Città Unione di Torino Musicale Assessorato per la Cultura

lunedì 17 settembre 1984, ore 16 San Francesco d’Assisi

Angelo Stefanato,violino Dino Asciolla,

Rocco Filippini, violoncello Franco P etracchi,contrabbasso

M argaret B arton,pianoforte

SETTEMBRE MUSICA 1

Angelo Stefanato,nato a Venezia, è stato allievo del violinista ceco- slovacco Vàsa Prihoda. Ha suonato con il Quintetto Chigiano e cor i Virtuosi di Roma. È primo violino solista dell’ Sinfonie; dell’Accademia di Santa Cecilia e professore al Conservatorio di Roma. Suona un Guadagnini del 1771.

Dino Asciolla, nato a Roma, ha fatto parte di famosi complessi tra i quali I Virtuosi di Roma, I Musici, il Quintetto Chigiano e il Quartetto Italiano. Già professore nei Conservatori di Bari, Bologna, l’Aquila Roma e Firenze è accademico di Santa Cecilia. Suona una viola Maggini del 1600.

Rocco Filippini, nato a Lugano, ha studiato violoncello con Pierre Fournier e ha esordito come concertista nel 1964 vincendo il Concorso Internazionale di Ginevra. Insegna dal 1979 al Conservatorio di Mila­ no. È stato primo violoncello solista dell’Accademia di Santa Cecilie', a Roma e dell'Orchestra Filarmonica di Milano. Appassionato di liute ria classica, possiede uno dei più pregiati violoncelli di Antonio Stradi­ vari, il «Gore-Botti» del 1710.

Franco Petracchiè nato a Pistoia da una famiglia di musicisti. Prima di dedicarsi al contrabbasso ha studiato pianoforte, tromba e batteria. Ha suonato con Bruno Walter, Léonard Bernstein, Herbert von Kara- jan, Sergiu Celibidache. Allievo per la direzione d'orchestra di Franco Ferrara svolge attività di­ dattica alla Scuola di Musica di Fiesole, al Campus di Sermoneta e all’Accademia Chigiana di Siena.

Margaret Barton,australiana di nascita, si è diplomata in pianoforte a soli 16 anni. Si è in seguito perfezionata in Inghilterra dove nel 1955 ha vinto il Primo Premio assoluto dell’Accademia Reale di Londra e la nomina onoraria a Professore dell’Accademia stessa. È stata per molto tempo presente come solista nei concerti radio-tele­ visivi della B.B.C. britannica, diretti da John Barbirolli. (1792-1868) )uetto in re maggiore >er violoncello e contrabbasso Allegro Andante molto Allegro

Alessandro Rolla (1757-1841 ) Duetto in do maggiore perviolinoeviola Allegro Andante Tema di Caraffa. Andantino Rondò. Presto

Giovanni Bottesini (1821-1889) Gran Duo concertante per violino, contrabbasso e pianoforte

Franz Schubert (1797-1828) Quintetto in la maggiore per violino, viola, violoncello, contrabbasso e pianoforte op. 114 (La trota) Allegro vivace Andante Scherzo. Presto Thema. Andantino-Var. I-IV-Allegretto Finale. Allegro giusto Gioachino Rossini, Duetto in re maggiore per violoncello e contrabbasso

Nel 1824 Rossini accolse l’Insistente invito dell’impresario del King’s Theater che lo voleva a Londra, dove i musicisti italiani avevano trovato ottima accoglienza, per allestire qualche suo nuovo lavoro teatrale. Lo scopo operistico del viaggio di Rossini non andò in porto per il fallimento del tea­ tro, ma il musicista ebbe modo di introdursi, festeggiatissi- mo, nei salotti londinesi. Conobbe tra gli altri David Salo- mons, membro di una famiglia di banchieri della capitale e violoncellista dilettante, il quale gli commissionò il Duetto per violoncello e contrabbasso (che recita nella dedica: «Rossini al suo amico Salomons». Londra li 20 luglio 1824), pagandolo cinquanta sterline; Salomons stesso avrebbe poi eseguito la composizione con il celebre con­ trabbassista Domenico Dragonetti, il quale dal 1794 aveva conquistato la capitale inglese entusiasmando ¡I pubblico con le risorse tecniche ed espressive del suo strumento. Il Duetto, In re maggiore, è in fondo erede delle celebri So­ nate a quattro (due violini, violoncello e contrabbasso), scritte da Rossini nel 1804 a Ravenna mentre era ospite del contrabbassista Agostino Triossi; ne ricalca infatti l’impo­ stazione sonatistica in tre movimenti e la disinvolta chiarez­ za di scrittura. Rimane però ancora qui da segnalare il raffi­ nato umorismo con cui vengono accostati I due strumenti gravi, che si «inseguono» nei movimenti estremi, ripetendo alternativamente le stesse frasi melodiche o le figure di ac­ compagnamento (proponendo a volte, come nel finale dell’Allegro conclusivo, formule tipiche della scrittura operi­ stica rossiniana), e offrendo una divertente versione del liri­ smo nell’Andante molto centrale, anche con il ricorso all’uso espressivo del .

Alessandro Rolla, Duetto in do maggiore per violino e viola

Quel poco di diffusione che ha oggi il nome di Alessandro Rolla è frutto più che altro di fama riflessa: lo si ricorda infatti per aver -forse - dato lezione per qualche tempo a Pagani­ ni, mentre era prima viola nella Cappella ducale di Parma, e per essere stato l’unico membro dissenziente nella com­ missione del Conservatorio milanese che si «macchiò» della celebre esclusione del giovane Verdi. Dopo il periodo parmense Rolla aveva infatti scelto come luogo di attività Milano, dove le sue esibizioni alla viola incontrarono parti- ilare successo, e dove venne nominato nel 1802 direttore dell’Orchestra del Teatro alla Scala. Quando poi, insedia- isi come viceré dell’impero napoleonico Eugène Beau- irnais nel capoluogo lombardo, venne fondato il Conser- itorio (1808) secondo il modello francese, Rolla venne liamato alla cattedra di violino e viola, che poi mantenne ino al 1835. . parte il generico merito che gli viene universalmente rico- losciuto di aver portato la viola sullo stesso piano del violi­ lo (tanto come tecnica che come «ruolo» dello strumento, ¿rima ancora di Paganini), Rolla ha dato un contributo non rascurabile alla formazione di quell’originale linguaggio nusicale che è stato coltivato dagli strumentisti italiani nel ^ecolo scorso. Certo anche il Duetto in do maggiore, terzo idei tre dedicati al duca Visconti di Modrone, quindicesima opera pubblicata, ha nell’articolazione e nei procedimenti molto del linguaggio comune del primo Ottocento di deriva­ zione classica; si possono però notare la felice commistio­ ne tra stile operistico e forma- nell'Allegro, e il rap­ porto tra tecnica ed espressione nel Rondò finale. Nella zona centrale, dopo un Andante di 8 battute in funzione di transizione, segue l 'Andantino con tre variazioni e coda ba­ sato sul Tema di Caraffa (sic!). Si tratta dell’aria «Oh cara memoria» del melodramma semiserio Adele di Lusignano che l’operista napoletano Michele Enrico Carata de Colo- brano aveva composto sul libretto di Felice Romani, e che proprio Rolla aveva tenuto a battesimo, dirigendone la «pri­ ma» scaligera dell’autunno 1817. Un’aria certamente in voga ed apprezzata dal pubblico, se Rolla stesso ne fece ancora uso per un Divertimento in la maggiore e nell Intro­ duzione, Adagio e Tema con variazioni in la minore per vio­ lino e orchestra.

¡¡iovanni Bottesìni, àran Duo concertante cerviolino, contrabbasso ! pianoforte

Alla continuità della tradizione strumentale della musica italiana contribuirono nel secolo scorso grandi esecutori come Giovanni Bottesìni, il quale, oltre all’attività di diretto­ re e organizzatore musicale, deve giustamente la sua fama alle strabilianti capacità virtuosistiche di cui era dotato sul contrabbasso, e che — riferiscono le cronache — erano in grado di entusiasmare il pubblico che assisteva alle sue esibizioni quanto il più celebrato interprete vocale. Influenzato dal repertorio operistico, Bottesini ha lasciato numerose composizioni in cui si fronteggiano il più grave ed il più acuto degli strumenti ad arco, quasi desiderasse mostrare le analoghe possibilità del contrabbasso, e forse non immemore dei suoi trascorsi violinistici (era stato in­ stradato alla musica su questo strumento da uno zio prete). Esempio di rilievo ne è il Gran Duo concertante, concepito con accompagnamento d'orchestra o di pianoforte, dove tutte le possibili risorse degli strumenti ad arco sono rese manifeste in un fuoco d’artificio di tecnica esecutiva. Dopo una frase iniziale introduttiva ( Allegro maestoso ) i due stru­ menti si arrampicano alternativamente per vertiginose sca­ lette in una sorta di recitativo; segue poi un episodio in 6/8 (Cantabile ), con il tema prima al violino e poi al contrabbas­ so, sottoposto a ritornello con arpeggi rapidissimi ed estesi verso l’acuto dello strumento costituzionalmente più grave. Ancora una ripresa della frase iniziale, che funge da sepa­ razione con la parte finale, proiettata verso la brillante con - clusione dalla nutrita serie di espedienti tecnici che Bottesi­ ni ha inserito, veramente «alla Paganini», nella sua compc ■ sizione.

Franz Schubert, Quintetto in la maggiore op. 114 (Latrata)

Nel luglio 1819 Franz Schubert accettò l’invito dell’amico Michael Vogl (che sarebbe divenuto in seguito il principali! interprete dei suoi L ieder ed un vero apostolo della sua arte), libero in quel periodo dagli impegni del teatro d’ope ra, per recarsi a Steyr, paese natale del cantante, nell’alta Austria. Qui, tra le altre, i due frequentarono spesso la casa di Sylvester Paumgartner, proprietario di una miniera, suo natore dilettante di strumenti a fiato e di violoncello, nume tutelare della vita musicale cittadina. È facile immaginare quali deliziosi intrattenimenti musicali siano fioriti in quell’estate, quali «schubertiadi» abbiano riunito allegra mente suonatori per vero diletto nella gioia di far musica. Questo periodo felice ebbe un prolungamento compositivo al ritorno di Schubert a con il Quintetto in la maggio­ re per pianoforte, violino, viola, violoncello e contrabbasso abbozzato forse durante la vacanza ma sicuramente com­ pletato al rientro-in città, e poi pubblicato postumo da Jo­ seph Czerny nel 1829 come op. 114, forse la più celebre delle composizioni cameristiche di Schubert. Quest'opera venne composta, si può dire, nel segno dell'amicizia con Paumgartner, il quale si era entusiasmato durante gli intrattenimenti di Steyr per il Lied Die Foretie (La iota), sulla melodia del quale è basato il quarto movimento del Quintetto, e dal quale l’opera stessa trae il suo sopran­ nome. L'organico inusuale (contrabbasso al posto del se­ condo violino) è probabilmente motivabile con la passione violoncellistica di Paumgartner: il contrabbasso può tarsi carico, ove occorra, delle funzioni del basso d armonia, la­ sciando al violoncello la possibilità di divenire protagonista melodico. L’esordio dell'Allegro vivace è di quella semplicità destina­ ta a stamparsi nella memoria: un arpeggio ascendente al pianoforte, in ottave nelle due mani, con note di partenza e di arrivo separate da due terzine; il tema, prima solo ac­ cennato dagli archi, è poi presentato apertamente dal violi­ no sul sostegno mormorante di viola e , mentre il con­ trabbasso segna l’armonia e il pianoforte ripropone la sua «sigla» iniziale (sempre in ottave, ed è una figurazione tipi­ ca di tutto il Quintetto, in modo da porre anche fonicamente alla pari lo strumento a tastiera con gli archi). Dopo un pul­ lulare di idee e di modificazioni del materiale già presenta­ to, il primo tempo lascia il posto al lirico Andante, molto den­ so armonicamente, tripartito, e caratterizzato nel ritmo da una figura puntata estratta dal movimento precedente. Il vi­ goroso Scherzo comprende un Trio in re maggiore che pre­ para l’arrivo dell’Ancfantino: qui, dagli archi soli, vengono esposte le due sezioni della melodia (semplificata e tra­ sportata da re bemolle a re) del Lied Die Forelle (D. 550) che tanto era piaciuto a Paumgartner; seguono quindi le variazioni, in cui il tema passa in tutti gli strumenti. Inizia il pianoforte, con il rincorrersi di terzine tra violino e violoncel­ lo nell’accompagnamento della prima sezione ed i trilli acu­ ti, sempre del violino, nella seconda; è quindi la volta di vio­ la e cello nella seconda variazione, e cello e contrabbasso nella terza, mentre il pianoforte intesse una rapidissima tri­ na d’accompagnamento. Dopo che la quarta variazione ha acquistato un che di tragico dalla tonalità in re minore e dal­ la partecipazione unitaria degli strumenti, la quinta ed ulti­ ma serve a poco a poco per riportare il discorso musicale alla ripresa del tema, che compare nella sua veste origina­ ria di Lied (con il violino al posto della voce umana ed il pia­ noforte che riproduce l’accompagnamento della pagina vo­ cale) con I Allegretto conclusivo. L'Allegro giusto, infine, riesce ancora ad aggiungere freschezza e spontaneità al Quintetto, ricapitolandone quasi la serenità conviviale dell’impulso originario, e testimoniando di una fantasia I creativa apparentemente inesauribile. Giorgio Pugliaro Influenzato dal repertorio operistico, Bottesini ha lasciato numerose composizioni in cui si fronteggiano il più grave ed il più acuto degli strumenti ad arco, quasi desiderasse mostrare le analoghe possibilità del contrabbasso, e forse non immemore dei suoi trascorsi violinistici (era stato in­ stradato alla musica su questo strumento da uno zio prete). Esempio di rilievo ne è il Gran Duo concertante, concepito con accompagnamento d'orchestra o di pianoforte, dove tutte le possibili risorse degli strumenti ad arco sono rese manifeste in un fuoco d’artificio di tecnica esecutiva. Dopo una frase iniziale introduttiva ( Allegro maestoso ) i due stru­ menti si arrampicano alternativamente per vertiginose sca­ lette in una sorta di recitativo; segue poi un episodio in 6/8 (Cantabile ), con il tema prima al violino e poi al contrabbas­ so, sottoposto a ritornello con arpeggi rapidissimi ed estesi verso l’acuto dello strumento costituzionalmente più grave. Ancora una ripresa della frase iniziale, che funge da sepa­ razione con la parte finale, proiettata verso la brillante con­ clusione dalla nutrita serie di espedienti tecnici che Bottes • ni ha inserito, veramente «alla Paganini», nella sua compo­ sizione.

Franz Schubert, Quintetto in la maqqiore op. 114 (La trota)

Nel luglio 1819 Franz Schubert accettò l’invito dell’amico Michael Vogl (che sarebbe divenuto in seguito il principale interprete dei suoi L ieder ed un vero apostolo della sua arte), libero in quel periodo dagli impegni del teatro d’ope ra, per recarsi a Steyr, paese natale del cantante, nell’alta Austria. Qui, tra le altre, i due frequentarono spesso la casa di Sylvester Paumgartner, proprietario di una miniera, suo natore dilettante di strumenti a fiato e di violoncello, nume tutelare della vita musicale cittadina. È facile immaginare quali deliziosi intrattenimenti musicali siano fioriti in quell’estate, quali «schubertiadi» abbiano riunito allegra­ mente suonatori per vero diletto nella gioia di far musica Questo periodo felice ebbe un prolungamento compositivo al ritorno di Schubert a Vienna con il Quintetto in la maggio­ re per pianoforte, violino, viola, violoncello e contrabbasso, abbozzato forse durante la vacanza ma sicuramente com­ pletato al rientro-in città, e poi pubblicato postumo da Jo­ seph Czemy nel 1829 come op. 114, forse la più celebre delle composizioni cameristiche di Schubert. Quest’opera venne composta, si può dire, nel segno dell’amicizia con Paumgartner, il quale si era entusiasmato durante gli intrattenimenti di Steyr per il Lied Die Forelle (La trota), sulla melodia del quale è basato il quarto movimento del Quintetto, e dal quale l'opera stessa trae il suo sopran­ nome. L’organico inusuale (contrabbasso al posto del se­ condo violino) è probabilmente motivabile con la passione violoncellistica di Paumgartner: il contrabbasso può farsi carico, ove occorra, delle funzioni del basso d’armonia, la­ sciando al violoncello la possibilità di divenire protagonista melodico. L’esordio dell’Allegro vivace è di quella semplicità destina­ ta a stamparsi nella memoria: un arpeggio ascendente al pianoforte, in ottave nelle due mani, con note di partenza e di arrivo separate da due terzine; il tema, prima solo ac­ cennato dagli archi, è poi presentato apertamente dal violi­ no sul sostegno mormorante di viola e cello, mentre il con­ trabbasso segna l’armonia e il pianoforte ripropone la sua «sigla» iniziale (sempre in ottave, ed è una figurazione tipi­ ca di tutto il Quintetto, in modo da porre anche fonicamente alla pari lo strumento a tastiera con gli archi). Dopo un pul­ lulare di idee e di modificazioni del materiale già presenta­ to, il primo tempo lascia il posto al lirico Andante, molto den­ so armonicamente, tripartito, e caratterizzato nel ritmo da una figura puntata estratta dal movimento precedente. Il vi­ goroso Scherzo comprende un Trio in re maggiore che pre­ para l’arrivo dell’Andant/no: qui, dagli archi soli, vengono esposte le due sezioni della melodia (semplificata e tra­ sportata da re bemolle a re) del Lied Die Forelle (D. 550) che tanto era piaciuto a Paumgartner; seguono quindi le variazioni, in cui il tema passa in tutti gli strumenti. Inizia il pianoforte, con il rincorrersi di terzine tra violino e violoncel­ lo nell’accompagnamento della prima sezione ed i trilli acu­ ti, sempre del violino, nella seconda; è quindi la volta di vio­ la e cello nella seconda variazione, e cello e contrabbasso nella terza, mentre il pianoforte intesse una rapidissima tri­ na d’accompagnamento. Dopo che la quarta variazione ha acquistato un che di tragico dalla tonalità in re minore e dal­ la partecipazione unitaria degli strumenti, la quinta ed ulti­ ma serve a poco a poco per riportare il discorso musicale alla ripresa del tema, che compare nella sua veste origina­ ria di Lied (con il violino al posto della voce umana ed il pia­ noforte che riproduce l’accompagnamento della pagina vo­ cale) con l’Allegretto conclusivo. L’Allegro giusto, infine, riesce ancora ad aggiungere freschezza e spontaneità al Quintetto, ricapitolandone quasi la serenità conviviale dell’impulso originario, e testimoniando di una fantasia creativa apparentemente inesauribile. Giorgio Pugliaro leggere di musica

Fu un po' anche merito del «Signor Alessandro Rolla» se Rossini (1 ), reduce da successi napoletani e romani, la sera del 31 maggio 1817 riuscì a riconquistare i milanesi che tre anni prima avevano fischiato . Se, come racconta Stendhal (2), fu proprio quella inusi­ tata, perentoria e aggressiva Sinfonia de ad avviare sicura la conquista, molto contribuì la sua buona esecuzione garantita appunto dal Primo Violino, dunque Capo d’Orchestra: quell'Alessan­ dro Rolla la cui figura di grande strumentista e prezioso servitore di autori destinati ad essere più celebri di lui è m essa in luce dalla primi! pubblicazione monografica (3). Co-autore ne è il violista Luigi Alberto Bianchi, che al repertorio di Rolla, prodigo per il suo strumento, spesso attinge, con risultati esecutivi che sarebbero piaciuti all’autore. Sono due paginette, ma divertenti e bizzarre, quelle di Bruno Barillis j Bottesini (4); mentre per Schubert si toma al già citato classico ili Paumgartner(5). Carlo Maria Cella

Proposte per la formazione e l’ampliamento della propria bibliotec a musicale:

(1) L. ROGNONI, Gioachino Rossini.(ERI, Torino 1968 / EINAUC , T orino 1977; 559 pp. ; 18.000) (2) STENDHAL, Vita di Rossini. (E note di un dilettante).(EDT, T( • rino 1983; 427 pp.; 40.000) (3) L. INZAGHI, L.A. BIANCHI,Alessandro Rolla.Catalogo tematic ) delle opere. (NUOVE EDIZIONI, Milano 1979; 293 pp.; 36.000) (4) B. BARILLI,Il sorcio nel violino. (EINAUDI, Torino 1982; 327 pp ; 20.000) (5) B. PAUMGARTNER, Schubert. (MONDADORI, Milano 1982- 361 pp.; 16.000)