il fatto Le nuove imprese della Banda del Buco La PIERO COLAPRICO e GIANCARLO DE CATALDO Domenica i luoghi Alessandria, nel Forte della lentezza DOMENICA 2 MARZO 2008 di Repubblica e MASSIMO NOVELLI

Reduci d’Italia Un ritorno segnato dalla sofferenza E dal silenzio delle Forze armate e dell’opinione pubblica FOTO CRISTIANO LARUFFA / AGF

JENNER MELETTI FABIO MINI cultura SAVONA Vigorelli, l’archivio delle lettere a stretta di mano è forte. «Brigadiere Piero Follesa, 13° appiamo, noi militari, che per capire la guerra e i soldati di PAOLO MAURI e GIAN PAOLO SERINO reggimento carabinieri Gorizia, compagnia Alpha. Ec- oggi bisogna capire i reduci: quelli che hanno fatto la guerra co, se mi avesse incontrato prima della strage di Nas- ieri e che hanno qualcosa da raccontare. Perciò, sentire e ri- sirya, mi sarei presentato così. Ora invece devo dire: Pie- cordare i loro racconti è un modo di addestrarsi al comando la lettura roL Follesa, brigadiere a congedo per stato ansioso — cronicizzato — eS alla psicologia di guerra. E così noi militari abbiamo coltivato e svilup- di grave entità. Non più idoneo al servizio militare e alla pubblica am- pato la cultura del Reduce. Lo abbiamo onorato ed abbiamo ascoltato ministrazione. Ho quarantacinque anni e devo prendere almeno no- decine di volte la sua storia sempre uguale e sempre diversa. Perché c’e- Quelli che ci rubano l’identità ve pastiglie al giorno per mandare via l’angoscia che ho dentro. Quan- ra sempre un particolare nuovo o una contraddizione. I primi reduci TOMMASO PINCIO do ero giovane, i carabinieri anziani mi dicevano: anche quando sa- da ascoltare erano quelli di famiglia, i nonni, gli zii, i padri e poi i vecchi rai in pensione non ti dimetterai mai dall’Arma perché gli alamari so- del paese che si rivolgevano sempre ai giovani. Paradossalmente i più spettacoli no attaccati alla pelle e non solo alla divisa. È vero. Io mi sento sempre restii a parlare erano quelli con la memoria più fresca, che non aveva- carabiniere e l’Arma ce l’ho dentro. La “mia” Arma, però. Quella che no ancora rimosso i traumi della guerra. La storia del Reduce formava ho servito per ventisette anni, non quella che dopo Nassirya ha di- e univa le generazioni ed era un patrimonio comune da conservare e I formidabili settanta di Bruno Bozzetto menticato me e i miei compagni». tramandare come Epos del nostro popolo, della nostra famiglia. ANNA BANDETTINI e BRUNO BOZZETTO (segue nelle pagine successive) (segue nelle pagine successive)

Repubblica Nazionale 32 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 2 MARZO 2008 la copertina “Tutto è iniziato la mattina del 12 novembre 2003 Reduci d’Italia a Nassiriya”, racconta il brigadiere Follesa, ex carabiniere, in cura per disordine da stress post traumatico. Depressione, incubi, eccessi di rabbia, crisi dei rapporti familiari. Il pensiero costante dei compagni che non sono tornati. E il silenzio dell’Arma

La guerra di Piero non è finita

JENNER MELETTI to nella base, i morti sarebbero stati almeno Per questo l’8 gennaio 2006 sono tornato in cento. Ecco, mi rivedo mentre salgo sangui- caserma e ho consegnato la pistola e tutte le (segue dalla copertina) nante su un Vm, assieme al sottotenente di munizioni. Per questo ho accettato il conge- complemento Ballerini. Voglio proteggere il do, cinque ricoveri in psichiatria e tre in neu- ppuntamento in un bar di lato sud della base perché temo altri attacchi. ropsichiatria, l’ultimo la settimana scorsa. piazza Galilei, e non certo per Poi corro all’ospedale dai feriti. Ricordo che Lo scriva pure, non me ne vergogno. Devi ri- caso. «Qui ogni giorno alle sei ad un certo momento entra un iracheno, conoscere la tua malattia, se vuoi tirartene di sera suona la campana che quasi mi getta fra le braccia una bambina che fuori. Adesso ingoio pillole tutto il giorno, va- ricorda i Caduti. I vigili bloc- avrà avuto un mese o due, una ferita deva- do ai colloqui con la psicologa e ho una spe- cano le auto, anche i pedoni si stante nella schiena. Due occhioni neri, una ranza: arrivare ad essere il Piero di prima al- fermano.A Per un attimo, almeno qui, si ricor- meraviglia. Muore dopo poche ore». meno al cinquanta per cento. Per fortuna i da chi è morto per l’Italia». Un caffè ristretto, gli occhi che sembrano commilitoni in cura come me stanno me- Il brigadiere in congedo Piero Follesa è dia- vedere solo la sabbia e il sangue dell’Iraq. «Mi glio. Tre vengono a Finale, gli altri due sono gnosticato come Ptsd, Post-traumatic stress mandano a casa per curare le ferite, ma non seguiti da altri medici delle Asl. Ma la cura disorder, vittima di stress post traumatico, voglio il rimpatrio definitivo. Dopo cinque principale ce la siamo inventata noi: siamo sindrome che ha colpito migliaia di soldati mesi chiedo di tornare nella Nuova Babilo- diventati fratelli. Se uno ha un problema, gli americani e inglesi tornati dalla guerra dell’I- nia. I miei amici sono morti e non voglio che altri arrivano subito. A volte senti la crisi che raq. In America il Ptsd era studiato già dopo il loro martirio sia inutile. Troppe volte, nelle arriva e pensi: ecco, telefono e fra dieci mi- la guerra del Vietnam, ma in Italia — dice MARÒ missioni, sembriamo chirurghi che aprono il TIRATORI SCELTI nuti avrò un amico al mio fianco. Non gli do- l’Ufficio comunicazione pubblica dello Sta- Un marò del reggimento paziente e poi vanno via. Ancora quaranta- Tiratori scelti in addestramento vrò spiegare nulla, anche lui ha visto Nas- to Maggiore dell’Esercito — «sul fenomeno San Marco in una postazione sette giorni di Iraq poi il mal di schiena, cau- nella base di White Horse sirya». non esistono studi e dati statistici». Anche la di controllo nel corso sato dalle schegge, riesce a vincere. Il 31 luglio a Nassiriya durante la missione Le stanze del centro salute mentale di Fi- storia del brigadiere Follesa è diventata pub- della missione Antica Babilonia 2004 vengo rimpatriato». Il trasferimento da italiana in Iraq nale Ligure sono in un vecchio palazzo con i blica per caso. Un’auto che corre troppo ve- Gorizia alla Liguria, al radiomobile di Cairo soffitti affrescati. Ci sono anche gli uffici del- loce, chi è alla guida viene multato. Fa ricor- Montenotte. «Non stavo bene ma rifiutavo di la Coldiretti e della comunità montana, così so al giudice di pace di Savona. «Sono un ex essere malato. Ho ripreso a fare il carabinie- chi entra nel portone non viene marchiato. carabiniere, in cura presso il Centro di salute re, in pattuglia come altri. Nel marzo 2005 ho «Nei casi di Ptsd», dice il dottor Daniele Mo- mentale di Finale Ligure. Ci sono altri cinque chiesto però il supporto psicologico. Non retti, lo psichiatra che dirige il centro dove la- colleghi che hanno disturbi seri come me. dormivo, ero teso, nervoso, bastava un nulla vora anche Sabrina Bonino, psicoterapeuta, Quando uno di noi è in crisi, chiama gli altri, AVAMPOSTO per farmi arrabbiare. Il comando regionale ALZABANDIERA «i pazienti cercano innanzitutto qualcuno che corrono per stargli vicino. Per questo an- Il reggimento lagunari durante mi ha mandato dalla dottoressa Mortara che Militari italiani assistono che li stia ad ascoltare. I reduci della Seconda davo forte ed ero al telefono per dire all’ami- un’operazione di controllo mi ha prescritto gli psicofarmaci. A fine anno all’alzabandiera nella base guerra mondiale raccontavano una guerra co: stai calmo, sto arrivando». nell’avamposto dell’ex base la dottoressa non era più a disposizione dei di Nassirya. La foto è stata che aveva coinvolto tutti: “Ho fatto la fame in Non è facile chiedere a un uomo quali sia- Libeccio a Nassiriya carabinieri e allora, per fortuna, ho saputo scattata nel 2004 un campo di concentramento”, “e noi a casa no le paure che sente dentro. «Tutto è inizia- che a Finale Ligure ci si poteva rivolgere al siamo stati bombardati dagli Alleati”. Questi to la mattina del 12 novembre 2003 a Nas- Centro di salute mentale della Asl 2 savone- militari, e parlo non dei casi che abbiamo in sirya. Ero un veterano, avevo già fatto una se, per un aiuto medico e psicologico. Già nei cura ma in generale di chiunque soffra di Pt- missione in Albania, due in Bosnia ed ero in primi colloqui mi hanno spiegato che per sd, hanno vissuto episodi di guerra in mis- Iraq per la seconda volta. Ho sentito lo scop- me, e anche per gli altri, sarebbe stata oppor- sioni di peace keeping, hanno subito traumi pio del camion bomba, mi sono preso delle tuna una lunga convalescenza». pesantissimi e in un attimo si ritrovano in schegge nella schiena. Tre della mia compa- Ptsd è una sigla che racconta un dramma. una società dove la vita è continuata esatta- gnia, Daniele Ghione, Andrea Filippa e Ivan «Mi sveglio di notte con uno scatto improv- mente come prima. È un contrasto che si vi- Ghitti sono morti da eroi. Erano nella prima viso, colpisco chi sta al mio fianco, mi metto ve anche durante la missione. Sei lì in Iraq, ve- postazione, potevano scappare ma hanno a correre al buio nella stanza e grido chia- di i bambini dilaniati dalle bombe, e poi con bloccato il camion sparando con tutte le ar- mando i miei compagni di Nassirya. Per que- la mail o il videotelefonino parli con la moglie mi che avevano. E non hanno la medaglia sto da tre anni non dormo più nella stanza che ti dice che c’è il mutuo da pagare e che il d’oro perché c’è chi sostiene che non c’è sta- con mia moglie. A causa della tensione puoi figlio ha una brutta pagella. Troppi contatti to conflitto a fuoco. Se il camion fosse entra- arrivare a mettere le mani addosso a un figlio. possono diventare un’arma a doppio taglio».

Repubblica Nazionale DOMENICA 2 MARZO 2008 LA DOMENICA DI REPUBBLICA 33

SOMALIA 1992-95 AFGHANISTAN 2002-? Missione segnata da forti dissensi tra il comando Usa Oltre 2.100 militari italiani sono impegnati, in ambito Nato, e quello italiano, poi passata sotto comando Onu nella ricostruzione del Paese. Nove i caduti

IRAQ 2003-2006 LIBANO 1978-? La più impegnativa missione italiana. Diciassette militari Missione Onu sotto comando italiano, rafforzata nel 2006 uccisi nell’attacco alla base di Nassiriya il 12.11.2003 Oltre duemila i nostri soldati, quattro i caduti FOTO BRUNO MURIALDO

STATI UNITI REGNO UNITO Secondo uno studio pubblicato l’anno scorso Sono oltre duemila, riferisce la Bbc, i soldati dagli Archives of Internal Medecine, un terzo britannici rientrati dall’Iraq (su un totale di circa dei 103.788 reduci assistiti dai servizi sanitari 100mila) ad aver richiesto cure psicologiche dei Veteran Affairs nel periodo 2001-2005 L’ong Combat Stress ne assiste 700 all’anno soffre di disturbi psichici. Oltre la metà I ministeri della Salute e della Difesa hanno di essi (13.205 casi) sono stati diagnosticati lanciato un programma pilota per l’assistenza come casi di stress post traumatico ai reduci che soffrono di disturbi mentali

I reduci dell’Iraq si sentono isolati. «Si sen- zione fanno parte del normale addestra- tono dire: in fondo eravate volontari, fatti vo- mento del soldato. È in fase di completa- stri. E allora si chiudono. C’è chi sta troppo a mento un manuale di prevenzione dei di- letto. Gli tocchi una spalla e scattano impau- Il racconto del soldato sturbi da stress in zone di operazione». Non riti. Un petardo di carnevale a loro sembra si sa quanti siano in cura per Ptsd ma si assi- una bomba. Tanti soffrono di insonnia, de- cura che «il supporto ai militari colpiti è for- pressione, eccessi di rabbia, incubi. C’è chi patrimonio di tutti nito dai medici psicologi delle nostre struttu- non riesce più ad andare a trovare l’amico ca- re ospedaliere». rabiniere in caserma ma solo quando è a ca- Domenico Leggiero, ex maresciallo pilota sa, senza divisa. In tutti, la domanda ango- FABIO MINI che a Firenze ha fondato l’Osservatorio mili- sciante: perché lui è morto e io sono ancora tare, centro studi che segue soprattutto i sol- vivo? Succede anche nelle grandi calamità, (segue dalla copertina) poco e cercavano sempre di capire chi e perché sba- dati vittime dell’uranio impoverito, dice che come le alluvioni o gli attentati ai treni. E gliava. «il Ptsd è una realtà che solo lo Stato Maggio- quelli di Nassirya non erano casuali compa- bbiamo rigettato, noi militari, il reducismo, per- In Cina, ai piedi della Montagna Bianca, ho trovato i re finge di ignorare». «Solo noi abbiamo rice- gni di viaggio: erano colleghi dei nostri pa- ché come tutti gli “ismi” distorce il concetto di reduci della guerra di Corea. I volontari di Lin Piao che vuto quasi centocinquanta segnalazioni. Ci zienti, con loro avevano vissuto in caserma, Abase. Non ne sopportavamo la petulanza, l’au- buttarono quasi a mare gli americani. Gente modesta mandano mail soprattutto le mogli dei sol- mangiato la pizza assieme a mogli e figli». Il toesaltazione, l’esclusività di ciò che il narratore diceva che parlava del forzamento notturno del fiume Yalu co- dati, dicendo che il marito picchia i figli, ha lavoro del medico non è semplice. «I ricordi di aver fatto, visto o sentito. E quando dalla storia rac- me di un viaggio in cielo. Non erano più tornati a casa reazioni violente o sta separandosi dalla fa- dolorosi vanno rielaborati. Nel Ptsd invece il contata si passava alla lettura dei documenti matrico- perché trattenuti al confine con la Corea del nord. A far miglia. Bisogna affrontare il problema a viso ricordo è una cosa ferma, atemporale. E ogni lari, asciutti ma veri, ci si rendeva conto che il reducismo ricordare. Ho incontrato i reduci cinesi della guerra aperto, perché solo studiando chi è rimasto stimolo fa rientrare in testa i pensieri intrusi- era la caratteristica di chi non aveva fatto niente di ec- contro il Vietnam. Avevano raggiunto i vertici dell’eser- vittima di stress da guerra si può preparare la vi. Per fortuna in questi anni di assistenza so- cezionale o che si era addirittura imboscato. cito e trasformavano la guerra persa in una lezione per formazione di chi deve partire per le nuove prattutto psicologica abbiamo registrato Ho avuto la fortuna d’incontrare reduci in ogni parte l’ammodernamento: la loro vittoria. In Argentina è un missioni». netti miglioramenti. Non va però dimentica- del mondo e di non essere traviato da mitomani o affa- reduce delle Falkland che mi elenca i novanta cognomi Uomini come Pietro Follesa, brigadiere, to il peso della separazione dall’Arma, che bulatori. Un nonno fante nella Grande guerra era già italiani tra i seicento caduti. E il suo Epos diventa il mio. per l’Arma sono diventati dei fantasmi. «Per non era solo un mestiere ma una scelta di vi- paralizzato e muto quando nacqui. Insegnava con lo A El Alamein e a Montelungo ho incontrato i reduci di più di due anni nessun comandante si è fat- ta». sguardo. Il nonno bersagliere e cavaliere di Vittorio Ve- tutte le nazioni belligeranti e le loro storie coincidono to vivo con me. Solo l’altro giorno, il 21 feb- Il maresciallo dei carabinieri Giantullio neto non mi ha mai parlato del suo passato militare. Era sempre, come la commozione di un cameratismo tar- braio, un colonnello del Comando generale Maniero, seguito dagli psicologi del San Mar- riservato e lavorava tanto. Insegnava con l’esempio. divo ma non inutile. In Kosovo ho trattato con eguale ri- ha chiamato me e gli altri carabinieri in cura tino di Genova, dice che, «nonostante tutto, Mio padre, da buon toscano, tendeva a dissacrare tut- spetto i reduci serbi e dell’Uck. Quelli che si erano com- e ha detto: «Come state? Cosa possiamo fare l’Arma è sacra». «Io devo, voglio continuare a to. Delle esperienze di guerra parlava soltanto per ri- battuti come soldati e non i criminali di guerra. Le loro per voi?». Lei non può capire, per un attimo ci crederlo. Il colonnello Garau e il tenente Val- derci su. Insegnava con l’ironia. storie non coincidevano mai. Tutti volevano apparire è sembrato di rinascere. Spero che l’Arma vano mi sono stati vicini e li ringrazio ma l’i- Ho quindi preso coscienza dei Reduci e del reduci- come vittime innocenti. I serbi cercavano ancora i torni a farsi sentire, vivere nell’oblio è terribi- stituzione in questi anni è stata troppo lonta- smo quando da bersagliere mi sono trovato immerso compagni scomparsi e quelli dell’Uck dopo quattro an- le. Noi non siamo nemmeno stati invitati al- na. Dal novembre 2003 noi viviamo un’odis- nel mondo del valore e del folklore. E poi quando ho col- ni dalla guerra tentavano disperatamente di estrarre le le cerimonie dei carabinieri per Nassirya. Ma sea. Abbiamo dovuto cercare noi gli esperti laborato con un capo di Stato maggiore Reduce e pri- poche migliaia di veri combattenti da una lista di circa bisogna resistere, anche se è dura. Quando che ci prendessero in cura. E siamo soli an- gioniero di guerra che con serenità mi ha insegnato co- trentamila pretendenti. leggo sui giornali che qualcuno ancora oggi che quando chiediamo quella medaglia d’o- sa significa stare da una parte o dall’altra di un reticola- Penso che si capisca che sto parlando da reduce. grida «dieci, cento, mille Nassirye», sento ro al valor militare per chi non è più tornato to. In America ho incontrato il primo ammalato di re- Guardando al passato come ad una realtà estinta. Sen- dentro di me una rabbia totale. E spesso nei da Nassirya. Noi li abbiamo visti, i nostri col- ducismo cronico. Era un colonnello di origine cubana za recriminazione ma con rimpianto. Oggi abbiamo i cortei ci sono dei parlamentari, che si disso- leghi, mentre sparavano contro i terroristi. E reduce della Baia dei Porci. Non nascondeva di dovere reduci delle operazioni di peace keeping e fatichiamo a ciano, ma solo dopo. La mia strada è in salita un ex ministro come Martino si è permesso a quell’impresa (fallita) la propria carriera folgorante. considerarli veri reduci costringendoli al reducismo. ma, quando sarò al cinquanta per cento il di dire: “Non si può dare la medaglia a tutti”». Diceva cose probabilmente vere, ma che apparivano Con il mito del soldato di pace nessuno vuole ammet- Piero di una volta, tornerò a fare il soccorri- L’Ufficio comunicazione pubblica dello come fanfaronate. Dopo una settimana dall’assunzio- tere che i nostri soldati sono stati in guerra: a tutti gli ef- tore volontario della Croce rossa. Non può Stato Maggiore dice che, anche se non ci so- ne del comando di battaglione fu destituito. Fine della fetti. La cultura del Reduce rischia di finire per non ri- immaginare che soddisfazione c’è quando no studi o statistiche, «l’insorgere di tali di- carriera. Il reduce era inciampato in una spacconata di conoscere che anche il sacrificio dei soldati di oggi fa una persona, magari solo con gli occhi, ti di- sturbi in operazioni è comunque noto nella troppo. Ma c’erano in servizio con me i reduci del Viet- parte dell’Epos nazionale. E non ci rendiamo conto che ce grazie». Suona, nel silenzio della piazza, la letteratura militare». «Le tecniche di preven- nam che avevano vissuto la gloria e l’abiezione del fan- senza il loro patrimonio rimane solo la responsabilità campana dei Caduti. go, delle conquiste a suon di massacri e delle ritirate or- di averli esposti a rischi inutili. Come spesso accade in dinate dall’alto. Come i nonni. Anche loro parlavano guerra.

Repubblica Nazionale 34 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 2 MARZO 2008 il fatto Il recente colpo a Casa Damiani, nel cuore di Milano, riporta Cronaca nera alla ribalta l’arte criminale dei “bucanieri”, quella élite di ladri che confeziona pochi, ricchissimi furti senza armi e senza violenza ma con sperpero di carotatrici, lance termiche, tecnologia elettronica Una mala leggendaria e popolata soltanto di fantasmi

PIERO COLAPRICO che nelle indagini sull’assalto della carotatrice insonorizzata di piazza onli conosce nessuno. Preferiscono impugna- Diaz, spuntò infatti Ugo Ciappina. Esat- re il trapano e non la ballerina, la pistola, che tamente lui. E cioè uno dei “cervelli” della quando spari ti balla in mano. I “bucanieri”, famosissima rapina delle tute blu di via come si chiamano gli uomini della banda del Osoppo, di cui ricorreva il cinquantenario po- buco, costituiscono una specie di segretissima chi giorni fa. Condannato per l’assalto al furgone setta criminale. Ci sono stati assalti ai caveau che segnò l’epoca storica del boom, finita la lunga Nclamorosi e miliardari, ma arresti altrettanto clamorosi mai, detenzione, Ciappina era rimasto fedele alle re- o quasi mai. Secondo “Radiomala”, sono napoletani, romani gole della vecchia “ligera”, la mala milanese. e milanesi i migliori di questo settore. E forse al top restano i Aveva girato alla larga dalle grandi bande milanesi, come confermerebbe l’ultimo colpo, quello della dei Turatello e degli Epaminonda. Si faceva settimana scorsa a Casa Damiani, la gioielleria quotata in Bor- gli affari suoi. Appena venne sbattuto in cella sa che ha visto la sua sede di corso Magenta svuotata da sette come inventore della carotatrice silenziata, uomini d’oro. Un colpo da «svariati milioni», forse addirittu- proclamò la sua innocenza. In appello venne pro- ra quindici. sciolto per insufficienza di prove. E se l’è sempre ca- Un precedente che fa scuola c’è. Maggio 1984, piazza Diaz. vata in tutti questi anni, anche se è stato notato in ban- Nella città dove tutti corrono, dove si lavora e si produce, c’è che e uffici poi razziati dai “bucanieri”, anche se è stato una banca che esalta l’uso delle rampe, per permettere ai arrestato un’altra volta, nel marzo di cinque anni fa, a set- clienti più affezionati alle quattro ruote una serie di operazio- tantaquattro anni. Era in viale Piave, non lontano da un nego- ni senza nemmeno mettere il freno a mano, il tutto a duecen- zio di moda, che stava per essere svuotato dalla “banda del bu- to metri dal Duomo. La Banca provinciale lombarda sembra co”. I ladri erano entrati nel vicino palazzo, in ristrutturazione, perfetta per la Milano rampante di quel periodo, ma sotto la e avevano fatto un buco nelle cantine. Che ci fai qua, Ciappina?, pioggia del penultimo weekend di quel mese, accanto al mu- gli chiesero i poliziotti. «Cercavo una farmacia», rispose. ro, non posteggia una Ferrari. Appare uno strano, gigantesco Confidò un suo conoscente al cronista: «In casa non ha un cubo nero. Nasconde una “carotatrice”, e cioè una macchina romanzo. Ho visto la sua biblioteca, ci sono decine e decine di da oltre una tonnellata capace di succhiare una carota di ce- manuali di elettronica, sui metalli, sulle chiavi…». Oggi Ciap- mento larga quaranta centimetri e alta quarantadue. pina ha quasi ottant’anni. Non ha mai dato un’intervista. Non Il materiale impiegato dai ladri-ingegneri per quel cubo è un ha mai cambiato casa, a Porta Vittoria. Al telefono, quelle rare misto di truciolato e gommapiuma, coperto di catrame. Fun- volte che hanno provato a metterlo sotto intercettazione, non ziona come il silenziatore della pistola. E anche come il sipario gli hanno sentito dire più di qualche parola ai parenti. «Un di un teatro. Il cubo attutisce il rumore dei denti della carota- caffè insieme? Lo bevo da solo», risponde a chi va a cercarlo. trice e impedisce agli estranei di vedere la tempesta di scintil- Dice che non sta bene, ma gli occhi sono quelli di sempre: at- le che sarebbe scoppiata da lì a poco. “Svitato” il tappo di ce- tenti, fiammeggianti. E forse anche per colpa dei suoi occhi, mento, i muratori cedono il passo a chi sa usare la lancia ter- per colpa della sua storia e — diciamolo — perché è tra i pochi mica per fondere come burro in padella l’ultima protezione ancora in grado di saper fare qualsiasi “lavoro”, il nome di que- d’acciaio del muro di cinta della banca. Si può accedere al ca- sto decano delle bande sconosciute dei “bucanieri” è stato ri- veau. Il lavoro di attacco dura alcune ore, c’è chi dice tredici o lanciato dall’anticrimine anche per ragionare su quest’ultimo quattordici. Su mille cassette di sicurezza, ne vengono svuota- assalto, quello a Casa Damiani. BandaLa delBuco il ritorno te duecento: per un bottino sui cinquanta miliardi di lire di al- Come si ricorderà, una settimana fa è com- lora. Agli investigatori, basiti, rimasero in mano un bel po’ di parso in una cantina di corso Magenta 80 un fo- bottigliette vuote di Enervit e sette paia di stivali usati dai set- ro nel muro di sessanta centimetri per ottanta. te uomini d’oro e lasciati lì, per andarsene carichi di soldi e, si I lavori, notturni e misteriosi, erano cominciati immagina, con le scarpe perfettamente pulite. per lo meno a Natale. Alcuni inquilini s’erano la- Una carotatrice era stata usata anche per fare razzia, sei an- mentati per i rumori: «Sentivamo lo zzz zzz del trapa- ni prima, in un’altra banca, in via Moscova. E circa sedici anni no». Un paio di custodi avevano dato un’occhiata. Non dopo ecco che tocca alla Cariplo di piazza della Scala subire avevano notato nulla. E nulla era successo per mesi, sino l’assalto. Nei giorni delle vacanze del Natale del 2001 la filiale è alle prime ore di domenica scorsa, quando da quel buco in ristrutturazione interna e ha spostato il locale dove sono cu- spuntano sette persone, quattro con la pettorina della Guar- stodite le cassette di sicurezza: ai ladri, in possesso di ottime dia di Finanza. Si materializzano nel caveau del palazzo al nu- informazioni, basta bucare con la lancia termica la porta blin- mero 82, sede della famosa gioielleria e svuotano un armadio data di un cortile, sfondare un muro a picconate e poi, invece blindato di due metri per tre, pieno di cassetti carichi di pre- di usare di nuovo la lancia termica per la pesante porta d’ac- ziosi. Questo colpo rappresenta un “ibrido”. E cioè alla tecni- cesso al caveau, picconano e trapanano il muro tutt’intorno. ca del buco, si è sommata la rapina con travestimento. È ri- L’incasso è di poco più di un milione di euro in contanti e altre suonato il «fermi tutti e non vi succederà niente». In un’epoca centocinquanta cassette di sicurezza vengono aperte. di rapinatori cocainomani, i sette uomini di Casa Damiani so- Chi si nasconde dietro questi blitz? Chi ha le “dritte” per ar- no sembrati dei signori perché non c’è stato l’uso di armi, a par- rivare al caveau? La speciale qualità umana dei “bucanieri” te le manette per immobilizzare i dipendenti. aiuta a spiegare il fallimento di tante indagini. Questi banditi Ma mentre i “bucanieri” classici non entrano quasi mai in non-violenti hanno un rapporto con il tempo, con il sudore contatto con i “dannati”, i derubati, in questo caso è successo. della fronte e con l’adrenalina molto più sano rispetto ai “du- Proprio come succedeva negli anni Ottanta e Novanta, quan- risti”: gli esperti della “dura”, e cioè della rapina, vivono infat- do non erano rari colpi simili, soprattutto ai danni di grossisti ti con il cronometro nel cervello, sanno che devono stare in di gioielli, con bottini record di decine e decine di chili di pre- banca per pochi minuti e poi l’imperativo è scappare, scappa- ziosi portati via, soprattutto a Napoli, Roma e Milano. Uno di re, tutto sul filo della velocità, delle pulsazioni, dei nervi tesi. Se questi colpi, a Napoli, ebbe come vittima Diego Armando Ma- molti rapinatori, per via delle telecamere difensive, delle im- radona. I ladri-rapinatori, passando dalle fogne e sfondando pronte che lasciano, dei “pentiti” che parlano, vengono prima una parete, erano riusciti a immobilizzare i dipendenti di una o poi catturati, gli uomini della “banda del buco” sono quasi banca vicino piazza del Mercato. Avevano svuotato centinaia tutti rimasti dei signori nessuno. Ricchi quanto basta e inaf- di cassette di sicurezza, nella fuga in via Orefici avevano anche ferrabili. In più, come dicono, «tra noi non ci sono rifarditi», perso gioielli per settecento milioni di lire, ma non il pallone mancano cioè i traditori al loro interno. d’oro consegnato al campione argentino da France Football. E Per due ragioni. Un po’ perché quel loro mondo di tecnolo- a Roma, nel novembre del 2000, una banda sbucata da un mu- gia ed elettronica è un mondo di amicizie decennali (anche po- ro che si sbriciola tenne in ostaggio settanta tra clienti e di- litiche), chiuso, molto speciale, dove se si sbaglia, si sbaglia da pendenti, in una filiale della Banca di Roma al quartiere Ma- professionisti. E perché spesso le grandi organizzazioni ma- gliana. fiose hanno tentato di “rubare” a loro volta il bottino a chi, gra- Decine e decine di colpi ci sono stati in Italia, a banche, po- zie ai buchi nel sottosuolo, ai cunicoli delle fogne, alle ristrut- ste, gioiellerie, tutti praticamente senza colpevoli. Gli investi- turazioni, penetrava dove i loro picciotti non erano riusciti a gatori pensano di avere a che fare con persone che hanno su- entrare. Insomma, si sono cementati rapporti privilegiati che perato gli “anta”, persone abili e mature. Con gli eredi di quel nessuna carotatrice potrebbe bucare e nessuno spione spor- ladro celebrato in un noir francese degli anni Cinquanta, dove care. si diceva che quando occorreva un esperto in casseforti, si Una persona è — anche se lui non vuole e protesta quando lo chiamava «l’italiano, uno di Milano». La realtà investigativa, si cita — l’incarnazione di questo universo. Bisogna ricordare negli anni, ha solo confermato quell’intuizione letteraria.

Repubblica Nazionale DOMENICA 2 MARZO 2008 LA DOMENICA DI REPUBBLICA 35

SCASSINATORI IN SMOKING L’illustrazione di Walter Molino pubblicata Il triste tramonto il 17 aprile 1960 descrive un furto in banca del Buon Bandito a Benevento eseguito GIANCARLO DE CATALDO da scassinatori in smoking enza denaro è triste il destino/ ma il coraggio non ci è mai «Smancato/ se sei la mala passi dappertutto/ se sei la malati puoi pagare tutto/ evviva il vino e la bella vita/ viva le donne e la ladreria!». Fu il vezzo di mette- re in versi le scorribande del suo terzetto di scassinatori che condannò monsieur Clement: un poliziotto in borghese orec- chiò il ritornello della ballata in argot che spopolava nelle bettole lungo la Senna e dal prezioso indizio fu agevole risalire al- l’inafferrabile rapinatore che aveva fatto razzia di casseforti nella Parigi di fine se- colo. Inevitabilmente processato e con- dannato, Clement venne tuttavia osan- nato come un eroe popolare. Stesso de- stino sarebbe occorso, anni dopo, al rapi- natore anarchico Jacob, la cui destinazio- ne al bagno penale fu accolta dai francesi con la morte nel cuore. Maurice Leblanc, il padre di Arsenio I SOLITI Lupin, s’ispirò tanto a Clement che a Ja- IGNOTI cob. Gran seduttore, fascinoso conversa- Mario Monicelli, tore, elegante commensale, inafferrabile 1958. Il debutto e gentile spirito libero, Lupin è l’archetipo della commedia del Buon Bandito moderno, il degno figlio all’italiana: il furto della rivoluzione industriale, del moder- fallimentare nismo, dell’incalzare del pensiero scien- di cinque balordi tifico. Legioni di lettori spasimano per le della periferia sue imprese, le donne sognano di incon- romana trare dal vivo uno come lui, i giovani go- dono della disfatta degli sbirri che invano gli danno la caccia. Eppure, il Buon Ban- dito non ha niente a che vedere con il pio Robin Hood. Il quale non si limitava a de- rubare i ricchi, ma usava reinvestire ben più dell’“otto per mille” in beneficenza sociale. E nemmeno con il brigante della tradizione (l’Angiolillo, il Vardarelli) che raddrizza i torti e conforta le vedove. I va- ri Clement, Jacob, Lupin non sono dei fi- lantropi, rubano per vivere alla grande, in quanto a coscienza sociale risultano al- quanto primitivi anche all’osservatore più benevolo. Tuttavia, il processo di identificazione scatta immediato. Tratti precisi delineano la figura del Buon Bandito: detesta la violenza, per giocarsi la partita sul terreno delle idee e di geniali, arditissimi piani. Punisce l’avi- dità, rispetta i deboli, ogni impresa è per SETTE UOMINI lui una sfida da condurre nel rispetto di D’ORO regole comuni e condivise. E, soprattut- Marco Vicario, to, rischia in prima persona: se preso, non 1965. A Ginevra piagnucola, non si “butta a Santa Nega”, una sofisticata semmai, orgogliosamente, rivendica, ri- banda torcendo le accuse contro i “borghesi” e internazionale la loro mentalità gretta e utilitaristica. svaligia la Banca Flessibile, come ogni mito che si rispetti, Nazionale quello del Buon Bandito si adegua al mu- Svizzera tare dei tempi. Già pochi anni dopo Lupin al “padrone delle ferriere” si sostituisco- no gli anonimi consigli d’amministrazio- ne delle società finanziarie. Il Buon Ban- dito legge Brecht e fa tesoro del celebre aforisma sulla natura ontologicamente “criminale” delle banche. Legge Horkheimer e Adorno, capisce che gang- ster e statisti tendono ad assimilarsi sotto il profilo morale e anche antropologico, che hanno non solo le stesse abitudini, ma persino la stessa faccia, e allarga l’o- rizzonte dei suoi interessi. È il “cassetta- ro” che ripulisce il caveau senza nemme- no degnarsi di comperare un’arma sul mercato clandestino. L’hacker che, con un colpetto del dito indice, dirotta sul suo conto cifrato il patrimonio di una multi- nazionale. È George Clooney che svuota le casse del casinò dove le mafie vanno a OCEAN’S candeggiare i proventi dei loro sporchi ELEVEN traffici. Steven Ma è proprio quel contesto che il Buon Soderbergh, Bandito sa così bene leggere e interpreta- 2001. Ocean re che sta decretando, a rapidi passi, la fi- (George Clooney) ne del suo mito. Fine che avverrà, forse tra recluta dieci breve, per colpa dell’Auditel: perché le superspecialisti sue gesta ci lasceranno indifferenti, se- per un colpo dotti, come siamo, da ben altri stimoli. Il a Las Vegas pregio del Buon Bandito è di restare fede- le a se stesso, ai suoi “ideali” non violenti e sottilmente provocatori. Siamo noi a es- sere cambiati. È cambiata, forse irrime- diabilmente, la nostra percezione del rapporto fra il crimine e la normalità. Da molto, ormai, abbiamo smesso di prova- re interesse per genesi e prassi di qualun- que impresa, sportiva come criminale. Ciò che ci sta a cuore è unicamente il ri- sultato finale. Il “come va a finire”, asso- lutamente svincolato da modi, tecniche, percorsi. Che sia gentiluomo o feroce, un bandito è tale soltanto se viene catturato, processato e — a volte persino accade — condannato. Altrimenti, è uno che ce l’ha fatta, e buon per lui. A noi, magari, toc- cherà la prossima. Questo confine fra “noi” e “loro” che rendeva così unici gli Jacob e i Lupin oggi lo avvertiamo sempre più vago e scontor- nato. Segni inequivocabili di criminofilia INSIDE ci circondano. Vediamo uomini d’affari MAN vestiti all’ultima moda come pusher dei Spike Lee, 2006 ghetti. Respiriamo tutti, consapevol- Un ladro filosofo mente o meno, nelle notti elettriche delle a capo di una metropoli come nei viottoli della “sana” banda di finti provincia italiana, la coca, allegra com- imbianchini pagna di scorribande. La ricchezza è un realizza la valore che affratella, se si porta appresso “rapina perfetta” la violenza, nessun problema. È la regola a Manhattan del gioco. Il Buon Bandito passa il testi- mone a Superciuk. Quel personaggio in- ventato dal genio dei fumettari Magnus & Bunker: lui che ruba ai poveri per dare ai ricchi, ecco uno che ha capito come van- no le cose.

ILLUSTRAZIONE DI WALTER MOLINO DAL LIBRO “LA DOMENICA DEL CORRIERE” © 2007 FONDAZIONE / © 2007 SKIRA EDITORE

Repubblica Nazionale 36 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 2 MARZO 2008 il viaggio Per novecento giorni, dal 1872 al 1874, prima di Nansen Imprese dimenticate e di Peary, il tenente di vascello Carl Weyprecht esplorò il Mare Artico, scoprì la Terra di Francesco Giuseppe, poi tornò a casa con una eroica marcia sul pack La sua ciurma, sotto bandiera austro-ungarica, era composta di marinai dalmati e cacciatori sudtirolesi

La nave dei triestini nell’inferno di ghiaccio

ste manca una via con il suo nome. sotto bandiera austriaca. Ma crebbe a — è luogo di memoria strabica, con- PAOLO RUMIZ Erano gli anni della febbre geografi- A bordo Trieste e ne fu fino all’ultimo cittadino centrata sull’epica irredentista e di- enivano dalle terre della ca mondiale e i mappamondi conte- entusiasta. Lì ebbe la sua formazione sattenta sul resto: soprattutto alle sto- bora — si chiamavano nevano grandi spazi bianchi inesplo- della “Tegetthoff” scientifica e marinara, e lì iniziò ad ap- rie della lunga stagione asburgica, Marola, Zaninovich, rati. Il Polo Nord era il più grande di prezzare i figli delle ventose monta- quando Trieste fu porta di un impero Scarpa, Lusina o Catari- tutti e Weyprecht, tenente di vascello gne a picco sul mare. Narrano che e toccò la sua massima fioritura. Così, nich — e stupirono il poco più che trentenne, pieno di ar- si parlavano quando rivelò ai tedeschi di voler af- gli italiani non sanno che qui fu inven- mondo tornando vivi dore scientifico, contagiò del suo en- nove lingue diverse: frontare il Mare Artico con marinai tata l’elica e la prima corazzata con i dall’infernoV bianco che li aveva in- tusiasmo sponsor e istituzioni, racco- mediterranei, quelli sorrisero con suf- cannoni girevoli; che la scommessa ghiottiti per novecento giorni. Una gliendo quanto bastava. Fece costrui- ficienza, ma lui non si lasciò smonta- dello scavo di Suez partì non a Parigi ciurma di quattordici marinai dalma- re un piroscafo adatto ai ghiacci, lo fo- una vera spedizione re e ricordò che nella ritirata di Russia ma nella città di San Giusto; non san- ti, fiumani e triestini che, dopo aver derò di ferro, caricò a bordo ventitré i reparti napoleonici che avevano no che a Gorizia furono progettati i abbandonato la nave, rientrarono a uomini scelti, e il 13 giugno del 1872 “internazionale” subìto meno perdite erano quelli del- primi aerei da combattimento oppu- casa dal mare artico con una terribile fece rotta sul Polo col compito di cer- le province illiriche, fra Trieste e la re che nella vicina Pola vennero mes- traversata a piedi tra i ghiacci, dopo care anche il passaggio a Nordest per Dalmazia. Anche sulle navi austria- si a punto i primi siluri e i primi over- due inverni di tenebra a meno cin- il Pacifico. Incappò in un’estate fred- che i marinai che si ammalavano me- craft sperimentali. L’Italia sabauda e quanta. Era il 1874 e quegli uomini, dissima e fu subito intrappolato dalla no erano i figli della costa illirica, tem- quella fascista erano tirreno-centri- con i loro ufficiali, si erano spinti alla banchisa senza avere alcun aiuto dal- prati da estati torride e inverni duris- che, e poiché l’Austria era stata erede massima latitudine Nord mai rag- la corrente del Golfo che in condizio- simi. Gli stessi uomini che avevano di- di Venezia, anche la leggenda serenis- giunta, gli 82’ 51” gradi del desolato ni normali avrebbe dovuto aprirgli la feso e Venezia dai Turchi. sima passò in second’ordine. E con arcipelago da loro battezzato Terra di strada dagli iceberg per un migliaio di A Bremerhaven si può vedere anco- essa i capitani coraggiosi dell’Adriati- Francesco Giuseppe, punto più set- chilometri almeno. ra oggi un obelisco dedicato a loro: i co. tentrionale d’Europa. Al ritorno in Quando il 28 ottobre il sole sparì e ri- giuliani, istriani e dalmati che batte- L’odissea del ritorno in un mare ge- Norvegia, poi in Germania e a Vienna, mase sotto l’orizzonte, la pressione rono l’Italia nelle acque di Lissa — cor- lato a metà sfiancò gli uomini, già di- furono accolti come eroi, ma ancora del gelo sulla chiglia era già così spa- reva l’anno 1866 — agli ordini del- strutti dalla diarrea, dal vento e dagli oggi il nome del loro comandante, ventosa che la nave si sollevò fra cigo- l’ammiraglio austriaco Wilhelm von sbalzi di temperatura. Scrive Weypre- Carl Weyprecht, triestino, dice poco o lii e tonfi terrificanti. Il buio era tale Tegetthoff, cui sarebbe stata dedicata cht: «Il lavoro consisteva nel mettere niente agli italiani. che per vincere la depressione dei suoi post mortem la nave polare di Wey- alternativamente i battelli sul ghiac- Che strano. Il 2008 è ormai il quarto uomini il comandante inventò lavori precht. A Pola, oggi Croazia, c’è un’al- cio e poi rimetterli in acqua. I campi di anno polare mondiale, e il Belpaese di ogni tipo e lui stesso tenne lezioni tra lapide che con vanagloria non ghiaccio erano piccolissimi, giaceva- sembra ignorare ancora questa favo- all’equipaggio, come su una nave infondata esalta gli «uomini di ferro su no l’uno in stretta vicinanza dell’altro losa storia. Eppure la prima grande scuola. A mezzanotte di capodanno navi di legno» che allora sconfissero ed erano divisi per lo più da canali an- spedizione scientifica verso il Polo tutti uscirono con fiaccole attorno al- «uomini di legno su navi di ferro». Gli gusti. Qualche giorno, per ben venti non fu quella del norvegese Nansen o la nave e bevvero pezzi di champagne “iron-men” erano il nostro nemico: volte si ripeteva il lavoro di mettere i dell’americano Peary, ma venne com- gelato, mentre qualche orso bianco ma in manovra parlavano veneto e a battelli sopra le slitte e quindi le slitte piuta da questo indomito triestino na- tentava di arrampicarsi in coperta. ogni bersaglio colpito gridavano «viva sopra i battelli, e la maggior parte del- to in Germania e della sua ciurma L’estate dopo fu avvistata la nuova San Marco», in onore della grande Ve- le nostre fatiche andava perduta sen- adriatica. Inglesi e tedeschi gli ricono- terra, ma i ghiacci si strinsero di nuo- nezia per la quale avevano navigato za profitto alcuno». scono tale primato; il suo nome figura vo e arrivò la notte del secondo inver- per secoli. «Demoghe drento!» urlò Testimonianze straordinarie, mai nel sito della Nasa — l’agenzia spazia- no. Bisognò aspettare altri sei mesi LE IMMAGINI letteralmente Tegetthoff al suo timo- tradotte in italiano su pubblicazioni le americana — come padre della ri- per esplorare la Franz Josef Land, in Nelle pagine sono riprodotti i disegni niere prima di speronare l’ammira- scientifiche, e semi-ignorate dal cerca scientifica internazionale; tempo per iniziare la traversata a pie- di Julius Payer, comandante glia piemontese, zeppa di marinai na- mondo accademico, nonostante il bel Vienna gli tributa onori e l’Accademia di verso la salvezza, la Novaja Zemlja. delle operazioni di terra della spedizione poletani. romanzo sull’epopea artica scritto delle scienze austriaca pubblica pro- Una fatica di Sisifo, con i ghiacci che L’uomo del ritratto è Carl Weyprecht A Lissa Weyprecht affondò pure lui più di vent’anni fa dallo scrittore vien- prio in questi giorni il suo epistolario; andavano alla deriva nella direzione La mappa riporta la marcia sul ghiaccio la sua nave, e c’è da capire perché sia nese . Un silen- ma in Italia solo pochi specialisti ne opposta. tra Terra di Francesco Giuseppe, finito nel vasto arcipelago delle amne- zio rotto solamente da un dilettante hanno sentito parlare e persino a Trie- Certo. Weyprecht compì l’impresa Novaja Zemlja e Norvegia sie nazionali. Trieste — l’italianissima triestino — Enrico Mazzoli — che ha

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I LIBRI Sulla spedizione polare Weyprecht-Payer, Enrico Mazzoli ha scritto due libri: Dall'Adriatico ai Ghiacci. Ufficiali dell'Austria-Ungheria con i loro marinai istriani, fiumani e dalmati alla conquista dell'Artico (Edizioni della Laguna, Mariano del Friuli 2003, 25 euro, disponibile su ordinazione) e Viaggio ai Confini del Mondo La spedizione polare Weyprecht-Payer, alle origini dell'Anno Polare Internazionale (Biblion Edizioni, Milano 2007, 18 euro). Una versione parzialmente romanzata della storia è contenuta nel libro dello scrittore austriaco Christoph Ransmayr Gli orrori dei ghiacci pubblicato in Italia da Leonardo (1991) e da Il Mandarino (1989), ma ormai per entrambi fuori catalogo

dedicato anni a raccogliere scritti e burrone. immagini sulla grande avventura, an- «Voglio tu sappia — scrive Weypre- che per saldare il debito di memoria cht poco dopo essere tornato in terra- della sua città. Maggiore della polizia ferma all’amico scienziato Heinrich municipale e assiduo viaggiatore tra i von Littrow — quanto sono stati bravi poli e l’equatore, ha raccontato la sto- gli ufficiali e l’equipaggio durante tut- ria in due libri ricchi di curiosità e ico- to il periodo. Quale contrasto con l’in- nografie: Dall’Adriatico ai ghiacci e disciplinata accozzaglia della spedi- Viaggio ai confini del mondo. zione americana di Hall! Lì contrasti, Julius Payer, ufficiale dei Kaiserjae- mancanza di coraggio, ammutina- ger, comandante delle operazioni di menti, meschinità. Da noi armonia, terra e straordinario illustratore del- pronta ubbidienza, subordinazione l’avventura, ricorda in un libro sulla fino alla fine, in quelle situazioni così scoperta della Terra di Francesco Giu- difficili, talvolta senza speranza; mai seppe che a bordo la confusione delle un accenno di mancanza di coraggio, lingue rasentava il comico. «Tra loro i nonostante le sconfortanti prospetti- marinai parlano per lo più in slavo, ma ve e i duri strapazzi. Questo è il mio più in servizio usano l’italiano. In cabina bel trionfo, che io festeggio e tu con si parla tedesco, e norvegese col ram- me, perché tu eri uno dei pochi che era poniere Carlsen... il quale conversa in d’accordo con me sulla scelta dell’e- inglese con l’ufficiale di coperta Lusi- quipaggio». na... Il dottor Kepes dialoga con gli uo- Appena tornato dalle terre del mini usando il suo latino professiona- Nord, Weyprecht il triestino spese tut- le o l’ungherese, ma con Lusina parla te le sue energie per spiegare che lo in francese. Infine abbiamo a bordo studio del pianeta Terra richiedeva una strana lingua, quella dei due tiro- uno sforzo internazionale i poli dove- lesi, che all’inizio riuscivo a compren- vano essere il baricentro di questa dere io solo». esplorazione. Tanto fece, che nel 1882 Nove lingue a bordo: quella della fu istituito il primo anno polare mon- “Tegetthoff” non fu una spedizione diale e dieci paesi costruirono quat- austriaca ma europea. La prima spe- tordici basi tra Artide e Antartide, e al- dizione internazionale della storia. Il tre trentacinque nel resto del mondo. fascismo liquidò Weyprecht come te- Weyprecht morì poco dopo per una desco dimenticando che, quando la fulminante malattia, ma la sua opera stampa d’Oltralpe lo definiva tale, egli rimase scolpita negli annali della stesso si ribellava. Si offendeva, anzi. E scienza, al punto che nel 1907 — ribadiva la triestinità di adozione, quando Amundsen, Scott, Shackleton perché nel porto dell’impero egli ave- e il Duca degli Abruzzi si riunirono per va scoperto non solo il mare ma anche istituire la Commissione polare inter- una visione internazionalista della nazionale — il nome fu solennemen- scienza. La prova fu proprio quel piro- te evocato per dire che la spinta deter- scafo plurilingue che vinse una sfida minante era partita da lui. L’ultimo a inaudita e mai divenne Babele. Nelle morire, di quel favoloso equipaggio, sue ultime lettere il comandante di- fu il dalmata Antonio Zaninovich, nel chiarò di non aver niente da spartire 1937 a Trieste, pochi mesi prima che vi col nazionalismo crescente che già al- fossero proclamate le leggi razziali e il lora spingeva l’Europa verso il gran mondo ripiombasse nella barbarie.

Repubblica Nazionale 38 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 2 MARZO 2008 i luoghi Genio militare

La Cittadella di Alessandria è stata per due secoli una delle basi più importanti dell’esercito Resistette a francesi ed austriaci, ad assedi e rivolte, tenne imprigionati La fortezza dove è nata l’Italia

MASSIMO NOVELLI esagono stellare schiacciato, che è un dipendenza alla Resistenza, la Cittadella soldati, i comandi impartiti seccamente, mazziniani esempio raro e unico in Europa di archi- e i suoi 478.340 metri quadrati di superfi- il battere dei tacchi, lo sferragliare delle ALESSANDRIA tettura difensiva. cie, una vera città nella città, inaccessibi- sciabole. Lasciata libera dall’esercito nel e partigiani Vittorio Amedeo ne ordinò la costru- le, è stato un teatro della storia, la base 2007, quando l’ultimo militare chiuse uigi XIV non doveva avere zione nel 1728 a Ignazio Giuseppe Berto- principale dell’esercito piemontese e in dietro di sé a doppia mandata il portone una buona opinione dei la, tortonese, «Primo Ingegnere di Sua seguito una delle più importanti dello d’ingresso e l’abbandonò per sempre, la suoi “cugini” piemontesi, se Un anno fa è stata Maestà», nominato conte d’Exilles nel Stato unitario. Cittadella è passata all’Agenzia del De- un giorno esclamò che «i Sa- 1742. Già nel 1745 ebbe il battesimo del Oggi, invece, tra il fossato, i sei bastio- manio, cioè allo Stato, che nel frattempo voiaL non terminano mai una guerra sot- abbandonata fuoco. I soliti francesi strinsero in una ni possenti, i rivellini, le controguardie, i ha firmato un protocollo d’intesa con il to la stessa bandiera con cui l’hanno ini- morsa la città allungata nella pianura lunghi viali, le caserme, i magazzini che comune di Alessandria per la gestione e ziata». Il Re Sole ce l’aveva con Vittorio e chiusa per sempre piemontese, ponendo il blocco all’enor- rifornivano di vestiario e di viveri l’intera la valorizzazione di un bene architettoni- Amedeo II, il futuro Re di Sicilia e di Sar- me fortezza edificata lungo la sponda si- regione militare del Nord-ovest, il palaz- co e artistico che rappresenta, senza al- degna, che proprio i francesi aveva scon- Siamo andati nistra del fiume Tanaro. Ma gli assediati zo del governatore e il piazzale di trenta- cun dubbio, uno dei più notevoli monu- fitto nel settembre del 1706 durante la resistettero. Concepita massiccia e pres- mila metri quadrati, a dominare è il si- menti europei nell’ambito delle fortifi- battaglia di Torino. I repentini cambi di soché invisibile, dietro ai bastioni, per es- lenzio. Un silenzio irreale, quasi uno smi- cazioni. alleanze non deposero certamente a fa- a esplorare, sere al riparo dal tiro del cannone, la Cit- surato silenzio metafisico di un dipinto Il centocinquantesimo anniversario vore del duca sabaudo, detto la Volpe sa- tadella non fu espugnata e l’esercito di di Giorgio de Chirico o di una sequenza di dell’Unità d’Italia, nel 2011, potrebbe es- voiarda, ma nessuno osò mai mettere in tra silenzi irreali, Carlo Emanuele III poté attendere l’arri- un film di Michelangelo Antonioni, rotto sere il volano ideale per eseguire i lavori discussione la sua spiccata vocazione vo dell’armata di soccorso. Da allora ai soltanto dall’irrompere del vento, dal- di restauro e cominciare a progettare in per le arti militari. Se non bastassero gli quei bastioni segreti giorni nostri, in più di due secoli di asse- l’apparire su un bastione di un fenicotte- concreto la rinascita dell’ex complesso avvenimenti storici raccontati nei libri, a di, rivoluzioni, occupazioni, imprigiona- ro, dal crepitio delle foglie secche nei mu- militare, che all’epoca d’oro arrivò a testimoniarlo sopravvive ancora adesso menti e fucilazioni di patrioti mazziniani linelli di polvere. E il silenzio colma, nel ospitare trentamila uomini e negli anni un monumento eloquente, addirittura e poi di partigiani, passando dalla batta- freddo, le ampie sale vuote, desolata- Cinquanta del Novecento fu ancora sede straordinario: il grandioso complesso glia napoleonica di Marengo ai moti ri- mente nude, delle caserme Giletti e Bele- del Cinquantaduesimo reggimento di della Cittadella di Alessandria, a forma di sorgimentali del 1821, dalle guerre d’In- no, dove prima riecheggiavano le voci dei artiglieria pesante. È però difficile che si

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È stata una culla del Risorgimento: qui nel 1821, innalzando il tricolore, insorse una guarnigione Una macchina del tempo di patrioti. Prima della battaglia di Montebello la “Gazzetta del Popolo” indisse una sottoscrizione per fabbricare lentezza per munirla di cento cannoni da puntare DANIELE DEL GIUDICE uasi ogni città italiana ha in sé o nei dintorni una fortezza, contro i soldati di Francesco Giuseppe un sistema di mura e torri da avvistamento, opere belliche e Qdifensive che sono diventate con il tempo opere d’arte e d’architettura. C’è un profondo intreccio di rapporti tra l’architettura milita- re e quella civile; le opere militari talvolta anticipano i temi di quelle civili o li riprendono immediatamente, e, all’epoca di Mi- chelangelo o Francesco di Giorgio Martini o Leonardo, l’“artista” edificava sia i palazzi sia le fortezze, riassumeva in sé le due atti- vità. Le fortezze sono in qualche modo tem- pli di una scienza, la scienza militare. Anche le chiese sono templi di un sapere, cantato e magnificato dall’edificio che lo ospita, pe- rennemente sicuro di sé. Ben diverso è il ca- so della fortificazione; non ci sono dogmi sedimentati e per sempre validi e la scienza di cui è tempio è destinata a diventare velo- cemente obsoleta. La caduta, l’espugnazio- ne di un forte e del territorio che esso presi- dia implica la caduta della concezione ar- chitettonica e conoscitiva che ne è l’anima, come mostra il rapido evolversi e mutare delle teorie della fortificazione e della loro pratica attraverso i secoli. Una retta o un an- golo mal progettati si trasformano prima o poi in un tracollo militare. Le fortificazioni come le vediamo oggi nel- le città italiane sono opere d’arte e sono an- che dei musei, vuoti o prevalentemente vuo- ti di arredi: non espongono immagini della propria dottrina ma solo se stesse, racchiu- dono un’idea speciale di tempo, un’idea del- lo sguardo, e un’idea complessiva del rap- porto tra dentro e fuori, relazione, questa, di cui la fortezza è l’emblema più caparbiamen- te e istituzionalmente significativo. La fortezza è un tipo di architettura ma an- che un tipo di macchina; è un’architettura- macchina e segnatamente una “macchina del tempo”, che non può muoversi lungo il tempo come quelle di H.G. Wells ma può “muovere” il tempo, e tra le possibili macchi- ne del tempo appartiene al tipo specializzato nel produrre ritardo. In un trattato di Bonaiu- FOTO FOTOTECA GILARDI to Lorini, architetto rinascimentale, si legge che il suo fine era fabbricare «il corpo della fortezza […] con ordine tale che i pochi difen- sori si possano difendere da numero assai maggiore col fargli perdere tempo». La vera ar- ma della fortificazione era produrre lentezza, dilatare il tempo fino a renderlo inoffensivo. E la durata del ritardo prodotto poteva essere calcolata; gli allievi di Sébastien de Vauban (m. 1707) avevano mes- so a punto un metodo teorico per stabilire, sulla carta, la quantità di lentezza prodotta da una fortificazione e dunque il tempo necessa- rio per espugnarla. Tale metodo, che prese il nome di «analisi delle fortezze» e fu alla base della scuola francese di Mézières, la scuola del genio militare creata nel 1748, prevedeva, ad esempio, che l’e- sagono bastionato dovesse cadere in mano all’attaccante in venti- tré giorni; peraltro questo tipo di calcolo, che spesso produceva grandi illusioni, fu decisamente contestato da Napoleone. Tempo ritardato, dilatato, furono i quarantadue giorni dell’assedio di Ostenda nel 1601, i trentanove giorni dell’assedio di Luxemburg nel 1684, diretto dallo stesso Vauban, e l’intero anno necessario per la caduta di La Rochelle nel 1627.Era un tempo impiegato a costruire altre parti di quella macchina della lentezza, come nell’assedio di Candia (1637), quando difensori e attaccanti condussero una guer- ra di mine e contromine davvero al limite e la stessa postazione saltò in aria diciassette volte in ventiquattro mesi. Era il tempo delle ron- de notturne, degli occhi che si sforzavano di distinguere il minimo movimento o un baluginio nel buio, il tempo degli appostamenti al- le feritoie sparando alla cieca, presi dal terrore, oppure con parsi- A STELLA monia, valutando il tempo di avvicinamento del nemico e quello di A sinistra, un’antica pianta ricarica delle proprie armi, era un tempo abbastanza rallentato da della Cittadella di Alessandria permettere l’agonia, il dolore, la percezione di un significato possi- Nelle foto, particolari di esterni bile e di un finale. e di interni della fortezza Le fortezze sono musei muti che conservano un’idea speciale del- lo sguardo. Il modo in cui si guarda una fortezza, o si guarda da una fortezza, benché opera d’arte, non ha nulla dello sguardo contem- plativo della chiesa, la fortificazione non è il luogo del vedere, della “visione”, ma del “guardare”, anzi del traguardare, è il luogo dello sguardo per collimazione, e della mira. Qualunque costruzione do- veva permettere di guardare e colpire di fronte a sé, ma anche di fian- cheggiare ed essere fiancheggiata, proteggere ed essere protetta, ogni punto doveva essere visibile da un altro punto, e tutto stava nel- l’evitare luoghi coperti allo sguardo e alla mira. Il modo di guardare si trasformava immediatamente in un modo di colpire, i calcoli era- no quasi gli stessi, con molta probabilità la prospettiva e la balistica sono nate dalla stessa teoria. È quasi impossibile capire una fortifi- cazione senza immaginare questo sistema di sguardo e mira che era parte fondante della sua funzionalità e della sua sicurezza. Le fortezze sono musei di un rapporto speciale tra dentro e fuo- ri. Senza dubbio la fortificazione nasce dall’interno, anzi dal cen- tro di un giro di compasso. Quale figura inscrivere all’interno di questo cerchio? un pentagono? un esagono? una figura con più lati, una stella? Ma più lati vuol dire più angoli, e più sono gli an- goli più sono ottusi, e più le mura sono frontali, e più offrono pos- sibilità di impatto ai colpi. Nei secoli, la trattatistica delle fortifi- cazioni non fa che discutere se è meglio l’angolo acuto o l’ottuso, se molti lati o pochi lati, se lati corti o lunghi. Ogni angolo proiet- tato in fuori crea angoli morti verso l’interno, cioè punti morti al- lo sguardo e al tiro, dove gli attaccanti possono insinuarsi e alza- re scale o ammassare cumuli di terra, aprire varchi nelle mura e metterci del materiale esplosivo. Tutto nasce dall’interno, ma riesca a sfruttare l’opportunità. A causa prima rivoluzione liberale d’Italia, in- Fuori, sul piazzale, si ritrovano il silen- tutto può essere modificato dall’esterno. Sono i tiri di artiglieria e dei tagli ai fondi pubblici destinati alla ri- sieme a quella napoletana del 1820. zio di un mattino di febbraio, un sole che le loro accresciute potenza e precisione nei secoli a determinare correnza unitaria e per la priorità data al- Sempre in Cittadella, nel 1833, vennero carezza le facciate delle vecchie caserme il mutamento o l’evoluzione delle fortezze, occorreva tenere con- le opere in fase già esecutiva, con ogni messi ai ferri e quindi uccisi l’avvocato dalle tinte marroni e rosse corrose dagli to dei diversi tipi di fuoco: fuoco di infilata, fuoco ficcante, fuoco probabilità la Cittadella non avrà reali Andrea Vochieri e altri aderenti e sim- anni e le lapidi a ricordo di atti eroici e va- rovescio o obliquo, fuoco diretto, e questi tipi di fuoco, sia da par- benefici. A meno che non venga accolta patizzanti della Giovine Italia. Nel suo lorosi, come quelli compiuti dai fanti te dei difensori sia degli assedianti, erano direttamente comple- l’ipotesi di realizzazione di un parco ur- celeberrimo libro I martiri della libertà della Brigata Ravenna nella disastrosa mentari alla forma della fortificazione, ne erano in qualche mo- bano nel fossato e nelle aree fortificate italiana, Atto Vannucci narra che «al- campagna di Russia dell’Armir. Cammi- do il calco esterno. Ogni oggetto teso verso l’esterno serviva a esterne, il cui costo è stato calcolato in ol- l’avvocato Vochieri, uomo venerabile nando per i viali, svoltando in piazzale guardare e a prendere la mira e a proteggere i punti più rientrati tre quattro milioni di euro e che è stato per onestà e dottrina e fermo contro Gorizia, scorrono idealmente i giorni di verso l’interno, ma poi bisognava fare postazioni più avanzate, progettato da un gruppo di architetti to- ogni tormento, usò trattamenti bestiali Napoleone, che diede impulso al com- aggettate sull’esterno per controllare quell’interno da fuori, bi- rinesi: da Aimaro Isola a Paolo Pejrone, il general Galateri governatore di Ales- pletamento delle fortificazioni, e quelli sognava farsi esterno, vedersi da fuori, vedere la fortezza come la allo Studio Deferrari, a Giovanni Durbia- sandria». Lo sgherro di re Carlo Alberto, della mobilitazione per le guerre risorgi- vedevano gli assedianti. E comunque i nemici potevano aprire no, a Luca Reinerio, all’Icis srl. prima di procedere con la fucilazione, mentali; i giorni dei francesi, accaserma- una breccia e penetrare nella fortificazione, tutto poteva capo- La Cittadella alessandrina è stata lo fece incatenare per le mani e per i pie- ti tra queste mura prima della battaglia di volgersi da un momento all’altro, dunque tutto ciò che era stato realmente una culla del Risorgimento, di, oltre che con un collare di ferro. La Montebello, e della sottoscrizione della pensato verso l’esterno doveva essere a rovescio, rivoltarlo verso dato che qui, nella notte fra il 9 e 10 mar- terribile cella in cui agonizzò è rimasta Gazzetta del Popolo, che la indisse per l’interno. Una caponiera avanzata serviva soprattutto a colpire zo 1821, innalzando il tricolore e pro- come allora. È in un sottotetto della ca- munire la fortezza di cento cannoni da alle spalle chi fosse arrivato sotto le mura, ogni interno doveva po- clamando la Costituzione di Spagna, serma Beleno. Sulla porta c’è il suo no- puntare contro gli austriaci di Francesco ter essere difeso dall’esterno, la fortificazione doveva guardare e insorse la guarnigione agli ordini di pa- me, accanto una targa che rammenta il Giuseppe. Fantasmi, echi, memorie, colpire gli attaccanti dal proprio punto di vista, ma anche guar- trioti come Ansaldi, Baronis, Bianco di sacrificio dell’avvocato mazziniano. oblio. La nuova battaglia, ingaggiata ora darsi dal punto di vista di chi la assediava, e proteggersi. Saint Jorioz, Palma, mentre a Torino e Dentro, in uno spazio esiguo, nella luce dell’esercito delle ombre dei soldati che In fondo, la fortificazione è l’arte di essere dentro e anche fuo- nel resto del Piemonte agivano Santor- avara che filtra malamente da una fine- vissero e combatterono tra questi ba- ri, di dire noi e anche gli altri. re di Santa Rosa, Asinari di San Marza- strella, sono conservati il tavolaccio di stioni, ha un scopo preciso: impedire no, Moffa di Lisio, i protagonisti della legno, le catene, il collare. che la Cittadella muoia in tempo di pace.

Repubblica Nazionale 40 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 2 MARZO 2008 Un libro, “Così tante vite”, e una prossima mostra online ricostruiscono la vicenda CULTURA culturale del secondo Novecento attraverso le carte lasciate* da Giancarlo Vigorelli , intellettuale e giornalista: i salotti letterari, i giochi dietro le quinte dei premi più prestigiosi, i rancori e le rivalità tra sommi poeti vincitori di Nobel

PROTAGONISTI Nelle cinque foto qui sopra e accanto, da sinistra: Giancarlo Vigorelli con Ignazio Silone; ; Emilio Vedova; Salvatore Quasimodo; André Gide

E Quasimodo insultava Montale

PAOLO MAURI questa, io non ho mai detto che sia stata blema dei «maledetti soldi». Montale suggerita da altri: ma che certe conver- “Eusebio è stato licenziato dal Vieusseux in da- li archivi di Giancarlo Vi- sioni di E. (che ormai non è più fermo a ta 1 dicembre 1938, «nonostante i gorelli riserveranno pro- Betti) escludendomi rivelano il solito nei miei riguardi suoi meriti letterari e lo zelo e compe- babilmente molte sor- traffico, al quale non mi assoggetto. All ri- tenza», si legge nel verbale, poiché prese viste le numerose ght. Tutto è andato bene. Io sono un bi- sprovvisto dell’appartenenza al Pnf. amicizie testimoniate schero ma non è colpa mia se gli altri so- si è dimostrato Gli viene liquidata l’indennità di nell’album fotografico no più bischeri... il peggior lacchè preavviso e quella di licenziamento, CosìG tante vite a cominciare da quella con «Nell’antologia metti anche due o tre ma all’atto pratico si ritrova privo di Gadda foriera di lettere inedite: di volu- ossi, in modo che le occasioni non siano uno stipendio. Come accenna anche me in volume l’epistolario gaddiano co- più di un 60% dell’intera serie pubblica- di un monarca in questa lettera incomincia a tradur- mincia a diventare davvero cospicuo, ta. (Anche per ragioni editoriali) re per sopravvivere. Nel ‘40 esce un so- una sorta di racconto parallelo alle ope- Sai che Ojetti m’aveva proposto (do- decaduto...” lo articolo di Montale ed è la recensio- re. Ci dobbiamo, intanto, contentare dei po essersi comprato il libro) per un pic- ne al Ricordo della Basca di Antonio frammenti finora emersi e diluiti nel cor- colo pourboire dell’Accademia, ma Pa- Delfini. Quanto alle Occasioni, il libro so del tempo: lettere di Montale, di Qua- pini si oppone a spada tratta, persino di poesie cui si fa più di un cenno, è simodo, di Moravia e di Dacia Maraini, con accuse politiche? Quanto alle poe- te e le varie stroncature; ma si rimetterà. uscito alla fine di ottobre del ‘39. della Ginzburg. Lettere al critico, ma an- sie dice che le faceva meglio lui 20 anni «Come vedi, temo di poterti dare poco Il disoccupato Montale, che che lettere all’amico: la società letteraria fa, ma che ora ha mutato idee. Quindi è aiuto. Se vuoi rifiutare l’onorifico incari- per un po’ pensò anche di an- italiana è sempre stata abbastanza ri- probabile che resterò a becco asciutto. co del camerata Granzotto fallo pure. Ti darsene in America, stretta, limitata a pochi circoli, geografi- Tanto meglio, se non fosse per quei devo già fin troppo. aveva scritto in camente legati alle solite città, Milano, quattro maledetti soldi. «Non so come stai fra i varii “gruppi” quei mesi a Bo- Firenze e poi Roma e, finché c’erano, ai «Qui noia, ma non si sta certo peggio e se puoi ancora uscire di casa. Saluta- bi Bazlen di soliti caffè. Nel nostro caso è Vigorelli a che altrove. Il Marques girava con una tua mi quelli che si ricordano benevolmen- aver evitato spostarsi: da lombardo diventa romano lettera pazzo di felicità. È convinto di te di me». due suicidi e da critico giornalista per dirigere Mo- muoversi in una pepiniera di genii che gli La lettera è firmata con un «sempre aff. in due me- mento sera. Tornerà poi a Milano. Ma ve- faranno una piattaforma immortale. Sic- mo Eugenio Montale». si: e così re- niamo ai «frammenti»: il primo, cospi- come l’ho scoperto io, anni fa, tra gli ab- A questo punto servirebbero molte gistrava cuo, è firmato da Montale (Eusebio) che bonati del W.C. (Vieusseux), mi crede il chiose per mettere in chiaro, fin dove l’invio a Einau- gli scrive chiamandolo Eustachio. La let- suo Virgilio. Carlino è un po’ abbacchia- possibile, i numerosi riferimenti a perso- di dell’opera: «Sono 50 poe- tera, da Firenze, è datata 4 marzo 1940 e to, sospeso tra la vita militare incomben- ne ed eventi. Mi limito a far notare il pro- sie di cui 40 brevi e 17 sono qui la trascrivo: inedite. Verrà un 120 pagine. «Caro Eustachio, sono atterrito. Come Versi 1131 di fronte ai 1600 farai? E poi chi legge l’“Assalto”? Ti paga- degli Ossi. Totale versi 2731; no almeno? Finirai per maledirmi. Ma Leopardi ne ha scritto non fare note biografiche. Quelle poche (esclusa la Batracomioma- le vedi nella Treccani “volume supple- chia) 3996». Delle stronca- mento”. Non ho però compiuto studi co- ture e delle altre chiacchiere me crede A. Bocelli al quale io non l’ho del tempo non c’è ormai mai detto. Ne ho fatti, dai Barnabiti, sen- quasi più traccia. za esito. Sapevo qualcosa di latino, nulla *** di greco. Ma queste cose non dirle, ché mi Vent’anni dopo un altro rovineresti. In più puoi dire che ho tra- poeta italiano, Premio No- dotto 3 lavori di Shak.: Winter’s Tale, Ti- bel (1959) molto prima di mon of Athens e Comedy of Errore — e da Montale, e cioè Salvatore Eliot, da Guillén, da Leonie Adams. (Non Quasimodo, scrive a Vigo- sono, tra parentesi, come crede Titta Ro- relli a proposito di una in- sa, un eliotiano: il monthly (allora) crite- tervista venezuelana con- rion ha pubblicato Arsenio nel 1928, “pri- tenente giudizi su Unga- ma” cioè che uscissero le liriche che avrei retti e Montale. «Quello imitato in Arsenio. Confronta e vedi.) Ora che riguarda Ungaretti, è traduco persino dello Steinbeck, per vi- chiaro, non l’avrei detto vere. Delle Occasioni esce a giorni la 2a oggi e di questo puoi ras- ediz. con quattro aggiunte da poco. Ine- sicurare il poeta. Per diti proprio non ne ho. Come fare? Se mi Montale, pur non avendo venisse fatto qualcosa in questi giorni detto nulla in quella oc- non mancherei di avvisarti. Puoi dire, en casione, non mi pentirei passant, che il New York Timesdel 29 gen- di sottoscriverlo anche naio mi ha dedicato un grosso feuilleton, oggi perché Eusebio nei che se t’interessa poso anche mandarti. È miei riguardi si è dimo- di Henry Furst. In Corrente mi ha salvato strato, e continua a di- Traverso, altrimenti si restava alla nota mostrarsi, come il peg- dell’aficionado Elio. Stroncature poche: gior lacchè di un monar- quella di Sigillino e quella di Eurialo. E ca decaduto. Comunque

Repubblica Nazionale DOMENICA 2 MARZO 2008 LA DOMENICA DI REPUBBLICA 41

NERI POZZA Accanto, una lettera dell’editore Neri Pozza a Vigorelli (nel cerchio ENNIO FLAIANO la firma). Nelle foto, Neri Pozza “Caro Vigorelli, grazie con Eugenio Montale, ancora di cuore per il tuo articolo Montale e, sotto, sul mio libro”, comincia così la lettera di Ennio Flaiano riprodotta qui accanto Nel cerchio la firma, sotto una foto di Flaiano

NATALIA GINZBURG A sinistra, una lettera di e, sotto, la scrittrice con e Guido Piovene

EUGENIO MONTALE A sinistra, una lettera autografa di Eugenio Montale (nel cerchio la firma) e, parzialmente coperta, una sua lettera dattiloscritta

L’avventura di vivere tra libri, quadri e film

GIAN PAOLO SERINO

n libro e una mostra on line raccontano le «così tante vite» di Giancarlo Vigorelli, Uprotagonista della vita culturale del se- condo Novecento. Critico instancabile, scopri- tore di talenti destinati alla storia, da Pier Paolo Pasolini al pittore naïf Antonio Ligabue, sce- neggiatore per Roberto Rossellini, consigliere e amico di Luchino Visconti, Sartre, Borges, Ione- sco, Bacon, de Chirico, Pound e Senghor. Intel- lettuale capace tra i primi di intuire l’importan- LETTERE INEDITE za del dialogo tra letteratura, cinema e arte, Vi- I documenti inediti che pubblichiamo in queste pagine per gentile concessione gorelli ha diretto per anni la Settimana Incom e dell’archivio Vigorelli testimoniano la fitta attività della “cucina” letteraria del critico ha fondato nel 1958 la Comunità europea degli novecentesco. Scrittori, poeti, artisti, intellettuali si rivolgevano a lui per i motivi scrittori, poi La nuova rivista europea, batten- più svariati: chiedere un parere su un’opera, sollecitare un appoggio presso dosi per l’idea che l’Europa andasse unita nella un editore o la giuria di un premio letterario, protestare per una stroncatura cultura prima ancora che «nel carbone e l’ac- e così via. Dal basso in alto, a partire dalla macchina da scrivere, le lettere sono di: ciaio». Tra i principali promotori della libera- Dacia Maraini; André Gide (completa di busta); Emilio Vedova con un disegno zione di Solgenitsyin e di Aksionov, ha assegna- dell’artista; Salvatore Quasimodo; Alberto Moravia; un altro manoscritto di André Gide to il Premio Taormina a Anna Achmatova, priva di passaporto e da anni ridotta al silenzio, ha fondato Il Corriere lombardo, è stato presidente della Segisa, società editrice del Giornoe fino al- non sono stato io mai a dirottare dalle attaccato quella sera alla libreria Einau- la morte, il 16 settembre 2005, presidente del buone qualità umane che ogni uomo di di mi hanno offesa proprio perché i miei Centro nazionale di studi manzoniani. cultura dovrebbe avere “dentro”. E se Eu- libri sono la più diretta espressione del- Davvero Così tante vite, come testimonia an- sebio, invece di fare gli scongiuri insieme la mia persona. Ed io non mi presento al che il volume da pochi giorni in libreria e curato col suo diletto fossile salottiero appena pubblico per essere ammirata per la mia dalla moglie Carla Tolomeo: oltre trecento foto- sente il mio nome, si mettesse una mano faccia o per la mia giovane età, ma lavo- grafie inedite che raccontano un altro Nove- al posto del cuore (almeno sulla giacca) le ro seriamente per dire alcune cose che cento. I salotti letterari, i giochi dietro le quinte cose andrebbero meglio. Io vivo a Milano mi stanno a cuore...». dei premi più prestigiosi e i molti segreti mai rac- e la città di Milano (parlo della ruota dei A sostegno della Maraini era interve- contati dei tanti amici artisti. Immagini tratte chierici) non mi sarebbe stata per lungo nuto anche Moravia con una successiva dall’Archivio Vigorelli, ora acquisito dalla Bi- tempo nemica in virtù della presenza del lettera a Vigorelli: «Caro Vigorelli, come blioteca Sormani di Milano, che testimoniano nostro poeta». Dunque se Montale allu- già ti dissi il giorno del nostro incontro la vivacità di un intellettuale che ha sempre in- deva ai benevoli nei suoi confronti, Qua- per strada, non ho niente in contrario, seguito l’idea di un’Europa unita ante litterame simodo reclama meno ostilità: Vigorelli, per quanto riguarda la mia persona, a di- che fino all’ultimo è stato incredulo di aver vis- ma non solo lui, avrebbe potuto testimo- menticare quanto è accaduto dentro e suto, come scrive nella prefa- niare della complessa vita (e psiche) dei fuori la libreria Einaudi. Tuttavia vorrei zione del libro, «una vita avventurosa, che lo letterati, spesso alle prese con invidie, dire alcune cose circa la tua lettera a Da- portava a battersi per scrittori e culture perse- maldicenze e colpi bassi. cia Maraini. Secondo me avresti dovuto guitate». E proprio dal libro, pubblicato dalla ca- *** riflettere un poco prima di riconferma- sa editrice Mattioli 1885 (336 pagine, 33 euro), Di un colpo basso si lamenta Dacia re con tanta sicurezza e decisione il tuo prende vita una mostra su internet: sarà inau- Maraini in una lettera del ‘62 a Vigorelli, giudizio negativo sull’opera della Ma- gurata venerdì 7 marzo alle 11 su www. wuz. it, piena di amarezza. Era accaduto che Vi- raini». Moravia aveva scritto una prefa- il portale culturale di Ibs. Un vero e proprio ver- gorelli se la prendesse con L’età del ma- zione e presentato l’opera al premio nissage virtuale durante il quale verranno espo- lessere, opera della giovanissima Marai- Formentor. Grande bagarre. I premi so- ste una trentina delle foto pubblicate, la prefa- ni candidata al Premio Formentor (che no un’altra occasione di scontro, non zione integrale di Magris, uno scritto inedito di poi vinse). Vigorelli aveva attaccato la sempre effimero, tra i letterati. Per que- Vigorelli sull’amato Manzoni e una sezione, Ca- scrittrice, presentata da Moravia, alla li- sto mi piace citare una lettera a Vigorel- ro Giancarlo, con molte delle lettere inedite che breria Einaudi di Roma. Poi aveva scrit- li di Natalia Ginzburg che, a proposito qui in parte anticipiamo. Da Gide a Moravia, to alla Maraini ed ecco che lei gli rispon- della candidatura al Campiello del suo dalla Morante a Quasimodo, da una poesia ine- deva: «Caro Vigorelli, La ringrazio per la libro Caro Michele, avverte il giurato Vi- dita di a uno scritto di Eugenio sua lettera. Soltanto non riesco a capire gorelli: «Non desidero concorrere al Montale. Autografi che testimoniano, citando come lei possa scindere così facilmente Premio, anche perché, essendovi fra Magris, un tempo in cui la letteratura non era la persona dello scrittore dalla sua ope- quei libri scelti alcuni libri che trovo ancora assenza ma autentica vita d’avanguar- ra. Lei non può dire che non ha nulla molto belli, e nomi di amici che mi sono dia e non, come spesso accade oggi, da ritirata. contro di me se tratta con tanto disprez- molto cari, non desidero entrare in zo ciò che scrivo e i termini in cui mi si è competizione».

Repubblica Nazionale 42 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 2 MARZO 2008 la lettura “Identità rubate” è un romanzo di T.C. Boyle che racconta Impostori come si possono trafugare i dati di un altro, entrare nella sua vita e devastarla. Lo spunto, per un giovane scrittore italiano, per riflettere su un fenomeno che colpisce dieci milioni di americani ogni anno e che mette a rischio ogni giorno un cittadino europeo su quattro

TOMMASO PINCIO giare video con l’intenzione di non resti- siete persa d’animo e conducete un’esi- spettato uno stop. «Metta le mani dove per lui così da poter carpire al padre Isac- tuirli oppure molestare telefonicamente stenza normale. Insegnate inglese in possa vederle»: è questo che vedete nel co la sua benedizione. Lo fece presen- o pagato i miei una ragazza. Quindi si passa al livello una scuola per non udenti e avete un fi- movimento delle labbra. Complimenti, tandosi al cospetto del genitore con il debiti, ho persi- successivo, il più ricorrente: accumulare danzato che lavora nel cinema, ritocca siete appena diventati un pericoloso cri- corpo coperto di pelli di capra perché no lasciato una debiti e svuotare conti correnti. Infine, se gli effetti speciali al computer. Una mat- minale. La lista di accuse a vostro carico suo fratello era molto peloso. «Sono mancia» dice di siete davvero sfortunati, si può arrivare a tina uscite di casa un po’ trafelata perché è lunga: assegni scoperti, droga, rapina a Esaù, il tuo primogenito. Dammi la tua sé Christopher reati di prima grandezza quali traffico di siete in ritardo sulla tabella di marcia. È mano armata e una sfilza di altri reati benedizione» gli disse. Isacco, la cui vista Rocancourt. Se stupefacenti e terrorismo. un vostro difetto, quello di essere sem- commessi un po’ qui un po’ là, in posti di era ormai indebolita, lo invitò ad avvici- lo«H ha davvero fatto lo sa soltanto lui. Di si- La possibilità di vedersi sottratti pezzi pre ritardo. Così vi mettete a correre un cui fino a ieri ignoravate perfino l’esi- narsi perché lo voleva tastare. Sentendo curo, però, non lo ha fatto di tasca sua. della nostra persona è meno remota di po’ più del dovuto e nella foga vi capita di stenza. tutto quel pelo si convinse e diede la sua Oggi Rocancourt ha una quarantina quel che si potrebbe credere. «In Ameri- bruciare uno stop sotto il naso della po- L’incubo in cui precipita Alex Halter e benedizione, seppur con qualche dub- d’anni ed è uno fra i più grandi imposto- ca viene rubata un’identità ogni sei se- lizia. Vi viene intimato di accostare. Vi che potrebbe riguardare ciascuno di noi bio: «La voce è quella di Giacobbe, ma le ri in circolazione. Nel corso della sua po- condi» si diceva in un film di qualche vengono chiesti patente e libretto. L’a- è il tema di un romanzo dell’americano mani sono di Esaù». Questa storia bibli- co onorata ma fantasiosa carriera si è tempo fa ispirato a una storia vera. Pro- gente si allontana per i controlli di rito. T. Coraghessan Boyle: Identità rubate, ca è una metafora perfetta del mondo in spacciato per membro della famiglia babilmente è un’esagerazione. I numeri Voi restate in attesa. Sbuffate e pensate per l’appunto. Abbiamo dunque scher- cui viviamo oggi. I sistemi di verifica e Rockefeller, produttore cinematografi- ufficiali non sono però più confortanti. I che la giornata è cominciata male. Non zato? Niente affatto. Benché si tratti di controllo sono spesso ciechi come Isac- co, finanziere, figlio di Sophia Loren e ni- rapporti governativi parlano di dieci mi- immaginate quanto avete ragione. Do- finzione narrativa, il libro di Boyle è «co- co. Non potendo vedere, si affidano alle pote di Dino De Laurentis. Le sue effetti- lioni di vittime ogni anno. Dalle nostre po qualche minuto l’agente torna e vi sì attuale e ben informato che l’Fbi po- pelli di capra dell’era informatica: strin- ve origini sono assai più modeste, seb- parti il fenomeno non è ancora altret- punta la pistola contro. Sembra piutto- trebbe perquisirgli casa in cerca di carte ghe di dati. Non di rado la cecità non è un bene dal sapore vagamente romanze- tanto diffuso ma è comunque preoccu- sto agitato. Urla qualcosa. Voi non pote- di credito clonate» ha scritto il Washing- inconveniente della tecnologia, bensì sco. Sua madre era una prostituta a tem- pante. In base a una recente ricerca ef- te udirlo ma vedete le sue labbra. Ciò che ton Post. La sua storia immaginaria ha della cultura del credito istantaneo. po perso e suo padre adottivo un alcoliz- fettuata da una nota azienda specializ- vi leggete non è il genere di cosa che ci si inoltre molti aspetti in comune con un Compra oggi, paga quando sarà: è l’affa- zato che lo ha pescato in un orfanotrofio zata nella sicurezza informatica, un per- aspetta di sentirsi dire per non avere ri- caso presentato quattro anni fa nella tra- re del secolo e chi lo gestisce è talvolta di- Quelli che ci rubano il nome all’età di cinque anni. Ma vai a sapere se sona su quattro in Europa rischia di su- smissione Mi manda Rai Tre, quello di sposto a chiudere un occhio pur di acca- è realmente così. Questa storia l’ha rac- bire un furto d’identità perché usa pas- un giovane napoletano affetto da una parrarsi un nuovo debitore. contata lui stesso in un’intervista rila- sword troppo semplici per accedere ai grave malattia invalidante la cui identità Quanto ai Giacobbe di oggi, hanno sciata un paio di anni fa, e tutto quello propri account online. E internet costi- IL LIBRO è stata rubata per aprire due conti cor- mille modi per procurarsi le loro pelli di che dice Rocancourt va preso con le mol- tuisce soltanto una faccia del problema, Identità rubate è il nuovo renti ed emettere assegni a vuoto. È opi- capra. Internet, lo si è detto, è soltanto le. Si stima che l’ammontare delle sue in quanto la sottrazione dei dati perso- romanzo di T.Coraghessan nione diffusa che la proliferazione di si- uno di questi e nemmeno il più consi- truffe superi i quaranta milioni di dolla- nali avviene perlopiù nel mondo reale. A Boyle in libreria mili truffe sia dovuta a internet. In effetti stente: soltanto l’uno per cento dei furti ri. Il New York Times ha tracciato il suo peggiorare le cose c’è poi il fatto che la il 4 marzo una delle tecniche preferite dai crimina- avviene attraverso il famigerato phi- profilo con un’iperbole: «Le donne si scoperta del furto non è mai immediata. (Einaudi, 300 li è il cosiddetto phishing, lo “spillaggio” shing. I ladri d’identità possono sapere gettavano ai suoi piedi, gli uomini gli get- Non è come quando ti rubano l’auto. Il pagine, 17 euro) di dati sensibili attraverso l’invio di falsi quello di cui hanno bisogno rubando tavano contante». ladro può servirsi della vostra identità È la storia messaggi di posta elettronica che simu- portafogli o la corrispondenza dalle cas- Di talenti come Rocancourt non ne per mesi o addirittura per anni prima che di una donna lano la comunicazione di una banca o sette della posta o addirittura rovistando esistono molti, ciò nonostante la truffal- ve ne accorgiate, e quando ciò avviene è alla quale viene magari di un ente pubblico. Il fine è quel- alla maniera dei barboni tra i rifiuti. Op- dina arte dell’impostura è un’attività in sempre perché, da un giorno all’altro e clonata l’identità lo di convincere il malcapitato a rispon- pure rivolgendosi a chi le informazioni le continua espansione. Tecnicamente si senza motivo apparente, vi ritrovate nei Dopo essersi dere fornendo informazioni personali. ha già. Un tabloid britannico ha fatto una chiama furto d’identità. In parole povere guai. trovata carica Questa è però soltanto una delle insidie prova assoldando un esperto di sistemi significa che qualcuno ha pensato bene Ecco uno dei tanti modi in cui può an- di debiti possibili. Spesso il furto viene messo in di sicurezza. Costui ha preso contatto di appropriarsi dei vostri dati personali. dare: vi chiamate Alex Halter, siete una per spese non fatte atto con sistemi ben più artigianali e che con l’operatore di un call center il quale Nome, indirizzo, data di nascita, codice giovane donna di trentatré anni che non e denunciata per violazioni non lasciano tracce. gli avrebbe offerto dati riservati, inclusi fiscale, numero di cellulare e forse anche ha mai avuto a che fare con la giustizia. mai commesse, Del resto, stiamo parlando di un im- codici di carte di credito, al modico prez- della carta di credito. Se ne è appropriato Da bambina, una meningite spinale vi decide di mettersi broglio vecchio quanto il genere umano. zo di quattro sterline e venticinque per per essere voi. Gli scopi possono essere ha danneggiato i nervi uditivi e siete ri- sulle tracce del truffatore Nel libro della Genesi si legge che Gia- ogni informazione. Ma c’è dell’altro. molteplici, per non dire infiniti. Si parte masta sorda. La natura vi ha però fornito cobbe, approfittando della momenta- Una bella fetta dei furti d’identità avvie- da abusi quasi innocenti, come noleg- di un carattere indomito, per cui non vi nea assenza del fratello Esaù, si spacciò ne alla maniera di Giacobbe, vale a dire

Repubblica Nazionale DOMENICA 2 MARZO 2008 LA DOMENICA DI REPUBBLICA 43 ILLUSTRAZIONE DI

in casa. Un rapporto della Federal Trade DAVID HAMPTON CARLOS LOMAX JEAN-CLAUDE ROMAND FRÉDÉRIC BOURDIN ALAN CONWAY riconoscerlo in quanto tale è impresa Commission rivela che ben il sedici per Immortalato da John Condannato di recente Sterminò la famiglia Denunciato nel 2005 Ha girato l’Europa non da poco. Nella nostra società la so- cento delle vittime conosce il ladro. A Guare in Sei gradi a 37 mesi di reclusione quando non poté più per aver frequentato e gli States nei panni luzione più pratica di cui disponiamo so- quanto pare, bisognerebbe guardarsi da di separazione, dopo essere stato impersonare la falsa a 31 anni un liceo di Stanley Kubrick no piccoli pezzi di carta o plastica con amici, vicini, domestici e, nel sei per cen- negli anni Ottanta riconosciuto colpevole identità che si era francese spacciandosi offrendo pranzi una fotografia, un nome, una data di na- to casi, persino da parenti e membri del derubò alcuni milionari dell’apertura di 14 costruito. La sua per un orfano nei più costosi scita e pochissimo altro. Sappiamo bene nucleo familiare. newyorkesi linee di credito usando tragica vicenda quindicenne. ristoranti. Nel 2006 però che questi documenti sono un’e- La buona notizia è che al momento più convincendoli che era l’identità dell’attore è narrata in un romanzo La preside: «Sembrava la storia è diventata spressione assai riduttiva e falsificabile della metà delle vittime riesce a cavarse- figlio di Sidney Poitier Will Smith di Emmanuel Carrère un po’ più grande» un film, Color Me Kubrick della persona. Il codice genetico potreb- la senza sborsare una lira sbrigando le be essere un’alternativa infallibile e noie burocratiche derivate dal furto in nemmeno troppo fantascientifica, ma un tempo medio di quattro ore. Basta siamo disposti ad accettarla? Il controllo dunque augurarsi di non finire in quello è una sicurezza a doppio taglio. In Fran- sventurato cinque per cento che ci ri- cia, la carta d’identità fu introdotta nel mette almeno cinquemila dollari e pas- 1940 e l’uso immediato che ne fece il go- sa più di centotrenta ore tra banche, stu- verno di Vichy fu di facilitare l’individua- di legali e commissariati. Per quanto: i zione di settantaseimila ebrei da depor- danni di un furto d’identità non si pesa- tare nei campi di concentramento. no soltanto in termini economici. Ci so- Senza contare che quel che la scienza no persone che hanno perso il posto di prova è solo la nostra identità biologica. lavoro o si sono viste negare un prestito Il cuore dell’identità umana è però un al- o sono state molestate in vario modo e tro: il posto che ciascuno di noi occupa per lungo tempo da un’agenzia di recu- nella società. Qui il discorso si fa più Solo l’un per cento Il codice genetico dei furti avviene può essere su Internet mediante l’alternativa il famigerato phishing Ma è accettabile? pero crediti. Un uomo ha pure rischiato complesso perché l’identità sociale di essere lasciato dalla moglie perché il comprende tantissime cose, va dalla fe- suo ladro d’identità ha avuto un inci- dina penale al pettegolezzo. È proprio dente automobilistico mentre se ne an- questo sterminato territorio dagli incer- dava in giro con una graziosa fanciulla. ti confini che gli impostori inquinano ru- Essere impersonati da qualcun altro ha bandoci l’identità. Ciò che costoro ci sot- conseguenze imprevedibili e rappre- traggono è quel che gli altri pensano di senta inoltre un grosso shock emotivo. noi, il nostro buon nome, forse la cosa Michelle Brown, una ragazza il cui ca- più preziosa che abbiamo, giacché, non so è stato tra i più pubblicizzati negli Sta- dimentichiamolo, siamo pur sempre ti Uniti, ha definito l’esperienza come il animali sociali. La paura di perdere la re- «capitolo più terrificante della mia vita». putazione è talmente radicata che tal- La si può capire. Ognuno di noi tende a volta arriviamo addirittura al punto di considerare la propria identità come un temere che il ladro siamo noi. Gli psico- patrimonio scontato, naturale. Eppure logi la chiamano sindrome dell’impo- basta che qualcuno si appropri di fram- store: è la paura di aver imbrogliato il menti della nostra esistenza per ritrovar- prossimo inducendolo a sopravvalutar- ci nella sconvolgente situazione di dover ci, a stimarci più bravi, competenti e provare chi siamo. E può non essere fa- onesti di quel che in effetti siamo. Una cile. Come definire l’identità? Per il sen- sindrome connessa a un malessere tipi- tire comune è l’insieme di cose che ci co del nostro tempo: l’ansia da presta- rende persone, vale a dire esseri unici e zione. Poi ci sono quelli che impostori di distinti dagli altri. Ma anche un fiocco di se stessi lo sono veramente, ma questa è neve è unico e distinto, ciò nonostante un’altra storia. O forse no.

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Il più celebre cartoonist italiano si racconta Mezzo secolo di carriera, centinaia SPETTACOLI di film, una nomination all’Oscar “La mia fortuna sono stati i Caroselli: mi hanno dato da vivere e mi hanno permesso di fare i corti, dove non guadagno nulla ma posso esprimermi in totale libertà”. E per festeggiare regala a “Repubblica” uno dei suoi mini-racconti inediti: da leggere come un piccolo cartoon

ANNA BANDETTINI i voleva la mano di un inventore genia- le per trasformare un omino di cartone, ti- mido e ordinario, animoso eC bonaccione, uno che arditamente, ma so- lo talvolta, osa mostrare una nascosta faccia di bronzo, in un piccolo, splendido eroe che fa ri- dere e fa venire il magone. Il signor Rossi, che in doppiopetto e senza sorriso si ficca sempre nei guai, come uno di noi, uno dei tanti che sempre “Allegro non troppo si rialza, era tragicomico allora e tragicomico adesso, dopo mezzo secolo di avventure anima- te. «Mi è sempre piaciuto raccontare l’uomo ri- dendoci su. Deve essere per via di mio padre, gran spirito critico. Se guardi il mondo con oc- Ho settant’anni” chio critico, lo vedi più in profondità e dunque puoi anche scherzarci. Ecco da dove sono nati i miei film», dice Bruno Bozzetto, settant’anni do- mani, ancora ironici, entusiasti, appassionati. «Ma di festeggiarli non se ne parla. Starò con Tommaso, il mio piccolo nipote, che tanto mi di- verte». Dopo centinaia di film e una cinquantennale, lusinghiera carriera, il più amato cartoonist ita- liano, un culto del cinema animato per inven- zione grafica, ironia, impegno morale, il più ce- lebre all’estero, il solo che sia riuscito a raggiun- gere una nomination all’Oscar (col magistrale Cavallette del 1990), continua a godersela im- merso nelle sue passioni. «Non so star fermo — racconta Bozzetto — Sono una locomotiva. Nei rari momenti in cui non lavoro, disegno ma so- prattutto scrivo. Raccontini, nulla di più, che poi rimetto prontamente nel cassetto. Meglio che faccia cinema». Pochi grandi hanno fatto tanto come lui, anche partendo da gio- vani. Un Oscar per il signor Ros- si, il primo vero cortome- traggio — dopo l’espe- rimento di Ta- pum! La storia delle armi del ’58 —, il primo con l’omino qualunque che sa- rebbe poi diventato una celebrità, è del ‘60. «A Bergamo c’era un festival del film d’arte diretto da un certo Nino Zucchelli, dove ero di casa. Al festival ci si divertiva, era pieno di artisti ju- goslavi che mi svuotavano la cantina. A un certo punto decisi di mandare un mio film in concorso, che però non fu accettato. Me la presi anche perché sinceramente al festival vedevo cose più brutte delle mie. Fu lì che mi venne la storia dell’o- mino appassionato che sta su la notte per montare il film della sua vita… La storia è la mia caricatura, ma il signor Rossi è quel Zucchelli che mi rifiutò Bruno il film». Quello sguardo sarcastico è ri- masto come un marchio di fabbri- ca: dalla parodia western di West Bozzetto

and soda del ’65 all’imitazione ironica dei zuc- cherosi cartoon Disney di Allegro non troppodel vidi non la mollai più scoprendo che il ci- ’77 (qualche anno fa entrambi restaurati dalla Ci- nema era bellissimo come mezzo per neteca Italiana di Milano), agli indimenticabili raccontare storie. Bello ma impegnati- dovunque, per terra, in corridoio. Poi, una lungometraggi con l’altro popolarissimo perso- vo. Perché voleva dire ogni volta chia- volta sposato, andai ad abitare a Bergamo naggio Vip mio fratello superuomo del ‘68, fino mare gli amici, mettere le luci... Allora co- e lo studio si trasferì in via Melchiorre agli sberleffi delle serie tv (Spaghetti family, I Co- minciai a fare pasticci nel block notes e a ri- Gioia». Di lì sono passati devoti allievi co- si). Ma soprattutto quello sguardo ha marchiato prenderli. Deve essere nato così Donald Duck verso da Disney e Tom e Jerry, voglio dire. Io vo- me Manuli, Nichetti, Alvise Avati, il figlio gli innumerevoli cortometraggi, dirompente Cartoon, primissima prova animata». Aveva levo fare discorsi sulla società. Oggi posso dire di Pupi. Luogo mitico per i cinefili, lo studio sintesi di una commedia umana: undici minuti quindici anni, mai avrebbe pensato che quello che la pubblicità è stata una fortuna, perché dan- ha chiuso nel 2000 sostituito da una strana di sarcasmo sulla guerra, la fame e la tv con I sot- era il suo futuro. «Con coerenza mi ero iscritto domi da vivere mi permise di fare i tanti corto- “factory famigliare”: Bruno, il figlio Andrea e taceti(‘71), due minuti di disastri planetari con la prima a biologia, poi a geologia e infine a legge. I metraggi che non facevano guadagnare nulla Pietro Pinetti lavorano insieme a Bergamo, dove Storia del mondo per chi ha fretta (2001), sei mi- cartoon li facevo per passione, finché dopo qual- ma dove mi esprimevo in totale libertà e creati- adesso abitano; Fabio, l’altro figlio, ha aperto a nuti per lo sghignazzante ritratto degli italiani in che pubblicità mi chiamarono a Carosello. Allo- vità. Sono stati anni formidabili». Milano una sua società di animazione; di com- Europa di Europa & Italia, primo film in 2D ra i maestri che mi avevano stimolato erano Pa- Erano gli anni Sessanta in una Milano, dove è puter si interessa anche una delle due gemelle (2000), trafugatissimo sul web... e così via. got dei Fratelli dinamite, Richard Williams della nato, che aveva la voglia di vivere della sua gio- che con moglie, cane, canarino compongono la «La mia vera passione è il cinema, non il cine- Pantera Rosa, gli autori della Zagreb Fil di Zaga- ventù. «Il primo studio fu il salotto di casa, in San «banda di matti» autoritratta nella serie la Fami- ma d’animazione. Fin da quando era ragazzino. bria. Poi soprattutto Norman Mc Laren che mi ha Babila. Quando cominciai con i Caroselli c’era- glia Spaghetti. Mio padre aveva comprato una Bauer, come la dato il coraggio di fare qualcosa di diverso, di di- no centinaia di disegni da far asciugare, erano «Le idee più belle le ho avute in coda in auto-

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LE IMMAGINI Tutte le immagini delle pagine sono opera di Bruno Bozzetto Quella grande al centro è una scena da West and Soda (1965) Dall’alto a sinistra: i personaggi di Vip mio fratello superuomo e de Il Signor Rossi; una scena da Vip mio fratello superuomo (1968); una da Cavallette (1990); la scena di folla è stata realizzata per Superquark. La vignetta qui accanto sul tema del compleanno è stata disegnata apposta per la Repubblica in occasione dei settant’anni di Bozzetto Sotto, una scena da Il Signor Rossi

La strega e il piccoletto

BRUNO BOZZETTO orse era lui. Non lo so con sicurezza, e d’altronde è più che normale sbagliarsi dopo tanti anni. E se non era lui gli assomigliava moltissimo. Piccoletto, con gli occhi molto vicini tra loro e le orecchie a sven- Ftola. Non era una bellezza, lo so, ma in questi casi non é il lato esteriore che conta. La prima volta che lo vidi stava attraversando una strada del centro. Un tram gli stava volando addosso e riuscii ad evitare la tragedia facendo lievitare il piccoletto da terra e deponendolo due metri più avanti… Lui non capì, e, tranne un bambino che mi lanciò una strana occhiata, nessuno notò il fatto. Ma il bambino pen- sò di aver sognato, e tutto finì lì. Poi ci fu il ristorante. Avevo appena varcata la soglia, quando ti vedo il piccoletto già seduto al suo tavolo, proprio sotto al lampadario centrale. Mi bastò un’occhiata per “sentire” che pochi secondi dopo quell’am- masso di cristalli gli sarebbe precipitato sulla testa, sfracellandogliela. Il piccoletto dalle orecchie a svento- la non si poteva certo definire un tipo fortunato… Comunque mi affretto a passargli accanto e scivolo a terra, fingendo un malore. Lui si alza per soccorrer- mi, e il lampadario piomba giù come una freccia, polverizzando la sua sedia e schizzando miliardi di cristalli nei piatti di tutti i commensali. Tanta paura, ringraziamenti alla sorte, brindisi e pace amen. E poi questa sera, davanti al teatro. Eccotelo ancor lì, con tanto di smoking e papillon, in compagnia di una grassa occhialuta. Due vetture si urtano, poco distante, e la più gagliarda sbanda veloce verso la donna e il piccoletto. Riesco a far deviare l’auto di quel poco necessario per salvargli la pelle anche stavolta. La gras- sa occhialuta invece si fratturò tre costole. Si sa che stando alle “regole” non dovrei far di queste cose sotto gli occhi della gente, ma il piccoletto era fatto spaccato quel tipo che avevo incontrato in una delle mie precedenti vite. Credo nel 1320 o 21, non ri- cordo la data con esattezza. Ricordo solo che stava iniziando l’inverno. Ero una poveraccia allora, senza una gamba e sicuramente meno attraente di adesso. Un balordo di cavallo mi aveva urtato mentre tornavo dal mercato, e caddi nel fango. In quel secolo avevo una brutta reputazione perché ero stata vista più volte raccogliere erbe di gatto che poi usavo bollire nelle notti di plenilunio. Dicerie senza alcun fondamento, ma a quei tempi tra una faccen- da del genere e l’affibbiarti l’epiteto di “strega” non ci correva molto. E si sa che con un appellativo del gene- re davanti al tuo nome di battesimo le probabilità di morire di morte naturale diminuivano del 97 per cento. Comunque ero lì in mezzo al fango, incapace di rialzarmi, e tutti mi evitavano, sghignazzando e prefe- rendo ignorarmi che mostrare amicizia verso una donna «fortemente sospetta di pratiche occulte». Tran- ne quel piccoletto con le orecchie a sventola. Lui ignorò quelle stolte dicerie, non si preoccupò del pericolo e mi aiutò a rimettermi in carreggiata. Ed era anche un nobiluomo, con tanto di spada, stivali di vero cuoio e mantello di seta rossa. Mi aiutò por- gendomi la mano, proprio come si fa con una vera signora. Fu un gesto molto carino, e dopo avermi fatta rialzare e raccolto le cose che mi erano cadute, mi regalò anche un bella moneta d’argento. Sembra incredibile. Erano trascorsi quasi settecento anni ma quel piccoletto me lo ricordavo come fos- se oggi…

LA FOTO Qui a destra, Bruno Bozzetto in una foto di Federico Buscarino A sinistra, un disegno tratto dal film Allegro non troppo

strada durante i tragitti Milano-Bergamo. Ave- vo, anzi ho ancora, un registratore. Quando mi viene una frase indovinata, un pensiero, regi- stro. Per anni, per esempio, vedevo di fianco al- l’autostrada una montagna di rifiuti che cresce- va e che poi un giorno fu coperta di terra. E se un domani un contadino va a zappare lì sopra, cosa ci trova sotto? Mi chiesi un giorno». Venne fuori Big Bang, un corto dove la terra diventa un enor- me cassonetto in procinto di scoppiare, che og- gi sarebbe perfetto… «Le idee non sono un pro- blema, il difficile è svilupparle perché il cartoon richiede tempo e professionalità». E tecnica, che Bozzetto ha sperimentato avidamente. «Per laz- zaronismo, mi creda. Il cartone è un lavoro lun- go, arcaico. Il digitale rende tutto più veloce. Per questo sono un fan della Pixar e di John Lassiter, vera pietra miliare dell’animazione 3D. Prima di lui c’erano delle sagome meccaniche senza ani- ma, dopo di lui sono diventati umani. Prenda Nemo, con Bambi è il più bel cartone mai fatto. Anche internet è un mezzo stupendo, fai un film e dilaga come una epidemia, te lo vedono in tre- quattro milioni. Il problema è che non ci guada- gni niente. Da anni mi sto spaccando la testa per trovare un modo per farlo fruttare, per i giovani sarebbe l’ideale. Ma ora ho altri progetti». Il primo progetto è un film pilota per Disney Channel che potrebbe diventare una serie di ventisei episodi. «Sempre la Disney mi ha chie- sto un altro film pilota sulla falsariga dei miei cor- ti su internet, stilisticamente semplici. Ci sono poi i cartoon sulle pensioni per Superquark. E nel cassetto una sce- neggiatura di un lungometraggio, un Minivip e Supervip nella fanta- scienza, ma trovare una produ- zione oggi è dura. Quello che mi dà ai nervi è che in Italia fai il car- toon e tutti pensano ai bambini. Per adulti non è concepito e pro- durne diventa sempre più dif- ficile. Così io che sono un ve- locista ho dovuto rallentare. Avrei potuto fare trenta lavo- ri, ne faccio dieci. Pazienza, un po’ di tempo per il windsurf lasciamoce- lo».

Repubblica Nazionale 46 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 2 MARZO 2008 i sapori itinerari Tavola italiana Accademico della cucina, Andrea Grignaffini è uno dei più appassionati e colti esperti di parmigiano reggiano Insegna Metodologia di degustazione all’Università di scienze gastronomiche di Parma

Pasta in bianco Nuvola Tortellini Aria Consistenze Con gli ingredienti Tra gli sfizi d’apertura Moreno Cedroni rivisita Dopo il mitico gelato Il modenese Massimo di un piatto basic, il torinese del suo affascinante menù, gli storici anolini parmigiani, di parmigiano, Ferran Adrià Bottura trasforma cinque Alfredo Russo elabora Massimiliano Alajmo offrendoli con una piccola ha inventato altre ricette stagionature (dai 18 ai 40 una squisita millefoglie propone un trittico battuta di manzo al coltello dedicate, estreme mesi) in un demi-soufflé di pasta all’uovo da acquolina in bocca e salsa di pomodoro e deliziose, come la finissima caldo. In alto, una spuma Il parmigiano reggiano viene In alto di un bignè ripieno Al posto del ripieno polvere ghiacciata servita fredda, una crema tiepida, utilizzato come farcitura di pomodoro e una cialda tradizionale (parmigiano nella tradizionale vaschetta una galletta croccante, (crema cotta), spuma aerea croccante ai cereali, reggiano e pane grattugiato), di polistirolo, accompagnata un brodo fatto con le croste che avvolge la lasagna troneggia una nuvola un cucchiaino da un muesli di chips e un “40 mesi” grattugiato, e in piccole chips croccanti di parmigiano reggiano di golosa fonduta di frutta disidratata montato ad aria

Mentre l’Europa boccia “Parmesan” e cloni, nel fazzoletto di terra dove è nato si preparano Parmigianoa festeggiarlo. E a difenderne la genuinità Reggiano

LICIA GRANELLO na scheggia tira l’altra. Un assalto irresistibile alla “punta” che troneggia sul tagliere: uno sguardo voglioso, il coltellino sagomato (mandorlina) che inci- de e separa con rustica gentilezza, rispettando la fine granulosità della polpa, Vacche rosse una sorta di ruvidezza setosa assaporata tra le dita, un attimo prima della boc- Salvate dall’estinzione dopo anni ca. Morbido, sapido, croccante, deliziosamente odoroso, ricco di calcio e fo- di strapotere delle iperproduttive sforo, meno calorico di tanti suoi compagni di caseificazione, il parmigiano Ureggiano è forse il più virtuoso dei formaggi in circolazione. Tutto, dalla lavorazione con so- frisone, le rosse reggiane lo latte crudo di mucche alimentate senza insilati, alla limitata area di produzione — uno producono latte altamente proteico, sghembo quadrato di terra tra le province di Parma, Modena, Reggio Emilia, Bologna (ma solo a sinistra del Reno) e Mantova (ma solo a destra del Po) —, profuma di buono. che garantisce longevità e gusto Raccontano che intorno all’anno mille, i monaci benedettini misero a punto un metodo Mangimi ogm free, almeno per trasformare il latte prodotto dai bovini con cui bonificavano le paludi della pianura pa- 90 per cento di foraggio locale, dana in “formaggione”, capace di conservarsi nel tempo. Da allora a oggi, l’invenzione sal- va-latte si è trasformata in seimila aziende agricole, cinquecento caseifici, quasi trentamila stagionatura minima di 24 mesi mucche e un fatturato al consumo che supera il miliardo e mezzo di euro. La preparazione, in compenso, è rimasta uguale e affascinante. Il latte, addizionato di ca- glio naturale e siero, viene scaldato fino a poco più di cinquanta gradi in caldaie di rame. È l’uo- mo, e solo lui, con la sua mano callosa e arrossa- L’italiano ta, a palpare il liquido bollente, decidendo il mo- mento in cui rompere la cagliata (ovvero il latte Extra coagulato) in granuli. La massa biancastra, estratta con l’aiuto di pertiche di legno, avvolta in È la dicitura premio tela di lino, e fatta scolare, viene divisa in due fa- per la stagionatura di 18 mesi scere, battezzate con placche di caseina (il gras- e l’esame di “espertizzazione” più imitato so del latte) che le identificano. Dopo tre setti- mane di riposo “attivo” in salamoia (vanno rigi- da parte dei “maestri” del Consorzio rate spesso per uniformare la penetrazione del La “prima stagionatura”, invece, sale), comincia l’anno di stagionatura, alla fine del quale il marchio a fuoco promuove le forme segnala le forme difettate nel mondo senza difetti, pronte per la seconda fase di affina- nella struttura o nella crosta, ma senza mento. alterazioni delle caratteristiche Copiare tanta bontà non è facile, ma ci prova- no in molti, soprattutto fuori confine. In settimana, la Corte di giustizia europea ha boccia- to la commercializzazione del Parmesan per la felicità di governo e consorzio di tutela, pur evitando di sanzionare la Germania produttrice. Il guaio è che non sempre il parmigiano reggiano mandato sugli scaffali è all’altezza delle aspettative. E come spesso succede, quando l’eccellenza non è perfettamente riconoscibi- le, la tentazione di comprare un clone a prezzo minore è grande. Negli anni, il conferimento del latte si è trasformato da garanzia a limite, perché non tutti gli allevatori puntano al me- glio. Così, mentre in Francia è invalsa la tendenza a rendere più severi i disciplinari di pro- Biologico duzione, da noi si abbassano i tempi di stagionatura, non si incrementa la qualità dei forag- gi, si evitano parole chiare su un tema delicato come la presenza di ogm nell’alimentazione Il disciplinare di agricoltura bio viene animale. Un livellamento in basso che ha ridotto le distanze dal grana padano, l’acerrimo ri- adottato lungo l’intera filiera, dal campo vale realizzato secondo norme meno stringenti (sono consentiti insilati e antifermentativi). Per fortuna, esistono gli artigiani. Produzioni piccole, appassionate, di qualità alta, altissi- alla stagionatura del formaggio ma, rigorosamente ogm-free, che funzionano da volano per tutto il settore: biologici, di mon- La naturalità della produzione tagna, da razze locali. Il loro successo obbliga le aziende dei grandi numeri ad alzare l’asticel- è supervisionata dall’Associazione la della qualità. Andate a gustarli sul posto, i parmigiani reggiani virtuosi: senza gocce di bal- samico, mostarde, mieli, salse. Nudi come casaro li ha fatti. E fate posto in macchina, per por- dei produttori biologici tarvi una mezza forma a casa. Sarà l’investimento più saggio e goloso della vostra vita. e biodinamici dell’Emilia Romagna

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Reggio E. Parma Modena Mantova Bologna DOVE MANGIARE DOVE MANGIARE DOVE MANGIARE DOVE MANGIARE DOVE MANGIARE LA GHIRONDA LOCANDA DEL SALE OSTERIA VECCHIA NEGRI TRATTORIA TOMBA Via XX Settembre 61 Località Maestà Via Michelangelo 690 Martiri della Libertà 14 Via Armarolo 26 Montecchio Emilia Lesignano de’ Bagni Guiglia Gonzaga Budrio Tel. 0522-863550 Tel. 0521-857170 Tel. 059-792433 Tel. 0376-52818 Tel. 051-878104 Chiuso domenica Chiuso lunedì Chiuso lunedì Chiuso domenica Chiuso mercoledì sera e lunedì, e martedì, e martedì, sera e lunedì, e domenica sera, menù da 30 euro menù da 28 euro menù da 30 euro menù da 25 euro menù da 25 euro DOVE COMPRARE DOVE COMPRARE DOVE COMPRARE DOVE COMPRARE DOVE COMPRARE ISTITUTO AGRARIO AZIENDA BONATI CASEIFICIO ROSOLA AZIENDA PORTIOLI CASEARIA S. ANNA ZANELLI Via Bosco 3 Casello 1026 Via Viola Sacca 16 Via Sparate 1 Via Fratelli Rosselli 41 Piazza di Basilicanova V. Rosola 1083, Zocca Pegognaga Anzola Emilia Tel. 0522-280340 Tel. 0521-681707 Tel. 059-987115 Tel. 0376-58642 Tel. 051-739659 La seconda vita delle vacche rosse

CORRADO BARBERIS opire, troncare: sopire». Ecco L’appuntamento la formula proposta dal conte- «Szio di manzoniana memoria Tutti con la mandorlina in mano per soffocare sul nascere lo scandalo domenica 30 marzo nel centro del nipote Rodrigo. E «segmentare, frammentare: frammentare, segmen- di Collecchio, cuore della Food Valley tare» sembra eccellente rimedio con- parmense. Nata da un’idea di Paolo tro la “scandalosa” inappetenza del consumatore verso prodotti, anche ti- e Rosangela Gennari, appassionati pici, di troppo vasta mole. In una con- produttori, la mostra-mercato giuntura che tende alla diminuzione Formaggio & compagnia mette più che all’aumento delle spese ali- mentari. Eppur si cresce. Secondo le a confronto i migliori caselli statistiche Assolatte quel simpatico pa- (micro-caseifici) del territorio chiderma del parmigiano reggiano au- Tra gli assaggi più interessanti, menta il suo volume da 110 a 117mila tonnellate tra 1998 e 2006. Grazie, in il tosone, ma anche stagionature primo luogo, alla sua straordinaria estreme come il 60 mesi bontà. Ma grazie, anche, ad una certa immagine di novità che gli si è creata at- torno. L’antichissimo si è intrecciato col giovanissimo. Frammentare, segmentare. A co- minciare è stato, una ventina d’anni fa, un coltivatore diretto laureato, Lucia- no Catellani, presidente dei superstiti allevatori di vacche rosse, la tradizio- nale bovina reggiana dei tempi dell’A- Bianca riosto e di Filippo re, poi soppiantata Altro salvataggio in extremis dalle bruno-alpine in epoca fascista e per un parmigiano antico, prodotto dalle frisone in era democristiana. Pro- duceva meno latte questa razza — da con latte di razza modenese, qui la sua quasi scomparsa — ma un e protetto da un presidio Slow Food latte adattissimo alla caseificazione. 24 mesi per la stagionatura minima Non fu agevole impresa ottenere di coagularlo autonomamente invece di delle forme, caratterizzate disperderlo nei cento rivoli cooperati- da un eccellente rapporto vi, ma il Consorzio capì e oggi il parmi- giano reggiano delle vacche rosse, il cui fra grasso, proteine e caseine marchio si affianca a quello principale, spunta prezzi notevolmente superiori, anche di un terzo, rispetto alla media. Visto il successo reggiano, i modenesi non hanno voluto essere da meno. Ave- vano anche loro un razza storica, dal mantello bian- co? Da circa un anno è possibi- le acquistare forme della raz- za bianca casei- ficata in purez- Montagna za. Il Consorzio Qualità Tipica E ci si è messo Val Baganza e il Consorzio Terre pure il Parla- mento. La legge di Montagna sono tra i protagonisti 97 del 31 gen- delle produzioni da latte d’altura naio 1994 auto- (sopra i 600 metri). Ricco, aromatico, rizzava a mar- chiare come spesso certificato come biologico, prodotti della garantisce un parmigiano adatto montagna, cioè di erbe partico- a lunghe stagionature di prodotto larmente pre- giate, i formag- gi che pur già godessero il marchio di un consorzio di tutela. Altra occasione perché alcuni caselli dell’Appennino emiliano approfittassero della doppia timbratura. E poi c’è la campagna bio- logica. La gente si sente rassicurata quando compra bio: e non solo quando si tratta di cereali o di frutta. A Cremo- na Fiere, nella manifestazione dedica- ta al Cheese of the year, per il secondo anno consecutivo ha spopolato il Par- mabio, una stalla di Bardi, nell’alta quota parmense, che ostenta un pro- dotto biologico. Si aggiunga che, men- tre fino a qualche tempo fa era consi- derato ottimo il cacio di due anni e ve- nerando quello di tre, oggi fanno capo- lino quelli da quattro, da cinque anni e ancor più. Una sfida per il gourmet, co- stretto a fare assaggi di tutte le varianti. Segmentare, frammentare. O non è stato così fin dai tempi di Carlo Magno? Fu il grande im- peratore a creare il primo bistic- cio, assegnando alla contea di Reggio ma alla diocesi di Parma al- cuni territori oggi all’avanguardia casearia. E poi fu la volta dei Landi, gente emiliana con terre di sinistra di Po, nel lodigiano. Il loro grana era co- sì perfetto che la Camera di Commer- cio di Milano, con una delibera del IL LIBRO 1895, vietava di chiamare parmigiano Esce il 4 marzo le forme che non fossero prodotte a Lo- l’edizione di e dintorni. A ristabilire il buon senso ampliata provvide una sentenza della Corte di e aggiornata Cassazione di Torino che riconobbe i del Dizionario diritti degli emiliani. Ma intanto tra Lo- enciclopedico di e Parma, tra Parma e Reggio, il for- dei formaggi maggio grana aveva vissuto un’appas- a cura sionante vicenda della segmentazio- di Corrado ne. Proprio come oggi tra vacche rosse, Barberis bianche o frisone, tra montagna e bio- (Mondadori, logia, tra un’annata e l’altra. 1.215 pagine, L’autore è presidente dell’Istituto 30 euro) nazionale di sociologia rurale

Repubblica Nazionale 48 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 2 MARZO 2008 le tendenze In occasione dell’8 marzo s’inaugura a Torino una grande Abitare oggi mostra interamente dedicata al design al femminile che mette in vetrina il meglio della produzione industriale e artistica. Protagoniste, documenti e oggetti illustrano un percorso di lavoro, spesso sconosciuto, del made in Italy ed evocano i variegati successi degli ultimi anni

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1 ELEONORE PEDUZZI RIVA 2 LORENZA BOZZOLI 3 CARLA BARATELLI 4 FRANCESCA DONATI In argento, come tipico Cuore caldo, come dice Ventiquattro antenne Micama è un’isola del marchio De Vecchi, il nome, è una borsa telescopiche per il relax che si srotola Jarra (ovvero caraffa dell’acqua calda a forma che terminano con led e si compone a piacere in spagnolo) è modellata di cuore, pensata a basso consumo Tutta sfoderabile, senza angoli. Firmata da Lorenza Bozzoli È Bib Bang di Carla di Francesca Donati Eleonore Peduzzi Riva per Antiquità Baratelli per Aldabra per Antidiva

AURELIO MAGISTÀ Forme 1 Femmina Altri progetti, altro futuro così le donne si raccontano

on il passare degli anni, ero diventata sempre più consapevole di quanto più brava e preparata e determinata doveva essere una donna per poter occupare spazi e mietere successi rispetto a un uomo, malgrado pari condizioni, preparazione e opportunità». Sono parole di Anty Pansera, curatrice con Luisa Bocchietto del- « l’evento D come Design, la mano, la mente e il cuore. L’appunta- mento èC una rassegna sul design al femminile che apre l’8 marzo (e proseguirà fino al 27 aprile) e propone un calendario di eventi con epicentro a Torino, World Design Ca- pital per il 2008. Le parole della Pansera vogliono anticipare le accuse di femminismo e i dubbi sull’opportunità di presentare ancora una volta un’ipotesi di lettura sessua- 5 ta della creatività. Legittimo chiedersi se esiste un design cui possiamo assegnare l’etichetta di fem- minile, e se la femminilità, il femminismo, non possano diventare una forma di ghet- tizzazione. Resta il dato di fatto, incontrovertibile e verificabile in tutte le società e in tutti i contesti professionali, che per le donne è sempre più difficile affermarsi. Anche se questo fosse l’unico argomento a sussistere, la rassegna avrebbe ragione di essere. Perché assume il valore, se non di un risarcimento, almeno di un accertamento sto- rico del ruolo che le donne ebbero e hanno nel design. E il centenario dell’8 marzo, il giorno della donna, è proprio l’occasione giusta per cominciare questa elementare operazione di giustizia. L’operazione, articolata fra Alessandria, Bra, Biella, con altre iniziative che si apriranno fino alla fine di maggio, adombra nei contenuti il sospetto di un ce- dimento a un certo provincialismo. Anche per questo resta di riferimento l’appuntamento di Torino, con la mostra al Museo di scienze naturali (via Giolitti 36, info allo 011-4326354) di cui si sottolinea la struttura tripartita. La prima sezione, Un “cuore” torinese: dagli inizi del Ventesimo secolo ad oggi, è dedicata alle pioniere, dalle donne presenti all’Esposizione univer- sale di Torino del 1902, a progettiste e imprenditrici come Elena Scavini Koenig e Paola Navone, e a car designer come Giulia Moselli e Anna Vi- sconti. La seconda sezione fa da ponte tra la prima e la terza: focalizza l’at- tenzione sulle coetanee (entrambe del 1920) Anna Castelli Ferrieri e Franca Helg. Da ponte nel senso che racconta due protagoniste del design che non ci sono più per condurci al passato più recente e al presente. Nella terza sezione infatti, Sei decenni di progettualità al femminile, 1948-2008, sono raccolti esempi, oggetti (tra cui quelli riprodotti in queste pagine) e progetti che illustrano come le donne hanno lavorato e sono intervenute negli spazi privati della casa, nell’ufficio, nella scuola, negli ospedali e nelle comunità. Il dato positivo resta l’impressionante aumento della presenza femminile nel desi- gn. Oltre ai pezzi in mostra, firmati anche da nomi simbolo come Gae Aulenti o Cini Boeri, l’esposizione fa emergere figure come Patrizia Moroso, Maddalena De Pado- va, Adele Cassina, sottolineandone quell’eclettismo in cui qualità imprenditoriali e creative si integrano bene.

9 ANGELETTI E RUZZA 10 GARGAN E GIOVANNONI 11 MIRIAM MIRRI 12 MONICA GRAFFEO Se ci si vuole dedicare Linea aerodinamica, Si chiama Giotto il vaso Lazy (pigra) Mary: nome alla cucina meglio farlo colori accesi e nome totem di Miriam Mirri di donna per la chaise con le padelle tonde molto ironico (Gnam) per Plus Collection longue che dondola Easy Cook di Stefania per il porta pane firmato È antropomorfo di Monica Graffeo 6 Angeletti e Daniele Alessi. Di Elisa Gargan anche nella dimensione: Sfrutta il baricentro 7 Ruzza per Guzzini e Stefano Giovannoni quasi a misura d’uomo del corpo.Da Disguincio

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5 AULENTI E CASTIGLIONI 6 AGNOLETTO E RUSCONI 7 CHIARA, GIOIA E GIULIANA 8 GIBERTINI E MIRRI Il sistema di illuminazione Laura Agnoletto Di Chiara Caramelli, Sembra un accessorio Cestello fu progettato e Marzio Rusconi Clerici Gioia Giovannella moda, il porta-sacchetti da Gae Aulenti e Piero disegnano El: da un lato e Giuliana Gramigna, igienici per padroni di cani Castiglioni per i Guzzini specchio in lamiera Frog di Mandarina Duck creato da UnitedPets La prima versione acciaio inox, dall’altro ha il guscio metà Di Ilaria Gibertini ha più di vent’anni libreria. Da Pallucco morbido e metà rigido (nella foto) e Miriam Mirri

Matite creative crescono dal merletto alla moto

LAURA LAURENZI

a mano, la mente e il cuore lavorano diversamente se sono di una donna? Difficile stabilire se esista una via Lfemminile al design, come in qualunque altro campo, un approccio specifico, difficile sbarazzarsi dei luoghi co- muni, difficile non ricadere nello stereotipo. Se il maschio è homo faber, la donna che disegna e progetta che cos’è? Aiu- to. Quanto è meglio essere considerate prima di tutto una persona, indipendentemente dal genere. Unica valutazione accettabile è quella sul merito: l’oggetto che disegni è bello- brutto, è utile-inutile, è intelligente-stupido. Bene hanno fatto gli organizzatori della mostra di Torino a intitolare la mostra D come designe non D come donna. Le donne non so- no una categoria. No, non c’è e non deve esserci uno stile riconoscibile, un Søren Kierkegaard linguaggio autonomo, una femminilità o, peggio, una fem- La donna ha soprattutto minilizzazione del design. Il design nasce dalla volontà di da- ‘‘ re al maggior numero possibile di persone uno standard este- un altro talento innato, tico elevato, e questo non attiene alle differenze di genere, ma ci riguarda tutti. un dono originario: In teoria. La pratica è molto diversa. La vita di tutti i giorni è una strada in salita, fatta di insidie, trabocchetti e sgambetti. un assoluto virtuosismo Le designer, le donne che hanno avuto l’ardire e la passione di scegliere uno dei lavori più contemporanei e moderni, so- per dar senso al finito no molte (molte rispetto al passato) e sono brave, ma come succede in altri settori, fanno il doppio di fatica per emergere AUT-AUT e per affermarsi. Il loro lavoro è spesso oscuro. Tante giorna- Da (1843) liste donne ma così poche riescono a diventare direttori, tan- te donne in cucina ma i grandi chef sono tutti uomini, sem- pre più donne medico ma quante diventano primario? La moda poi è una fucina di talenti femminili ma le stiliste donne, quelle conosciute e riconosciute, sono ancora un’eccezione. È così anche nel de- sign: le vere star, i veri creativi sono uomini. Certo il termine designer può essere inteso con grande elasticità. È una designer Gae Au- lenti ed è una designer anche un’oscura rica- matrice. Artigiana o artista, una donna è una designer a tempo pieno, nell’uso creativo e ge- 12 niale delle risorse che ha a disposizione, nel riem- pire la vita e le ore di sostanza e quando può di bel- lezza e di armonia, nella flessibilità, nella facoltà di progettare spazi e cose, vita e quotidianità. E nel dare for- ma e corpo a un’idea immateriale che si trasforma in ogget- to, nel caso faccia la designer di mestiere. La mostra sul design delle donne allestita a Ferrara nel 2002, dal titolo Dal merletto alla motocicletta, censiva circa un centinaio di donne affermate. Oggi a Torino il loro nume- ro è triplicato. Qualche segnale di cambiamento c’è, lo con- ferma Luisa Bocchietto, art director della mostra di Torino, nonché da pochissimo tempo presidente dell’Adi, associa- zione designer italiani, che dal 1956 ad oggi ha avuto una donna alla sua guida soltanto una volta (con Anna Castelli, dal ‘69 al ‘71) per il resto è sempre stata solidamente in mani 8 11 maschili: «Ci sono molti tabù da superare, ma qualcosa si sta muovendo», assicura. Le donne disegnano di tutto, certo non soltanto oggetti da cucina, spremiagrumi e mestoli. Le donne disegnano radiato- ri, disegnano lavandini, lampade tecniche, sedie pieghevoli, locomotive. Non esistono designer uomini e designer donne, ma designer bravi e designer meno bravi, più o meno in grado di creare non in modo astratto, ma tenendo conto delle rigide regole dettate dalla produzione industriale. Creando non ci si sente donna o uomo ma, immagino, progettista. Connotare le forme soffici e tondeggianti come tipicamente femminili e fa- re distinzione fra l’attitudine progettuale dell’uomo e quella della donna è un atteggiamento antico e stantio, un luogo co- mune banale, un’idea superata. La ghettizzazione della donna con la matita in mano co- stretta a occuparsi soltanto di brocche e scolapasta o di food design è al tramonto. «Faccio parte della giuria dell’Anfia che ogni due anni premia i giovani carrozzieri di maggior talen- 10 to, e nella rosa dei cinque finalisti del concorso, l’ultima edi- zione, c’erano due donne», racconta con orgoglio Luisa Boc- chietto. Il suo sogno, dice, è che il visitatore della mostra di Torino non si accorga che gli oggetti esposti sono progettati da don- ne, ma li possa valutare soltanto per la loro qualità, accorgen- dosi magari soltanto alla fine del percorso che hanno tutti fir- me femminili. Allora perché organizzare un’esposizione di designer donne? «Ad animarci non è stato uno spirito femmi- nista o rivendicativo, ma semplicemente il desiderio di valo- rizzare il lavoro di tante donne, e di dar loro maggiore visibi- lità, di mettere in risalto la loro professionalità. Di fare un omaggio alla passione che mettono nel loro lavoro. Non in 9 quanto donne, ma in quanto designer. Credo che ognuna di noi vada valutata e considerata come un individuo, in base al merito, all’intelligenza, alla creatività».

Repubblica Nazionale 50 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 2 MARZO 2008 l’incontro Perfezionisti Tanto teatro, un film in lavorazione, due regie d’opera lirica in progetto, un nuovo disco in uscita dove si leva lo sfizio di cantare brani di Paoli, Battisti, perfino Vasco. La “seconda giovinezza” Massimo Ranieri di questo artista arrivato alla soglia dei 57 anni è frenetica. Trasuda forza e allegria ma sotto si avverte il demone della continua insoddisfazione “Sono fatto così - dice - sono curioso, voglio sempre andare a vedere cosa c’è un passo più avanti”

GINO CASTALDO tro dalla sua faccia, ma se ne percepisce l’immersione totale e incondizionata superato la quarantina, anche in altri Strehler, Patroni Griffi, Romolo Valli, l’attrazione, il terribile, amoroso, con- nelle tante possibilità del suo lavoro, campi. Perfino nel rock, vedi Vasco e Li- maestri che mi hanno spaccato in mille NAPOLI flittuale abbraccio tra il volto e il suo come se fosse una seconda giovinezza, gabue. Perché danno garanzie, perché pezzi, ma mi hanno dato prima di tutto doppio scenico. Ranieri si rilassa, in- anche se parliamo di un uomo di appe- hanno storie importanti da raccontare. un’educazione civile e poi quella del ove andare a cercare zuppa pane in una tazza di latte, uni- na cinquantasei anni, nato a Napoli co- E il pubblico ama associare la sua storia palcoscenico: guardare fino all’angolo Massimo Ranieri? Ma in versale panacea per molti napoletani, me Giovanni Calone il 3 maggio del a quella di un artista». più piccolo del teatro e prenderne pos- teatro, è ovvio. Dove al- si riposa tra un ciac e l’altro. Un film, il 1951. Forse sarebbe meglio parlare di Una strana maturità la sua. Il volto è sesso, pienamente. Sono stato molto trimenti? Una casa ce teatro sempre incombente, i dischi, maturità, ma priva di quella sedentaria divertente, la simpatia è quella di un fortunato». l’ha,D com’è naturale, una di quelle vere, un’attività vulcanica, incessante, già consapevolezza, della pigra soddisfa- monello, cresciuto ma mai del tutto ad- In tutto questo tempo la maschera di con mura, balconi e stanze da letto, ma programmata per mesi con incastri zione che talvolta prende quelli che ar- domesticato, eppure le pieghe del viso Pulcinella è lì, sembra ascoltare con il vero Ranieri è proprio lì, tra le assi del perversi. Ma non sarà troppo? «Ma no», rivano in cima. Meglio parlare piutto- stanno scavando un’espressione che a strafottente e irridente distacco. E non palcoscenico dove vive una parte più scandisce con flemma, con un sorriso a sto di uno stato di grazia. «Credo che in tratti ricorda quella di Eduardo. Trasu- è una maschera qualsiasi. È la masche- che rilevante della sua vita, sempre in mezza bocca, «non è mai troppo, in fon- gran parte lo si deve alla mia donna, gio- da forza, allegria, ma sotto sotto si av- ra di Ranieri, fatta su misura, come si giro, zingaro d’elezione, come i saltim- do prima di tutto è un piacere, è il mio vane, bella, una donna che mi fa senti- verte il demone della continua insoddi- usa, costruita da un grande artigiano, banchi, come gli attori girovaghi che mestiere, la mia vita, se no questi ritmi re amato come non mi sono mai senti- sfazione. La voglia di andare sempre Santelli, tutta in cuoio, è solo sua, da piantavano la tenda in un angolo di sarebbero impossibili da tenere, ma c’è to prima. Chi mi conosce da molto tem- avanti, di vivere come se non ci si do- quattordici anni, e solo lui può portar- strada e mettevano in scena la loro reci- un’altra cosa. Io ringrazio sempre ‘o pa- po, sa delle mie angosce, delle mie di- vesse mai fermare a raccogliere, piutto- la, come una piacevole condanna, la ta. «Nel nostro caso dovremmo dire teterno, faccio un lavoro che mi piace, sperazioni, ora è tutto diverso e questa sto salire, scalare, conquistare una vet- croce e delizia di un personaggio che ha emigranti, sapete, noi napoletani sia- non ho padroni, non mi devo alzare al- è già una cosa molto importante. Poi so- ta sempre più alta. «È il frutto di un la- portato in scena innumerevoli volte e mo sempre emigranti. Basta poco, ba- le cinque di mattina come faceva mio no in quell’età in cui si vive la piena ma- voro continuo, massacrante, di dedi- che si insinua con forza spiritata, con sta venire a Roma, ma basta anche cam- padre, non devo rendere conto a nessu- turità di artista e di uomo, e questa è una zione. Io non è che ce l’ho da quest’an- diabolica indipendenza nella persona biare quartiere e già ci sentiamo emi- no, per fortuna me lo fanno fare, e poi... conferma di una cosa che ho imparato no il successo, con Canto perché non so che la porta. «Me ne sono impossessa- granti». La sua casa è il teatro, la sua pas- mi pagano pure. Che posso volere di col tempo. Il pubblico vuole sentirsi ga- nuotare, l’ho accumulato in anni, gior- to, ce l’ho sempre a casa». Alla fine gli sione è il teatro, la sua massima aspira- più?». rantito. I cantanti che hanno più suc- no dopo giorno, cercando di fare sem- chiediamo di indossarla. Per favore, zione è il momento perfetto in cui cele- Ora ride, sornione, il cerchio è chiu- cesso ai concerti sono quelli che hanno pre almeno un passo più in là nella qua- Ranieri, la può indossare? Dobbiamo brare quella magnifica ossessione del so, non c’è stress che tenga di fronte a lità degli spettacoli, senza mai sedersi e fare una domanda proprio a lei. «A chi, rapporto col pubblico. Ora è a Napoli, questo sogno a occhi aperti, confortato compiacersi. Non voglio dire da uno a alla maschera?» Sì, proprio alla ma- per girare un film di Maurizio Scaparro, da un successo di pubblico di propor- Io ringrazio sempre dieci quanto valgono i miei spettacoli, schera: che ne pensa Pulcinella di Mas- tratto da un antico copione di Roberto zioni imbarazzanti, repliche su repli- non sta a me dirlo, ma se all’inizio vale- simo Ranieri? L’attore la indossa, per- Rossellini, la storia di un attore che che, esauriti ovunque, gente che torna ’o pateterno: vano almeno uno, oggi valgono sicura- plesso, la maschera si sovrappone per- portò Pulcinella a Parigi, alla fine del a vederlo due o tre volte di seguito. Ora mente di più, e il pubblico lo percepi- fettamente al volto, crea una strana Seicento, la vera vicenda di Michelan- c’è il film, ma sta già pensando al nuovo sce, ti segue, si sente garantito, sa che simbiosi, lo sguardo diventa un altro, gelo Fracanzani, uno dei celebri Pulci- spettacolo che deve allestire, a due re- faccio un lavoro non butterà i suoi soldi. E questo, stra- anche la bocca si deforma, guizza subi- nella della storia, ma trasportata ai no- gie d’opera lirica, e al disco in uscita, no a dirsi, invece di tranquillizzarmi mi to in uno sberleffo: «Ranieri?», dice la stri giorni in uno sdoppiamento e so- che però ha inciso molti mesi fa temen- che mi piace, mette ancora più ansia, più senso di re- maschera, «ha cercato di dominarmi, vrapposizione tra la rappresentazione do, a ragione, di non avere tempo in se- sponsabilità». ma non c’è riuscito. Io sono uno spirito teatrale e il mondo contemporaneo che guito. I dischi sono stati uno dei punti di non ho padroni, Ma come si fa a riflettere, a capire do- libero, senza catene, non ho serragli, irrompe coi suoi conflitti. forza della sua rinascita, da quando si è ve si sta andando quando si corre ad al- nessuno può prendermi del tutto». Ce Il camerino del San Carlo lo accoglie trovato con Mauro Pagani a rileggere la non mi devo alzare ta velocità tra uno spettacolo, un film, ne andiamo dal San Carlo con un dub- come un figlio prediletto, gli posa ad- storia della canzone napoletana, la sua una regia e un disco? «Sono fatto così, bio: chi era veramente a parlare? Massi- dosso l’aura nobile della recitazione, la carriera di cantante ha preso una nuo- mentre sto facendo un lavoro, c’è qual- mo Ranieri o la sua terribile maschera? grandezza dei foyer e il velluto delle se- va entusiasmante piega. E ora? «Può alle cinque come cosa, magari una frase, un episodio, un Pulcinella di sicuro lo sa, ha la coscien- die ricordano anni e anni di depositi di sembrare sorprendente ma erano qua- pensiero che mi dà lo spunto per qual- za della storia, ne ha viste tante, ha sof- antica arte teatrale. Ranieri è vestito da rant’anni di carriera e in questo disco faceva mio padre... cosa che magari farò tra due anni, quin- ferto, riso, beffato, si è umiliato, ha Pulcinella, momentaneamente senza mi sono voluto togliere molti sfizi, can- di elaboro, costruisco quello che farò, amato, ha vinto, proprio come l’attore maschera, che è lì sul tavolino, a un me- zoni che mi sono sempre piaciute, an- e mi pagano pure non è normale, lo so, ma sono fatto co- che lo impersona. che se sulla carta non sono adatte a me, sì, è il mio modo di riflettere, le cose, an- tipo Vita spericolata. Uno dice, e che che se sono sempre preso, hanno una

c’entra con te? Eppure c’entra, e l’ho vo- gestazione lunga, maturano nel tempo. luta cantare. Ho cantato Paoli, Azna- Il rischio è la maniacalità, elaboro sem- vour e perfino Battisti, ma sì, Prendi fra pre inconsciamente. Sono sempre cu- le mani la testa. C’è un motivo: ero al rioso, voglio sempre vedere cosa c’è un Cantagiro con lui quando la eseguiva. passo più avanti». REPUBBLICA.IT Allora pensavo: quanto mi piacerebbe Allo steso tempo, se pure guarda Oggi cantarla. Ho aspettato quarant’anni sempre avanti, Ranieri rivela qualcosa su Repubblica.it ma ce l’ho fatta. E poi c’è O sole mio, al- di antico, le tracce di un’etica del lavo- lo speciale ‘‘ tra canzone napoletana, come dire, in- ro, forse oggi in estinzione, un’etica che interattivo toccabile. Però mi sono ricordato di co- lo spinge a pensare prima di tutto al- con l'intervista me è nata. L’autore si trovava a Odessa, l’arte e poi al conto in banca. E quando di Gino Castaldo davanti a una landa desolata, ‘nu parla di questo il volto diventa serio, ri- a Massimo Ranieri fridd’e pazz, e in quel momento gli è ve- goroso, come se stesse trasmettendo (a cura nuta in mente Napoli. Questo è il vero una lezione che viene da lontano: «Il di Anna Zippel) significato di O sole mio, e allora l’ab- mio conto in banca non crescerà mai, biamo realizzata in una versione so- perché tutto quello che guadagno lo bria, asciutta, ricordando quella visio- reinvesto. Quando faccio uno spetta- ne ghiacciata nel contrasto con il calo- colo faccio in modo che non ci sia mai re di Napoli. Ho un solo grande rim- una calza smagliata di una ballerina, pianto, volevo fare Zazà con Gabriella mai, che non ci sia un granello di polve- Ferri, dissi a Mauro chiamiamola, ma re sul palcoscenico, mai. Ma questi so- tre giorni dopo è morta». no insegnamenti che si ricevono. Io ho C’è qualcosa nel suo modo di parlare avuto il privilegio di avere grandi mae- che riflette una speciale ebbrezza, un stri, che purtroppo non ci sono più, e i appagamento interiore forse mai co- giovani non possono avere questa stes- nosciuto prima, la pienezza dei sensi, sa fortuna. Maestri come Scaparro, FOTO OLYCOM ‘‘ Repubblica Nazionale