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marco ippoliti ILGRUPPO junior gen

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Anteprima Photostory

Alberto in una delle prime “Festinsieme”.

Marco M, Alberto, Franco L, Marco I. Si ritorna dal rifugio Quintino Sella (Gressoney 1976)

Madonnina sul Monte Zerbion (Champoluc 1974)

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1976 - Rifugio Quintino Sella: Nini e Gloria (...)

Leonardo alle prese con lo stovigliame da asciugare Una sirenetta e un gambero rosso (Alessandra e Claudio)

Pacco banconote da 10.000 lire al baretto (spaccio di liquirizia) Pont - Lavare i piatti è sempre stato un piacere

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Premessa

Le pagine che seguiranno vorranno solo essere dei ricordi buttati giù, magari con un ordine cronologico non esatto, ma pensate e scritte con lʼintento di far riaffiorare a chi avrà la bontà di leggerle, quelle stupende senzazioni che nel periodo preso in considerazione inconsapevolmente stavamo vivendo. Lʼimpianto che si vorra seguire è quello di impostare una serie di schemi e flash, di persone, luoghi e avvenimenti, che non dovranno essere esaustivi, ma che tenteranno di rispolverare pensieri e immagini sopiti nella nostra memoria. Nel lavoro ho avuto lʼinsperato contributo fotografico (*) di chi ha trovato la pazienza di masterizzare, riunendole in formato digitale, ingiallite foto fatte in quegli anni da molti di noi. Materiale raro per quei tempi, per ovvia scarsità di tecnologia, non alla portata di tutti. Ho potuto disporre così di immagini riposte nei cassetti, o postate in rete, che altri magari non avrebbero mai visto, commentandole con qualche battuta. Purtroppo di alcuni non ho trovato traccia o ricordato il nome o rammentato circostanze. Nel posizionare questi puzzle nel decennio 1970-1980, il proposito è quello di far agganciare il ricordo di quello che leggeremo a quello che ognuno di noi potrebbe ritrovare dentro di se, provando a riordinare il complicato labirinto di un così originale e importante passato. Web inviti 2012-2013

(*) Claudio e Vincenzo, soprattutto a loro il merito della raccolta e la masterizzazione di molte delle foto ritrovate.

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È nato un evento, anzi 5! L’incontro annuale alla sua V edizione. Nel 2013 “quarant’anni di amicizia”

Le ragazze del 2012

I ragazzi del 2012

L’evento è nato a seguito di una splendida intuizione di alcuni di noi, e poi vivamente caldeggiato. Dal mese di aprile del 2009, ci vede ancora insieme una volta l’anno per una giornata conviviale passata in allegria. Da allora la partecipazione è cresciuta per quantità e qualità organizzativa. Non vi erano dubbi. Merito di un Tam-Tam via web o col più tradizionale passaparola, il ritrovo annuale è diventato un momento importante, quasi istituzionale. Le due immagini, quella dei maschietti e quella delle femminucce, sono le istantanee dell’IV Incontro 2012, proprio all’Ateneo, ospiti di Don Franco. Collocati in maniera convenzionale, in occasione del primo sperimentale campeggio a Laux 1973, nel 2013 con il V Incontro, compiremo i nostri primi 40 anni di Gruppo, che questo libro vuole ricordare.

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Da lassù qualcuno ci ha amato!

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1 Ateneo Salesiano, Chiesa Maggiore (ora in parte è unʼaula universitaria) 2 Ateneo Salesiano, Aula Magna 3 Ateneo Salesiano, Chiesetta dei Matrimoni (ora cʼè la Facolta di Scienza delle Comunicazione) 4 Ateneo Salesiano, Aula dei 300 (dove si svolgevano i primi festival) 5 Il “Bar” di Piazza dellʼAteneo Salesiano

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6 Palestra di Basket e cortile prime “Festinsieme” 7 Via Cocco Ortu 8 Il Centro Giovanile Giovanni XXXIII...LʼORATORIO! 9 Il campo di calcio del Pas Don Bosco 10 Il campo piccolo

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...Una collina ancora acerba, un“ luogo perimetrato da una fila di aste di ferro bianche e nere...... dopo il nulla!”

Via Cocco Ortu ieri e oggi

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C’era una volta...

Cʼera una volta, e ancora cʼè, un moderno complesso polifunzionale in cortina arancione, metallo e vetrate (per allora sicuramente futuristico), adagiato sopra una collina acerba, perimetrato da una fila di aste di ferro bianche e nere. Intorno a lui poco, dietro, il nulla. Tutto si è svolto allʼinterno di quel luogo. Verdi pratoni e proseguendo, il Grande Raccordo Anulare, ma comunque il nulla. Quella che pian piano diventerà lʼimmensa IV Circoscrizione, o come si chiama ora, IV Municipio, finiva lì. P.A.S. Don Bosco Quella costruzione era lʼAteneo Salesiano, il !

LʼU.P.S. è unʼUniversità Pontificia gestita dai Salesiani, al servizio della società, della Chiesa e della comunità di San Francesco di Sales, con sede centrale a Roma, appunto nel nostro quartiere del Nuovo Salario che ha e sempre ha avuto come scopo caratterizzante, il dedicare particolare attenzione allo studio e alla soluzione delle questioni inerenti l'educazione e l'azione pastorale, tra i giovani secondo lo spirito del suo fondatore San Giovanni Bosco.

Visto dallʼalto (immaginiamolo in pianta), potremmo scoprire un trapezio di agglomerato urbano il cui angolo principale era una severa cupola a forma di parallelepipedo. Appeso ad essa un grande Cristo in bronzo che firmava lo skyline. Arrivando da Ponte Milvio, superata lʼallora unica galleria (parcheggio domenicale per chi andava allo stadio), lʼOlimpica si fermava nei pressi di Prato della Signora. Da li non essendo ancora cresciuti gli alberi, quella cupola la si poteva vedere.

I confini urbani di questo edificio che sarà nel tempo la culla della nostra Via Cocco Ortu ieri e oggi giovinezza e del nostro diventare adulti, quasi come abbraccio toponomastico erano e sono ancora là.

La cupola dell’Ateneo Salesiano in Roma

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Ai confini della città

quartiere Un che sta nascendo

Il primo ipotetico asse è la Via Salaria ancora non piegata alla lussuriosa frequentazione, un secondo lato potrebbe essere Via Monte Cervialto che permeava il confine verso via delle Isole Curzolane e il temuto Tufello, il terzo il Nuovo Salario con via Suvereto, via Vaglia, via Comano, il Liceo Scientifico Archimede, gagliarde strade ancora infangate, non terminate, ad accogliere una nuova generazione di medio/alta borghesia che riempiva condomini un pò meno palazzoni, un pò meno popolari, a metà tra lʼanonimato della grande città e la complicità contadina del paesotto di campagna. Vie grandi perchè eravamo piccoli noi con gracili fuscelli di timidi alberelli appena piantati, che tentavano di crescere e con poche macchine che le percorrevano timidamente.

ʻ51 Montesacro tutto cominciava... (da una strofa di Claudio Baglioni che citava il soppresso 38/ (Via Ottoboni-Stazione Termini, gli Argonauti e un quartiere che per molti era, volutamente errando, tutto il più nobile e storico ...Montesacro)

Genitori molto giovani le cui speranze professionali andavano via via concretizzandosi e figli ancora adolescenti che stavano per dar vita alle turbolente e contraddittorie giornate di anni, che chiameranno di piombo, destinati a riempire le cronache di paura, speranze, illusioni, delusioni, e non ultimi, di inutili lutti. Seppur così posizionato quel triangolo nonostante tutto non è mai stato una periferia nel deleterio senso della parola, e non è mai stato un quartiere di frontiera.

Questa strada interna, a pochi metri dal campo di calcio e che perimetrava l’Ateneo, era la fine del quartiere e della città. Ora li fuori vi partono insediamenti urbani che da soli potrebbero fare provincia.

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Ecco come si presentava la salita di via Cavriglia all’inizio degli anni ‘70. Solo per metà asfaltata saliva con al centro una pittoresca staccionata dipinta di verde che portava ai villini Alpi, allora moderni ed eleganti. La viabilità ordinaria è stata per alcuni anni ancora incompleta con tanto di terra, polvere e fango.

Solo i minuti persi in un traffico già insopportabile ci separavano da Roma, non le ambizioni e la voglia di essere protagonisti nella città. Senza imprigionare il mio pensiero in una qualche casella ideologica, giusta o sbagliata che sia, mi piace osservare che erano anni vivi, partecipati, ambientati in un angolo della capitale pieno di eccellenze (molte saranno le nostre), che tanto contribuiranno allo sviluppo della città. Il consumismo colpiva a salve e il trascorrere del quotidiano, anche se incosapevolmente, contribuiva a seminare qualcosa per il futuro. Ci vorrà poco perché altri, piano piano, inculcassero, a noi e ai nostri figli con la maledetta e sublimamente imposta, forza catodica, la mancanza di desiderio per disegnarsi un domani migliore. Una vita fatta di passaggi di livello (nel senso basso di “Game”) e di utopistiche connessioni (nel senso di profili tariffari sempre più “ingannevoli”). Lʼanticamera dellʼisolamento. Arriverà la mancanza della gioia di essere un gruppo, che si può, condividere, amare, desiderare, odiare, rimpiangere, ma vivere! Ateneo e Parrocchia unite in un unico progetto

Lʼaustero complesso, per motivi di buona convivenza, (solo apparenti), ha accolto allʼinterno delle sue mura la Parrocchia di Santa Maria della Speranza (ora fatta sorgere nellʼincavo di piazza A. Fradeletto, che per anni è stata la “Fossa dei leoni”, la “Marana”.

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La fossa dei leoni in tutto il suo splendore. Si possono notare il manto sintetico di ultima generazione, le gradinate per il pubblico e la fitta vegetazione arborea alle spalle dei campioni in pectore (nella fattispecie si notano due famosi gemelli del gol).

Il cortile brulicante di ragazzini per il famoso tutti contro tutti. Severamente attento, un antico sacerdote di Don Bosco vestito e di folta chioma fornito.

La posa della prima pietra del (per noi) futuro e definitivo edificio sacro avverrà nel 1988. I lavori di costruzione saranno del 1995, ed il 10 dicembre di quellʼanno la nuova chiesa verrà consacrata dal cardinale vicario Camillo Ruini. La chiesa è sede di quella parrocchia omonima, soggetto e oggetto di questo scrivere, istituita nel 1968 con il decreto del cardinale vicario Angelo Dell'Acqua, ed affidata ai Salesiani. Le attività parrocchiali appunto si sono svolte nellʼUniversità Pontificia Salesiana.

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Per noi anni dopo: la posa della statua della Madonna nella nuova chiesa di piazza Fradeletto.

Un pò di nomi cosi, sparsi: Roberto, Grazia, Angela, Patrizia, Fabio, Carla, Bruno, Isabella, ... e poi?

Via Cocco Ortu, 61, ai giorni nostri. Ormai chiuso, tempio di passato splendore, relegato a dormitorio.

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La Storia della nostra Parrocchia

La Parrocchia Salesiana ha una storia singolare. Nei primi anni la fondazione della Congregazione dei Salesiani di Don Bosco era un'eccezione. In seguito il numero crebbe e si cominciò a considerare una presenza, per alcuni versi ideale, per un'azione a favore dell'educazione cristiana della gioventù.

La parrocchia di Santa Maria della Speranza è stata eretta con decreto del 3/4/1968, mentre l'erezione canonica è del 3/10/1972. Nel 1965 le attività parrocchiali avevano come locazione parti, come detto, dell'allora Pontificio Ateneo Salesiano, l'anno successivo si è definitivamente costituita una comunità stabile che faceva riferimento all'Ispettoria Romana "San Pietro". Escluso il primo, il parroco è stato sempre anche il superiore religioso della Comunità e si sono così succeduti:

Don Pietro Gianola (un anno) Don Carlo Bressan (dieci anni) Don Carlo Filippini (otto anni) Don Savino Losappio (due anni) Don Stelvio Tonnini (undici anni) Don Ulderico Calisi (undici anni) Don Roberto Colameo (attuale parroco, agg. 2012)

Le comunità che si sono succedute nel corso degli anni hanno avuto un rilevante contributo pastorale dalle vicine comunità dell'Università Pontificia Salesiana. Da sempre le attività della comunità ecclesiale sono state la Parrocchia e l'Oratorio Centro Giovanile.

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Nel 1970 papa Paolo VI fece visita alla parrocchia; nel suo discorso salutò il cardinale Karol Wojtyła (futuro Giovanni Paolo II) lì presente. A sua volta il papa ricevette il benvenuto dallʼallora professore dellʼUPS, diventato poi (fino al 2013), segretario di Stato vaticano, cardinal Tarcisio Bertone. Giovanni Paolo II ha visitato la chiesa nuovamente nel 1997.

Gli incaricati dell'Oratorio Centro Giovanile sono stati:

Don Giovanni Nonne (dieci anni) Don Giovanni Lai (sei anni) Don Felice Terriaca (nove anni) Don Ulderico Calisi (sei anni) Don Mauro Costantini (tre anni) Don Peppe Leo (due anni) Don Louis Kannan (un anno) Sig. Tommaso Sbardella (due anni) Don Francesco Valente L’Oratorio ...il Centro Giovanile Giovanni XXIII

È un luogo di accoglienza per il tempo libero e la formazione umana e spirituale di giovani e famiglie. Un luogo ideale per vivere un'esperienza di gruppo, di associazionismo e di impegno. A disposizione dei giovani ci sono ampi spazi per giocare, sale per incontrarsi, attività sportive e culturali per crescere "Come buoni cristiani e onesti cittadini" (Don Bosco). Il servizio alla persona, e in particolare ai giovani, si esprime e si attua attraverso l'evangelizzazione della cultura: il percorso all'interno delle attività comprende tematiche specifiche quali il senso della vita, la centralità della famiglia, l'annuncio esplicito del messaggio di salvezza e di liberazione di Gesù Cristo, l'educazione alla legalità e alla vita civile, l'attenzione alla solidarietà e alle nuove vie della comunicazione. Tutto lì ha avuto inizio

In un modo o nellʼaltro e per fini probabilmente diversi, la quasi totalità dei ragazzi del quartiere è entrata almeno una volta in Via Cocco Ortu, per giocare a Ping Pong, Calcio balilla, Biliardo, Biliardino (quello con i funghi), ai canestri (quelli del tre contro tre, con le porte rappresentate dai montanti del Basket, e chi vince resta), o per calcare il campo di calcio (è duopo citare Walter Casaroli che ha raggiunto la serie A con Roma, Parma, Como...). Migliaia di partite con tornei agguerritissimi, con le squadre dai nomi di paniniana memoria (Setubal, Selezione Archimede, Atletico Val Melaina, Benfica, Liverpool, Villini Alpi...).

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In palio stupende quanto inutili medaglie di ottone che però ancora si conservano con orgoglio. In un momento in cui, senza vergognarsi, per la maggior parte della settimana si usciva di casa senza neanche 100 lire, si faceva a piedi un percorso, anche lunghissimo, magari dandosi appuntamento o aspettandosi alla finestra. Ad ogni portone probabilmente la comitiva aumentava. Arrivati a destinazione lʼobiettivo era quello di scendere quelle scalette, varcare un portone di metallo, risalire altre scale e... trovare un immenso, lungo corridoio, brulicante di ragazzi. Tutti contro tutti, alcuni con una racchetta da Ping Don Pietro Bastianini. L’11 luglio 2004 sale Pong in condizioni tali che un qualunque mestolo di al cielo all'età di 88 anni. Ha lasciato un legno di Ikea, sarebbe stato un attrezzo migliore. ricordo di "cristiano buono, pastore zelante, sacerdote fedele, prete sull'altare e ovunque, Ma vacci a giocare oggi, con quello che con tutti, in mezzo ai giovani con il cuore di magistralmente le usava. A 50 anni ancora ti don Bosco". schiaccia la pallina che manco la vedi. Sono passato in Via Cocco Ortu nel 2012, ancora cʼè la cartoleria Zanellato, lʼelettrauto e il Bar dellʼAteneo, visita pomeridiana di Don Bastianini. Sì, Pietro Bastianini, illustre docente dellʼUPS, che con una scatolina di liquirizie “conquistava” quelli che in chiesa non ci sarebbero venuti neanche morti. Quelli che ci spiavano dalle finestrelle delle salette pronti a scappare alle preghiere del pomeriggio che Don Nonne faceva in piedi sulla panca per qualche minuto, avendo però prima tolta la luce per interrompere i giochi. Don Pietro lo vedevo veramente come un apostolo vestito da Don Bosco.

Una 850 Special bianca

Le macchine parcheggiate erano veramente inesistenti, tanto che il buon Sor Marino, al secolo Signor Mainero, con quella sua 850 Special bianca poteva parcheggiare sempre davanti lʼingresso ed essere uno di noi, anche se padre (di Luigi e di Giulio).

Solo per qualcuno figura invadente, non subito e non tutti abbiamo capito invece lʼimportanza della sua presenza imponente integrata e solidale con i nostri scalpitii di ingenua adolescenza. È stato un ausilio e un completamento dei “Preti”, forse saggi e colti, ma inesperti di vita reale peggio di noi.

Per me anche un amico.

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E quei “cattivi” che poi cattivi non erano, a sentirlo. Mai una predica, ma invece una predica tutti i pomeriggi, ma loro non lo sapevano, o facevano finta di non saperlo. Lo ascoltavano, lo rispettavano, lo amavano. Le vie del Signore passano anche per una scatoletta di liquirizia purissima.

La cosa che mi ha subito colpito era quel grande tabellone di legno verniciato di verde, allʼangolo del corridoio. Leggendovi le cose capivi subito chi eri, dove eri, e soprattutto quello che avevi da fare. La “Comunità migliore”, il “Gruppo migliore” aveva anche la posizione degli avvisi più in evidenza.

Quello era il diario della tua partecipazione alle Sig. Bertorello, Coadiutore Salesiano, detto attività di bordo. Sempre aggiornato. Peppe, ha avviato l’esperienza sportiva Il corridoio dellʼOratorio faceva da anticamera alle oratoriana con il baseball, salvo poi raccogliere nel settore calcio, molteplici varie “Salette” che si aprivano a destra e sinistra. adesioni e consensi. Esse non erano come vedremo in seguito, solo degli Portiere, con un pugno sulla sfera di cuoio arrivava oltre la metà del campo. spazi fisici con precisa destinazione dʼuso. Erano il tuo “Gruppo”. La prima saletta a sinistra era la direzione, poi la sala grande con il bilardo grande e i tanti buchi sul soffitto, risultato delle impronte delle stecche per un improbabile “gessetto” e conseguente dannazione di Don Nonne e Sig. Giuseppe “Peppe” (Bertorello). Unʼaltra saletta diventava di volta in volta il Bar, dove prendere la gazzosa da succhiare con un laccio di liquirizia (ancora lei). Al responsabile di turno si lasciava anche il “pegno”: un piccolo oggetto di più o meno valore (portafoglio vuoto, lʼorologio del Luna Park, il mazzo di chiavi ...quante volte false) per ricevere in consegna: la scacchiera, le carte, la pallina del calcio balilla, le racchette di sughero, la pallina del ping-pong che sistematicamente veniva schiacciata dallʼimmenso via-vai e quindi “distrutta” o lʼoggetto più ambito: il mitico “Super Santos” che dava lʼillusione di giocare con una vera sfera di cuoio. Dopo migliaia di partite e se non si bucava, diventava un pò più sgonfio. Considerato il pavimento lastricato in marmo, avevamo scoperto “il pallone ad atmosfera controllata” che ne gestiva un più ottimale rimbalzo: avevamo inventato così il calcio a 5. Si scendeva quindi ai canestri (che diventavano come detto le “porte”), e partivano sfide infinite che duravano fino a tardo pomeriggio. Tre contro tre, e al terzo gol si cambiava la squadra sconfitta con lʼaltra in attesa al muretto. Con un pò di tattica, più o meno onesta, si andava avanti per ore.

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Siamo o non siamo la generazione del bianco/nero? Da sinistra in alto: Luigi M., Rino N., Giovanni R., Mimmo S., Tommaso S.. Accucciati: Sandro M., Franco R., Roberto P., Marco Di C., Massimo C., Silvio T., e sotto quasi gli stessi, ma a colori. C’è in più Oreste, Fabrizio.... boh!

E le ragazze?

La domenica, dopo la messa, benevolmente, si fa per dire, si concedeva il cortile per la pallavolo con le ragazze, 45 contro 38, il cui spirito di gioco non era tanto quello di far punto, ma di schiacciare la palla su qualche malcapitata lunga chioma. Mise adatta allʼevento sportivo: camicetta di seta, gonnellina a pieghe blu, scarpine, calzettoni. Lo strilletto, seguito da un “...cretino!” era la colonna sonora della mattinata. La saletta della musica era esclusivo appannaggio del Gruppo di Don Lai. Parliamoci chiaro: il buon Don Giovanni (nel senso del nome di battesimo) avrà avuto il suo ben da fare. In quel Gruppo cʼerano le ragazze!!!

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Lʼappartenenza allo “Junior Gen” valeva pur le prove il sabato e la messa la domenica. E il sabato pomeriggio era lʼapoteosi con tutti noi a provare canti, vecchi e nuovi tra le panche e gli spartiti. Avevamo da preparare la Messa dei giovani, quella delle 9,15 alla domenica. Messa La , le Prove

Siccome eravamo bravini, i fedeli si accalcavano in quellʼorario, quasi di

buon mattino, per sentirci cantare (per Peppe praticamente ragazzino una messa meno triste, a loro detta) e tanti altri fanciulli che cresceranno. suscitando la contrarietà da parte del Parroco (soprattutto uno), che vedeva meno folta lʼassemblea dellʼorario Le giacche a vento successivo. Per un motivo simile, come vedremo in seguito, fece chiudere la Forse questa se la ricordano in pochi rivista dellʼoratorio, Occhio, perchè i fedeli per comprarla, non lasciavano Verso la metà di questo nostro periodo non indossare una specie di giacca a vento, simile al K-way, di cui lʼofferta a Messa. ne era il modello precursore, significava non Peppe appartenere al quartiere. Quelli di Nei colori blu o nero, senza un qualsiasi brand, minimale ed essenziale, una ingegnosa signora in via Monte Cervialto che abitava sopra CIM (si il CIM nei La saletta del “Gruppo di Peppe”, i portici) le confezionava in proprio, ma con la maestria cui affiliati erano solo ragazzi, per lo più della produzione in serie, e le vendeva via lʼossatura portante di tutti successi passaparola a ...1.000 lire. Forse sarta in pensione, calcistici del Pas Don Bosco. forse senza lavoro (già allʼepoca?), o volenterosa casalinga, ha fornito un discreto e funzionale capo Infine lʼufficio (leggi regno) di Don Lai, sportivo alla gioventù della zona. pieno di carta, spartiti, testi, macchina Non cʼe lʼho con Decathlon, come qualche volta si da scrivere, carta carbone, pianoforte, potrà leggere scherzando, è solo un paradosso dei tempi e solo un rammarico non aver avuto quel e tutto quello che serviva per realizzare negozio quando ci sarebbe stato di aiuto, ma un tutte le nostre attività: la musica, il prodotto di quel tipo non esisteva e sopratutto ad un teatro, i campeggi. prezzo che era abbordabile, raggiungibile anche solo Per alcuni anni il direttore del Centro con qualche paghetta, se mai esisteva, settimanale. Fatto sta che per qualche anno, e con lʼavvento dei è stato un pò solo nostro (!!!), con la primi motorini ci si sentiva abbastanza fichi ad conseguenza di qualche privilegio. indossarle.

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Nel fango, la grinta di chi ha tanto dato e tanto preso dallo sport più bello del mondo. Non ho mai capito quale fosse il suo vero ruolo (basta che vincevamo), terzino, portiere, mediano ...allenatore, Mister nel pallone!.

Non so quanto ogni cosa sia nata un pò per caso o per volontà, resta il fatto che alla grande capacità di seminare del nostro mentore, ha risposto una grande voglia di fare ed imparare da parte nostra, via via cimentandosi in situazioni sempre più impegnative e riuscendo a raggiungere ottimi traguardi, con la capacità del singolo e/o con lʼamalgama del gruppo.

Appendici non meno importanti anzi, sono state la palestra di basket e il menzionato campo da calcio. Nellʼera di Dechatlon e dei suoi “prodotti tecnici” immaginare quello del Pas Don Bosco come un impianto di eccellenza risulta difficile. Ma tantʼera. Soprattutto dopo che, con lʼaiuto del Signor Sbardella, avevamo gli spogliatoi più belli della città, più di quelli del Banco Roma e dellʼOlimpico. O così si diceva. Fatto sta che ogni atleta durante la competizione, aveva addirittura una sua doccia personale, le squadre non si incrociavano mai (per ovvi motivi), e le partite sono state memorabili. A tutti livelli, dalla Prima categoria alle nostre perenni sfide, praticamente sempre vinte, con “quelli di Sig. Giuseppe”. Oggi un paio di scarpini costa una decina di biglietti dellʼautobus, i miei primi sono stati da parte di alcuni, il graditissimo regalo per i 18 anni!

A pensarci bene cʼerano anche due piani superiori che almeno agli albori davano il tocco di classe alla domenica: il cinema (sic!) quellʼambiente allo stato di crisalide di quella che sarà poi la “Mitica Sala Esse”. (Con tanti paventati padri putativi e pochi biologici), e sopra ancora, oltre agli alloggi della comunità religiosa, Radio Speranza, delle cui particolarità sono poco avvezzo, essendo appunto come detto, ognuno geloso del proprio entourage.

Andrea Pestellini

Gennaio 1976. Il ricordo di un compagno di classe e di oratorio. Fatalità, sicuramente una maledetta fatalità. Una acrobazia tipica del basket che si faceva, si fà e sempre si farà, ce lo ha prematuramente tolto, a noi, alla mamma, al papà, alla sorella, come figlio, fratello, amico, campione.

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La nostra Saletta

Le salette erano, dicevamo, come preziose scatole cinesi, il luogo finale di arrivo. Ognuna aveva uno scopo, una destinazione dʼuso. Ci si facevano le lezioni di musica, le prove, ci si giocava, si facevano le feste, le riunioni. Poter entrare in una di essa era una conquista. Forse esisteva un pò di classismo. I volti degli altri ragazzi, che passavano e ripassavano li davanti come se quella porta fosse lʼanticamera del paradiso, erano un libro aperto. Il tutto al di quà o Alessandra e Roberta. Un pò sbiadite. La foto intendo... al di là di una piccola finestra. Un misto di desiderio e invidia, ma anche di isterica derisione e apparente commiserazione. Le ragazze si sentivano protette, noi tronfi di tanto incarico, fuori qualche volta botte! Lʼunica zona franca, il lungo corridoio. Frequentare lʼoratorio ha significato infatti avere delle inimicizie nei contrapposti modi di pensare. In quegli anni in qualunque modo ti posizionavi, non potevi non essere o di destra o di sinistra. O oratoriano o non oratoriano Lʼitalica sindrome del derby da campanile.

Salvatore, detto Rino ottimo centravanti, ma soprattutto ottimo “svisatore”

In effetti vedere Giovanni che canta non è cosa scontata o prevedibile, quindi pensando di fare cosa gradita, pubblichiamo la foto di una rara, inconsueta, richiestissima esibizione, addirittura con la chitarra, insieme a Rino. Un compiaciuto Sor Marino con i suoi tanti e colorati plettri in tasca sempre pronto a regalartene uno. Ma li fabbricava lui?

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Devo dire che qualche volta a frequentare ci è voluto coraggio. Indossare finte Clark, era per giocare a pallone nel cortile (ma quali scarpe da ginnastica con lʼair-soft-running- player...), e non per sembrare un pariolino. E indossare lʼEskimo, non era per sognare la rivoluzione sovietica, ma perchè non costava molto, si sporcava poco e riscaldava Enzo, Luigi e Maria Rosaria. Dai particolari della tavola bene. non credo si tratti di una noiosissima riunione Anche se il massimo della frequentazione si raggiungeva il fine settimana, ogni giorno, finiti compiti (quali compiti?) in molti eravamo nella saletta. Un piccolo biliardo con i funghi al centro, un antico mangianastri da utilizzare soprattutto per le feste da ballo, i tavolini per giocare a scacchi o alle carte, il calcio balilla. La cosa buffa era che si passava dalla saletta al balcone, dal balcone alle scalette dellʼentrata, dal cortile al corridoio con il via-vai tipico delle formiche. E come loro, ogni passaggio era una parola, una confidenza, un pettegolezzo un ...ti posso accompagnare a casa dopo? Attenti a congiuntivi e tentativi di composizione del discorso: (Lui) “Senti che ne penseresti, se casomai qualcuno, (Coof ... Coof!) giusto per buttarla lì, ti chiedesse, sussurando, ma magari non lo farebbe, se ti andasse di essere, così tanto per dire, lʼeventuale, ...emh, sicuramente per provare, la sua ....emh, ragazza? (Coof ... Coof!) Eh?... cosa diresti? Tanto è un (mica vero), gioco! (Lei) Te lo dico domani! (Lui) Te possino! - Giorni e ore per trovare lʼispirazione con la più patetica delle proposte, liquidata in mezzo secondo. Ciao coso, - lʼantipatica brutta sua amica del cuore - ha detto cosa (Lei), - io sarò stato anche patetico ma 10 grammi di coraggio alla fine ce li ho messi - che per ora (Lei) deve studiare (???), ma che però vuole restarti amica... (Lui) Ma vaff... guardia La

Un anno la saletta ha accolto tutti gli zaini e il materiale personale di coloro che partecipavano al campeggio, riempiendola allʼinverosimile, pronti per essere caricati lʼindomani e di buon mattino sul camion ed essere spediti. Non credo ci fosse stato bisogno, ma come da veri eroi, in tre o quattro abbiamo dormito lì con tanto di torcia e coltello. Una maniera come unʼaltra per condire meglio e allungare di un giorno lʼavventura.

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Il Gruppo “Junior Gen”

il cui nome riprende in parte Il Gruppo Junior Gen, quello del movimento Gen (Generazione Nuova), espressione giovanile del Movimento dei Focolari, nato sull'onda della mobilitazione giovanile sessantottina,

dovrebbe nascere allʼinizio degli anni ʻ70 dallʼiniziativa di Don Giovanni Lai da Osilo (Sassari). Il giovane sacerdote è in quel periodo anche insegnante di religione alla Scuola Media Statale Gian Battista Vico, in piazza Filattiera.

(Osilo, Osile in sardo, Òsili in sassarese, Òsilu in gallurese, è un comune italiano di 3.228 abitanti della provincia di Sassari in Sardegna, Situato a 672 metri sul livello del mare è uno dei centri più alti della provincia. Nel territorio del comune sorgono le frazioni di Santa Vittoria e San Lorenzo. Centro di primaria importanza fino agli inizi del novecento si è via via spopolato pur conservando vive le proprie tradizioni. Il paese, dominato dai resti del castello medioevale dei Malaspina, di cui si conservano due torri e le mura perimetrali, sorge su una delle tre cime del monte Tuffudesu).

In alto: Don Giovanni Lai, in basso da destra: Giovanni P., Francesco R., Silvio T., Roberto P., Tommaso S. nella Chiesa madre della Pontificia Università Salesiana. Franco suona su di un paio di cassette da frutta.

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La Chiesetta dei Matrimoni, con Giovanni, Cinzia, ancora Silvio, di nuovo Francesco e Luigi

Il Gruppo è misto (cosa rara e quasi unica in Italia per quegli anni), e seguendo lʼeducazione del fondatore dei Salesiani, Giovanni Bosco, deve offrire un servizio alla comunità. Si assume quindi come scopo principale della sua missione, quello di accompagnare con la musica, le funzioni religiose della domenica e nelle altre ricorrenze cattoliche della vita parrocchiale, nellʼimmensa Chiesa Madre dellʼAteneo Salesiano, così come in quella piccola nella sede della Parrocchia. Lʼetà media iniziale degli iscritti è intorno ai 13/14 anni, con numeroso coinvolgiomento di fratelli e/o cugini. Non so quantificare quanti siamo stati in tutto e negli anni. Mi sembra di ricordare anche una presenza di 70/80 ragazzi, forse più. Non tutti e non sempre in contemporanea, ma forse la comunità oratoriana più numerosa.

Il servizio di routine, affrontato di buon grado da tutti, prevevedeva la prova del sabato, e alla domenica la Messa dei Giovani, alle 9.15, officiata da Don Pietro Braido.

Pietro Braido della Congregazione dei Salesiani di Don Bosco, ordinato sacerdote il 6 Luglio 1947. Eʼ professore emerito di Storia del catechismo e del suo insegnamento presso la Pontificia Università Salesiana in Roma, di cui è stato Rettore dal 1974 al 1977.

Nella sacrestia, in un capiente armadio, erano stipati gli strumenti musicali: dalla batteria, agli amplificatori, dalle chitarre ai microfoni con le aste, alla tastiera. Don Lai officiava la funzione delle 8,00, bisognava quindi, arrivare un pò prima e montare tutto lʼoccorrente. Si partecivava alla sua messa e prendere lʼomelia che il “prete” faceva rigorosamente con gli occhi chiusi. Qualche volta ci scappava un cappuccino nel famoso bar della piazza e poi toccava a noi. Nellʼintervallo tra quella delle otto e la nostra, si trovava il tempo per provare ancora. La saggezza musicale di Don Lai faceva si che il repertorio era veramente vasto, coprendo tutti i tempi dellʼanno liturgico: Natale, Pasqua, Tempo ordinario, finanche matrimoni e funerali. Il procedimento era ben oliato: una visita alla Biblioteca Paolina (al Sacro Cuore in Roma, Stazione Termini), lo spartito e nel migliore dei casi un vinile (45/33 giri), il suo preliminare studio, e poi prove su prove.

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Nel IV incontro del 15 aprile 2012 nel preparare la messa con Don Frano Lever, ci eravamo premuniti di stampare le parole dei canti da fare: ho notato in me stesso e in tutti altri, che le ricordavamo perfettamente, senza leggerle, come se fosse trascorsa solo una settimana. Franco Lever è il decano della Facoltà di Scienze della Comunicazione (FSC) dell’Università Pontificia Salesiana. E’ Dottore in Scienze dell’educazione, Licenziato in Teologia e Professore straordinario di Teoria e tecniche della televisione.

Via via che lʼorario della funzione si avvicinava, si prendeva il posto assegnato. A cerchio intorno al microfono, con il proprio strumento o nel reparto a noi riservato. Mi ricordo che cʼera veramente tanta gente. Non so se oggi è ancora così. Ci abbiamo messo un pò di anni per soddisfare un desiderio di Don Lai: eseguire lʼAlleluia dal Messia di Haendel. Forse per le voci ancora immature, soprattutto quelle maschili, e un pò per raggiungere la riuscita migliore. Con tenacia e prove anche a ruoli separati per unʼottimale esecuzione (tenori e baritoni, soprani e contralti), una notte di Natale, del ʻ78 credo, alla fine della tradizionale messa di mezzanote, lʼabbiamo eseguita. Cʼe stata lʼesplos ione di un fragoroso applauso della folta assemblea. Forse questo strideva con la sacralità del pezzo momento e luogo, ma la soddisfazione è stata tanta. Eʼ vero, non eravamo in un teatro, ma in fondo lo scopo della musica era proprio quello: attirare le persone alle celebrazioni eucaristiche.

Ex Chiesetta dei Matrimoni, aprile 2012, con Don Franco eravamo tantissimi. La messa è stata veramente un incontro partecipato, senza confini tra officiante ed assemblea. Si sono riproposte le intenzioni di fede ed impegno, forse un pò sopite e messe da parte con la scusa della frenetica vita quotidiana di oggi.

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Le gite al mare

Lunedì, mercoledì e venerdì. O martedì e giovedì? Boh!. A cavallo tra la fine della scuola ed agosto, con la modica spesa di circa 350 lire, uno o due pulman partivano la mattina da Via Cocco Ortu per Torvaianica, meta una parte di spiaggia a noi riservata, con tanto di tettoia in vimini. Posso pensare che per più di qualcuno fossero delle vere e proprie vacanze al mare, altrimenti insperate. Spesso le giornate erano “condite” da immense cofane di pasta per lʼapprezzato rancio del Salesianum Peppiniensi Torvaianica Beach Food. Le onnipresenti porte da calcio ci attendevano per le famose partite che duravano ore. Lʼunico “campo” dove si faceva volentieri “il portiere” per i plateali tuffi sulla sabbia. Persino il bagno passava in secondo piano. Per quello cʼerano dei turni, rigorosamente tutti insieme a controllarsi a vicenda, con delle boe da non superare e qualche volta con don Abba e le sue piccole scolorite pinne rimediate chissà dove, a fare da controllore/bagnino (sempre lui!). Al pomeriggio per magia comparivano dei contenitori, antenati dei moderni frigo portatili, con gelati tanto squagliati quanto buonissimi offerti dalla ditta “Oratorio&Co”.

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Il cineteatro

Il Gruppo sta crescendo, di numero e di età, e la buona filosofia del buon comportamento è dare interesse al ragazzo per non farlo scivolare nella pericolosa china della noia, madre veramente di vizi e tentazioni. Tutto questo, insegnamento di Don Bosco, sembra tremendamente scontato, ma per molti giovani era e soprattutto oggi, non è cosi.

Abbiamo costruito un sistema che persuade a spendere il denaro che non abbiamo in cose che non necessitiamo per creare impressioni che non dureranno su persone che non ci interessano Emile H. Gauvreay

La naturale evoluzione quindi, della già intensa attività canora, è stata quella teatrale.

Entrare in un mondo così particolare e creativo è stato esaltante. Questʼavventura unitamente a quella dei campeggi hanno cementificato un Gruppo di adolescenti pemettendo loro di fare cose che tanti altri neanche hanno potuto immaginare. Con il trascorre degli anni si sono conquistati livelli quasi da professionismo e alcuni lo hanno raggiunto. Ognuno ha potuto cimentarsi nella regia, nella scenografia, ovviamente nel canto, nella recitazione. Una cosa che mi piace ricordare che durante lʼanno si passavano sei mesi a ricordare il campeggio passato e sei mesi a progettare quello futuro.

Sulla sinistra in una dinamicissima e spericolata scena Carla S. e Valeria R. (senza uso di controfigure). Poi mi dicono esserci Fabiola, Paolo, Angela e Sonia...

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Questo ha fatto si che le primordiali attività teatrali erano rappresentate dalle “Serate campeggio”, organizzate per i genitori e parenti, quasi come “spot” per lʼattivita svolta. La location era come detto il teatro del secondo piano, due stanze divenute grandi per lʼabbattimento del muro, con un abbozzo di palco. Cʼerano anche dei quasi camerini nel corridoio attiguo per i cambi di costume e improvvisate e ancora scalcinate scenografie. Il palinsesto prevedeva canzoni della Hit del momento ma soprattutto le “scenette”. Epica era quella di recitare dopo gli improperi di un irascibile regista, tre uguali situazioni, ripetute a velocità normale, a velocita rallentata e a velocità ...velocissima. Non è che sia stata lʼessenza dei migliori testi teatrali, ma ogni volta che è stata rappresentata ha sempre suscitato risate e consensi. Adesso le strade del teatro si confondono con quelle del campeggio. Abbiamo inventato, e se permettete me ne prendo buona parte della paternità, ed è proprio il caso di dirlo, con anni di anticipo, concetti di spettacolo che oggi sono la forza dei vari Zelig, Striscia la notizia e molti altri di quei segmenti di intrattenimento, cavalli di battaglia di comici sullʼonda del successo. Questo per esempio con le parodie di telegiornali o le reinterpretazioni dei “Caroselli”, prendendo in giro con ironia e garbo i compagni, enfatizzando i piccoli difetti nelle situazioni della vita di gruppo, che potevano essersi create. Un famoso Carosello e il suo tormentone ben riuscito era: Merendero El

Mamma, mamma, lo sai chi c'è, è arrivato il Merendero, è arrivato col sombrero, è arrivato, eccolo qua. El Merendero! L'è li, l'è là, l'è là che l'aspettava, l'è li, l'è là, l'è là che l'aspettava, l'è li, l'è là, l'è là che l'aspettava, l'è là che aspettava Miguel: Miguel son mi! Mamma, mamma, lo sai chi c'è, è arrivato il Merendero, è arrivato col sombrero, è arrivato, eccolo qua. El Merendero! Ma mi, ma mi, ma mi non diso niente - Ma mi, ma mi, ma mi non diso niente. Ma mi, ma mi, ma mi non diso niente - nè diso niente a Miguel: Miguel son sempre mi!

Per noi fu facile pensare ad un simpatico:

Mamma, mamma, lo sai chi c'è, è arrivato Sor Mainero, è arrivato col sombrero, è arrivato, eccolo qua. El Sor Mainerooooo! Marin son mi! ...

Tutto questo, a proposito delle strade che si incrociavano, veniva riproposto in quelle serate con ottimi

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risultati insperati. E a divertirsi (almeno si sperava) era proprio il soggetto della parodia. telegiornale Da un dellʼepoca

Edizione straordinaria - Dalla tenda della cucina, nottetempo, è stato trafugato un barattolo di marmellata altamente lassativa. Gli inquirenti pensano che non ci vorrà Gressoney 1976 - Don Giuseppe Abbà, Oreste molto a scoprire gli autori dellʼefferato furto. e Roberto provvedono alla realizzazione della fossa Basterà attendere vicino alla fossa biologica. Sotto: in un festival Silvio e Tommaso biologica e senza lʼausilio di torce o quantʼaltro, ne sentiremo le gesta. Lʼattesa non è durata tanto, il mal di pancia neanche, il torrente Evançon, Val dʼAyas, affluente della Dora Baltea non ringrazia molto. Il fatto poi che lʼevento sia stato vissuto in prima persona mi fa ancora un pò rosicare.

Ultim’ora News

In primavera torna Carosello!

A rafforzare quanto scritto precedentemente vengo a sapere poco prima di andare in stampa, che la Rai scommette sul futuro tornando all'antico. Anche i nostri figli, ma forse i nostri nipoti (Sigh!), potranno finalmente “andare a letto dopo Carosello”. La storica striscia pubblicitaria rinascerà infatti in versione aggiornata a fine marzo. 210 secondi di “spot ” d'autore in onda alle 21,00 ogni sera sul primo canale con musiche, stile e confezionamento simili alla versione originale che ha segnato la nostra infanzia in bianco e nero. L'operazione Amarcord è stata messa a punto in gran segreto dalla Sipra, la concessionaria di pubblicità della RAI. Il nostro libro quindi si prende anche il connotato di “Attuale” e come si potrà leggere nelle ultime pagine il ricordo, meglio se positivo, rafforzerà il vivere del presente. Ancora una volta precursori.

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La Sala Esse

Ormai lʼesigenza di avere un teatro degno delle nuove performance era matura e con il bene placido, soprattutto economico delle varie istituzioni: Ateneo, Oratorio, Parrochia, si stavano per porre le basi della Sala Esse. Realizzata nei locali sottostanti lʼoratorio che poi erano anche al livello del cortile, la Sala Esse vanta numerosi padri costituenti. Sicuramente, dato a muratori e operai che hanno realizzato la base, quello che deve essere dato, un ben preciso numero di noi partecipò attivamente a completare la struttura. Il tutto sotto la preparatissima supervisione di uno stimato professore dellʼUniversità: Don Pietro Picca. A lui, mostrando conoscenze tecniche non immaginate, la progettazione e la realizzazione di un palco. Ecco il vero valore aggiunto della Sala Esse. Era componib ile fatto a cubi di legno, a scalette che si incastravano fra loro. Vuoti nellʼinterno, leggeri ma resistenti, ricoperti di moquette scura, con la fantasia che si voleva, si potevano creare molteplici e sempre diverse composizioni a seconda dello spettacolo che si stava preparando. Dalla scaletta direttamente sulla platea, per gli spettacoli canori, per esempio, a combinazioni più complesse per alternare le altezze del calpestio per le scenografie più esigenti. Mattoncini per fantasiose ribalte di scenografi in erba.

Le sedie del Teatro Giulio Cesare

Per completare la sala ci recammo nel Cinema Teatro Giulio Cesare in fase di ristrutturazione, e grazie ad unʼamico di Sig. Mainero, potevamo recuperare gratuitamente le file di sedie e qualche altra cosa potesse servire la nostra causa. Il camion di Peppe, guidato credo da Mimmo, parcheggiato lì davanti e via a smontare le poltrone a fila in legno.

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Unʼimpresa! I chiodi con i quali tanti anni prima le stesse erano state fissate al pavimento di cemento, ormai erano un tuttʼuno con la superficie, e con improbabili attrezzature abbiamo dovuto superare ostacoli tremendi. Addirittura qualche fila andava inevitalbilmente distrutta. Prese le migliori (erano giustamente tantissime e a noi ne servivano meno), e ri-fissate un pò meglio, la nostra sala cominciav a a prendere forma. E il soffitto? Tantissime scatole per il trasporto delle uova (quelle di cartone compresso grigio per intenderci) ivi incollate servivano a ottimizzare lʼacustica. L'idea è stata di don Giuseppe Leo: comprarle in un pollificio vicino a Vigne Nuove, poi a verniciarle e a montarle insieme ad alcuni di noi. La platea aveva anche una discreta pendenza e il teatro si completava anche dal lato “tecnico”.

Forse la foto dell’epoca più famosa: l’esibizione di Nini, Tommaso ed Enzo di “Fatti più là” delle Sorelle Bandiera da “L’altra Domenica” di Renzo Arbore. Dietro Marco, Luigi e forse Silvio o Bruno. La sexy performance valse il primo posto al “Festinsieme” del 1978 (vedi foto pagina successiva).

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Si ultimava infatti la saletta di regia, anchʼessa insonorizzata, il mixer, arrivarono i primi microfoni direzionali, le quinte e i camerini che questa volta avevano lʼaccesso direttamente in scena. Lʼimpatto era veramente gradevole, funzionale, con la Hall, il botteghino, la platea, il palco, le quinte... tutto. Mancava solo lo spettacolo. Credo che la “prima” fu una performance musicale, la classica gara canora migliorata nelle prestazioni e nel palinsesto. Il mixer. Fabio e Luigi cominciano ad adoperare una strumentazione di tutto rispetto per la buona riuscita dei suoni (voci e musiche) sia a supporto delle rappresentazioni teatrali che di quelle musicali. Festinsieme 1978

In televisione lʼAltra Domenica di Renzo Arbore, Andy Luotto, Nino Frassica... su Rai 2, contendeva con successo lʼauditel pomeridiano nel fine settimana con la concorrente ammiraglia Rai 1. La sigla di chiusura della trasmissione vedeva tre improbabili personaggi, travestiti da signorine, cantare più o meno sguaiatamente “Fatti più in là”, ancheggiando in sgraziati, palesemente amplificati, movimenti da avanspettacolo in costume da simil carnevale carioca. Come avrebbero fatto oggi i vari Aldo, Giovanni e Giacomo, con una riuscitissima “parodia” della parodia” Nini, Enzo e Tommaso sono stati i protagonisti della serata suscitando risate a crepapelle.

Marco, Franco e Luigi sono arrivati secondi con un “Collage” di canzoni di Lucio Battisti, I “Fratelli Bandiera”... in borghese. Vittoriosi! finalmente non solo interpreti seppur di pezzi

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bellissimi, ma anche un pò arrangiatori, aggiungendo dellʼʼinventiva personale allʼesecuzione. Una dolcissima Carla T. ha interpretato in una versione acustica “Dedicato” di Loredana Berté.

Una foto di Marco C. ricorda lo spettacolo Lucio dove vai (dicembre 1979), con Lui ed il gruppo: Sivio T., Tonino S., Sandro M., Roberto P. e Franco G.. Si notano il cubo a scale e le file di poltrone in legno. E tanta gente.

Peppe, Sacerdote per sempre

Don Giuseppe Leo, originario di Villa Santo Stefano (FR), il 28 aprile 1979 proprio nel suo paese di origine, veniva ordinato Sacerdote da Mons. Michele Federici, Vescovo di Frosinone nella piazza principale, facendo assumere così all’evento l’attenzione e la sensibilità che l’agglomerato ciociaro meritava. Nei giorni precedenti aveva diluviato, a tal punto che si pensava di r imandare parte del programma. Ma si ebbe fede e, contra spem (contro ogni speranza), sotto una pioggia incessante, la mattina di quel sabato si montò il palco. Alle 11 le nubi si aprirono e fece capolino il sole. Il paese tornò a vivere. Si avvertiva un allegro movimento, un cicaleccio spassoso anche perchè cominciavano ad arrivare macchine e pullman di tanti amici e parenti di don Peppe. Nella piazza, al pomeriggio, il brusio festoso aumentò grazie alla presenza di almeno 150 ragazzi, appena giunti dall’Oratorio di Roma, dove Peppe era di casa, “capitanati” da Don Lai. Si dedicarono subito al montaggio dell’amplificazione, si sistemavano gli strumenti, iniziarono il riscaldamento delle voci, coinvolgendo tutti. I ragazzi a pieni polmoni intonarono: «E’ festa, è festa, è festa d’amore…» e la festa eb be inizio. La celebrazione si animò e, in un continuo crescendo, prese forza, strappando lacrime di gioia a tutti i presenti nel momento in cui il Vescovo, imponendo le mani sul capo di Peppe, lo consacrò con le parole: «Dona, Padre onnipotente, a questo tuo figlio, la dignità del presbiterato». Da quel momento Peppe è diventato Sacerdote per sempre, per sé e per gli altri. Il giorno dopo alle ore 10, la Chiesa di Santa Maria Assunta divenne troppo piccola per la folla che voleva rendere tributo al novello Sacerdote. Era la prima Santa Messa di Don Peppe.

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Una “Storia di Periferia”

Lʼesordio teatrale nella Sala Esse è stato “Storie di periferia”, di Tony Cucchiara, commedia musicale di protesta urbana dei primi anni ʻ70. Impegno non indifferente per testi, musiche, scenografia... Storie vecchie storie di periferia che non cambieranno mai nascono sui marciapiedi della via per finire poi chissà. Se c'è la vita, la vita che c'è tu devi chiederti come e perché.

TUTTI

Qui tra tanta gente di periferia c'è chi viene c'è chi va l'angolo di strada, questa è casa mia qui mi troverai se vuoi. Piena di baracche è la periferia cani e gatti in libertà gente che sta ai margini della città che non vede che non sa. Se c'è la vita, la vita che c'è tu devi chiederti come e perché. Storie vecchie storie di periferia che non cambieranno mai nascono sui marciapiedi della via per finire poi chissà. Pullula di sogni la periferia vecchi stracci in libertà volano seguendo la tua fantasia e sei Re della città. Se c'è la vita, la vita che c'è tu devi chiederti come e perché.

CORO

Se c'è la vita la vita che c'è tu devi chiederti come e perché. Piena di illusioni è la periferia quanto è dura la realtà vuoi cambiare il mondo, ma la tua è pazzia parti e prima o poi stai qua. Come si può odiare la periferia quando non si sa cos'è. Come si può amare la periferia quando è proprio dentro di te.

"Storie di Periferia", è stata una composizione di pagine di vita che si consumano in vane attese, oppure si concludono in un episodio cruento. Un cantastorie che racconta la favola di una fanciulla molto bella che indugia nella scelta, forse perchè sogna evasioni impossibili, e finisce per invecchiare senza conoscere l'amore.

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E poi c'è la storia di Marta che vendica il suo uomo rimasto ucciso in un regolamento di conti. Non sempre la conclusione è amara: l'autore-interprete in "Dopo la galera", racconta di un ex carcerato che, respinto dalla società, trova consolazione e forza di redimersi proprio nell'amore. L'imigrazione con i suoi dolorosi distacchi dalla terra amata e dai propri cari, offre lo spunto per uno dei quadri più riusciti dello spettacolo, anche se tra i meno facili. I nomi dei paesi nei quali gli emigranti vanno a cercare lavoro, risuonano come una condanna di esilio, suscitano malinconie di giorni duri vissuti nella speranza del ritorno. La periferia è spesso scuola di perdizione: l'alcool, la prostituzione, la violenza sono le costanti componenti di un mondo sfiorato dal benessere della metropoli e i personaggi vivono inseguendo sogni che mai si realizzeranno.

A tutto questo nellʼaprire il cassetto della memoria, possiamo probabilmente dire di essere stati risparmiati. Come detto nelle prime pagine, in antitesi a questa pessimistica visione dellʼautore della commedia musicale, quellʼOratorio di Via Cocco Ortu, possiamo averlo amato, desiderato, sfruttato, boicottato, odiato, ma sicuramente ha rappresentato per noi unʼArca di sopravvivenza, che ha galleggiato non senza fatica nel mare della società della fine del secolo scorso, con a bordo centinaia di ragazzi, che sapevano per certo sarebbe arrivata una colomba con il segno della pace. Quei ragazzi sono saliti e scesi, si sono persi e ritrovati, hanno creato una famiglia o ne hanno cercata una altrove e sempre hanno ricordato, spero felicemente, quellʼinfanzia.

In queste due pagine: Franco ed Erminia, Patrizia. Poi al posto di combattimento nella tipica posa Don Lai e infine Leonardo, detto poi “Don”.

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Finalmente i Campeggi!

Nel 1973, un pò in sordina, un pò per scommessa Don Lai ha organizzato un campeggio al confine tra Piemonte e Valle dʼAosta in località Laux.

Era il prologo a quelli epici del 1974, 1975, 1976, 1977, e 1978 che hanno segnato la storia del Gruppo e hanno scolpito la coscenza di coloro che vi hanno partecipato. Altre esperienze estive e con altri attori, nel frattempo cresciuti, verranno, ma noi fermiamo il tempo in quel quinquennio. Per età, attrezzature ed esperienza ne siamo stati con orgoglio, i precursori. In questo momento del racconto il rischio è quello di risultare stucchevole, ma sono convinto che nellʼesaltare quelle situazioni vissute, avrò la stessa opinione per le sensazioni, anche da chi ha condiviso con me quei giorni di estate di tanti anni fa.

Champoluc

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Champoluc 1974

La partenza ed il viaggio

Il pulmann è parcheggiato proprio di fronte al 161 di Via Cocco Ortu. Quanti siamo? 30, 40? Il tempo tra la fine della scuola e la seconda settimana di luglio è stato praticamente infinito. Cominciamo a prendere posto considerando che tutta la zona posteriore è carica di zaini. Prendiamo posto ma nessuno quasi mai lʼha mantenuto. È quasi sera e lʼultima luce del giorno illumina il volto veramente preso dallʼemozione. È ancora il tempo dei genitori lacrimosi che salutano dal marciapiede. Dopo, quando è toccato a me, da padre, essere al fuori dei finestrini ho provato un “groppone” in gola che sembrava un macigno. Era la prima partenza per tre settimane di comunità, avventura, sport, crescita, amicizia. Destinazione Valle dʼAosta, Val dʼAyas, Champoluc, dopo una sosta a Nichelino (Torino), dove a casa degli Abbà, avremmo preso con noi Angelo (judapluc), Mia e dove la mamma di Giuseppe ci avrebe rifocillato come fossimo figli suoi. E a proposito lui, il colosso Don Abbà era gia partito con il solito camion della Sala Esse, con il materiale più importante: le tende, gli attrezzi e le vettovaglie di scorta. Con lui buona parte della Sbardellaʼs family per lʼaiuto logistico. Ci avrebbero fatto trovare quasi tutto pronto. Cosa si poteva fare con lʼautostrada non ancora imboccata? Cantare a squarcia gola che già volevamo fare pipì, ed eravamo ancora alla Borgata Fidene.

Vogliamo far pipì, ...Vogliamo far pipì, ...se non ci fermeremo noi la faremo QUI!

Le luci abbassate, per non infastidire il conducente (peraltro discretamente sorvegliato per tutto il percorso da Don Lai), avvolgevano di dolce mistero il viaggio e gli impeti di eccitata confusione iniziale venivano via via affievoliti dallʼincalzare della notte e dal proseguire dei chilometri, il sonno non fa sconti a nessuno. LʼAutogril di Bologna Cantagallo ci ha sorpreso intorpiditi. Qualcuno aveva già tentato di trasformare i bagagli in comodo giaciglio. Il sonno avrebbe reso più breve il tempo dellʼarrivo, ma questa volta la pipì era vera e incontenibile.

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I chilometri sono stati mangiati dai sogni e lʼalba del paesino degli Abbà questa volta ci ha accolto pronti e frizzanti per la prima tappa. Dal capoluogo piemontese le imponenti Alpi sono già lì a portata di mano e lʼavventura ancora solo immaginata sta per iniziare davvero. Come si fa a continuare a descrivere quei 21 giorni e non ricordare che dentro lo zaino, a 16 anni, avevo portato come importante am ico del cuore il “Manuale delle Giovani Marmotte”? Oggi un bambino di prima elementare mi sputerebbe in faccia. Dovevo confessarlo! Ne ero fiero e orgoglioso e nel mio intimo sapevo di possedere la soluzione ad ogni pericolo. In totale segreto. Vuoi non sapere lʼora riconoscendo lo schiudersi o meno di taluni fiori nel passar della giornata, o sapere a che velocità scende a valle un ruscello con il metodo del legnetto galleggiante? O meglio ancora il dover parlare con un pellerossa senza conoscerne il linguaggio dei gesti? Lʼalfabeto morse per comunicare eventualmente da tenda a tenda. Chissà, quante “App” hanno creato da quelle pagine.

Il campo, Ia tenda azzurra a fiori...

Le tende, a semicerchio, lambivano una piccola foresta che delimitava la radura dal fiume. Di fronte ad esse una era azzurra e a fiori, un pò più grande, adibita a cucina e ricovero vettovaglie. A fianco la tenda dei Führer. Lo spiazzo era un ampio terreno tra il fiume e la strada che portava, superato Campoluch, agli ultimi casolari della valle. Non poteva mancare il campo da calcio con montata, una rudimentale ma dignitosa porta. Appunto una, quindi interminabili “Attacco contro difesa”, “Scudetti”, “Rigori”, e cosi via per un calcio unilaterale e al 50% così imperfetto ma così soddisfacente.

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L’Italia di Valcareggi, era stata appena eliminata in malomodo dai mondiali in Germania (arrivavamo come vicecampioni del mondo e secondi solo al Brasile di Pelè). Ma noi avevamo un onore da difendere e perché non dare un senso alla forma e l’ufficialità?

L’immagine è antica e poco legibile ma da sinistra nella perfetta formazione si potrebbero riconoscere allineati per le foto di rito e l’Inno Nazionale:

Marco, Massimo, Franco, Tommaso, Silvio, Alberto, Franco M., Mimmo, Enzo, Tonino, Angelo e Giovanni.

Al centro una buca con dei resti di legna bruciata, segno di precedenti grigliate di altri campeggiatori. Il falò non era ancora un vera e propria attività avviata ma lo stava per diventare. Se avesse piovuto seriamente non so se saremmo stati attrezzati per stare tutti sotto al coperto (lʼanno successivo infatti il Sigor Mainero ci avrebbe dotato di due tende da campo militari che si potevano collegare in sequenza e la cosa sarebbe diventata più funzionale). Comunque a detta dei “Villici” quella del ʻ74 fu lʼestate più serena degli ultimi ventʼanni. I posti tenda erano più o meno assegnati, la vera lotta è stata il conquistare la posizione “al centro” per evitare di subire gli scherzi programmati e promessi da mesi. E non avevamo ancora fatto il militare. Tutti cerchio, coinvolti , per il momento della Santa Messa. Marco controlla l’esatta inquadratura

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Infatti nottetempo ed elusa (o cosi ci illudevamo) la guardia dei preti, si scatenavano le scorribande per andare a “toccare” il telone immedesimandosi in improbabili fantasmi o briganti di altri tempi. La mattina a colazione la scena si divideva tra chi “bugiardamente” non ne sapeva nulla delle incursioni effettuate, e chi palesava una tranquillità alla luce del sole, non proprio uguale a quella riscontrata la notte prima. Codardi e arditi, paurosi e temerari, si fronteggiavano con sguardi intrisi di paurose Tommy versione Lucio Battisti. promesse o paventate vendette. Già si pensava alla strategia della notte successiva. PRANZO A RISCHIO 1

Gli spaghetti/colla di Tommaso

Ah, ci fosse stata Antonella Clerici a far da insegnante al buon Tommy. Il ricciolino, futuro Francesco di Forza Venite Gente, mette sù il pentolone per lʼagognata pastasciutta di mezzodì e - contemporaneamente - getta la pasta (5, 6 chili?) e se ne va. Ecco scoperta e divulgata la formula segreta della Colla Cervione. Vagli a spiegare che lʼacqua deve prima bollire, la pasta va poi adagiata nel pentolone e con sapienza va mescolata, salata, coccolandola fino a cottura.

CHAMPOLUC

È il centro più importante della Val d'Ayas ed è situato nella parte terminale della valle stessa ad un'altezza di 1568 m s.l.m.. Vicino a Champoluc si incontrano ancora i villaggi di Frachey e Saint-Jacques d'Ayas. Ad un'altezza di 1975 m s.l.m., sopra Champoluc, si trova l'ampio pianoro denominato Crest, che prende nome dal villaggio di Crest, uno dei punti più importanti dell'area sciistica (esso è velocemente raggiungibile tramite un'apposita telecabina, e da esso parte un'altra funivia che porta all'Alpe Ostafa). La zona è ammantata da lussureggianti foreste di pini e larici, attrezzate d'estate per effettuare passeggiate, mentre d'inverno fanno contorno alle piste da sci.

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Al dente si, ma a tutto cʼè un limite. Forse è per questo che la buona Damasa (sua mamma!) ci è corsa in aiuto nel proseguo degli anni. PRANZO A RISCHIO 2

Lʼinciampo: non ci resta che brucare

Come ogni rosa ha le sue spine, ogni tenda ha i suoi tiranti. Per condire la pastasciutta per tutti (tenuto a debita distanza Tommaso), bisognava usare una capiente bacinella tipo quelle usate per la biancheria e utilizzar e due persone per il trasporto e due per lʼimpiattamento. Tutti eravamo seduti tranne quelli preposti al servizio. Come ogni giorno stavamo ad osservare con Il rancio è ottimo e abbondante. indomabile fame le vicende dello scolamento Quando arriva. della pasta, dellʼabbondante condimento e della Chi studia, pensa e prepara e chi sonnecchia e tira tardi. Il fermo immagine testimonia che Fedora è sempre stata molto nullafacente.

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La vita del perfetto campeggiatore è intrisa di rischi, Antonella sembra in difficoltà (in realtà è Gressoney, ma con l’inciampo ci stava bene).

forzuta rimescolanza del prezioso contenuto. Pochi metri e il rancio sarebbe stato servito sulla tavola della gioventù affamata. E qui tornano le funi prima tirate (la parola calza perfettamente), in ballo. Il percorso dalla tenda cucina ai tavolini era pieno di insidie. Riccardo, forse Fedora, forse Stefania, con felina saggezza ne agganciarono una, facendo una capriola sul morbido manto erboso e il fumante e saporito contenuto si riversò in terra. Un agghiacciante e unisono urlo sottolineò lʼaccaduto. Si videro campeggiatori trasformarsi in pecore per brucare lʼagognato pasto. Succulento primo e fresco contorno contemporaneamente.

...Seconda tenda a destra questo è il cammino e poi dritto, fino al mattino poi il campo lo trovi da te, ...porta alla valle che non c'è. Forse questo lo ricordi strano ma la nostalgia ti ha un pò preso la mano ed ora sei quasi convinto che non c’era la tenda che invece c’è. (ancora nel tuo cuore)

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Furto o ...“Ritrovamento”

Storia dl un panetto di burro da 1 kg.

Componente essenziale, lo diremo molte volte, della vita del campeggio, sono state le gite nei vari itinerari che la Valle offre. In modo graduale per seguire una sorta di allenamento alla fatica e allʼaltitudine, dapprima solo il pomeriggio, poi tutto il giorno, si procedeva verso varie mete, con difficolta crescente, sempre nel rispetto delle capacità di ognuno e delle regole che la montagna esige. La preparazione allo sforzo era così graduatamente raggiunta per magari poter affrontare la gita finale di due giorni con obiettivo i favolosi e ambiti 4.000.

Dalla posizione privileggiata del Mezzalama si può osservare il ghiacciaio che diventa una lingua grigia di acqua e sassi ormai pronto a sfaldarsi inesorabilmente dopo il lento viaggio verso valle durato chissà quanto tempo. E poi il prezioso famoso lingotto dorato. Non è vero, non l’abbiamo consumato, ma è rimasto perfettamente conservato nel caveau della Sala Esse, pronto ad essere riesumato un prossimo dì.

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Nella storia abbiamo raggiunto, ma chi non se lo ricorda, e qualcuno anche più volte, i 4.061 del Gran Paradiso, i 4.554 del Monte Rosa-Capanna Margherita - Punta Gnifetti. La passeggiata tipo, che poi era unʼammazzata feroce ma non bisognava farlo vedere, prevedeva il raggiungimento di una quota base, obiettivo dʼobbligo comune a tutti, poi il proseguimento volontario, da parte di alcuni, per una meta più impegnativa. Questa volta ci asapetta il Rifugio Mezzalama in una delle prime uscite di quellʼestate del ʻ74. Dopo un percorso facile e ombreggiato, finalmente (ironicamente), si arriva per lʼarrampicata conclusiva, su un crostone che sovrasta la lingua finale del ghiacciaio, che prende la forma di una caverna e dove allʼinterno, lʼacqua, la terra e i sassi ormai sciolti, scendono verso valle per dare vita e potenza al torrente Evançon, subaffluente della Dora Baltea, a sua volta affluente del Po. Lo spettacolo di blocchi ghiaccio che con lʼaumentare dellʼesposizione solare giornaliera cascano in una roboante frana non è cosa che si dimentica. Il forte rumore se il vento soffia contrario potrebbe anche non essere percepito, ma gli occhi

RIFUGIO MEZZALAMA

Di proprietà del CAI Torino, è uno dei rifugi storici della Val d'Ayas, ed è probabilmente anche uno dei più frequentati della zona. La costruzione dell'edificio risale al 1934. Il rifugio è stato voluto come punto d'appoggio per la lunga traversata verso il Monte Rosa Hutte, ed è dedcicato a Ottorino Mezzalama, noto scialpinista degli anni '20. Vista la quota e la posizione è senza dub bio uno dei più panoramici, essendo piazzato in cima alla morena del Grande Ghiacciaio di Verra, alla base delle Rocce di Lambronecca; va detto però che quasi tutti i ghiacciai italiani sono in fase decrescente, e questo non fa eccezione. Va da sè che anni or sono il rifugio Mezzalama fosse davvero circondato dai ghiacciai, mentre ora di questi rimane solo una piccola parte. In ogni caso la vista mozzafiato sul Castore, sul Polluce, sul ghiacciaio del Felik, sul Grande e sul Piccolo Ghiacciaio di Verra, sulle Morene, sul Pian di Verra Inferiore e su tutta la Val d'Ayas merita la camminata che non è poi impossibile. La quota del rifugio riportata sulle carte è di 3.036 metri.

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La crema di crema servita a colazione

Al Mezzalama

Quella tenda azzurrina nel ‘74 è stata la cucina, salvo poi diventare “dormitorio” nel ‘75. Non ricordo quante ragazze vi trovavano posto. Patrizia comunque sgranocchia durante una pausa.

osservano la natura compiere uno uno spettacolo incredibile. Lentamente ogni giorno altro ghiaccio arriverà e ogni giorno, sciogliendosi, tornerà sotto forma liquida, verso la libertà in un ciclo che dura da millenni.

Il Mezzalama come detto è ormai a quota delle nevi perenni che resistono anche nel periodo estivo e la battaglia con le palle di neve è scontata. Prendi un pò di neve qua, prendi un pò di neve là, lʼattenzione và verso una pala conficcata come la spada nella roccia (di ghiaccio), non lontano dal retro del rifugio.

Vai con una bomba gigantesca, in fondo la neve non è poi così farinosa come appena cascata e lʼaiuto dellʼinsperato mezzo meccanico per scavare, aguzza il bellico sentimento. Ma, sorpresa... un panetto di burro splendeva, vistosi scoperto, come una preziosa gialla pepita con (lʼavessimo capito prima), tanto di marchio in rilievo a rappresentare caseificio, peso e provenienza.

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Domani mattina lʼinizio della giornata sarà particolarmente succulento. Il buon pane della Valle e lʼottima marmellata stavano per sposarsi con lʼoro delle montagne valligiane quando, come in un film poliziesco, una jeep della Guardia Forestale sgommando sullʼerba del campo, e peggio ancora sul campo di calcio, irrompe sulla nostra colazione, imprecando la presenza di pericolosi banditi dediti al furto di metalli vegetali preziosi.

Quello che pensavamo essere un fortuito ritrovamento era stata una vera e propria rapina. Il frigorifero del rifugio era quello che madre natura metteva copiosamente e gratuitamente a disposizione: la neve. Noi ne avevamo trafugato il contenuto senza pensarci due volte. Con il senno del poi posso pensare che la spettacolare entrata della forza costituita, sia stata unʼesagerata azione dimostrativa, e visto che buona parte del corpo del reato era ormai “sparito”, cʼè voluta tutta la buona diplomazia dei “Capi” per tacitare benevolmente lʼaccaduto. Non so chi abbia dato “quel” soprannome Non ricordo se ci sia stata una a Massimo. Ma certo il fermo immagine non giunge in sua difesa. conciliazione pecuniaria.

Testa grigia: ma allora Franco c’era! Non ci capisco più niente. C’è stato o no sul T.G.? Marco, Nini, Marco, Marco, Luigi, Giuseppe, Mariangela, Leonardo e .... Di spalle Enzo, Oreste e Massimo

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Valsavaranche 1975: Pont Breuil

La seconda avventura

Questʼanno lʼesperienza estiva del Gruppo prevede il soggiorno in Valsavaranche. Invece di affittare da qualche contadino il campo, ci rivogiamo ad un campeggio turistico attrezzato: Campeggio Pont Breuil, Località Pont. Abbiamo aggiunta, in dote, una capiente tenda da campo fornita da Sig. Mainero e così la cucina può assumere spazi confortevoli, i servizi per la toilette e la pulizia delle vettovaglie sono invece della struttura e quindi poterne usufruire è cosa comoda e gradita. Ho lasciato a casa il Manuale del Giovani marmotte, siamo cresciuti, (io per la fidanzatina

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dovrò aspettare il primo Gressoney), posso usare la roncola per procacciare la legna per il falò e per le grigliate. E cʼè anche un regalo, questa volta legale e ufficiale, timorosi e memori dellʼincontro con la Forestale dellʼanno prima. Il titolare del campeggio ci indica che poco più in alto uno smottamento di neve, durante lʼinverno, ha travolto e fatto cascare un abete probabilmente malato. Potevamo usufruirne anzi, avremmo fatto un buon lavoro di pulizia del declivio valligiano e ottenere come una manna a portata di mano, una riserva di legname da spolpare poco a poco. Sembravamo termiti intorno ad una succulenta vegetale preda. Il taglialegna Abbiamo avuto combustibile per tutto il periodo di permanenza. Questʼanno abbiamo parecchi ospiti, dai vari parenti di Don Abbà che si moltiplicano come conigli, anzi stambecchi, al Sig. Mainero con il dolce Giulio, che ha avuto la sensibilità di indicare la strada e protestare perchè non ci vedeva tornare, quando la famosa gita “Partenza in salita e ritorno peggio” ha prolungato oltremodo il tempo normale dellʼescursione.

Valsavarenche, Valsavara durante il fascismo dal 1939 al 1946, Valsavaranche dal 1946 al 1976, è un comune italiano di 180 abitanti della Valle d'Aosta situato nell'omonima valle. Fa parte della Comunità Montana Grand Paradis. La Valsavarenche è attraversata dall'Alta via n. 2 della Val d'Aosta, pertanto sul territorio comunale il turismo è soprattut to di tipo escursionistico. Sono presenti anche numerosi sentieri al di fuori dell'alta via. In questo senso è importante sottolineare che l'intera Valsavarenche fa parte del parco nazionale del Gran Paradiso, di grande interesse faunistico, naturalistico e orografico. Sul territorio comunale sono presenti i seguenti rifugi e bivacchi: Rifugio Vittorio Emanuele II, 2.732 m Rifugio Savoia, 2.534 m - Bivacco Sberna, 3.414 m. Il Gran Paradiso è lʼunico quattromila, 4.061, “tutto italiano”. È una lunga valle che si estende in Il campeggio Pont, direzione nord-sud sovrastata da così come numerose cime che superano i 3000 metri si presenta oggi di quota e dalle due più alte montagne fra quelle interamente comprese nel territorio italiano: Il paese è costellato dai suoi 16 principali villaggi che si susseguono uno dopo l'altro, ora a destra ora a sinistra del torrente Savara. Quest'ultimo è il principale corso d'acqua della valle e nasce dal ghiacciaio del Grand Etret, il più basso dei t redici ghiacciai di Valsavarenche.

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La scena la voglio dedicare tutta a Giulio ...!

Posso ricordare fra gli altri tre episodi cardine di quellʼestate: la gita, appunto, partenza in salita e ritorno in salita, la conquista del Gran Paradiso con lʼabbandono (temporaneo) di Tiziana e la partenza anticipata di Carla, complice una brutta influenza. Si parte salendo e si torna salendo

La valle, soprattutto salendo lato destro, è abbastanza stretta (il Savara infatti crea degli orridi molto sugestivi), e già poco dopo la partenza ci si trova a salire ripidamente. Dal punto di vista della fauna il “Parco Nazionale” offre emozioni che non si riscontrano in altre valli della regione. Spavalde e protette da miriadi di piccoli ruscelli si posso vedere, con la testolina fuori dalla tana, moltissime marmotte, che poi tanto piccole non sono. Ogni pertugio è una presa dʼaria, è un posto di osservazione, è una possibile via di fuga. Non sembrano evere paura del nostro salire, silenzioso nel procedere, ma pesante nel calpestio, e possiamo ammirarle a poche decine di metri, forse avevano già percepito le nostre vibrazioni, al sicuro nei loro lunghissimi cunicoli, e sono uscite fuori spinte da unʼinnata curiosità. Ma anche perchè sono le prime sentinelle di una catena di allerta fatta di fischi e stridii che partendo da loro, arriva ad avvisare camosci e stambecchi, finendo alle maestose aquile che dallʼalto tutto vedono e tutto controllano, gestendo ogni pericolo che scuota lʼequilibrio della montagna di cui ne sono le indiscusse regine.

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Per la ricostruzione dei fatti dobbiamo chiedere aiuto al Carbonio 14, e quindi andiamo con ordine e approssimazione: da destra Riccardo, Tonino, Marco, Enzo e ... Massimo in una di quelle temerarie azioni che lo hanno reso famoso: cambiare il rullino alla macchinetta fotografica in 37 minuti 43 secondi e due palle di neve schivate. Record omologato dal Comitato Olimpico.

La meta è un casolare a mezza costa (si parla sempre di un altitudine superiore ai 2.000 metri), dove potremo rifocillarci. Le avvisaglie di una giornata particolare si palesano con un violento acquazzone, forse lʼunico che ricordo ci abbia colpito durante una gita (fermo restando la rinuncia al Castore del 1976, appunto per brutto tempo, vetta irragiungibile per di Don Lai, bloccati al Quntino Sella..., o il rinvio di un giorno per la salita al G.P.). Come tutti i buoni temporali estivi, dopo averci inzuppato per benino, ci saluta, cedendo il posto ad un

Il rancio sempre veramente ottimo era tale anche nelle gite. Vuoi non portare nello zaino supplì e cotolette panate al posto delle scatolette simmenthal o tonno? Patrizia e Fedora hanno contribuito alla dieta del perfetto alpinista in modo speciale e molto apprezzato.

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pallido sole. Il rifugio ci permetterà di lasciare asciugare qualcosa. Dopo la solita battaglia di neve (questa volta documentata nella foto della pagina precedente), la proposta non è quella di ritornare per la strada percorsa, ma quella di proseguire per un sentiero in salita che ci avrebbe portato poi ad una biforcazione e quindi scendere a valle per un altro itinerario. Partire in salita e tornare in salita ha preso tutti in contropiede anche se la faccenda, con lʼironia del caso, ci

Da sinistra: un pallone, Franco, Silvio, Teresa, Riccardo, Mia.

La Santa Messa della domenica celebrata per lo più da Don Abbà. Tra gli altri si vedono Enzo, Mariangela. Cʼè anche Leonardo che ha preso i voti diventando sacerdote di Don Bosco e che il 28 agosto 2012 è stato chiamato ad assumere importanti incarichi da svolgere allʼinterno della Congregazione dei Salesiani. Ho avuto lʼonore di averlo officiante al battesimo dei miei due pargoli.

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Da sinistra: Maria e Cinzia, almeno credo

sembrava semplice e confidando nellʼaguzza vista del Fhürer Abbà, fiduciosi abbiamo iniziato il particolare ritorno. Lo sapevamo, prima o poi la discesa sarebbe arrivata. Ma come? Proprio allʼavvicinarsi del fondo valle, a traguardo quasi raggiunto, il cosiddetto sentiero cominciava a sparire, lasciatosi sopraffare da sterpaglie e rovi. Era un sentiero abbandonato! E peggio, si incrociava con un ruscello ormai diventato così impetuoso, da rappresentare una seria barriera. Vai e cerca un po più su, vai e non trovi un pò più giù, prendi in spalla questa, fai la sedia del diavolo a quella, siamo arrivati al campo che era ormai buio e dopo qualche piccola difficolta.

La perfetta condizione della tenda, la sua pulizia e il suo ordine e soprattutto la bellezza delle occupanti. Possiamo immaginare che questi siano stati i fattori che ne hanno determinato il voto (?!?). Anna T., cugina di Marco M., Maria e....?

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La signora in giallo è Antonella, seguita da Carla, Fedora, Luigi... Nellʼistantanea della ripartenza in salita, risalta lʼultimo abbigliamento tecnico di Dechatlon.

Gran paradiso 4.061 slm

Mettila come vuoi, il maltempo, in tanti anni di campeggio, non è mai stato particolarmente avverso, anzi. In fondo siamo sempre a luglio, periodo climatico solitamente benevolo, ma lʼescursione che ci avrebbe portato alla conquista dei famosi 4.061 m del Gran Paradiso e pregna di piccoli aneddoti, parte con il piede sbagliato. Come ogni “Gita finale” il programma prevede il raggiungimento di un rifugio alpino che funge da campo base e poi dopo il pernottamento in quota, lʼarrampicata conclusiva.

Il moderno Vittorio Emanuele

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Massimo, Oreste, Enzo, Silvio, Marco, Riccardo, Franco, Angelo, Antonio, Tonino... e Lei! Anzi colei che con testarda cocciutaggine ha voluto partecipare alla spedizione non portandola a compimento. Tiziana, almeno ci hai provato.

Il Rifugio, il Vittorio Emanuele, a differenza di quelli che si trovano a ridosso delle vette del Monte Rosa è raggiungibile facilmente dal fondo valle di Pont. Con 2/3 ore ci si arriva quasi senza fatica, ed è stato anche meta per tutti quelli del Gruppo, già precedentemente. Almeno nella sua prima parte la “due giorni” si presenta abbordabile, tanto che si decide di partire nel pomeriggio per non portare inutili e pesanti vettovaglie nello zaino. Una foto ricordo (non ce ne sono molte di analoghe) immortala

Rifugio Vittorio Emanuele

Costruito nel 1884, il vecchio rifugio (nella foto a lato, dove abbiamo dormito), è stato affiancato dalla nuova costruzione inaugurata nel 1961 (immagine pagina precedente). Entrambi sono dedicati al primo Re d'Italia Vittorio Emanuele II di Savoia, grande frequentatore della zona in quanto riserva reale di caccia. Il rifugio è gestito dalla sezione di Torino del Club Alpino Italiano. È meta di moltissimi escursionisti ed alpinisti, per questo motivo nel periodo di apertura è sempre piuttosto affollato. Ha una capienza di circa 152 posti letto, che si riducono a 21 nel periodo invernale. Il sentiero più battuto è quello che dalla frazione di Valsavarenche Pont (1.899 m) raggiunge il rifugio in circa 2 ore di cammino con difficoltà "E" (Escursionisti). Dapprima si costeggia il torrente che scende lungo la valle, poi si sale con ampi tornanti lungo il fianco della montagna. In avvicinamento al rifugio, l'ambie nte è spettacolare e numerosi sono gli stambecchi che vi pascolano attorno.

Ascensioni - Gran Paradiso 4.061 m - Becca di Moncorvè 3.875 m - Ciarforon 3.640 m Becca di Monciair 3.544 m - Tresenta 3.609 m

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la falsa partenza. Infatti un forte Si scende dallʼEmanuele nellʼescursione per tutti: acquazzone ci sorprende solo dopo Cinzia fa cucù, Riccardo saluta o voleva dare una botta in testa a Fedora, pochi metri dal campo e ci costringe ad poi Teresa, Patrizia, Tiziana, Rossella, Marco. una non dignitosa ritirata. Tutto è rimandato al giorno dopo e questa volta si comincia a salire senza intoppi. Il gestore ci fa pernottare nel rifugio antico, tutto pietra e sassi, e con tutti i caratteristici accessori rituali: le brande in legno, le famose coperte con scritto testa/piedi (non mi venite a domandare perchè), il bagno alla turca. Tutto molto bello se non fossimo stati compagni di nottata di un gruppo di tedeschi. Ubriachi? Eʼ dire poco.

Franco R.

Massimo Franco M. Riccardo Enzo Silvio Angelo

Antonio Abbà Tonino

Fermiamoci a guardare il panorama: era solo una battuta ma quanto Marco lʼho pagata e comunque il panorama lo meritava.

IL GRUPPO JUNIOR GEN 55 Gruppo 2 Revisione:. 4-04-2013 15:28 Pagina 56

Il tragitto finale che porta in vetta dove è stata posizionata la statua della Madonna a testimoniare la devozione e la fede degli uomini della montagna. Il percorso domina i quasi 1.500 metri di precipizio sul Ghiacciaio della Tribolazione. Il ritorno con gli orridi, questa volta in “vista” sembra più impetuoso di quanto già non lo sia.

Il comportamento dei teutonici compagni, sicuramente improvvisati alpinisti, non confaceva alle esigenze della situazione. E non solo per gli schiamazzi e i canti sguaiati, ma anche e soprattutto per un espettorante corollario poco edificante. Bisognava andare a letto presto, saggezza vuole che è auspicabile partire di buon ora se non addirittura in piena notte con il vantaggio di essere tra i primi a percorrere il tragitto, e non

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trovare, specialmente al ritorno neve particolarmente sciolta (crepacci...), e godere dello spettacolo dellʼalba in quota praticamente fantastico. Per tacitarli cʼè voluta quasi la forza. Il pittoresco siparietto non ha sconvolto più di tanto i nostri piani ed eccoci, nottetempo, in fila indiana verso la vetta. La luna piena e un buon tempo, sereno e pulito, ci regalano unʼatmosfera da brivido. Quellʼinsperata fonte di luce bagnava la neve e ne amplificava il suo effetto spettrale. Le rocce sembravano diamanti cascati dal firmamento e il sentiero appena accennato dai simboli verniciati su di esse si districava in uno scenario fantascentifico. Il silenzio faceva la sua parte per lasciare spazio al rumore dei granelli di ghiaccio che venivano spostati dagli scarponi. Il Ciarforom, un grande panettone di neve che ci lasciamo alla nostra destra ci avvisa che stiamo quasi per raggiungere quota 4.000. Il Gran Paradiso li supera di poco, ed è vetta tutta situata in territorio italiano, e la parte finale è di tutto rispetto per difficoltà e impegno. Nella mia vita ho spesso ripetuto che sono state esperienze riservate a pochi, vissute, per fortuna e coincidenze favorevoli, e che non tutti, tra chi ne ascolta la tediosa rievocazione, ne percepiscono lʼeccezionalità.

Eʼ stato, quello della foto di gruppo in vetta riportata in basso, di cui non ne sapevo neanche lʼesistenza, il regalo più bello che la rete (tanto criticata) mi ha dato per mano di Silvio, che lʼha postata, proprietario forse della macchinetta, ma non lʼautore dello scatto visto che lui è addirittura al centro dellʼistantanea.

Vetta del Gran Paradiso. Unʼistantanea di 39 anni fa.

Massimo sorride sornione, ha dormito per tutto il viaggio, Alberto, Enzo, nati per camminare, si intravede mezzo Riccardo, un piccolo stravolto Tonino, Silvio già in preda alle vertigini del ritorno e Marco che modestamente con distacco, sa il fatto suo. Di Antonio si riconosce solo il suo eschimo.

IL GRUPPO JUNIOR GEN 57 Gruppo 2 Revisione:. 4-04-2013 15:28 Pagina 58

...il sogno incompiuto.

...la riconciliazione.

Il “Gran rifiuto” di Tiziana

Quando si sale si maledice più di una volta di aver scelto di essere li, non è certo una passeggiata alle giostre, se non ce nè, non ce nè. Ed deve essere stato quello il pensiero di Tiziana, il momento di sconforto e fatica che è stato superiore alla forza di continuare.

“Ho rinunciato alle donne nella mia vita, e me ne ritrovo una qui!” (a rompere credo....).

La fatidica frase di Don Lai allora pronunciata cade come macigno tra i macigni. Ma non era cattiva. Sono convinto che aveva solo lo scopo di scatenare una reazione, ma come ripeto, se non ce nè, non ce nè. Tommaso la conduce in un posto riparato tra le rocce e li è restata in attesa del nostro ritorno. Prima o poi la vetta è raggiunta, troviamo pochi centimetri quadrati di spazio da condividere (ricordiamoci la buona abitudine a partire per primi), e una dolce madonnina in alluminio, che in fondo lì resta sola per poco tempo sia in inverno che in estate. Dargli un tenero abbraccio ripaga quasi misticamente della fatica perpetuata. Le facce immortalate lo dimostrano.

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Vita di campo

Quando si dice porca miseria. Un papà che frettolosamente prende il primo treno e una bimba con unʼinfluenza un pò più forte del solito. Oggi forse una buona guardia medica e qualche presidio farmacologico avrebbero sistemato la cosa, ma il rischio va calcolato e ogni responsabile deve conoscere il da farsi più saggio. Così la Carlotta se ne torna a Roma e si riprenderà la rivincita il prossimo anno. quanto Ma mangiamo JESUS CHRIST SUPERSTAR Gli ultimi sette giorni della vita di Gesù sono Avete presente lʼappetito di un gruppo di messi in scena, sotto forma di musical, da ragazzi intorno ai 16 anni? No, chi non ha visto un gruppo di hippie e non può averlo presente, e come se non narrati dalla prospet- bastasse i tanti ospiti che ci venivano a trovare, tiva originale del punto di vista di Giuda. Gesù vedi lʼimmensa famiglia Abba, o i tanti genitori, è rappresentato come una figura che ha non erano da meno, risultato: ogni pranzo era molto di umano e poco o nulla di divino, Giuda Iscariota, personaggio cardine della pantagruelico. Ogni ospite per fortuna narrazione, è il vero protagonista del film, aggiungeva cibaria ad una cambusa già fornita. razionale e coerente, non traditore, ma vit- tima suo malgrado, come il suo maestro, di Una festa! Tutto era buono, abbondante e un disegno del destino più grande di lui. soprattutto non avevamo ifuturiproblemidi Maria Maddalena, la femminilità più dolce, investita da un amore che non sa com- linea e smaltivamo anche i sassi. E tutto anche prendere. per merito di stupende cuoche, ragazze o Siamo andati a vederlo non appena uscito mamme. Potevamo competere con chissà in Italia, siamo entrati al primo spettacolo e lo abbiamo visto tre volte di quanti villaggi turistici di oggi. seguito (allora si poteva). Ma anche e soprattutto per merito del buon L’Hosanna l’abbiamo can- tata anche alla femata del- GiovanniLaichea fronte diun importo l’autobus, ma soprattutto economico erogato dai partecipanti, ha tutte erano innamorate di Lui: Ted Neeley. Se la mu- sicuramente aggiunto pecunia, per procacciare sica è stata la nostra com- vettovaglie e materia prima, per condire meglio pagna, quest’opera rock po- tremmo considerarla la la permanenza di tutti noi. Le immagini che nostra colonna sonora. seguono danno ragione e sono eloquenti su il vitto e alloggio firmato Junior Gen.

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Tommaso ormai esperto, questa volta non è inciampato, e il rancio giunge tempestivo a destinazione sotto lʼesperta supervisione di Luigi e la dolcezza di Roberta. Damasa si gode il meritato riposo e Rossella medita sul prossimo anno scolastico. Il fratello di Don Abbà racconta a Franco le conquiste da marinaio. In fondo un giallo Massimo e un blu Enzo. A lui il record di mangiata di supplì (trafugati dalla cucina, qualcuno asserisce crudi).

Il trionfo dello spirito: Fabio legge il secondo cantico del Paradiso, Diego prepara il sermone per domenica, Enzo poi è alle prese con un compito di ragioneria aiutato dalla cucciola Maria più esperta in materia. Lʼimmagine è di Gressoney, ma il risultato non cambia!

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Uno speciale abbigliamento pone Silvio come precursore del Bunga Bunga, non sappiamo e non vogliamo sapere cosa si nasconde dietro quel misero canavaccio, tutti chinano la testa, Lidia quasi sviene. A fianco Lidia e Marco che non hanno trovato posto a tavola, Teresa armeggia in cambusa e finalmente il vero motivo dellʼabbandono di Carla. Non ne poteva più di pelare quotidianamente (con Mia, Carla e Valeria) centinaia di patate.

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1° CAMPIONATO SPULCIAMENTO POLLO CON LE DITA 1975 “Trofeo Abbacchio Filava” - Categoria Pesi Massimi

Massimo Riccardo Enzo

Jonny

Luigi

Antonio

Fedora Lucia Jonny (Abbàʼs Family)

IL VINCITORE

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Val di Gressoney 1976, 1977, 1978

La fine del liceo, lʼesame di maturità, il militare, cominciavano ad essere appuntamenti importanti e sempre più incombenti, le prime impegnative responsabilità riempivano le giornate fin ora leggere e spensierate. Quindi inoltriamoci nel viaggio triennale in Val di Gressoney.

La Terza, la Quarta e la Quinta “Avventura ” Un pò perché siamo ulteriormente cresciuti, un pò perché la Valle è tra le più belle dellʼarco alpino ovest un pò perché tre anni nello stesso posto confondono i ricordi, mischiandoli tra loro, ne parlerei quasi come fosse stata unʼunica, sola, storia, vissuta dal Gruppo. Tre anni, consapevole che prima o poi sarebbero passati, e con il riecheggiare nellʼorecchio e nella mente della canzone “Un dì ci rivedremo”, sussurrata sotto un manto di stelle che non ho mai più rivisto.

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1976: il primo arrivo a Gressoney

Ci lasciamo alle spalle Gressoney Saint Jean e dopo un pò di tornanti alla Francesco Nuti la strada diventa quasi pianeggiante e corre parallela al Lys che esce copioso da Trinité di sopra. Lui, in senso contrario ci viene incontro per poi sfuggirci, come rigurgito di acqua bianca, fredda e veloce, quasi ridendo del suo stesso solletico fra i massi levigati, impaziente di poter dare più giù, il suo contributo ad alvei più capienti ed importanti. Affacciati ai finestrini aperti, respiriamo per la prima volta quellʼaria frizzante dei 1.800 mt. del campo base e soprattutto vediamo quasi come in un film lo SkyLine dellʼalpeggio che ci ospiterà. Il pulman arranca sulla strada (si fa per dire, ma fa sembrare la cosa ancor più romantica), e possiamo osservare per qualche istante tutto il campo al quale tra pochi centinaia di metri daremo vita. Tutte le tende sono allineate, con vivaci colori che non stridono con lʼambiente circostante, anzi. Abbiamo una doppia tenda militare e quindi se il tempo sarà traditore avremo anche un refettorio, abbiamo una tenda doccia, abbiamo un gruppo lavello per i servizi cucina, abbiamo tanta voglia di non tornare mai più in città. Un bivio e un ponte ci dicono che Saint Jean è a sinistra ma noi percorriamo gli ultimi metri di strada sterrata in senso opposto e ...siamo arrivati! Il campo è stato affittato da Corrado, un omino di La Trinitè, gente di quà (è inserito tra i belli, alla fine del libro) vissuto ma non scalfitto dal tempo e dal clima, che da queste parti ti piega ma non ti spezza. Ne apprezzeremo la sua polenta fatta nel modo, nei sapori e nella manualità Valdostana. Già allora non era certo un bambino, chissà che fine ha fatto, anche lui va ascritto nei ricordi di quella Valle. Sicuramente ora vola sulla sua montagna, leggero e sollevato dalle fatiche della gerla. Gente di qua

Si diceva Gente di quà, slogan di manifesti pubblicitari di allora, concepiti per propagandare posti che non ne avrebbero bisogno, con le foto di villici locali a lui simili che colpiscono il turista attraverso le profonde rughe o incantare con i colorati foulard delle antiche donne. Immagini prive solo dei profumi delle erbe e dei fiori di montagna che invece si sentono ovunque dagli alti sentieri, con la capacità di trasmettere nellʼimmaginario di chi le osservava, profondità dʼanimo, silenzio, infinito, immensità. Il menu servito dalla Valle dʼAosta. La mia tenda, una stupenda Triganò di 5 posti, due stanzine interne, che il mio papà ha concesso con un pò di titubanza, mi ha permesso di partecipare, offrendola ai servigi del Gruppo, ai campeggi con iscrizioni ormai concluse per la raggiunta disponibilità dei coperti letto. Il mio posto aggiunto e raggiunto, permetteva quindi anche ad altri 4 di accodarsi e, favore reciproco, il gruppo cresceva e la quota dʼiscrizione aumentava

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il plafond totale. La tenda, per questo unica, possedeva anche un atrio, peculiarità consentita solo a noi, che ci ha permesso nottetempo ingenue/proibite partite a poker con le torce legate insieme e pendenti dallʼalto, un tavolinetto, un mazzo di carte e che costringevano in una ronda extra il buon Giuseppe Abbà: haei, ...voi lì, ...andate sci o no a dormir?. Peccato che nello scrivere non risalti un ritrovato accento piemontese, che nellʼaustera cattedra dellʼUniversità Romana veniva da lui sopito. Quellʼanticamera era anche una preziosa alleata (insieme alle diotrie), nellʼallarmarci, quale ultimo baluardo, nella possibilità quasi certa di una improvvisa ispezione ( ... ! ). A Gressoney la mia grande tenda blu era stata montata, sempre dallʼintrepido avamposto Sbardelliano, in una posizione quasi da acropoli. Lʼanno dopo riposizionata nella stessa area, diventerà la naturale sede dei “Capi”. Marco, Franco, Luigi, Nini. Sì perchè per dare un minimo di organizzazione alla vita sociale, nel vero senso della parola, venne deciso di dividerci in sottogruppi, ben miscelati per età e sesso, con il compito di organizzare, a turno, tutta la giornata. Si partiva con lʼandare a prendere il latte in un casolare ad una decina di minuti sopra di noi, latte insaporito dal fieno, che diventava per lo sballottamento in parte ottima panna e che doveva essere filtrato, preparare la colazione (con il buon pane lasciat o dal fornaio, allʼincrocio della strada provinciale, lavare i piatti della sera prima, cucinare per il pranzo, lavare i piatti del giorno e preparare nelle sue fasi generali il palinsesto del falò della sera. (Qualcuno parlava di vacanze?). Ma tanto era. La corvè, dieci, dodici componenti, doveva a sua volta organizzarsi per ottemperare a tutte le faccende. Capitare di turno alla domenica con tutti gli ospiti che ci venivano a trovare era il massimo del peggio e si doveva chiedere aiuto. Una volta lavammo piatti quasi tutta la giornata, fino alla messa pre-serale. Mentre quindi i maschietti (sigh! proprio loro) insaponavano stoviglie e pentolame, le signore e le signorine preparavano il pasto. Ci misi molto a far capire la validità della cenere (di legna ovviamente), per sgrassare, essendo inutile lʼacqua di fiume praticamente distillata, lo stovigliame di plastica. O insaponavi troppo o risciacquavi poco. Il lauto cibo e poi via a tirar giù canti e indovinelli, questʼultimi quanto più cattivi per la gara della sera nella speranza di accaparrare più punti possibili nel campionato del campo dove veniva classificato e conteggiato ogni comportamento. Detta così sembra quasi di aver vissuto in un lager, ma vi assicuro, non tanto a coloro che sono i destinatari di questo scritto, ma agli altri, che è stato un vivere fantastico. Angelo (Judapluch) 2010. E’ dal 1973 che non ha più smesso di cantare (beh, come poteva essere altrimenti vista la cantina che ha alle spalle...)

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Valle di Gressoney

La Valle del Lys (detta anche Valle di Gressoney) è una valle laterale della Valle d'Aosta. Prende il nome dal torrente Lys, oppure dal centro principale Gressoney-Saint-Jean. È caratterizzata dalla presenza di una forte tradizione Walser. Salendo la Valle d'Aosta la val del Lys è la prima che si incontra sulla destra. Confina a nord col Vallese, ad ovest con la val d'Ayas, a sud-est con la valle principale valdostana, a sud e ad est con le province di Biella e di Vercelli. La valle è solcata dal torrente Lys, il quale prende inizio dal ghiacciaio del Lys. Nell'alta valle lungo la linea di confine con la Svizzera si incontrano alcune delle vette più alte del massiccio del Monte Rosa: Castore (4.221 m) - Lyskamm Occidentale (4.481 m) - Lyskamm Orientale (4.527 m) - Ludwigshöhe (4.342 m). Inoltre si trovano anche: il Testa Grigia - 3.315 m

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- lungo lo spartiacque con la val d'Ayas, il Monte Rothorn - 3.152 m - lungo lo spartiacque con la val d'Ayas, il Balmenhorn 4.167 m - si erge a fianco del Corno Nero, la Piramide Vincent 4.215 m - lungo lo spartiacque con la Valsesia La valle appartiene a due distinte comunità montane. L'alta valle, per la sua forte presenza walser è radunata attorno alla Comunità Montana Walser Alta Valle del Lys; la bassa valle fa parte della Comunità Montana Mont Rose. Salendo la valle, a partire da Pont-Saint-Martin, si incontrano nell'ordine i seguenti comuni: Perloz, Lillianes, Fontainemore, Issime, Gaby, Gressoney-Saint-Jean, Gressoney-La-Trinité I primi tre comuni fanno parte della Comunità Montana Monte Rosa; gli altri quattro della Comunità Montana Walser Alta Valle del Lys. Per facilitare l'ascesa alle vette della valle e l'escursionismo di alta montagna la valle è dotata di alcuni rifugi alpini e bivacchi: Capanna Giovanni Gnifetti - 3.647 m - Rifugio Quintino Sella al Felik - 3.585 m - Rifugio città di Mantova - 3.498 m - Rifugio Guglielmina - 2.880 m - Rifugio città di Vigevano - 2.864 m - Rifugio del Gabiet - 2.375 m - Rifugio del Lys - 2.358 m - Rifugio Delfo e Agostino Coda - 2.280 m - Rifugio Alpenzù - 1.779 m - Bivacco Felice Giordano - 4.167 m

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Il Testa Grigia Il Testa Grigia È una montagna delle Alpi del Monte Rosa nelle Alpi Pennine. Non cʼè montagna senza una cima da Si trova in Valle d'Aosta tra la Val d'Ayas e la Valle del Lys e costituisce la massima elevazione scalare, una cima da conquistare, tra le due valli. unʼavventura da raccontare giù al bar Per la sua posizione dalla vetta si gode di davanti ad un grappino, una grolla, o un un'ottima e ampia veduta sul Cervino, sul boccale di birra (ma questʼultime massiccio del Monte Rosa e su gran parte della Valle d'Aosta. performance non erano il nostro caso). Fu scalata per la prima volta il 7 agosto 1858 (O forse ...sì?). dagli alpinisti Delapierre, Laurent, Rignon e dai Le vette sono lʼobiettivo, facile o difficile coniugi Pinney. Un tempo veniva detta Lo che sia, che ogni escursionista desidera Gréno. Su lla cima è presente una piccola statua della Madonna. raggiungere come premio del suo sforzo. Si raggiunge la cima partendo dal Colle Pinter A ognuno il suo limite, confidando (raggiungibile in poco tempo dal Crest o da nellʼesperienza sua e altrui, con lʼaiuto di Ostafa tramite i percorsi 11a o 12) o dal Bivacco Lateltin. una preparazione e confrontandosi con la

IL TESTA GRIGIA VEDE QUESTO!

Cervino

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conoscenza dei posti e dellʼaffidabilità del fisico che si andava pian piano forgiando per le performance alpine venture. Se la Valle dʼAosta possiede punte maestose (prima fra tutte il Monte Bianco, il tetto dʼEuropa) il Testa Grigia gode di un fascino tutto particolare, che ne esalta la leggenda. Le vicende dellʼantica turbolenza di pangeana memoria (scontro orografico tra due masse contrapposte) lo premiano come massima elevazione, frutto della compressione di due importanti valli valdostane: la Val dʼAyas e appunto la Val Gressoney. Come arpione di baleniera si incunea nelle Alpi Pennine e funge da lancetta nellʼorologio dei tempi, tra il gruppo del Monte Rosa e il dente del Cervino. La sua cima raggiunge unʼaltezza di tutto rispetto con i suoi 3.315 mt., vi si può accedere con quasi egual impegno dalle due valli, obbliga lʼescursionista, soprattutto superato il colle Pinter, a qualche difficoltà. Non è per tutti, ma per molti, che vogliono cominciare ha provare lʼebrezza delle altezze. Sicuramente rappresenta una valida pre-meta per chi si appresta a vivere esperienze di questo tipo. Qualche passo sulla neve ghiacciata compromette lʼequilibrio e il percorso ammette, anche se pur per poco, una piccola strada ferrata. Poco prima di raggiungere la vetta, pretende unʼulteriore, conclusiva attenzione. Una madonnina (cosi come fu per il Gran Paradiso), accoglie tutti pazientemente. A questo punto la fama promessa trova la sua soddisfazione. La vista sul più bel arco alpino, se il tempo non tradisce, ubriaca di bianco e azzurro lʼocchio di chi lo osserva. La prospettiva cancella il divario con le quote un pò più alte che gli si presentano dʼinnanzi, e compete alla pari con le vette che si hanno di fronte, con unʼunica peculiare differenza: io vi vedo e vi controllo, voi no! Il Testa Grigia è stata una meta raggiunta dal gruppo, tante ragazze comprese, per moltissime volte e da entrambe le valli. Un appuntamento fisso, rituale.

Castore Piramide Lyskamm Polluce Vincent Dofour Gnifetti

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Vetta del Testa Grigia

Enzo

Marco

Alberto Abbà Antonio Mia Stefano Carlo

Antonella Carla

Massimo Oreste Fedora

Massimo

Per liberare dalla croce i compagni e poter realizzare l’ennesima e medesima foto sul Testa Grigia, Enzo e Tommaso hanno usato gas urticanti. Liberare il pulpito era troppo importante. Esistono circa 157 foto in posa come quella di cui sotto. Sono rimasti appollaiati lì per due giorni, abbiamo dovuto minacciare di minare il povero crocefisso.

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Vetta del Testa Grigia

La fine di Massimo e Marco

La fatica è stata superiore alle proprie forze e sono abbandonati al loro destino. Mia già piange ed Enzo pietoso pensa di finirli per pietà. Alberto si appresta al colpo di grazia non potendo vedere la sofferenza altrui.

Eccolo finalmente Don Lai, emulo del capoufficio, in bilico per superare di 37 centimetri circa la quota della vetta omologata dal C.A.I. e raccontare in comunità le gesta di un direttore d’oratorio in scalata.

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Il Lago Gabiet: la vigliaccata

Goliardata o vigliaccata. Ai posteri lʼardua sentenza.

E siccome ormai ai posteri, ahimè ci siamo, dobbiamo sentenziare. Siate benevoli. La fase è quella delle passeggiate preparatorie, lʼobiettivo finale sarà (lʼanno è il 1977) il Rifugio Regina Margherita, 4.554 mt., Oggi la gita, tra quelle preliminari, è senza pretese, appena in mezzo al paese, dietro lʼalbergo Seggiovia Punta Jolanda nasce un ripido sentiero che porta allʼomonimo valico dove poi senza ulteriori sbalzi di altitudine si costeggia il lago artificiale Gabiet che alimenta la centrale idroelettrica di Gressoney, aggiungendo un azzurro cameo ad un paesaggio già fantastico e dove il Rosa vi ci si specchia vanesio. Si raggiunge il fondo lago e si passa la giornata con le solite attività del gruppo (si anche in quota!), pallone, chitarra e pappatoria.

Seggiovia ...si sale! di Punta Jolanda

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Il Lago Gabiet è un bacino artificiale, sopra Gressoney, ad una quota di 2.373 m s.l.m. ed alimenta la centrale idroelettrica ...si sale! permettendo la generazione di 11 MW, con una produzione di 14,5 GWh/anno. Lo sbarramento che ha costituito il lago, realizzato da una diga a gravità massiccia, venne costruito nel 1918. La nostra sequenza fotografica mette in evidenza la tipologia dei sentieri che portavano alle quote più alte. Gli alberi di alto fusto sono sempre più radi e lasceranno ...si sale! presto il posto a rocciaie e banchi di neve ghiacciata che danno linfa e rinforzo ai bacini e ai fiumi a valle.

...si sale!

Il lago artificiale ...si sale! Gabiet

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Il Gabiet

I capi, quelli che dovevano “capare”, si attardano un pò, dichiarando che avrebbero raggiunto il Gruppo di li a poco. Avevamo anche il compito di recuperare il solito sacco di pane. Era lo zaino più ambito. Già abbastanza leggero in partenza, vedeva assottigliare il suo peso ad ogni sosta per tornare al campo leggero (leggi vuoto). Non male vero? Cosi fù. Raggiunto il paese percepimmo di avere un ritardo di quasi mezzʼora e vedendo la seggiovia cominciare a funzionare, diabolica fu lʼintuizione: approfittarne! (Pattuendo però una tariffa più che agevolata). Lʼascesa come detto cominciava piuttosto ripida, il Gruppo seguiva il sentiero ed era abbastanza compatto, saliva doppiando tornanti che ancora per poco si inoltravano tra alti abeti, rigogliosa vegetazione e allegri torrenti. Il tracciato della seggiovia ci faceva volare, tra le cime di questʼultimi, e a pochi metri dalle loro teste quasi ne percepivamo il respiro profondo. Il rumore dei numerosi ruscelli copriva il leggero stridire del cavo portante. Seduti, con i piedi nel vuoto sul loro intercedere, attendemmo con il fiato sospeso, è proprio il caso di dirlo, il passare da un pilastro allʼaltro che prima o poi ci avrebbe tolto definitivamente dalla loro vista. Se solo qualcuno avesse avuto la forza di alzare la testa sarebbe stata la fine. Ma quella volta per lo sparuto avamposto dei FiveFlyGen andò bene e raggiunto il valico attendemmo tronfi, e presuntuosi il resto della truppa, meritatamente affaticata.

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La Preghiera

Come andò veramente: la “Preghiera della montagna”

O Gesù, mio Signore, li abbiamo visti, li abbiamo scoperti. Fà che i Fhürer (specialmente l’acuto, nel senso della vista, Abbà non li abbia scorti) non potremo sopportare di vederli fustigati legati al palo della tenda e giorni a pane secco e acqua di fiume, pennellati di marmellata. In cambio della tua grazia prepareremo per tutti fettine panate e supplì anche quando saremo tornate a Roma, faremo tutti i compiti di Estimo e Ragioneria e laveremo le tende della mamma, stireremo per ore. Anche Tonino prega, ma perchè dal mazzo delle figurine gli manca Pruzzo per finire l’album.

Ma come avete fatto? Ma quanto siete stati bravi? Maligno è stato esternare il vanto di aver percorso velocemente e senza fatica, alternativi sentieri ancor più insidiosi. Perfino il crudo Don Abbà ci cascò con tutte le sue, di numero 48, scarpe. Non so se e quando fu confessata lʼardita biricchinata.

L’invenzione del LaiPhone

Pronto,...Si? Connessa con il campo base con un LaiPhone Donatella chiede quante salsicce potrebbero essere pronte per la cena, Antonella infatti non ne può più di brucare margherite. il LaiPhone Erminia sogna.

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Lo Skateboard

Che centra uno skateboard?

Poteva capitare che qualche pomeriggio si facesse una puntata in paese per prendere un gelato, fare una telefonata o addirittura assaporare un punch al mandarino. Un negozio di artigianato locale tutto pieno di manufatti in legno, zoccoli, fiori e sculture, un negozio sportivo, un emporio e il bar nel principale albergo di Gressoney. Un vecchio cimitero pieno di pace e storie di altri tempi, antico e muto ad accompagnare con il dovuto mistero, il silenzioso mondo dei più. Questo era quello che offriva il paesino, fratello piccolo, della più sviluppata Saint Jean Proprio lì di fronte partiva (o terminava secondo i punti di vista), una ripida strada, asfaltata (si fa per dire) ancora per un piccolo tratto, che portava ai sentieri del Colle Bettaforca. Di lì a qualche anno vi avrebbero costruito un importante funivia che si sarebbe collegata con gli altri impianti della valle di Champoluch per dare vita al circuito del MonterosaSky. Con il sole quasi ormai nascosto dal Testa Grigia vedemmo sfrecciare, ad altissima velocità un biondo e riccioluto ragazzo su una colorata tavola di legno dove erano montate delle ruote. Come faceva a frenare lo sapeva soltanto lui. Altri si sarebbero fermati a Torino. Beninteso che anche noi da piccoli avevamo costruito con i cuscinetti delle macchine, qualche scapestrato monopattino, ma vedere fare winsurf sulla montagna e per di più con spericolatezza e perizia ci lasciò attoniti. In un mondo non ancora globalizzato potevamo toccare con mano quelle meraviglie dʼoltreoceano appannaggio ancora di pochi. Quel funambolo era Leonardo David. Campione sportivo. Le peripezie davanti alle nostre ragazze sapevano di eccesso, invidia, ma anche di simpatia. Nel loro negozio, per le conquiste delle vette più impegnative, abbiamo preso le attrezzature tecniche (piccozze, ramponi...) per raggiungere le più alte mete. Leonardo DAVID (Gressoney-Saint-Jean, 27/9/1960 – Gressoney-La-Trinité, 26/2/1985) è stato uno sciatore alpino italiano. Era figlio di Davide, a sua volta sciatore alpino di alto livello. Grande promessa dello sci italiano della fine degli anni settanta, Leonardo David era da molti considerato il possibile antagonista del fuoriclasse svedese e l'erede sportivo di Gustav Thöni Specialista delle discipline tecniche, pur avendo disputato poche gare in Coppa del Mondo riuscì a farsi notare sin dall'inizio, ottenendo podi sia in gigante (Schladming), che in speciale ( e Jasná). Il 7 febbraio 1979 vinse la sua unica gara, lo slalom di , davanti a Ingemar Stenmark e allo statunitense . Vinse la Coppa Europa nel 1978 e ai Campionati italiani conquistò la medaglia di bronzo in discesa libera nel 1977. La sua carriera fu bruscamente interrotta dal grave incidente occorsogli nella discesa pre -olimpica disputata a Lake Placid il 3 marzo 1979, dove cadde nei pressi del traguardo procurandosi un trauma cranico con conseguente coma. Caduto alcune settimane prima, nel corso di una discesa libera

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svoltasi a Cortina d'Ampezzo, nelle settimane successive David «non riusciva ad allenarsi nemmeno in gigante perché le vibrazioni prodotte dagli sci sul ghiaccio gli facevano venire mal di testa», come ha scritto il suo compagno di squadra Paolo De Chiesa. Ciò nonostante partecipò alla discesa di Lake Placid dove, in vista del traguardo, spigolò e cadde. Si rialzò, attraversò il traguardo e poi crollò tra le braccia di . Non avrebbe più ripreso conoscenza, nonostante il ricovero in ospedale e lunghe cure a .. Successivamente all'incidente seguirono polemiche circa l'opportunità di fargli disputare quella discesa libera; le contestazioni si fondavano sul fatto che David non fosse ancora pronto per affrontare quella disciplina, a maggior ragione vista la pregressa caduta dalla quale pareva non essersi ancora ripreso pienamente. In particolare quest'ultimo episodio poteva interpretarsi come un segnale premonitore cui non fu prestata la dovuta attenzione. La vicenda ebbe anche strascichi giudiziari Il giovane sciatore non si riprese più fino alla morte, avvenuta sei anni dopo. Il suo nome, quello della sua famiglia, primo fra tutti David il papà, e quello delle attività sportivo-commerciali sono la storia stessa di Gressoney. In questi tre anni abbiamo consolidato una sincera amicizia, ci siamo senti spesso con Daniela soprattutto dopo la tragedia che come una valanga, ha col pito loro e la comunità. Dal 1959 : la storia di David Sport La vita di una famiglia che coincide con la storia dell'omonimo storico negozio

Nellʼautunno del 1958 i novelli sposi Davide e Mariuccia, rispettivamente ex campione italiano di sci nonchè maestro di sci e lei albergatrice, si trasferiscono a Gressoney la Trinité (stadel Menabrea) dal limitrofo comune di Gressoney Saint Jean. Immersi nella neve, nellʼottobre del medesimo anno, decidono, consigliati da amici e qualche turista, di aprire una piccola boutique di sport a lato della nuovissima seggiovia di Punta Jolanda, costruita nel dicembre 1957. Davide in contemporanea dirige la istituenda Scuola di Sci di Gressoney, dove esercitavano i maestri Caio Vincent, Elio Rial e Samuele Vicquery, e Mariuccia prese le funzioni di segretaria. Nel 1959 arrivò la prima cicogna portando con se la piccola Daniela e l'anno successivo nacque il piccolo Leonardo. Dopo pochi anni, nel 1963, dato il continuo sviluppo turistico della località il negozio venne trasferito nel fabbricato di fronte, a lato del bar "SchneeBlume" attuale "la Pulce", ampliandosi notevolmente. Quindici anni dopo, nel 1978, l'attività venne ulteriormente ampliata, oltre ad aumentare la superficie espositiva del negozio venne inaugurata un'area dedicata a noleggio e riparazione sci. Purtroppo però, sempre nel 1979, per negligenza e superficialità altrui, iniziò la tragedia di Leonardo, fino a quando, dopo anni di sofferenza per tutti, nel 1985 si spense la sua giovane esistenza.

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Il Falò Luigi Fedora

Franco M.

Silvio Tonino

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The Fire!

Marco

Massimo

Tommaso

Anna M.

Mia Tonino

Franco?

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Il Falò

Nella mia vita qualche volta ho pianto, ovviamente per cose serie, di gioia e di dolore, ma quella canzone offerta al cielo stellato di unʼestate di tanti anni fà, con il fuoco che tentava di vincere la notte ancora per qualche istante, con qualche tizzone non più alimentato che provava a ruggire svuotato nello spirito e nella forza, non lʼho più dimenticata. Di scautiana provenienza, la Canzone dellʼaddio lʼho amata e odiata perchè sapevo che segnava tangibilmente il confine tra un prima e un dopo di quel momento. Cose belle e importanti in futuro sarebbero arrivate e anchʼesse uniche e irripetibili. Ma in quel momento non lo sapevo e sono rimasto lì un pò intirizzito, solo, nella piccola confusione della buonanotte, osservando ognuno entrare frettolosamente nella propria tenda.

Massimo M. Carla

Rossella Patrizia Isabella

Oreste

La Canzone dellʼaddio Uniamo orsù le nostre man or mentre il giorno muor È l'ora dell'addio fratelli, formiamo con le nostre man è l'ora di partir il cerchio dell'amor. e il canto si fa triste, è ver partir è un po' morir. Se attorno a questo fuoco qui l'addio ci dobbiam dar Ma noi ci rivedremo ancor attorno a un solo fuoco ci rivedremo un dì un dì sapremo ritornar. arrivederci allor, fratelli, arrivederci sì. Iddio che tutto vede e sa ci voglia benedir, Perché lasciarci e non sperar Iddio che tutto vede e sa di rivederci ancor? ci sappia un dì riunir! Perché lasciarci e non serbar Ma non addio diciamo allor, questa speranza in cuor? che uniti resterem Ma noi ci rivedremo ancor, ma non addio diciamo allor, ci rivedremo un dì: che ancor ci rivedrem. arrivederci, allor, fratelli; arrivederci sì. ...

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Irradiazione positiva

Eccola la sensazione, di cui una sbiadita istantanea, ce ne rinnova il ricordo. Come da un cuore pulsante il calore non solo fisico si irraggia intorno permeandosi sulla pelle, indelebile.

Non cʼera più energia, nello spirito e nella fiamma. Quella buona notte era lʼultima buona notte vissuta insieme ad una piccola grande comunità. Cʼera da superare non un sasso o un sentiero; cʼera da tornare al normale. Cʼera da mettersi alle spalle un bel ricordo e affrontare, con lʼinsegnamento ricevuto, la vita prossima che stava arrivando. Sì perchè quei 21 giorni non sono mai stati normali. Ho provato a considerarli normali, confrontando le esperienze successive mieo di altri, ma il risulato è sempre stato lo stesso. Non sono stati giorni normali. Tanti hanno fatto campeggi, noi no! La vita del campo con le foto che ci immortalano soprattutto seduti alle sedioline intenti a mangiare, in realtà come detto, non fanno capire bene le sensazioni, il campo era tuttʼaltra cosa e pur nelle imperfezioni è stato tutto perfetto. Avevamo vari momenti salienti: la vita spirituale, con le messe, anche celebrate in quota (Testa Grigia per esempio), le passeggiate, che hanno forgiato corpo e temperamento, e appunto, la logistica (la vita di campo) per la quale molti hanno imparato qualcosa e, ovviamente non ultimo, il falò. Il manto scuro nelle umide sere avvolgeva dei ragazzi raccolti in circolo, intorno a potenti fiamme e il rito del falò cominciava, magari con un “Ban”.

IL GRUPPO JUNIOR GEN 81 Gruppo 3 Revisione:. 4-04-2013 15:39 Pagina 82

Cosa sono i Ban

Innanzitutto una nota linguistica: "Ban", e non "Bans". "Bans" è plurale, ma la grammatica italiana esige che non si faccia il plurale dei termini stranieri e li si lasci indeclinabili. Guai, poi, a parlare di "bans" al singolare! Il ban è un momento in cui si canta, ci si muove e si urla, a volte tutte e tre le cose assieme. Generalmente è richiesta la presenza di un animatore che guidi il Ban, anche se la cosa non sempre è necessaria. Ma qual è lo scopo di un Ban? Bè, puòservire a un sacco di cose. Serve a scaricare la tensione. Serve per ravvivare l'attenzione. Il bivacco è un continuo chiacchiericcio? Lanciate un Ban che faccia un bel pò di confusione, per poi ricatturare l'attenzione del cerchio nel momento di silenzio che ne seguirà. Il Ban, infine, serve anche per sdrammatizzare, per far sì che tutti "si mettano in gioco", e per accomunare tutti, grandi, piccoli, responsabili. E a combattere il freddo.

La battaglia di Magenta

Era un bel dì – Battaglia di Magenta – Oh che piacere caricare i cavalieri...... Cavalieri, .....caricate! ....Al passo! .....Al trotto! ....Al galoppo! .....A una mano! (battere con una mano)

Ad ogni ripetizione aggiungere una parte del corpo e battere anche con quest'ultima: ....A due mani! ....A un piede! ....A due piedi! A...

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Al tavolo di regia si controlla la perfetta Carla, Massimo, Tonino, Marco, Franco, Enzo, realizzazione della serata, Abbà supervisiona, Riccardo e Luigi: lupi mannari a Gressoney. ma ad Anna scappa la pipì per il freddo. Le donne sentono sempre freddo, anche di fronte ad un fuoco di 50 chili di legna.

Tommaso, Massimo, Marco. Con una tavola ci si appresta allo scherzo della “Torre di controllo”

LA TORRE DI CONTROLLO

Un fantomatico aereo (la tavola) , il controllo radar (il regista) e il pilota che deve lanciarsi giù (la vittima).

Due persone reggono un’asse con sop ra la “vittima”. La “Torre di controllo” è lì davanti a lui e si fa mettere le mani del pilota sulla testa: è il contatto radio. Si alza l’asse, si toglie il contatto e lo si fa saltare giù. Il gioco e fatto. Fermi! Adesso bisogna ripeterlo di notte (si benda la vitima). Qualche effetto sonoro vocale e una leggera vibrazione aiutano l’inganno. Sembra tutto uguale, ma invece di alzare la tavola (sempre un pochino sospesa per la simulazione del volo) si china la “torre”, di nuovo si to glie il contatto e via il salto nel “buio”. L’effetto psicologico di stare sospesi in una finta altezza non trovata è esilarantissimo.

IL GRUPPO JUNIOR GEN 83 Gruppo 3 Revisione:. 4-04-2013 15:39 Pagina 84

Guido Pancaldi (Silvio) e Gennaro Olivieri (Diego) preparano tranelli e trabocchetti come arbitri parziali e corrotti delle vicende delle varie squadre. Il ghigno di Silvio poi, non promette niente di buono.

Il Falò non nasceva a caso, addirittura un anno portai delle polveri chimiche (zolfo, rame,...), per colorare le fiamme, quasi come effetti pirotecnici, nei vari momenti della serata. La luce e la sua intensità come guida simbolica del momento. Un canto importante e le fiamme dovevano aumentare di portata, una scenetta, e bisognava dare spazio alle lampade (torce o a gas) per la visibilità della scena. Anna, Leonardo, Silvio M., c’è chi sta in pantaloncini e chi sotto coperta. In basso sembriamo tanti piccoli animaletti furbetti della notte.

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Altra sera, altro falò. Lo scozzese è uno dei fratelli Abbà sotto l’imitazione di Fedora “Cinderella”.

Il fuoco diventava un volto caldo, il colore delle fiamme era rassicurante, il rumore gioioso delle scintille era unʼulteriore compagnia, il profumo di antico, impreziosiva lʼatmosfera. Eʼ sempre stato così fin dalla notte dei tempi e noi non ne siamo stati risparmiati. La notte, con tutto il suo bagaglio di paura e mistero, complice il non poter vedere, si sconfiggeva con esso. Luce e il calore fronteggiavano il buio e il freddo. Il tutto praticamente senza un briciolo di tecnologia se non per qualche torcia quasi scarica o qualche lampada a gas. Senza luci al led, senza messaggi sms, mms, .... Tutti avevano un ruolo, tutto o quasi era oliato nel suo procedere, potevamo essere spettatori o attori, tutto era una risata, una presa in giro o stacco di seria riflessione.

Il Giglio

Domanda di geografia, (ge-o-gra-fi-a) nella gara a squadre a quiz: cosa è il Giglio?... Un fiore! Mi sarei sparato, nellʼeccitazione della risposta pronta e veloce, non ho pensato alla splendida isola toscana. Non era previsto il lancio delle bucce di patata, per altro presenti in quantità, altrimenti povero me.

IL GRUPPO JUNIOR GEN 85 Gruppo 3 Revisione:. 4-04-2013 15:39 Pagina 86

La romanzina

Più che una romanzina è stata una lavata di capo con acqua fredda di quelle che ci hanno fatto male e riflettere tantissimo. Arrivata a ciel sereno anche se era notte inoltrata. Don Lai non ne poteva più e rimandando e rimandando, alla fine, terminato un falò fino a quel punto gioioso e festoso, ha calato da par suo la mannaia del rimprovero. Colpendo lì dove doveva e dove sapeva di trovare coscienze non proprio pulite. Convocando intorno al fuoco i più grandicelli ha esternato il rincrescimento per un comportamento che era in completa antitesi con quello che doveva essere lo stile, anche e soprattutto salesiano, del campo. Forse niente di estremamente grave, ma molto di antipatico ed egoista. Non è il caso di rimembrare le mancanze di ognuno, e soprattutto ognuno di noi seppe in quel momento, in cuor suo, in che modo e in che quantità, poteva essere coivolto. È il caso di ricordare come il concetto di crescita, anche spirituale, quella sera ha avuto un suo caposaldo epocale. Quella sera forse lo avevamo un pò tradito, noi che dovevamo essere di esempio agli altri.

Fu individuato un nuovo binario da percorrere.

Grazie Don Lai.

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Rifugio Quintino Sella al Castore Colle Felik

La vetta dei sogni di Don Lai. Eʼ la vetta con la statua di Don Bosco! Al momento non ricordo se sia mai riuscito nella conquista. La gita di due giorni sarà il raggiungimento del rifugio Quintino Sella, il pernottamento, la conquista del Castore (non riuscita), il ritorno al campo base. Il Castore (in francese e in tedesco, Castor) alto 4.228 m è una montagna del massiccio del Monte Rosa, nelle Alpi Pennine. È posto sul confine tra la Va lle d'Aosta ed il Vallese. Si trova lungo lo spartiacque che dal Breithorn conduce verso la Punta Dufour. Per la sua conformazione prende il nome, assieme al monte Polluce, dai due gemelli della mitologia greca Castore e Polluce. È separato da quest'ultimo dal Passo di Verra (3845 m). La prima ascensione fu compiuta il 23 agosto del 1861 da William Mathews e Frederick William Jacomb con la guida alpina Michel Croz. La sua salita avviene abitualmente partendo dal rifugio Quintino Sella attraverso la cresta sudorientale lunga e stretta. Si tratta dapprima di salire il Ghiacciaio del Felik passando in fianco alla Punta Perazzi e poi arrivando al colle del Felik (4.061 m) il quale separa il monte Castore dal monte Lyskamm Occidentale. Dal colle inizia la cresta che conduce in vetta al monte. Altra possibile salita inizia dal Rifugio Ottorino Mezzalama. Dal rifugio si risale il Grande Ghiacciaio di Verra fino al passo di Verra; di qui si sale il monte lungo il fianco ovest.

La chiamata di Don Abbà segna, quasi come adunata militare, lʼinizio dellʼavventura finale di questʼanno. Su! Eʼ lʼora di partire! (è notte fonda!). Sempre in dialetto piee-moon-tesce.

IL GRUPPO JUNIOR GEN 87 Gruppo 3 Revisione:. 4-04-2013 15:39 Pagina 88

Tenda per tenda, scalatore, per scalatore, dovremmo essere pronti. E lo siamo, ho anche dormito quasi vestito, un pò come molti e un pò come faremo al rifugio (v. gli angioletti). Abbiamo i requisiti, o almeno si spera, per poter partecipare alla scalata principale. Non fa particolarmente freddo, ma la differenza dal confortevole sacco a pelo e lʼumido esterno, si fa notare. Eʼ notte, notte parecchio, il cielo è quello che ormai conosciamo, con qualche nuvola in più, ma per ora, niente di preoccupante. Lʼappuntamento, giusto il tempo per fare pipì e raccogliere quello che abbiamo sistemato con attenzione negli zaini fin dal pomeriggio prima, è nella tenda grande, appena illuminata. Le facce sono quelle di chi sta per affrontare un buon, serio, impegno sportivo. Oggi non è il momento di bleffare. Le facce sono quelle che non andrebbero lavate per lasciare la naturale patina, di grassa copertura, a climi non proprio confortevoli, ai quali andremo incontro. Invito quanto mai ben accolto. Qualche battuta di scherno, ma anche qualche frase rassicurante e la conta delle varie cordate da comporre. In alta quota, sulla neve, il più esperto assumerà, sia nella fase di salita che quella di discesa, il posto di fine cordata, trovandosi così in posizione di controllo e in caso di scivolo, posizionarsi seduto e con la piccozza infilata nella neve per arginare il repentino movimento di caduta e limitare i danni. Si effettua la divisione delle attrezzature comuni e le raccomandazioni del caso. Ognuno, ha la sua razione per due giorni: carne o tonno in scatola, marmellata, pane. Ci sarà anche del vino. Le mamme e le ragazze si sono alzate lo stesso per prepararci la colazione. Lʼemozione si scioglie in una buona tazza di latte caldo e caffè, lʼimmancabile pane burro e marmellata e... un goccio di grappa, facendo diventare portentosa la bevanda, un pò come la pozione di Asterix. La cosa è graditissima, è salutare energia per la partenza. Iniziamo, ovviamente doppiando Gressoney, poi ci si dirige verso il lato sinistro della valle e cominciamo a salire verso il Colle Bettaforca.

1976 - Questo rifugio così com’è nella foto non esiste più. E’ stato completamente rifatto negli anni ‘80

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Tommaso, Oreste Marco, Antonella, Lidia, Antonio nella sosta alla Capanna del Lupo, piccolissimo pertugio realizzato dai primi operai impiegati nell’opera di realizzazione del ricovero più importante a monte. A parte la vetustà della foto il cielo era già bianco a mercanteggiare il fallimento della spedizione.

Superati i 2.000 come è normale, la vegetazione è solo quella erborea, quale gustoso immenso verde piatto per altrettante immense mucche, con altrettante immense campane, che rimbombano in quota in un suono ovattato che sa di paradiso. Centinaia di rivoli dʼacqua approfittano di ogni pertugio per scendere veloci. Non dovremmo berne di quel prezioso illusorio tesoro, lʼacqua è fresca e pulita, attraente, ma aimè, praticamente distillata, e a fronte di un momentaneo ristoro, corrisponde una negativa perdita di sali, resistere è dura. Spessissimo ci fermiamo per una meritata sosta, ma la montagna è sempre là. Apparentemente irraggiungibile. E lo e davvero? La grattachecca

Uno stato di malessere non si fa attendere, una sensazione di fame e sete frammista ad inappetenza e spossatezza pervade molti. Stiamo percorrendo secondo un copione consolidato, il crostone finale. Per la pausa conclusiva ci ospita la capanna del Mulo, un pò di sassi sapientemente impilati quale ultimo baluardo per una sosta quasi obbligatoria, poi ancora qualche sforzo e potremo arrivare al Sella. Un intuizione mi aiuta per quella che per oggi è la fatica conclusiva. Per evitare come detto, unʼulteriore perdita di sali interni che avrebbero peggiorato la situazione, ma con unʼaltissima sete per i liquidi perduti, vedo, in mano a qualcuno, miraggio insperato, un ...limone! Ricordare di avere in dotazione della marmellata, utilizzare dellʼottima neve a moʼ di granita, dello zucchero tanto per non farmi mancare niente, e quel limone spremuto nella gavetta, fu unʼidea fantastica che ha risolto la situazione. Una grattachecca improvvisata, gratificante e dissetante, portatrice di energia pronta da utilizzare. Era salva la psiche, la sete, e lʼequilibrio molecolo/cellulare.

IL GRUPPO JUNIOR GEN 89 Gruppo 3 Revisione:. 4-04-2013 15:39 Pagina 90

Il quintino Sella

Un altopiano, anticamera del massiccio finale, murata che compone il Rosa (per esempio i gemelli del Castore e del Polluce, la Piramide Vincent, il Lyskam, la Punta Doufour e la Punta Regina Margherita), rappresenta lʼanfiteatro ideale per il posizionamento del rifugio.

La sua storia La prima capanna Sella venne costruita dalla sezione del CAI di Biella con la sezione del CAI di Varallo Sesia, venne inaugurata il 15 agosto del 1885 e intitolata al Senatore Quintino Sella, fondatore del CAI. La capanna, costruita dall’albergatore e falegname di Gressoney, Daniele Thedy era interamente in legno e poteva ospitare circa 15 persone. Il trasporto dei 1.850 kg di materiale necessario alla costruzione avvenne a dorso di mulo sino al colle Bettaforca e da qui proseguì a spalla di portatori: il costo totale dell’opera fu di 1.388 lire. Nel 1904, dato il precario stato dell’edificio "rovinato dalle intemperie e dalla incuria dei visitatori", si decise di ricostruirlo. L’incarico venne affidato a Floriano Lateltin di Gressoney. La costruzione venne, inoltre, spostata sul pianoro appena più in alto rispetto a dove si trovava la precedente ed inaugurata il 22 luglio 1907. Dopo la "Grande Guerra", data l'affluenza di ospiti determinatasi con il rapido sviluppo dell’alpinismo, la capanna iniziò a dimostrarsi insufficiente e nel 1924 venne portato a termine un nuovo ampliamento che vede il raddoppiamento della capanna in lunghezza e l'aggiunta di due corpi laterali, uno di nuova costruzione, l’altro utilizzando la vecchia capanna del 1885. Nel 1936 un fatto eccezionale mise in serio pericolo l’integrità della capanna: la notte del 4 agosto una enorme frana, valutata in più di 200.000 metri cubi, si staccò nelle prossimità del rifugio e precipitò sul versante della valle di Ayas, raggiungendo l’Alpe di Verra superiore dopo un tragitto di più di 3 km e un dislivello di 1200 m. La frana seppellì quasi completamente l’alpeggio uccidendo 24 capi di bestiame. I tre alpigiani, che si trovavano nell'alpeggio, si salvarono per miracolo. Visto il pericolo di un ulteriore movimento franoso, che avrebbe potuto trascinare con sé la capanna, venne immediatamente disposto di arretrare la stessa in posizione più sicura, cosa che richiese oltre un mese di duro lavoro. La nuova posizione della capanna non si dimostrò ancora sicura e nel 1945, con la fine della Seconda Guerra Mondiale, si notarono altri movimenti che indussero la sezione del CAI ad effettuare un nuovo e considerevole arretramento, al fine di poggiare la struttura su di un solido banco di roccia. La capanna venne così collocata nella posizione attuale. Sistemata in un posto sicuro, la capanna continuò a fornire il suo servizio sino ai primi anni ottanta. Ormai i tempi stavano cambiando, nel 1974 viene installato dalla SIP il telefono collegato tramite un ponte radio alla rete nazionale e nel 1977 viene costruita la seggiovia che dalla frazione Stafal di Gressoney-La-Trinité raggiunge il Colle Bettaforca, dimezzando così il percorso di accesso al rifugio.

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Marco, Luigi Franco ed Enzo

Gli angioletti-1

Antonio, Roberto Gli angioletti-2 Alberto, e Franco

Il ricovero ci accoglie con il tepore del legno: quello della struttura, quello del fuoco e quello dei zoccoli valdostani, intagliati a mano. Ce ne sono abbastanza e di varie misure. Permettono di poter togliere gli scarponi e far riposare le martoriate estremità inferiori in modo naturale e confortevole. Seppur difficile da comprendere, era anche una semplice forma di igiene, tanto il freddo avrebbe in un secondo momento igienizzato tutto. Ricordo ancora, in antitesi a quanto possono offrire oggi le grandi catene dei negozi sportivi e specializzati, lʼestrema rudimentalità delle attrezzature di cui potevamo dispore, fatte di forniture militari o simili, tipo quelle che si potevano trovare a buon prezzo in via Sannio. Ho visto Don Lai salire con dei scarpini da calcio ricoperti di grasso di prosciutto (ognuno ne tragga le conseguenze). Lʼaccoglenza della baita prevedeva anche una buona tazza di brodo caldo: neve sciolta al fornello e concent rato di carne liofilizzato. Era ovviamente molto buono gradito e non poteva non essere così. A 4.000 metri non piove, nevica, anche a luglio e il tempo cominciava a non essere tanto rassicurante: dai vetri poi non si vedevano più di qualche decina di metri. Per questa volta il Castore può rimanere nella sua immensa solitudine e il Gruppo, vista lʼimpossibilità dellʼescursione dellʼindomani, si gode il tepore della capanna e gli angioletti si preparano ad una meritata notte di riposo, pronti per il ritorno. La sera, assaporata la senzazione di assoluto in un tramonto intuito e dove solo le alte cime rimangno illuminate fino allʼultimo come luci di natale, ci avvolge, dandoci un bacino, stanchi e felici.

IL GRUPPO JUNIOR GEN 91 Gruppo 3 Revisione:. 4-04-2013 15:39 Pagina 92

Rifugio Gnifetti, Punta Gnifetti, Capanna Regina Margherita

La meta. La madre di tutte le mete! Almeno per quanto riguarda noi e lʼormai famoso quinquennio, almeno per quanto riguarda il rapporto competenza/preparazione/attrezzature che il periodo ci ha permesso. E non è stato poco. Per quello che ha rappresentato è stata la felice unione di soddisfazione, tecnica, capacità e possibilità, per chi come noi, non ha potuto ripetere lʼesperienza molte altre volte negli anni che sono seguiti. Non tutti possono

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vantare una simile impresa, ed essa diventa a ragion veduta, titolo di orgoglio e momento importante di vita, per chi ha avuto la fortuna di salire fin lassù, e non certo portato praticamente in spalla come è stato concesso alla persona che le ha dato il suo regale nome: la Regina Margherita. La sua altitudine (leggi difficoltà) è ragguardevole: 4.559 mt. Si vedono aerei di linea volare più in basso, e complice la giornata che il buon Dio ci ha regalato, quel panorama di quel giorno unico, ha superato tutti quelli potuti apprezzare in precedenza. È forse lʼesperienza della gioventù, che più ricordo e più racconto con senso di soddisfazione e nostalgia. Due giorni odiati in qualche momento di umana e giovanile debolezza, ma poi amati per sempre. Ho maledetto per un attimo la scelta di aver partecipato e ringraziato invece mille volte lʼaverla potuta fare.

La Capanna Regina Margherita è un rifugio che sorge sulla vetta della punta Gnifetti nel gruppo del Monte Rosa a quota 4559 s.l.m. e costituisce uno dei più alti osservatori fissi al mondo e il più alto rifugio alpino d'Europa. Il rifugio fu deciso dall'assemblea dei soci del Club Alpino Italiano del 14 luglio 1889. La capanna, predisposta a valle, fu trasportata dapprima con i muli e poi a spalla e poi montata in vetta. La capanna fu inaugurata il 18 agosto 1893 con la presenza della regina Margherita. La costruzione era costata 17.094 lire e 55 centesimi e la tassa d'ingresso del giorno dell'inaugurazione fu fissata in una lira, versata anche dal direttore dei lavori. Demolita quella originale nel 1979, venne costruito il nuovo rifugio-laboratorio inaugurato il 30 agosto 1980. Attualmente la struttura ospita 70 posti letto.

IL GRUPPO JUNIOR GEN 93 Gruppo 3 Revisione:. 4-04-2013 15:39 Pagina 94

Monte Bianco

Gran Paradiso Monviso

Testa Grigia

Rifugio Gnifetti anni 2000

Prima giornata. Si parte!

Lʼescursione ha avuto il suo inizio come ormai siamo abituati. La modalità e la ritualità della partenza dal campo base ricalcala la liturgia consolidata. Giungiamo dopo numerose soste a pochi tornanti alla conclusione della prima giornata. Negli ultimi metri (ho detto metri) la fila indiana, con le pareti del rifugio che sembrava ormai essere raggiunto, era ormai completamente sfilacciata. Si sentivano perfettamente vicine le voci di chi era già arrivato, si doveva percorre ancora un tornante tracciato sulla neve, ma non si arrivava mai. Vedere, sentire e ancora non poter toccare. I compagni sul ballatoio non avevano neanche la forza di prendere in giro quelli che erano dietro che ancora arrancavano. Ogni passo era pesante, inefficace. Ma come la forza dei 16/17 anni sa fare, pochi minuti e già tutto quanto prima era dimenticato e si poteva farneticare sullʼimpresa di domani. Se non ci fosse stato lʼorologio a testimoniare lʼesatta ora, il tramonto a 3.647 m. si fa desiderare, e mentre nella valle in molti gia dormono protetti dallʼoscurità, lassù a tarda sera lla luce dellʼultimo sola la fa da padrone.

1970-1980 - Ricordi 94 di una piccola grande comunità Gruppo 3 Revisione:. 4-04-2013 15:39 Pagina 95

La Capanna Giovanni Gnifetti è un rifugio situato sul versante valdostano del Monte Rosa, nelle Alpi Pennine, a 3647 m s.l.m. Il primo rifugio sorto sul costone roccioso che separa il ghiacciaio del Garstelet ed il ghiacciaio del Lys era soltanto un piccolo bivacco, che fu inaugurato il 15 ottobre 1876. A quella prima costruzione, negli ultimi anni del XIX secolo, si aggiunsero nuovi locali per aumentare la capienza del rifugio; poi, nel 1907, la capanna fu completamente ricostruita, aumentando ancora di dimensioni, e, di nuovo, ulteriormente ampliata nel 1937. L'attuale struttura, che sostituì la precedente, fu costruita nel 1967, in occasione dei festeggiamenti per il centenario della fondazione della sezione Cai di Varallo. Il rifugio fu intitolato a don Giovanni Gnifetti, parroco di Alagna Valsesia e appassionato alpinista, autore della prima salita, nel 1842, su una delle più alte cime del Monte Rosa, che ora porta il suo nome (pun ta Gnifetti o Signalkuppe) e dove sorge la capanna Regina Margherita. Il rifugio dispone di 176 posti letto (12 dei quali nel locale invernale aperto tutto l'anno) ed è aperto, con servizio di pernottamento e ristorazione, da Pasqua fino a settembre. Nei pressi del rifugio sorge una cappella dedicata alla Madonna della Neve, dove ogni anno, in occasione della festa la prima domenica di agosto, viene celebrata la messa. Questa cappella è l'edificio religioso costruito all'altitudine più elevata in Europa.

Azzurra è la notte.

Azzurra è la neve.

Il freddo è blu!

serio ...si sale sul !

IL GRUPPO JUNIOR GEN 95 Gruppo 3 Revisione:. 4-04-2013 15:39 Pagina 96

Obiettivo: 4.559 mt. sul livello del mare

Abbiamo già detto della valida consetudine di partire per primi.

Quel giorno, o meglio quella notte, molte comitive, arrivate con noi, sarebbero salite, ed era meglio quindi organizzarsi prima e più comodamente per lʼascensione. Don Lai aveva dato disposizione al Capo rifugio di svegliarlo già a mezzanotte. Si erano allegeriti gli zaini o addirittura preventivato di non portarli. Lʼabbigliamento constava in: Pigiama, jeans, maglietta e maglione, giacca a vento (per me prestata da Lucia), calzette, calzettoni, passamontagna, piccozza (ero lʼultimo della fila), guanti, scarponi e ramponi (affittati dai David...). Funzionale ma... Il ballatoio si andava via via riempiendosi e al silenzio si sovrapponeva il rumore di ferraglia quasi come si fosse ad un posto cambio cavalli. Si parlava poco o niente, tutto serviva a raccogliere energie e concentrazione.

Seconda giornata. Si riparte! Don Abbà, Roberta, Leonardo e Marco con alle spalle la Punta Dofour. La meta è vicina Il colore azzurro della neve, la cui temperatura permetteva ancora di non affondare, e il rumore di quei pezzetti di ghiaccio che scivolano indietro sono la nostra compagnia. Come nella notte del Gran Paradiso è la Luna, la torcia che madre natura ci sta regalando, dando ancora una volta alla scalata il sapore del mistero. Già il percorso comincia a farsi più impegnativo e guardandosi indietro vediamo il rifugio e lo immaginiamo come una capannina del presepe, timidamente illuminata, con piccoli omini intenti a prepararsi per la nostra stessa impresa. Nel mio gruppo Don Abbà apre la cordata e fa lʼandatura, alcuni metri di corda e cʼè Roberta, poi Leonardo (sì, il futuro Don Leonardo) e quindi come detto, chiudo io. Nelle altre cordate ci sono fra gli altri, Franco, Nini, Enzo, Tommaso, Alberto, Franco M., Angelo, Mariangela, Don Lai, Marco M., Emanuela .... Il sole prima o poi riesce a superare lʼalto

1970-1980 - Ricordi 96 di una piccola grande comunità Gruppo 3 Revisione:. 4-04-2013 15:39 Pagina 97

Enzo, Franco Marco e Nini. l signore dietro di noi non è Don Abbà. anche se ci assomiglia.

La Capanna è stata un avamposto della SIP (?!?). Chissà quanto sarebbe costata una telefonata.

orizzonte ma forti di una quota ormai raggiunta, non temiamo più i crepacci. Il Liskam, ora illuminato, sembra unʼimmensa lavagna bianca, dove, disponendo di una matita gigante, poter disegnare. Preso da fondo valle riempie ogni foto e ogni cartolina, ma adesso lo ammiriamo da dietro, più alti di lui, e lʼorgoglio di questo primo traguardo, sta prevalendo sulla fatica. Strana è lʼavventura, patito il freddo e lʼinizio dellʼascensione notturna ora, complice lo splendido azzurro del cielo ed una meta che si raggiunge in un tempo non proibitivo, arriviamo alla “Margherita” quasi in scioltezza (si fa sempre per dire). Le cordate del giorno prima hanno lasciato in più punti graditi scalini ghiacciati di ottimo aiuto. La scura e austera capanna è finalmente conquistata in una giornata praticamente perfetta. Per buona parte della mattinata non cʼè stata una sola nuvola, siamo i primi e abbiamo solo un rammarico: non aver avuto un soldino per poter visitare il suo interno. Si pagava anche solo per entrare. Forse non cʼe ne era bisogno, non faceva freddo o tirava vento, anzi.

Ma chi ci sarebbe mai più tornato lì.

IL GRUPPO JUNIOR GEN 97 Gruppo 3 Revisione:. 4-04-2013 15:39 Pagina 98

Si arranca!

Si posa!

Tre ragazze tenaci e vittoriose! Roberta, Emanuela e Mariangela più in alto del Cervino

Si beve!

Si sale!

1970-1980 - Ricordi 98 di una piccola grande comunità Gruppo 3 Revisione:. 4-04-2013 15:39 Pagina 99

La seria Eppure per cieca strategia del gestore, la tassa dʼingresso preparazione! decisa fin dal giorno dellʼinaugurazione, fu veramente poco capita ed apprezzata. Poteva essere valida allʼinizio... ..E non esisteva E soprattutto potevate dirlo prima (Bar, negozi, manifesti...). l’antidoping!!! A tirare su le energie, come da borsa di Mary Poppins, insieme a qualche immancabile cioccolata, comparì una bottiglia di Latte di Suocera e ne sorseggiammo un pò a turno, dal tipico tappo lungo che allʼuopo funge da bicchierino. La mistura scivolò giù, limpida e ghiacciata, nonostante la sua fama funesta. Il felice Il Latte di suocera epilogo!! È un liquore secco alle erbe ad alta gradazione alcolica, pari a 75%vol. Viene utilizzato nella preparazione di cocktail flambé, in quanto l'elevata concentrazione di alcol lo rende facilmente infiammabile; dopo la Goccia imperiale ed il Rum stroh 80º è la bevanda con la più alta gradazione alcolica in commercio. Caratteristica l'etichetta con teschio bianco su sfondo nero che contraddistingue la bevanda. Il bizzarro nome fa riferimento al senso di bruciore che si avverte in gola in seguito all'assunzione del liquore che per analogia richiama lo stereotipo della suocera acida e poco sopportata. A quell’altezza si digeriscono bene anche le suocere.

IL GRUPPO JUNIOR GEN 99 Gruppo 3 Revisione:. 4-04-2013 15:39 Pagina 100

Cominciammo a malincuore la discesa con la neve un pò squagliata che faceva sì che ogni passo era lungo parecchi metri, si poteva tagliare qualche tornante, e si era aggiunto un pò di divertimento allʼimpegno profuso. Incappammo anche in qualche crepaccio, ma con lʼesito solo di aggiungere ancora un pò di pepe, niente di particolarmente pericoloso (o forse sì?). I più esperti hanno sempre asserito che la vera fatica della montagna sia la discesa. Di li a poco, ...la discesa stronca- caviglie nellʼeffettuare il ritorno, ne capimmo il significato. Per quanto possa ricordare, nellʼequazione Campo base - Rifugio - Vetta, e viceversa, quello per e dalla Capanna Gnifetti, è forse il percorso più lungo tra le miriadi di escursioni che si possono effettuare nel circondario e la sollecitazione per polpacci, talloni e piedi, questa volta è devastante. Nella discesa ogni passo è impegnato a frenare lʼinerzia e la gravità, e la sollecitazione dei polpacci e delle caviglie è deleteria. In quante escursioni avevamo percorso crostroni e ridisceso sentieri. Nellʼaffrontare la seconda vetta del Rosa, era la lunghezza e durata del tragitto a farla da padrone. Mosso a pietà e non previsto dal “programma”, Don Lai decise di puntare verso una Ovovia (allora prossima al "pensionamento") del Passo dei Salati, dove giungono gli impianti a fune che salgono da Gressoney. Ci risparmiammo molto percorso e fu un inatteso momento per ritemprarci. Ormai prossimi allʼarrivo, giunti sulla strada asfaltata, in parecchi procedemmo per gli ultimi metri, scalzi, e come reduci dalla Grande Guerra, accolti con gioia, dalle mamme e dalle ragazze del campo. Consuetudine forse ridicola e goliardica era, tornati da unʼescursione particolarmente stancante, quella di giocare un pò a pallone, tanto per dimostrare forma atletica e resistenza alla fatica. Oggi bisognerebbe chiamare il 118.

Una stupenda cena, e come non poteva non essere così, premiò definitivamente lʼultima grande avventura.

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La scissione

Modi di interpretare unʼadolescenza che sta per finire, scalpitii ormai diventati galoppo. La scesa in campo di Don Franco (Lever), un oratorio che cresce e raggiunge il suo massimo splendore. Questi sono alcuni degli ingredienti dello sdoppiamento del gruppo ormai aumentato per età e numero, oltre una ragionevole e possibile gestione. Una reazione fisiologica allo sviluppo dei tempi. Nasce cosi Welcame con rinnovata energia pronto però a continuare strade già felicemente percorse. Solo apparentemente un clone, e comunque senza particolari traumi, la comunità appena costituita coinvolge nuovi elementi, gestisce la messa delle 10,30 come ulteriore e gradita consuetudine e inizia o meglio perfeziona lʼattività musico-teatrale con spirito più adulto e consapevole. Non esiste più la “saletta” come punto di aggregazione, ma si concretizza lʼattività teatrale nel senso più classico del significato e si inizia anche un pregevole percorso di sperimentazione artistica. É chiaro che ormai non ci si reca più allʼoratorio a “bighellonare” ma lʼappuntamento, forse solo nel fine settimana, diventa spunto di riflessione e di approfondimento mettendo a punto quelle doti artistiche tirate fuori anni prima. Eʼ la Sala Esse a diventare, ma in fondo lo è stata fin dalle prime battute, il contenitore per quei ragazzi che vivevano lʼarte come sfogo, impegno e soddisfazione. Spettacolo "Lucio dove vai" dicembre 1979: il cast (e qualche aggregato), da sinistra in alto: Roberto N., Stefania, Valeria, Mara, Mimmo, Lucilla, Sonia, Grazia, Mario, Franchino, Carla S., Carla M., Fabrizio, Sandro R., Alessandra, Laura, Stefano T. Seduti: Franco L., Roberto P., Marco C., Tommaso N., Tonino, Sandro M., Carla T., Silvio, Stefano D., Lucia, Cristina e Patrizia...

IL GRUPPO JUNIOR GEN 101 Gruppo 3 Revisione:. 4-04-2013 15:39 Pagina 102

Rubando come ho fatto finora, qualche foto in “rete”, devo anche accettare di non ricordare o nomi o volti. Perchè quarant’anni sono passati davvero.

Rimembrate gente, rimembrate.

1970-1980 - Ricordi 102 di una piccola grande comunità Gruppo 3 Revisione:. 4-04-2013 15:39 Pagina 103

E qualcuno, figlio di questi ormai famosi dieci anni, ci è riuscito. Nella musica, nel teatro, nello sport, nello spettacolo, nella politica, nellʼimprenditoria, finanche nel mondo clericale. Eʼ inutile, e non lo voglio, fare i nomi di chi ha salito gradini un pò più alti, tutti abbiamo speso la propria esperienza, raccogliendo più o meno quello che avevamo seminato, e questa è storia di vita in generale, tutti abbiamo qualche rammarico. La fortuna ci ha seguito o meno. Lo abbiam o meritato o no. Non è compito di queste righe il commento.

Ormai grandi lo stiamo diventando davvero. Lo sdoganamento dalla fanciullezza è arrivato. Il momento dellʼaddio per qualcuno è giunto inderogabilmente. Sono le esigenze che stanno arrivando che portano ad uscire dal quel triangolo (ricordate?), che ci aveva cullato. E così abbiamo cominciato ad affacciarci nel mondo reale con timida curiosità e reverenziale timore. Per i ragazzi suona la campanella, o meglio arriva la cartolina. Quella della fidanzata dal mare? NO! Quella Rosa, arriva la Naja. Temuta, odiata, ripudiata, maledetta. Di solito il postino o il portiere è sempre stato sorridente e ammiccante, ma in quel caso nel svolgere quel compito il suo volto cupo lo si notava da parecchi metri prima, e in qualche caso voleva consegnartela lui personalmente, preparandosi qualche battuta complice, simpatica e di circostanza. Era la chiamata alle armi che significava lʼanticamera della reclusione forzata. Lʼaddio fisico e psichico del nostro tutto a quel punto sarebbe stato totale per un anno che sapeva di tempo infinito. Non credo che sarei capace di poter risopportare un tale stress. Lʼaddio a quelle piccole certezze che pian piano cercavamo di costruire: lo studio, una laurea, magari un lavoro...una ragazza. Ne hanno sempre parlato come un momento di vita importante per lo sviluppo del ragazzo, lontano da vizi, mammismi e quantʼaltro. Lancio il sasso su un qualcosa che per molti è stato un problema ma che comunque per le nuove generazioni, non esiste più, ...per ora. Per le ragazze, risparmiate dallʼevento di cui sopra, continuava un percorso scolastico o ne cominciava uno lavorativo, visto anche il vantaggio dellʼanno che i maschietti “smarrivano”, se non addirittura giungeva lʼavventura coniugale che le portava a costruire una famiglia. In ogni caso lʼoratorio diventava sempre più un ricordo e cosi la vecchia saletta cominciava ad essere, dopo averne viste tante, un pò più vuota.

... Sola Soletta! ... Sola Saletta!

IL GRUPPO JUNIOR GEN 103 Gruppo 3 Revisione:. 4-04-2013 15:39 Pagina 104

L’ “Occhio”

Il primo e unico Giornalino dellʼOratorio

Da qualche parte, in qualche scatolone impolverito, sopravvisuti in tutti questi anni a traslochi e lavori casalinghi, esistono ancora dei manoscritti e/o dattiloscritti originali di Brunella, Annamaria, Paola, Elena e tutti quei compagni di avventura che fu il giornalino dellʼoratorio che in una riunione programmatica chiamai Occhio. Scrissi anche a Maurizio Costanzo che fondò tempo dopo un quotidiano con egual nome, ma non mi si filò. Minipress, organo invece della Parrocchia ha avuto altri padri protettori e altre storie. Occhio, uno “sguardo sul quartiere” (questo era il suo slogan), visto e reinterpretato con gli occhi di un gruppo di ragazzi, un piccolo reportage sul quel mondo di allora e che ci ha visto impegnatissimi per qualche tempo, mettendo in pratica attitudini e studi che parallelamente stavamo compiendo nel percorso scolastico. Comitati di redazione, riunioni, scaletta degli articoli, con lʼaiuto di Peppe che allʼAteneo gestiva un qualcosa a metà tra copisteria e tipografia, ogni mese riuscivamo a stampare qualche centinaio di copie di circa 20/24 pagine per la distribuzione che avveniva la domenica mattina dopo le varie messe.

La realizzazione tecnica avveniva componendo a mano e a macchina da scrivere i vari pezzi su carta A/4, incollando perfino foto e disegni.

L’atrio dell’Ateneo Salesiano dove si sistemavano i banchetti per la vendita di Occhio. Le scale in fondo portavano alla Chiesa Madre, che ora ha lasciato il posto ad un’aula magna.

1970-1980 - Ricordi 104 di una piccola grande comunità Gruppo 3 Revisione:. 4-04-2013 15:39 Pagina 105

Deciso il numero di pagine e la numerazione delle stesse, portavamo lʼoriginale nella stamperia dellʼUPS. Questo reparto forniva tutto il supporto cartaceo agli universitari come ausilio ai loro studi (appunti, tesi, ricerche). Il processo avveniva a mezzo di fotocopie, punto metallico e copertina di carta colorata, insomma lʼallestimento. Veramente il medioevo della tecnica della stampa. Per la tiratura dovevamo pagare un piccolo costo, almeno per supplire alle spese. Per far fronte a questo, unitamente alle entrate della vendita delle copie, avevamo cercato il contributo di alcuni sponsor trovati nelle piccole attività commerciali di Via Cocco Ortu e Piazza dellʼAteneo. Configurandosi anche come piccolo bollettino dellʼattività oratoriana, Occhio subito destò partecipata adesione. Per ognuno era come comporre un compito in classe, ma con lʼeccitante illusione di essere giornalisti, e si sviluppava spirito di osservazione, critica, capacità di analisi e composizione scritta dei fatti. Come detto la domenica mattina i fedeli erano simpatico/discretamente presi dʼassalto e si dava luogo alla distribuzione. Dopo unʼonesta fatica, le copie venivano quasi tutte vendute, anche e sopratutto con lʼausilio delle sorelline minori dei redattori, che destavano ulteriore simpatia. Il motivo della fine di questa esperienza è stato proprio il suo successo.

La simpatica vecchietta che acquistava con gioia il mensilino e avendo in cuor suo già deciso lʼammontare di quella che pensava essere lʼelemosina domenicale, distraeva verso di noi il suo prezioso piccolo gruzzolo, abbandonando il cestino di vimini, che durante lʼoffertorio, avrebbe significato il vero contributo come obolo per la messa e quindi per la parrocchia, che di quello ne faceva unʼimportante risorsa. Vani furono i tentativi di spiegazione ai parrocchiani, confusi (?) tra offerta e lʼacquistoi d un prodotto oratoriano. La matematica non lasciava il posto allʼinterpretazione, per cui tanto statisticamente mancava quella domenica nelle “entrate” della Parrocchia, tanto, quella domenica, entrava nelle nostre casse. Per noi sia chiaro non era, e ovviamente non è stato, un guadagno personale. Forse non ci è scappata neanche una pizza. Si passò quindi dallʼavviso che il sacerdote faceva dal pulpito per pubblicizzare il nostro lavoro, al dictat avverso che il parroco ci fece intimandoci la conclusione di quellʼattività che tanto particolare e avvincente era stata.

Ci piegammo con rammarico alla Ragion di Stato.

IL GRUPPO JUNIOR GEN 105 Gruppo 3 Revisione:. 4-04-2013 15:39 Pagina 106

10 anni, 120 mesi, 3.650 giorni

1970-1980: la macchina del tempo stile Ritorno al futuro ci ha riportato con queste pagine in quei momenti. Chissa quanto immaginavamo sarebbero stati lunghi i tre anni della scuola media o peggio i 5 anni delle superiori. E ora che ne sono passati 40? Sono volati. Presi con le mani sono granelli di sabbia che quando pensi di averli in pugno, scivolano via veloci e inesorabili, cerchi di trattenerli e ti ritrovi il palmo vuoto con appena qualche microscopico sassolino. Se ripensi a quei dieci anni, scopri che sia già ora di un triste consuntivo finale. Se non rimembri puoi immaginare che quello che hai vissuto sia valso niente. Se racconti, rompi a chi ti ascolta, se non racconti pensi non aver dato importanza allʼavvenuto. Sì, indietro non si torna, ma si vive anche grazie alle illusioni (o così ci dicevano a scuola), ed è vero pure che il ricordo alimenta il pesente. E nonostante si pensi al contrario, lo fa in positivo, lenendo un pò quello che di brutto potrebbe essere capitato, trasmettendoci senzazioni positive che ci aiutano a vivere meglio la giornata attuale. Grazie a chi o cosa ci abbia permesso di aver vissuto in un modo migliore quellʼepoca quasi drammatica (e oggi?). Il Liceo Archimede. Tanti di noi hanno salito quelle scale, riempito quelle aule, dando vita ad un plesso scolastico che è ricordato da molti nel bene e nel male. Altre scuole e altre storie hanno visto il Gruppo coinvolto in simili vicende.

1970-1980 - Ricordi 106 di una piccola grande comunità Gruppo 3 Revisione:. 4-04-2013 15:39 Pagina 107

La senzazione sembra essere, che tutto si sia svolto apparentemente per caso, forse seguendo invece un filo già teso, ben delineato e con un capo e una coda. Il mio più grande rammarico è quello di non aver potuto far vivere a miei figli anche solo una piccola parte ciò che tutto questo è stato per me. Non certo per mia volontà. Hanno tanto di tante cose, diverse, le chiamavamo futuristiche. Hanno libertà e sdoganamenti che noi neanche immaginavamo e non sanno che farsene. Non tutti certo, ma è una gioventù che sta sprecando. Avevamo poco e sognavamo tutto e raggiungevamo un buon livello di serenità. Si faceva la fila per una gazzosa e un laccio di liquirizia. Avere la tessera “Intera rete” era come possedere le chiavi Ci andavamo in due! Il primo che ride lo meno. della città. Non cʼera lʼHappy Hour”, per poter frequentare i campeggi facevamo interi pomeriggi di raccolta carta che gli abitanti del quartiere ci donavano volentieri. Imparavamo a guidare il motorino con quello prestato dallʼamico più fortunato, magari contribuendo con ʻna piotta de miscela ar 2%. Come Roberta mi ha ricordato, fuori dalla “saletta” eravamo in guerra! Quasi un assassinio al giorno, la maggior parte qui a Roma, e magari vicino a noi se non addirittura nella nostra scuola. Obiettivi politici di primo, primissimo spessore istituzionale, e poi Forze dellʼordine, Attivisti, Sindacalisti, Giornalisti, Studenti. Se ripenso che questi Piccoli ricordi si sovrascrivono come accennato nelle prime pagine, a quelli degli anni di piombo, mi vengono i brividi. Coinvolti volutamente o inconspevolmente nelle lotte di quei giorni, al riparo del Gruppo eravamo protetti. Qualcuno ci ha tacciato di qualunquismo e di mancata presa di posizione. Ma invece la posizione era presa. E forse quella scelta non era la strada più semplice e popolare da perseguire. In molti rifiutavamo i cortei sfascianegozi e le assemblee dallʼaria resa irrespirabile dai cannoni. Non erafacile . Sembra cronaca di oggi. Non era superficialità, era lʼallontanamento dalla violenza perpetrata anche da chi ne predicava il rifiuto. Preferire il suonare a Messa o una partita di pallone al campo dei muratori (e si intende le cose avevano peso e importanza differenti), piuttosto che lanciare sampietrini ai celerini, veniva considerato un tradimento. Dovevi per forza schierarti e tirare selciate e picchiare (o essere picchiato).

IL GRUPPO JUNIOR GEN 107 Gruppo 3 Revisione:. 4-04-2013 15:39 Pagina 108

Lasciatemelo dire, nella speranza che ognuno di noi abbia sviluppato una coscenza, seguendo convinzioni e aspettative frutto della propria esperienza, ho visto quei “lanciatori” rispondere allʼobbligo militare ...nei Carabinieri (fino al giorno prima il nemico da uccidere!), e prendersi 1.500,000 di lire al mese (pecunia non olet...), e poi farsi raccomandare per stare dietro uno sportello bancario con il posto fisso e 13/14 stipendi sicuri allʼanno. Ottimi obiettivi per carità, ma che diventano miseri se pagati con tali prezzi e con tali contraddizioni. Sister Le Medaglia commemorativa – Altro che le Carluci , Pivetti o Rodriguez – in argento raffigurante il biglietto del Papa dalla Stazione Trastevere allo Scalo merci Salario

XXI Giornata del ferroviere (8 novembre 1979) Omelia di Sua Santità GIOVANNI PAOLO II

“ Essere presente in questo luogo, a questo incontro insieme con voi, come amico e come padre, nella “Giornata” a voi dedicata, è circostanza che io iscrivo tra le più importanti del mio ministero pastorale. È per tale ragione che tanto sentita e viva è la mia riconoscenza a tutti voi, dirigenti, impiegati e operai, che mi avete invitato ad una cerimonia così significativa e ricca di sentimenti umani e sociali ” Fummo chiamati ad accompagnare musicalmente la Messa per i ferrovieri in una festa, officiata da un Pontefice operaio che sarebbe passato alla storia, in un capannone di fronte all’aeroporto dell’Urbe, allestito in pompa magna per l’occasione. Una stupenda locomotiva d’epoca, di quelle nere, a carbone e tirata a lucido, coronava l’altare. Fui chiamato ad aiutare il servizio d’ordine ancora non severo ed imponente (l’attentato del maggio ‘81 era oltre modo lontano). Abbiamo suonato e cantato con il freno a mano, vicini, veramente vicini a Sua Santità come non lo saremmo mai più stati. Forse anche allora non totalmente consapevoli dell’importanza di ciò che stava avvenendo. Lasciai ad un incredulo ferroviere il mio posto riservato per la Comunione (presa direttamente dal Santo Padre) come se potessero capitare ancora di queste occasioni. Al momento dell’ostensione del Santissimo, Papa Wojtyla lo mostrò in avanti e ai lati, all’assemblea dei fedeli e ...scorgendomi con la coda dell’occhio, da solo, alle sue spalle dove ero stato posto, lo mostrò anche a me, personalmente, come dovuto e voluto gesto di rispetto! Mi sono sentito piccolo, peccatore, non degno di tanto onore ...ma pieno di felicità.

1970-1980 - Ricordi 108 di una piccola grande comunità Gruppo 3 Revisione:. 4-04-2013 15:39 Pagina 109

misteriosi I Belli!

– Per finire in bellezza –

molto belli o quasi!

moltissimo belli

pulci?

o quasi!

pensierosi molto belli

IL GRUPPO JUNIOR GEN 109 Gruppo 3 Revisione:. 4-04-2013 15:39 Pagina 110

Le Lavanderine Le Stelle alpine

Le Le Sirenette Belle!

– Occhio all’intruso –

Le Apparecchine

Le Sorrisine

Le Apine

1970-1980 - Ricordi 110 di una piccola grande comunità Gruppo 3 Revisione:. 4-04-2013 15:39 Pagina 111

Il saluto e l’arrivederci!

Se non sapevo come sarebbe andata a finire questa avventura, ora non so come concluderla. Chissà quanti leggeranno queste pagine, chissà quanti diranno: io cʼero, io non cʼero, ma davvero? Chissa se penseranno: ma questo non lo ricordavo. Chissà quanti avrebbero tolto o aggiunto qualcosa. Chissà. Vorrei lanciare qualche frase o pensiero di effetto, ma una dose di modestia mi avvisa di rimanere entro i binari certi che il libro voleva e doveva avere. Già ho preteso troppo. 1970-1980- Ricordi di una Piccola Grande Comunità: solo un momento di riflessione, un riaffioramento di sensazioni prima che tutto ritorni nei cassetti, quelli dellʼanimo e quelli dellʼarmadio di casa.

Magari per essere rispolverati una volta lʼanno, finché avremo la possibilità e la voglia di passare una giornata insieme. Un momento di riflessione, una tiella al polpo, della pasta fredda, una crostata, un bicchiere di vino, tanto per rimanere in argomento.

Una sola giornata che ora però dura quarantʼanni. arco

IL GRUPPO 111 MJUNIOR GEN Gruppo 3 Revisione:. 4-04-2013 15:39 Pagina 112

è Grafico Editoriale e Pubblicitario dal 1980. Marco Deve la sua esperienza e maturazione specifica del settore, in seguito alle prime attività dilettantistiche che hanno avuto inizio proprio all’oratorio e che lo hanno spinto a continuare quel percorso. Il desiderio di imparare sul campo un lavoro affascinante, lo ha portato ad apprendere tutti i più diversi processi del mondo della comunicazione e della stampa, arricchendo e perfezionando, di volta in volta, il proprio know how: l’ideazione teorica, la progettazione tecnica, la realizzazione pratica. Dal 1987 segue per un’importante Casa Editrice prodotti editoriali di taglio tecnico-professionale di elevato interesse nazionale ed europeo. Ha ideato Corporate Logo, Coordinati aziendali, Slogan, House Organ, Magazine Layout, e Studi per l’immagine e la comunicazione del professionista, dell’azienda, e delle sue attività.

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1970-1980 Ricordi di una Piccola Grande Comunità ILGRUPPO Junior Gen

Il libro è stato stampato con processo digitale nell’Aprile del 2013

1970-1980 - Ricordi 112 di una piccola grande comunità