Politecnico di Milano Facoltà di Architettura A.A. 2013 – 2014

PROGETTO DI MUSEALIZZAZIONE E VALORIZZAZIONE DEI

Tesi di laurea di: Luca Danelli - mat. 770755 Marco Tradigo - mat. 769886

Relatore: Prof. Pier Federico Mauro Caliari

Correlatori: Prof. Francesco Leoni Arch. Samuele Arch. Paolo Conforti Arch. Alberto Scollo Arch. Alessia Chiapperino INDICE

INTRODUZIONE pag. 7

PARTE I. IL LAGO MAGGIORE

Premessa pag. 9 1.1 Profi lo geografi co generale pag. 11 1.2 Ambiente naturale pag. 18 1.2.1 Le rive pag. 18 1.2.2 Le montagne pag. 19 1.3 Storia di un lago pag. 22

PARTE II. FORTIFICAZIONI DEL TERRITORIO DEL LAGO MAGGIORE

2.1 Dall’Alto Medioevo al Rinascimento pag. 28

PARTE III. I CASTELLI DI CANNERO

Premessa pag. 35 3.1 La Malpaga e i pirati del lago pag. 37 3.1.1 I Mazzarditi pag. 37 3.1.2 La Malpaga e il sistema difensivo Mazzardito pag. 40 3.1.3 L’ascesa e la fi ne dei Mazzarditi pag. 41 3.2 La Vitaliana pag. 45 PARTE VI. IL MUSEO DELLA FORTEZZA 3.2.1 L’arcipelago perduto pag. 45 6.1 Il tema della collezione pag. 93 3.2.2 La scelta pag. 49 6.2 Il carcere e la pena pag. 95 3.2.3 La fortifi cazione della Vitaliana pag. 54 Premessa pag. 95 3.2.4 Nel Seicento – L’episodio della zecca clandestina pag. 54 6.2.1 Il carcere nell’antichità pag. 96 3.2.5 Nel Settecento pag. 55 6.2.2 Il sistema punitivo romano pag. 98 3.2.6 Nell’Ottocento pag. 58 6.2.3 L’ordinamento penale medievale pag. 100 3.2.7 Nel Novecento pag. 58 6.2.4 Diritto Canonico pag. 102 6.2.5 La nascita dell’Istituzione carceraria moderna pag. 102 PARTE IV. VICENDE EDILIZIE DELLA VITALIANA 6.2.6 Il carcere in Italia pag. 105 4.1 Il castello pag. 64 6.3 Breve storia dell’Inquisizione pag. 111 4.2 Porto e approdo ai Castelli pag. 70 6.3.1 L’Inquisizione Medievale o legataria pag. 111 4.3 Altezze e livelli delle mura castellane pag. 73 6.3.2 Il funzionamento dell’Inquisizione e le pene pag. 112 6.3.3 L’Inquisizione Spagnola pag. 115 PARTE V. LA NUOVA VITALIANA 6.3.4 L’Inquisizione Romana pag. 117 5.1 Obbiettivi e premesse di progetto pag. 77 6.4 Strumenti di tortura pag. 119 5.2 Proposta di progetto pag. 79 6.4.1 La tortura nei secoli pag. 119 5.2.1 L’immagine storica pag. 79 6.4.2 Le principali forme di tortura pag. 123 5.2.2 I cortili e le corti pag. 80 INDICE ILLUSTRAZIONI pag. 144 INDICI BIBLIOGRAFICI pag. 149 PROGETTO DI MUSEALIZZAZIONE E VALORIZZAZIONE INTRODUZIONE DEI CASTELLI DI CANNERO

I Castelli di Cannero, malinconici e solitari nel mezzo del Lago Maggiore, da secoli si stagliano con i loro profi li architettonici tipici del periodo medievale, con- tro la alte montagne, catturando lo sguardo ammaliato del turista occasionale. Ma allo stesso tempo, essi ricoprono un ruolo centrale nella storia del Verbano e del Ducato di Milano. Scelti come primo insediamento della famiglia Borromeo, essi furono in più riprese il baluardo che difendette le terre circostanti dall’inva- sione svizzera. Un sito di grande fascino storico ma che attualmente viene lasci- ato alla rovina impietosa del tempo. La tesi che si intende qui proporre, si pone come obbiettivo principale, il recupero e la valorizzazione di questo, troppe volte accantonato, sito archeologico. Us- cendo dalla classica ottica del rudere romantico, questo semplice studio proporrà un completo quadro storico e ambientale dal quale, nel massimo rispetto verso struttura storica, si intende iniziare il lavoro di progettazione. Essa non verrà posta come una semplice operazione di restauro, ma una vera e propria ricerca di un linguaggio che consenta di unire le mere necessità di con- solidamento statico della struttura, alla progettazione architettonica che porterà il sito alla luce di una nuova esistenza, al fi ne di garantirne una futura e duratura salvaguardia.

6 7 PARTE I. IL LAGO MAGGIORE PREMESSA

…“Ecco il paradiso terrestre, l’Eden d’Italia” John Ruskin (1840)

Lago, collina, montagna, il Lago Maggiore rappresenta un triangolo naturale uni- co. Le sue sponde vengono da sempre celebrate dai più famosi scrittori d’Europa, mentre i suoi abitanti, con la loro sapiente opera, ne hanno saputo trasformare la bellezza in una vera piccola cultura, fatta di folclore, artigianato e architettura spontanea. L’ambiente selvaggio e la realtà umana vengono qui strettamente annodate in un arricchimento reciproco che ha ancora molto da raccontare ed offrire al visitatore che intende avvicinarvi.

8 9 1.1 PROFILO GEOGRAFICO GENERALE

Il Lago Verbano, meglio conosciuto come Lago Maggiore, è uno dei grandi laghi Prealpini; il nome Maggiore deriva dal fatto che esso è il più esteso fra i laghi che compongono la cosiddetta Regione dei Laghi comprendente i laghi: d’Orta, di Mergozzo, di Varese e di Lugano. L’origine del Lago Maggiore, come quella degli altri laghi subalpini, viene soli- tamente fatta risalire a 15-20 mila anni fa con il ritiro degli ultimi ghiacciai verso le aree superiori delle Alpi. Da una recente ricerca si è tuttavia appreso che la formazione del lago, possa invece essere collocata in epoche storiche ancora più remote nel periodo del Miocene superiore, circa 5 milioni di anni fa. Durante quest’epoca al posto del lago scorreva un profondo fi ume, derivato dall’abbas- samento del livello del Mediterraneo, il cui bacino venne gradualmente colmato dall’avanzata dei ghiacciai. La superfi cie del Lago Maggiore si estende per un totale di 212,511 kmq e una lunghezza di 66 km, diviso tra le Regioni italiane del Piemonte e della Lombardia e il Canton dello Stato Federale Svizzero. Il pelo delle sue acque si tro- va a una altezza media di 193,5 m.s.m.. Nel tratto centrale, sito tra il Comune piemontese di e quello lombardo di Porto-Valtravaglia, il Lago tocca la sua profondità massima di 370 metri. Il fondo, dai numerosi scandagli, si mantiene sotto al livello del mare, ossia a profondità maggiore di 197 metri, per tutta una vasta estensione, da Nord nella zona di , sino alla Punta di Arolo a Sud. In questa estensione è possibile notare come il fondo, che più a Nord non discende oltre i 250 e i 275 metri, nel punto più stretto, fra il delta di e la Puncetta (fra Cànnero e ),

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10 11 raggiunga 300 metri, e, per tutto il vasto bacino mediano, fra e Pallanza, discenda ancor più, sino alla massima profondità di 372 metri, fra Caldè e Ghiffa. Tra Pallanza e Laveno si avverte un leggiero innalzamento, che porta il fondo a 315 metri, e via via a 200 di fronte ad Arolo. Nella sezione più a Nord, dove appare il vasto delta del torrente , il fondo si presenta come una piatta bassura di 100 metri di profondità, la quale va ele- vandosi verso il piano alluvionale formato dal Ticino, che chiude il lago a nord. Così pure il golfo tra Pallanza e presenta profondità meno notevoli (m. 130); una ripida soglia subacquea, in corrispondenza delle Isole Borromee, dif- ferenzia questo golfo dalla vasta zona più profonda già descritta. Una terza zona di minore profondità si nota a sud di Arolo, dove il fondo risale gradatamente a m. 200, 140, 106 di profondità, per raggiungere i 43 tra Arona e . La profondità media risulta di 175 metri, l’inclinazione media di 10 gradi; il colore delle acque fra il numero VI e VII della scala del Forel; la trasparenza, osservata nel mese di settembre, è di 6 metri. Il principale immissario del Verbano è il fi ume Ticino, che entra nel lago presso , formando una vasta piana alluvionale, ed esce come unico emissario a Sud, presso . Altri affl uenti sono, sulla riva destra occidentale: la , il cui delta si confonde con quello del Ticino; il torrente Maggia, che forma un’ampia conoide su cui sta Locarno; il , che percorre la e forma un ampio delta su cui sta Cannobio; l’Intragna e il S. Ber- nardino, che formano la piccola pianura su cui sorgono Intra e Pallanza; il , che, per il suo affl uente , porta al Verbano le acque del lago d’Orta; e altri minori torrenti che scendono dal massiccio del Mottarone. Sulla riva sinistra, orientale: il , che scende dalla Valle Vedasca e raccoglie pure le acque del piccolo lago d’Elio, oggi trasformato in bacino di sbarramento idrico; il , sempre considerevole nella sua portata, poiché funziona da em- 2. issario del Lago di Lugano; il , che porta le acque della Valtravaglia e della Valganna e che forma, con la Tresa, il piano alluvionale su cui sta Luino;

12 13 il , che viene dalla Valcuvia e sfocia presso Laveno; il Bardello, emis- La riva occidentale continua sino ad Arona svolgendosi alle falde del tondeg- sario del lago di Varese e del laghetto di Comabbio; e altri piccoli torrenti che giante massiccio granitico del Mottarone, e i giardini e le ville si succedono in un discendono dalle colline del Varesotto sud-occidentale. La superfi cie del bacino insieme meraviglioso di aspetti e di colori. imbrifero è, da quanto appare, considerando la vastità dei bacini idrografi ci degli Più monotona appare la riva orientale, a sud di Laveno, sino ad Angera, poiché afl uenti, assai notevole; secondo il Magrini, essa si può calcolare di kmq. 6200; più bassa e piatta nel suo generale profi lo; vi spiccano solo la ripida rocca, su cui l’affl usso massimo delle acque verrebbe, poi, ad essere di 10.000 mc. Il regime sta il Santuario di S. Caterina del Sasso e la collina di S. Quirico con la Rocca delle acque del Verbano risente tanto delle piogge primaverili ed autunnali quan- di Angera. A Sud di Arona e di Angera, il lago si restringe sempre più fra rive al- to del discioglimento delle nevi. Normalmente cresce in primavera di circa 1,50 m quanto palustri, fi nché a Sesto Calende riprende aspetto di fi ume. Il Ticino esce sulla magra invernale, diminuisce nell’estate per ricrescere in autunno. Del Ver- così limpido nelle sue acque, e, scorrendo nella piatta pianura segna, per lungo bano si ricordano le piene del 1868 e del 1872, in cui la crescita fu di circa 7 metri tratto, il confi ne amministrativo e naturale tra le provincie lombarde di Varese e di sulla magra. È perciò il lago italiano che ha le piene maggiori poiché in esso si Milano a oriente e la provincia piemontese di Novara a occidente. scaricano le acque di due altri importanti laghi: il Cusio e il Ceresio, i quali hanno L’entroterra del Lago Maggiore si presenta come un ventaglio di montagne, docili il loro regime in rapporto alle piogge primaverili e autunnali. e mansuete nella parte inferiore, impervie e dirupate verso l’interno. Un paesag- gio a due facce, dovuto alla diversa composizione delle rocce: molto dure nei set- Assai vario si presenta il paesaggio del Verbano. Severo nella sezione più a tori centrale e settentrionale delle valli della zona geologica Ivrea-Verbano; meno Nord, dove sovrastano le scure pareti del M. Limidario, a occidente, e del M. tenaci e quindi più erose quelle della zona Strona-Ceneri dell’area inferiore, nella Paglione a oriente, si fa più ridente dopo la stretta di Cannobio e Maccagno, oltre quale i pendii sono dolci e arrotondati, anche per l’infl uenza degli attuali ghiacciai. la quale si apre in ampio e regolare bacino, limitato, a occidente, dal M. Zeda e Questi, ritirandosi, hanno lasciato numerosi depositi morenici che hanno formato dai suoi contrafforti, verdi di pascoli in alto, più cupi di boschi in basso, e ridenti dei terrazzi e dei piccoli altopiani sui quali l’uomo si è successivamente insediato. di numerosi paesi, sparsi nei varî pianori, che o interrompono i pendii stessi o gi- Altri paesi invece sono stati localizzati sulle pianure alluvionali dovute alle mille- acciono disposti con le loro ville, spesso sontuose, lungo le rive stesse del lago. narie piene dei torrenti. A oriente, lungo la sponda lombarda, si succedono i dossi del Pian della Nave, dei Pizzoni di Laveno e del M. del Ferro, i quali, se pure di modesta altezza, sono assai ripidi e rocciosi, per cui i paesi si estendono solo là dove le rive si aprono in corrispondenza della Valtravaglia e della Valcuvia. A Sud della Punta Castagnola, sul lato occidentale, si apre poi il bellissimo gol- fo di Pallanza, dominato nel suo sfondo dallo smagliante scenario dei massicci alpini coperti di nevi perenni. Il lago appare qui vastissimo. Infatti, tra Laveno e Feriolo si apre, come abbiamo già avuto modo di dire, per oltre 12 km.

14 15 Il Lago Maggiore contiene complessivamente undici isole per una superfi cie com- plessiva di circa 0,25 kmq comprendenti: - le due isole di : l’Isola di San Pancrazio (o Isola Grande) di 0,04 kmq e l’Isola di Sant’Apollinare (o Isolino) di 0,01 kmq, site in fronte alla località svizzera di Brissago; - i tre isolotti di Cannero: l’Isola Maggiore, l’Isola Minore (o delle Prigioni) e lo scoglio del Melgonaro, all’estremo settentrione della sponda piemontese di fronte alla costa di ; - le quattro isole che formano l’Arcipelago Borromeo: l’ di 0,08 kmq, l’Isola di San Giovanni di 0,02 kmq, l’Isola Superiore (detta dei Pescatori) di 0,03 kmq, l’Isola Bella di 0,05 kmq e l’Isolotto (o scoglio) della Malghera, poste nel Golfo centrale di Pallanza; - l’Isola di Partegora di 0,01 kmq nell’estremità meridionale, verso la sponda lombarda, fra le città di Angera ed Arona;

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16 17 1.2 AMBIENTE NATURALE Ampi canneti, interrotti saltuariamente da brevi spiagge sabbiose, si estendono, nella parte lombarda del lago, da e Angera. Sulla spnda piemontese fra Intra e Cannobbio, spiagge sassose frastagliano la costa che si colora, all’al- tezza di Fondotoce, delle distese di canne e fl ora palustre, che seguono, verso l’entroterra, l’andamento mutevole del fi ume Toce. Il Canton Ticino, con le sue montagne, protegge ancora le ultime “bolle”, piccoli specchi d’acqua sorgiva pos- Il Lago Maggiore rappresenta, indipendentemente dell’antropizzazione avvenuta ti nella zona di Magadino. nel corso dei secoli, un ambiente naturale eccezionale, che gode di un clima gen- Nel retroterra, risalendo i torrenti, si riscopre il fascino dell’acqua corrente, che eralmente mite che si avvicina molto a quello del mediterraneo. con la sua sapiente opera di corrosione, ha dato origine ad affascinanti paesaggi, Lungo le rive del Verbano, specie in alcune località più riparate, si trovano vere come gli orridi di Sant’Anna nella zona dell’Alto Verbano o le “marmitte” incavate e proprie piccole isole climatiche con temperature medie che passano dai 3° in- nella roccia lungo il greto della Maggia. vernali e i 22° estivi. Come negli altri bacini subalpini, spirano dei venti periodici: la fredda Tramontana proveniente da Nord, nelle prime ore del mattino, avvertita 1.2.2 LE MONTAGNE specialmente sulla riva lombarda; la cosiddetta Inverna, un vento che spira da Sud dopo le 10 del mattino; altri venti caratteristici del Lago Maggiore sono il Mer- Come abbiamo già accennato in precedenza, la realtà storica, ambientale, uma- gozzo, che spira da Nord-Ovest sul Golfo di Pallanza e la Maggiora, forte vento na del lago non può essere colta nella sua completezza se non si tiene in conto a carattere tempestoso. l’interdipendenza con le valli che si innestano lungo i sui fi umi e le sue sponde. Data un situazione climatica così favorevole, il paesaggio intorno al Lago Mag- Nell’immensità del suo bacino, il Verbano, mostra ambiti di spiccata autonomia giore, si è quindi sviluppato generando un ricco contesto di vegetazione lussureg- territoriale, come i due bacini lacuali secondari del Ceresio e del Cusio e le gran- giante che, partendo dalla costa, passa dalla fl ora mediterranea sino ai grandi di valli alpine quali l’Ossola, la val di Blenio, Mesolcina e Leventina, accostate boschi di latifoglie e conifere. a vallate che sboccano direttamente sul lago, quali le valli Verzasca, Maggia, Cannobina, Intrasca, Ossola inferiore, Valcuvia, le valli di Tresa e Margorabbia 1.2.1 LE RIVE e Veddasca. Questi intrecci di dirupi, costituiscono la memoria storica e naturale delle prealpi. Le rive che conservano l’importanza incontaminata della natura sono ormai lim- Il più ampio dei bacini che portano acqua al Verbano, è la Val Grande. In diversi itate a brevi tratti del lago e dei fi umi che vi affl uiscono. Le zone “umide”, il cui rami ne discende il rio omonimo che, congiungendosi al rio Pogallo, prende il catasto comprende oggi pochi ettari di palude scaglionati lungo il lago, costitu- nome di . Ai suoi confi ni corrispondono gli alti monti della zona iscono lo scrigno necessario per la salvaguardia del grande tesoro naturale del del lago, tra cui i monti Pedum, Laurasca e Zeda. La Val Grande, nella quale è da lago,costituito da una vasta varietà di specie animali e vegetali uniche. poco stato istituito il parco wilderness più grande d’Italia, attraverso la sua

18 19 natura genuina ed incontaminata, rispecchia in pieno quello che in tempi lontani era l’ambiente selvaggio intorno al lago. Alle quote inferiori abbondano le latifoglie e più in alto le conifere. Castagni e faggi secolari di enormi dimensioni di alternano a tigli, aceri, roveri, olmi, frassini, sorbi, ontani, betulle, maggiociondoli. Qui cerri e tassi raggiungono quote altimetriche da record per la fascia prealpina. Molto ampia anche la gamma della fl ora: si va dalle specie comuni nelle regioni scaldate dall’infl usso del clima lacustre nella bassa valle, alla fl ora pioniera delle rocce sopra i 2000 metri del monte Tògano, della Laurasca e delle Strette del Casè. Di particolare rarità sono: il tulipano alpi- no nell’alta val Portaiola e i rododendri bianchi presso l’alpe Serena. Molto diffuse anche le genziane, le gigliacee, parecchie specie di felci, oltre a caratteristiche distese di aglio orsino nei sottoboschi vicino all’alpe In la Piana.

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20 21 1.3 STORIA DI UN LAGO sulle rive il Rinascimento. Solo con l’ascesa dei Visconti il lago sembra entrare nella storia. Sorgono rocche e castelli da Angera a Locarno, i borghi rivieraschi si muniscono di cinte murarie, di torri e di opere militari, condottieri e briganti vi mettono piede: Franchino Rus- ca, Simone da Locarno e i fratelli Mazzarditi questi ultimi cinque fratelli che dom- inarono nel ‘300 i castelli detti Malpaga e, che, secondo la leggenda, avrebbero La presenza umana sul Lago Maggiore ha inizio con gli insediamenti preistorici, infestato le zone del Lago Maggiore fi no a quando un gruppo armato inviato dai dei quali è rimasta traccia nelle iscrizioni rupestri, nella suppellettile dei palafi t- Visconti riportò l’ordine. ticoli, nei reperti o le steli di serizzo incise e in altri segni d’una vita senza storia Nel 1439 il Duca di Milano concede a Vitaliano Borromeo la contea di Arona in abbandonate dai Leponzi dai Liguri e dai Celti. riconoscimento dei suoi grandi meriti di fi ancheggiatore e forse anche a compen- Carattere unifi cante del passato è stato il ruolo svolto dall’acqua per unire e non so di un’assistenza fi nanziaria che la famiglia Borromeo, salita a grande ricchez- separare le opposte sponde. I commerci e i rapporti culturali si sono svolti con za, era giunta al punto di poter fornire a prìncipi e padroni di stati. intensità lungo le grandi vie che collegavano i passi alpini a Milano, Pavia e alla I Borromeo fi nirono il dominare su gran parte delle due rive restandone padroni pianura padana. fi no al termine dell’età feudale, vale a dire fi no alla fi ne del 1700. Fu mantenuto in Sin dalla preistoria la via d’acqua fu privilegiata per traffi ci ad ampio raggio; si vita il sistema feudale, con la continuità dei feudi borromei, assegnati a qualche convogliavano materie prime (ad esempio selci, ossidiana, ambra, stagno) e modesto signore come i Marliani o i Morigia o i Crivelli che furono comunque fed- manufatti anche di lontana provenienza. Le popolazioni che nei tempi antichi si eli tributari nei confronti dell’illustre prosapia che al lago e ai suoi splendori cris- insediarono nel territorio del Lago Maggiore furono piuttosto varie. tiani avevano dato la grande fi gura di San Carlo, nato nell’anno 1538 nella Rocca Nel II sec. a.C. sopravvennero i romani a disseminare sepolture, iscrizioni ed are, di Arona: “una grande, insolita luce” si protese il 2 ottobre di quell’anno dalla torri a dettar leggi e costumi, bonifi cando terre, aprendo strade e fondando borgate cella al falcone del castello, racchiudendo nel suo seno la camera dove Margh- spesso fortifi cate, in funzione antibarbarica. erita de’ Medici, moglie di Gilberto II Borromeo, assistita da un nugolo di donne In seguito arrivò e si diffuse il Cristianesimo, la tradizione attribuisce ai fratelli partoriva. Quella luce prodigiosa, che annunziava l’apparizione di una grande greci Giulio e Giuliano la prima evangelizzazione delle terre verbanesi: si costru- santità, si era accesa per la nascita di San Carlo Borromeo. L’eccelso Carlo, des- irono così le più antiche chiese battesimali, probabilmente di dipendenza milan- tinato a diventar santo nel giro di pochi anni, consumato dalla sua enorme attività ese, cui fanno pensare le molte dediche a S. Vittore. Una vera e propria struttura apostolica, morì a soli 46 anni di una lunga morte, conclusa a Milano ma iniziata plebana, con preciso riconoscimento dei confi ni diocesani, si formò solo nel sec. sul Lago Maggiore, dove volle portarsi nei suoi ultimi giorni, percorrendolo in bar- IX; confi ni che non si rivelarono intangibili, se la diocesi di Como e forse anche ca da Sesto Calende ad , e poi, già morente, da Ascona a Milano. quella di Novara si ampliarono a scapito di Milano. Le successive invasioni determinarono tra il XV e il XVI secolo la rottura della Vi scorse ignorata l’epoca medioevale e pressoché senza lasciar traccia passò secolare unità politica del lago.

22 23 Si stabilì in tal modo un defi nitivo confi ne di dominio svizzero e le residue terre di soldati di guardia di Francesco I Re di Francia dopo la sconfi tta di Pavia. lombare. Seguirono tristi anni di soggezione allo straniero, l’oppressione della La vicenda civile del Lago Maggiore, consegnata tra il Trecento e l’Ottocento fi scalità spagnola, il gravame di crescenti spese militari. alla cronaca più che alla storia, è rintracciabile negli statuti comunali delle sue Nel 1744 fu ulteriormente spezzata l’unità del lago con la cessione della riva oc- borgate, negli atti degli antichi notai, nelle annotazioni ecclesiastiche e nelle com- cidentale al regno sardo. pilazioni pseudo storiche di alcuni autori. Il sistema feudale fi nì stritolato dalla repubblica cisalpina. La storia del Lago Maggiore, legata alle vicende politiche dell’Italia Settentrion- ale, non presenta salienti di particolare importanza. Nel 1826 venne inaugurata la navigazione a vapore sul lago. Due gestioni, una sarda, l’altra austriaca, si fecero concorrenza; la seconda impiegava battelli da guerra, tenuti pronti per il momento del bisogno. Cominciò comunque, fra un capo e l’altro del lago una stagione di traffi ci, anche turistici, già incrementati dall’apertura della napoleonica strada del Sempione. Nel frattempo l’Italia era giunta all’Unità; Garibaldi da Castelletto Ticino guidava i Cacciatori delle Alpi fi no a Varese; non gli riuscì di espugnare i forti lavenesi, pro- tetti dai vascelli armati; ma navi e guarnigioni dovettero presto rifugiarsi in Svizze- ra. Cominciò l’era dell’industria; ne nacquero a decine, tessili, meccaniche, del cappello, ceramiche, ecc.. Furono agevolate le ferrovie, collegate nel 1882 con il traforo del Gottardo; nel 1906 la rete fu completata con la galleria del Sempione. Anche il turismo assunse proporzioni grandiosi con la nascita dei grandi alberghi. Le popolazioni rivierasche e quelle delle vallate conobbero una secolare penuria ma furono toccate solo in parte e quasi marginalmente dalle guerre e dalle pes- tilenze. La poca praticabilità delle rive, prive di strade carrozzabili, lo scarso interesse economico dei luoghi, l’assenza di grandi agglomerati urbani e i diritti all’occor- renza vigorosamente difesi dai Borromeo, consentirono alle terre verbanesi un pacifi co corso di secoli. Le valli del lago divennero rifugio di gente d’oltralpe che vi si insediò in pianta stabile, si racconta addirittura di un’isola etnica scozzese nel paese di in Valle Cannobina, dove si sarebbe insediato un contingente

24 25 PARTE II. FORTIFICAZIONI DEL TERRITORIO DEL LAGO MAGGIORE

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26 27 2.1 Dall’Alto Medioevo al Rinascimento Lo scopo di questo lavoro non è di portare nuove conoscenze né di fare una trat- tazione analitica di quanto sul terreno esiste o è esistito, ma, solo fare una breve panoramica sull’argomento. All’inizio del Basso Impero, lo stato delle presenze fortifi cate può essere così riassunto: una catena di torri di segnalazione a presidio dell’Ossola e dei suoi valichi (so- prattutto quelli occidentali) e del fondo Toce, con diramazioni fi no alle sponde meridionali del lago d’Orta e alla parte centrale del Verbano (Feriolo, Suna). Non La difesa del territorio è sempre stata una delle maggiori preoccupazioni dell’uo- è provata, ma è molto probabile, una diramazione fi no al fondo lago, consider- mo. Al fi ne di proteggere i propri confi ni sono stati eretti, in luoghi apparente- ando anche che non si tratta di apprestamenti a scopo di blocco, ma solamente segnaletico e di controllo, anche fi scale; mente irraggiungibili, edifi ci di incomparabile valore tecnico e storico. alcune fortifi cazioni campali lungo la via Settimia (sulla sponda orientale del Cu- Il periodo che va dall’alto medioevo al rinascimento è considerato sia per il nostro sio) e in alcuni punti del Verbano e del Ticino; territorio che per varie zone europee il più fecondo di fortifi cazioni. Ad esso vanno un castrum attribuito (o almeno spettante come proprietà) al vescovo di Novara, di collocazione incerta (probabilmente a Novara o nei dintorni, quindi al di fuori ascritte, per la quasi totalità, le emergenze castrensi reperibili (o di cui rimane della zona oggetto della presente ricerca, ma comunque menzionato in quanto una certa memoria) nel territorio. una tenacissima tradizione vuole identifi carlo con quello poi effettivamente esist- Il territorio preso in considerazione risulta composto da aree territoriali minori ente sull’isola di San Giulio) e di ignota consistenza, sembra infatti che altri - tentes oltre al vescovo avessero fortifi cazioni private, ma solo di questo castrum ognuna delle quali dotata di una percettibile individualità geografi ca e storica. rimane memoria; Concorrono a formare il comprensorio oggetto di questo lavoro: le cinte fortifi cate delle città, peraltro anch’esse fuori dall’area in esame, ove si escludono quelle di Oxila (di cui nulla è rimasto) e quelle di Stationa. - le sponde occidentale e orientale del Lago Maggiore; Del periodo gotico e bizantino non rimane traccia, tranne qualche mera ipotesi. - la parte meridionale del Canton Ticino, da Bellinzona al lago; Importante, invece, il periodo longobardo. La fortifi cazione dell’isola di San Giu- - la val d’Ossola, con le valli ad essa collegate; lio, al centro del lago d’Orta, diventa sede di ducato . Fortifi cazione, basata su preesistente, oppure eretta ex novo, ma della quale abbiamo la prova documen- - il bacino del lago d’Orta; taria. Vengono inoltre eretti elementi difensivi a Pombia, Oleggio, Mezzomerico - la zona compresa tra il lago d’Orta e il Lago Maggiore, cioè il Vergante; e in altre località minori. Le prove sono comunque in questi casi indiziarie, salvo per Pombia, dove la

28 29 presenza di un edifi cio fortifi cato longobardo è quasi sicura. Viene, inoltre, res- parlare di incastellamento sistematico del territorio, e non più di punti forti. taurata in questo periodo una fortifi cazione di , il che fa supporre Compaiono tra l’XI e il XII sec., sia le grandi rocche vescovili (ad opera soprat- un riutilizzo, o per meglio dire una continuità nell’uso, delle torri ossolane. Tracce tutto del vescovo novarese: Castel Mattarella, Vogogna), sia i primi scacchieri minori di insediamenti longobardi si trovano poi un po’ dovunque, sulla base di familiari, come quello dei signori che proprio della fortifi cazione originaria della ritrovamenti numismatici o di indagini toponomastiche. famiglia trassero il loro patronimico De Castello: il loro primitivo nucleo fortifi ca- Possiamo dunque riassumere la situazione dicendo che la zona era in epoca torio sull’isoletta di San Giovanni (di fronte a Pallanza) diventa il terminale di una longobarda certamente dotata di fortifi cazioni, come era naturale per un territorio rete di sorveglianza e controllo abbracciante la foce del Toce e il centro del lago, così vicino al regno franco e nello stesso tempo così vicino all’area centrale della con puntate fi no al lago d’Orta, dove un ramo dei De Castello assumerà più tardi Langobardia e alla sua capitale Ticinum; ma queste presenze non erano rilevanti il titolo di conti di Crusinallo. né come numero né come tipologia (si tratta di torri, palizzate, castelli recinto). Si tratta di esempi assai modesti che non le grandi rocche vescovili: torri general- Il panorama si fa più ricco in epoca carolingia e ottoniana, soprattutto in quest’ul- mente (quasi sempre riedifi cate sui resti di quelle romane), talvolta circondate di tima. Oltre al castello dell’isola di San Giulio, costruito ex novo o almeno gradata- una muraglia, così da inverare un primitivo castello recinto. Ma che, per la loro mente rinforzato, il castello di Domo (certamente anteriore al 1000, ora distrutto). copertura del territorio, a scacchiera con maglie fi tte, permettono una effi cace Pombia (anch’essa rifortifi cata), la rocca di Caldé (forse esistente già in epoca protezione e ancor più un effi cace controllo di un nodo logistico fondamentale: chi precedente). ha il controllo di questo pur ristretto quadrilatero ha in esclusiva le chiavi di tutta Va ricordato che le vie di comunicazione rimasero stabili nelle zone montane ma la zona oggetto del nostro studio, perché tutte le vie di comunicazione, terrestri o pressoché cambiate totalmente nella zona di pianura: l’andamento all’epoca era acquee, passano di lì. prevalentemente pedemontano, in direzione est-ovest e solo più tardi, in epoca All’inizio del XIII sec. la parte occidentale della zona viene investita dall’attività di comunale, si è andato stabilizzando l’attuale andamento Nord-Sud. Ciò che tut- fondazione, ad opera del Comune novarese, di borghi franchi capaci, con la loro tavia conta agli effetti castellologici è la trasformazione politica avvenuta in questi presenza, di assicurare il lealismo di ampie zone. periodi. Da una parte la suddivisione del territorio in comitati, secondo l’usanza Quando i Visconti, originari di questa zona, cominciarono ad emergere, il pano- franca, qui attuata con rigore maggiore che in altre zone italiane, con la conseg- rama degli incastellamenti è già notevole. In epoca viscontea, rispetto al periodo uente comparsa sulla scena di famiglie comitali, tendenti un po’ alla volta ad or- precedente, il panorama tende a razionalizzarsi, cristallizzandosi in punti forti ganizzare propri coerenti scacchieri difensivi. Dall’altra il passaggio della zona da meno numerosi ma più muniti e inquadrati in una visione strategica d’insieme. area di frontiera – per di più con un nemico ostile – ad area centrale dell’Impero, Le due fortifi cazioni gemelle di Angera e Arona – presto conquistate – sbarrano direttamente attraversata dalle vie di comunicazioni più dirette tra le residenze le vie verso sud di tutta l’area verbanese, mantengono il contatto tra il capoluogo imperiali e la penisola, sede dell’altro grande polo politico, il Papato. Cosa che lombardo e il centro del potere originario della famiglia , si pongono come primo non poteva restare senza effetto sull’organizzazione militare della zona. anello di quella catena di fortifi cazioni a difesa del cuore del ducato che poco alla La prima grande epoca fortifi catoria della zona è quella comunale: la prima in cui si possa volta si sta organizzando lungo il Verbano e il Ticino, saldandosi con gli

30 31 scacchieri analoghi del Po e dell’Adda: dalle triplici fortifi cazioni di Bellinzona, all’esteso castello di Locarno (dotato in antico anche di una darsena fortifi cata), giù per tutto il lago fi no alle “chiuse” gemelle di Arona e Angera, per innestarsi poi in quella catena a difesa delle rive del Ticino. Nel XV sec. la pressione svizzera si fa più minacciosa, quasi tutto il lago e l’Osso- la vengono riuniti in un unico grande feudo affi dato a una famiglia di “fedelissimi”: i Borromeo. I quali originari di tutt’altra parte della Lombardia, fi nirono poi per identifi carsi con i destini del Verbano. Essi organizzarono nei castelli di Cannero, tolti ai Mazzarditi di cui erano stato originario rifugio e quasi completamente rifatti (la rocca porta infatti da allora il nome di “Vitaliana” a ricordo del Borromeo che la fortifi cò) il punto nord della difesa antisvizzera (perse ormai per sempre Bellinzona e Locarno): punto che si rivelerà inespugnabile. Potenziano inoltre Arona (i cui cannoni assicurano da soli il dominio dello stretto antistante, senza quindi che sia necessario potenziane, salvo che marginalmente, Angera) trasformandola in rocca che ancora Bonapar- te riterrà temibile e quindi degna di essere demolita al fi ne di evitare sorprese. I Borromeo avrebbero poi trasformato la loro ragion d’essere militare in presenza dinastica: e l’Isola Bella (a metà strada tra i due punti fortifi cati principali , Canne- ro e Arona) sta a testimoniarlo. L’epoca sforzesca è l’ultima ad aver avuto una predominante importanza strate- gica. E infatti, nessuna traccia, se non le fortifi cazioni esterne di Arona, ha lasci- ato il dominio spagnolo. Solo in epoca risorgimentale il Verbano tornò a dividere due Stati nemici: e da allora data l’appendice ottocentesca che si ritrova nelle difese del lago (appendice inconsueta e di modeste dimensioni), cioè i due forti gemelli difendenti il porto di Laveno (sulla sponda lombarda) da eventuali colpi di mano piemontesi. Anche se non impedirono a Garibaldi di sbarcarvi.

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32 33 PARTE III. I CASTELLI DI CANNERO PREMESSA

Nel grande lago Verbano, terra di incontro fra Piemonte, Lombardia e Svizzera, s’incontra a poche decine di metri dalla costa piemontese, nel territorio della città di Cannobio, a pochi chilometri dal confi ne con la confederazione elvetica, un imponente rocca difensiva edifi cata nel Cinquecento. Il nome di questo emozionante esempio di complesso difensivo è quello di rocca Vitaliana o più comunemente al luogo viene affi dato, impropriamente, il nome di Castelli di Cannero.Il plurale viene rinvanuto nelle scritture riferite al luogo e alla costruzione del complesso di fortifi cazioni che prevede due fortezze, due castelli appunto, su due distinte isole delle tre che compongono il piccolo arcipelago nell’alto Lago Maggiore. In questo breve capitolo si cercherà di disegnare la storia di quello straordinario edifi cio che rappresenta molto per l’intera comunità del lago e che è legato indis- solubilmente ad uno dei grandi casati nobiliari d’Italia: i Borromeo. Quasi cinque secoli di vita vengono raccontati dalle pietre che disegnano una sagoma incon- fondibile sul Lago Maggiore.

34 35 3.1 LA MALPAGA E I PIRATI DEL LAGO

Le vicende, divenute oramai tema di leggenda, della rocca iniziano nel 1403, quando cinque fratelli di Ronco sopra Cannobio, con rapido e deciso agire, pre- sero il controllo del ricco Borgo di Cannobio e delle annesse vie di commercio dell’area, in mano alla notabile e ricchissima famiglia locale dei Mantelli.

3.1.1 I MAZZARDITI

Nell’antico abitato di Ronco era ben nota la fama di questi fratelli dai dubbi cos- tumi, pronti a ricercare ricchezze senza troppo pudore e disposti a fare alleanza con tutti coloro i quali potevano garantire loro una nuova e maggiore infl uenza sull’intera area dell’alto Lago Maggiore. Giovanolo, Simonello, Beltramo, Petrolo detto il Sinasso ed Antonio detto il Car- magnola, o più comunemente noti come “Mazzarditi” (Mazzardi era il nome del- la famiglia; furono poi detti Mazardìt, plurale metafonetico dialettale Mazardìn o piccoli Mazzardi), acquistarono il loro prestigio attraverso la carriera militare al servizio del capitano Fascino Cane. Il padre Lanfranco Mazzardi e la famiglia, alla quale nel 1413 venne anche con- cessa la cittadinanza milanese, si dedicava al redditizio commercio delle pelli e al mercato dei corami. Un’attività assai diffusa nell’intero Borgo che aveva portato nel sec. XIII all’insediamento a Cannobio dei frati Umiliati, interessati al commer- 7. cio dei prodotti derivati dalla vendita e dalla lavorazione delle pelli. Alla morte di Gian Galeazzo Visconti, l’attività della famiglia, subì un improvviso impulso. Alla morte del Duca di Milano, infatti, si assistette alla rapida egemonia

36 37 della famiglia Rusca su Lugano, Como e Bellinzona. La famiglia di Ronco intrecciò rapidi e intensi commerci con i Rusca entrando a far parte della loro potente fazione, in lotta a Locarno con la famiglia Vitani. La famiglia Mazzardi si trovò così a controllare un’area cuscinetto tra l’impero e i vasti possedimenti di Milano, mentre l’Europa intera era dilaniata da feroci lotte tra Guelfi e Ghibellini per la supremazia del potere spirituale e temporale. Rapidi cambi di fronte e di fazione caratterizzarono questi anni. I Rusca, inizialmente Ghibellini, aderirono successivamente al partito Guelfo; allo stesso modo fecero altri casati e dinastie. Disposti a fare accordi con tutti a qualsiasi prezzo, i Mazzarditi instaurarono un regime di terrore nelle terre della Pieve di Cannobio senza subire particolari con- trasti, Francesco Maria Visconti, signore di quelle terre, era intento a conquistare la propria supremazia su Milano e allo stesso tempo l’imperatore era impegnato nella lotta con il papato. Le condizioni per la presa del potere da parte dei fratelli di Ronco, che covavano un proprio progetto di supremazia, erano dunque favorevole. In questo contesto i Mazzarditi, tra l’ipotesi di una vita di agiatezze e commerci da un lato, e una vita di brigantaggio a danno di altri benestanti dall’altro, scelsero la seconda, iniziando col conquistare il predominio sulla ricca zona commerciale di Cannobio. Il Borgo e la Pieve di Cannobio erano amministrati da anni dalla famiglia Mantelli, che rappresentava per tutta la parte dell’alto lago a partire da Maccagno, l’au- torità milanese. Cannobio consentiva, tramite la Valle Cannobina, l’accesso alla Valle Vigezzo e alla Vald’Ossola, due aree di fi orenti commerci. Una volta giunti nel borgo lacustre, i diversi prodotti di queste zone venivano imbarcati ed inviati 8. via acqua verso Milano. Da qui la necessità di controllare e riscuotere le tasse sul passaggio di queste redditizie merci. Nel contesto dello scontro iniziato dai Mazzarditi, la famiglia governante dei Man- telli vide i suo defi nitivo declino. Lo scontro fra le due fazione ebbe inizio con la

38 39 cattura di Antonio e Paolo, i due fratelli capo fazione dei Mantelli, che vennero Il villaggio, debitamente ampliato e potenziato, divenne il terzo avamposto del fatti prigionieri nella torre del campanile di Cannobio. Qui, come riportato nelle sistema difensivo Mazzardito. cronache dell’epoca, vennero torturati con efferata violenza, incatenati ed obbli- In un piccolo arcipelago, composto da tre isolotti, posti ai confi ni Sud di Cannobio gati a cedere in moglie loro sorella a Giovanolo, uno dei Mazzarditi. L’obbietti- alle porte del Ducato Milanese, Antonio il Carmagnola volle creare una roccaforte vo, non tanto celato, era quello di impossessarsi della totalità delle proprietà dei simbolo del potere dei Mazzarditi, visibile a tutti e posta su una via commerciale Mantelli, i quali amministravano case, fabbriche, concerie e laboratori artigianali, di notevole importanza. Venne quindi creata la quarta fortifi cazione del piccolo oltre a controllare diversi appezzamenti di terra coltivati a vite. I due fratelli, in dominio. fi ne, tra immani supplizi, vennero impiccati nel 1409 ed esposti sulle forche alla Il nome che venne simbolicamente attribuito alla fortezza fu Malpaga, con un ev- popolazione per 6 giorni. idente riferimento a tutti coloro i quali avevano intenzioni belliche di assalto della struttura e della famiglia. Il più piccolo degli isolotti dell’arcipelago, posto a Nord a 3.1.2 LA MALPAGA E IL SISTEMA DIFENSIVO MAZZARDITO poche decine di metri dalla costa e legato al mutevole livello del lago, non venne fortifi cato. Quello più a Sud, di medie dimensioni, pare venne utilizzato coma de- Conquistato il potere politico locale, era necessario procedere alla conquista del posito. La terza isola, quella centrale e di maggiori dimensioni, ospitò una torre territorio e del suo governo. Da subito, sotto l’abile guida di Antonio detto il Car- fortifi cata simile al castello ad Dunum. Venne realizzata con maggiore attenzione magnola, il più anziano dei fratelli Mazzarditi, vennero realizzate grandi opere di una palizzata per permettere la difesa, un piccolo attracco per le imbarcazioni, un fortifi cazione. alloggio per il Carmagnola e uno per una guarnigione di pochi elementi. Nacque per prima la torre fortifi cata denominata ad Dunum, posta nei pressi dell’orrido di Sant’Anna, dove di trovava la strada per i villaggi della Valle Canno- 3.1.3 L’ASCESA E LA FINE DEI MAZZARDITI bina e della Valle Vigezzo, luogo di passaggio della maggior parte delle merci, la cui amministrazione venne affi data a Petrolo detto il Sinasso. Nel pieno dello scontro con i Mantelli per la supremazia sui commerci locali, Cannobio era sviluppato attorno all’imponente e fortifi cata torre del campanile, l’abile politica di Giovanolo e Antonio, dedita a rapporti con notabili del basso sino ad allora inespugnata, sede del governo politico locale con le sale del vicino lago come le famiglie dei Rusca e i Besozzi del Seprio, portò i Mazzarditi ad una Palazzo della Ragione. I Mazzarditi, procedettero quindi a potenziarne l’apparato rapida ascesa nella scena commerciale e politica anche fuori dai territori del lago. difensivo, ampliandone le strutture, aprendo nuove feritoie e allestendo, all’inter- L’improvvisa morte congiunta di Giovanni Maria e Fascino Cane, portò a una no di questa seconda opera di fortifi cazione, un centro di controllo del mercato modifi ca della geopolitica del lago e rapidamente Filippo, fi glio di Giovanni Sforza, locale. si insediò a Milano ottenendo il giuramento di fedeltà dei notabili del luogo. L’antico abitato di Carmine Superiore, strutturatosi nel Trecento intorno alla Chie- Il Duca, sfruttando il dilagare del potere milanese nei territori dell’Ossola, si sa di San Gottardo, rappresentava un’ottima struttura difensiva già usata dalla prodigò consolidare il feudo nella parte del lago Maggiore, costringendo molti dei famiglia Ghibellina dei Sasso, alleatasi successivamente ai Mazzarditi. suoi avversari, tra cui i Mazzarditi, a ritirarsi in posizione difensiva in attesa

40 41 dell’inevitabile conquista. Il dominio Mazzardo vide la sua fi ne con la partenza da Locarno di un esercito Ducale al comando di Giacomo da Lonate, il quale aveva il compito di conquis- tare Cannobio e bloccare l’avanzata dei Mazzarditi e dei loro alleati Rusca. Il primo dei quattro fortilizi a cadere fu il castello di Traffi ume e per ultimo la Malpaga, la quale, grazie ad una posizione naturale strategicamente perfetta, costrinse l’esercito milanese a un lungo e diffi coltoso assedio. Nel 1414 il feroce governo del terrore e le crudeli scorrerie della famiglia di Ron- co ebbero defi nitivamente termine. Il Carmagnola vene catturato con la presa dell’isola e imprigionato a Milano nella rocchetta di Porta Romana, dove morì. Il Sinasso venne esiliato a Cerano dove sposò la sua fi glioccia Francesca Boffi . Beltramino venne condannato all’esilo. Il 16 Luglio 1429 il Duca concesse il per- dono ai Mazzarditi superstiti: Giovanolo, Petrolo e Simonello. Il sogno di creare una nuova dinastia di Signori sul Lago Maggiore si infranse contro le armate ducali, desiderose di riprendere il controllo di un’area importante per i commerci e l’economia del territorio, con riferimento ai commerci redditizi verso la capitale Milano.

9.

42 43 3.2 LA VITALIANA

3.2.1 L’ARCIPELAGO PERDUTO

La repressione del Duca di Milano aveva portato alla distruzione completa della fortifi cazione dei Mazzarditi posta nel lago. Dopo l’assedio che portò alla cattu- ra del Carmagnola, l’isola restò per alcuni decenni priva di struttura e nel 1441 passò nella proprietà dei feudatari del luogo fedeli al Duca, i Borromeo. Da ques- to momento nasce una nuova storia per l’intero arcipelago. In ogni trattato militare risulta evidente l’importanza strategica di un’isola o di un arcipelago. L’arcipelago dell’alto Lago Maggiore, tra Cannobio e Cannero, rap- presenta un luogo non sconosciuto agli architetti medievali. La posizione fu oggetto di fortifi cazione a partire dal ‘400, con un grande impegno della famiglia Borromeo. Per difendere i propri possedimenti e per controllare le rotte commerciali dell’al- to lago, Ludovico Borromeo ordina di edifi care la Rocca. La prima pietra venne posata il 19 marzo 1519, giorno di Santa Giustina, patrona del Casato milanese. Da qui il nome scelto per la Rocca: la Vitaliana in onore di Vitaliano I, capostipite del Casato. 10. L’edifi cio rappresenta una sintesi delle tecniche difensive del tempo. Per edifi care una Rocca turris in undis edita occorreva la pietra. Ecco quindi l’utilizzo di alcuni serizzi locali tra cui alcune pietre della Cannobina, molte dell’Ossola e alcune provenienti dal basso Lago Maggiore, in particolare da Angera. L’acqua rappresentava la via ideale per condurle al cantiere della Malpaga ma, per esigenze di costruzione, si preferì utilizzare il più possibile materiale locale

44 45 al fi ne di accelerare l’edifi cazione delle fortifi cazioni, anticipando qualsiasi mossa da parte dei francesi ormai ostili. A segnare l’importanza dell’edifi cazione della Rocca, Ludovico mise a sovrain- tendere i lavori suo fi glio Carlo. Da tutti i centri del lago, inserite nel feudo Borro- meo, venivano inviate merci e materiali per l’edifi cazione dell’imponente Rocca. I coppi per la copertura degli edifi ci vennero concesse dagli amici locarnesi e asconesi che non lesinarono per l’ennesima volta il loro aiuto all’amico Ludovico. Nella torre principale detta della Contessa, ove si rinvengono affreschi di pregio, si trovano anche marmi. Queste pietre sicuramente sono di provenienza della Rocca di Angera, ma pare che solo questa parte sia stata realizzata con il prezio- so materiale del basso lago Maggiore. Travi e materiale ferroso vennero condotti all’isola da Cannero e Cannobio. L’esposizione della Rocca agli eventi esogeni del Lago rese necessario già dai primi tempi una manutenzione continua. Questo fu presumibilmente il motivo per cui a Cannero vennero impiantate alcune fab- briche a servizio delle necessità della fortezza. Ci vollero sette anni per edifi care la Vitaliana. Tra le differenze principali con la gemella di Angera, si rinviene un ampliamento delle feritoie per permettere l’uso delle prime armi da fuoco, tra cui l’archibugio. In un periodo nel quale l’artiglieria terrestre era molto rudimentale, la presenza di un perimetro interamente fortifi ca- to sul Lago e la creazione di un basamento particolarmente possente, determin- arono una signifi cativa caratteristica difensiva della Vitaliana. L’isola centrale, con il Mastio e le fortifi cazioni principali, evidenzia il carattere difensivo della Rocca. Si possono inoltre notare caratteristiche più dolci e nobiliari nella Torre della Con- tessa, con l’alloggio nobiliare. Tra l’isola centrale e quella più a sud venne ricava- to un posto fortifi cato. Ad est, verso la sponda lombarda, si trovava l’accesso alla Rocca: una porta con un ponte levatoio, facilmente difendibile e particolarmente fortifi cato. 11. Creato il Dongione (o torrione) venne realizzato il resto della fortifi cazione dell’iso- la, con le mura più dolci a sud e un piccolo giardino delimitato da altre due torri.

46 47 Nella torre principale trova sede una piccola Cappella votiva affrescata nel ‘500 sequestro successivamente l’affi do passò al cannobiese Francesco Mazzironi. con la caratteristica volta a botte. In questi anni si registrò una progressiva diminuzione della guarnigione del pre- Pare che l’iniziativa di creare ambienti pregevoli all’interno della Rocca pretta- sidio. Alla morte di Giovanni Battista Borromeo, avvenuta il 21 ottobre1596, la mente militare, fosse di Carlo e Camillo Borromeo che, abitando quello sperone Rocca entrò nel patrimonio del Conte Renato I Borromeo. di roccia difensivo, desideravano fruire dell’eleganza e del prestigio del Casato. Nella Rocca si trovavano ancora alcune armi e strumenti di guerra oltre a suppel- La proprietà della Rocca, appartenente al ramo di Ludovico, cugino dei Borromeo lettili e mobilio non in perfetto stato. La posizione della Vitaliana, troppo defi lata principi di Angera, rappresentava molto per il Casato. Tant’è che nel 1538 il fi glio da Angera e Arona, non permise alla famiglia di crearvi importanti strutture, né Camillo, nel redigere il proprio testamento indicava il futuro primogenito, ancora di venire utilizzata come residenza. L’unico scopo della Rocca era il controllo dei da concepire, quale erede dei castelli. traffi ci commerciali e delle terre dell’alto Verbano, con particolare attenzione alle Il Conte stabiliva, inoltre, che venissero riservati nelle rendite familiari cento merci provenienti dalla Valle Cannobina e dei diritti di pesca del Lago. Altresì il ducati aurei annui pro provisione et manutenzione dictarum arcium. In più, in Casato non poteva permettersi la manutenzione e la gestione di Angera, Arona, caso di estinzione della sua linea primo genitale, il possesso della Vitaliana dei palazzi del golfo Borromeo e dell’isola della Malpaga. Quest’ultima progressi- sarebbe dovuto passare al primogenito del ramo familiare superstite che in quel vamente venne abbandonata e lasciata all’ordinaria amministrazione. momento avesse avuto il possesso della Rocca di Arona. L’erede designato dal Borromeo fu Giovanni Battista, che aveva avuto solo due fi glie femmine dalla 3.2.2 LA SCELTA moglie. Nel 1543 venne dunque modifi cato il testamento. Scomparso nel 1549 il Conte Camillo, la proprietà passò a Giovanni Battista il cui patrimonio, essendo Ludovico Borromeo, fi glio di Giovanni III e di Cleofe da Carpi decide di fortifi care minorenne, veniva amministrato dalla Contessa Corona Cavazzo della Somaglia. gli isolotti del Lago Maggiore, un tempo roccaforte dei fratelli Mazzarditi. La vita del Borromeo fu caratterizzata da incarichi civili, religiosi e militari tipici Di qui la scelta di progettare e sviluppare una Rocca con diversi riferimenti a del rango nobiliare del Casato e delle sue proprietà. Ma la vita del giovane Conte quelle di Angera. Il patrimonio del Casato doveva essere difeso da eventuali mi- cambiò all’improvviso quando in seguito ad un alterco avvenuto l’8 marzo 1577 a nacce, così come le redditizie rotte commerciali via acqua andavano presidiate. mezzogiorno, in preda all’ira uccise a Origgio la moglie con un pugnale. Giovanni Ludovico Borromeo (1468-1527), giovane condottiero, si mise al soldo di Gian Battista si rifugiò alla Vitaliana, poi fuggì a Cannobio prima e a Locarno succes- Giacomo Trivulzio, maresciallo di Francia di Luigi XII, che conquistò Milano e la sivamente. Ma in questa situazione, trattandosi di un efferato delitto di sangue, Lombardia. Da queste gesta e dall’abile capacità di fi nanziare tale operazione, gli amici svizzeri non poterono difendere il Conte e lo consegnarono alle autorità il Borromeo ottenne notevoli titoli e la stima del sovrano. Il giovane Borromeo a ducali. Immediato fu il sequestro dei beni delle immense proprietà dei Borromeo. seguito della caduta in disgrazia del Trivulzio, si schierò astutamente e in breve Alla morte della prima moglie Ludovico si era unito in seconde nozze con Ma- tempo con la fazione imperiale a sostegno del vescovo di Sion Sua Eccellenza donna Bianca Coria dalla quale ebbe un fi glio Luigi a cui venne assegnato il titolo Matteo Schiner, nel tentativo di aumentare l’infl uenza ghibellina in Italia. comitale e a cui venne affi data la Rocca in un primo momento dopo il Tutto pareva andare nella giusta direzione, ma un improvviso arresto

48 49 dell’avanzata imperiale e una ripresa del potere da parte della fazione francese, danneggiò il Borromeo. Un suo presunto messaggero che portava ordini e indicazioni per gli imperiali venne catturato e ben presto Ludovico cadde in disgrazia. Le indicazioni per l’ac- cesso al Ducato attraverso il libero passaggio delle terre del Borromeo, portò a un’immediata confi sca dei suoi beni. La famiglia venne arrestata e nemmeno l’intervento dei dodici magnifi ci Signori degli amici dei Cantoni Svizzeri poté dirimere la questione. I francesi erano parti- colarmente infastiditi dall’atteggiamento del Borromeo, inoltre le terre dello “Stato Borromeo” si estendevano per circa 1000 km quadrati e rappresentavano un ideale cuscinetto tra Milano e l’Impero. I Borromeo, con abile diplomazia, giocavano su questo fatto alleandosi ora con l’una ora con l’altra fazione. L’abile alleanza con gli stati Confederati della Svizze- ra e l’immensa disponibilità economica della famiglia alla fi ne aumentarono la pressione elvetica sul Ducato, e la famiglia ottenne il perdono ed il reintegro di titoli e terre. Ancora una volta i Borromeo erano riusciti a muoversi tra due impor- tanti Signorie, aumentando il proprio potere. L’abilità diplomatica e l’erogazione di nuovi contributi al Duca Massimiliano Sforza permisero un rasserenarsi dei rapporti con Milano. In un periodo di lotte e di scontri la nobiltà milanese non poteva permettersi di perdere il controllo dell’area del Lago Maggiore e nemmeno le risorse dei prestiti dei potenti banchieri Borro- meo. Il Duca nel 1514 nominò Ludovico Governatore di Monza. Nonostante ciò il Borromeo cadde ancora in disgrazia e solo nel 1515, con la pace di Gallarate ed il decisivo aiuto degli svizzeri, si salvò ancora una volta. Però il Conte ora non aveva più la fi ducia del Duca, motivo per cui intensifi cò rap- 12. idamente i legami con la Confederazione. Nel 1518 ottenne così la cittadinanza di Berna e Lucerna, anche se il suo atteggiamento fi lo francese gli aveva causato qualche sorta di resistenza da parte della ribelle nobiltà elvetica. In un duello av- venuto nel 1518 il fi glio del Borromeo, Luigi, venne ucciso senza nessun

50 51 intervento da parte delle autorità francesi. Il Conte si rese conto di non essere più al sicuro e che sarebbe stata utile una Rocca vicino alla Svizzera. Ecco dunque l’utilizzo dell’arcipelago della Malpaga. I suoi consiglieri militari suggerirono di erigere una Rocca fortifi cata, estrema difesa e rifugio del Conte vicinissimo alla Svizzera. Nel 1519 nel giorno di Santa Giustina iniziarono i lavori di fortifi cazione dell’isola.I francesi ormai volevano eliminare la minaccia del Borromeo e impos- sessarsi di tutti i suoi beni con mezzi leciti ed illeciti, con guerre e avvelenamenti. La vita del Conte era in pericolo. La protezione elvetica impediva una decisa azione militare contro il Borromeo e Monsignor Lautrec del partito francese ripiegò per abili manovre politico-diplo- matiche e tentativi falliti di avvelenamento. Gabriell de Arconixe venne arrestato dal Conte nel tentativo di avvelenarlo e venne per punizione squartato e decap- itato in spregio all’azione dei francesi. Il Conte era ancora vivo e governava le proprie terre. Nel 1520 un accordo tra la Confederazione e il Ducato portò ad una Alleanza dove venivano garantiti su richiesta degli svizzeri i titoli e le prerogative di Ludovico Borromeo che era ormai salvo. Quando tutto pareva andare per il meglio scoppiò la guerra tra Francesi e Spagnoli , nel 1521, Ludovico si vide Angera e Arona occupate dalla Spagna. Nuovamente il Conte fu accusato di tradimento e fellonia da Francesco II Sforza, ultimo appartenente a quel Casato alla guida di Milano. Seguì la feroce confi sca delle terre e l’invio di un capitano di ventura, Prospero Colonna, con l’ordine di saccheggiare le proprietà del Bor- romeo. In questo contesto rapida fu la fuga del Conte che riparò a Locarno dagli amici Svizzeri. Le forze ducali si spinsero nel 1523 ad assediare la Vitaliana, affi data a una fed- ele guarnigione al comando di Carlo, fi glio di Ludovico. L’energica difesa della 13. Rocca ebbe il plauso di Ludovico trinceratosi nei palazzi della nobiltà svizzera mentre l’altro fi glio del Conte, Camillo, con le truppe a lui assegnate, si riprende- va il Feudo senza riuscire a conquistare Arona, Rocca troppo bene edifi cata per cadere.

52 53 3.2.3 LA FORTIFICAZIONE DELLA VITALIANA manovalanza del luogo. Non ritenendola idonea come abitazione o residenza comitale, il Conte stipulò un contratto con Bartolomeo Guizzetti, Parroco di Can- Nel ‘500 la comparsa delle prime armi da fuoco obbligò gli architetti militari a nero. scegliere nuove geometrie e nuove strutture per creare le fortezze, anche se nei Nel 1622 l’imperatore Ferdinando II d’Asburgo diede il privilegio al Conte Giaco- primi anni si utilizzavano tecniche del ‘400. mo III Mandelli di battere moneta a Maccagno. La Rocca Vitaliana si colloca in questa seconda tipologia di fortifi cazione. Inoltre I falsari dell’epoca lavoravano sia per le Zecche uffi ciali che per scopi privati e la sua collocazione su di un’isola e la scelta di creare mura su tutto il perimetro così nel 1645 si scoprì che il Curato di Cannero, Bartolomeo Guizzetti, dopo aver della stessa, la metteva bene al riparo da tentativi di aggressione delle primordi- ottenuto la Vitaliana in affi to dal conte Carlo, vi aveva installato, con la complicità ali armi con la polvere da sparo. di due zecchieri dei Mandelli, una zecca clandestina dove si coniavano genovine La posizione dell’isola, nei pressi di importanti centri di produzione di materie false e i diffusissimi sesini milanesi che venivano per lo più utilizzati dai popolani. prime e la facilità di trasporti via lago per la sua costruzione risultarono effi caci Ai falsari di genovine e al curato di Cannero (addirittura sospettato di omicidio per le esigenze del Conte. nei confronti di un suo accolito divenutogli scomodo) lo stato della Rocca non Una fortezza inespugnabile, costruita in poco tempo, vicino alla Svizzera. importava. Si arrivò così al defi nitivo degrado dell’edifi cio. Piuttosto che risanare stabilmente le coperture e gli ambienti vennero, in questo periodo, eseguiti solo 3.2.4 NEL SEICENTO – L’EPISODIO DELLA ZECCA CLANDESTINA rappezzi e tacconate così nel novembre 1661, dopo l’ennesimo nubifragio, la situazione era così disastrosa che vi fu l’abbandono della stessa da parte della Con l’estinzione della linea di Giovanni Battista Borromeo, la Vitaliana confl uì nel famiglia. patrimonio immobiliare del ramo superstite della famiglia che, cessando nel 1584 anche il ramo primogenito di Carlo Borromeo, faceva capo a Cesare II, padre del 3.2.5 NEL SETTECENTO Cardinal Federico e di Renato I. Nel 1636 e nel 1661 la Famiglia intervenne sulla Rocca per porre rimedio alle Carlo IV, fu il primo della Famiglia a portare il doppio cognome Borromeo Arese e continue situazioni di pericolosità determinate dai venti e dall’acqua del lago che successore di Vitaliano VI, nel 1690 ereditò l’arcipelago della Malpaga. continuavano ad aggredire la Rocca, che sembrava resistere a diversi assedi ma Il degrado necessitava di ulteriori importanti interventi che solo pochi anni prima non quello del tempo. erano stati posti in essere. La nota spese, del 1701, comportava un esborso to- Un primo intervento del ‘600 venne direttamente eseguito da un uomo di fi ducia tale di L. 135 s. 6 d. 6, e riguardava legnami, ferramenta, calcina, giornate e altro. della Famiglia, il signor Viarana. Che sostituì porte, fi nestre e infi ssi le parti più Della ferramenta non era indicato il luogo di provenienza, tranne alcuni ferri esposte al lavorio del vento e dell’acqua, che nel corso degli anni avevano aggre- preparati a Cannero da un fabbro locale. I legnami comprendevano assi di pes- dito la fortezza ed il dongione. Carlo III Borromeo diede precise indicazioni per cia (abete rosso), travetti di larice, refessi di pescia, ed erano trasportati via lago impedire il verifi carsi di crolli da parte della Rocca, impiegando anche da un barcharolo di Intra; si può dire che il legname d’opera era stato preparato

54 55 nei boschi della Vallintrasca. La calcina arrivava dai forni della sponda lombarda, ma anche dall’Isola Bella. Nei documenti dell’epoca si rinviene il nome e il soprannome del castellano della Vitalliana, un certo Volpino che sovraintendeva i cospicui lavori del 1704-1705. Si parla di 39 giornate di lavoro. Nel 1713, nuovamente il rappresentante comitale evidenzia l’improcastinabile necessità di intervenire sul ponte levatoio, alla sostituzione dei coppi delle torri e di alcuni infi ssi lignei danneggiati dalla pioggia. Si intervenne nella primavera del 1714 e da Cannobio giunsero sessanta brazze di piode oltre alla manodopera della Valle Cannobina, per intervenire sulle rinno- vate necessità della Rocca. Altro materiale venne successivamente inviato da Cannero ai castelli, per i lavori di sistemazione eseguiti dalle maestranze impeg- nate in una disfi da con le avversità climatiche che si abbattevano sulle mura in pietra della fortifi cazione nel Lago Maggiore. Nel 1718 lavori di manutenzione straordinaria furono richiesti ai maestri muratori che lavorarono sei giorni per il restauro del muro detto della peschiera, i lavori vennero interrotti per l’innalza- mento delle acque del lago. Una nuova serie di lavoro avvenne nel 1719, quando quattro operai di Falmenta aggiustarono i due moli presenti sull’arcipelago, oltre alla sostituzione di 1500 coppi, alcune porte e altri lavori di manutenzione. La tenuta delle pietre era ga- rantita da 18 chiavelle di ferro, comperate assiame ad un rubbo di piombo. Un lavoro considerevole, che si rivelò un intervento inutile. Già nel 1745, con la successione di Renato III Borromeo Arese a Giovanni Bene- detto, lo stato della Rocca era preoccupante. Sono anni di abbandono della 14. fortezza, che viene depredata da alcuni briganti.

56 57 3.2.6 NELL’OTTOCENTO

Il degrado era ormai inarrestabile. La Rocca era lasciata al suo destino. Vi fu solo un certo interesse nel 1815, anno della Restaurazione con il Congresso di Vienna, il desiderio di concedere la fortezza in affi tto alla Principessa Carolina di Brunswick, moglie dell’erede al trono inglese, il futuro Gregorio IV. La principessa sposata nel 1795 per ragioni di sangue al principe del Galles, intraprese quale esilio volontario il viaggio del Grand Tour innamorandosi della fortezza, la chiese in affi tto al Conte Gilberto V Borromeo. L’amministratore della provincia Borromeo del Lago Maggiore, Giovanni Polli, suggerì al Conte di accettare la richiesta in modo da alleviare le casse del Casa- to delle spese di gestione e dare lustro alla Rocca con l’arrivo della Principessa. Ma il contratto non venne fi rmato a causa del coinvolgimento della dama in uno scandalo con il proprio servitore Bartolomeo Bergomi. Al centro di alcune vicende risorgimentali, la Rocca divenne, in periodi alterni, rifugio sporadico di briganti e truppe garibaldine. Pare che anche il generale Gari- baldi, ne rimase affascinato e imparò a conoscerla grazie all’amicizia con la patri- ota Laura Mantegazza.

3.2.7 NEL NOVECENTO

Tra le due guerre mondiali la Rocca subì il tracollo defi nitivo e non vi furono sig- nifi cative opere di mantenimento. Solo sul fi nire degli anni ’80 del secolo scorso, si promossero comitati e iniziative atte a sostenere un recupero della stessa. Da quel momento in poi fu un susseguirsi di progetti, idee, necessità d’intervento per 15. il recupero del gioiello dell’alto Lago Maggiore. Nel 2008 la Famiglia proprietaria dell’arcipelago ha intrapreso un intervento ur- gente di messa in sicurezza del muro verso la Lombardia e la sostituzione di al- cuni tetti dell’edifi cio, al fi ne di evitare nuovi crolli che comporterebbero la perdita

58 59 di un importante patrimonio culturale. I Castelli di Cannero sono oggi suggestivi ruderi che sorgono su due isolotti rocci- osi a poca distanza dalla riva e che sembrano affi orare magicamente dalle acque del Lago Maggiore. La parte principale, sull’isolotto di levante, presenta ancora i massicci muraglioni costruiti a pelo d’acqua seguendo l’andamento irregolare dello scoglio e alcuni torrioni di forma diversa che conservano parzialmente la loro merlatura. Sull’isolotto di ponente, invece, restano solo un torrione mozzo e alcuni grossi tronconi di muraglie che continuano a sfaldarsi. I due isolotti non sono visitabili per motivi di sicurezza, ma continuano a emanare il loro antico fas- cino grazie alla vista dalla riviera o dalle imbarcazioni, costituendo anche un’am- bita meta per bagnanti. Per la tutela dell’edifi cio nacque anche la Fondazione Castelli di Cannero pre- sieduta oggi dal principe Giberto Borromeo. Anche tra i comuni dell’alto Lago Maggiore, con grande impegno di quelllo di Cannobio, è attivo l’iinteresse per cercare di valorizzare e recuperare al massimo la Rocca.

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60 61 PARTE IV. VICENDE EDILIZIE DELLA VITALIANA

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62 63 4.1 IL CASTELLO complesso produttivo in cui, assieme alla folla, alla maci- na e alla pista era dislocato anche un maglio di pertinenza feudale. L’invecchiamento, la consunzione e la marcescenza dei materiali non lapid- ei era tale da poter supporre una continua necessità di manutenzione e sos- tituzione delle ferramenta dei legnami, per cui all’ingente sforzo econom- ico dovuto alle urgenza di dotarsi di una roccaforte, fecero seguito anni, Se si intendesse ricostruire la vicenda edilizia della Vitaliana, un ricercatore non decenni, secoli di manutenzione ridotta all’osso, che mirava a conseguire avrebbe da penare nel capire come, in quel primo quarto del Cinquecento, venne la minima spesa perché i castelli della Vitaliana si mantenessero agibili. operata la scelta dei materiali di costruzione. Essi vengono infatti narrati dall’in- Per la cronologia delle fasi edilizie, alcuni fatti restano certi nella storiografi a uf- tero paramento murario che, ad una veloce lettura, raccoglie un vero e proprio fi ciale. La grande stagione delle rocche quattrocentesche era ormai al termine, catalogo dei materiali autoctoni del lago: serizzo e piode dell’Ossola, forse pietra allorché Ludovico Borromeo intraprese la costruzione della Vitaliana, il suo scopo cannobina e della Veddasca. era predisporre con urgenza una caposaldo bellico. La rocca venne edifi cata in La calcina, trasportata via lago con l’uso di piccole imbarcazioni, proveniva dalle sette anni; le prime attività edilizie vennero marcate da alcuni particolari, innovati fornaci di Caldé e della costiera di ; qualche riserva si può dare rispetto alle più tradizionali strutture difensive di terra (tra cui la gemella Rocca per il luogo di produzione delle prede cotte (i mattoni del tempo) più volte attestate di Angera), che anche l’occhio meno addestrato può tuttora riscontrare: feritoie nelle lettere che danno in modo molto superfi ciale, lo stato di avanzamento dei basse e lunghe,svasate per aumentare l’angolo di brandeggio, particolarmente lavori. In questo caso le vicende politiche del tempo giustifi cano una produzione studiate per bocche da fuoco difensive tipo spingarda e archibugio e probabil- di origine verbanese, magari del basso lago, nel dettaglio da Arona, caposaldo mente di piccoli pezzi di artiglieria (forse residuato dell’arsenale aronese), in- del sistema feudale Borromeo. Per qualche isolato impiego di materiali nobili fu serite nelle muraglie poste il più radente possibile al pelo d’acqua, per aumentare impiegato il marmo per la realizzazione di taluna sezione poligonale di colonna, al massimo l’effi cacia di tiro radente e sfruttare la protezione passiva delle mura. un paio di capitelli, le lapidi con le insegne borromee del morso o altre iscrizioni Un secondo particolare notevole riguarda proprio le strutture murarie. L’av- ed emblemi; non si esclude il ricorso alla pietra d’Angera per particolari architet- er occupato l’intero perimetro isolano con lo sviluppo delle fortifi cazioni con- tonici di maggior pregio, anche se non per tutti si può garantire l’esser coevi con sentì poi, in epoca in cui l’artiglieria era ancora ad un livello tecnico assai le primissime fasi costruttive della Vitaliana. basso, di non dover mettere in conto la costruzione di muraglie basse, ter- I legnami (secondo i resoconti dell’epoca: travi maestre, cantiri, refl essi e code- rapieni e controscarpe, quali quelle di cui dovette inevitabilmente dotar- ghe) e le ferramenta (ghiodi, stafe, cancari, stachete, chiavi di muro e catene di si, di lì a qualche decennio, la Rocca di Arona, per sopravvivere alle mi- ancoraggio) venivano con ogni probabilità prodotti a Cannero o in qualche fucina gliorate tecniche di assedio mediante martellamento di bocche da fuoco. e maglio che sappiamo essere stati attivi proprio in tante terre verbanesi soggette Terzo fatto notevole è costituito dalla progressione delle opere di fortifi cazi- ai Borromeo: una per tutte Intra, dove fi no al Settecento almeno esisté un one delle isole: evidente, oltre che dalla, in parte lacunosa, documentazione

64 65 cronologica delle parti edilizie, soprattutto dalle planimetrie e dalla loro interpre- tazione del punto di vista difensivo. Esse individuano almeno due grandi mo- menti edifi catori abbastanza facilmente identifi cabili: in quello primario con ogni probabilità presero forma il mastio e la serie di ambienti e di torri che occupano assieme alla cappelletta dalla volta a botte, ed al cortile della rocchetta, la parte dell’isola maggiore a Nord, verso l’alto lago e Maccagno. Si osservano infatti, nelle mura divisorie tra la parte Nord della rocca e quella Sud, feritoie per l’artiglieria cui, le successive costruzioni, avrebbero tolto qualsia- si senso e possibilità di utilizzo, tanto che vennero tamponate. A questo baluardo corrispondeva, secondo le indicazioni di piante ottocentesche, un ponte levatore che rappresentò il primo ingresso al castello: di esso si riconosce tuttora l’esist- enza, nello strapiombo della parete che guarda Luino; la passerella, facilmente rimovibile in caso di attacco, introduceva, tramite una serie di angusti ambienti crollati dall’alto da feritoie e caditoie, alla corte interna al dongione. Una volta costituito questo primo ridotto insediamento secondo la metodologia tre-quattrocentesca, che voleva il mastio, dotato di depositi e caneve per l’im- magazzinamento di derrate alimentari, quale estremo baluardo in caso di sfonda- mento delle difese esterne, si poté successivamente provvedere alle corti e alle mura verso Sud. Esse, dotate di spalti per gli armigeri, feritoie per le artiglierie leggere e le due torri alle estremità, hanno minor necessità di apparire solide, ma presidiano effi cacemente il piccolo braccio di lago che, opportunamente chiuso a Ovest e ad Est da due sezioni di molo che lasciavano comunque libero l’accesso alla corrente, mantenendo spazzata la piccola rada, formava un buon porto. La parte Sud-Est dell’ala di edifi ci verso Luino invece ha una fi sionomia meno militaresca, in quanto, pur con l’immancabile presenza di feritoie per le bocche da fuoco, ospitava quelli che inizialmente dovettero essere gli alloggiamenti 18. in tempo di pace per la piccola guarnigione del forte che fi nì poi col diventare luogo di abitazione con ampie fi nestre e una gran sala caminata. La primi- tiva residenza del castellano doveva essere posta, restando in linea con la

66 67 concezione dei secoli precedenti, all’interno del dongione: lo dimostrerebbero gli affreschi cinquecenteschi eseguiti nella stanzetta con camino della torri cella verso Maccagno e la presenza della cappelletta castellana all’interno del ridotto; segni indicativi di quale fossero gli ambienti di maggior prestigio e rappresentan- za, tipicamente dimora del castellano o, quando le due fi gure non coincidevano, del feudatario.

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68 69 4.2 PORTO E APPRODO AI CASTELLI ad oggi ancora ritrovata menzione dell’esistenza di moli o pennelli del porto vero e proprio, di cui oggi sussistono ancora le vestigia affondate. I barconi da carico, scarsamente maneggevoli, avevano un percorso di attracco obbligato, specie se a vela: l’Invera, vento pomeridiano, costringeva il natante proveniente dalle località di Porto Valtravaglia, Caldè, Laveno e Intra verso un Discorso a parte meritano le opere murarie del porto esistente anticamente tra approdo dal lato del canale di fronte a Luino; al contrario, il mezzo era favorito ad l’Isola Grande e l’Isola della “Prigioni”. Questo braccio d’acqua, che separa le due attraccare dal lato terra di fronte alla Gardanina, qualora giungesse da Maccagno isolette dell’arcipelago, costituisce effettivamente l’unico punto atto ad ospitare o dall’alto lago in genere. un riparo per le barche da lago durante la costruzione della rocca, come poi in L’aspetto originario dell’attracco, viene rinvenuto all’interno di due lettere a Gil- fase successiva per servizio del presidio militare e ancora dopo il sec. XVII per berto V Borromeno Aresa dal suo “provinciale d’Isola Bella”, amministratore delle gli spostamenti degli affi ttuari. terre borromee del Verbano, Fedele Lamberti, che informava il conte della ne- La documentazione relativa alle opere edilizie già negli anni di Ludovico Bor- cessità di effettuare urgenti riparazioni al pontile della Vitaliana (circa nel 1791). romeo, nel periodo sino al 1527, dimostra senza ombra di dubbio che la porta Il “porto”, menzionato negli scritti, dovette inizialmente consistere di due moli principale della rocca fosse situata, in ossequio alle antiche tecniche difensive, contrapposti: l’uno originato dalla base della torre angolare della rocca, verso nella facciata prospiciente Luino. Non il minimo appiglio, o facoltà di attracco per Cannero; l’altro che fasciava l’Isola Minore sin dalla sua radice nella casamat- eventuali mezzi di offesa, venivano offerti in quella parte delle mura. Per rendere ta delle Prigioni. Conferma questa ipotesi ricostruttiva una pianta che, pur non maggiormente sicuro l’ingresso, la porta, presieduta da due torrette munite di essendo datata, è di mano ascrivibile alla metà del sec. XVIII. In essa appare feritoie per pezzi di artiglieria che la spazzavano a mitraglia in caso di attacco, chiaramente l’esistenza di un muraglione aperto a metà del proprio sviluppo, che venne ulteriormente separata dalla stretta scala in muratura che sale dal lago doveva idealmente chiudere in una rada l’intero braccio di lago, consentendo un con l’adozione di un artifi cio medievale di un ponticello levatoio o passerella, da valido rifugio per le brache. Assai interessante il fatto che il disegno della mura- ritirare durante le ostilità. glia sia stato lasciato incompleto nelle due testate dei moli, diversamente da tutto Questa sorta di “rivellino” o presidio, pur effi cace, ebbe breve vita: mutate le il resto della pianta. Si intende forse signifi care che i moli potessero terminare in condizioni, decadute già da fi ne Cinquecento le funzioni militari della rocca, la acqua senza opere conclusive di testata; secondo le tecniche care agli ingegneri porta venne murata e l’ingresso angusto e battuto dai venti del basso lago, venne militari cinquecenteschi, si volle con ogni ragionevolezza defi nire la possibilità di abbandonato, preferendo quello odierno nella facciata delle muraglie che danno posizionare un collegamento “volante” in legno,facilmente rimovibile e riposizion- sul porto. abile: in tal modo si garantiva un camminamento “all’asciutto” tra le due isole, Per certo attraccavano sull’arenile dell’Isola Grande, nel braccio di lago dell’arc- permettendo comunque il fl usso delle correnti all’interno del canale e dando agio ipelago, i piati e le scave che giungevano alla fabbrica in corso da Maccagno, per una via di uscita rapidamente riapribile nel caso che il vento di meridione Cannobio, Caldé e Intra: per i primi anni di edifi cazione, introno al 1520, non si è avesse bloccato la sortita verso Sud dal porto alle imbarcazioni.

70 71 4.3 ALTEZZE E LIVELLI DELLE MURA CASTELLANE

Per concludere questa veloce ricognizione della rocca di Ludovico Borromeo, è interessante notare come tutto il perimetro della rocca subì a più riprese una se- rie di aumenti nell’altezza muraria, in quella di talune torricelle e forse addirittura del mastio. Eccezion fatta per la parte terminale del mastio, di aspetto molto poco militaresco e più simile ad un loggiato, senza escludere che tali aumenti siano il risultato di interventi edilizi posteriori agli anni caldi del 1519-1526, è probabile che si ten- desse fi n da subito raggiungere le dimensioni verticali quali quelle odierne, per migliorare in periodi di grande urgenza le difese della rocca. In alcune parti della rocca testimoniano il continuo lavorio e gli aumenti murari quattro diversi corsi di pietrame, archi di scarico a differenti quote, tamponature di vecchie porte e fi nestre, varie fi le di buche pontaie indice della tipiche tecniche di costruzione medievali. Alla Vitaliana gli aumenti sono evidenti nelle mura verso Maccagno, ma anche nelle torri verso Luino, nella torre delle peschiera, e nell’al- tra a forma amigdala, rivolte verso l’isola delle “Prigioni”. Se si escludono le tre lapidi marmoree che portano l’una l’insegna del morso o freno Borromeo, mentre le altre due le orgogliose iscrizioni datate 1521, ben poche sono le superstiti testimonianze d’arte sopravvissute nella Vitaliana di Lu- dovico. Gli affreschi sono oramai solo lacerti: per certo, la minuscola cappella del castello, dalla caratteristica copertura a botte, ospitava, ancora leggibili nel 20. 1815, pitture decorative sulla volta; sfregiate da interventi vandalici moderni sono invece le decorazioni della stanza tonda nella torre detta “della Contessa”, ri- volta verso Maccagno, rappresentanti alberi da frutto, cagnolini e levrieri, il tutto

72 73 circondato da cartigli oramai illeggibili: di esse ad oggi non è ancora venuta trac- cia documentale, che consenta di assegnar loro autore ed anno di esecuzione. Con molta probabilità, tali decorazioni commissionate con gran probabilità da un feudatario Borromeo da ricercarsi tra Carlo I, Camillo o Giovanni Battista, desid- erando abbellire un poco le stanze della propria scomoda residenza verbanese, ne ingentilisse le caratteristiche prettamente militari, avvalendosi delle arti pit- toriche di uno sconosciuto frescante.

21.

74 75 PARTE V. LA NUOVA VITALIANA 5.1 OBBIETTIVI E PREMESSE DI PROGETTO

A seguito di sopralluoghi e analisi effettuate attraverso lo studio della documen- tazione cartacea, sono emersi diversi ambiti fondamentali per il lavoro di proget- tazione all’interno dell’area archeologica dei Castelli di Cannero. La prima considerazione è riscontrabile nella assoluta mancanza, nella struttura di tardo periodo medievale, di un linguaggio formale univoco sia in pianta che nei suoi prospetti. L’imponente rocca si presenta infatti come un organismo ar- chitettonico disomogeneo, dalla diffi cile lettura stilistica che non ne permette una collocazione storica defi nita. Da questo disordine formale emerge un’immagine comune di un insediamento sviluppatosi in modo da saturare l’intero spazio di terra emersa disponibile. Un secondo ambito di interesse progettuale riguarda la conservazione dell’inte- ro apparato architettonico, attualmente abbandonato a un lento ma inesorabile declino. Le mura del castello e più in generale gli elementi lapidei e in cotto, si presentano in un buono stato di conservazione, nonostante saltuari crolli dovuti alla mancan- za di regolare manutenzione. La parte lacunosa delle rovine si presenta maggior- mente nell’ambito delle strutture di copertura e nei solai interni alle torri. Ques- ti elementi erano originariamente realizzati con strutture lignee che a seguito dell’abbandono della rocca e alle diffi cile situazioni climatiche del sito, hanno raggiunto fi n troppo rapidamente il defi nitivo tracollo. Gli ambienti interni, senza la protezione delle coperture, hanno da tempo perduto il loro aspetto storico. Gli intonaci e le loro decorazioni, sono ormai solo lontani ricordi segregati nei vecchi volumi degli archivi storici. L’antica pavimentazione a

76 77 lastre di pietra che un tempo ricopriva le corti e gli ambienti interni ai piani inferiori 5.2 PROPOSTA DI PROGETTO della rocca, è stata completamente sostituita dal terreno, il che rende assai arduo il cammino all’interno del luogo. In fi ne, dalle ricerche eseguite sul campo, è emerso un generale interesse, da parte della comunità locale, verso una proposta di recupero del sito in ambito tu- ristico. Attualmente infatti alcune rotte lacustri, costeggiano il sito ma non ne con- cedono la visita, soprattutto per il degrado sia della struttura che degli approdi. I Castelli di Cannero verranno quindi riconfi gurati alla visita turistica, negli ambi- L’obbiettivo che il lavoro di progettazione intende perseguire sulla Rocca Vitalia- enti interni verrà collocato un ampio spazio museale che ne occuperà le torri, le na, non intende ridursi al mero restauro di una rovina, ma al rilancio locale e in- stanze interne agli ambienti coperti e parte delle corti che verranno debitamente ternazionale, di un luogo simbolo della storia e della cultura di un territorio ancora sistemate, attraverso un sistema di ampie coperture, per ospitare congressi e legati alle sue antiche origini. mostre. Per garantirne un facile accesso a chiunque, i castelli verranno dotati di un ap- posito molo che non solo garantirà l’attracco sicuro sulla costa ma che andrà a valorizzarne l’accesso, costituito da un semplice porta sull’ampio muro posto a Nord. Dal molo si svilupperà poi un lungo pontile che ricostituirà il collegamento tra l’isola maggiore del Castello e l’isola minore delle “Prigioni”, sulla quale un semplice gioco di terrazze condurrà i visitatori ad un suggestivo ristorante inserito all’interno di una piccola torre.

5.2.1 L’IMMAGINE STORICA

Dati questi punti, il nuovo progetto non intende però imporsi con un linguaggio troppo aggressivo o per meglio dire, distaccato rispetto a quello storico. E’ ormai chiaro, dalle ricerche illustrate in questa tesi, che l’immagine dei castelli è ormai divenuta per la collettività un più che un simbolo un vero patrimonio paesaggis- tico. Verranno quindi garantiti, per il restauro e il consolidamento della struttura stor- ica, l’uso di materiali e tecniche costruttive il più vicini possibili a quelle originali del luogo e documentate da un apposita ricerca bibliografi ca.

78 79 Le mura perimetrali, le merlature e le pareti nelle quali saranno riscontrati crolli e crepe, saranno risarcite con l’uso di pietra locale, mentre, per garantire la soprav- vivenza nel tempo delle strutture ancora in buono stato su tutta la parte superiore dell’apparato murario sarà posto uno nuovo strato di pietra in modo da renderne leggibile e lineare l’andamento. Le coperture che si andranno a ricostruire, saranno realizzate seguendo il diseg- no classico del castello,che prevedeva tetti con struttura lignea e coppi in cotto, utilizzando a questo proposito, la tecnica costruttiva tipica delle montagne e dei paesi intorno al Lago Maggiore. Le coperture saranno quindi costituite da una struttura lignea il cui elemento prin- cipale sarà costituito dalla trave di colmo alla quale si appoggeranno una serie di punti sormontati da listelli coperti da uno strato di assi e isolante, in fi ne un manto di coppi chiuderà la copertura a due falde con aggetti piuttosto contenuti. Quello che si intende ottenere, attraverso questo scelta, è la diretta volontà di non rompere, attraverso l’uso di materiali e forme differenti da quelle storiche, la lettura dello skyline storico del castello. Come abbiamo già avuto modo di affermare, il castello possiede, senza troppi elementi un ruolo centrale rispetto al paesaggio in cui è inserito, il rischio di spezzare questo delicato gioco visivo, sarebbe la perdita di identità del luogo rispetto all’immagine affi dagli nel corso del tempo dalla collettività.

5.2.2 I CORTILI E LE CORTI

Se però l’esterno è stato inteso come un armonioso confi ne da preservare, le corti interne sono state invece valutate come la vera parte innovativa del progetto con la quale valorizzare e dare visibilità al sito archeologico. I cortili all’interno dei Castelli di Cannero, si presentano come spazi abbastanza ampi di forma estremamente irregolare, perché risultanti dal processo di saturazi- 22. one del perimetro dell’isola.

80 81 Nonostante la loro relativa grandezza questi ambienti risultano poco adatti ad ospitare un impianto museale stabile, soprattutto perché aperti alle intemperie. Per questo motivo, al fi ne di renderli più ampiamente sfruttabili con qualsiasi condizione climatica, la scelta progettuale è quella di andare a proteggerli attra- verso un apposito sistema di coperture. Per la progettazione di questi elementi innovativi, rispetto al resto della strutture, si è dovuto tener conto di alcune considerazioni sulla fragile natura del sito: - La grande ricchezza archeologica del luogo è costituita dalle sue mura, risulta quindi impossibile per rispettare l’integrità del sito, di ancorare la struttura por- tante delle coperture all’architettura esistente. - Nonostante la necessità di andare a coprile i cortili, risulterebbe un impoveri- mento ambientale, il far perdere a questi vuoti, la loro qualità peculiare qualità di luce e ariosità, data dal fatto di essere degli esterni. - La forme e i materiali di questi nuovi elementi architettonici devono, seppur dis- taccandosene, andare a colloquiare in maniera armonica con quelli che vanno a comporre la rocca, in modo da non creare confusione all’interno del linguaggio architettonico. Partendo dal problema formale la copertura viene originata andando a prolun- gare verso determinate centralità il vertici che si sono riscontrati negli elementi architettonici che si vanno ad affacciare sulle corti. Il risultato ottenuto, risulta quindi essere estremamente irregolare, quasi un onda, che scavalca le partizioni interne ma allo stesso tempo si mantiene al disotto delle mura esterne, in modo da non intaccare, con la sua presenza, la lettura dei prospetti esterni, lasciando quindi inalterato il disegno generale della rocca. Il secondo punto, riguardante la struttura di sostegno della nuova volta delle corti, è stato risolto studiando una serie di pilastri. Posti in corrispondenza dei punti di 23. centralità ricavati dallo studio della forma, questi elementi sorreggono la copertu- ra in maniera omogenea grazie a una seri di braccia ramifi cate, che garantiscono lo scarico delle forze statiche lungo il pilastro in maniera omogenea.

82 83 Questa soluzione ha oltremodo permesso alla struttura intera di distaccarsi com- Per questa parte di progetto si sono rivelate estremamente preziosi gli inseg- pletamente dalla mura perimetrali, lasciando dal bordo della copertura a quello namenti estrapolati dallo studio, durante lo svolgiemento del percorso di tesi, di della superfi cie dei muri uno spazio abbastanza largo da permettere il passaggio vari progetti che, per trattazione del rapporto con la rovina, le scelte strutturali di luce naturale, che scendendo sulle pareti ne enfatizza la trama delle pietre. o per la bellezza degli ambienti generati, si sono rivelati analoghi alle scelte del Dato il gravoso carica affi dato a ciascun pilastro, essi sono stati progettati con lavoro svolto. Grazie alle suggestioni trasmesseci, queste architetture hanno una sezione piuttosto ampia in acciaio, come in acciaio sono le ramifi cazioni di costituito veri e propri punti focali, con quali indirizzare in modo chiaro il nostro sostegno. Data però la natura assai poco diversifi cata dei materiali che com- obbiettivo, di dare nuova vita ad un ambiente vincolato alla presenza massiva pongono la rocca, si è deciso, per permettere una lettura univoca dello spazio al e statica della pietra, facendo vibrare le pareti di una una nuova luminosità e visitatore, di rivestire con una superfi cie lignea sia il pilastro e che le sue braccia. valorizzarne la nascosta bellazza. La struttura componente la copertura sarà composta da travi lignee, in continuità con i sostegni, tra le quali viene sistemato uno strato di carabottino, che con la sua trama di fori, permette il passaggio della luce proveniente dall’esterno, ulteri- ormente soffusa e fi ltrata da una lamiera grecata traslucida, posta a rivestimento esterno dell’intera volta.

Per garantire un corretto smaltimento delle acque piovane e non consentirne il ristagno, la copertura, divisa in una serie di forme triangolari, convoglia l’acqua verso i vari punti centrali in corrispondenza dei pilastri sottostanti all’interno dei quali viene fatto passare un capiente canale di scolo. Sotto questo grande ombrello ligneo, l’ambiente di illumina di una suggestiva luce soffusa, spazi vuoti delle corti si popolano di queste strutture che, alternan- dosi, ricreano allo sguardo l’effetto di una piccola selva, sotto la quale riparasi dal torrido sole o dalla battente pioggia. Le nuove sale, create con questo artifi cio ar- chitettonico, rinascono a nuova vita, che non le vede più come occasionali punti di passaggio, ma vere e proprie piazze coperte. Il Castello grazie a questo intervento non si dividerà più in spazi aperti e chiusi, ma vivrà di un unico ambiente che si dilata o si restringe seguendo lo schema irregolare dei livelli e dei percorsi originali del castello.

84 85 24. 25.

86 87 26. 27.

88 89 29. 28.

90 91 PARTE VI. IL MUSEO DELLA FORTEZZA 6.1 IL TEMA DELLA COLLEZIONE

…”Da millenni gli uomini si puniscono vicendevolmente – e da millenni si domandano perché lo facciano”

Digesto,48,19,8,9 (9 de off., Proc..)

All’interno degli ambienti della Rocca si collocherà il “Museo della Detenzione e della Tortura”, comprendete una vasta raccolta di reperti originali o ricostruzioni accurate, oltre che a una vasta serie di stampe, quadri e manoscritti, che illus- treranno al visitatore il processo evolutivo del sistema carcerario e detentivo at- traverso il corso della storia, iniziando dal sistema giuridico presso i romani, sino all’odierno apparato penitenziario. Una serie di pareti attrezzate e teche, oltre che a reperti originali o accurate ricos- truzioni, narreranno al visitatore il processo di cattura, condanna e reclusione in alcune delle più importanti fasi storiche della nostra civiltà. Dai processi per stre- goneria della Santa Inquisizione nel periodo medievale con le loro infami torture, sino all’odierna criminologia con il suo sistema penitenziario e alla pena capitale. Uno studio completo su un ambito culturale a volte oscuro con il quale dobbiamo ancora confrontarci. La scelta del tema attribuito alla mostra è dovuta all’immagine storica attribuita dalla collettività ai Castelli. Nella loro storia, infatti, le isole dell’arcipelago Malpa- ga, ospitarono l’insediamento di feroci briganti, i cosiddetti Mazzarditi, che ebbe- ro fama di tremendi aguzzini e torturatori, in fi ne annientati dall’esercito ducale milanese.

92 93 Le vicende storicamente accertate, le svariate leggende e racconti che la circon- 6.2 IL CARCERE E LA PENA: CENNI DI EVOLUZIONE STORICA dano, oltre che a una posizione territoriale affascinante, contribuirono a donare alla rocca la fi gurazione romantica di tetro maniero, che ancor oggi attira intorno al sito turisti e occasionali visitatori.

PREMESSA

ll carcere può essere considerato un’istituzione totale che ha come scopo mani- festo quello di sanzionare gli individui che hanno commesso un reato, attraverso la detenzione in un luogo chiuso in cui è fortemente limitata la libertà di movimen- to del condannato. Si tratta di uno strumento con cui lo Stato moderno esegue la sanzione penale, regolato da un insieme di regole che vengono chiamate diritto penitenziario, e dunque di un’istituzione che è sorta storicamente, come forma principale di san- zione penale statuale, nella seconda metà del Settecento con lo sviluppo dell’il- luminismo giuridico penale. La diffusione dell’istituzione penitenziaria si è sviluppata contemporaneamente ad un insieme di pratiche di sapere e di discipline scientifi che che prendono il nome di scienze criminologiche. Nell’ambito di queste ultime discipline si sono sviluppate pratiche di intervento sulla popolazione reclusa, che hanno l’obiettivo manifesto di risocializzare e/o rieducare gli individui detenuti, oppure di “curare”, modifi care, trasformare quegli aspetti della personalità dei condannati che, sec- ondo gli esperti della scienza criminologica, conducono alla commissione di atti criminali.

94 95 6.2.1 IL CARCERE NELL’ANTICHITA’

Il carcere, ovvero l’edifi cio che ospita una prigione o un penitenziario, è sconos- ciuto nell’antichità e nel medioevo, e vede la luce nella sua accezione moderna, ovvero nel senso di “stabilimento penale”, con l’avvento della rivoluzione indus- triale, che culminerà nella presa del potere assoluto da parte della borghesia, nella seconda metà del ‘700, e che trova la sua “consacrazione” nella rivoluzione francese. In precedenza, il concetto di pena attraverso la privazione della libertà non es- isteva. Il concetto punitivo dall’antichità al medioevo si fondava prioritariamente sulla categoria etico-giuridica del “taglione”, forma di vendetta basata sul criterio di pareggiare i danni derivati dal “reato”. La prigione, o meglio la detenzione, era solo un passaggio temporaneo nell’at- tesa dell’applicazione della pena reale, cioè la privazione nei riguardi del “colpe- vole” di quei beni riconosciuti universalmente come valori sociali: la vita, l’integ- rità fi sica, il denaro. La crudeltà e la spettacolarità assolvevano la funzione di deterrente nei confronti di coloro che intendevano trasgredire le regole imposte dal “signore” o dai potenti di turno. In alcuni casi la pena veniva sanzionata secondo criteri più “umani”, in uso anche presso altre civiltà, soprattutto di origine tribale: l’allontanamento dalla comunità (temporaneo o defi nitivo) o il concetto di “compensazione” (il colpevole veniva costretto a compensare in qualche modo, ad esempio attraverso un lavoro di “utilità sociale”, il danno recato alla comunità o a individui).

30.

96 97 6.2.2 IL SISTEMA PUNITIVO ROMANO in seguito, fu addirittura permesso l’esilio, anche quando l’esilio divenne una pena a se stante, esso venne considerato come una morte civile, che produceva La concezione della pena che ebbero i Romani variò secondo le epoche; si pre- la perdita della cittadinanza, e con essa quella di ogni diritto della persona, e la senta anche diversa secondo i vari campi, ed ha avuto una notevole evoluzione. perdita dei beni; queste non come pene accessorie, ma come conseguenze nec- Il diritto romano più antico non aveva certo il concetto della pena affl ittiva o retrib- essarie, perché nulla doveva rimanere alla persona, e nulla della persona. utiva, ne quella del risarcimento pecuniario. Oggi possiamo senz’altro dire che la I fatti meno gravi, ed anche i più gravi, quando non presentavano un carattere punizione è un diritto e nello stesso tempo un dovere dello Stato e che la vittima particolarmente malefi co, venivano lasciati, per la punizione, al capo, e poi al appare, almeno in teoria, estranea ad essa. magistrato supremo, il quale doveva intervenire avvalendosi della coercitio (let- Quanto alla pena, nei casi più gravi dovettero dominare due concetti, quello della teralmente “diritto di reprimere”) una prerogativa tipica che consisteva nella necessità della purifi cazione, intesa,come più che del singolo, del gruppo, che il facoltà di reprimere, appunto, qualsiasi forma di ribellione contro l’ordine cos- singolo aveva macchiato col suo atto illecito, e quello della consacrazione alla tituito. In questo modo i magistrati esercitavano funzioni di polizia, infl iggendo divinità,che era stata offesa dal crimine. In entrambi i casi, il sacrifi cio del colpe- pene variabili dalla multa pecuniaria al carcere, dalla fustigazione alla condanna vole. a morte. Tale prerogativa dei magistrati romani fu fondamento giuridico di molte L’espiazione a scopo di purifi cazione doveva essere praticata con la forma che persecuzioni contro i Cristiani. più si addice, la crematio, la vivicombustione. Nello specifi co, le prime testimonianze di prigioni in epoca romana concernono il La consacrazione alla divinità poteva essere attuata in altro modo, ed è tipico il carcere detto Tullianum e poi Mamertinum, risalente al regno di Anco Marzio ma caso del «frugem patisse ac seguisse», reato gravissimo per quel popolo di ag- la cui costruzione fu terminata con l’aggiunta di un sotterraneo per ordine del suo ricoltori, considerato come offesa alla dea Cerere, alla quale veniva dedicato il successore Servio Tullio (578-594 a.C.). colpevole, con la sospensione all’arbor infelix (la croce, in origine avente la forma Era formato da due ambienti l’uno sovrastante l’altro, comunicanti tra loro tramite di T). un foro ricavato nel pavimento: quello inferiore, dove i detenuti, uomini e donne Anche antichissima sembra essere stata la pena del culleus, cioè della sommer- in promiscuità erano incatenati, era privo di luce e completamente segregato sione in acqua (probabilmente in origine nel Tevere), del condannato, chiuso in al pubblico. La parte esterna invece era accessibile ai visitatori ed i prigionieri un sacco (culleum), e con animali, che lo straziassero. La morte, quindi, non era avevano libertà di movimento. concepita tanto quanto una pena, ma come la completa eliminazione del colpe- In linea generale il carcere nell’ impero romano non veniva concepito come una vole. pena in senso tecnico, ma come un mezzo per tenere l’ accusato in custodia af- Del morto non doveva rimanere, per così dire, alcuna traccia, onde la perdita di fi nché non si sottraesse alla giustizia. Nello svolgersi di tutto l’itinere processuale, tutti i diritti e di tutti i beni, la invalidazione del testamento, la cessazione delle egli veniva privato della libertà personale al solo scopo di impedirne la fuga, per- potestà familiari, ecc. mettendo così di raccogliere tutti gli elementi utili alla causa e di pervenire alla Anche quando il condannato si sottraeva alla morte con l’esilio, anche quando, decisione. Il fatto che l’accusato, dopo la condanna, fosse custodito in un luogo

98 99 inespugnabile, garantiva l’esecuzione della sentenza. Durante il Basso medioevo le pene pecuniarie vennero sostituite, per motivi eco- nomico-sociali, da un ampia gamma di crudeli pene corporali; se le pene pecu- 6.2.3 L’ORDIAMENTO PENALE MEDIEVALE niarie del primo medioevo rifl ettevano i rapporti sociali di un mondo contadino scarsamente popolato, in cui era presente una diffusione abbastanza equilibrata Durante tutto il medioevo il fi lo conduttore della detenzione carceraria fu il suo della ricchezza, la ferocia delle sanzioni corporali del secondo medioevo erano il “assicurarsi che certi individui inaffi dabili fossero presenti al processo o all’ emis- risultato della rilevante crescita della popolazione, che aveva portato al sovraffol- sione del verdetto”. lamento dello spazio vitale esistente. Si trattava quindi, nella maggior parte dei casi, di carcerazioni preventive, anche Si determinò infatti una frattura di classe tra ricchi e poveri, nascendo una classe se durante l’Alto medioevo l’ istituto andò assumendo, seppure in sporadici casi di lavoratori senza alcun avere che si facevano concorrenza tra di loro provocan- eccezionali, specifi co carattere di sanzione; ciò avvenne per volere di Liutprando, do un ribasso dei salari: si crearono orde di mendicanti, disordini sociali, rivolte. re longobardo, il quale stabilì che ogni magistrato fosse fornito di un luogo dove La criminalità aveva mutato completamente il proprio aspetto. Ne risultò un rapi- rinchiudere per due o tre anni i ladri non recidivi, dopo che avessero pagato la do incremento dei reati contro la proprietà. composizione al derubato. Si ammise inoltre che il carcere potesse talvolta sosti- Lentamente al posto delle pene fi no allora comminate, si sostituirono la fl agellazi- tuire sanzioni pecuniarie insoddisfatte o pene infamanti, spesso inopportune per one, la mutilazione e la pena di morte, dapprima ancora redimibili con il denaro, la loro gravità e dannose per l’intera famiglia del colpevole. poi come strumento di pena universale, il quale solamente sembrava in grado di Durante l’Alto medioevo le composizioni pecuniarie costituivano in pratica l’ unico garantire una certa difesa contro la criminalità delle crescenti masse dei disere- strumento penale adottato in modo costante e debitamente regolamentato; in dati. questo periodo i delitti contro la proprietà sono pressoché inesistenti, e il compito Inoltre in questo periodo si presentarono anche altri eventi fondamentali: “la cen- del diritto penale è fondamentalmente quello di redimere controversie tra eguali tralizzazione del potere, la consequenziale necessità di far percepire ai sudditi l’ al solo scopo di mantenere la pace pubblica; la qual cosa avviene solitamente autorità dello stato e quella di trarre vantaggio economico dalle pene pecuniarie tramite una compensazione economica a favore della parte offesa. comminate nei confronti di coloro che violavano la pacifi ca convivenza. Il crimine era considerato solo nel suo contesto individuale; “in sostanza la giusti- Con lo spostamento della gestione del potere penale dalla comunità locale a un zia penale medievale ruotava intorno al concetto di vendetta personale”. “Non è organismo centrale sempre più infl uente, la pena pecuniaria si era trasformata tanto il carcere come istituzione ad essere ignorato dalla realtà feudale, quanto la da una compensazione della parte offesa in un metodo per arricchire giudici e pena dell’ internamento come privazione della libertà”; per tutto il periodo feudale funzionari di giustizia riservato ai soli benestanti, mentre le pene corporali erano si può quindi parlare di carcere preventivo e carcere per debiti, ma la limitazione divenute la tipica sanzione da comminare nei confronti di coloro che non erano della libertà, protratta per un periodo determinato di tempo e non accompagnata in grado di ottemperare a quell’ obbligo”. In conclusione, quindi, anche per tutto da alcuna sofferenza fi sica ulteriore non era prevista come pena autonoma ed il Basso medioevo, nonostante il fatto che la situazione sociale fosse fondamen- ordinaria. talmente diversa da quella presente nel corso dell’ Alto medioevo, il ruolo del

100 101 carcere all’ interno del sistema delle pene pare rimanere sostanzialmente invaria- to: luogo di custodia provvisoria per gli imputati in attesa di giudizio o luogo dove aspettare l’ esecuzione delle pene corporali.

6.2.4 DIRITTO CANONICO

Detentore di un ruolo particolare è il diritto penale canonico: fi n dai secoli V e VI, la Chiesa infatti adottò per prima la pena carceraria nella forma di reclusione, principalmente in monasteri e prigioni vescovili. Questi edifi ci erano destinati principalmente ai chierici che avevano commesso reati ed alle persone ree di eresia, chierici o laici che fossero. L’istituzione cristi- ana, non potendo comminare sentenze di morte senza contraddire i principi su cui si edifi ca e senza interferire nella competenza della giurisdizione ordinaria, era stata costretta a ricorrere unicamente al carcere e alle pene corporali. Il regime penitenziario del diritto canonico era estremamente duro e prevedeva, a scopo di espiazione e compunzione, la sofferenza fi sica del condannato, che era tenuto in un prolungato isolamento assoluto, in locali stretti e privi di ogni comodità, a rigoroso digiuno e senza potere fare nulla. L’unica eccezione che gli era consentita era: pregare.

6.2.5 LA NASCITA DELL’ISTITUZIONE CARCERARIA MODERNA

L’avvio del processo di accumulazione capitalistica porta alla dissoluzione della società rurale ed alla nascita del futuro proletariato industriale. Il processo che porterà al dominio borghese ed alla società industriale, inizia però almeno due secoli prima, con il lento ma progressivo sradicamento della cultura popolare, con l’apparizione dei primi luoghi di concentramento di lavoro forzato (fabbriche, offi cine, miniere), e con il progressivo mutamento degli assetti 31. e dei rapporti sociali, dovuto alla crescente poderosa pressione della borghesia

102 103 su un’aristocrazia indebolita ed in declino e su un proletariato povero, incolto, stabilisce un’equivalenza tra delitto e pena cercando di sottrarre quest’ultima confuso e disorientato. all’arbitrio. Già nella sua prima fase questo passaggio costringe i più, per sopravvivere, a In questo clima vengono accolte con favore le teorie di alcuni “riformatori” ingle- trasformarsi in barboni, mendicanti, vagabondi, briganti. Una massa di non oc- si tra cui spicca Jeremy Bentham, che assegna al carcere, prioritariamente, un cupati (quello che Marx più tardi chiamerà “l’esercito industriale di riserva”) che carattere intimidatorio e di totale controllo al fi ne di realizzare il ruolo produttivo vive di espedienti e contro di cui, sin dal secolo XVI e XVII, si svilupperà, in tutta e risocializzante. E’ il progetto Panopticon basato sul “principio ispettivo” che i Europa, una legislazione sociale fortemente repressiva, caratterizzata da duris- pochi (carcerieri) possano controllare i molti (detenuti), e il controllo possa essere sime pene corporali: un vero e proprio sterminio della massa dei disoccupati per esercitato su tutti gli atti del carcerato nell’arco delle 24 ore giornaliere. attenuare la pressione sociale che essi esercitavano. Nasce così la nuova struttura architettonica del carcere moderno (carcere Ben- Al contempo si assiste ad un progressivo e sostanziale cambiamento del concet- thaniano), fatta di “bracci” (o “raggi”) e rotonde, costruito cioè in modo che i car- to di pena e si forma il nucleo dell’ideologia penale pre-illuminista. A poco a poco cerieri stando fermi nel posto di guardia posto sulla rotonda possano avere la in Inghilterra i ladri e le prostitute, insieme ai vagabondi, ai poveri e ai ragazzi visuale piena su un intero braccio di celle, o su più bracci (struttura a raggiera). abbandonati anziché essere sottoposti alle comuni sanzioni dell’epoca vengono Al contempo ogni detenuto sa che ogni suo movimento è controllato “a vista” con raccolti nel palazzo di Bridewell (concesso dal sovrano) e obbligati a “riformarsi” estrema facilità. attraverso il lavoro e la disciplina. E’ il risvolto carcerario della pretesa della ricca borghesia in ascesa di riuscire a Nasceva così nel 1557 la prima house of correction o workhouse (concetti e controllare totalmente le classi subordinate. pratiche tornati prepotentemente alla ribalta oggigiorno), caratterizzata dall’or- Sul piano pratico vengono introdotte, dapprima in Inghilterra (legge del 1810 e ganizzazione rigida del tempo strutturato in gesti sempre uguali e ripetitivi. il Goal Act del 1823) e poi in tutta Europa, alcune innovazioni: separazione tra i A tal scopo vennero approvati (dapprima in Inghilterra e successivamente in tutta sessi, isolamento notturno e lavoro diurno in comune. Le condizioni di vita nelle Europa) una serie di istituti, come quello del 1601 che riduceva il rifi uto del lavoro carceri peggiorano, così come peggiorano le modalità di vita e lavoro per i poveri ad atto criminale, ed altri con i quali veniva stabilita l’obbligatorietà del lavoratore nelle workhouses. ad accettare la prima offerta di lavoro che gli venisse rivolta e contemporane- amente gli veniva vietato di contrattare col proprio padrone. E’ il periodo delle 6.2.6 IL CARCERE IN ITALIA house of correction in Inghilterra, delle rasp-huis nei Paesi Bassi e dell’ hòpital in Francia. Questa situazione europea dura fi no alla chiave di volta rappresentata Nella seconda metà del XVII secolo si realizza una delle prime esperienze carcer- dalla rivoluzione francese. arie moderne: a Firenze all’interno dell’Ospizio del S. Filippo Neri per giovani Successivamente, le nuove teorie rivoluzionarie borghesi, politiche e sociali, abbandonati viene istituita una sezione destinata fondamentalmente a giovani favoriscono l’affermarsi di una nuova struttura giuridico-normativa (in Francia il di buona famiglia con problemi di disadattamento. E’ il primo caso di isolamento codice rivoluzionario del 1791 e in Germania il codice bavarese del 1813) che cellulare a scopo correzionale: la sezione era infatti composta da otto cellette

104 105 singole in cui i giovani erano rinchiusi in isolamento giorno e notte. creò un forte stato di allarme tra le classi dominanti. A Milano alla fi ne del XVII secolo vengono realizzati una “Casa di Correzione” e Queste, agitando lo spettro della rivoluzione bolscevica attraverso i media del un “Ergastolo”. tempo con toni fortemente demagogici, riuscirono a mobilitare i settori della pic- A Napoli è in funzione la Vicaria: vi sono rinchiusi un migliaio di prigionieri in cola borghesia (rovinata dalla guerra) che vedeva i suoi privilegi residui minaccia- condizioni terribili, molto al di sotto dei livelli di sopravvivenza. Altrettanto aber- ti dalle richieste popolari. Così si spianò la strada al fascismo. ranti sono le condizioni della Casa dei poveri, il cosiddetto “Serraglio”. A Roma La repressione per il fascismo era un’esigenza di politica economico-sociale nel 1770 viene realizzato il carcere cellulare del San Michele (prigione vaticana). (come del resto lo è per i governi odierni). Nel 1811 in tutti i paesi italiani sottomessi alla dominazione napoleonica, viene L’azione di intimidazione e di repressione nei confronti del proletariato urbano e introdotto il codice penale francese del 1810 il cui nucleo fondamentale è rap- rurale superò di gran lunga ciò che era consentito dalla pur durissima “repres- presentato dalla difesa della proprietà privata e dell’autorità dello Stato. Si diffon- sione legale” dei paesi a regime formalmente democratico. dono anche nel nostro paese i principi della pena detentiva e del lavoro forzato. Gli accordi del fascismo con la Chiesa cattolica (Patti Lateranensi dell’11 feb- Nel 1839 vengono approvati, in vari Stati italiani, nuovi codici penali e riforme braio 1929) rivestirono la pena di caratteristiche moralizzatrici come era secoli dell’istituzione carceraria maggiormente rispondenti al momento storico di un addietro, considerando il reo come “peccatore che deve compiere un percorso di paese che si avvia all’unifi cazione, ad una presenza considerevole di proletari- espiazione e rimorso”. ato e sottoproletariato la cui potenzialità di ribellione alle regole della borghesia Nel 1926 viene approvata la nuova legge di Pubblica Sicurezza (si introduce il capitalistica spinge il potere statuale a realizzare una gestione del carcere di tipo confi no di polizia). Nel 1930 è approvato il codice Rocco. terroristico-ideologico come strumento per il controllo sociale. Nel 1931 è approvato il Regolamento carcerario che rimarrà in vigore fi no alla Nel 1889 viene emanato il codice penale Zanardelli, entrato in vigore nel ’90, che riforma del 1975. Nel 1934 vengono approvate altre leggi (n.1404 e n.1579) che sostituisce il codice sardo del 1859: viene abolita la pena di morte (sostituita con regolamentano il funzionamento del Tribunale dei minorenni e delle Case di ried- l’ergastolo) ma restano severissime le pene per i reati contro la proprietà. Nel ucazione per minorenni e che istituiscono i Centri di Osservazione, con lo scopo 1891 viene approvato il nuovo regolamento generale per gli istituti carcerari. di “fare l’esame scientifi co del minorenne, stabilirne la vera personalità, e segnal- Si vanno diffondendo frattanto una serie di concezioni portate avanti da alcuni are i mezzi più idonei per assicurare il recupero alla vita sociale”. intellettuali (Lombroso, Ferri, Garofalo, ecc.) che considerano il reato come “fat- Nel 1930 venne anche approvato il codice di procedura penale dove, nel famiger- to umano individuale” causalmente determinato. La misura della pena risponde ato art.16, si garantiva l’impunità agli agenti di pubblica sicurezza “per fatti compi- quindi al principio della “pericolosità sociale”, non più alla gravità del reato; ma i uti in servizio e relativo all’uso delle armi o di altro mezzo di coazione fi sica”. Una vari governi che si succedono si oppongono a questo concetto e si attestano su licenza di uccidere che ricomparirà, con l’accordo di quasi tutte le forze politiche una linea conservatrice. negli anni ’70 e che perdura tuttora. Le forti mobilitazioni sociali successive alla prima guerra mondiale che oltre alla Un altro elemento caratteristico dell’ideologia che ispira il codice Rocco è quello classe operaia urbana coinvolsero anche le campagne e il proletariato contadino, che pone a carico dell’accusato l’onere di dimostrare la propria innocenza e non

106 107 all’accusatore dar prova dell’accusa, stravolgendo anche le basi del diritto roma- penitenziario fascista del 1931, fi no alla riforma del 1975, che sotto moltissimi no: aspetti avrà caratteri fortemente peggiorativi data la situazione di lotte e rivolte alla faccia di tutt le simbologie e rituali che tentavano di mantenere un legame all’interno delle carceri che hanno caratterizzato gli anni ’70. proprio con la romanità. Con un semplice decreto ministeriale, il n. 450 del maggio 1977, vengono istitu- Il Regolamento carcerario del 1931 si fonda sostanzialmente su questo assunto: ite le carceri speciali e di “massima sicurezza”, per rispondere alle lotte che si Lo Stato incarna il bene comune, lo Stato è al centro della vita del cittadino, il erano sviluppate e continuavano a realizzarsi nel circuito carcerario, per cercare delinquente è un nemico del popolo, quindi dello Stato, poiché offende la dignità di ostacolare i livelli di aggregazione in continua crescita ed anche per tentare di dello Stato e si contrappone ai sentimenti popolari e alle pubbliche virtù. La pena frenare il movimento di evasioni creatosi in quegli anni. dunque deve avere una funzione affl ittivo-punitiva e deve essere esemplare. Il L’istituzione della carceri speciali spianerà la strada all’introduzione di una stretta carcere di conseguenza sarà infl essibile e distruttivo nei confronti degli “incorreg- repressiva inaudita ed allucinante: il famigerato articolo 90 e i “braccetti di mas- gibili”, fl essibile e attenuato per gli altri: simo isolamento” (Braccetti della morte). E’ il Decreto Ministeriale 22.12.1982. “Occorre stabilire norme di vita carceraria che siano bensì idonee ad emendare Le condizioni carcerarie ed il sovraffollamento sono da anni un’emergenza nazi- il condannato, ma non tolgano alla pena il carattere affl ittivo ed intimidativo ... onale e democratica, un vero e proprio problema strutturale del sistema, causa E perché la pratica resti ferma ed ossequiente al pensiero del legislatore, ho principale delle insostenibili condizioni dei detenuti. riconosciuto la necessità non solo di dettare i precetti positivi, ma di formulare Secondo i dati del Ministero della Giustizia, al 31 gennaio 2013 erano presenti nei altresì una disposizione, che implica il divieto di ogni giuoco, festa o altra forma di 206 istituti carcerari italiani n. 65.905 detenuti a fronte di una capienza regolam- divertimento che a quell’austerità [del carcere] possa recare offesa...” (Relazione entare di 47.040 unità. Di questi, n. 25.520 sono indagati o imputati in custodia di presentazione al nuovo regolamento per gli Istituti di Prevenzione e Pena). cautelare, n. 39.090 condannati e n. 1.233 internati. Circa il 40% della popolazi- Lo stesso Mussolini intervenendo nel dibattito parlamentare sulla presentazione one carceraria è ristretta per reati in materia di stupefacenti. del nuovo Regolamento penitenziario ci tenne a dire la sua mettendo in guardia La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in data 8 gennaio 2013 ha pronuncia- coloro che studiano le carceri dal “vedere questa umanità sotto un aspetto forse to sentenza di condanna dell’Italia, accertando nel caso concreto la violazione eccessivamente simpatico ... dell’art. 3 CEDU e, contestualmente, ha posto in luce 1) l’esistenza di problemi Credo che sia prematuro abolire la parola pena e credo che non sia nelle in- strutturali, 2) il carattere sistemico delle violazioni dell’art. 3 CEDU 3) l’obbligo di tenzioni di alcuno convertire le carceri in collegi ricreativi piacevoli, dove non porre in essere misure e azioni indispensabili per porvi rimedio (nel termine di sarebbe tanto ingrato il soggiorno”. E’ questa l’essenza dell’ideologia fascista un anno), invitando lo Stato a ricorrere il più ampiamente possibile alle misure della punizione espressa dal duce del fascismo che però oggi ritroviamo tranquil- alternative alla detenzione e a riorientare la politica penale verso un minor ricorso lamente espressa, e senza vergogna, dalla gran parte delle forze politiche che si alla detenzione. autodefi niscono, bontà loro, democratiche. Negli anni successivi al secondo dopoguerra rimase in vigore il regolamento

108 109 6.3 BREVE STORIA DELL’INQUISIZIONE

L’Inquisizione, entrata nell’immaginario collettivo come un periodo di sregolata vi- olenza giustifi cato dalla motivazione religiosa, intesa nella sua forma più estrema, risulta invece essere un fenomeno complesso diviso in tre forma principali divise oltre che da determinate soglie storiche, anche dalle motivazione nell’agire: - L’Inquisizione Medievale che si compie tra l’XI e il XIII sec. ha come desti- nazione e obiettivo la difesa della Chiesa dall’eresia catara. - L’inquisizione Spagnola, impropriamente riferita alla Chiesa Cattolica, si svolge tra la seconda metà del XV sec. (1478) e periodo successivo (XVI - XVII sec.), è legata fondamentalmente all’assestamento del Regno di Spagna dopo l’espulsione degli Islamici dalla maggioranza dei territori spagnoli. - L’inquisizione Romana svoltasi sotto il Papa Paolo III Farnese nella prima metà del secolo XVI, dopo la grande provocazione protestante, quando ha inizio quel complesso fenomeno della Riforma Cattolica (nota con il nome di Controri- forma) per il recupero dell’identità cattolica.

6.3.1 L’INQUISIZIONE MEDIEVALE O LEGATINA

L’Europa si stava trovando a combattere un problema sempre crescente poiché in il fenomeno cataro si stava sempre più diffondendo tramite i molti predicatori presenti. 32. Nel 1139 Innocenzo II al Concilio Laterano proclamò che solo la chiesa aveva il diritto e la capacità di stabilire chi fosse eretico e chi no,a questo principio tar- darono però a seguire i fatti. Nel 1184 il papa Lucio III convocò a Verona una

110 111 grande assemblea di principi e prelati alla presenza dell’Imperatore nella quale si stabilì che gli eretici,da quel momento in poi,non sarebbero solo stati repressi,ma sarebbero stati ricercati. Nasce così l’INQUISIZIONE. In un primo momento si affi dò l’incarico ai vescovi,ma non funzionò;si provò quin- di ad affi ancare ad ogni vescovo un legato senza limiti di giurisdizione,che rispon- deva direttamente al Papa ma soprattutto un esperto teologo e giurista inviato direttamente da Roma,ma anche questo tentativo fallì;gli eretici non esitavano e fare agguati agli inqusitori che molto spesso venivano trucidati. In seguito nacquero i domenicani a cui fu presto affi data l’inquisizione ed a cui furono affi ancati i francescani;fu questa la cosiddetta Inquisizione monastica;si videro così i primi successi dovuti sia alla grande fede e preparazione dottrinale dei frati,sia al fatto che il popolo era al loro fi anco. L’Inquisizione era nel comples- so giusta(vi furono infatti solo pochi casi di sporadici e troppo severi inquisitori) e vi era una media di condanne a morte quasi nulla;all’inizio del 1400 il catarismo non esisteva quasi più.

6.3.2 IL FUNZIONAMENTO DELL’INQUISIZIONE E LE PENE

L’Inquisitore arrivava in città e,dopo aver presentato al vescovo ed al signore locale le proprie credenziali,ingiungeva alle autorità civili di aiutarlo nella lotta contro l’eresia(questa ingiunzione era accompagnata da minacce di scomunica poiché non sempre l’aiuto richiesto veniva dato);se le autorità locali collaborava- no,l’inquisitore procedeva ad invitare in un giorno stabilito la cittadinanza ad un sermone generale cioè una predica sulla verità della fede seguita da una elenca- zione degli errori degli eretici,poi veniva stabilito un tempo di grazia nel quale gli 33. eretici potevano essere assolti dall’inquisitore e riconciliati alla chiesa. La ricerca degli eretici si basava su testimonianze o voci diffuse;qualora di un individuo fossero girate strane voci,il tribunale dell’Inquisizione l’avrebbe

112 113 chiamato per chiarire la sua situazione,in caso non si fosse presentato,sarebbe solitamente in un monastero se non vi erano prigioni a disposizione; a volte si stato automaticamente riconosciuto come eretico e condannato alle pene pre- applicavano gli arresti domiciliari ( anche all’interno del quartiere, città o regione viste,se poi dopo un ulteriore anno non si fosse presentato sarebbe stato consid- ) dove il detenuto doveva chiedere il permesso ogni volta avesse avuto bisogno erato un relapso, cioè un eretico ricaduto in eresia ed il rogo sarebbe stato imme- di allontanarsi. diato(anche se abbiamo esempi di relapsi riconciliati all’ultimo momento,poiché Sconti di penna per buona condotta e agevolazioni varie erano praticate spessis- in effetti non tutte le condanne a morte venivano sempre effettuate). L’inquisitore simo inoltre il detenuto aveva brevi congedi, la possibilità di assistere parenti ma- doveva avere almeno quarant’anni di età ed essere esperto in teologia e diritto lati o poveri e il diritto di permessi per malattia e la libertà sulla parola era prassi comune e canonico. frequente; a volte la pena era sostituita dall’obbligo di portare speciali segni sugli I giudici non si basavano,come quelli odierni,su determinate leggi in cui il singolo abiti ( generalmente croci. caso ricadeva,ma bensì cercavano di far rispettare la giustizia,anche se per arriv- Vi era quindi una notevole differenza tra teoria e applicazione poiché le pene are a questo avessero dovuto piegare o disapplicare alcune leggi;il giudice dove- previste erano molto dure mentre quasi sempre queste venivano notevolmente va essere affi ancato da un notaio verbalizzante che poteva reclutare altri esperti. diminuite. L’eretico aveva a disposizione un difensore che lo aiutava a dimostrare la sua innocenza ed inoltre veniva subito avvisato che si stava indagando su di lui af- 6.3.3 L’INQUISIZIONE SPAGNOLA fi nché egli potesse preparare la sua difesa. Se un eretico si fosse pentito,sarebbe stato rilasciato,ma egli avrebbe potuto fi n- Nel 1478 i reali di Spagna Ferdinando D’Aragona e Isabella di Castiglia chiesero gere il pentimento solo per essere sottratto alla condanna,per questo al momento al Papa Sisto IV di poter nominare inquisitori nei loro regni. Fu questa la nascita del pentimento l’eretico necessitava di avere più persone al suo fi anco che si della famosa Inquisizione spagnola che si trattava, a differenza di quella medio- prendessero la responsabilità della sua conversione. evale di un organismo anche uffi cialmente governativo dove il Re nominava un La tortura non era applicata agli eretici ma era di uso normalissimo nella giustizia inquisitore generale cui gli altri inquisitori dovevano rendere conto e il Papa si per altri crimini; l’eretico come pena massima aveva il rogo e per quelli che non limitava a ratifi care la scelta; molto presto però Roma perse il controllo lasciando subivano il rogo vi era il carcere ( delle confraternite ecclesiastiche accompagna- svincolata la Spagna;la situazione spagnola era assai complicata:vi erano infatti vano i condannati al patibolo proprio per impedire torture durante il tragitto). grandi minoranze di Ebrei e Musulmani contro i quali la Spagna dovette com- L’Inquisizione faceva ricorso alla tortura molto di rado poiché gli inquisitori non battere per la riconquista del territorio(Granada nel 1492 e Navarra).Gli ebrei si credevano alla sua effi cacia, credevano infatti che i deboli avrebbero confessato videro costretti,a causa di vari pellegrinaggi all’interno della Spagna,ad accettare qualsiasi cosa mentre i duri avrebbero resistito facilmente; la tortura poteva dura- il cristianesimo,anche se solo apparentemente,poiché in segreto mantenevano le re al massimo mezz’ora e doveva arrestarsi senza infl iggere ferite e senza che il loro leggi(furono per questo in seguito chiamati marrani). fi sico del soggetto venisse danneggiato in modo eccessivo. I Musulmani si mostrarono più tolleranti con gli Ebrei e questi a loro volta,si im- Le pene, rogo a parte andavano da un minimo di carcerazione da tre anni a otto pegnarono per conto dei nuovi padroni a tenere le città man mano conquistate

114 115 insediandosi in numerose comunità. Ma arrivarono nuove conquiste dei territori oggi persiste nel mondo. Furono mandate al rogo circa 20000-30000 streghe in musulmani da parte degli islamici e degli Almoradivi che, a differenza degli islam- tutto il continente,cifra impressionante all’epoca. ici,non perseguirono gli Ebrei,in cambio di un grosso riscatto. Quando però la penisola divenne interamente cristiana a molti iniziò a dare fas- 6.3.4 L’INQUISIZIONE ROMANA tidio la presenza di questa minoranza che più volte nel corso della storia aveva cambiato bandiera ed anche la presenza dei Mori che non nascondevano il loro desiderio di rivincita;per questi motivi si susseguivano rivolte e repressioni da La nascita dell’inquisizione romana o Sant’uffi zio fu dovuta alla minaccia della parte del governo e la Spagna,pur essendosi appena unifi cata,rischiava di deca- diffusione del protestantesimo; per quanto riguarda gli ebrei essa se ne occupò dere in un continuo susseguirsi di guerre civili. solo quando questo fenomeno andò al cospetto dell’inquisizione tedesca. Una Gli spagnoli cominciarono a costringere gli ebrei a scegliere tra il battesimo e grande differenza con l’inquisizione spagnola era che quella romana nacque per l’esilio. difendere la chiesa dalle eresie cristiane e non dagli ebrei;ma vi erano dissapori Tutto cominciò quando il domenicano Alonso de Hojeda, consigliere dei re cat- tra cristiani ed ebrei soprattutto a causa dei privilegi che questi avevano. tolici,scoprì che i conversos sivigliani si riunivano di nascosto. Nel 1482 il Papa Ma il vero problema dell’inquisizione romana era il protestantesimo al quale reclamò il controllo dei vescovi sull’inquisizione; egli voleva che fosse Roma a Roma cercò di opporre un vasto numero di tribunali sparsi in tutta l’Italia. Ma il discutere gli appelli,in pratica di riesumare il vecchi garantismo inquisitoriale.Ma fatto era che l’Italia aveva oramai perso il primato religioso a causa appunto del il re Ferdinando sostenne che vi era stato un aumento di eretici da quando il luterani;Roma provò quindi a imporre un Inquisizione simile a quella adoperata sistema inquisitoriale era stato solo sotto il dominio della chiesa e per questo si in Spagna e che aveva funzionato egregiamente nominando sei cardinali al “co- proclamò un inquisitore generale al quale tutti gli altri avrebbero dovuto appel- mando”;ma solo la metà dei processi era per i protestanti poiché vi erano una se- larsi e rendere conto. Ma vi fu una netta opposizione da parte dei notabili poiché rie di altri “crimini” quali la bigamia, l’omosessualità,i rinnegati cristiani,i falsari... pensavano che i conversos più ricchi si sarebbero trasferiti in altre zone;in alcune la misericordia era comunque la regola,la severità,l’eccezione. zone agli inquisitori era addirittura vietato d’entrare e ci fu anche qualche caso di omicidi di inquisitori. Nel 1516 morì Ferdinando il Cattolico al quale succedette Carlo V che istituì tribunali d’inquisizione in tutti i domini spagnoli (Sicilia,Ameri- che...). L’ Inquisizione spagnola era la più spietata e non guardava in faccia nessuno(vi furono casi di arresti di persone molto importanti solo perché erano sospettati di eresia);all’inizio dell’età moderna vi fu poi una mania collettiva,cioè quella della caccia delle streghe,alle quali anche personaggi illustri come Newton credevano fermamente;il mito della strega fu poi sostituito da quello del vampiro,che ancora

116 117 6.4 STRUMENTI DI TORTURA

La tortura è un metodo di coercizione fi sica o psicologica, talvolta infl itta con il fi ne di punire o di estorcere delle informazioni o delle confessioni; molte volte accompagnata dall’uso di strumenti particolari atti ad infl iggere punizioni corpo- rali. In ambito di diritto penale preclassico non si considera una punizione ma un mezzo di prova. Comprende: - in senso proprio, la torsione delle membra, con riferimento al barbaro tormento corporale che si infl iggeva anticamente all’imputato, perché confessasse il delitto e rivelasse il nome dei complici, e anche, ma più raramente, ai testimoni per farli parlare; - per estensione, ogni forma di costrizione fi sica o morale ai danni di qualcuno al fi ne di estorcergli qualche cosa o per pura crudeltà.

6.4.1 LA TORTURA NEL CORSO DEI SECOLI

Ampiamente presente sin dall’antichità e presso tutte le culture, ebbe diffusione anche in Europa dal Medioevo all’età moderna. Nel corso dei secoli furono in- ventati nuovi metodi di tortura, nel tentativo di rendere quest’ultima sempre più effi cace. In tempi moderni, ad esempio, si fa anche ampio ricorso all’elettricità, sia con apparecchiature complesse sia con strumenti più “semplici” come la pi- cana [pungolo elettrico usato per controllare il bestiame]. 34. Unicum nella storia del diritto antico e medievale contro l’uso della tortura fu, nel 1311, la sentenza contro i Templari dell’Italia settentrionale emessa da Rinaldo

118 119 da Concorezzo, vescovo di Ravenna che, assolvendo gli imputati, condannò la Nel secondo caso la tortura è il metodo attraverso il quale viene applicata una tortura come pratica d’indagine ed escluse l’utilizzabilità delle confessioni estorte condanna a morte nei confronti degli schiavi, ma anche nei confronti di cittadini con tali mezzi. liberi, ma stranieri. Ad esempio, il diritto attico, nei casi in cui prevede la condan- Tuttavia questo episodio rimase un’eccezione, e si dovette aspettare il secolo dei na a morte, ne prescrive l’applicazione tramite l’avvelenamento con la cicuta per lumi. Il primo a vietare l’uso della tortura fu infatti Federico II di Prussia nel 1740; i cittadini, come nel caso di Socrate, ma consente che l’estremo supplizio sia ap- in seguito furono molti i pensatori e gli scrittori che cominciarono a denunciarne plicato con metodi violenti se il condannato è di un’altra città. Due sono le forme l’uso come pratica barbara e sanguinosa (per l’Italia ricordiamo Cesare Beccaria di tortura più gravi conosciute: l’inchiodamento a un palo e la gogna applicata su e il suo scritto Dei delitti e delle pene del 1764). Nei primi anni dell’Ottocento qua- una tavola. si tutta l’Europa aveva abolito l’utilizzo di questa pratica. La prima forma, nata in Oriente e poi sviluppatasi nella crocifi ssione, che con- La tortura in epoca contemporanea. Nonostante tutto, in molti paesi del mondo la siste sempre in una condanna a morte, è attestata da Erodoto (Storie, VII, 33) tortura è tuttora usata sia come soluzione per punire criminali che come mezzo contro un nemico in guerra: quando gli Ateniesi, alla conclusione della seconda per estorcere informazioni, come denunciato da varie associazioni che si occu- guerra persiana, si dedicano a consolidare il proprio controllo sull’Asia Minore, “al pano della difesa dei diritti umani, tra le quali Amnesty International. comando dello stratego Santippo fi glio di Arrifrone, catturarono il governatore di Particolare impressione e polemiche nell’opinione pubblica mondiale hanno di Sesto, il persiano Artaucte, e lo inchiodarono vivo ad un palo”. recente sollevato le torture consumate da parte di personale militare degli Stati Anche il sistema della gogna può trovare applicazione per mezzo di un palo Uniti d’America presso la prigione di Abu Ghraib in Iraq nel 2003 e i sospetti (σανίς) come descritto dallo storico Duride di Samo, ripreso da Plutarco, anche in che trattamenti assimilabili alla tortura siano applicati nel carcere statunitense di questo caso in riferimento a scene di guerra: in occasione della guerra tra Atene Guantanamo Bay, base militare in territorio cubano; tra queste sicuramente vi è e Samo e dopo la sconfi tta di questa nel 439 Pericle “fece portare nella piazza la privazione del sonno, tecnica poi abbandonata in quanto le dichiarazioni es- di Mileto i trierarchi e i marinai di Samo, li fece legare a dei pali per dieci giorni torte con essa si rivelarono estremamente inaffi dabili, e l’esposizione al freddo, e, quando erano ormai in condizioni miserevoli, diede ordine di ammazzarli a per ammissione delle autorità statunitensi. bastonate in testa”. La tortura nell’antichità greco-romana . La tortura nel mondo greco e romano La gogna può anche essere applicata su una tavola e in questo caso presenta trova applicazione come strumento giuridico nella duplice veste istituzionale di cinque ceppi, uno per il collo e quattro per braccia e gambe. In questa posizione mezzo per ottenere testimonianze valide e di strumento di punizione.Nel primo è costretto Parente, catturato dalle donne, nelle Tesmoforiazuse di Aristofane (vv. caso viene applicata nei confronti degli schiavi, la cui testimonianza, a parte rare 930-1014). La tortura della gogna, sia applicata al palo che su una tavola, con- e determinate eccezioni, non avrebbe valore nel corso di un dibattimento o nelle sente l’applicazione di supplizi aggiuntivi quali bastonate, frustate, scorticamenti fasi preparatorie dell’acquisizione della prova, se non fosse stata estorta tramite e altri sistemi di sofferenza che Aristofane elenca ironicamente ne Le rane (vv. la tortura, essendo lo schiavo niente altro che uno strumento dotato di anima che 618-621): “Crocifi ggilo, appendilo, frustalo, scuoialo, torturalo, mettigli l’aceto nel risponde con il proprio corpo nel momento in cui deve dare conto all’autorità. naso, porta i mattoni ...”.

120 121 A questi due sistemi le fonti ne accostano un altro, l’apotympanismos, ma si è esame, anche se solo per gli Stati che abbiano ratifi cato il Protocollo addizionale incerti se sia una forma diversa di tortura, o un altro modo per defi nire le pratiche in materia. già viste: nel discorso giudiziario di accusa Contro Agorato, scritto da Lisia (XIII, La Convenzione è stata approvata dall’Assemblea dell’ONU a New York il 10 56), si parla di un certo Menestrato che, giudicato colpevole, venne affi dato al dicembre 1984, ed è entrata in vigore il 26 giugno 1987. Al Giugno 2008, è stata boia e “ἀπετυμπανίσθη”, che molti interpretano come “venne bastonato a morte”, ratifi cata da 145 Paesi. Il 26 giugno è la giornata internazionale di sostegno alle sulla base del lessico di Fozio in cui apotympanismos è appunto spiegato come vittime della tortura. bastonatura. In questo caso si avrebbe una terza forma di tortura, distinta dall’in- Convenzione del Consiglio d’Europa. Nel 1987, è entrata in vigore una Conven- chiodamento e dalla gogna, e applicata in maniera indipendente da queste. Altri, zione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani più debolmente, ritengono che il termine sia da riferirsi alla pratica della gogna o degradanti, ratifi cata da 47 Stati europei. L’organo di controllo è il Comitato su tavola.Una forma più leggera di tortura è la marchiatura utilizzata come stru- europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o mento di sfregio per il nemico vinto: durante la guerra tra Atene e Samo, Plutarco degradanti. (Pericle, XXVI) informa che i Sami marchiarono i prigionieri ateniesi con il diseg- no delle navi cosiddette “samene” (imbarcazioni panciute tipiche di Samo) in ris- 6.4.2 PRINCIPALI FORME DI TORTURA posta agli Ateniesi che precedentemente avevano marchiato i prigionieri sami con il simbolo della civetta, cara ad Atena. Annodamento È da ricordare infi ne una forma rituale e simbolica di tortura riferita da Erodoto (Storie, VII, 35) in quell’episodio che vede Serse, nella veste di carnefi ce, com- Questa era una tortura specifi ca per le donne. Si attorcigliavano strettamente i minare una fl agellazione e una marchiatura all’Ellesponto. capelli delle streghe a un bastone. Quando l’inquisitore non riusciva ad ottenere Convenzione delle Nazioni Unite contro la Tortura. La Convenzione contro la una testimonianza si serviva di questa tortura; robusti uomini ruotavano l’attrezzo tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti (in inglese, Unit- in modo veloce provocando un enorme dolore e in alcuni casi arrivando a togliere ed Nations Convention against Torture and Other Cruel, Inhuman or Degrading lo scalpo e lasciando il cranio scoperto. Treatment or Punishmen) è uno strumento internazionale per la difesa dei diritti umani, sotto la supervisione dell’ONU. La Convenzione prevede una serie di ob- Dissanguamento blighi per gli Stati aderenti, fra i quali: autorizza ispettori dell’ONU e osservatori dei singoli Stati a visite a sorpresa nelle strutture carcerarie per verifi care l’effetti- Era una credenza comune che il potere di una strega potesse essere annulla- vo rispetto dei diritti umani, stabilisce il diritto di asilo per le persone che al ritorno to dal dissanguamento o dalla purifi cazione tramite fuoco del suo sangue. Le in patria potrebbero essere soggetti a tortura. Il Comitato per la Tortura, tra i vari streghe condannate erano “segnate sopra il soffi o” (sfregiate sopra il naso e la comitati dei Diritti Umani, è uno di quelli più effi caci ed incisivi e l’unico, ad ora, bocca) e lasciate a dissanguare fi no alla morte. a poter effettuare visite in loco senza necessità del benestare dello Stato sotto

122 123 Il Forno

Questa barbara sentenza era eseguita in Nord Europa e assomiglia ai forni cre- matori dei nazisti. La differenza era che nei campi di concentramento le vittime erano uccise prima di essere cremate (Ma non sempre).

Il Rogo

Una delle forme più antiche di punizione delle streghe era la morte per mezzo di roghi, un destino riservato anche agli eretici. Il rogo spesso era una grande manifestazione pubblica. L’esecuzione avveniva solitamente dopo breve tempo dall’emissione della sentenza. In Scozia, il rogo di una strega era preceduto da giorni di digiuno e di solenni prediche. La strega prima veniva strangolata e poi il suo corpo (In stato di semi-incoscienza) era scaricato in un barile di catrame prima di venire legato a un palo e messo a fuoco. Se la strega, nonostante tutto, riusciva a liberarsi e a tirarsi fuori dalle fi amme, la gente la respingeva dentro.

Il Supplizio Del Trono

Questo attrezzo consisteva in una specie di seggiola gogna, sarcasticamente defi nita “trono”. L’imputata veniva posta in posizione capovolta, con i piedi bloc- cati nei ceppi di legno. Era questa una delle torture preferite da quei giudici che intendevano attenersi alla legge. Difatti la legislazione che regolamentava l’uso della tortura, prevedeva che si potesse effettuare una sola seduta, durante l’in- terrogatorio della sospetta. Malgrado ciò, la maggioranza degli inquisitori ovviava a questa normativa, defi nendo le successive applicazioni di tortura, come sem- plici continuazioni della prima. L’uso di questo strumento invece, permetteva di dichiarare una sola effettiva seduta, sorvolando sul fatto che questa fosse magari 35. durata dieci giorni. Il “trono”, non lasciando segni permanenti sul corpo della

124 125 vittima, si prestava particolarmente ad un uso prolungato. E’ da notare che, tal- volta, unicamente a questo supplizio, venivano effettuate, sulla presunta strega, anche le torture dell’acqua o dei ferri roventi.

Il Topo

Tortura applicata a streghe ed eretici. Un topo vivo veniva inserito nella vagi- na o nell’ano con la testa rivolta verso gli organi interni della vittima e spesso, l’apertura veniva cucita. La bestiola, cercando affannosamente una via d’uscita, graffi ava e rodeva le carni e gli organi dei suppliziati. Chissà come i disgraziati riuscissero a sopportare il terrore provocato alla sola vista del topo che da li a poco sarebbe entrato nel loro corpo.

Il Toro di bronzo

Secondo Luciano di Samosata (II secolo d.C.), toro di bronzo che stava nel tem- pio di Falaride, fu inventato da un uomo di nome Perillo. Era uno strumento di tortura dei più crudeli e ingegnosi mai concepito dalla mente umana. Questo apparecchio, che era fatto di metallo, era esattamente uguale a un toro, per di- mensioni e fattura. L’interno era cavo, a formare una stanza, e sul retro del toro era posta una botola che consentiva l’entrata e l’uscita. Il colpevole veniva dove- va essere rinchiuso all’interno del toro, sotto il quale veniva acceso un fuoco. Al salire delle temperatura, le sofferenze del prigioniero sarebbero state tali da farlo urlare di dolore e paura. Attraverso un complicato sistema di fl auti e tubi poste in corrispondenza della testa del toro, le disumane urla sarebbero state trasformate in un melodioso muggito. Falaride, si racconta, trovando disgustoso l’artefi ce di tale strumento, decise ironicamente di punirlo facendogli provare per primo le atroci sofferenze della sua stessa invenzione.

36.

126 127 Il Triangolo Il palo era poi invertito e piantato nel terreno, così, queste miserabili vittime, quando non avevano la fortuna di morire subito, soffrivano per alcuni giorni prima Altro terribile strumento di tortura analogo alla “pera” e all’”impalamento”. L’accu- di spirare. Tutto ciò veniva fatto ed esposto pubblicamente. sato veniva spogliato e issato su un palo alla cui estremità era fi ssato un grosso oggetto piramidale di ferro. La presunta strega veniva fatta sedere in modo che La cremagliera la punta entrasse nel retto o nella vagina. Alla fi ne alla poveretta venivano fi ssati dei pesi alle mani e ai piedi... Si ritiene che sia stato una delle forme più dolorose di tortura medievale. Esso era costituito da un telaio di legno di solito con due tiranti fi ssati al fondo e altri Immersione dello Sgabello due legati ad una maniglia in alto. Quando il torturatore girava la maniglia, le corde tiravano le braccia della vittima, fi nendo poi per rompere le ossa del mal- Questa era una punizione che più spesso era usata nei confronti delle donne. capitato. Talvolta, gli arti venivano addirittura strappati fuori dal corpo. Nel tardo Volgarmente sgradevole, e spesso fatale, la donna veniva legata a un sedile che Medioevo, una nuova variante di rack è riapparsa. Sono stati aggiunti dei picchi impediva ogni movimento delle braccia. Questo sedile veniva poi immerso in uno che penetravano la schiena della vittima. In tal modo non solo gli arti venivano stagno o in un luogo paludoso. Varie donne anziane che subirono questa tortura strappati fuori, ma anche il midollo spinale, aumentando non solo il dolore fi sico, morirono per lo shock provocato dall’acqua gelida. ma anche il dolore psicologico di sapere che, qualora lui o lei

Impalamento La culla di Giuda

Questo strumento, riservato per lo più ai sospetti di stregoneria o agli eretici, era Forse un po’ meno sadica dell’impalamento, ma lo stesso decisamente racca- realizzato in tre diverse versioni. La prima consisteva in un blocco di legno a for- pricciante. L’ano della vittima o la vagina veniva posizionata sulla punta della ma di piramide, mentre la seconda, meno letale, aveva l’aspetto di un cavalletto piramidale culla, poi abbassato su di esso da alcune corde. L’effetto era quello a costa tagliente. In ambedue i casi, l’indiziata veniva posta a cavalcioni di tale di allungare l’orifi zio per un lungo periodo di tempo, o infi larlo lentamente. La strumento sino a far penetrare la punta, nel primo caso, o lo spigolo nel secon- vittima solitamente era nuda, aggiungendosi dunque all’umiliazione globale della do, direttamente nelle carni, squassando in modo spesso permanente, gli organi tortura. Talvolta dei pesi venivano aggiunti alle gambe per aumentare il dolore e genitali. Quasi sempre poi venivano aggiunti dei pesi alle caviglie e sistemati accelerare la morte. Questa tortura poteva durare da poche ore a giorni interi. Il scrupolosamente dei braceri o delle fi accole accese sotto ai piedi. La terza ver- dispositivo era raramente lavato, in modo tale che la vittima potesse anche ca- sione è una delle più rivoltanti e vergognose torture concepite dalla mente uma- dere preda di una dolorosa infezione. na. Veniva attuata per mezzo di un palo aguzzo inserito nel retto della presunta strega, forzato a passare lungo il corpo per fuoriuscire dalla testa o dalla gola.

128 129 La Culla Della Strega

Questa era una tortura a cui venivano sottoposte solamente le streghe. La strega veniva chiusa in un sacco poi legato a un ramo e veniva fatta continuamente os- cillare. Apparentemente non sembra una tortura ma il dondolìo causava profondo disorientamento e aiutava a indurre a confessare. Vari soggetti hanno anche sofferto durante questa tortura di profonde allucinazioni. Ciò sicuramente ha con- tribuito a colorire le loro confessioni.

La gabbia

Spesso è stata vista anche in alcuni fi lm ambientati proprio nel Medioevo. La vittima designata veniva posta all’interno di una gabbia metallica approssimati- vamente fatta a forma del corpo umano. I torturatori potevano anche costringere le vittime in sovrappeso in un dispositivo più piccolo, o anche fare la “bara” leg- germente più grande del corpo di una vittima per creare più disagio. La gabbia spesso veniva appesa ad un albero o a una forca. Per i crimini gravi, come er- esia o blasfemia, molte persone sono state punite con la morte dentro la bara. La gabbia, esposta al sole, permetteva agli uccelli o altri animali di mangiare la carne degli imprigionati. A volte gli spettatori lanciavano pietre e altri oggetti per aumentare ulteriormente il dolore della vittima. fossero sopravvissuti, una mobilità fi sica di qualsiasi tipo sarebbe andata perduta per sempre.

La Garrotta

Non è altro che un palo con un anello in ferro collegato. Alla vittima, seduta o in piedi, veniva fi ssato questo collare che veniva stretto poi per mezzo di viti o di una fune. Spesso si rompevano le ossa della colonna vertebrale. 37.

130 131 La pera dell’angoscia

Questo strumento brutale è stato usato anch’esso per torturare le donne che avevano effettuato aborti, i bugiardi, i bestemmiatori e gli omosessuali. Lo strumento a forma di pera veniva inserito in uno degli orifi zi della vittima: la va- gina per le donne, l’ano per gli omosessuali e la bocca per i bugiardi e i blasfemi. Lo strumento era composto da quattro foglie che lentamente si separavano le une dalle altre, quando il torturatore girava la vite dalla parte superiore. Il dispos- itivo poteva strappare la pelle o si espandeva per mutilare l’orifi zio della vittima. La mandibola poteva slogarsi o rompersi. Le pere dell’angoscia sono ancora es- istenti e riccamente incise o ornate per differenziare quelle anali, vaginali e quelle orali. Questa tortura raramente ha portato alla morte, ma è stata spesso seguita da altri metodi di tortura.

La ruota

Chiamato anche The Catherine Wheel, questo dispositivo ha sempre ucciso la sua vittima, ma lo ha fatto molto lentamente. Gli arti della vittima erano legati ai raggi di una grande ruota di legno. La ruota lentamente ruotava mentre il tortura- tore fracassava le membra delle vittime con un martello di ferro, rompendole in diversi punti. A volte le ossa del malcapitato si rompevano e veniva lasciato sulla ruota a morire. A volte la ruota veniva posta su un palo alto in modo che gli uc- celli potevano prendere e mangiare la carne dell’essere umano ancora vivente. A volte occorrevano due o tre giorni alla vittima per morire di disidratazione. A volte, invece, se la vittima era “fortunata” il boia gli sparava al petto e allo stoma- co (colpi conosciuti anche come colpi di grazia) fi nendo per ucciderlo e ponendo fi ne alla sua tortura.

38.

132 133 La Sedia della Strega tirando e lasciando di colpo la corda e slogando, così, le articolazioni.

La sedia inquisitoria, comunemente detta sedia delle streghe, era un rimedio Le Turcas molto apprezzato per l’ostinato silenzio di talune indiziate di stregoneria. Tale attrezzo, pur universalmente diffuso, fu particolarmente sfruttato dagli inquisitori Questo mezzo era usato per lacerare e strappare le unghie. Dopo lo strappo, austriaci. La sedia era di varie dimensioni, diverse forge e fantasiose varianti; degli aghi venivano solitamente inseriti nelle estremità delle falangi. tutte comunque chiodate, fornite di manette o blocchi per immobilizzare la vittima ed, in svariati casi, aveva il pianale di seduta in ferro, così da poterlo arroventare. La Fanciulla di Ferro o Vergine di Norimberga Vengono riportate notizie di processi dai quale risulta come l’uso di questo stru- mento potesse venir prolungato, sino a trasformarsi in vera e propria pena cap- L’idea di meccanizzare la tortura è nata in Germania; è li che ha avuto origine itale. “la Vergine di Norimberga”. Fu così battezzata perchè, vista dall’esterno, le sue sembianze erano quelle di una ragazza bavarese, e inoltre perchè il suo prototi- La sega po venne costruito ed impiantato nei sotterranei del tribunale segreto di quella città. Era una specie di contenitore di metallo con porte pieghevoli; il condannato Le seghe sono strumenti di tortura più comuni perché erano facilmente rinvenibili veniva rinchiuso all’interno, dove affi latissimi aculei trafi ggevano il corpo dello nella maggior parte delle case e non erano necessari dispositivi complessi. Si sventurato in tutta la sua lunghezza. La disposizione di questi ultimi era così ben tratta di un modo economico per torturare e uccidere una vittima accusata di stre- congegnata che, pur penetrando in varie parti del corpo, non trafi ggevano organi goneria, adulterio, omicidio, bestemmia o addirittura di furto. La vittima era legata vitali, quindi la vittima era destinata ad una lunga ed atroce agonia. a testa in giù, permettendo al sangue di essere deviato al cervello. Ciò garantiva che la vittima fosse cosciente il più a lungo possibile, rallentando la perdita di Lo spacca-ginocchio sangue e causando massima umiliazione. La tortura poteva durare diverse ore. Mentre alcune vittime sono state tagliate completamente a metà in una sorta di Un altro strumento favorito da parte dell’Inquisizione spagnola per la sua versa- gesto simbolico, la maggior parte di esse venivano tagliate fi no a loro addome tilità, è stato lo spacca-ginocchio. Era uno strumento con punte affi late attrezzate per prolungare il tempo necessario per morire. su entrambi i lati dell’impugnatura. Quando il torturatore girava la maniglia, gli artigli lentamente schiacciavano e penetravano la pelle e le ossa del ginocchio. La Strappata Anche se il suo uso ha determinato in rari casi la morte, l’effetto è stato quello di rendere le ginocchia completamente inutili. A volte, è stato utilizzato anche su Una delle più comuni e anche una delle tecniche più facili. L’accusato veniva altre parti del corpo compresi i gomiti, le braccia e anche le caviglie. Il numero di legato a una fune e issato su una sorta di carrucola. L’esecutore faceva il resto punte dello spacca-ginocchio variava da tre a più di venti.

134 135 Alcuni artigli sono stati riscaldati in anticipo per massimizzare il dolore, altri avevano decine di artigli più piccoli che penetravano la carne lentamente e dolo- rosamente.

Lo spaccatesta

Era un metodo di tortura popolare utilizzato da parte dell’Inquisizione spagnola, tra gli altri. Il mento della persona era posto sopra una barra inferiore e la testa sotto una calotta superiore. Il torturatore girava lentamente la vite, premendo la barra contro il tappo. La testa veniva poi lentamente compressa, prima man- dando in frantumi i denti nella mascella, poi seguiva una morte lenta con dolore straziante. Alcune varianti di questo dispositivo includevano dei piccoli contenitori che ricevevano i bulbi oculari quando venivano schiacciati sulle orbite delle vit- time. Questo strumento era un modo effi cace per estorcere confessioni, in quan- to il periodo di dolore poteva essere prolungato per molte ore se il torturatore così decideva. Se la tortura veniva sospesa a metà strada, la vittima spesso subiva danni irreparabili alla mandibola, al cervello o agli occhi.

Lo Squassamento

Era una forma di tortura usata insieme alla ‘strappata’. L’accusato qui veniva sempre issato sulla carrucola, ma con dei pesi legati al suo corpo che andavano dai 25 ai 250 chili. Le conseguenze erano gravissime.

Mastectomia

Alcune torture erano elaborate non solo per infl iggere dolore fi sico ma anche per sconvolgere la mente delle vittime. La mastectomia era una di queste: la carne delle donne era lacerata per mezzo di tenaglie, a volte arroventate.

39.

136 137 Uno dei più famosi casi che si conosca in cui fu usata questa tortura era quello di Anna Pappenheimer. Dopo essere già stata torturata con lo strappado, fu spo- gliata, i suoi seni furono strappati e, davanti ai suoi occhi, furono spinti a forza nelle bocche dei suoi fi gli adulti... Questa vergogna era più di una tortura fi sica; l’esecuzione faceva una parodia sul ruolo di madre e nutrice della donna, impo- nendole un’estrema umiliazione.

Ordalia dell’Acqua

In questo tipo di ordalìa l’acqua simboleggia il diluvio dell’Antico Testamento. Come il diluvio spazzò via i peccati anche l’acqua ‘pulirà’ la strega. Dopo tre giorni di penitenze l’accusata doveva immergere le mani in acqua bollente, alla profondità dei polsi. Spesso erano costrette a immergerle fi no ai gomiti. Si as- pettava poi tre giorni per valutare le colpe dell’accusata (Come per l’ordalìa del fuoco). Veniva messa in pratica anche un’ordalìa dell’acqua fredda. Alla strega venivano legate le mani con i piedi con una fune, in modo tale che la posizione non fosse certo propizia per rimanere a galla. Dopodiché veniva immersa in ac- qua; se galleggiava era sicuramente una strega in quanto l’acqua ‘rifi utava’ una creatura demoniaca, se andava a fondo era innocente ma diffi cilmente sarebbe stata salvata in tempo.

Ordalia del Fuoco

Prima di iniziare l’ordalìa del fuoco tutte le persone coinvolte dovevano prendere parte a un rito religioso. Questo rito durava tre giorni e gli accusati dovevano sopportare benedizioni, esorcismi, preghiere, digiuni e dovevano prendere i sac- ramenti. Dopodiché si veniva sottoposti all’ordalìa: gli accusati dovevano traspor- tare un pezzo di ferro rovente per una certa distanza. Il carico di questo peso era variabile: si andava da un minimo di circa mezzo chilo per reati minori, fi no 40.

138 139 a un chilo e mezzo. Un altro tipo di ordalìa del fuoco consisteva nel camminare fosse corrotta, sporca e covo di quanto di contrario ci fosse al mondo. Per pulirla bendati e nudi sopra i carboni ardenti. Le ferite venivano coperte e dopo tre giorni prima del giudizio, qualche volta le vittime erano forzate a ingerire acqua calda, una giuria controllava se l’accusato era colpevole o innocente. Se le ferite non carbone, perfi no sapone. La famosa frase “sciacquare la bocca con il sapone”’ erano rimarginate l’accusato era colpevole, altrimenti era considerato innocente. che si usa oggi, risale proprio a questa tortura. Si poteva aver salva la vita, però, corrompendo i clerici che dovevano offi ciare la prova: si poteva fare in modo che ferro e carboni avessero una temperatura Straziatoio del seno suffi cientemente tollerabile. Usata come una punizione terribile per le donne, la mutilazione del seno è stato Palo affi lato spinto dal basso verso l’altro attraverso il corpo della vittima usato per infl iggere dolore alle donne accusate di aver praticato aborti o commes- so adulterio. Delle specie di artigli venivano messi sui seni esposti della vittima, Le vittime venivano costrette a sedersi su un palo di un certo spessore. Il palo in modo che le punte penetrassero con forza, fi nendo per strappare o rompere il veniva poi sollevato in posizione verticale e la vittima lasciata scivolare più in seno. Se la vittima non rimaneva uccisa, rimaneva segnata a vita con i suoi seni basso dal suo stesso peso. Spesso, il palo emergeva attraverso lo sterno in letteralmente a pezzi. Una variante comune è conosciuta come “The Spider“, che modo che la sua punta veniva ad essere posta sotto il mento per impedire un è uno strumento simile attaccato a una parete. Il seno della vittima veniva fi ssato ulteriore scorrimento. Spesso passavano anche 3 giorni prima che la vittima di con degli artigli e la donna veniva tirata dal torturatore dalla parete, fi nendo per turno morisse. Sembra che il Conte Dracula abbia praticato siffatta forma di tor- essere mutilata. Questa è stata una brutale punizione che spesso ha portato alla tura tra le 20.000 e 300.000 volte. Si dice anche che abbia goduto di un pasto morte della vittima. durante uno di questi momenti. Tormentum Insominae Pressa Consisteva nel privare le streghe del sonno. La vittima, legata, era costretta a Anche conosciuta come pena forte et dura, era una sentenza di morte. Adottata immersioni nei fossati anche durante tutta la notte per evitare che si addormen- come misura giudiziaria durante il quattordicesimo secolo, raggiunse il suo apice tasse. durante il regno di Enrico IV. In Bretagna venne abolita nel 1772.

Pulizia dell’anima

Era spesso creduto, nei paesi cattolici, che l’anima di una strega o di un eretico

140 141 41.

142 143 INDICE ILLUSTRAZIONI PARTE I. 1. Fotografi a satellitare del Lago Maggiore. 2. Il Lago Maggiore nella zona di Brissago. 3. Le Isolee dell’arcipelago Borromeo. 4. Vista del Lago Maggiore dal monte Mottarone (1.492 m). 5. Il Lago Maggiore nella zona di Arona.

PARTE II.

6. Fotografi a della Rocca di Angera vista dalla città di Arona.

PARTE III.

7. Litografi a dei Castelli di Cannero, 1850 circa. 8. “Storia dei Castelli di Cannero - I Mazzarditi”, cartolina 1980, Gianni Lucini. 9. “I Mazzarditi - Pirati del lago”, cartolina 1980, Gianni Lucini. 10. “Castelli di Cannero”, fonte archivio Isola Bella stampa 1700. 11. “Acquatinta degli antichi castelli presso Cannero”, Vienna presso Artaria e Comp., circa 1820, Borgomanero, Collezione Fondazione Achille Marazza. 12. “Album delle principali Castella Feudali della Monarchia di Savoja”, Torino, 1848-67, litografi a, disegnata da F. Gonin, stampata dai Fratelli Doyen. 13. Foto del 1850, attribuita al fotografo Verbanese G. Imperatori. 14. Il rudere dei Castelli di Cannero nel 1980. 15. I Castelli di Cannero in una foto del 2000. 16. Lapide Marmorea celebrativa della dedicazione della Rocca a Vitaliano I.

144 145 PARTE IV. PARTE VI.

17. Vista dal Mastio della Torre verso Luino. 35. La “Culla di Giuda” in un incisione medievale. 18. Vista dall’edifi cio delle Guarnigioni sulla Piazza d’armi. 36. Il toro di bronzo o di Falarite. 19. Vista dal Mastio sulla Corte Vitaliana. 37. Vari modelli di “pera” dell’angoscia. 20. Il braccio d’acqua che separa l’Isola Maggiore dall’Isola delle Prigioni. 38. Incisione tratta da un manuale medievale della tortura della ruota. 21. Affreschi sulla volta della Cappelletta della Vitaliana. 39. Vergine di Norimberga, manoscritto del 1700. 40. Il supplizio della “Pulizia dell’anima”. PARTE IV. 41. “Le Grand Inquisiteur”, olio su tela, di Jean-Paul Laurens, 1882, Musée des Beaux-Arts (Bordeaux). 22. Schizzo di progetto, copertura di chiusura delle corti. 23. Schizzo di progetto, studio dell’andamento della nuova copertura. 24. Schizzo di progetto, pilastro e copertura nelle corti della Vitaliana. 25. Render fotografi co, studio delle coperture nelle corti. 26. Aamann, Cànovas, Maruri, Molinete Cover. 27. Mario Bellini, Copertura del Musée du Louvre. 28. Shigeru Ban, Nine Bridges Golf Club. 29. Paul Andreu Architecte, Aereopoerto Shanghai.

PARTE V.

30. “Carceri d’invenzione”, Tavola XII, Giovanni Battista Piranesi, 1745-1750. 31. “La Corte”, William Hogarth, 1758. 32. “Carceri d’invenzione”, Tavola XVI, Giovanni Battista Piranesi, 1745-1750. 33. “Il tribunale dell’inquisizione”, Goya, 1812-19, Madrid. 34. “Rogo di strega”, incisione medievale.

146 147 INDICI BIBLIOGRAFICI

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