Le 10 serie tv del 2020 che dovete assolutamente guardare

Dire che questo 2020 sia stato un anno bellissimo sarebbe sicuramente un eccesso di benevolenza nei suoi confronti, ma, non si può neanche buttar via tutto ciò che è successo in questi dodici mesi.

Abbiamo conosciuto lo smart working, abbiamo inquinato meno, abbiamo imparato a panificare, abbiamo aspettato con ansia un dpcm (il lato positivo di questo punto è l’aver posto il nostro interesse, volente o nolente, verso la politica), abbiamo conosciuto termini nuovi come “lockdown”, insomma, se ci mettiamo d’impegno qualche lato buono lo troviamo in questo anno. Sicuramente tra questi c’è quello di aver avuto molto più tempo a disposizione da passare in casa e dedicare ai propri hobby, magari uno di questi è guardare per ore ed ore serie tv, c’è chi lo chiama “binge watching”, nascondendo, non tanto bene, un’accezione negativa del termine, ma chi può dire che questa pratica non si sia rivelata utile in questo 2020?

Serve allenamento, non è facile, non bisogna perdere il filo, non bisogna demordere se una serie comincia ad annoiare, non bisogna cadere nei facili paragoni, non devi spoilerare con i tuoi simili, non devi scegliere alla leggera una serie da iniziare, insomma, è una faticaccia.

Molte sono le serie del 2020 degne di essere viste e, concentrandomi solo su quelle iniziate quest’anno, ho provato a fare una piccola selezione (non una classifica), spaziando tra generi e tematiche.

Le 10 serie tv del 2020 da guardare assolutamente:

1) E’ una miniserie disponibile su , basata sul libro autobiografico “Ex ortodossa. Il rifiuto scandaloso delle mie radici chassidiche” della scrittrice Deborah Feldman. La serie racconta la storia di Esty, una ragazza di famiglia ultra-ortodossa chassidica, che a causa della sua fede non può vivere una vita normale, ma è destinata solo ad essere madre e moglie devota; quando ad Esty questa vita comincia a star stretta decide di scappare via dall’America per andare in Germania. E’ una serie che mostra un mondo con regole che ai nostri occhi risultano incomprensibili e lo fa in maniera molto elegante e toccante, in soli quattro episodi;

2) La serie d’animazione di Netflix più surreale che ci sia. E’ nata dalle mani del regista e animatore Pendleton Ward e dal comico Duncan Trussell, che è l’autore del podcast che l’ha ispirata. Il protagonista, negli otto episodi, viaggia attraverso un multiverso di fantastici mondi, attraverso un simulatore, incontrando assurdi personaggi e affronta con loro tematiche filosofiche e spirituali, acquistando sempre maggior consapevolezza, tutto sullo sfondo di animazioni visionarie che si susseguono in un turbine di colori psichedelici;

Scopri il nuovo numero: Simply the best È indubbio che quest’anno passerà alla storia come l’anno della pandemia. Così come indubbio che quest’anno ha portato malessere sociale, psichico ed economico. Ma dobbiamo sforzarci di cogliere un bagliore di luce anche in un anno così buio.

3) Romulus E’ la serie italiana del momento, creata e diretta dal regista Matteo Rovere, che narra le vicende precedenti alla nascita di Roma. La serie Sky Original, composta da dieci episodi, ricostruisce fedelmente la società in cui è ambientata, grazie al supporto di storici e archeologi. Il cast è costituito da numerosi attori visti in altri film e serie tv italiane, come ad esempio “Gomorra”. Il regista Matteo Rovere si è già cimentato in un progetto a sfondo storico con il film “Il primo re”, con protagonista Alessandro Borghi;

4) La regina degli scacchi La miniserie ideata da Scott Frank e Allan Scott, è tratta dal romanzo “The Queen’s Gambit”, dello scrittore Walter Tevis. La serie americana Netflix, di sette episodi, racconta la storia di Beth Harmon, una bambina orfana che all’età di otto anni, conosce il mondo degli scacchi a cui si appassiona in maniera viscerale. Beth inizia presto ad essere dipendente da alcol e psicofarmaci ma, nonostante la sua natura fragile, riesce a diventare una donna ed una giocatrice forte e tenace, capace di farsi strada nel mondo degli scacchi. Una serie emozionante, ricca di scenografie e costumi bellissimi, con la bravissima attrice protagonista Anya Taylor-Joy;

5) Ethos “Ethos” (titolo originale Bir Başkadır) è una serie Netflix, come “Unorthodox”, basata sulla storia di una giovane donna influenzata dalle regole della sua religione. Ci troviamo però in Turchia, ad Istanbul, protagonista degli otto episodi è Meryem, interpretata dall’intensa e bellissima attrice Öykü Karayel, che vive con la famiglia del fratello a cui è molto devota. La donna comincia ad andare da una psicologa a causa di svenimenti frequenti e da lì si snodano le storie di personaggi provenienti da differenti classi sociali con livello culturale e problemi molto diversi tra loro. “Ethos” è una serie che sta facendo molto discutere in Turchia e che affonda le radici in un profondo universo psicologico oltre che religioso. I titoli di coda sono quasi tutti accompagnati da videoclip musicali anni ottanta, un’idea molto originale per una serie tv;

6) E’ la miniserie targata Netflix che con ironia e leggerezza affronta lo spinoso tema della discriminazione, razziale e sessuale. “Hollywood” racconta la storia di sei giovani ragazzi, aspiranti attori e registi, con il sogno di aver successo nel mondo del cinema, che dovranno scontrarsi con i pregiudizi dell’America del secondo dopoguerra. La serie di sette episodi, creata da Ryan Murphy e Ian Brennan, diretta da Daniel Minahan, è brillante e coinvolgente e ha come ciliegina sulla torta la straordinaria interpretazione di Jim Parsons (Sheldon Cooper di “The Big Bang Theory”) nei panni del chiacchierato agente delle star Henry Willson, realmente esistito;

7) We are who we are E’ la miniserie italo-americana diretta dal regista Luca Guadagnino per Sky Atlantic, co-creata con lo scrittore Paolo Giordano e la sceneggiatrice Francesca Manieri. Negli otto episodi viene raccontata una storia di crescita, amicizia, amore, scoperta ed accettazione di sé e degli altri, con protagonisti l’inquieto e sensibile Fraser e la bellissima e razionale Caitlin. I due adolescenti vivono in una caserma a Chioggia, base militare statunitense dove lavora il padre di lei e dove la madre di lui è diventata il nuovo comandante. Un’emozionante serie capace di coinvolgere sia i più giovani che gli adulti, un prodotto del regista italiano che, dopo il successo del bellissimo “Chiamami col tuo nome”, torna a raccontare le inquietudini tipiche dell’adolescenza con poesia e raffinatezza e con riuscite scelte dal punto di vista degli attori, dei costumi e della colonna sonora; 8) I am not okay with this E’ la serie americana creata e diretta dal regista Jonathan Entwistle, già regista della serie “The End of the F***ing World”, e prodotta dai produttori di “Stranger Things”. La serie presente nel catalogo Netflix, è tratta da una graphic novel del fumettista americano Charles Forsman e ha come protagonista l’adolescente Sydney che improvvisamente si accorge di avere dei superpoteri, che si manifestano quando è particolarmente arrabbiata o impaurita. Una commedia dark nello stile anni ottanta, che può piacere anche ai non più adolescenti, ma c’è un però: la prima stagione composta da sette episodi pare essere anche definitivamente l’ultima, perché la serie è stata cancellata; non si può dire, quindi, che abbia avuto lo stesso successo delle altre due famose serie sopra citate;

9) The Last Dance Il successo planetario che ha riscosso la docu-serie Netflix “The Last Dance” è innegabile. Punto di forza è sicuramente il fenomeno del basket Michael Jordan e la sua squadra, i Chicago Bulls, e la possibilità che questa serie offre di seguire tutte le loro vicende, sportive e personali, nei dieci episodi che raccontano la clamorosa ascesa che la storica squadra dell’NBA ha vissuto negli anni ’90. Un bellissimo mix di spezzoni di partite e interviste a giocatori, allenatori, dirigenti e giornalisti, coinvolti nella storia del cestista icona mondiale dello sport e nelle vittorie dei Chicago Bulls, la squadra che vinse per ben sei volte il campionato NBA;

10) The New Pope “The New Pope” è la miniserie, sequel del già bellissimo e fortunato “The Young Pope”, scritta e diretta dal regista premio Oscar Paolo Sorrentino per Sky Atlantic. Racconta in nove episodi l’ingresso in Vaticano di Sir John Brannox, interpretato da uno strepitoso John Malkovich, che viene nominato Papa col nome di Papa Giovanni Paolo III e subentra a Papa Pio XIII, ovvero Lenny Belardo, ovvero il fantastico Jude Law. Serie tv meravigliosa sotto tutti i punti di vista, dalla regia agli attori, dalla sceneggiatura alle scenografie, costumi e musiche. Accanto a mostri sacri come Malkovich e Law, spicca un ineguagliabile Silvio Orlando, nel ruolo del Cardinale napoletano Angelo Voiello. Personalmente credo che questa sia, tra le dieci, quella che metto al 1° posto, assolutamente imperdibile, da vedere solo dopo aver visto “The Young Pope”.

Vi consiglio di guardare tutte queste serie tv ed anche altre interessanti che ho dovuto lasciare fuori da questa selezione; non cercate solo generi che già conoscete e vi appassionano, ma provate la visione anche di quei prodotti che vi sembrano molto lontani dai vostri gusti, perché se c’è una cosa che il 2020 ci ha insegnato è che non dobbiamo mai smettere di metterci alla prova, di scavalcare i nostri limiti ed anche iniziare una nuova serie tv può essere un ampliamento del nostro piccolo confortevole mondo.

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E se potessi riscrivere la storia? Questa è la domanda che ci pone “Hollywood”, la miniserie ispirata agli anni d'oro del cinema americano

Tra le novità Netflix spicca senza dubbio “Hollywood”, la miniserie che racconta la storia di sei giovani ragazzi ed il loro sogno di sfondare nel mondo del cinema. La brillante serie, creata da Ryan Murphy e Ian Brennan, diretta da Daniel Minahan, potrebbe al primo sguardo sembrare solo leggera e piacevole ma, per fortuna, così non è. Il sogno del cinema è solo il punto di partenza, il pretesto del racconto. In realtà andando avanti con le puntate (meglio se viste in lingua originale), si capisce che quel che si vuole raccontare è molto di più. Il desiderio di soldi, successo e popolarità presto si trasforma in un potente veicolo, per un potente messaggio: l’uguaglianza.

Così le vicende di questi ragazzi giovani, belli e determinati, si incrociano nella splendente Los Angeles, terra delle opportunità, dove si arriva per realizzare i propri sogni e diventare qualcuno. Non è per tutti facile però: non lo è se, ad esempio, sei un aspirante sceneggiatore di colore o un’aspirante attrice di colore, ma non è facile neanche se sei la moglie del capo dei più famosi studi cinematografici di Hollywood, da cui ci si aspetta esclusivamente che faccia la moglie. Ed è proprio davanti a questi studi, gli Ace Studios, che ogni mattina una folla scalpitante di giovani, si apposta col sogno di essere reclutati, anche solo per fare la comparsa per dieci dollari al giorno; ma su uno che viene selezionato, altri cento ne restano fuori e si barcamenano per guadagnare qualche soldo per pagare le bollette, trovando lavori anche poco convenzionali. Lo scenario qui si sdoppia: da una parte l’America fatta di fast food, lustrini, progresso e icone glamour, dall’altra quell’America ipocrita e razzista, dove il finto perbenismo dei ricchi e le discriminazioni sono all’ordine del giorno, dove le persone di colore sono escluse dai luoghi pubblici, gli omosessuali perseguitati e le donne limitate all’unico compito di moglie e mamma. Sembrano lontane queste condizioni ma, purtroppo, non lo sono e alcune vicende di discriminazioni legate alla razza di appartenenza o agli orientamenti sessuali, a cui ancora oggi dobbiamo assistere, ne sono la conferma. https://www.youtube.com/watch?v=iAvnhxXSG4c

Ma torniamo agli anni ’40 e all’aspirante sceneggiatore, Archie Coleman, solo e squattrinato, che ha scritto una bellissima sceneggiatura sulla storia di Peg Entwistle, l’attrice che nel 1932 si uccise lanciandosi dalla scritta Hollywood (prima Hollywoodland), in seguito ad un flop cinematografico. Grazie a diverse vicissitudini la sceneggiatura del film “Peg” viene presa in considerazione e al suo interno convergono tutti i nostri protagonisti. Qui mi fermo con il racconto, per non cadere nello spoiler, ma vado avanti con le curiosità, dicendo che la grandezza di quella che possiamo definire un’ucronistica meta-serie sul cinema, sta nei dettagli: nel mostrare una storia alternativa a quella reale del cinema di quegli anni che conosciamo, nell’accuratezza delle scenografie, esaltate da una luminosa fotografia, nella raffinata colonna sonora swing e nella presenza di alcuni personaggi realmente esistiti, che rendono la storia ancor più intrigante.

Due su tutti, il divo amato dalle donne Rock Hudson (pseudonimo di Rock Fitzgerald) e Henry Willson, il controverso agente delle star, interpretato da Jim Parsons (presente anche tra i produttori esecutivi), il famosissimo Sheldon Cooper di The Big Bang Theory, che ci regala un’interpretazione molto distante dal nerd che conosciamo, per ritrarre un meraviglioso personaggio cinico e senza scrupoli. Uno dei principali personaggi inventati, invece, è quello di Camille Washington, la ragazza che ambisce a diventare l’attrice protagonista della pellicola “Peg”, per la quale i creatori si sono ispirati a due dive realmente esistite: Dorothy Dandridge, la prima attrice afro-americana ad essere nominata agli Oscar come miglior attrice protagonista e Lena Horn, la prima attrice di colore a firmare un contratto con una major cinematografica di Hollywood.

Scopri il nuovo numero > Upgrade Upgrade rappresenta l’ultimo elemento di un racconto che parte a Febbraio 2020. In questi mesi abbiamo raccontato cosa stava succedendo (Virale), ci siamo domandati come la pandemia avrebbe cambiato noi stessi e l’economia (Tutto andrà bene(?)), e abbiamo offerto soluzioni (Reset). Con questo numero abbiamo voluto fare un passo in più: immaginare un domani diverso, anche attraverso esperienze concrete.

Un altro punto di forza di questa serie è sicuramente l’evoluzione della storia che, come detto, solo in apparenza è una storia superficiale, ma successivamente, puntata dopo puntata, diventa sempre più emozionante, trasformando i suoi personaggi ed il suo messaggio, diventando così una serie imprescindibile per gli amanti del cinema, ma altrettanto coinvolgente anche per i meno appassionati. H e n r y W i l l s o n , i l c ontroverso agente delle star, è interpretato da Jim Parsons, il famosissimo Sheldon Cooper di The Big Bang Theory.

Un cast con molti giovani esordienti e poche guest, tra cui il già citato Jim Parsons, Mira Sorvino, Rob Reiner e l’attrice e cantante Queen Latifah, a cui è affidato un personaggio che non rientra tra i principali, ma che risulta essere comunque fondamentale. La cantante americana interpreta l’attrice Hattie McDaniel, che fu la prima donna afroamericana della storia a vincere un premio Oscar, in particolare quello come miglior attrice non protagonista, per il ruolo di Mami nel kolossal “Via col vento” ma che, purtroppo, fu protagonista anche di un avvenimento al limite dell’incredibile, che viene raccontato in una struggente scena dell’ultimo episodio della serie. Ancora oggi, se parliamo di premi Oscar, gli attori di colore, nominati e premiati, sono davvero pochi rispetto alla totalità.

La serie “Hollywood” è stata presentata come miniserie, quindi, senza seguito e per ora è così, ma non è da escludere che, se dovesse ricevere il successo che merita, si possa proseguire il racconto, anche se tutte le vicende si sono concluse; uno dei protagonisti, secondo me, avrebbe ancora qualcosa da dire e proprio per questo credo non abbia avuto un degno finale, ma staremo a vedere.

La domanda con cui è stata lanciata questa entusiasmante serie è “E se potessi riscrivere la storia?” ed è rivolta proprio a noi spettatori, mettendoci davanti ad una prova: è possibile cercare di superare quelle brutte pagine di storia che, purtroppo, ancora oggi stiamo scrivendo e dar vita ad una versione alternativa del nostro presente? E’ possibile utilizzare questa drammatica situazione universale come spinta verso il miglioramento? Riusciremo a raccontare a chi non c’era, come ha fatto questa serie tv, una storia senza più discriminazioni, ingiustizie, ignoranza o sarà più facile cedere alla facile scorciatoia del giudizio ad ogni costo, anche, e soprattutto, quando non abbiamo conoscenze adeguate per poterlo emettere?

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Raffaello Castellano (328)

Cosa fa grande un attore o un’attrice? Bastano solo i ruoli ed i film che ha interpretato? È il suo stile di vita, la sua condotta morale o amorale, che conduce fuori dal set? Sono i suoi matrimoni, i suoi divorzi, i suoi tic, le sue manie, le sue perversioni, o tutte queste cose messe insieme?

Sia quello che sia, quando di un attore o di un’attrice ci rimane impresso un singolo carattere distintivo, una sorta di marchio di fabbrica o una specie di slogan pubblicitario, con il quale tendiamo ad identificarlo, a riconoscerlo, a ricordarlo, allora possiamo dire, alla maniera di Hollywood, che “è nata una stella”. Due di queste stelle si sono spente, per sempre, nel grande firmamento del cinema mondiale: Lauren Bacall e Robin Williams, che forse ricorderemo per sempre rispettivamente come “The Look” (lo sguardo) e “The Smile” (il sorriso).

Il 2014, infatti, verrà ricordato dagli appassionati di cinema come un anno particolarmente triste per tutta una serie di grandi attori/attrici che è venuta a mancare in situazioni più o meno tragiche. Stavamo ancora asciugandoci le lacrime per la prematura dipartita, avvenuta per droga, del grande Philip Seymour Hoffman del 2 febbraio scorso, che ci ha privato per sempre del suo straordinario talento, che ci colpisce come uno schiaffo in faccia la scomparsa in poco più di 24 ore, fra l’11 e il 12 agosto, di due mostri sacri del cinema mondiale: Lauren Bacall e Robin Williams. Noi di Smart Marketing, che stavamo completando la redazione di questo 4° numero dedicato al cinema, abbiamo voluto, con questo articolo, ripercorrere per quanto possibile le straordinarie carriere e le vite di questi due grandi attori. Se la Bacall fu soprannominata, per il suo particolare modo di guardare, “The Look”, sicuramente possiamo dire che Williams era “The Smile”, per tutta una serie di simpatici e surreali personaggi che ha portato sullo schermo cominciando dai suoi esordi televisivi con un serial di grandissimo successo, anche in Italia, come Mork & Mindy (94 episodi per 4 stagioni dal 1978 al 1982), passando per interpretazioni memorabili come il dj radiofonico Adrian Cronauer di Good Morning Vietnam di Barry Levinson (1987); lo straordinario professore John Keating dell’Attimo Fuggente di Peter Weir (1989); il barbone/cavaliere alla ricerca del Santo Graal ne La Leggenda del Re Pescatore di Terry Gilliam (1991); la tata ideale Mrs. Doubtfire di Chris Columbus (1993); per arrivare a ruoli più complessi e sfaccettati come il Walter Finch di Insomnia di Christopher Nolan (2002), lo psicologo sui generis Sean McGuire di Will Hunting – Genio ribelle di Gus Van Sant (1997), per il quale vincerà l’unico Premio Oscar della sua carriera, come attore non protagonista; o il perturbante ruolo di Seymour “Sy” Parrish nel One hour photo di Mark Romanek.

Benché, come giustamente ha osservato Goffredo Fofi, nell’articolo “Irriverenza Addomesticata” (Domenica del Sole 24Ore, 17 agosto 2014), Hollywood ne abbia in una certa misura smorzato il genio ribelle e spuntato la carica sovversiva, “addomesticando” il suo talento in ruoli per famiglia, e stemperando la sua carica ironica in film di matrice disneyana, preferendo ruoli consolatori a quelli disturbanti, va detto, per buona pace di Fofi, che il cinema non deve per forza essere impegnato, sovversivo, irriverente, ma che anche nel recitare ruoli conformati e distensivi gli attori sono degni di rimanere impressi nelle nostre memorie e nei nostri cuori. Il cinema d’altronde non è solo uno strumento per pensare ma pure, in una certa misura, e dai primordi, uno spettacolo da consumare.

Fa specie che, come quasi tutte le grandi maschere divertenti del cinema, Charlot e Totò su tutte, anche le maschere irriverenti ed esilaranti che Robin Williams ha, di volta in volta, indossato in realtà nascondevano un personaggio complesso, triste e depresso, tanto da spingere l’uomo che faceva ridere e sorridere tutti a trovare nel più “solitario” dei sucidi, all’età di 63 anni, l’unica via di fuga dal quel mondo, quello dello show business americano, che sebbene ti dia tanto, in termini di successo, fama e denaro, altrettanto ti chiede sul piano degli affetti, della serenità e della salute psichica. Ben diversa la carriera e la vita di Lauren Bacall, morta per un ictus alla soglia dei 90 anni, che proveniva dal mondo della moda e che, si dice, fu scoperta dalla moglie di Howard Hawks sulla copertina del “Harper’s Bazaar”; il regista prontamente la scritturò affiancandola, come protagonista, al già famoso Humphrey Bogart (che poi diverrà suo marito) nel film Acque del Sud (1944), tratto dal romanzo “Avere o non avere” di Hemingway e sceneggiato da William Faulkner. Figlia di padre russo e madre polacco-tedesca di religione ebraica immigrati negli Stati Uniti, da piccola voleva fare la ballerina, ma poi si appassionò al cinema ed alla recitazione. Tantissimi i capolavori girati ed i registi con i quali ha lavorato, come “Il Grande Sonno” di Howard Hawks (1946); “L’isola di corallo” di John Huston (1948); “Come sposare un milionario”, al fianco di Marilyn Monroe e Betty Grable, per la regia di Jean Negulesco (1953): “Assassinio sull’Orient-Express” di Sidney Lumet (1974); “Health” (1980) e “Prêt – à – Porter” (1994) di Robert Altman; “Dogville” di Lars von Trier (2003). Ad Hollywood era sopranominata “the look”, per la sua particolare maniera di guardare nell’obbiettivo inclinando la testa in avanti e osservando dal basso verso l’alto, espressione che gli conferiva un notevole sex appeal, qualora qualcuno non avesse già notato il suo incedere elegante e la sua maniera regale di dominare la scena, teatrale o cinematografica che fosse. Oltre che moglie di Humphrey Bogart, morto nel 1957, più grande di 25 anni, ma che rimarrà il suo grande amore, ebbe una relazione breve e tormentata con Frank Sinatra e più tardi nel 1961 con l’attore Jason Robards, col quale avrà un figlio. Vincerà un solo Oscar, quello alla carriera, nel 2009 e nel 1999 l’American Film Institute l’ha inserita nella lista delle più grandi star femminili di tutti i tempi (20° posto su 100).

Insomma, due grandi ci hanno lasciato, senza preavviso, senza un perché, lasciandoci in eredità solo i loro film, che come capsule del tempo, quando andremo a rivederli, ci ricorderanno non solo questi due grandissimi attori, ma, soprattutto ci parleranno di chi eravamo e che cosa facevamo noi quando abbiamo visto quei film per la prima volta.

Ricordiamoci infine che nei film della Bacall e di Williams forse non troveremo la risposta alle grandi domande, nè dissertazioni sui massimi sistemi ma, come giustamente dice Natalie Portman nel film “V per Vendetta”: “Gli artisti usano le bugie per dire la verità, mentre i politici le usano per coprire la verità”; affidiamoci quindi, nel Paese più politicizzato del mondo, a farci raccontare delle splendide bugie da uno “sguardo” e da un “sorriso”.