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Marco Rossi l’allenatore ad un passo dal sogno.

Il calcio Italiano, è opinione comune, non è più quello di una volta che dominava l’Europa, ma questo non vale certamente per il pionierismo dei nostri tecnici formatisi a Coverciano.

Dopo i successi ottenuti in giro per il mondo da grandi allenatori come Capello, Trapattoni, Lippi e Mancini e dopo la favola scritta dal Leicester di Massimo Ranieri nel 2016, questo è stato l’anno di Antonio Conte e Carlo Ancelotti, vincitori dei campionati di prestigio rispettivamente inglese e tedesco.

Ed ancora Massimo Carrera che, con lo Spartak Mosca, ha vinto il difficile torneo russo.

Ora a giocarsela ci sono Roberto Bordin, alla guida dello Sheriff Tiraspol, giunto in finale nel campionato Moldavo e Marco Rossi che, con il suo Honved, é appaiato al primo posto con il Videoton.

La sorte, per l’ex terzino della Samp (il secondo in alto da sinistra) di Gullit e Mancini, ha voluto che l’ultima di campionato, in programma oggi 27 maggio, si disputasse proprio nel Bozkis Stadion di proprietà del piccolo club ungherese.

In vantaggio grazie alla classifica avulsa, Rossi ha due risultati su tre dalla sua e la spinta dei tifosi, ancora increduli ma esaltati dalla bellissima pagina di calcio scritta dal suo mister.

Si perché l’Honved, con un budget di un decimo rispetto al più quotato avversario, potrebbe laurearsi campione d’Ungheria contro ogni pronostico della vigilia.

Cinque lunghi anni di lavoro, in silenzio, con la voglia di affermare il calcio su tutto, e per tutto s’intende soldi, fama e calciatori di livello. Niente che potesse far sperare in qualcosa di prestigioso.

Il calcio ungherese è certamente lontano dai fasti del passato: quando, negli anni a cavallo tra la fine dei ’40 e i primi ’50, la leggenda magiara e bandiera dell’Honved, Ferenc Puskás vinceva in Ungheria e nel mondo. Oggi è un calcio sostanzialmente chiuso dove essere stranieri e farsi amare è molto difficile se non impossibile.

Marco Rossi, sempre a testa alta, ha superato, nel suo cammino in solitario tra mille ostacoli, estati torride e inverni rigidissimi.

Di cosa è figlia questa bella storia se non della forza e del valore dell’uomo, del duro lavoro e della coesione granitica del gruppo? Mancano poche ore e sapremo se sarà una vittoria su tutto e tutti o se potrà essere ancor di più, il sogno che si realizza.

Certamente a riflettori spenti, per il mister, arriveranno delle interessanti offerte, forse pure dall’Italia, ma intanto: Forza Kispest!

POISON THE PARISH

A tre anni dall’uscita di “Isolate and Medicate”, settimo capolavoro della band australiana capitanata da , i affrontano il loro album più maturo tornando alle loro origini più pesanti ed introspettive: “Poison The Parish” (12 maggio 2017 – Concord Bicycle Music).

“Poison The Parish” (Avvelenare la Parrocchia) non è uno slogan contro la religione bensì un commento sulla società odierna, che spesso sembra valorizzare più i simboli “like”, “thumbs-up” e “tweet” sui Social Media che la cruda ma sana realtà. Il tema dell’album infatti ruota intorno ad una cultura giovanile che vuole solo essere famosa e pensa che i Social Media siano la cosa più immediata per divenirlo.

Shaun & Co. ce l’hanno con i «Predicatori Social» che dai pulpiti di Instagram, Facebook e Twitter, dispensano le loro false verità «nutrendo» adulti, bambini e ragazzi e influenzando profondamente la vita vera che ha una sostanza ed un valore non determinabile da simpatici piccoli pollici.

Dal punto di vista sonoro il disco risulta più semplice del precedente, chitarre e batteria che suonano dure e che alternano riff pesanti a ritornelli melodici. “Stoke The Fire”, la prima traccia arriva come un pugno allo stomaco, l’intro giocoso di “Betray And Degrade” ricorda “Same Damn Life” del precedente lavoro “Isolate and Medicate” ma dopo poche battute l’aria spensierata lascia il posto alla voce in modalità soft-growl di Shaun che diventa travolgente e carica di rabbia.

Passiamo a “Something Else” dai toni anni ’70 e “I’ll Survive” che ricorda molto la voce di Cobain (NIRVANA) in “Rape Me” tranne poi lanciare refrain e cori in perfetto stile SEETHER. La preview (uscita in febbraio di quest’anno) “Let You Down” è molto sofisticata, la durezza delle chitarre e la melodicità dei cori rendono la song puro «post-Grunge».

“Against the Wall” ricorda molto i FOO FIGHTERS di Dave Grohl mentre “Let Me Heal” e “Count Me Out” sono i pezzi più dolorosi e malinconici dell’album. Ed arriviamo al mio pezzo preferito: “Saviours” dal puro sapore Hard Rock… dal ritmo direi perfetto!

“Nothing Left”, la oscura “Emotionless” e la ballata “Sell my Soul” ci fanno capire che siamo di fronte ad un lavoro completo, testi colmi di citazioni congiunti ad una potenza di suono difficilmente reperibile nella musica Rock di oggi.

Le ultime tre tracce “Feels Like Dying”, “Misunderstood” e “Take a Minute” sono incluse solo nella versione Deluxe dell’album e, mentre le prime due a mio avviso sono dei validi “B-Side”, “Take a Minute” merita un approfondito ascolto. Infatti l’ottimo innesto dello “short solo” nelle linee di basso e dei cori ricordano nostalgicamente “Hearth Shaped Box” dei NIRVANA.

C’è tutta la storia di un movimento, quello Grunge, che ho amato ed amo in “Poison The Parish”: la rabbia, il dolore, la disperazione ed il desiderio di cambiamento che tende alla vera Bellezza a volte solo sfiorata ma sempre gridata fino in fondo!

https://www.youtube.com/watch?v=pnlwqqy4XB4

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