Università Degli Studi Di Milano
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO SCUOLA DI DOTTORATO IN SCIENZE GIURIDICHE Dipartimento di Scienze Giuridiche “Cesare Beccaria” Sezione di Filosofia e Sociologia del diritto Curriculum in Filosofia del diritto XXIX ciclo TESI DI DOTTORATO DI RICERCA POTERE COME MODALITÀ NORMATIVA NEL PENSIERO GIURIDICO GIAPPONESE Settore scientifico disciplinare IUS/20 Candidato: Dr. Emil Mazzoleni Tutor: Prof. Paolo Di Lucia Coordinatore del dottorato: Prof. Claudio Luzzati Anno Accademico 2015-2016 2 Sommario 0. Introduzione 0.0. Tre avvertenze al presente studio 0.1. Metodo e motivazioni del presente studio 0.2. Scopo e struttura del presente studio 1. Il concetto di potere come modalità normativa 1.0. Premessa: l’ambiguità del concetto di potere come modalità normativa 1.1. Distinzioni giuridiche preliminari 1.1.1. Potere vs. autorità 1.1.2. Potere vs. potestà 1.1.3. Potere vs. facoltà 1.1.4. Potere vs. capacità 1.1.5. Potere vs. competenza 1.1.6. Potere vs. permesso 1.1.7. Potere vs. diritto potestativo 1.2. Distinzioni filosofiche preliminari 1.2.1. Il concetto di potere in Alessandro Levi 1.2.2. Il concetto di potere in Wesley Newcomb Hohfeld 1.2.3. Il concetto di potere in Hans Kelsen 1.2.4. Il concetto di potere in Luigi Ferrajoli 1.2.5. Il concetto di potere in Gaetano Carcaterra 1.2.6. Il concetto di potere in John Rogers Searle 1.2.7. Il concetto di potere in Georg Henrik von Wright 2. Il nome giapponese del potere 2.0. Premessa: l’ambiguità del termine ‘potere’ nelle lingue naturali 2.1. Le origini sinogrammatiche del nome giapponese del potere: l’epoca Nara 2.2. Il nome giapponese del potere in Alessandro Paternostro: l’epoca Meiji 2.3. La lessicalizzazione del nome giapponese del potere: l’epoca Heisei 3. Il concetto giapponese di potere 3.0. Premessa: tre aspetti del concetto giapponese di potere 3.1. Primo aspetto: il rapporto tra l’antiformalismo ed il potere 3.1.1. Il concetto di antiformalismo giuridico 3.1.2. L’antiformalismo ed il concetto giapponese di diritto 3.1.3. L’antiformalismo ed il concetto giapponese di potere 3.2. Secondo aspetto: il rapporto tra la soggezione collettiva ed il potere 3.2.1. La soggezione collettiva ed il concetto giapponese di dovere 3.2.2. La soggezione collettiva ed il concetto giapponese di potere 3.3. Terzo aspetto: il rapporto tra il ruolo ed il potere Appendici A. Il verbo modale ‘potere’ nel linguaggio giuridico giapponese B. Il sostantivo ‘potere’ nel linguaggio giuridico giapponese Bibliografia delle opere citate 3 4 Il potere senza diritto è cieco, il diritto senza potere è vuoto. Norberto Bobbio [Torino, 1909 – Torino, 2004]1 1 Norberto Bobbio, Dal potere al diritto e viceversa. In: “Rivista di Filosofia”, 73 (1982), p. 346. Seconda edizione in: Norberto Bobbio, Diritto e potere. Saggi su Kelsen, 1992, p. 143. Terza edizione in: Norberto Bobbio, Diritto e potere. Saggi su Kelsen, 2014, pp. 173. Il legame tra diritto e potere è stato analizzato da Bobbio già nel seguente passo della sua Teoria generale della norma: “Ora che significa avere un diritto? Significa avere il potere di compiere una certa azione. Ma donde deriva questo potere? Non può derivare che da una regola, la quale nel momento stesso in cui attribuisce a me questo potere, attribuisce ad un altro, a tutti gli altri, il dovere di non impedire la mia azione.” Cfr. Norberto Bobbio, Teoria generale del diritto, 1993, p. 20. 5 6 0. Introduzione 0.0. Tre avvertenze al presente studio Questo studio prende le mosse dall’analisi sia del linguaggio giuridico giapponese, sia del linguaggio giuridico cinese; perciò, si rende necessario premettere al testo le seguenti tre avvertenze. 0.1.1. In primo luogo, in giapponese (come in ungherese) il cognome precede il prenome; in questo studio (sia nel testo, sia nella bibliografia) si è perciò preferito mantenere l’ordine originale. Inoltre, in giapponese la scrittura è composta da quattro sistemi grafici utilizzati contemporaneamente: kanji (scrittura ideogrammatica logografica); hiragana (scrittura fonetica sillabica), katakana (scrittura fonetica sillabica) e rōmaji (scrittura fonetica alfabetica). Per facilitare la lettura del lavoro si è optato per l’integrale translitterazione in caratteri occidentali dei testi originali giapponesi citati, salvo laddove l’indicazione del carattere (in giapponese: kanji, termine che letteralmente significa “carattere dei Han”) fosse indispensabile alla comprensione dei concetti. I principali sistemi per translitterare in caratteri latini la scrittura giapponese sono tre: (i) il sistema Nihon; (ii) il sistema Kunrei; (iii) il sistema Hepburn. Sebbene il sistema Kunrei sia ancora oggi il sistema ufficiale riconosciuto dal Monbushō [in italiano: Ministero dell’educazione] per translitterare in caratteri latini la scrittura giapponese, il sistema più diffuso nello stesso Giappone (e quindi qui adottato) è il sistema Hepburn, elaborato nel 1867 dal missionario statunitense James Curtis Hepburn [Milton, 1815 – East Orange, 1911], nel quale le vocali sono pronunciate come in italiano, mentre le consonanti come in inglese, salve le seguenti dieci precisazioni: (i) ‘ch’ è un’affricata come la ‘c’ nella parola italiana ‘cesto’; (ii) ‘g’ è sempre velare come la ‘g’ nella parola italiana ‘gabbia’; (iii) ‘h’ è sempre aspirata come la ‘h’ nella parola inglese ‘house’; (iv) ‘j’ è un’affricata come la ‘g’ nella parola italiana ‘giocattolo’; (v) ‘s’ è sorda come la ‘s’ nella parola italiana ‘sasso’; (vi) ‘sh’ è una fricativa come la ‘sc’ nella parola italiana ‘scena’; (vii) ‘u’ in ‘su’ e in ‘tsu’ è quasi muta (esempio: ‘himitsu’); (viii) ‘y’ è consonantica come la ‘i’ nella parola italiana ‘ieri’; (ix) ‘z’ è un’affricata come la ‘z’ nella parola italiana ‘zoccolo’; (x) il segno diacritico macron (‘ō’) indica l’allungamento della vocale. 7 0.1.2. In secondo luogo, il cinese adotta una scrittura ideogrammatica logografica: i caratteri cinesi sono noti anche con il nome sinogrammi; conseguentemente, il sistema di scrittura cinese è noto con il nome sinografia. Per facilitare la lettura del lavoro si è optato per l’integrale translitterazione in caratteri occidentali dei testi originali cinesi citati, salvo laddove l’indicazione del carattere (in cinese: hànzì) fosse indispensabile alla comprensione dei concetti. I principali sistemi per translitterare in caratteri latini la scrittura cinese sono dieci: (i) il sistema Ricci-Ruggieri; (ii) il sistema Cattaneo; (iii) il sistema Wade-Giles; (iv) il sistema EFEO; (v) il sistema Yale; (vi) il sistema Qieyin Xinzi; (vii) il sistema Zhuyin Fuhao; (viii) il sistema Gwoyeu Romatzyh; (ix) il sistema Latinxua Sinwenz; (x) il sistema Hanyu Pinyin. Il sistema qui utilizzato per trascrivere in caratteri latini la scrittura cinese è il sistema Hanyu Pinyin, il sistema di trascrizione del cinese ufficiale della Repubblica Popolare Cinese, correntemente riconosciuto anche dalla Organizzazione Internazionale per le Standardizzazioni. Per quanto riguarda le vocali, il sistema Hanyu Pinyin ne distingue sei (a, e, i, o, u, ü), le quali possono tuttavia combinarsi tra loro in trenta modi distinti. I suoni rappresentati nel sistema Pinyin dall’unione di più vocali prendono il nome di “vocali complesse” e devono essere pronunciati con un’unica emissione di voce, facendo però attenzione a modificare gradualmente il suono da una vocale all’altra. Per quanto concerne le consonanti, nel sistema Hanyu Pinyin, le principali divergenze di pronuncia rispetto all’italiano sono le seguenti undici: (i) ‘b’ è un’occlusiva bilabiale sorda come la ‘p’ nella parola italiana ‘copro’; (ii) ‘c’ è un’affricata alveolare aspirata come la ‘ts’ nella parola giapponese ‘tsundere’; (iii) ‘ch’ è un’affricata retroflessa aspirata, pronunciata tuttavia con la lingua retroflessa; (iv) ‘d’ è un’occlusiva alveolare sorda come la ‘t’ nella parola italiana ‘oltre’; (v) ‘h’ è una fricativa velare sorda come ‘ch’ nel verbo tedesco ‘ächten’; (vi) ‘j’ è un’affricata alveolo-palatale sorda come la g nella parola italiana ‘giorno’; (vii) ‘r’ è un’approssimante retroflessa come ny nella parola giapponese ‘nyūkan’; (viii) ‘s’ è una fricativa alveolare sorda come la ‘s’ nella parola italiana ‘sole’; 8 (ix) ‘sh’ è una fricativa retroflessa sorda come la ‘sc’ nella parola italiana ‘pesce’; (x) ‘x’ è una fricativa alveolopalatale sorda come ‘ch’ nella parola tedesca ‘Ichheit’; (xi) ‘zh’ è un’affricata retroflessa sorda come ‘c’ nella parola italiana ‘acerbo’. 0.1.3. In terzo luogo, utilizzerò le virgolette semplici (‘’) quando farò riferimento ad un termine in suppositione materiali; in tutti gli altri casi utilizzerò, invece, le virgolette doppie (“”); in particolare è inscritto tra virgolette doppie il termine che esprime il senso di un altro termine. 0.1. Metodo e motivazioni del presente studio Nella presente ricerca mi avvalgo della metodologia propria della filosofia analitica del diritto, inaugurata in Italia negli anni Cinquanta e Sessanta da Norberto Bobbio2 e da Uberto Scarpelli3; infatti, dedicherò particolare attenzione all’analisi del linguaggio normativo,4 tenendo in debito conto le diversità lessicali rinvenibili tra il linguaggio legislativo ed il linguaggio giurisprudenziale.5 Più specificamente, il mio studio si propone di analizzare il linguaggio normativo proprio di un ordinamento giuridico profondamente diverso non solo (in specie) da quello italiano, ma anche (in genere) da quello occidentale (sia civil law, sia common law): l’ordinamento giuridico giapponese. Questa scelta è motivata sia dall’esiguità di ricerche finora svolte in tema (data la barriera linguistica 6 d’accesso alle fonti), sia dal notevole interesse che tale studio suscita (sia nel filosofo del diritto, sia nel giurista pratico7), data l’influenza filosofica della tradizione confuciana sul diritto giapponese.8 2 Cfr. Norberto Bobbio, Scienza del diritto e analisi del linguaggio, 1950, pp. 342-367. 3 Cfr. Uberto Scarpelli, Scienza giuridica e analisi del linguaggio, 1948, pp. 212-216. 4 Uso la perifrasi ‘analisi del linguaggio normativo’ nel senso scarpelliano di “semantica [o, meglio, semiotica] del linguaggio giuridico” (cfr.