160, il quale sottolinea come Helfritz, anche se non manifestò una ostilità diretta al regime, fu costretto a ritirarsi. Egli proveniva da una famiglia di solide tradizioni prussiane e sempre Stolleis ricorda come fosse nipote di Beseler e avesse terminato i suoi studi universitari proprio con Otto Gierke. 110 H. Helfritz, Otto von Gierke und die neueste Lehre von der juristischen Staatsperson, in Reichsverwaltungsblatt, 25/56, 1935, pp. 485-490. Da segnalare che Höhn ritiene che Helfritz abbia del tutto ignorato le conseguenze della costruzione gierkiana dell‟unità invisibile, dalle quali, come detto, egli traeva l'inapplicabilità della Genossenschaftslehre al contesto giuridico del III Reich. Si veda R. Höhn, Otto von Gierkes Staatslehre und unsere Zeit, cit., p. 41, nota 2. 111 Non a caso Helfritz introduce il suo articolo riferendosi alla nota recensione di Gierke all'opera di Laband, con la quale, a suo avviso, il giurista di Stettin tentò di avviare una riflessione alternativa a quella dominante sul rapporto tra diritto e Stato.

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La tesi di Höhn112 secondo la quale il concetto di persona giuridica, pur nella variante gierkiana, vada espulsa dall'attuale Rechtserneuerung è chiaramente contestata.

Helfritz ritiene che l'idea di eliminare la personalità giuridica sia semplicemente impossibile: «Ma se si sostituisce la persona giuridica dello Stato anche come titolare di diritti privati e obblighi, cosa si mette al suo posto?»113 La risposta di Höhn è nota: le autorità e i funzionari non sono più organi dello Stato, esso è, infatti, apparato reale di autorità e funzionari. Quest’apparato non ha alcun valore in sé, ma serve nelle mani del

Führer in due modi114: da un lato esso serve il Führer nei compiti di difesa verso l'interno e l'esterno (quindi polizia, esercito, tribunali), dall'altro il Führer stesso se ne serve per elevare il popolo in una comunità di popolo.

Helfritz ritiene, invece, che la persona sia un simbolo che nella storia del diritto ha assolto il compito di definire un soggetto giuridico. L'intera storia della juristische Person, perciò, è quella di una finzione che serve semplicemente ad attribuire diritti e obblighi a soggetti che non sono individui. In tal senso, Helfritz non è interessato neanche a verificare la differenza dell'impostazione di Gierke con quella tradizionale, proprio perché tutte queste teorie servono solo ad ammettere null'altro che la possibilità per lo Stato di attribuire a soggetti collettivi la facoltà di avere diritti e doveri. Qual è dunque, si chiede

Helfritz, il senso della battaglia ingaggiata da Höhn? «Nient'altro che l'eliminazione della facoltà di essere titolare di diritti e di obblighi. Ciò è per il diritto privato un'idea inapplicabile»115. Ma le conseguenze più importanti sono tratte nell'ambito del diritto pubblico. L'ipotesi che il concetto di Stato si riduca al prodotto della Staatsgewalt è irrealistica, proprio perché esso comprende una serie di diritti pubblici dello Stato che non rientrano nella limitata prospettiva di Höhn116.

Va inoltre tenuto presente che l'appartenenza allo Stato [Staatsangehörigkeit] è definita dalla somma di diritti e obblighi derivanti dalla condizione di cittadino

[Staatsbürger]: in questo senso, anche se non Helfritz non lo afferma direttamente, il

112 Così Helfritz riporta la tesi di Höhn: «Aber der Rechtsbegriff des Staates als juristische Person habe für unsere Zeit seinen Sinn verloren. An die Stelle des individualistischen Prinzips der juristischen Staatsperson sei das Prinzip der Volksgemeinschaft und der Führung getreten», in H. Helfritz, Op. cit., p. 485. 113 H. Helfritz, Otto von Gierke und die neueste Lehre von der juristischen Staatsperson, cit., p. 486. 114 Cfr. anche R. Höhn, Die Wandlung im staatsrechtlichen Denken, Hanseatische Verlag, Hamburg 1934, pp. 42-43. 115 H. Helfritz, Op. cit., p. 487. 116 Concetto ribadito costantemente, cfr Ivi, p. 489: «Aber erschöpft sich wirklich die ganze Tätigkeit des „Apparates“ im Befehlen und Gehorchen?».

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richiamo al giurista di Stettin poteva essere utilissimo in riferimento alla sua nota formulazione del diritto che, come si ricorderà, Gierke definiva come realtà in sé contenente obblighi e diritti.

Proseguendo nel confronto con Höhn, Helfritz ritiene che la polemica contro Gierke sia assolutamente pretestuosa e giuridicamente inapplicabile. In realtà Gierke, proprio servendosi di quel passaggio terminologico da juristische Person a Verbandspersonlichkeit, aveva correttamente posto l'accento sulla dimensione sociale di queste consociazioni, la cui unità si realizza non in un singolo corpo umano, quanto piuttosto in un organismo sociale, dotato di corpo, capo e membra. Ed è proprio grazie a questa precisa articolazione, non semplicemente metaforica ma pienamente giuridica, che Gierke tenta di chiarire come possa intendersi l'organismo sociale come qualcosa di realmente vivente senza dover ricorrere a immagine vaghe e oscure. Il giurista di Stettin non abbandona il concetto di

Stato ma contro un’idea unilaterale e assoluta, espressa dalla teoria labandiana, ne definisce il concetto sempre in rapporto con quello di popolo. Da segnalare, inoltre, questa importantissima precisazione: «Certamente deve essere presente nello Stato il potere supremo. Ma ciò non può mai essere compreso nel senso che l'autorità sovrana possa reprime la vita consociativa *<+»117. Ecco ritornare un'altra formulazione classica della teoria gierkiana: quella dell’impossibilità per lo Staatsrecht di riempire tutto lo spazio del

Körperschaftsrecht e, cioè, prevedere esplicitamente l’esistenza di zone 'franche' dalla potestas dello Stato.

A questo punto può determinarsi l'attacco più consistente a Höhn e al suo tentativo di una fondazione del diritto proprio del III Reich staccandolo completamente dalle radici ottocentesche e dalla stessa Weimar118. Ed, invece, l'articolazione consociativa di Gierke può rivelarsi utilissima proprio per la definizione della stessa Volksgemeinschaft nazionalsocialista.

Non c'è dubbio che la polemica sembra ispirata da una diversa valutazione della

Rechtserneuerung e dai suoi effetti: come altro valutare le poderose critiche di Helfritz all'oscurità di certe affermazione sul rapporto tra Gemeinschaft e Führer che sembrano

117 Ivi, p. 488. 118 La critica di Helfritz investe anche il concetto di Organ anch'esso duramente contestato da Höhn: «So ist Gierkes Lehre vom organschaftlichen Handeln durch die neueste Wissenschaft so wenig überwunden, wie die ihr zugrunde liegende Auffassung von der realen Verbandsperson des Staates» Ivi, p. 489.

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anticipare semplicemente la fine di ogni diritto individuale e una potenza esclusiva dello

Stato e del suo condottiero? In questo caso, si può rinvenire nella ripresa di Gierke anche motivi 'politici' o, quantomeno, una chiara presa di distanza da quella rivoluzione giuridica di cui Höhn era evidentemente uno degli ispiratori?

Hans Helfritz non era sicuramente un nazionalsocialista convinto: dovette abbandonare la carica di rettore e sicuramente non fece parte dei giuristi più 'militanti' del

III Reich. È possibile, quindi, che la polemica abbia anche una radice politica, quasi che

Helfritz abbia avvertito i rischi di una certa inconsistenza concettuale delle formulazioni di

Höhn e di una loro strumentalità nei confronti del regime. Del resto se si resta all'articolo della Verwaltungsblatt 119 , il tono di Helfritz è chiaramente indirizzato a preservare il concetto di personalità nell'ambito più generale di una polemica contro l'eliminazione del concetto di Stato di diritto.

A questo punto, alla luce anche di questa coloritura politica della reinassence, occorre provare a definire una valutazione complessiva della lettura di Gierke realizzata da

Reinhard Höhn: si tratta di una necessità non aggirabile, visto che il giurista nazionalsocialista ha operato uno degli studi più completi della Genossenschaftslehre. Si può affermare che Höhn ha colto molto ma anche molto poco del giurista di Stettin perché ha inevitabilmente piegato la propria analisi a quella Rechtserneuerung di cui si sentiva protagonista. Nuovamente, quindi l'opera di Gierke è segnata da una ripresa non autonoma, ma anzi se ne valuta la distanza o la prossimità con la dottrina nazionalsocialista. E il giudizio di Höhn – viene da dire: giustamente – non può che essere negativo: a Gierke mancava del tutto quell’idea di Gemeinschaft nella quale il singolo veniva a perdere ogni individualità120, soprattutto, mancava quell’attribuzione al Führer dell'unica volontà possibile della Gemeinschaft stessa. In Gierke la dimensione razziale, certo non assente, non era però sufficiente a determinare quella concretezza grazie alla quale fu

119 Si tenga presente che la rivista che ospitò l'articolo, la Reichsverwaltungsblatt, non divenne mai un organo 'militante' e tentò, in parte riuscendoci, di modificare appena la propria impostazione e la propria linea editoriale. cfr. M. Stolleis; Op. cit., p. 304, dove si afferma chiaramente che essa non fu mai, a differenza ad esempio della Deutsche Verwaltung, un Kampfblatt. 120 R. Höhn, Otto von Gierkes Staatslehre und unsere Zeit, cit., p. 53:«Für das neue Recht ist es nicht mehr das Problem, den einzelnen aus seiner Untertanenstellung zum Staatsbürger zu erheben. Wenn das neue Recht von der Volksgemeinschaft ausgeht, dann ist der einzelne Glied der Volksgemeinschaft ausgeht, dann ist das einzelne Glied der Volksgemeinschaft und ihrer Ordnungen. Er ist weder Untertanen noch individuelle, auf sich selbst gestellte Persönlichkeit; seine Persönlichkeit ruht vielmehr in der Gemeinschaft und ist deshalb gemeinschaftsgebunden. Aus dieser Stellung in der Gemeinschaft ergibt sich für uns heute der Begriff des Reichsbürgers».

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possibile distinguere coloro che appartenevano al popolo da chi, invece, fosse da considerare estraneo e perciò potenzialmente nemico e quindi da eliminare.

Nella foga di volersi liberare da Gierke – una foga dettata certo dalla necessità di purificare la Rechtserneuerung evitando che essa assumesse nuovamente elementi della tradizione giuridica precedente – Höhn però non diede giustizia a quest’autore, ascrivendolo semplicemente al vecchio liberalismo ottocentesco: paradossalmente l'autore che più ha insistito sulla natura liberale e democratica della Genossenschaftslehre è proprio

Höhn, per il quale non si porrebbe neanche il problema di un Gierke 'reazionario', visto che, come si è tentato di descrivere, le sue analisi sarebbero tutte rivolte ad una limitazione dei poteri monarchici, al rafforzamento dello Stato di diritto e alla salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui. E, però, sembra che non se ne colgano anche gli elementi di novità, la straordinaria polivalenza della categoria di Genossenschaft, la dimensione sociale del diritto: ma tutto ciò Höhn non poteva riprenderlo, o semplicemente evidenziarlo, perché nell'impostazione gierkiana la dialettica tra Einheit e Freiheit era qualcosa che doveva mantenersi integra e non poteva scomparire nel movimento esclusivo dell’unità a danno della libertà. E seppur è stato detto, all'interno di questa ricerca, che questo rischio è presente in Gierke, Höhn ritiene che tutto ciò sia troppo poco, proprio perché nella sua teoria queste non sono altro che verbose concettualizzazioni, al posto delle quale occorre collocare delle espressioni reali, come quelle di popolo, di comunità e di Führer ed è solo grazie al Capo, alla Guida che il popolo diventa un elemento politico, poiché la volontà del popolo si può manifestare solo tramite la volontà del Führer. Mentre in Gierke il

Gemeinwesen, per quanto pericolosamente oscillante verso una riconduzione allo Stato, è qualcosa che va sempre oltre una sua definitiva attribuzione: non è interamente nello Stato, consociazione per eccellenza. Non è nelle singole consociazioni. Non è, ovviamente, nei singoli in quanto tale. La teoria gierkiana corre il rischio di una sua burocratizzazione e gerarchizzazione, ma nasce indubbiamente da un'attenzione alla dinamicità sociale che si articola in consociazioni la cui forma non è del tutto precostituita. Ma soprattutto esclude qualsiasi impianto razziale come fattore costituente del popolo: la verticalizzazione è un rischio eventuale, seppur presente, come detto, per via di alcune aporie nella teoria di

Gierke, mentre nell’impostazione di Höhn il fattore razziale serve espressamente ad una gerarchia dei popoli e ad una funzionalizzazione del popolo stesso.

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Per tutte queste ragioni Gierke non si addiceva al nazionalsocialismo: uno dei giuristi più autorevoli lo aveva capito immediatamente e tentò, non senza qualche successo, di evitare una connessione tra la Rechtserneuerung nazionalsocialista e Otto

Gierke.

VII. L'analisi sin qui condotta rileva un’evidente strumentalità della ripresa gierkiana: sia che venisse ritenuta capace di connettersi alla Rechtserneuerung, sia nel caso opposto, l'opera di Gierke era, comunque, dentro una specifica vicenda che aveva poco o nulla a che fare con i suoi presupposti e il suo impianto teorico. Ovvero alla disputa per la qualificazione del nuovo ordinamento giuridico nazionalsocialista e, in particolare, della

Staatslehre. La polemica Helfritz-Höhn ha il merito di chiarire proprio questo aspetto: se per il primo il recupero di Gierke serve soprattutto a contrastare una certa idea della

Rechtserneuerung, per il secondo, che pure provò a confrontarsi direttamente con la

Genossenschaftslehre, si trattò sempre di verificare quanto della teoria di Gierke potesse offrire spunti al nazionalsocialismo. E, inevitabilmente, per quanto Höhn abbia in alcuni casi realmente compreso la portata di alcune intuizioni gierkiane – e anzi, proprio perché le comprese, le osteggiò – egli finì sempre per valutarne l'opera in termini di attualità, piegandone inevitabilmente il senso alle preoccupazioni del regime. Diverso fu invece il contributo di Hans Krupa, maturato dopo il 1940 e assai diverso nell'impostazione e negli obiettivi da tutti quelli precedenti.

Hans Krupa 121 ha indubbiamente colto aspetti importanti e rilevanti dell'opera gierkiana e appare davvero singolare come sia quasi del tutto scomparso dal dibattito sulla

121 Di Hans Krupa le opere dedicate al giurista di Stettin sono tre, una monografia e due articoli in riviste: Otto von Gierke und die Probleme der Rechtsphilosophie, Breslau 1940, Genossenschaftslehre und soziologischer Pluralismus. Ein Beitrag zur Staatslehre Otto von Gierkes, in Archiv des Öffentlichen Rechts, Verlag von J.C.B. Mohr (Paul Siebeck) Tübingen, Band 71 (NF 32) 1941 e infine Genossenschaftslehre und politische Neutralität, in Schmollers Jahrbuch für Gesetzbung, Verwaltung und Volkswirtschaft im Deutschen Reiche, 66, 1942. Purtroppo non si conosce molto della sua vita: le uniche informazioni attualmente rinvenute sono quelle fornite dalla Deutsche Forschungsgemeinschaft dalla quale Krupa ottenne due borse di studio. Nato il 1 settembre 1912, si laureò ed abilitò a Jena dove studiò con il prof. Andreas Walther, responsabile del Seminar für Soziologie. Mantenne costantemente rapporti con l‟Università di Amburgo e in particolare con il prof. Max Hildebert Beohm professore di Volkstheorie e Volkstumssoziologie, nonché nazionalsocialista convinto. Si ringrazia la direttrice della DF, dottoressa Ina Sauer, per la cortese collaborazione nel reperimento di queste informazioni dagli archivi della fondazione.

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presenza di Gierke nel nazionalsocialismo, quando il suo giudizio resta indubbiamente quello che, meglio di chiunque altro, ne ha valorizzato le intuizioni principali.

Ad avviso di Krupa, l'opera gierkiana va iscritta nel tracciato della dialettica hegeliana con la quale Gierke tenta di definire una distanza, un ambito di tensione, tra

Herrschaft e Genossenschaft, ovvero tra Stato e società, non nel senso compiuto della bürgelicher Gesellschaft, quanto piuttosto nel senso di manifestazioni sociali che restano al di fuori della dimensione statale122. Queste manifestazioni richiedono un'analisi scientifica che deve necessariamente affiancare e integrare la giurisprudenza classica, perché se è vero che il diritto informa ogni genere di manifestazione e di attività umana, è anche vero che i concetti giuridici da soli non sono in grado di spiegare per intero la complessità del reale.

Da qui l'esigenza di un approccio 'sociale' da attribuire alla scienza giuridica, che non a caso Krupa definisce, nella prospettiva gierkiana, 'sociologica'. Inoltre, altra caratteristica dell'opera di Gierke è la lotta, qui davvero su di un piano giusfilosofico, tanto al positivismo giuridico che alle teorie del diritto naturale: in effetti, entrambi questi approcci rischiano, per ragioni diverse, di smarrire l'elemento 'storico' e 'sociale' del giuridico123.

Ecco, dunque, che viene ad assumere rilevanza l'organicismo gierkiano, da intendersi come legame giuridico tra parti diverse, contrapposto alle teorie 'meccaniciste': ad avviso di Krupa, questo è il senso più profondo dell'intera opera gierkiana, rintracciabile anche nei testi della piena maturità. È, perciò, corretto parlare di un approccio sociologico che, nato nel corso delle trasformazioni della società tedesca nella seconda metà dell'Ottocento, si generalizza nell'intera produzione di Gierke con una precisazione non di poco conto ovvero «*<+ che la Genossenschaftstheorie non era la teoria della costituzione sociale del popolo germanico ma sfociò in una filosofia della natura dell'essere sociale. *<+

Il dualismo di Stato e società non rappresentò più il compito centrale e il mezzo sistematico della Genossenschaftslehre piuttosto, come mostra la Rektoratsrede, divenne un esempio storico, *<+ per la costruzione delle associazioni sociali e le molteplici tensioni tra la singola esistenza umana e il tutto sociale»124. Dunque Krupa punta decisamente ad una piena

122 Il riferimento diretto di Krupa è il concetto di cui Schmitt si serve nel Custode della Costituzione, definito un concetto polemico e, cioè, che rappresenta tutto ciò che si oppone alla Herrschaft. Cfr. Genossenschaftslehre und soziologischer Pluralismus, cit., p. 98. In Gierke, sottolinea Krupa, il concetto serve, però, anche ad integrare e limitare il singolo individuo. 123 Si tratta, quindi, di preservare l'autonomia del giuridico, minacciata dalla statalizzazione e da un eccesso di tecnicismo, cfr. H. Krupa, Otto von Gierke und die Probleme der Rechtsphilosophie, cit., pp. 5-6. 124 H. Krupa, Genossenschaftslehre und politische Neutralität, cit., p. 86.

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valorizzazione del contributo di Gierke e ne sottolinea anche la dimensione unitaria – a suo avviso, infatti, la dimensione sociologica si afferma per tutti i 45 anni della sua produzione

– e la valenza moderna125.

Il tema è quello dell'organicismo, che va inteso sia come modalità di produzione della sovranità (dal basso verso l'alto) che come realtà 'non meccanica', ovvero come una costruzione statale non burocratizzata e autoritaria (lo stato non è da confondere, come in

Laband, con lo Staatsoberhaupt) quanto come una unità di varie pluralità aventi la loro origine in una dimensione sociale (non dall'esterno, quanto dall'interno)126.

Partendo proprio dalla posizione del singolo nella comunità, la risposta di Krupa, accolta successivamente da Dilcher, è quella di immaginare il sistema gierkiano nei termini di una dialettica tra il principio di autorità e quello consociativo: una dialettica grazie alla quale, proprio perché non riducibile ad uno dei due poli, si potrebbe continuare a fare dello

Stato una associazione come le altre la cui caratteristica risiederebbe nella Sovranità, cioè nell'essere l'associazione per eccellenza, quella sovrana127. La critica è all'assolutismo statale e non alla Sovranità in quanto tale: punto interessante di questo approccio è l'anticipazione della rilevanza del diritto sociale, di cui Krupa coglie tanto la polemica contro la dimensione ideologica romanista, quanto l'aspetto di attenzione alle dinamiche sociali del tempo, da interpretare giuridicamente senza necessariamente ricondurre alla volontà arbitraria dello Stato.

Intuisce, inoltre, chiaramente anche la metafora del corpo politico dello Stato: la dialettica tra Stato e società (il fatto cioè che essi non siano identici) rende possibile immaginare il corpo dello Stato – da intendersi complessivamente, insieme di rapporti giuridici tra parti – come qualcosa di 'modellabile' perché esso possa diventare pienamente giusto, equo. Ecco che alla scienza giuridica resta il compito di fondere con armonia gli elementi consociativi e quelli di dominio. Non si può negare che questo sia sostanzialmente interno ad uno schema per cui l'opera del giurista di Stettin viene ad essere valutata

125 Ibidem. 126 Su questo si veda H. Krupa, Genossenschaftslehre und soziologischer Pluralismus, cit., p. 104-105. 127 Krupa cita direttamente la già nota formulazione gierkiana: «Das Besondere des Staates liegt in seiner inneren wie äußeren Unabhängigkeit, seiner Souveränität. Höchste Machtfülle des staatlichen Herrschaftsverbandes bedeutete aber für Gierke nicht die Rückkehr zum anstaltlichen Obrigkeitsstaat und damit den Verzicht auf seine durch die Zugehörigkeit zur Gesamtheit menschlicher Gemeinwesen bedingte genossenschaftliche Grundlage» Id, Genossenschaftslehre und soziologischer Pluralismus, cit., p103.

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positivamente quanto all'attenzione ai movimenti e alle dinamiche sociali ma, sostanzialmente, fallisce nella sua ambizione di costruire una teoria generale vera e propria. Perché, nonostante la dimensione sociologica pervada tutta l’opera di Gierke, essa, però, – e qui il giudizio di Krupa si avvicina chiaramente a quello di Schmitt – non è riuscita a emanciparsi dalle strutture e dalla società che caratterizzarono i primi anni dell’esperienza imperiale128.

Questa impostazione, infatti, attribuisce un limite autentico alla prospettiva di

Gierke ovvero il fatto che l'intera sociologia realistica di Gierke resta irrimediabilmente connessa con l'esperienza storica del II Reich. Ecco perché rispetto alla nuova società di massa, le teorie gierkiane erano inevitabilmente destinate a fallire. In sostanza l'esito finale della sua produzione può essere considerata, a giudizio di Krupa, come un allontanamento dal suo compito originario, quello cioè di una fondazione di un ordine sociale consociativo in base allo spirito del diritto germanico. In tal senso va anche interpretata la qualificazione di una 'neutralità' della Genossenschaftslehre ovvero della tendenza, proprio nel momento in cui essa pretende di essere una teoria generale, di provare a unificare tutti i conflitti e i contrasti del Politico nel quadro di un processo unidirezionale e 'pacificatore' della storia delle associazioni e dello Stato (giudizio, come si è visto, pianamente calzante).

Vale la pena segnalare un piccolo riferimento di Krupa, che non verrà, purtroppo, sviluppato. Krupa si chiede quanto della teoria gierkiana possa ancora valere nell’ordinamento internazionale dei grandi spazi. Si tratta di un appunto prezioso perché, a differenza che nella pubblicistica inglese, gli aspetti federalistici dell’opera di Gierke sono stati in Germania ben poco analizzati. Anche Krupa rinuncia ad una sua contestualizzazione: si limita ad affermare che la teoria di Gierke, che pure ambiva ad essere una legge della storia, non riuscì mai a interloquire con il nuovo assetto che il mondo stava assumendo, limitandosi, perciò, ad assumere come unico soggetto di riferimento il

Volk tedesco e ad individuare una limitata prospettiva sociologica come fondamento della propria teoria generale129.

128 H. Krupa, Genossenschaftslehre und politische Neutralität, cit.: «Denn die Genossenschaftslehre ist durch Gegenstand und (ursprüngliche) Zielsetzung mit dem Schicksal des Zweitens Reiches unlöslich verknüpft» p. 86. In questo intervento Krupa è molto netto sui limiti complessivi dell‟opera di Gierke, proprio perché legata a un contesto ormai venuto meno: «Gierkes Werk zerbrach also an der schicksalsschweren Entwicklung des deutschen Volkes vom Agrar- zum Industriestaat» p. 87. 129 Ivi, pp. 88-89.

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Il contributo di Krupa si rivela del tutto slegato da ragioni contingenti o dal tentativo di connettere Gierke allo sviluppo del sistema giuridico nazionalsocialista. È uno studio attento e rivolto principalmente a un'analisi complessiva del contributo di Gierke, privo di conseguenze sul piano della dialettica politica. Merita, quindi, di essere ulteriormente problematizzato.

Krupa fa allusione diretta al regime nazista, quando riconosce in Gierke colui che ha anticipato il tema della rinascita 'dal basso' di un popolo, una rinascita che «sarebbe destinata al fallimento se essa si fondasse esclusivamente sul comando dello Stato»130 e proprio nell'applicazione di questa avvertenza consisterebbe il grande merito della rivoluzione nazionalsocialista. Questa conclusione, però, stona con l'impianto complessivo dell'analisi di Krupa, appare oggettivamente posticcia e rappresenta, come detto, il solo riferimento al regime compiuto in questi testi. In realtà, come già sottolineato, con Krupa il tema del rapporto tra Gierke e il nazionalsocialismo viene depotenziato, l'analisi, a più tratti corretta e convincente, supera la classica polemica di una compatibilità tra il pensiero gierkiano e il regime.

Si deve, anzi, proprio a lui aver chiarito in modo definitivo – senza ricordare, ovviamente, Höhn per via delle implicazioni politiche della sua valutazione – l'impossibilità di attribuire alla teoria di Gierke una vicinanza o una connessione con una torsione in senso 'razzista' della scienza giuridica. Con questa espressione si fa riferimento all'idea che le teorie gierkiane possano essere lette nei termini di una loro attivazione sulla base di alcune 'caratteristiche' naturali – appunto la stirpe, il sangue, la terra – con le quali determinare e limitare l'accesso alla comunità giuridica. Alla Rechtsgemeinschaft, infatti, potrebbero aspirare solo gli individui capaci di dimostrare una loro autentica appartenenza al popolo, concetto autenticamente storico e definito sulla base di queste caratteristiche131.

Si tratta di un contributo interessante e importante perché redatto esattamente in piena epoca nazionalsocialista: esso investe dunque uno degli elementi principali della struttura giuridica nazionalsocialista, il concetto di razza, con la quale si determinava un

130 H. Krupa, Genossenschaftslehre und soziologischer Pluralismus, cit., p. 114. 131 Cfr. le parole conclusive del saggio Otto von Gierke und die Probleme der Rechtsphilosophie, cit., pp.63-64, dove ancora una volta, Krupa fa riferimento, anche se molto velocemente, alle teorie razziali del regime – «impensabile è una qualsiasi realtà politica statale senza premesse nazionali- razziali [völkish-rassische] […]» – esplicitando come Gierke fosse però lontano da un simile esito della propria impostazione

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meccanismo di inclusione-esclusione del singolo dalla comunità giuridica. In tal senso, dunque, non è secondario verificare come, a giudizio di Krupa, non si possa parlare per la teoria gierkiana di aver anticipato questo meccanismo.

Hans Krupa, correttamente, inquadra la riflessione di Otto Gierke in una critica tanto al positivismo giuridico e quanto ad una ripresa del diritto naturale e in, tal senso, torna la qualificazione di impostazione 'sociologica': una serie di espressioni, presenti tanto nel primo volume del Genossenschaftsrecht che, più massicciamente nelle opere della piena maturità, vanno inquadrate in una precisa scelta di legame tra diritto, stato e popolo, senza però connotare quest'ultimo concetto in chiave razzista. Il nazionalsocialismo, come già rilevato, si serve del popolo come concetto reale ma impolitico, vivificato dal movimento.

La realtà del popolo è definita dall'appartenenza di stirpe che qualifica il concetto e si presenta come autentico strumento di selezione tra chi appartiene al popolo e chi invece ne

è escluso. In Gierke, invece, questo meccanismo non è assolutamente sviluppato, si tratta invece di definire una teoria che faccia del popolo, inteso come autentica realtà storica, un soggetto attivo, protagonista del rapporto con lo Stato e termine di un rapporto dialettico con il diritto. In sostanza, proprio per la particolare qualità che Gierke assegna al diritto, si tratta di pensare il popolo non come una realtà trascendente o metafisica ma come soggetto concreto, manifestazione reale e, come tale, pienamente analizzabile con metodo scientifico.

Non è assente, infine, nell’opera di Krupa, la valorizzazione del giuridico come realtà irriducibile a pura volontà o a pura forza 132 : in questo senso Krupa è pianamente consapevole dell’utilità della dialettica tra Einheit e Freiheit, per quanto limitato sia stato l’uso che ne abbia fatto colui che la ideò.

132 H. Krupa, Otto von Gierke und die Probleme der Rechtsphilosophie, cit. p. 47«[Gierke] legt dar, daß die Reduktion des Rechts auf das Prinzip der Macht oder den „Willen“ sein Wesen, sein „Substanz“ verkenne […]».

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Osservazioni conclusive e problemi aperti

Alla fine di questa ricerca sull’opera di Otto Gierke, è probabile che il lettore avverta una certa insoddisfazione per un continuo oscillare lungo due poli, rispetto ai quali questo studio decide di non scegliere e di limitarsi a indicare, nel migliore dei casi, possibili sviluppi (anche nel senso di degenerazioni) delle riflessioni del giurista di Stettin. In effetti,

è proprio alle aporie presenti e alle possibili degenerazioni che è stata prestata l’attenzione maggiore: indubbiamente su questa scelta ha pesato la presenza di una pubblicistica critica sull’opera di Gierke, particolarmente quella tedesca, molto ricca e plurale (nella quale, ad esempio, Dilcher e Hattenhauer rappresentano due posizioni quasi opposte).

Una preliminare avvertenza metodologica è stata quella di chiarire giudizi molto contrastanti su Gierke e far emergere il più possibile la Genossenschaftslehre nella sua autonomia. Sebbene nel corso della tesi la critica sia stata esercitata con particolare vigore sul testo gierkiano, appare necessario concludere queste pagine con qualche ulteriore valutazione critica. La domanda da cui muovere è, quindi, quasi scontata: come si può qualificare Genossenschaftslehre? O meglio: Quale può essere il giudizio, certamente non definitivo, ma quantomeno complessivo, che può essere formulato su di essa?

Una possibile risposta deve fare i conti con una precauzione, ovvia quanto indispensabile: Gierke è un uomo del XIX secolo e, per quanto attento indagatore del mondo nuovo che si stava definendo nei primi anni del Novecento, inevitabilmente legato e influenzato dagli eventi del proprio tempo e, in particolare, dalla fondazîone del II Reich.

Per questa ragione, chi si accosta alla sua opera deve necessariamente fare i conti con il contesto con il quale la teoria di Gierke interagì. La connessione tra quanto proposto nel I e nel II capitolo permette, ad esempio, di riportare alla luce gli aspetti antiassolutistici dell’organicismo gierkiano e di ascriverli a una chiara polemica nella Staatslehre della seconda metà del XIX secolo: ovvero a una piena presenza di Gierke nel dibattito del proprio tempo, anche e soprattutto attraverso proposte di politica del diritto che non hanno nulla a che fare con la romantica nostalgia di un mondo feudale ormai lontano.

La modernità o il conservatorismo di Gierke possono essere valutati, cioè, solo in rapporto all’ambiente con il quale si confrontò: in tal senso nell’opposizione a Laband va evidenziata la lucida critica di un progetto che accentuava – e legittimava – gli aspetti assolutistici del Reich. Ogni altro utilizzo, certamente lecito, deve, però, tener presente che non è più Gierke a parlare ma, semmai, è l’idea che i posteri hanno maturato riguardo la sua opera.

Assunta questa precauzione d’obbligo, si può affermare che indubbiamente Gierke era insoddisfatto per un metodo giuridico chiuso in se stesso, incapace di confrontarsi con i mutamenti che la società tedesca stava attraversando e che rischiavano di determinare la nascita di movimenti extrasistemici ed eversivi: la funzione sociale del diritto nasce proprio come antidoto per uno sviluppo economico che rischia di impoverire e condannare alla disperazione masse sempre più ingenti di uomini. Le consociazioni, quindi, da ipotesi tecnica contro il modello di Savigny, diventano il luogo storico che produce un’altra idea del diritto, frutto di una dialettica tra Einheit e Freiheit, singolarità e molteplicità: solo all’interno della Genossenschaft, infatti, ha senso parlare di una funzione sociale del diritto perché solo il Gemein qualifica la dimensione etica del Recht.

Gierke avvertì l’insufficienza del metodo giuridico classico, eppure non riuscì a definire una teoria alternativa: le sue critiche, alla codificazione come alla Staatslehre dominante, restano attualissime, ma egli non fu mai capace di trasformarle in una teoria compiuta e organica. Ecco perché Gierke non fu un sociologo del diritto in senso stretto: la semplice attenzione al sociale non definì una vera metodologia giuridica con la quale analizzare i diversi contesti nei quali il diritto è prodotto. Lo dimostra, soprattutto, l’aver fatto delle consociazioni e del diritto sociale, costruito sulla base dell’esperienza storica di fine Ottocento, strumenti che saranno riproposti anche con il nuovo secolo, quando ormai la mediazione e l’armonia tra parti dell’organismo sociale erano sempre più lontane, mentre le contraddizioni interne al rapporto tra capitale e lavoro rischiavano di esplodere pericolosamente.

La natura storica della mediazione tra Einheit e Freiheit costituiva una critica interessante per evidenziare i limiti e la natura ideologica della scienza giuridica dominante: Gierke tentò di storicizzare la loro dialettica e di riportarla a un confronto reale tra attori sociali. Ma privata del tentativo di sviluppare un metodo di analisi generale, la

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stessa dialettica sembrava piegare il proprio carattere storico a una sorta di nuova naturalizzazione, che inquadrava nell’edificio costituzionale del II Reich, ovviamente depurato dagli eccessi del labandismus, l’esito migliore e necessario dello sviluppo storico della nazione tedesca. Gierke, che aveva fatto della storia l’arma con cui combattere le ipostasi della scienza giuridica classica, sembra condurre la propria filosofia del diritto, originariamente critica del giusnaturalismo, a una nuova idealizzazione, nella quale la consociazione suprema e l’armonia dell’organismo sociale perdevano ogni caratterizzazione storica diventando modelli validi universalmente. Quella che è stata valutata come una 'svolta' conservatrice, che caratterizzerebbe particolarmente il Gierke maturo, è in realtà il limite stesso di un metodo di lavoro che non era stato in grado di svilupparsi e di suggerire una regola generale di analisi della realtà.

Per la stessa ragione la sua filosofia del diritto è, spesso, contraddittoria: il confronto tra i principali istituti giuridici con la ratio che doveva ispirarli costituì il cuore di una polemica contro la metodologia tradizionale, ma non riuscì a definire, almeno compiutamente, una scienza del diritto davvero rinnovata. Più di ogni altra cosa, pesa non aver problematizzato a sufficienza il concetto di sovranità che resta presente, pericolosamente, nel sistema gierkiano e impedisce uno sviluppo in senso davvero autonomo delle consociazioni.

In conclusione, si può affermare che la Staatslehre di Gierke va compresa nel tentativo, proprio della radice organicista, germanista e 'francofortese' (nel senso della

Paulskirche), di limitare l'assolutismo e l'individualismo allora dominanti. Se ne ricava uno

Stato che ha un rapporto con il popolo davvero particolare: si tratta, in effetti, della

Consociazione suprema che il popolo definisce e che viene organizzata con una precisa individuazione di soggetti istituzionali chiamati a dare forma e senso alla sua costituzione.

In tal modo i corpi intermedi acquistano una funzione costituzionale specifica, quella di rappresentare le istanze dei propri membri a un livello superiore, sino al vertice dello Stato.

Oltre le Genossenschaften ci sono altri soggetti, primi fra tutti i giudici, ai quali Gierke attribuisce compiti non di poco conto.

Eppure anche qui la teoria di Gierke mostra qualche ingenuità di troppo: il sistema delle Genossenschaften, ancorché potenzialmente aperto ai movimenti e alle mutevolezze del sociale, è comunque piegato alla logica verticale e discendente dell'istanza unitaria. Le

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Genossenschaften più che rappresentare – il termine va assunto esclusivamente nel senso di una materializzazione di nuovi soggetti nel novero di quelli di cui occorre tener conto – sono, invece, elementi funzionali di un meccanismo che ha la sola funzione di rendere compatibili le istanze che esse esprimono con il corpo sociale complessivo. In questo, come si è visto, non aveva poi torto Kelsen quando attribuiva alla teoria organica rischi di una deriva in senso etico. È un pericolo che si ritrova in tutta l’opera gierkiana: il movimento discendente e unficante della Einheit è prioritario e disciplinante rispetto a quello ascendente della Freiheit? Gierke non risponde direttamente ma è evidente che la priorità assegnata all’organismo sociale e alla sua stabilità rappresenta una risposta sufficiente. E così si potrebbe continuare: il diritto sociale quanto è effettiva capacità normativa dei

Vereine e quanto, al contrario, è diritto che punta alla stabilità e alla salvaguardia del sistema nel suo complesso; quanto della pluralità, della Vielheit non è minacciata dalla dimensione esclusiva ed escludente unitaria. Per dirla con Susanne Pfeiffer-Munz: se si vuole distinguere nel diritto sociale due momenti, quello del Sozialrecht e quello del Soziales

Recht, che rapporto esiste tra i due e quale dei due soccombe nel caso di una contraddizione? Anche solo se si riporta il problema nel senso di una questione di fonti del diritto, si scoprirà che la questione torna ad essere inevitabilmente connessa con il problema della Sovranità.

Eppure, nonostante questi rischi, la teoria gierkiana contiene anche dell’altro e, cioè, un nucleo che la caratterizza e che ha ancora qualcosa da dire. Indubbiamente l’aver scelto il tema delle consociazioni, rendeva Gierke un giurista anomalo per il suo tempo e i suoi testi come estranei ad una certa tradizione giuridica. Un po’ come accadde a Rudolf von

Jhering che, quando pubblicò Lo scopo nel diritto, ottenne prevalentemente critiche, anche molto dure, per Gierke la scelta di guardare alle consociazioni significava provare a suggerire la possibilità che il diritto avesse un’altra origine e che altre forze, sino a quel momento poco evidenziate, ne disciplinassero lo sviluppo.

La dialettica tra Einheit e Freiheit doveva apparire indubbiamente estranea alla

Rechtswissenschaft di fine secolo, ma essa rappresentava un tentativo di difficile definizione tassonomica. È, infatti, un’originale versione del liberalismo organicista tedesco di fine

Ottocento, ma ha tratti in comune anche con le istanze e il metodo del socialismo giuridico.

Proprio perché, prima ancora che una vera teoria giuridica, quello di Gierke è il tentativo di

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rispondere a un’insoddisfazione per una metodologia che elabora astrattamente e non tiene conto della funzione sociale, che è, poi, anche etica, del diritto.

Si è detto che la confusione tra i due piani può preludere a un’esaltazione dello

Stato: ma se si fa riferimento, ad esempio, a Georg Jellinek si nota, curiosamente, che la sua polemica contro la teoria consociativa sta proprio nel non aver rimarcato a sufficienza la superiorità dello Stato rispetto a tutti gli altri corpi pubblici. Jellinek, e cioè il massimo esponente della Staatslehre tedesca classica, considera la dottrina gierkiana come pericolosamente 'eversiva' e tenta di limitarne gli esiti continuando a sottolineare come lo

Stato si differenzi da tutti gli altri Verbände in modo deciso e radicale. Questa insistenza può indicare soltanto che, nella teoria di Gierke, è ben presente una scintilla di alterità rispetto a una riduzione tutta statalista del diritto. Sebbene non del tutto sviluppata, essa ritorna costantemente: popolo e Stato sono sì legati ma non sono la stessa cosa, l’ambito dello

Staatsrecht non esaurisce quello del Körperschaftsrecht. C’è in Gierke la consapevolezza che il Gemeinwesen, cui il diritto tende, non possa essere sufficientemente preservato e perseguito da una modalità di organizzazione del diritto riconducibile a un solo soggetto.

Esso è, piuttosto, espressione dell’intervento di forze diverse che, pur ammettendo la superiorità sostanziale dello Stato, non possono essere annullate o anche, semplicemente, ignorate dall’analisi giuridica.

Il punto è centrale: non si tratta solo dell’attenzione della scienza giuridica, che deve essere capace di ampliare la propria analisi e di non limitarsi alla trasposizione nel diritto pubblico degli strumenti classici dell’analisi privatistica – su questo il caso della persona giuridica è lampante – ma di riconoscere come forze vive, autonome e, di per sé, giuridicamente rilevanti quei gruppi e quelle consociazioni che non fanno altro che rappresentare istanze ben precise.

Il realismo gierkiano matura qui la sua fase più interessante, tant’è che lo stesso

Gierke, per evitarne le conseguenze più radicali, dovrà assumere lo Stato come soggetto che disciplina le altre consociazioni – in senso letterale: lo Stato non le crea, ma evita che le loro istanze possano produrre squilibri e la disgregazione dell’organismo sociale –.

Ovviamente questa cautela di Gierke non può essere nascosta – e si spera di averla sufficientemente evidenziata nel corso della ricerca: l’ammissione della superiorità dello

Stato oscilla tra una valutazione realistica e meramente quantitativa (si ricorderà che il

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termine è di Gierke) e un giudizio pienamente etico e qualitativo – ma occorre anche ribadire quanto la critica della scienza giuridica dominante contenesse non solo elementi di politica del diritto avanzatissimi per l’epoca, ma anche una filosofia del diritto che poteva prospettare strade interessanti anche se non sempre coerenti con la produzione complessiva del giurista di Stettin.

Quando Gierke parla della vita consociativa, della capacità di mettere insieme interessi e scopi per trovare un punto in comune, quando parla di Gemeinleben, di Gemein, di Genossenschaftswesen, sta effettivamente facendo riferimento a una realtà che non è (non ancora) Stato e che, per paradosso, non ambisce nemmeno a diventarlo. Una realtà che non

è la classica società civile, ma è un intreccio di singoli e collettivi, di individui e gruppi in costante ricerca di un equilibrio. Non è la società civile e non potrebbe esserlo: essa presuppone una sorta di equiparazione formale degli individui, che restano gli unici attori protagonisti. Lo scenario gierkiano è, invece, assai più sfaccettato.

Il ritorno al germanesimo permette a Gierke di fare propria l’intima polivalenza semantica del concetto di Gemeinwesen. Egli, infatti, sa bene che, a differenza del concetto latino di res publica, nel termine tedesco sono presenti due aspetti, la cui relazione è determinata storicamente e dalla capacità degli uomini di scienza di farli coesistere o di assolutizzarne uno a danno dell’altro. Il riferimento va alla natura istituzionale e, per così dire, verticale del Gemein (ovvero alla sua tensione verso un centro unificante: l’organizzazione politica) e l’aspetto 'conflittuale' e orizzontale, legato alla capacità di coesistere delle consociazioni, che si pongono quindi come gruppi organizzati che esprimono interessi particolari.

E lo Stato? È indispensabile, ovviamente, ma non è, in fondo, così onnipresente. C’è insomma anche in Gierke una certa capacità di organizzazione e di disciplina che non si traduce immediatamente nel comando statale.

Se, dunque, l’evoluzione dello Staatsrecht non può mai pervadere ogni spazio del

Körperschaftrecht, ciò che eccede è, per Gierke, soggetto esclusivamente alla libera determinazione delle consociazioni, eventualmente anche in una dimensione conflittuale inter-consociativa? La risposta a questa domanda potrebbe essere formulata in questo modo: nel cuore della teoria gierkiana anche lo Stato non può disciplinare le altre consociazioni senza valorizzarne l’autonomia che, se eccessivamente mortificata, può

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rappresentare un rischio considerevole per la stessa consociazione suprema. Per quanto prioritaria, l’istanza del principio della Einheit non riesce a essere totalizzante: l’esito possibile di questa discrasia non è, quindi, scritto, ma è analizzabile con gli strumenti dell’analisi teorica e di quella giuridica in particolare.

Ad avviso di chi scrive la questione è interessante sotto due distinti aspetti. La prima potrebbe determinare un’ipotesi, peraltro attualissima, di un federalismo, sulla base anche di quanto affermato da molti critici per Althusius. La seconda, invece, riguarda il tema del Gemein e dell’autonomia che questo concetto assume. Pur essendo i due momenti straordinariamente legati, è bene, in questa breve analisi, tenerli distinti.

Quanto alla prima questione, bisogna tener presente che Gierke non ha mai esplicitamente parlato di una possibile rappresentanza di interessi, del tutto alternativa a quella parlamentare. Le consociazioni in Gierke, pur con quella fortissima impronta sociale ed economica che le caratterizzano, non hanno l’ambizione di sostituirsi agli organismi rappresentativi dello Stato moderno. Come detto, sono una sorta di terzo genere tra le cooperative di mutuo soccorso (cui si rifanno esplicitamente) e delle moderne organizzazioni sindacali.

Non è, però, inutile sottolineare anche l’attenzione di Gierke per un’integrazione delle funzioni sociali, degli interessi e dei bisogni di determinati soggetti, che pure contribuiscono a costituire il Volk, nella monolitica macchina statale, segnata dalla semplice rappresentanza parlamentare. Procedendo lungo la tesi di Gierke – e dunque radicalizzandola – si può affermare che il suo modello tenta di relativizzare il ruolo della sovranità moderna introducendo una pluralità di soggetti la cui integrazione è affidata all’azione di ciascuno: in questo modo lo scenario politico è fatto da una molteplicità di soggetti reali, che rappresentano innanzitutto degli interessi, e non di una massa di individui, unificata nel concetto compatto di Volk. Alla scienza giuridica spetta la definizione delle pratiche istituzionali per rendere la dialettica tra le Genossenschaften, compresa anche quella dello Stato, fruttuosa (ovvero, a tutti gli effetti, un’opera di civilizzazione del conflitto).

Questione ancora aperta del presente lavoro è rappresentata dalla connessione delle teorie gierkiane con l’articolazione imperiale e, più in generale, con le teorie del Großraum e della Großordnung che si andavano affermando in quegli anni: per quanto Gierke non

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sembra aver nutrito grande interesse per lo sviluppo in senso più chiaramente imperiale del potere, è del tutto evidente che alcune sue intuizioni possono rivelarsi utili strumenti ermeneutici in una fase di crisi della rappresentanza classica e delle forme di potere statali.

Sul comune la questione è, invece, ancor più complessa. Innanzitutto per una certa difficoltà di traduzione: quando Gierke parla di Gemeinwesen la contrappone alla Respublica romana e quindi al Commonwealth inglese, che, però, è anche il termine con cui Hobbes apre il Leviatano. Quel concetto è, inoltre, segnato in Germania anche dalla nota analisi engelsiana che vi scorgeva l’unico termine tedesco per tradurre il francese Commune – il riferimento è alla concreta esperienza storica della Comune di Parigi – ma anche la successiva evoluzione dei rapporti sociali dopo l’estinzione dello Stato e la vittoria dell’opzione comunista. Quindi Gemein, Gemeinwohl e Gemeinwesen sono concetti particolarmente complessi che rimandano, però, inequivocabilmente a una tradizione moderna. È stato, infatti, sufficientemente chiarito che il bene comune è espressione che nasce, anche in Germania, solo con la moderna tradizione politica: esso qualifica, cioè, il plusvalore che si ricava dal contratto sociale e dal quale nasce lo Stato. Con la paura (di una morte violenta) gli uomini organizzano la civiltà e, dopo la sua fondazione, il Leviatano fa ricorso proprio al bene comune per riaffermare se stesso ed evitare che le proprie carni siano macellate. A differenza che nel medioevo, dove l’ordine era dato, naturale e andava al massimo riconosciuto, nella modernità esso è invece frutto di una deliberazione razionale dell’uomo.

Nella tradizione tedesca, però, lo studio della storia del concetto permette di risalire a tutta l’ambiguità che lo pervade: proprio la strada indicata da Gierke permette di poter affermare che il Gemein non emerge mai in modo autonomo e che, quando si tenta una sua concettualizzazione, esso inevitabilmente rischia di assumere le forme della Herrschaft verticale e monolitica. Ovvero, più chiaramente: il Gemeinwesen e il Gemeinwohl sono pervasi tanto da una logica che tende alla totale istituzionalizzazione – con la conseguente eliminazione di realtà non compatibili – tanto da un rimescolamento che avviene sul livello orizzontale e plurale della Freiheit. In tal modo, la dialettica di Gierke non può essere annullata e i principi devono necessariamente compenetrarsi: per tale ragione il

Gemeinwesen, come tale, non esiste perché nessuno può dire, definitivamente, cosa sia

Gemein. Esso è, semplicemente, il luogo di incontro e di conflitto di soggettività diverse: l’esito è dato solo dall’analisi delle forze storiche e dalla concreta materializzazione di

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questo incontro. Proprio Gierke, infatti, quando procedeva a una piena formalizzazione del

Gemeinwesen, sia pure in senso storico, inevitabilmente, come detto, ne rafforzava la dimensione monistica della Herrschaft.

In tal senso il Gemein non qualifica una condizione – una sorta di spazio libero e franco– ma un 'processo' nel quale, però, non bisogna dimenticarlo, convivono dinamiche e relazioni diverse, comprese quella della Herrschaft (la quale è, come detto, per Gierke non eliminabile). Ecco perché il compito della scienza giuridica non è quello di una definizione del Gemein (cioè di dire cosa sia Gemein, quasi in un’idea performativa: è Gemein ciò che è detto Gemein, da cui il compito della scienza sarebbe appunto quello di dire il comune), quanto, piuttosto, di individuare gli strumenti istituzionali per valorizzarlo e, quindi, per recuperare la funzione sociale del diritto.

Ovviamente, l’abusato riferimento di Gierke a un’idea (etica) del diritto – che, come si è visto, è stato ripreso da molti critici, su tutti Gurwitsch e Krupa – va inquadrato esattamente nella strutturazione del legame consociativo: il diritto altro non è che la manifestazione concreta del Gemeinwesen, all’interno del quale gli individui definiscono i propri diritti e i propri doveri, intesi come obblighi nei confronti della comunità. Sui rischi di questa impostazione si è già detto.

L’unico modo per cui una simile impostazione può parlare ancora oggi è di evitare ogni possibile formalizzazione del Gemeinwesen: una sua concettualizzazione, infatti, presuppone un accordo tra le parti su di una sorta di fondamento comune (ad esempio i valori fondamentali sui cui ironizzerà Carl Schmitt) che, se era invecchiato nel XIX secolo, è oggi del tutto improponibile. Se si assume, cioè, l’impianto federale come una prospettiva di relazione tra forze diverse le quali non formalizzano necessariamente la propria partecipazione al Gemein, ma l’accordo tra le parti è riconosciuto innanzitutto come pratica quotidiana di mediazione e di conflitto.

In questo modo, infatti, la stabilità della rete di parti diverse non è affidata a un nuovo principio unificante, che inevitabilmente conferirebbe a un soggetto, sovrano, la possibilità di decidere della compatibilità tra le istanze del Gemeinwesen e quelle delle singole realtà. Ma, piuttosto, alla semplice valutazione di ogni realtà, rispetto all’opportunità e al valore, di continuare a far parte di una struttura comune, ovvero ad una sorta di costante conflitto e mediazione. Uscire dal Gemein è sempre possibile, ma,

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sintetizzando, spesso non sempre è conveniente: soprattutto, libera da presunti valori condivisi che non sono oggetto di discussione, una simile scelta si rivela totalmente neutra dal punto di vista etico e presuppone, inevitabilmente, l’analisi delle forze storiche e sociali e la ricerca incessante dell’accordo, almeno fino a quando valga la pena di essere raggiunto.

Un sistema rischioso ed estremamente fragile, ma sicuramente una mappa interessante per gli anni che verranno.

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Bibliografia

Opere citate di Otto Gierke

Das deutsche Genossenschaftsrecht:

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L’opera è stata interamente ripubblicata in versione anastatica dalla Akademische Druch- und Verlagsanstalt di Graz (1954). I testi sono disponibili anche in formato digitale all'indirizzo www.archive.org. Si segnalano, inoltre, le traduzioni in inglese: ampi estratti del terzo volume sono in Political Theories of Middle Age, a cura di F. W. Maitland, Univeristy Press, Cambridge 1900. Estratti del primo volume sono, invece, in Community in Historical Perspective, University Press, Cambridge, 1990.

Deutsches Privatrecht:

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I testi sono disponibili in formato digitale grazie al progetto Literaturquellen zum deutschen, österreichischen und schweizerischen Privat- und Zivilprozeßrecht des 19. Jahrhunderts della Biblioteca digitale del Max–Plank–Institut für europäische Rechtsgeschichte raggiungibile all'indirizzo internet http://dlib-pr.mpier.mpg.de. Purtroppo la digitalizzazione non consente di disporre del file in formato .pdf, tranne che per gli estratti da riviste.

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Johannes Althusius und die Entwicklung der naturrechtlichen Staatstheorien. Zugleich ein Beitrag zur Geschichte der Rechtssistematyk, Breslau 1880 trad. it. Giovanni Althusius e lo sviluppo storico delle teorie politiche giusnaturalistiche. Contributo alla storia sistematica del diritto, a cura di A. Giolitti, Einaudi, Torino 1943;

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Der Entwurf eines Bürgerlichen Gesetzbuchs und das deutsche Recht, Dunker & Humblot, Leipzig 1889, disponibile in formato digitale all'indirizzo http://dlib- pr.mpier.mpg.de/m/kleioc/0010/exec/books/%22139686%22;

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Das Recht und der Krieg, Beiträge zur Erläuterung des deutschen Rechts 59, (1915), p. 3-27 (*);

Über die Geschichte des Majoritätsprinzip, in Jahrbuch für Gesetzgebung, Verwaltung und Volkswirtschaft im Deutschen Reiche, 39, 1915, pp. 7-29 (*);

Recht und Sittlichkeit, in Logos, 6, 1916/1917, pp.211-264 (*);

Unsere Friedensziele, Verlag von Julius Springer, Berlin 1917;

„Und es mag an deutschen Wesen einmal noch die Welt genesen“, in Der Tag – Ausgabe A, 3-5 novembre1918 [pagine n.n.];

Parteilose Wähler, in Der Tag – Ausgabe A, 3-4 gennaio 1919 [pagine n.n.];

Der germanische Staatsgedanke. Vortrag gehalten am 4 Mai 1919, Weidmannsche Buchhandlung, Berlin 1919 (*);

Einige Wünsche an die Deutschnationale Volkspartei, in Der Tag – Ausgabe A, 23-25 ottobre 1920 [pagine n.n.].

I testi indicati con l'asterisco (*) sono presenti, in ristampa anastatica, anche in Otto von Gierke, Aufsätze und kleinere Monographien, 2 voll., a cura di Wolfgang Pöggeler, Olms-Weidmann, Hildesheim Zürich New York 2001.

Quanto ai testi in rete, si è fatto riferimento esclusivamente a quelli liberamente consultabili.

208

Letteratura citata specifica sull'opera di Otto Gierke

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