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UN’OASI LA SUA CULLA 40 Si erge isolato il . Il mio parco, come lo indicava Federico II di Svevia, è riconosci- bile per il suo alto e ondulato profilo. Un’interruzione maestosa per chi vi giunge dalla piatta Apulia. Colpì anche chi, molti seco- li fa, non avrebbe potuto sospettare le straordinarie naturalità che lo resero in seguito unico. Solo nella seconda metà del Settecento, l’abate Domenico Tata, docente presso l’ateneo napoletano, riconobbe la natura vulcanica del Monte. Tale scoperta segnò l’avvio di un susseguirsi di studi di tipo geologico e vulcanologico, precedenti a quelli botanici, zoologici ed entomologici. Un altro abate dell’ordine degli Scolopi visse per lungo tempo a Monticchio agli inizi dell’800, padre Ferdinando Paolino Torto- rella di Matera. Appassionato naturalista e geologo, durante gli anni di permanenza presso la Badia di San Michele costituì un prezioso riferimento locale per i primi studiosi e ricercatori che si avventurarono nel Vulture10. Egli stesso, come ci ricorda Raffaele Nigro, “correva dietro ad ogni sorta di insetti, volava dietro le far- falle occhineri, coglieva erbe brutte e buone che conservava in sca- tole di legno”11. Durante gli anni successivi al 1810, abbozzò una memoria geo-

10 Settembrino G. 1995 – Il e la nuova scienza. Radici, , 16:171-224. 11 I fuochi del Basento, Biblioteca Universale Rizzoli, 1988.

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logica rimasta manoscritta e inedita. Le osservazioni, in essa riportate, risultarono in accordo con le conclusioni scaturite dagli studi geologici di Giuseppe De Lorenzo, effettuati molto dopo e prima di conoscere il lavoro del Tortorella. Il religioso materano descrisse con grande esattezza la composizione geologica dell’a- rea, salvo l’errore di localizzare sulla sommità della montagna i due antichi crateri vulcanici. Nell’estate del 1838 giunsero in quest’area della , per una veloce escursione botanica, il direttore dei Giardini Reali di Caserta, Giovanni Gussone, e il direttore del Real Orto Botanico di Napoli, Michele Tenore. Nei due piccoli laghi crateriformi di Monticchio, molto pescosi e ricchi di anguille e tinche, rinvennero una specie ittica nuova, cui diedero il nome di Ciprino del Vulture. Nello stesso anno, Oronzo Gabriele Costa, professore di Zoo- logia nell’Università di Napoli e direttore del Museo di Zoologia annesso alla stessa cattedra, che fu di Giosué Sangiovanni, allievo di Jean-Baptiste de Lamark e di Georges Cuvier, descrisse la spe- cie per la quale scelse il nome Alburnus vulturius12 13. Successivamente e durante gli anni di reazione al nuovo Stato e di brigantaggio, i viaggi divennero più difficoltosi. Nei boschi di Lagopesole e del Vulture fino all’Ofanto, uomini senza scrupoli operavano a loro arbitrio, e imboscate, violenze e rapine erano un pericolo costante per chi si avventurava in questi luoghi14 15.

12 Costa O. G. 1838 – Fauna Napoletana. Fasc. XXI, fig. XV, tav. V. 13 Attualmente l’alborella vulturina ha un nuovo nome, Alburnus albidus. 14 Monnier M. 1987 – Brigantaggio: storia e storie. Edizioni Osanna Venosa. 15 Nei pressi di Grotticelle un’area, ancor oggi, viene denominata l’albero o la quercia di Crocco, dal soprannome del Generale Carmine Donatelli, capo brigante di Rionero in Vulture, proclamatosi nel 1861 comandante di tutte le truppe del re Ferdinando II di Borbone. La quercia non c’è più, ma a sentire la leggenda sarebbe stata così grande che una cavità nel tronco ospitava il brigante in groppa al suo cavallo durante le imboscate.

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Una volta debellato il brigantaggio, Nicola Terracciano vi giun- se per la prima volta nel 1869. Effettuò lunghe erborizzazioni16, inventariando circa mille specie riportate nella assai preziosa pubblicazione Florae Vulturis Synopsis17. Subito dopo ai puri interessi scientifici si affiancarono quelli economici di molti uomini d’affari, referenti di società italiane e straniere interessate ai finanziamenti pubblici messi a disposizio- ne dal governo nazionale per la realizzazione della rete ferrovia- ria che avrebbe unificato il Paese. È in questo periodo che la foresta di Monticchio, estesa oltre cinquemila ettari, diviene oggetto di sfruttamento da parte di una società franco-svizzera, convenzionata con lo Stato Italiano per eseguire la costruzione della tratta ferroviaria locale Candela - Santa Venere18. Così per la necessaria produzione di traverse in legno, nel corso della seconda metà dell’800, i boschi subirono una riduzione della loro superficie, fino all’estensione di poco oltre duemila ettari. A terra finirono anche faggi secolari, ricordati in letteratura per la loro maestosità. Seguirono molti altri viaggi intrapresi per motivi di ricerca e di studio. Nel 1880 arrivarono a Monticchio e sul Vulture gli zoologi fio- rentini Cavanna e Caroti, oltre al botanico Biondi. Nei loro diari segnalarono la presenza delle lontre lungo le sponde dei laghi. Di notte dalle loro tende le udivano schiamazzare mentre, nelle

16 Raccolte di campioni vegetali di un particolare sito, finalizzate alla realizzazione di un inventario delle specie di piante presenti. 17 Un originale dell’opera si trova nella Biblioteca Comunale “G. Fortunato” di Rionero in Vulture. 18 Il 23 gennaio 1872 il Governo cedette il bosco di Monticchio al Credit Foncier Suisse di Parigi per la somma di 6 milioni e 340 mila lire.

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acque basse in vicinanza delle rive, sguazzavano, come in un gioco, in caccia di preda. Dal 9 agosto 1892, giorno d’inaugurazione della tratta ferrovia- ria Rocchetta–Rionero, i nuovi mezzi di trasporto aprirono la stra- da, anche in queste contrade, a molti turisti ed escursionisti. Il loro crescente interesse finì per condizionare non poco lo sviluppo eco- nomico di quest’area. Nonostante le trasformazioni subite dal Vulture e dal suo pae- saggio, specialmente durante i primi decenni del Novecento, l’interesse per le sue peculiarità ecologiche non si è mai sopito. Ancor oggi, studiosi ecologi e ambientalisti ne sono attratti. L’antico cono vulcanico appare al visitatore come una grande fortificazione, isolata da pianure coltivate e da insediamenti urba- ni e industriali. Una fortezza che sembra ergersi tutt’intorno per costituire una difesa per gli interpreti e i testimoni superstiti della sua storia. Uno di essi, forse il più prezioso, è confinato tra i valloni Ciraso e Refezzella. L’area, riportata sulle carte geografiche come Il Castello, è la collinetta di “Grotticelle”, degradante fino a lambire il serpentino corso del fiume Ofanto, confine con la Campania19. Dà protezione, come una culla, a ciò che è più caro e prezioso: il dono di una specie antica e il suo mistero.

19 Il Casale e il Castello di Monticchio sono lontani da quello che oggi viene conosciuto come Monticchio, il luogo dove sorge l’Abbazia di San Michele. In realtà il vero Monticchio è il cocuzzolo della collina di Grotticelle, in località "Sgarroni" a Rionero in Vulture. I resti del castello sono visibili dopo aver raggiunto la sommità della collina e rappresentano una serie di fortificazioni poste a difesa del Vulture sin dall’età prenormanna. Del castello vero e proprio, solo tre ambienti sono oggi riconoscibili, a pianta pseudoquadrata, ricoperti da una folta vegetazione costituita da querce, aceri e biancospini. Al di sotto di un distrutto piano di calpestio, è visibile una cisterna con pareti realizzate in conci. Nei pochi resti della struttura muraria emergente, si conserva un arco acuto risalente al XII secolo (Pierfrancesco Rescio, Archeologia e Storia dei castelli di Basilicata e Puglia, Consiglio Regionale della Basilicata, 1999).

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Grotticelle, nel territorio di Rionero in Vulture. Nel contorno sono riconoscibili le sagome dei cipressi in fila, un sentiero che porta fin sopra al Castello.

Scrigno di pace e oasi naturale. Come folta cornice a sorgenti limpide d’acque minerali e ad alberi centenari, rimangono ancor oggi boschi naturali misti, di lussureggiante e variopinta vegeta- zione, assai suggestivi. Compongono un paesaggio inconsueto, riconoscibile spontaneamente anche da chi non è avvezzo a gira- re per boschi. All’ostentata vegetazione è associata una più discreta comu- nità animale. Con pregevoli altri testimoni, nel Vulture la bramea è in bella compagnia: il nibbio reale, la lontra, il gatto selvatico e numerosi altri, che ritrovano fiato in quest’oasi. Ma in passato la fauna doveva essere ancor più ricca. Il venosino Orazio ci ricorda come da questa provincia romana provenissero molti degli orsi utilizzati durante gli spettacoli nei circhi di Roma (Odi, 3, 4, vv 9-19).

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ME FABULOSAE VOLTURE IN APULO SUL VULTURE D’APULIA SFUGGITO

ALTRICIS EXTRA LIMINA PULLIAE AL CONTROLLO DI PULLIA, MIA NUTRICE,

LUDO FATIGATUMQUE SOMNO E SOMMERSO DAL SONNO DOPO IL GIOCO,

FRONDE NOVA PUERUM PALUMBES COLOMBE MISTERIOSE MI RICOPERSERO,

TEXERE, MIRUM QUOD FORET OMNIBUS FANCIULLO DI FRONDE NOVELLE

QUICUMQUE CELSAE NIDUM ACERUNTIAE E GLI ESSERI, CHE IN CIMA ALL’ACERENZA,

SALTUSQUE BANTINOS ET ARVUM NEI BOSCHI BANTINI O NELLA PIANURA FERTILE

PINGUE TENENT HUMILIS FORENTI, DELLA BASSA FORENZA HANNO IL NIDO,

UT TUTO AB ATRIS CORPORE VIPERIS SI MERAVIGLIAVANO CHE IO DORMISSI

DORMIREM ET URSIS, UT PREMERER SACRA PROTETTO DALLE VIPERE NERE E DAGLI ORSI,

LAUROQUE CONLATAQUE MYRTO,… COPERTO DA TASSI D’ALLORO SACRO E MIRTO…

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Grotticelle. Il Lago Piccolo, più lontano il Lago Grande.